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SENTIREA SCOLTARE online music magazine OTTOBRE N. 36 DIRTY PROJECTORS DOVE MAHLER VA D’ACCORDO CON I BLACK FLAG P. J . H a rv e y Va n D y k e P a rks J o sé Go n zá l es Ta lib am! Super Furry Animals Derek Bailey Vert s Jens e n t i r e a Lekm s c o l t a r an e 1 Oren Am b ar ch i sommario 4 News 8 The Lights On José Gon zá les, Sir Ric har d Bis hop, Talib am!, Wh ite R ainbow 8 1 2 Speciali Jens Le kma n, Ve r t , Dis c o Dr iv e, Daf t G en era tion , Oren Am bar c hi, Dir t y Pr ojec t ors, Sup er Furry Anim als , P. J . Har v ey 38 Recensioni A e so p Ro ck, Amar i, Baby s ham bles , B e irut, Fiery Fu rnac es , Digit alis m . . . 1 0 1 Rubriche (Gi)An t Step s Cecil Ta ylo r We Are De mo: Che ste r Polio , M y M or ning Needle, 32 Desert Mo tel, Far m er Sea. . . Classic Van Dyke Pa rks, Pink Floy d, Tr unk Re co rds Cinema I Simp so n, Sicko , Soff io. . . I cosiddetti conte m p o r a n e i De rek Baile y Direttore Edoardo Bridda Coordinamento Teresa Greco Consulenti alla redazione Daniele Follero Stefano Solventi 104 Staff Valentina Cassano Antonello Comunale Antonio Puglia Hanno collaborato Gianni Avella, Davide Brace, Filippo Bordignon, Marco Braggion, Gaspare Caliri, Nicolas Campagnari, Roberto Canella, Alessandro Grassi, Paolo Grava, Manfredi Lamartina, Alarico Mantovani, Massimo Padalino, Giulio Pasquali, Stefano Pifferi, Andrea Provinciali, Stefano Renzi, Costanza Salvi, Vincenzo Santarcangelo, Giancarlo Turra, Fabrizio Zampighi, Giuseppe Zucco. Guida spirituale Adriano Trauber (1966-2004h) Grafica Edoardo Bridda, Valentina Cassano in copertina Dirty Projectors SentireAscoltare online music magazine Registrazione Trib.BO N° 7590 del 28/10/05 Editore Edoardo Bridda Direttore responsabile Antonello Comunale Provider NGI S.p.A. Copyright © 2007 Edoardo Bridda. Tutti i diritti riservati. La riproduzione totale o parziale, in qualsiasi forma, su qualsiasi supporto e con qualsiasi mezzo, è proibita senza autorizzazione scritta di SentireAscoltare 118 sentireascoltare 3 news a c u r a d i Te r e s a G r e c o Robert Wyatt, protagonista del nostro TRANSMISSION di questo mese e al suo ritorno con l’album Comicopera, si è esibito dal vivo per la p r i m a v o l t a a d i s t a n z a d i 2 5 a n n i . L’ e v e n t o è a c c a d u t o p r e s s o l a D r i l l Hall di Lincoln, in Inghilterra; il Nostro è comparso sul palco durante un concerto del Dylan Howe Quintet, gruppo che promuove ( e il cui b a t t e r i s t a è i l f i g l i o d i S t e v e H o w e d e g l i Ye s ) p e r c a n t a r e R o u n d M i d n i g h t d i T h e l o n i u s M o n k . L’ a r t i s t a s i è d e t t o m o l t o d i v e r t i t o p e r l ’ e s i b i zione… Debuttano su Thrill Jockey gli School Of Language, gruppo di David Brewis dei Field Music; un album (Ships) è in completamento e uscirà nel 2008… To r n a n o g l i U n d e r t o n e s , i l g r u p p o p o s t - p u n k p r e f e r i t o d a J o h n P e e l ( Te e n a g e K i k s e r a l a s o n g p r e f e r i t a d a l D J ) : i l g r u p p o n o r d i r l a n d e s e a p p r o d a a l l a C o o k i n g V i n y l p e r c u i e s c e i l 1 5 o t t o b r e D i g Yo u r s e l f D i p , i l p r i m o d a l l a r e u n i o n d e l 2 0 0 3 c o n G e t W h a t Yo u N e e d ( i l g r u p p o s i era sciolto nel lontano 1983)… Undertones La Universal pubblicherà prossimamente in cofanetto due raccolte per celebrare i 10 anni dei californiani Eels; Meet The Ells: Essential Eels Vo l . 1 è u n b e s t e u n D V d c o n i l o r o v i d e o , m e n t r e i n U s e l e s s T r i n k e t s saranno raccolti b-sides e rarità; il tutto sarà accompagnato da un DVD che testimonia la esibizione del gruppo al Lolappaloza Festival del 2006; il leader E pubblicherà intanto il primo romanzo, Things The Granchildren Should Know nel gennaio 2008 in America… Morto un fan a un concerto degli Smashing Pumpkins: è successo il 2 4 s e t t e m b r e s c o r s o a Va n c o u v e r, p r o b a b i l m e n t e d o p o u n c r o w d s u r f i n g che è stato fatale a un ventenne. Non sono state ancora rese note le circostanze esatte in cui è avvenuto il fatto… Ep in uscita per i White Magic: i quattro pezzi contenuti in Dark Stars saranno pubblicati il 23 ottobre prossimo su Drag City… G r o s s e n o v i t à s u S o u t h e r n L o r d . L’ e t i c h e t t a h a i n r a m p a d i l a n cio i nuovi album di due gruppi da segnalare: gli Om, transfughi dalla Holy Mountain, con il nuovo Pilgrimage e i dilatatissim i b l a c k - m e t a l W o l v e s I n T h e T h r o n e R o o m c o n Tw o H u n t e r s … Nuovo lavoro per lo stakanovista Ninni Morgia. Questa volta in duo con Massimo (Mego Recs.) uscirà su No Fum Production il lavoro a nome S.X. Appeal… George Harrison sarà raccontato in un prossimo documentario del regista americano Martin Scorsese; la moglie del musicista, Olivia, è stata coinvolta nel progetto come consulente… 4 sentireascoltare Nuovo album, il quarto, per gli svedesi Hives: The Black And White Album, prodotto da Pharrell Williams, Jacknife Lee (Bloc Party, U2, Editors), Dennis Herring (Modest Mouse, Elvis Costello) e il prezzemolo Timbaland uscirà il 15 ottobre… Album nuovo in uscita il 2 novembre prossimo per i Sigur Rós: Hvarf/Heim (accompagnato dal DVD Heima con esibizioni live islandesi risalenti all’anno scorso) è pubblicato dalla EMI (in America da XL) e contiene reinterpretazioni di vecchi pezzi e tre inediti… Nuovo disco anche per i canadesi Picastro: Whore Luck è uscito su Polyvinyl l’11 settembre, con la partecipazione di Jamie Stewart (Xiu Xiu) e Owen Pallet (alias Final Fantasy, ex- componente del gruppo)… Andrei W.K. (come coproduttore e arrangiatore) è al lavoro per un nuovo disco della leggenda reggae Lee “Scratch” Perry che uscirà su Narnak a metà del prossimo anno, con collaborazioni di altri artisti (fra i quali Aimee Allen e Ari Up delle Slits) e pezzi originali… Per gli irriducibili dei Cure, due concerti italiani del loro nuovo 4Tour 208: il prossimo 29 febbraio 2008 a Roma e il 2 marzo a Milano. Biglietti in vendita dal 4 ottobre… La terza reunion dei Sex Pistols (dopo quelle del ’96 e 2003) si terrà il prossimo 8 novembre alla Brixton Academy a Londra (in formazione originale con Glen Matlock al basso), l’occasione è data dai trent’anni dalla pubblicazione di Never Mind The Bollocks - che esce in special edition… The Hives Si terrà il 26 novembre prossimo alla 02Arena di Londra il live-reunion dei Led Zeppelin (Jimmy Page, Robert Plant, John Paul Jones e Jason Bonham) in onore dello scomparso boss dell’Atlantic Records Ahmet Ertegun. Ci saranno anche Pete Townshend e Bill Wyman tra gli altri… Per la serie Don’t Look Back, i Sebadoh - dopo la reunion live della primavera scorsa - rifaranno il classico lo-fi Bubble And Scrape (Sub Pop, 1993) il prossimo 7 maggio a Londra all’All Tomorrow’s Parties, in formazione originale (Lou Barlow, Eric Gaffney e Jason Loewenstein) … Incredibile ma vero: venerdì 21 settembre presso la Fiera di Milano a Rho, nell’ambito del MEET (manifestazione in corso dal 21 al 24 del mese) e con la collaborazione del festival MiTo (Milano Torino), la London Sinfonietta ha eseguito lo spettacolo unico Remembering The Beatles: Sgt. Pepper ’s And More…, uno speciale tributo con ospiti d’eccezione. Tra i nomi che hanno preso parte all’evento: Residents, Marianne Faithfull, Jarvis Cocker, Robyn Hitchcock, Russell Mael degli Sparks, Alex Chilton, Peter Murphy, Beth Orton, Badly Drawn Boy. Ha diretto Jurjen Hempel su arrangiamenti di Matthew Scott… sentireascoltare 5 news a c u r a d i Te r e s a G r e c o I Death Cab For Cutie si apprestano ad entrare in studio per registrare il successore di Plans (2005), che dovrebbe uscire entro la primavera del 2008… Il Chrome Dreams II di Neil Young (album in studio inedito che riecheggia sin dal titolo un lavoro mai pubblicato risalente al 1977, Chrome Dreams, appunto) di cui abbiamo già dato notizia il mese scorso, uscirà su Reprise il prossimo 16 ottobre… L’11 settembre è scomparso a 75 anni Joe Zawinul, compositore e pianista fondatore dei Weather Report e collaboratore del Miles Davis elettrico… È in uscita a novembre per Black Dog Publishing il volume No-Wave di Marc Masters, penna di “The Wire” e titolare del sito Noiseweek (http://noiseweek.blogspot.com/). L’autore propone uno sguardo attento sul fenomeno musicale con tanto di approfondimento dei suoi risvolti cinematografici. Non resta che attendere una traduzione italiana... Da YouTube, il video di Peacebone, primo singolo estratto dal controverso Strawberry Jam degli Animal Collective, uscito il 14 settembre su Domino / Self (http://www.youtube.com/watch?v=fxvGHQHiY70)... Death Cab For Cutie Gli Einstürzende Neubauten (www.neubauten.org/) tornano dopo 3 anni dall’ultimo Perpetuum Mobile con Alles Wieder Offen, il nuovo album che sarà pubblicato in Europa il 19 ottobre prossimo su Potomak / Kizmaiaz… Primo disco solista uscito il 20 agosto per Susanna Karolina Wallumrød, già cantante di Susanna And The Magical Orchestra: Sonata Mix Dwarf Cosmos comprende pezzi inediti ed è pubblicato, come per il gruppo madre, dalla norvegese Rune Grammofon (www.runegrammofon.com)... La stessa etichetta ha pubblicato il 17 settembre il nuovo dei Supersilent, 8, il primo in studio da cinque anni… Un album dal vivo per i Daft Punk: Alive 2007 in uscita il prossimo novembre in versione CD unico o doppio più un DVD, mostra il concerto tenuto dal gruppo a Parigi lo scorso14 luglio… I Grizzly Bear pubblicheranno un EP il 6 novembre prossimo dal titolo Friend, con ben 10 pezzi, in attesa del successore di Yellow House dell’anno scorso… Secondo album per Beirut dopo il debutto con Gulak Orkestar: The Flying Club Cup esce su 4AD l’8 ottobre… Da YouTube il video del singolo Seahorse di Devendra Banhart, un ritorno in pieni anni Settanta dall’ultimo disco Smokey… in uscita il 25 settembre (http://www.youtube.com/watch?v=sFMIYz0TZ-U)... 6 sentireascoltare I Deerhoof hanno partecipato alla colonna sonora del film Dedication di Justin Theroux (Six Feet Under), uscito a fine agosto in America, in cui sono presenti parecchi loro brani e un inedito composto per l’occasione, Match book Se eks Man iac. La col onn a son ora è u sci ta l’ 11 se ttemb re , a nche con Cat Power, The Strokes, Fischerspooner e Lightning Bolt tra gli altri… A n n u n c i a t e 6 n u o v e u s c i t e p e r i Ta l i b a m ! d i K e v i n S h e a : u n a t r i p l e t t a di album (Ordination Of The Globetrotting Conscripts su Azul; The Excusable Earthling su Pendu Sound e Buns And Gutter per la franc e s e G a ff e r ) , u n l i v e s u B l a c k e s t R a i n b o w ( L i v e A t T h e To n i c , N e w Yo r k ) e u n p a i o d i c a s s e t t e d i c u i u n a p e r l a ! K 7 s e r i e s d e l l a n o s t r a n a No=Fi… Ritorno alle origini per Jon Spencer? Sembrerebbe di si, visto che la In The Red ha in uscita a breve Jukebox Explosion, raccolta dei singoli pubblicati sulla stessa etichetta. Dopo le numerose date seguite alla reunion dei Jesus And Mary Chain, arriva ora la notizia confermata di un nuovo disco: ritorneranno infatti in studio a oltre nove anni dall’ultima volta… Collaborazione tra Lou Reed e i Killers per un brano di quest’ultimi, Tr a n q u i l i z e , c h e u s c i r à a f i n e a n n o s u u n a l b u m d i l a t i b e r a r i t à c h e i l gruppo sta preparando… Deerhoof Disco solista per Dave Gahan dei Depeche Mode: Hourglass è pubblicato da Mute-EMI in ottobre… Come molti sapranno già, è stata finalmente annunciata l’uscita del settimo album dei Radiohead. Dalla mattina del 1 ottobre, In Rainb o w s è u ff i c i a l m e n t e d i s p o n i b i l e a l p u b b l i c o i n d i v e r s i f o r m a t i , t u t t i a c q u i s t a b i l i e s c l u s i v a m e n t e d a l s i t o u ff i c i a l e ( w w w. r a d i o h e a d . c o m ) della band. Già, perché almeno in questa fase, non c’è nessuna casa discografica a sostenere il progetto: dopo la fine del contratto con la Emi, i Radiohead non hanno infatti firmato per nessuna label. Pertanto il nuovo album verrà inizialmente lanciato come download legalizzato a partire dal 10 ottobre; l’aspetto più interessante è che non è stato f i s s a t o u n p r e z z o , m a l ’ o ff e r t a è l a s c i a t a c o m p l e t a m e n t e l i b e r a a l l ’ a c quirente. Dal 3 dicembre in poi, invece, In Rainbows sarà disponibile - sempre per corrispondenza - in uno speciale Discbox contenente l’album in versione cd e doppio vinile, un cd extra contenente altri 8 brani inediti, foto digitali e l’artwork, più i booklet con le liriche. Prezzo: 40 sterline (circa 57 euro). La band fa sapere che il cd verrà infine rilasciato nei negozi presumibilmente a inizio 2008; non si sa ancora a chi v e r r à a ff i d a t a l a d i s t r i b u z i o n e . P e r u l t e r i o r i i n f o s u t r a c k l i s t e d e t t a g l i : w w w. i n r a i n b o w s . c o m . . . sentireascoltare 7 The Lights On... josé gonzáles Una chitarra e una voce calda, avvolgente, solitaria. Un sentire personale e intimo che si affaccia sul mondo. Tempo ne è passato da quando un semplice folksinger poteva scuotere coscienze e cuori semplicemente con la forza di pochi, genuini accordi. Ora che il muro di indifferenza e impossibilità è diventato sempre più alto, che fine ha fatto il menestrello, quella figura tra lo schivo e il leader che parlava a nome di tutti? È ancora plausibile fantasticare sulla sua esistenza? Una risposta non c’è, ma un dato è certo: il singolare ha rimpiazzato il plurale. Chiunque abbia l’esigenza di dire la propria lo fa guardando esclusivamente se stesso allo specchio. Nessuna comunità alle spalle, nessun sentimento comune, ma tanti, distanti interrogativi. Nonostante la strada percorsa oggi sia questa, c’è ancora chi, di quella esperienza, ha fatto tesoro e prova a declinarla nel presente. Meno facile pensare che un simile esempio possa provenire dalla Svezia, terra di malinconie tutte private dall’algida essenza (l’universo pop della Labrador). Eppure José Gonzáles nonostante mantenga qualcosa di quella glaciale vena, evidenziata nella ossessiva circolarità degli accordi, nella semplicità nella costruzione delle canzoni, nel suono così scarno, disadorno, accende il tutto con le sue origini paterne argentine, con il fuoco della vita che una voce dalle tonalità passionali e latine tradisce. Credere che abbia mosso i primi passi in una band ispirata ai Black Flag e proseguito poi con l’hardcore nei Gothenburg’s Renascence riesce alquanto improbabile, ma questi passaggi obbligati, seppur contorti, gli hanno dimostrato quanto giocare di sottrazione non sia poi tanto male. Tutt’altro. Come chi scopra per la prima volta la propria di- 8 sentireascoltare scendenza, José si avvicina a quanto di più tipico e radicato nella sua cultura latina: la chitarra classica. Da questo momento in poi la strada del Nostro sarà tutta in discesa: intraviste le potenzialità di un’artista con una chiara e ben delineata cifra stilistica, la britannica Peacefrog lo mette sotto contratto, pubblicando l’ep Crosses (Peacefrog, 14 marzo 2005), che traccia con tre brani su quattro le linee spartane di quello che sarà il debutto ufficiale. Tempo un mese e Veneer (Peacefrog, 25 aprile 2005) viene lanciato sul mercato. Un esordio messo in piedi con una scarna strumentazione (chitarra acustica, percussioni appena accennate, una luminescente tromba in Broken Arrows), che punta tutto su un fingerpicking di estrema delicatezza e precisione (il desolato profumo di Slow Moves), che sa animarsi di influenze brasiliane (la bossa di Remain) e fare di un semplice hand clapping il suo miglior contraltare (Lovestain), mostrando tutta la sua originalità nella preziosa Crosses, che allontana Gonzáles dagli altisonanti nomi a cui è stato subito associato (Drake in primis, ma anche Elliott Smith, qualcuno ha scomodato addirittura Tim Buckley…) grazie ad un suono carnoso, che si riempie di tensione e ritmo ad ogni accordo (Deadweight On Velveteen e All You Deliver). Una voce grave ma sinuosa a decantare liriche sfumate e immaginifiche, come sfumata è la società di oggi, poche parole reiterate in perfetta simbiosi con le note che le accompagnano. (7.0/10) Un disco che richiede attenzione e affinità d’animo per essere compreso e sublimato, che però è riuscito a valicare i confini del circuito indie, conquistando il primo posto nelle charts inglesi, con la deliziosa cover di Heartbeats dei conterranei The Knife inserita in uno spot televisivo. Un colpo di marketing ben assestato (non così deprecabile in questo caso…) che gli ha permesso di girare il globo, confermando un talento che ha fatto della Hand On Your Heart di Kylie Minogue (dall’ep Stay In The Shade, Peacefrog, 15 agosto 2005) un piccolo gioiello per i non avvezzi alla disco della starlette. Un anno intenso, il 2005, che vede il Nostro prestare voce e chitarra nell’ep Black Refuge (Teme Shet, 2005) dei Junip (vero e proprio progetto collaterale), trio nel quale il suono del Nostro si complica di moog e batteria all’insegna di un pop dall’imprinting sempre folky, ma senza troppo mordente. Meglio riesce la collaborazione, l’anno successivo, con gli Zero 7, anzi, proprio la presenza di Gonzáles salva in extremis un album altrimenti trascurabile come The Garden, che invece sembra donargli o comunque suggerire aperture intriganti per il futuro (i delicati innesti elettronici di Future e i tropicalismi sintetici di Today). Non è, dunque, del tutto fuori luogo aspettarsi qualcosa di più da In Our Nature (Imperial / Family Affair, 24 settembre 2007, in spazio recensioni), un guizzo innovativo che possa colmare un suono già denso che rischia però di rimanere un po’ in superficie con il passare del tempo, ma che ad un più attento ascolto sa rilasciare sensazioni tanto ambigue e confuse quanto reali, e quale modo migliore per raccontare il presente se non immergendosi completamente nei sui dilanianti dubbi? Non soluzioni o canti di rivalsa e incitamenti, come succedeva a fine Sessanta, ma interrogativi pesanti, sofferti a cui risposta non c’è, questo il compito del moderno troubadour e tanto basta per portargli rispetto e ascolto. Va l e n t i n a C a s s a n o The Lights On... sir richard bishop Sull’arte dell’improvvisazione molto è stato scritto. Fondamentale, però, rimane ancora oggi, e a distanza di più di settant’ anni, un testo scritto da T. Carl Whitmer. Edito nel 1934, il saggio contiene affermazioni, oggi evidenti per verità e chiarezza, che bene esemplificano quali siano le modalità nell’improvvisazione di sempre: “In generale ci sono due modi di improvvisare. Il primo è per espansione, il secondo è per forme già stabilite”. Il saggio uomo non citava (e non avrebbe potuto farlo, visto che sarebbero state definite solo 30 anni dopo nell’ambito dell’improvvisazione libera anglosassone) le “composizioni istantanee”, sebbene di fatto esse siano implicite, per astrazione, nella summenzionata definizione. Sir Richard Bishop è divenuto, nell’arco di quasi un decennio, un maestro nell’arte dell’improvvisazione “per forme già stabilite”. Dopo esserlo stato - e continuare ad esserlo - dell’improvvisazione tout court (anche di quella free) in quella anomala, deviante ad ogni classificazione, creatura del deserto che ebbe nome Sun City Girls. Lui alla chitarra, il fratellino Alan al basso e Charles Gocher (RIP) a dar giù di tamburi, furono le glorie sotterranee che da Phoenix, Arizona, abbracciarono idealmente le musiche di tutto il Mondo in una sorta di worldfusion psichedelica a tinte desertiche. Tanti gli stili che Richard ha assorbito nel suo modo unico di suonare lo strumento. E ce ne accorgemmo bene al suo esordio solista. Geniale sin dal titolo, Salvador Kalì, l’album esce nel 1998. È patrocinato dalla Revenant del compianto John Fahey. Riconoscimento implicito d’un talento alla sei corde dell’eredità ideale imbracciata dal più giovane. Burning Caravan apre il disco. Ed è un colpo di genio assoluto. Come se Pepe Romero suonasse l’Allegro Moderato del Quintetto Per Chitarra e Archi n°1 In Re Minore di Luigi Boccherini flirtando, nello stesso tempo, col suon de la risacca del buon vecchio Dick Dale. Ma è il valore della composizione in sé che lascia una traccia duratura. Così come i nove minuti di musica indianeggiante di Rasheed, o ancora le “spagnolerie” di Cadaqués. Il flamenco, come radice di certa improvvisazione libera alla 6 corde, passa dal magistero di Derek Bailey - mediato forse dalle istanze roots di un Fahey - alle musiche del nostro Sir. Molto filmiche, invero. Pedro’s Last Ride ne testimonia. Superbamente. L’atteso seguito di cotanta meraviglia si fa attendere. È solo nel 2005, infatti, che Improvika vede la luce. Maggiormente devoto al fingerpicking faheyano, il disco palesa meno genio del precedente, addentrandosi però molto più nel profondo dei suggestivi antri dell’improvvisazione. Provenance Unknown, di fatto, è un tour de force della chitarra fra temi abbozzati e poi non rifiniti sui quali le dita di Bishop arpeggiando allo strumento donando mirabilmente azione e anima alla “divagazione”stilistica virtualmente infinita. Un po’ tutto l’album si muove così. Ostico, prezioso. Lo strumento, vale ricordarlo, è una “single string wooden guitar”, la musica è autodefinita come “1 parte di muscolarità a la Peckinpah, 2 parti di illuminato simbolismo jodorowskiano”. Chi ha orecchie per intendere, intenda. A partire da questo album, la produzione discografica si infittisce. Ri- chard incide tanto, ufficialmente e anche su cd-r. Fingering The Devil (Latitudes, 2005), ispirato al chitarrismo raga di Jack Rose e di Stephen Basho-Jugans, torna al virtuosismo improvvisativo lirico del passato. Almeno in parte, se si tiene fede ad Abydos, composizione notevolissima per tecnica e maestria esecutiva, imbevuta d’un pathos colmo d’attese mai dissoltesi. È la colonna sonora d’una terra immaginaria, un paradiso latino e caldo dove dissolvere le allucinazioni desertiche cui c’avevano abituato i Sun City Girls. I cd della serie Vault, e soprattutto l’albo All Strung Out, datano 2006. Il lavoro prosegue con pervicacia nell’ambito del lirismo chitarristico lirico ed epico. Ha un che di eroico questo suo far musica così antispettacolate e così fedelmente ancorata alle teniche e alle possibilità del proprio amato strumento. Echoes Of Spain, come al solito già dal titolo palese, è il racconto in note d’un paese fantastico, fatto di mille e mille spartiti visti e rivisitati da Richard, tanto reali da sostituire l’immaginario d’un paesaggio al paesaggio stesso. Mass Of The Jack al chiude il cd soffocandolo, atipicamente, nei riverberi della chitarra trattata. L’atmosfera è davvero demoniaca qui! While My Guitar Violently Bleeds e l’ultimissimo Polytheistic Fragments (Drag City, 2007, in spazio recensioni) pongono il nostro Sir al rango di maestro fra i chitarristi odierni. Sono esercizi tecnici che focalizzano la vera vocazione (negli anni sempre più chiara) di Richard: nobilitarsi anche come “composiotore contemporaneo”. Progetto ambizioso ma non velleitario per il nostro eroe! Massimo Padalino sentireascoltare 9 The Lights On... talibam! Una delle definizioni più azzeccate f o r m u l a t e s u i Ta l i b a m ! s u o n a c o s ì : “Ornette Coleman playing on Soft M a c h i n e ’s F o u r t h I n H e l l ” . K e v i n S h e a , a n i m a v e r a d e i Ta l i b a m ! e batterista sonico nei prime mover del rock de-composto Storm And Stress, è sempre passato sotto silenzio durante quell’esperienza. A parlare per tutti c’era il chitarrista Ian Williams. Damon Che Fitzgerald (batteria) era, di fatto, con lui i Don Caballero. Chi ricorda i primordi della scena chicagoana nel segno del post rock ad inizi anni ‘90 non ha bisogno certo di ulter i o r i d e l u c i d a z i o n i . L’ i n c o n t r o f r a Kevin e Matthew Mottel, poi ai sint e t i z z a t o r i n e i Ta l i b a m ! , e u n a n n o dopo Ed Bear si aggiunge ai due. L’ i n c i p i t d e l l a b a n d s t a t u t t o q u i . Il “feedbacksaxophone” di Bear rappresenta forse il suono più caratteristico nel bailamme freej a z z e n o i s e d o n a t o c i d a i Ta l i b a m ! a l l ’ e p o c a d e l l ’ e s o r d i o l u n g o . Ta libam! (Evolving Ear) data 2006. È uno strepitoso saggio free su come la musica, e i segni sonori che ne compongono i significanti, siano oggetto d’una precisa strategia teoretica e comunicativa da parte di Kevin: “È come quando l e g g o L’ U l i s s e d i J o y c e , t r a e n d o ne piacere dalla manipolazione del linguaggio e ispirazione dal suo h u m o u r. Q u a n d o h o s u o n a t o p e r la prima volta con Matt e Ed, ho avvertito lo stesso tipo di curiosità divertita”. I gruppi di casa Load tremano. Gli Orthlem avrebbero di che imparare all’ascolto. Forse anche i Lightning Bolt. Un caleidoscopio inesausto di rock cangiante ed 10 sentireascoltare e s c o r i a n t e . Tr o p p o “ i n b a l l o ” p e r ballare una sola danza alla volta. Il noise newyorkese di quest’ultimo quinquennio ha i suoi nuovi profeti. E bello anche il gioco dei packaging per il cd-r omonimo su E v o l v i n g E a r. C o p e r t i n e d i a l b u m più o meno noti avvolgono il cd, chicca speciale: un frammento di vinile aggiunto. I pezzi inclusi sono tre ma fanno il diavolo a quattro nell’arte della decostruzione stilistica. Non è jazz, ma è “free”, non è noise, ma picchia duro, è articolatissimo, ma epidermico, si sbriciola di continuo, ma è solido come roccia, si riconosce in forme astruse di worldmusic, eppure ha solide r a d i c i r o c k . I l s u o n o d e i Ta l i b a m ! s i m o s t r a c a m a l e o n t i c o , d i ff i c i l m e n t e arpionabile all’uncino di qualsivolglia categorizzazione di comodo. Così come le ultime sortite a nome Ta l i b a m ! . I n i z i a m o d a l c a p o l a v o r o Ordination Of The Globetrottering Conscripts (Azul Discografica, 2007, in spazio recensioni), p r i m o d i s c o “ u ff i c i a l e ” d e l c o m b o . Ancora una volta il jazz viene sottoposto ad un attacco batteriologic o d i a n t r a c i t e a r i t m i c a . Va r i a n t e indistruttibile derivata dal genio di Kevin e Mat soprattutto. E per i curiosi ci sono in giro anche i 34 minuti di Buns And Butter (tratti dalle session d’esordio) e il cd Misbegotten Man dei People (I & Ear Records, 2007) , sempre con Kevin coinvolto. Cercateli e non ve ne pentirete! Ad Ordination Of The Globetrottering Conscripts spetta il posto d ’ o n o r e . Tr a t t a s i d i u n p i c c o l o c a polavoro di sgrammaticatura post (noise, jazz, e perché no... anche rock). La vertigine free è anzi talmente potente che farebbe, in un f i l m d i s c i - f i , l ’ e ff e t t o d i u n a b o c cata di ossigeno troppo puro su organismi abituati ad inalare azoto. Uccide! I componimenti killer sono tanti. La metronimica Guns And Butter, che sfrigola via su intermittenti segnali sintetici mentre sax coltraniani (e non solo) s’arrampicano ad unghie strette sul suonorumore sovraesposto. Spettacolari poi i 13 minuti, a sipario quasi c a l a t o , d i T h e S p e c t r e O f Wa t e r Wa r s , m o d e l l o d i f u s i o n n u c l e a r e inaudita e senza lo scampolo di un riferimento stilistico che sia uno. The Excusable Earthling (12” L P, P e n d u S o u n d s R e c o r d i n g s , 2007) raccoglie invece due improvvisazioni live (registrate in UK nell’estate 2007) – Explosive Soul e O n e Wa y F o o t – c h e m a t e r i a lizzano la buonanima del vecchio Sun Ra quando decideva di fare il cazzone on stage. Suoni sintetici che si perdono fra loro, un mulinar di bacchette discreto e alla spicciolata, vuoti incomprensibili e pieni “a sfiatare”. Piacevole ma non essenziale, quindi. Così come B u n s A n d B u t t e r s ( G e ff e r R e cords, 2007), che nella sua mezzora abbondante di divagazioni improvvisate rimanda diretti diretti alle sessioni Evolving Ear da cui è estrapolato. Davvero singolare, invece, il connubio Mary Halvorson/Kevin Shea nei People. Solo voce e batteria che richiamano da vicino, torturandone ancor più la mimica astratta, gli esperimenti vocali presenti nell’esordio che fu degli Storm And Stress. Massimo Padalino The Lights On... white rainbow “FULL SPECTRUM VIBRATIONAL HEALING AUDIO IS PRISMATIC POSITIVE LIFE ENERGY”. “MORE ADVANCED THAN MEDITATION!! FASTER THAN MEDITATION. ABOVE AND BEYOND MEDITATION”. Dal Teatro della Musica Eterna al Prisma dell’Eterno Presente il passo è molto breve. Più veloce della luce. Un attimo. Il profeta dell’Eterno Presente non è La Monte Young, ma Adam Forkner, bizzarro habitué della scena psichedelica dell’Oregon. Si fece un rapido cenno a lui, alcuni mesi or sono, parlando di Honey Owens aka Valet. Honey e Adam fanno infatti coppia fissa e sono due tra i più interessanti personaggi della scena avant americana di questi anni 2000, anche se entrambi hanno “curricula importanti” e non sono certo nati ieri. Forkner lo avvistiamo già sul finire degli anni ’90 alla guida della compagine di space rock psichedelico denominata Yume Bitsu (“battiti sognanti” in giapponese). Sono in quattro. Con lui ci sono Franz Prichard, Alex Bundy, Jason Anderson e parlano argomenti inequivocabili: chitarre spacey, tastiere eteree, battiti ipnotici. Gli Yume Bitsu fanno surf su acuminate jam trancedeliche che si allungano in eterno come nella migliore tradizione psichedelica. Quattro dischi per quattro capitoli distinti di un loro personalissimo volume dedicato alla trascendenza musicale. Di questi, probabilmente, il più completo e fantasioso rimane il disco omonimo del 2001. Ma Adam è già altrove. A fare comunella con compagni di mentalità e di idee che rispondono al nome di Landing, con cui fon- da i Surface Of Eceyon o Surface Of Eceon. Due dischi, due versioni diverse dello stesso moniker, ma stessa pasta psichedelica. Le chitarre di Dragyyn (Strange Attractor, 2003) coprono il vasto terreno che separa il languore “al delay” di David Gilmour dalla mistica dreamy di Robin Guthrie. Sembra una delle migliori vie di fuga dalla folla postrock di quegli anni, ma Adam scappa già via verso nuove imprese. Nel frattempo la sua padronanza strumentale e il suo orecchio finissimo da tecnico gli permettono di attivarsi come ingegnere del suono presso i Dub Narcotic Studio della K Records, dove partecipa a registrare svariati personaggi come Calvin Johnson, Greg Weeks e Kinski. Si nasconde dietro un moniker quanto mai bizzarro per quello che è il suo vero debutto come solista, ovvero la sigla [[[[VVRSSNN]]]] da pronunciarsi come “version”. L’apparizione di White Rainbow arriva con l’inizio delle danze per la Yarnlazer la piccola etichetta di cdr che il Nostro condivide con la sua donna. Il primo risultato con la nuova ragione sociale è Zome, un diamante dream che ritorna sui passi interrotti con gli Yume Bitsu e che si beneficia ancora una volta dell’aiuto dei Landing. Post-rock con il cuore in mano nel peggiore dei casi, ma anche elettro-beat pulsanti su chitarre iper riverberate. Adam si sposta lentamente verso una possibile musica dance per angeli a due passi dalla new age bella e buona. Un incredibile box di cinque cd + dvd viene poi smerciato l’anno scorso da Marriage Records. È il primo parto vero e proprio che può dir- si completamente figlio del nuovo corso. L’unico paragone possibile è con Kesto dei Pan Sonic, ma la musica è completamente diversa. Il lavoro non potrebbe essere più dispersivo. Dopo tutto è una raccolta di provini e micro-sketch. È White Rainbow che prende dimestichezza con White Rainbow. Nel dvd appaiono collaborazioni con videoartisti e dimostrazioni delle performanceinstallazioni dal vivo di White Rainbow, sempre più intenzionato a far vivere un’esperienza psichedelica a 360° con il supporto di strumenti ottici, luci, tubi e filmati. Con la sua Yarnalazer all’inizio di quest’anno pubblica Sun Shifts, un vero antipasto del disco autunnale su Kranky. La musica di Adam Forkner è diventata ormai una via di mezzo tra l’ambient in odor di new age e il kraut rock più etereo e onirico. Certi tribalismi dance non possono che agevolare ancora di più la riuscita dell’operazione. Musica che potrebbe tranquillamente essere usata come colonna sonora chill-out dopo infernali sessioni di goa-trance rave. Narcotica, tribale, new agey… osserviamo attentamente l’arcobaleno che si scioglie nel bagliore bianco del prisma e lasciamoci abbindolare oltre che dalla musica, dai proclami propagandistici che addobbano l’artwork in stile “Dream Syndicate” di Prism Of Eternal Now (Kranky / Wide, 1 ottobre 2007, in spazio recensioni) “Enjoy only 2 cosmetics, enough sleep & White Rainbow’s ‘Eternal Now’ sounds to cleance and relax body-mind-soul-spirit instantly uniting Now! Infinite Now!”. Antonello Comunale sentireascoltare 11 Jens Lekman EUGENETICA POP di Stefano Renzi Vedi alla voce ineffa b i l e . U n r a g a z z o p i a c e v o l m e n t e p r i v o d i p r e c o n c e t t i e p i a c e v o l m e n t e p o r t a t o v e r s o l e m e l o die più carezzevoli e ac c a t t i v a n t i . U n a v o r a c i t à i n e s o r a b i l e s o t t o l ’ i n d o l e n z a b l a s é . S c i n t i l l e d i g e n i o c o m e t i z zoni nella bambagia. Con l ’ o p e r a s e c o n d a J e n s L e k m a n s t a c c a u n b i g l i e t t o s o l a a n d a t a v e r s o l ’ o l i m p o d e l p o p . Quello tra la Svezia e la musica pop pare un connubio destinato a rinnovarsi all’infinito. Dai tempi del pre-pop-disco degli Abba sino alle recenti scorribande di una etichetta geniale e sottovalutata come la Labrador Records, questi ex-barbari dalle folte chiome dorate figli d i B j i o n B o r g e d e l l a Vo l v o , della dinamite e del mobilio a basso costo, sono sempre riusciti a reinventare il proprio abbecedario musicale finendo con il generare “fenomeni” che alle nostre latitudini manco ci immaginiamo. Probabilmente è una questione di geni o di genetica applicata alla materia musicale, oppure il frutto di una solidità economica con pochi paragoni al mondo, di uno stato efficiente e di servizi puntuali, di nove milioni di persone distribuite su di una superficie grande quasi quanto l’Italia nel suo complesso che si spartiscono risorse naturali inesauribili vivendo cullati nella bambagia anche con il solo sussidio di disoccupazione. Sarà quello che sarà, in fondo non ce ne frega niente, anzi sì, per dirla tutta siamo un po’ gelosi poiché vorremmo che Genova somigliasse un po’ più a Malmoe, che a Palermo si vivesse come a Stoccolma e che magari, un giorno, da qualche parte in questo disgraziato Paese nascesse uno come Jens Lekman. Un fuoriclasse, uno di 12 sentireascoltare quelli che anche se ti stanno sul cazzo non puoi fare a meno di dire che ti piacciono. Uno con i controcoglioni, uno che i colleghi americani ed inglesi li guarda negli occhi senza imbarazzo e che nel camerino gli dà pure qualche dritta su come aggiustare le canzoni. Sogni, forse speranze, per il momento sicuramente illusioni che con ludico piacere ci costringono a guardare altrove e a scrivere l’ennesimo articolo su questo ventiseienne di Goteburgo anziché sul Mario Rossi della porta accanto che un disco “della Madonna” - massì, diciamolo - come Night Falls Over Kortedala non è ancora (forse non lo sarà mai) in grado neanche di pensarlo. Alchimista dell’arrangiamento, folletto della melodia, artigiano dell’ironia, questo ventiseienne dai tratti aristocratici e dall’aria talvolta assonnata, è quanto di più di distante si possa immaginare dal prototipo di moderno cantautore, e non soltanto per quello che scrive e per come lo scrive ma anche per una visione ed un culto della propria arte totalmente agli antipodi rispetto a quello dei suoi colleghi. “Ho provato a farmi piacere My Space ed ancora oggi cerco di avvicinarmi alla sua logica mettendo on line una sorta di audio diario e altro materiale ma credo che si tratti di un insulto nei confronti di tutto quello che io amo della musica p o p . Vo g l i o e s s e r e p e r s o n a l e , originale, e comunicare con le persone che amano la mia musica ma i contatti che ho su my space si riducono a conversazioni e commenti stupidi ed insignificanti…. Non puoi intavolare una discussione creativa ed intelligente con una persona attraverso una telefonata ad un cellulare oppure con un sms…”. Fuori dal tempo, direbbero i Bluvertigo se ancora avessero pallottole da sparare. Fuori dal tempo come i suoi ipot e t i c i m a e s t r i : S c o t t Wa l k e r , il Jonathan Richman solista, Stephen Merritt e, perché no, M r. M o r r i s s e y , g e n t e , c h e c o n il pop ha sempre avuto un rapporto particolarmente stretto anche se contorto e non certo immediato. “Mi piacerebbe essere Jonathan Richman probabilmente quanto a lui piacerebbe essere Lou Reed, ma siccome Jonathan non sarà mai Lou io non diventerò mai Jonathan per il semplice motivo che non potrei mai essere così spensierato. E forse è giusto che sia così. Probabilmente amerei la musica di Sthephen Merritt, ma ho avuto il tempo di sentire soltanto 69 Love Songs molto prima che la gente mi paragonasse a lui ed adesso non riesco più ad ascoltare le sue canzoni”. Contorsioni e immediatezza: qualità che non mancano certo allo svedese, capace di essere sofisticato ma allo stesso tempo incredibilmente accessibile, intelligente (per quanto può palesarlo uno che scrive canzoni “pop”) ma disincantato, quasi come se tutto quello che facesse e scrivesse non fosse altro che un agevole gioco di citazioni ed incastri, come una costruzione con il Lego di cui si possiede già lo schema definitivo. Ascoltare un suo album genera quindi la solita, incredibile, sensazione di déjà vu, come se quelle melodie e quegli arrangiamenti a volte così sfrontati facessero parte del nostro patrimonio musicale da una vita e che per qualche strano gioco del destino fossero state messe da parte, in un angolo della casa in attesa di tempi migliori per poter essere fruite. “Sono solito campionare dalle fonti più disparate, è per questo che le mie canzoni prendono delle direzioni insolite. Se trovo dei suoni pesanti di batteria che mi piacciono, campiono e metto da parte dicendomi “beh, un giorno li utilizzerò per qualche cosa”, e magari ci costruisco sopra un calypso.” Arte del campionamento che lo pone al fianco di personaggi maestri e pionieri del genere, come ad esempio l’olandese Solex che, seppur con modalità e finalità differenti, ha ispirato il Nostro in questo riciclaggio onnivoro che assume pop per rigenerarne di nuovo, che ingurgita immondizia per rivomitare diamanti, un varco dimensionale aperto sul luogo fatato dove Mariah Carey comincia ad avere un senso. “Fantasy è una delle mie canzoni preferite. Amo tutte le sue ballate del primo periodo, si tratta di canzoni semplici, storie d’amore incredibili. Ascoltarle equivale a sognare”. Che Mariah abbia avuto un peso nella formazione del Nostro pari a quella del Moz non deve scandalizzare, perché Jens è e rimarrà sempre un ragazzo di campagna, talentuoso e bravo fino all’eccesso ma pur sempre un sempliciotto e come tale al di sopra di tutte le forme di snobismo musicale unanimemente riconosciute. Per lui una canzone è soltanto una canzone, e una bella canzone è prima di tutto una bella canzone, non conta se ad interpretarla è una popputa mulatta coi glutei ipertrofici o un essere asessuato con dei fiori che gli pendono dalle tasche. La cosa principale è quello che si vuole trasmettere, il messaggio. Comunicare è il fine e per farlo si segue il cuore, non la mente degli altri. Se poi si finisce per s o m i g l i a r e p i ù a S c o t t Wa l k e r c h e a P a u l Yo u n g b e n v e n g a , ma non è questo il punto. Jens-mente illuminata verrebbe da dire, talmente pura e priva di spocchia da finire col piacere a chi la spocchia la mangia persino a colazione, talmente “oltre” da riuscire a vendere come carne fresca cose che fino a ieri avrebbero fatto rabbrividire le orchestre da ballo della Costa Crociere, siano queste ispirate da un Bacharach in versione love boat (Sipping On The Sweet Nectar) oppure da u n o S c o t t Wa l k e r i n c a t a l e s s i (And I Remember Every Kiss). È il prezzo da pagare quando si fa (o si torna a fare) i conti con il pop, con quello vero che chiede semplicemente di raccontare storie e nel farlo riuscire a farsi piacere il più possibile. Elementi di secondaria importanza per alcuni, vitali per altri che forse non riusciranno mai a capitolare di fronte all’evidenza di una manciata di canzoni come quelle contenute nell’opera seconda di Jens, Night Falls Over Kortedala (Secretly Canadian, settembre 2007, in spazio recensioni): brani dentro ai quali puoi precipitare come riparato da una rete di sicurezza, scoprendo ad ogni rimbalzo possibilità nuove, sfaccettature tanto insospettabili quanto inusuali. Qui sta la forza delle canzoni, qui sta la forza di Lekman, il ragazzo qualunque che chiede solo di scrivere canzoni. Come gli pare. Se vi pare. sentireascoltare 13 Vert BACK TO THE THIRTIES di Edoardo Bridda Inghirlandato lo scorso anno con l’entusiasmante Some tournée. Il musicista garantisce soprattutto inediti che sconosciuta. Nel frattempo lo abbiamo preceduto via mail: il ragtime è il Mac riflesso in faccia? Lui garantisce: salirò sul palco To r n i a m o a p a r l a r e d i S o m e B e ans... a un anno di distanza. Sorprende ancora quel pastiche post-moderno, anzi, facciamo retro-contemporaneo… senza offesa. L’ h o p r o d o t t o d a s o l o . A l m i x e r c ’ e r a A n d i To m a d e i M o u s e O n M a r s c h e naturalmente mi ha aiutato a metterlo assieme. Sicuro. È stata una roba da diventare matti e per venirne ha capo ho applicato delle strategie. Ho cercato d’inventarmi delle regole. Giusto per darmi dei confini. Quando mi accorgevo che il lavoro prendeva una piega la facevo diventare una regola. Per dire: non ci sono cimbali di nessun tipo nel disco perché a un certo punto ho realizzato che non ne avevo mai utilizzati fin lì. Dunque quella era diventata una regola… Some Beans... non è così differente dai tuoi lavoro precedenti. Beh, lo è, però ci sono i ragtime da vecchio saloon che in un modo o nell’altro ritornano sempre come pure quel fare minimalista… Tu t t o v i e n e d a l r a g t i m e ! S u l s e r i o , quel genere è stato lo starting point di così tanto pop a venire! Sapev i c h e l a m u s i c a d i v e n t ò u n a ff a re commerciale proprio attraverso la vendita dei suoi spartiti? Erano tunes dell’epoca. Un meccanismo e un certo modo di pensare era nato, dunque quando poco dopo arrivò il grammofono i concetti e le strutture di cui aveva bisogno era- 14 sentireascoltare B e a n s A n d A n O c t o p u s , Ve r t è i n I t a l i a p e r u n a p i c c o l a faranno parte di un prossimo lavoro dalla data ancora p r o p r i o c o s ì i m p o r t a n t e ? E c o m ’ è Ve r t d a l v i v o ? U n o c o n da solo ma sarà come un hip hop trio …degli anni ’30. no già state avviate. Il ragtime poi non era un genere puro, esisteva c o m b i n a t o i n d i ff e r e n t i m o d i , c o n il jazz e il blues principalmente. Senza queste tre forme musicali non ci sarebbe stata la pop music. Poi. Ancora. Ci sono molti paralleli tra ragtime e la musica attuale: sempre negli anni ’30 alcuni pianisti s’incontravano ad Harlem per sfidarsi. Chi era il migliore? E chi il più veloce? Proprio come accade oggi con gli show open mic dove i rapper si sfidano a colpi di rima. Sempre rispondendo alla tua domanda: le uniche pièce al piano che ricordo sono The Entertainer di Scott Joplin e la Gymnopedie 1 di Satie. Credo che definiscano bene la musica che faccio adesso. Sembra che il tuo pop sia molto versatile. Molti lo hanno paragon a t o a B e c k , a l t r i a Wa i t s . A m e sembra una sorta di ritorno alla belle époque (charleston, mambo, ballroom, ecc.) con in mezzo le battaglie per l’antiproibizionismo (comiche ragtime, frizzo electro…)... Ve r s a t i l i ? L e c a n z o n i d o v r e b b e r o esserlo sempre. Amerei pensare che fosse possibile per la gente fare cover delle mie canzoni. Se ci pensi è un po’ triste che non ci sono cover nell’hip hop, o nella musica elettronica. È una cosa che manca. Poco prima di scambiare la mia chitarra per un sampler mi ricordo d’aver cercato di convincere la band dove suonavo di fare una c o v e r d i A p h e x Tw i n . P o i , d a s o l o , ho fatto cover dei Can. È successo un bel po’ di tempo fa, tuttavia sono sempre dell’idea che la musica può essere presa in uno spirito completamente diverso. E poi sono un tipo anti-generi. C’è la musica bella e quella brutta. La cosa interessante infine è che i due estremi sono in un flusso costante… in un certo senso hai ragione. October è una bella confident song. È una calda canzone inv e r n a l e . Ti n P a n A l l e y. S e m p r e anni ’30 eppure con una punta di passione pop che fu l’humus di lavori come Deserters Songs dei M e r c u r y R e v. C o s a a m i d i q u e l periodo della storia? C’è veramente troppo da amare tra gli anni ’20 e gli anni ’30. Prend i G o o d F o r W h a t A i l s Yo u , u n a compilation di musica dei medicine shows di quel periodo che ho nel lettore in questi giorni, è fantastica. Se poi parli del songwriting, beh c’è uno special feeling quando nasce un certo modo di intendere la scrittura. E inoltre, dentro ci torvi quello stupore che oggi è completamente soppiantato dal cinismo. Non che io abbia nulla contro il cinismo, ma è importante mantenere un senso di natività e trepidazione, anche in faccia al peggiore dei destini. È chiaro che il trend più hype nella musica elettronica sia di suonare acustico. Considerare il laptop come uno degli strumenti in campo e non più come il più facoltoso… Il computer è uno strumento come gli altri. A me per dire non interess a p r o p r i o l a d i ff e r e n z a t r a a n a logico e digitale. Meglio ignorarla non credi? Prendi lo “snare”. Sarà figlio di una drum machine o è il field recording dello sbattere di una portiera di un auto? A parte per i musicisti e i musicologi, ha così importanza questa distinzione? Chiacchierando con Drew dei Matmos era venuta fuori questa frase “non voglio suonare musica che in futuro la gente possa irrimediabilmente legare a un sound specifico di un’annata. Questa suona 1995 o 2002 …”. Non pensi che un musicista che cerchi oggi di affascinare con un misto di glitch, shortwaves e Satie abbia rotto le palle? È complicato. Da una parte nessuno vuole essere così riconoscibile e catalogabile al primo ascolto. Però, d’altra parte, gosh, non vogliamo essere tutti così moderni? E lo sai, è un bel sentire… essere contemporanei. Essere qui e ora. La cosa noiosa è confondere forma e contenuto. Assumere che usando i linguaggi della contemporaneità rimuova la possibilità di dire qualcosa. Così sì, se tu musicista pensi che la formula glitch più Satie sia abbastanza. Beh allora sei nel “wrong business”. E di più: se onestamente credi di poter fare musica in questo modo pensando che gente non la riconosca come figlia di un particolare tempo o luogo, beh allora magari cominciamo a sentire un po’ l’odore dell’arroganza (Ciao Goldie sto ancora ridendo della t u a d e f i n i z i o n e d i Ti m e l e s s c o m e here-today-gone-tomorrow-album) o della pazzia (Ciao Moondog). Potresti mettermi in fila, come in una sequenza astratta, tutti gli strumenti che hai scoperto e amato partendo dal grembo materno? Prima è arrivato il piano. Ho studiato piano dall’età di sei anni. Poi per poco arrivò l’oboe. Diciamo un paio di anni. Uno strumento orrib i l e , p u r e d i ff i c i l e d a s u o n a r e . A quattordici anni ho scoperto la chitarra elettrica che poi ho suonato costantemente per sei o sette anni. Amavo collezionare i pedali della distorsione. Ne ho uno veramente bello tenuto da uno spago di non so cosa, mai scoperto di che materiale fosse. Poi mi sono scocciato anche di quella e una sera pieno di LSD l’ho scambiata in un negozio c o n u n s a m p l e r, u n c o m p u t e r A t a r i , e una drum machine. Dopo averci giocato per un paio di anni sono passato a un computer più serio. E infine sono finito a vivere in una grande casa con dentro un vecchio piano. Ho iniziato a suonare il piano again. s y n t h ? Ti s t a n n o a n t i p a t i c i ? L a vera domanda è: ma parti da un sound o da un feeling? Ho sempre comprato Pc. Sono più economici mica per altro. E poi non mi interessa… manco sono un fan dei sintetizzatori. Ho sempre utilizzato tutto quel che mi capitava, soprattutto software. Poi per la domanda più interiore parto alle volte con un sound e altre con un feeling. Altre ancora con il beat o una linea di testo, e soprattutto spesso non ne ho idea. Continuo a pigiare finché non salta fuori qualcosa di interessante. Ti s e i a p p l i c a t o a n c h e u l t i m a mente in questa pratica? Per il nuovo lavoro ho cercato di concentrare il mio autismo in un range limitato di strumenti. Però ho registrato con Fedor Ruskuc, Gianni Legrottaglie e alcuni ottimi musicisti per i fiati. A dire il vero ho lavorato molto con le librerie di sample per piano. Sto facendo in modo di scrivere tutta la musica prima di far entrare i musicisti. Chi ti porterai con te in tour? Non è stato possibile portare Fedor e Gianni con me per ragioni logistiche. Sarò da solo ma non ve ne pentirete spero. ( Ve r t s a r à i n t o u r l ’ 11 o t t o b r e a C o droipo-UD, il 12 A Cesena, il 13 a Faenza, il 14 a Milano) Continuando con gli strumenti sei uno che usa Pc o Mac? E i sentireascoltare 15 Disco Drive LA LUNGA STRADA VERSO LA CIMA di Manfredi Lamartina Music a, imma gin e, st ile per un gr uppo in c os t ant e e v o l u z i o n e . I l nostro incon tro con il c hit ar r is t a Ales s io Nat aliz i a c h e c i s v e l a c o s ’ è p e r l o r o l ’ h i p h o p . Incidere da indipendenti e pensare in grande è qualcosa che agli occhi della cerchia indie italiana suona quasi come una bestemmia. Tant’è che chi lo fa si ritrova ad essere suo malgrado – o forse di proposito – il bersaglio principale degli strali degli integralisti in musica. Parlate male di me, purché parliate di me, disse qualcuno. Prendiamo il caso dei Disco Drive. Un paio di anni fa pubblicarono un album che già dal titolo – What’s Wrong With You, People? – sembrava voler prendere in contropiede tutte le discussioni che di lì a poco sarebbero nate, cresciute e alimentate intorno alla band. La prima, per inciso, che è riuscita a sdoganare in Italia in maniera credibile il verbo del punk-funk, senza dover passare per patetici wannabe (scritto, per ovvie ragioni, rigorosamente in inglese). Un gruppo più inglese che italiano, quindi, per come è stato concepito. I Disco Drive sono musica, immagine, stile. Loro ne sono convinti e consapevoli. Pure troppo, secondo molti, che infatti mostrano qualche segno di insofferenza quando vede il gruppo che posa per un servizio di moda (sic!) in una rivista patinata musicale. Per non parlare di quelli che quando passa un loro video su MTV cominciano a soffiare manco fossero gatti idrofobi. It’s a long way to the top, cantano d’altronde i DD in Things To Do Today, naturale evoluzione del percorso cominciato con il disco d’esordio. Un lavoro che all’urgenza dell’hardcore preferisce di gran lunga le lusinghe del dancefloor. Pur mantenendo, e questa è la sorpresa, un approccio dissonante di fondo. Il risultato è senza dubbio interessante. Anche se è ben lontano dalla ventata di novità che 16 sentireascoltare inizialmente promettevano i Disco Drive. Nel frattempo, tra cambi di formazione (Matteo Lavagna che sostituisce al basso Andrea Pomini), EP passati sotto silenzio (The Very EP, pubblicato lo scorso anno, ultimo lavoro registrato dal trio originario) e più di trecento concerti in curriculum, riusciamo a beccare la band nel bel mezzo del loro tour in Gran Bretagna. Dove, manco a dirlo, pare stia andando tutto davvero bene. Il chitarrista Alessio Natalizia ci svela cos’è l’hip hop secondo i Disco Drive. E soprattutto si dichiara un po’ stufo del volemose bbene che sembra imperare nei rapporti tra i complessi italiani. Parliamo di titoli. Qual è l’idea che sta alla base di Things To Do Today? E soprattutto, questa idea è inserita in un ipotetico continuum con quanto espresso da What’s Wrong With You, People? No, non c’è nessun continuum con l’album precedente. Tutt’altro. È un disco con nuove idee e nuove tematiche. Things To Do Today si riferisce alle cose che abbiamo bisogno di fare oggi, qui e ora nel 2007. Qualche tempo fa avevate detto che il nuovo disco sarebbe stato diverso rispetto al primo. Parlavate addirittura di hip hop. A me Things To Do Today pare un album dei Disco Drive in tutto e per tutto (per fortuna). Mancano i ruggiti hardcore, e in qualche episodio siete più atmosferici e meno ritmici, ma la sostanza è quella. Indubbiamente. Di’ la verità. Ci volevate prendere per il culo? Non volevamo prendere in giro nessuno. Il nostro obiettivo era quello di fare un album dei Disco Drive in tutto e per tutto ma in un modo completamente diverso. Magari l’hip hop non si sente e chiaramente la nostra intenzione non era quello di fare un disco di hip hop puro, ma è stato uno dei nostri punti di riferimento maggiori (vedi i beat di Fingers And Nails, Things To Do Today e Grow Up!, e la metrica di molti cantati). In questo disco ci sono diversi strumenti e quindi nuovi timbri, diversi riferimenti, abbiamo prodotto, registrato, e mixato i pezzi in maniera totalmente diversa. Anche il modo di scrivere è cambiato e abbiamo inserito molti loop su cui si regge la struttura di intere canzoni. Grow Up è il pezzo che apre il disco. Ed in effetti si nota una crescita, questo sì, in fase di scrittura. Quanto è stato difficile comporre questo cd? È vera la storia del secondo, difficile album? Non è stato difficile ma piuttosto naturale e fisiologico. Paradossalmente sarebbe stato più complicato cercare di fare un’altra volta lo stesso disco che comunque non avremmo voluto e potuto fare. La cosa interessante è che anche se avete rallentato un po’ il ritmo dei brani, questi risultano più dissonanti e complessi rispetto a quelli di What’s Wrong With You, People… Esatto. È proprio il risultato che volevamo ottenere. I ritmi sono meno serrati per lasciare spazio a soluzioni diverse. Prima il ritmo era elemento portante e primario, adesso contribuisce alla struttura del pezzo insieme a tutti gli altri elementi. Perché l’anno scorso avete pubblicato un EP? Non era meglio concentrarsi direttamente sul nuovo disco? No. Quei pezzi sono nati insieme durante il tour del primo album e abbiamo preferito registrarli subito piuttosto che farli invecchiare aspettando che ne arrivassero altri. Si dice che vi sentite i più bravi e i più fighi di tutti. Perché date questa impressione, secondo voi? Forse perché quando sei convinto e sicuro di quello che fai puoi dare l’impressione di sentirti più figo degli altri. Noi non ci sentiamo più bravi e più fighi di nessuno ma neanche il contrario. Magari siamo persone che se ne stanno abbastanza per i fatti loro e anche questo nell’angusto contesto italiano può dare l’impressione di spocchia e senso di superiorità, ma non si tratta di questo. Il fatto è che il carattere di una persona nel momento in cui suona in un gruppo viene percepito in maniera diversa: se te ne stai per i fatti tuoi rischi di venire etichettato come uno stronzo. Oltretutto in Italia c’è questa regola non scritta del “volemose bbene”. E ogni volta che ti ci sottrai sei di nuovo visto come l’arrogante di turno. Ma per noi è più importante essere sinceri piuttosto che sfoderare il complimento preconfezionato. In Italia c’è troppo vittimismo e poco coraggio. Voi avete fatto un servizio fotografico di moda su “XL”. Non è un po’ pericolosa questa deriva “modaiola” dell’indie? Come se si desse troppa attenzione all’estetica e nulla alla musica… L’estetica e la musica sono due cose che da sempre vanno di pari passo e non si escludono a vicenda. È chiaro che ci sono degli eccessi e basta andare in giro per l’Inghilterra per farsene un’idea. Ma il mondo indipendente italiano è talmente piccolo e chiuso in se che non ci si può permettere di escludere nessuna possibilità di arrivare ad altre orecchie (ed altri occhi). Molti dicono che ormai l’indie sta morendo, che è sulla bocca di troppi, spesso a sproposito. Che ne pensate? Non è forse una visione troppo milanese della questione, dato che, al di fuori delle grandi(ssime) città, a vedere i concerti indie sono sempre quattro gatti? E poi, che male ci sarebbe se la musica indie riuscisse ad abbattere la barriera che si è autocostruita? Esatto. Non farebbe male a nessuno e molte barriere inutili sarebbero abbattute. È pur vero però che oggi si fa a gara per far diventare indie qualsiasi artista. Il M.E.I. per esempio lo scorso anno definì Pupo un cantante “neo indie”. Concordate? Non siamo mai stati al Mei ma diciamo che l’idea che ci siamo fatti a leggerne non è delle migliori. Ma ai vostri concerti la gente balla? O si limita a scuotere la testa ritmicamente? Non è una cosa esasperan- te per una band, soprattutto per una come i Disco Drive che fa del ritmo la propria bandiera? Sì, può portare all’esasperazione. Ma, dopo quasi trecento concerti, te ne fai una ragione. Di certo non ballano tutti come se fossero in discoteca ma per fortuna non stanno neanche immobili. C’è capitato anche di fare un pezzo e vedere qualche testa muoversi e poi ascoltarlo messo dal DJ due ore dopo e vedere tutti ballare scatenati. E la cosa comunque ha anche il suo senso. C’è un fenomeno molto strano che sta accandendo nella musica. Ci sono molte più band rispetto a prima, ma queste hanno una carriera molto più breve rispetto ai gruppi nati qualche anno fa. Come ve lo spiegate? È tutto legato alla piaga dello scambio illegale di mp3? O c’è dell’altro? Davvero nell’indie italiano non è possibile fare progetti a lunga scadenza? Che il cambio delle tecnologie abbia influito è innegabile. Non solo per lo scambio di file ma anche per la facilità di fare musica, registrarla e metterla online. Oggi un gruppo è un gruppo se ha una pagina su myspace e non se ha un disco fuori. A queste condizioni fare progetti a lunga scadenza è molto complicato, soprattutto se l’intenzione è di limitarsi solo all’Italia. Sinceramente, che prospettive hanno i Disco Drive? Come vi vedete tra dieci anni? I Disco Drive vogliono continuare a fare musica interessante e sempre diversa per il più lungo tempo possibile. sentireascoltare 17 DAFT GENERATION di Edoardo Bridda e Marco Braggion Da una pa rte la sp ac e dis c o a pir oet t ar e nella r ob o d i s c o t e c a , d a l l ’ a l t r a l a D a f t G e n e r a t i o n . C h i ? J u s t i c e , D i g ita lism e Simia n Mob ile Dis c o Chiam iam oli f igli di ast r o n a u t i f r a n c e s i , d e l d a n c e f l o o r e d i q u e s t i t e s i a n n i D u e m i l a . Gli anni del qualunq u i s m o m i r a b i l a n d i a p o s t p o s t . O v v e r o d e i r i a v v o l g i m e n t i i p e r c i n e t i c i t r a p a l c o e s t r o b o . D a icone a culto Un suono apparentemente facile. Che affonda le radici in campionamenti funk oculatissimi compressi nella cultura dell’E. Un’immagine iconografica di kraftwerkiana memoria e assieme un’identità trasfigurata in man machine. Eppoi. Il binarismo robotico che si riaggancia al modernariato cartoon Jap e torna indietro al groove e alla scatoletta del circuito elettronico di base. Uno e Zero. Basta così: sono i Daft Punk, un culto, un fenomeno transgenerazionale che non conosce la parola storicizzazione. Di più, sono l’Università di scienze elettrodance, e a più di 10 anni dal primo singolo The New Wave (datato 1994) e dall’esordio Homework la cui eco non smette di pulsare nei cuori digitalizzati di mezzo mondo, i frequentanti sono sempre più numerosi. I corsi attivati? Quello Old School fine Ottanta dove si studiano i suoni di beatbox Roland 303, e nel quale si comprende il passaggio dall’estetica hip-hop a quella Acid e Techno. Il corso avanzato Novanta dove s’imparano le tecniche dj, la sociologia dello scazzo, il revival della lounge. Poi c’è quello sulla musica da ballo nera nel quale si comprendono le radici groove del verbo di Chicago. Infine, e non può certo mancare, il seminario d’estetica e semiotica tedesca basato sulla figura dei Kraftwerk, la base di tutto. Chiaramente. La scuola non insegnata tutto: i segreti s’imparano sul campo ma il primo di questi è noto: l’abilità nello stemperare la serietà dei manichini di 18 sentireascoltare Düsseldorf rendendola semplicemente un gioco, e dietro questa matrice c’è il tocco kitsch, magari con un retrogusto psych. Facile a dirsi difficile due Daft scocca una scintilla che porta ancora altrove. È punk. Una rivoluzione tutta all’interno del dancefloor. Una bomba chiamata Da Funk. a farsi. La kitschedelia con la quale veniva descritto il primo Daft Sound è uno stile dance collagista antitetico alla cultura di stampo futurista della città dei Motori e da gente con la fissa droide come gli Autechre. Arduo per i cultori dance spogliarsi di un credo serissimo abbracciando il kitsch. Prendersi gioco della cassa in quattro pur amandola. Non sono cose che s’insegnano queste, magari i Basement Jaxx lo potranno pure spiegare in slide show ma parliamo di un’arte, proprio come quella del settare le voci filtrandole con vecchi aggeggi presi al mercatino. Quelli sono segreti. Segreti très francois che s’imparano sul campo, oltre a punti di contatto con una l’altra scuola, quella degli Air, anch’essi influentissimi. Ma non divaghiamo e facciamo parlare lo stesso Bangalter, uno dei due uomini robot: “One of the cool things about the house music spirit is that it inspired musicians to use instruments for things they weren’t designed to do”. Dunque l’inconfessato è trovare vecchie machine e farle suonare in modi diversi, campionare vecchi dischi e sporcarli fino a renderli ferramenta Futurama. Giocarci su senza ideologia. Un gioco-concetto. Non proprio una cosa da nerd e basta. Eravamo a metà Novanta con una Screamadelica oramai lontana, l’Aphex Twin in avvicinamento al pop (Windowlicker). Negli occhi dei Il funk appunto. Il resto è storia. Il verbo è stato trasmesso Around The World, e la parola ha raccolto migliaia di adepti. Gli apostoli della chiesa, gli eletti, per quest’oggi sono solo 3. Tre gruppi, doppi che si specchiano, coppie d’assi che rispettano l’ortodossia robotica. La messa è appena cominciata. Ma andiamoci calmi con i paragoni. G e n e r a z i o n e Da ft Eccoli qui, gli apostoli, adepti scafati, pronti da un momento all’altro a scardinare il trono dei sommi profeti: Justice, Digitalism e Simian Mobile Disco. Tre strade diverse, tre specchi riflettenti pronti a sfoderare gli electro ranocchi di una synthology rigorosamente d’antan. Citazioni e imbastardimenti figli della fintasemplicità Daft. Pochi ingredienti diretti alla base acida di quello che è stato e di quello che sarà (la disco?): cassa dritta e divagazioni melodiche, filtri in progressione e aperture cosmiche (vedi pure Music Sounds Better With You, progetto parallelo di Bangalter, che nel 1998 sbancava), vocoder che nel frattempo sono diventati dominio DFA mescolato ad un attitudine (nu)rave che dai Chemical Brothers porta all’oggi. Poi il French Disco con incursioni p-funk, ancora DFA passati al colino di Rapture e derivati. Ritorno al dancefloor quindi, ma attenzione... Da sinistra: Daft Punk, Digitalism, Siman Mobile Disco, Justice. C r oce e d e lizia E partiamo con le promesse mantenute a metà: Justice. Credenziali: un duo (Gaspard Auge e Xavier de Rosnay). Segni particolari: vengono dalla madrepatria daftpunkista, la Francia. Un paio di mosse divine, tra cui l’esordio: il remix di Never Be Alone (guarda caso proprio dei Simian) e successivamente la firma/marchio di fabbrica su voci e ritmi dell’olimpo mainstream, come Britney Spears, Fatboy Slim e N*E*R*D. Quest’anno registrano un album pomposamente barocco che ai robot deve moltissimo, che al loro sound si genuflette e si specchia in narcisistiche pose. Un giochino di stucchi e paillettes riflettenti. Luci stroboscopiche a bassa velocità per chi vuole lasciarsi travolgere dai ricordi. Tastierine e suonini senza quel quid. Senza la visione del Darkel (metà solista e gaia degli AIR) più cosmico e stellare. Tutte consapevolezze che il duo pare avere in testa ma reagisce macinando tutto vorticosamente, bruciando così tutto e subito. E di nuovo: leak ammiccanti buoni per qualche vecchia superclassifica, archi disco e vocine per loliti e lolite tutti vodka e red bull (che dicono che al fegato fa malissimo. Più dell’eroina). Quel che non era possibile insegnare non è stato metabolizzato. È mancato il tempo e questo fa molto Duemila. Meglio va con i Digitalism. Ideal( ism ) P a radise Digitalism, ovvero Jens Moelle e Ismail Tuefekci. Sangue krauto dalla fredda Amburgo proteso verso le robo tastiere francesi con un po’ di aceeed! che non guasta mai di questi tempi, e miele sintetico. Però: innesti rock nella pasta sonica. Triangolazioni Out Hud e nu-rave (Klaxons). Poi ci sono gli Ottanta: Digitalism In Cairo per dirne una, è un omaggio alla wave targata Robert Smith, il minimalismo art-dark da cui tutto riparte sempre e comunque. Ma se l’onda si trasforma in bioritmo, il ricorso porta ai manichini e nonsoloDaft, ovvero chitarre. Nessuna novità? Più o meno si va d’addizione, tuttavia, sotto le progressioni melodico ritmiche qualcosa c’è, s’apre alla psichedelia cosmica. Un ponte con la kraut disco nordica di Lindstrom è gettato, ma tutto traballa quando c’è la febbre scanzonata e, appunto, kitsch a dominare il platter. Ci siamo quasi. I Digitalism sentono il polso del presente. E quasi arrivano alla sintesi (quasi però). Disc o Mo b i l e Altra coppia infine, l’ultima, la più completa: il duo James Shaw e James Ford che approda quest’anno all’agognato disco d’esordio sotto il moniker di Simian Mobile Disco. Location: la scazzata Bristol del fu trip hop. Prima, è vero, c’erano i Simian (e basta), un ibrido di Broadcast e Beta Band. La febbre del remix nata per gioco però cresce sempre più, finché i due lasciano da parte l’istinto rock per tardoadolescenziali pastiere sudaticcie. Il gancio arriva con un DJ di grido (Erroll Alkan) che li porta in casa Kitsuné Music e I’m A Cliché. Dal 2004 in poi, i remix sono per le star: Air, Klaxons, Björk, Muse e Rapture. E di pari passo si forma un gusto che non può fare a meno dell’old skool e persino di gente straignorante come i Technotronic. Dunque ritmo robot liquefatto e rapping riesumato dalla cricca Snap, ovvero dalla scuola nera NRG a cavallo tra gli Ottanta e Novanta. Così la linea dei daftpunkiani si lega direttamente al ghetto-funk e rinasce altra. Techno-truzza con stile. Sì. Ecco il disco Attack Decay Sustain Release, le partecipazioni alle compilation Bugged Out e le serate del Fabric. Il suono Simian Mobile Disco è sincopato, aceeed!, funk, ma soprattutto pregno di negritudine e un tocco dance brit (senza rinunciare ad alcuni pezzi white per bianchi come Love). Di fatto è il duo meno emulo del lotto, più consapevole della potenza del remix, vario nelle soluzioni (Scott per dire è un balletto futurista e una piece contemporanea assieme! Love parte dai Klaxons e sfreccia a Ottanta all’ora, I Believe è bass Miami al ralenti…), sapiente nell’uso dei filtri (gli inserti Phuture in Hustler), nella realizzazione dei climax (It’s The Beat: un ponte tra electro Kraftwerk e Pump Up The Jam). In altre parole è il più smaliziato nel frullare i vibe con i rhythm. Un set poshy bastard, puttano come la coppia Beckham, ma pronto a convertire lo chic in kitsch technotronico. “I know it’s good, it’s the beat”, dicono loro, ma che siano pre tutte le etichette che vi rintronano in testa ora (e che vi fanno odiare le recensioni) a noi tutti interessa il tocco. Loro ce l’hanno più di tutti. sentireascoltare 19 Oren Ambarchi NELLA MORSA DEL PENDOLO di Vincenzo Santarcangelo Un excursus tra a lcu ni t it oli della s t er m inat a dis c o g r a f i a d a s o l i s t a d e l c h i t a r r i s t a e s o u n d - a r t i s t a u s t r a l i a n o O r e n A mbarchi. Espe riment i t onali e r if les s ioni ( m et a) f i s i c h e a l l a r i c e r c a d e l p u r o s u o n o , c o n l a g u i d a d e l l ’ i n c e s s a nte vagare d ella sfe ra d i un pendolo. Fu allora che vidi il Pendolo. La sfera, mobile all’estremità di un lungo filo fissato alla volta del coro, descriveva le sue ampie oscillazioni con isocrona maestà. Non conoscevo l’australiano Oren Ambarchi (Sydney, 1969) e la sua arte della seicorde. Quando dedicavo anima e corpo - più corpo che anima, i pensieri non perdevano tempo a vagare lontano - allo studio della chitarra classica, non potevo immaginare che lo strumento che tenevo abbracciato come fosse una donna da sedurre (così mi aveva insegnato il maestro) potesse trasformarsi in un pendolo. Me ne stavo seduto, con una gamba a mezz’aria sostenuta da un ben disposto sgabellino poggiapiede, a decifrare ghirigori su righe orizzontali. Tra un Giuliani ed un Sor, mi chiedevo se fosse davvero quello lo strumento che avevo scelto di imparare a suonare. Ma era lungi da me l’idea che si potesse trasformare in un pendolo. Dopo qualche ora puntualmente rivestivo quella donna con cui - siamo sinceri - non avevo avuto poi grande fortuna, riponevo i libri in uno scaffale che presto sarebbe diventato il loro luogo naturale e fermavo il metronomo - o forse si trattava di un pendolo. Lo sapevo - ma chiunque avrebbe dovuto avvertire nell’incanto di quel placido respiro - che il periodo era regolato dal rapporto tra la radice quadrata della lunghezza del filo e quel numero π che, irrazionale alle men- 20 sentireascoltare ti sublunari, per divina ragione lega necessariamente la circonferenza al diametro di tutti i cerchi possibili così che il tempo di quel vagare di una sfera dall’uno all’altro polo era effetto di una arcana cospirazione tra le più intemporali delle misure, l’unità del punto di sospensione, la dualità di una astratta dimensione, la natura ternaria di π il tetragono segreto della radice, la perfezione del cerchio. Forse davvero per poter riscoprire un qualunque artefatto nella sua natura di semplice oggetto tra gli altri, bisogna condurlo allo stremo delle possibilità funzionali, forzarne le potenzialità al massimo grado. Forse solo allora, tra le mani del virtuoso, l’artefatto torna, recalcitrante, ribelle, a reclamare il suo status originario di oggetto, si svela nel suo essere mera materia. Ma queste sono solo sofisticherie. Quando si parla di Oren Ambarchi si finisce sempre per tirare in ballo il minimalismo storico, in special modo la propaggine estrema di quel movimento d’avanguardia che ha finito per confondere giustificazione teorica e aspirazione al sacro in un ricercare che ha presto condotto musicisti borghesi di razza bianca e di buona famiglia ad un peregrinare inquieto e spesso incostante, geografico - sulle tracce della spiritualità incontaminata dell’estremo Oriente, alla ricerca delle origini dell’uomo e del ritmo, nel continente africano - prima ancora che spirituale. La musica di Oren Ambarchi ha sicuramente a che fare con la sfera del sacro e della medi- tazione: quei suoni primigenei iterati all’infinito simboleggiano senz’altro il prostrarsi del fedele, sono indubbiamente feticci della sillaba sacra; ma prima e forse più, quei suoni simulano il movimento infinito del pendolo. La musica di Oren Ambarchi, a ben pensarci, è pura fisica del suono. Se qualcuno avesse provato a farmi ascoltare Insulation (Touch, 1999) all’epoca dei miei infruttuosi tentativi accademici, difficilmente mi avrebbe anche convinto del fatto che quel disco era, in sostanza, un disco per sola chitarra. Se ancora non risulti chiaro cosa si debba intendere quando si parla di un processo in grado di “condurre allo stremo delle possibilità funzionali” un semplice artefatto, si ascoltino Insulation o i quattro volumi della serie Stacte (Jerker Productions, 1998, 1999 i primi due, Jerker Productions/Plate Lunch, 2000 il terzo, En/Of, 2002 il quarto). Qui la chitarra è neutrale sorgente di suono, oggetto spogliato di qualsiasi specificità artistica, dispositivo generatore di rumore volutamente pre-culturale colato in architetture improvvisate e cangianti. Qualcuno, è pur vero, potrebbe riconoscere in simile ardire il già ascoltato di un Morton Feldman o di un La Monte Young, ma Insulation è uno di quei dischi che cancella in un sol colpo (di spugna) interi manuali di storia delle correnti e degli strumenti musicali. Ancora sapevo che sulla verticale del punto di sospensione, alla base, un dispositivo magnetico, comunicando il suo richiamo a un cilindro nascosto nel cuore della sfera, garantiva la costanza del moto, artificio disposto a contrastare le resistenze della materia, ma che non si opponeva alla legge del Pendolo, anzi le permetteva di manifestarsi, perché nel vuoto qualsiasi punto materiale pesante, sospeso all’estremità di un filo inestensibile e senza peso, che non subisse la resistenza dell’aria, e non facesse attrito col suo punto d’appoggio, avrebbe oscillato in modo regolare per l’eternità. La costanza del moto di un corpo sospeso a mezz’aria. Un artificio disposto a contrastare le resistenze della materia. Questo è Suspension (Touch, 2001), il primo lavoro in cui si inizia a definire compiutamente il suono dell’Oren Ambarchi solista. Sprazzi di melodia vivissima germogliano, quasi per caso, sullo sfondo della logica binaria dominante - le due estremità della traiettoria tracciata dalla sfera (Wednesday, Suspension). Al suono degli armonici della chitarra, vero e proprio fil rouge dell’intero lavoro, si alterna quello dei bassi profondi, come se una mano scavasse e l’altra lanciasse il terriccio lontano, per aria; come se le leggi della statica fossero applicate a quel punto immateriale che è la nota musicale (Vogler, As Far As The Eye Can See). Il miglior esempio dell’incessante ricerca di purezza di Ambarchi è senza dubbio Grapes From The Estate (Touch, 2004): alle meditazioni per sola chitarra (Corkscrew, la monumentale Stars Aligned, Webs Spun), vengono addizionate con il solito processo graduale di scuola minimalista un organo alla Terry Riley (Remedios The Beauty) e un brush di batteria jazz (Girl With Silver Eyes), prima grande passione dell’artista da giovane - determinante, per la formazione del musicista, un soggiorno-studio come batterista free jazz a New York, nel lontano 1988, alla scuola di quel John Zorn che diverrà uno dei suoi primi mentori. Il recente In The Pendulum Embrace (Touch, 2007) si colloca coerentemente sulla scia dei due predecessori, pur non raggiungendone i picchi espressivi. Fever, A Warm Poison si tinge di umori depressi ed oscuri, giocherà forse un ruolo la recente collaborazione con i Sunn O))) di Black One? Ci pensa Inamorata a ristabilire, grazie ai consueti armonici, quello stato di trance a cui siamo assuefatti; l’ingresso degli archi, a metà minutaggio, conferisce un certo dinamismo al monolite, sì che il brano finisce quasi per diventare saggio del migliore post-rock. È un album variegato rispetto agli standard, In The Pendulum Embrace, frastagliato in mille sfumature cromatiche (la chitarra folkish di Trailing Moss In Mystic Glow), curatissimo nei particolari; eppure manca quella solennità severa che aveva fatto grandi, pur nella loro immobilità espressiva, lavori come Suspension e Grapes From The Estate. Se si apprezza l’afflato melodico mai rinnegato da Ambarchi - e perfettamente assecondato grazie alla liaison con Chris Towned a nome Sun, esperimento sfociato nell’omonimo disco (Staubgold, 2004) dal sapore decisamente pop - si accoglieranno di buon grado le concessioni accordate all’intelligibilità di alcuni elementi (addirittura la voce sussurrata del cantautore tormentato, sempre in Trailing Moss In Mystic Glow). Ma l’impressione è che la sfera, stavolta, abbia dovuto faticare più del dovuto a fendere la resistenza dell’aria. II Pendolo mi stava dicendo che, tutto muovendo, il globo, il sistema solare, le nebulose, i buchi neri e i figli tutti della grande emanazione cosmica, dai primi eoni alla materia più vischiosa, un solo punto rimaneva, perno, chiavarda ,aggancio ideale, lasciando che l’universo muovesse intorno a sé. E io partecipavo ora di quell’esperienza suprema, io che pure mi muovevo con tutto e col tutto, ma potevo vedere Quello, il Non Movente, la Rocca, la Garanzia, la caligine luminosissima che non è corpo, non ha figura forma peso quantità o qualità, e non vede, non sente, né cade sotto la sensibilità, non è in un luogo, in un tempo o in uno spazio, non è anima, intelligenza, immaginazione, opinione, numero, ordine, misura, sostanza, eternità, non è né tenebra né luce, non è errore e non è verità.* (* I brani in corsivo sono tratti da Umberto Eco - Il Pendolo di Foucault Bompiani, 1988) sentireascoltare 21 DIRTY PROJECTORS dove Mahler va d’accordo con i Black Flag di Daniele Follero Non ha compiuto ven t i c i n q u e a n n i e a l l e s p a l l e h a g i à u n a c a r r i e r a d i t u t t o r i s p e t t o e u n “ p r o g e t t o ” m u l t i f o r m e che porta avan ti d a qu alc he anno. Dav e Longs t r et h, lea d e r a s s o l u t o d e i “ s u o i ” D i r t y P r o j e c t o r s , c o n f e r m a , c o n l ’ u l t i mo R ise Abo ve di e ssere una f igur a di pr im a im por t an z a d e l l a m u s i c a i n d i p e n d e n t e t a r g a t a U . S . A . . F accina p allid a e br uf olos a, m ascella prominente, ca p e l l i s c u r i , i r t i , sparati confusamen t e v e r s o l ’ a l t o , smorfia da Sid Vicious poc o c onvinto: g ua rda nd o un a f ot o di D a v e L o n gstr e th a i temp i degli es or di, si inco ntra u n gio vin c ello am er ic ano appena ventenn e c o m e c e n e sono tanti, cresciuti a s u o n d i I P o d ed mp3 , un o stud en t ello qualunque che può permettersi d i a t t e g g i a r s i a pseudo-intellettuale s o l o p e r c h é è iscritto a Yale con i s oldi di un papà più c he b en estan te. Nulla del s uo aspetto farebbe pe n s a r e , v o l e n d o giocare con le le gg i della f is iognomica, che dietro que l l ’ a p p a r e n z a d i adolesce nte disimpegnat o s i nascond a in rea ltà u n m us ic is t a già maturo e completo, u n g e n i e t t o d e l post-tutto, uno che s i t r o v a a s u o agio sia con Mahler c h e c o n i B l a c k Flag, con compless e c o m p o s i z i o n i corali e gre zze schitar r at e neo- f olk . In realtà, Dave non m e t t e s u b i t o i n most r a le su e po liedr ic he qualit à musicali, seguendo, a n c h e s e m a i pedisseq ua men te, la s c ia del f ilone neo-acustico di i n i z i o m i l l e n n i o , D eve n dra Ba nh art in t es t a. Le s c elte del primo alb um a s uo nom e, The Graceful Falle n Man go, s e m b r a n o , infat ti, tu tte o rien tat e alla s em plicità estrema dei me z z i : r e g i s t r a t o nella sua camera d a l e t t o c o n u n semplicissimo 4 p is t e e il c om puter del frate llo, l’e s or dio dis c ogr afico di Longstreth no n s t u p i s c e p e r originalità, né per p a r t i c o l a r i i d e e . U na strizzata d’o cchio ai B e a c h B o ys e un’imposta z i o n e s t i l i s t i c a tipica della tanto in v o g a “ c a n z o n e da cameretta”, tengo n o p a r a l i z z a t o , nelle strette maglie d e l l a s e m p l i c i t à e della casua lità, l’ es t r o c om pos i- 22 sentireascoltare tivo vulcanico di questo ragazzo di New Haven che di lì a poco sarebbe es plos o. M a s p u l c i a n d o n e i s o l c h i di un disco dalle modeste pretese, c i s i im bat t e i n s c i n t i l l e d i g e n i a l i t à , s c h i z z e t t i d i f o r t e a ff e r m a z i o n e di una per s o n a l i t à m u s i c a l e a n c o ra troppo timida per venire a galla: ballat e s gh e m b e a l l a B a rre t t ( F o l low M e Not I f Yo u S t i l l C a r e , I D o n ’ t Know) , s i n g o l a r i i n t e r p r e t a z i o n i d e l pos t - r oc k ( E a s i l y R e s i g n e d ) , i l p r o g della t it le t r a c k , s o n o i m o m e n t i p i ù interessanti di questo esordio, oltre a rappresentare il lato stilistico di Longstreth più vicino al suo futuro pr os s im o, f i r m a t o D i r t y P r o j e c t o r s . Dav e las c ia p r e s t o Ya l e , p e r d e d i c ar s i alla m u s i c a a t e m p o p i e n o ( a n che se, a considerare il suo attuale s t at o di s e m i - s c o n o s c i u t o , i l s u o es s er e os t in a t a m e n t e u n d e r g r o u n d , qualc he lav o r e t t o e x t r a a v r à d o v u t o pur f ar lo ) e d e c i d e d i t r a s f e r i r si a Brooklyn. È qui che nasce e prende vita il “progetto”: creare una f or m az ione a p e r t a , u n a b a n d i n t e r c am biabile c h e p o t e s s e e s p r i m e r s i attraverso generi molto diversi tra lor o, dalla m u s i c a c a m e r i s t i c a a l pop. Un gruppo di esecutori che m et t es s er o i n p r a t i c a l e s u e i n v e n z ioni c os t an t e m e n t e i n f i e r i . The G l ad F a c t ( We s t e r n Vi n y l , 2003), però, sebbene sia uscito con il nuov o nom e , è u n a l b u m q u a s i i n teramente suonato e prodotto da Dave, che in questa occasione si fa aiut ar e dal c o l l e g a d i P o r t l a n d A d a m For kner ( Yu m e B i t s u , S u r f a c e O f Eceon, Wo r l d ) . A n c h e i n q u e s t a oc c as ione, D a v e a p p a r e p r e v a l e n t em ent e c o n c e n t r a t o s u l l a r i c e r c a di originali soluzioni melodiche e r im ane ben s t r e t t o a d u n g e n e r e f a - c i l m e n t e r i c o n d u c i b i l e a r i f e r i m enti p r e c i s i : i l n e o - f o l k d i B a n h a r t e so ci (neo-acustica, acoustic lo-fi o chiam a t e l o c o m e p r e f e r i t e , m a , v i p r e go, n o n p r e - w a r f o l k ! ) , i l B a r r e t t p ostP i n k F l o y d e u n p o p s f a c c i a t a m e nte a v a n t , q u a s i l a n e g a z i o n e s t e ssa d e l t e r m i n e . L a c o m p o s i z i o n e s tr u m e n t a l e a p p a r e p i ù c u r a t a r i s p etto a l p r e c e d e n t e T h e G r a c e f u l F a l len Mango, ma sono ancora lontani gli a r r a n g i a m e n t i c l a s s i c h e g g i a n t i e il g r a n d e l a v o r o s u i c o r i c h e c a r a tte r i z z e r a n n o i l p e r i o d o p i ù m a t u r o di D i r t y P r o j e c t o r s . I n q u e s t o “ s e c on do” esordio, Longstreth somiglia a u n C a p i t a i n B e e f h e a rt c h e g i oca a f a r e R o y H a rp e r. S i p a s s a d a l l a t r a n q u i l l i t à p s y c h - f o l k d i G r o und U n d e r f o o t e O f f S c i e n c e I l l a l f u nky z o p p o e s t r a s c i c a t o d i B o r e d o m Is A Product, giungendo fino alla follia pura della title track, uno strano inc r o c i o d i a v a n t h i p h o p , p s i c h e d elia e i C o n t o rs i o n s . S e n o n f o s s e p e r l’eccessiva presenza di nenie per c h i t a r r a e v o c e , i n t e r e s s a n t i , per c a r i t à , m a a l l a l u n g a u n p o ’ n o i ose, s i p o t r e b b e g i à g r i d a r e a l m i r a c olo. S l a v e ’s Graves Ballads: piccoli crescono An d geni M a l ’ e s u l t a n z a è s o l o p o s t i c i p ata d i u n a n n o . A s e g u i t o d e l l ’ u s c i t a di M o rn i n g , B e t t e r, L a s t ! , u n a r a c co l t a d i m a t e r i a l e i n e d i t o r e g i s t r a t o tr a i l 2 0 0 1 e i l 2 0 0 2 , p u b b l i c a t a p e r la S t a t e s R i g h t s e v e n d u t a s o l o s u In t e r n e t , i l g i o v a n e D a v e d e c i d e che è a r r i v a t o i l m o m e n t o d i f a r e l e c ose i n g r a n d e e a r r u o l a l a O r c h e s tr a l S o c i e t y F o r t h e P r e s e r v a t i o n O f the O r c h e s t r a ( s i c ) , ( u n a f o r m a z i one c o m p o s t a d a u n f l a u t o , u n o b o e , un clarinetto, un c o r n o , d u e v i o l i n i , u n violo ncello e per c us s ioni) per r egistrare il ta nto or goglios am ent e annunciato albu m p e r “ v o c e , q u a r t e t t o d’archi e qua r t e t t o d i f i a t i ” ( a n c h e se in qu esto c as o, a v oler es s er e p recisi e pig noli, m anc her ebbe la viola a comp let ar e i quat t r o ar c hi… vab bè , picco lez z e… ) Do po du e a lbu m c he lo av ev ano inq ua dra to in una c or r ent e neo- f olk tanto attiva q u a n t o v a r i e g a t a , c o n Sla ve ’s Gr av es And Bal l ads ( We stern Vinyl, 20 0 4 ) i l v e n t u n e n n e d e l Connecticut s i a v v i a g i à v e r s o u n o stile p lasmato ad im m agine e s om ig lian za d ella s ua v alanga di idee mu sicali, pre ndendos i s ot t o br ac cio il Rober t Wyat t più is pir at o e la migliore tr a d i z i o n e c a n t a u t o r a l e a merican a, d a Ti m Buckl ey a To m Waits . Chi si as pet t av a una r ic onfe rma d i qu ell’appr oc c io “ c as aling o” ch e aveva c ont r addis t int o The Gla d Fa ct sa r à r im as t o delus o alme no pe r met à v is t o c he, s e par t e d ell’a lbu m (p r odot t o della r is c r it t ura e re inte rpre t az ione di due pr ec edenti EP) si c o n f e r m a i n p i e n o s t i l e lo -fi, il resto p ar la un linguaggio or che stra le ch e per r aff inat ez z a e f r eschezza degli a r r a n g i a m e n t i q u e s t a volta sì che fa gr idar e al m ir ac olo. Le parti orche s t r a l i , s c r i t t e e d i r e t t e dallo stesso L o n g s t r e t h ( c h e r i m a n e l’unico e inco n t r a s t a t o p r o t a g o n i s t a del “progetto” ) p i ù c h e f u n z i o n a r e come semplic e a c c o m p a g n a m e n t o d i u na me lod ia- c ondut t r ic e ( abus o tipicamente p o p ) , s o n o u s a t e c o n un’espressivit à p i ù u n i c a c h e r a r a n eg li a mbie nti “ popular ” : dalla legg ere zza (On The Beac h) ad una g estua lità qu as i oper is t ic a ( Slav es ’ G r av e s ) l ’ o r c h e s t r a s i m u o v e a t t r a v er s o p a s s a g g i a r m o n i c i c h e l a s c e r ebbe r o a b o c c a a p e r t a a n c h e G e or ge M a rt i n . La d i s t o r s i o n e a c u s t i c a d i ( T h r o w On The) Hazard Lights piomba in una s o r t a d i l o - f i o r c h e s t r a l e e v i e ne riproposta a mo’ di ripresa per c hiud e r e i l p r i m o c a p i t o l o d i q u e sto album. È a questo punto che la one-man-band Dirty Projectors viene fuori nella sua versione più int im i s t a e L o n g s t r e t h r i m a n e q u a si totalmente solo con la chitarra a sussurrare le sue “homemade s ongs ” . P r e v a l e l a d o l c e z z a i n L a dies , Yo u H a v e E x i l e d M e e O b s c ur e Wi s d o m , m e n t r e l ’ a t m o s f e r a c upa d i S i n c e I O p e n e d è p e r f e t t a per chiudere un album che non cala m ai d i i n t e n s i t à . Dav e c o m i n c i a a f a r p a r l a r e m a g gior m e n t e d i s é p u r r i m a n e n d o n e l la s u a n i c c h i a d i e s t i m a t o r i s t a t u nit en s i , m e n t r e q u a l c u n o c o m i n c i a ad aff i a n c a r l o a d a l t r e i n t e r e s s a n tissime figure di spicco della scena av ant - p o p o r c h e s t r a l e c o m e S u f j a n St ev e n s , R u f u s Wa i n w ri g h t e Andr e w B i rd . I n c u r a n t e , a l m e n o in ap p a r e n z a , d i q u e s t a a t t e n z i o ne crescente nei suoi confronti, Longstreth continua imperterrito il s uo c a m m i n o v e r s o l a s p e r i m e n t a z ione o r c h e s t r a l e e , n o n p a g o d e i risultati stilistici (delle vendite si sa poc o) r a g g i u n t i c o n S l a v e ’s G r a v e s And B a l l a d s , p r o v a a s u p e r a r s i e , di conseguenza, a complicarsi la v it a, a n n u n c i a n d o u n a g r a n d e o p e ra corale. La ricerca di una maggiore complessità formale lo spinge verso i territori del concept album, m a l’ a p p r o d o è d i ff i c i l e e i n c e r t o . Il passo p r e t en z i o s o d e l l a g l i tc h o p e r a “ U n a g l i t c h o p e r a s u l l e ader degli E a g l e s , D o n H e n l e y, e s ul conflitto t r a H e r n a n C o r t e s e g l i A ztechi del 1 5 1 9 - 2 1 ” . S t a v o l t a D a v e Longstreth p r o v a p e r g r a n d i s a l t i a d are la sua visione dell’America, racchiudendol a t r a d u e p e r s o n a g g i c h e non hanno n i e n t e i n c o m u n e s e n o n il fatto di a p p a r t e n e r e e n t r a m b i a l l a vi ta d e g l i S t a t i U n i t i . C h e c o s a s ia poi una g l i t c h o p e r a ( ! ) n o n è d a t o saperlo, a n c h e p e r c h é , a p a r t e q u al ch e e l a b o r a z i o n e e l e t t r o n i c a ( P onds And P u d d l e s s ) , l a m u s i c a h a ve r a m e n te p o c o a c h e v e d e r e c o n q u ello che si d e f i n i s c e g l i t c h . P e r n o n parlare dei riferimenti all’opera… D o p o i b u o n i l i v e l l i c o m p o si ti vi r a g g i u n t i l ’ a n n o p r e c e d e n t e , i l p r i n ci p a l e D i r t y P r o j e c t o r, r i c hiamata a s e l ’ O r c h e s t r a l S o c i e t y, s i fa p r e n d e r e d a a m b i z i o n i “ c o l t e ” , cadendo i n u n t r a n e l l o m o l t o i n s i dioso per g l i a r t i s t i p o p u l a r. P e r s ua fortuna Longstreth non si mette a emulare n e s s u n o ( a p a r t e a l c u n i momenti di s c r i t t u r a o p e r i s t i c a d i i m p r o n ta ta r d o r o m a n t i c a ) , m a l a s u a originalità non è coinvolgente. L a d d o v e l ’ a l b u m p r e c e d e nte e r a o r g a n i z z a t o i n c a n z o n i , a c corpate in d u e p a r t i i n b a s e a s c e l t e str u m e n t a l i , T h e G e t t y A d d re s s (Western Vi n y l , 2 0 0 5 ) s i p r e s e n t a co m e u n a l u n g a s u i t e , c o n i l c o i n vo l g i m e n t o d i u n o r g a n i c o s t r u m e n ta l e i m p r e s s i o n a n t e p e r v a r i e t à : un ottetto d i v i o l o n c e l l i , f i a t i , p e r c ussioni di t u t t i i t i p i e c o r o f e m m i n i l e , i l tu tt o s c r i t t o e d e l a b o r a t o ( guarda un p o ’ ! ) d a L o n g s t r e t h s t e s s o, che ha l a v o r a t o l e p a r t i a l c o m p u ter e le ha sentireascoltare 23 ricostruite sovrappo n e n d o c i l a s u a voce. Una voce che n a v i g a p e r t u t t i i cinq ua nta e p assa m inut i dell’album su uno stile a m e t à t r a R o b e r t Wyat t e Je ff Buc kle y. A pa rte q ua lch e ric hiam o m elodico qua e là, The G et t y Addr ess, non dà l’imp ressio ne di un pr oget to organico (quello c h e d o v r e b b e essere un’opera). U n a m u s i c a c h e si sfo rza d i e ssere e v oc at iv a, int ellettuale, ma ch e risu lt a s t at ic a, “ legnosa”, ingessata d i e t r o u n a f o r m a tropp o pretenziosa. N o n c h e s i a u n brutto la vo ro, è se nz ’alt r o un operazione co mple ssa, ques t a, c on un risultato ch e h a b is ogno di t em po per esse re meta bo liz z at o. M om ent i come Time Birth ed Spilled Blood, con le sue sovrappo s i z i o n i d i p a r t i , met t on o in risa lto una gr ande f antasia comp ositiva , c he per ò s i per de nella no iosa le nt ez z a di I Wi l l Truck o di Wa rho lian Wigs . R i t m i lenti vicini al trip h o p , m a s p e s s o elabora ti co n p ercuss ioni dal s apore etnico co me mari m bas e c am panacci (Jo lly Jo lly Jo lly Ego) . Un album a volte stucchev o l e , a l t r e v o l t e affascinante, un per c o r s o m u s i c a l e pieno di ferma te, dis c ont inuo, m a che se attraversato a p i c c o l i t r a t t i rivela meglio il suo f a s c i n o , t r a i l cervello tico e il se m plic iot t o. For se il gio va ne Da ve av r ebbe dov u- to aspettare qualche annetto di più per cimentarsi in un’avventura che non sembra essere stato in grado di gestire fino in fondo, alla quale non è bastato il suo approccio tra il colto e il naїf, che pure aveva dato linf a v it ale a i d u e l a v o r i p r e c e d e n t i . Un passo falso, un’esagerazione, m a f is iologi c a , c o m p r e n s i b i l e , p o tenziale preludio ad una ulteriore fase di crescita artistica. Da uno come Longstreth, che di idee ne ha da v ender e, c ’ è d a a s p e t t a r s e l o . Uno s gu a r d o a l l ’ i n d i e tr o Rispettando ancora una volta la cadenza biennale delle sue uscite, Dave Longstreth, dopo la faticaccia di The G et t y A d d re s s , s i c o n c e d e un anno s ab b a t i c o p e r g u a r d a r s i i n diet r o e s c o p r i r e c o m e è c a m b i a t a la sua musica dopo una manciata di dis c hi. È f o r s e q u e s t a l a m o t i v a z ione più f o n d a t a d e l l a p u b b l i c a z i o ne dell’EP N e w A t t i t u d e ( We s t e r n Viny l, 2006 ) , u n v e r o e p r o p r i o r i as s unt o in m e z z ’ o r a d i m u s i c a , d e l la carriera di Dirty Projectors. Una s i n t e s i p r ec i s a , c h e e s p l o r a c o n gr ande c on s a p e v o l e z z a , l e s t r a de via via intraprese: dagli esordi elet t r oac us t i c i ( F u c k e d F o r L i f e ; Two Sheep A s l e e p ; I m a g i n e I t ) a l l e c om pos iz ion i o r c h e s t r a l i d e l p e r i o do più r ec e n t e ( L i k e n e s s O f U n - c l e s ; D a r k e n e d C a r ) . C h e q u esto s g u a r d o a l l ’ i n d i e t r o s i a a n t i c i p a t ore d i u n c a m b i a m e n t o , l o s i i n t u i s ce n o n s o l o d a q u e s t e “ r i v i s i t a z i o ni”, p i ù a s c i u t t e e f r e e - f o r m , m a a n che d a l l e d u e p e r l e c h e c o m p l e t ano u n l a v o r o b r e v e m a r i c c o d i s p un t i : i l f u n k p r e s o i n p r e s t i t o d a B illy P re s t o n d i Tw o Yo u n g S h e e p s e il sound sfacciatamente pop anni ’80 di Katy At The Mall Pts. 1 & 2, lasciano intravvedere già nuovi territ o r i i n e s p l o r a t i , p r o n t i a s o s t i t u i r si n e l l ’ i m m a g i n a r i o c a l e i d o s c o p i c o di Longstreth. U n a l t r o i n t e r e s s a n t e m o m e n t o di q u e s t o v i a g g i o a r i t r o s o n e l t e mpo a t t r a v e r s o i “ s a l t i ” s t i l i s t i c i , è r ap p r e s e n t a t o d a u n a c h i c c a , c h e ha p r e c e d u t o d i p o c o l ’ u s c i t a d i R ise A b o v e : l e D a y t ro t t e r S e s s i o ns , p u b b l i c a t e s o l o s u l l ’ o m o n i m o s i to i n t e r n e t ( w w w. d a y t r o t t e r. c o m ) , u n s i t o c h e p u b b l i c a s e s s i o n i n e di te d i p r o p r i a p r o d u z i o n e e c h e può vantare già un catalogo di tutto ris p e t t o , c h e c o m p r e n d e n o m i c ome G ri z z l y B e a r, Vi e t n a m , C a s i o t o n e , O f M o n t r e a l , B o n n i e ‘ P ri n c e ’ B ill y , M y B r i g h t e s t D i a m o n d , P o n ys , L o w. U n a s o r t a d i J o h n P e e l i n pi cc o l o , c h e p r o v a a d “ a c c a l a p p i ar e ” i m u s i c i s t i d i p a s s a g g i o i n I l l i n ois p e r f a r g l i r e g i s t r a r e q u a l c h e s ess i o n i n e d i t a . C o s ì è s t a t o p e r D irty Projectors che, in viaggio per il tour d i T h e G e t t y A d d re s s h a n n o f atto un salto al Futurappletree Studio O n e d i R o c k I s l a n d , p e r r e g i s t r are quattro brani, tre dei quali tratti da N e w A t t i t u d e e u n i n e d i t o c h e r i s ale a l p e r i o d o d i S l a v e ’s G ra v e s A nd B a l l a d s , A L a b o r M o r e R e s t fu l . B r a n i c h e , i n p r e s a d i r e t t a e co n d i v e r s i a r r a n g i a m e n t i , a s s u m ono t u t t ’ a l t r o a s p e t t o , p i ù p r o p r i a m e nte r o c k , r i s p e t t o a l l e e l a b o r a z i o n i in studio. Un a v i r a ta a 3 5 0 ° Almeno stando ad alcune sue dichiarazioni in un’intervista di qualc h e a n n o f a , g l i i n t e r e s s i m u s i c a li d i D a v e e r a n o t u t t i c o n c e n t r a t i , d opo i l p r e t e n z i o s o s f o r z o d i T h e G etty A d d re s s , s u l l a f i g u r a d i K r z y s z tof P e n d e re c k i , l ’ a u t o r e d e l l a c e l e bre Tre n o d i a p e r l e v i t t i me d i H i ro shima , c o m p o s i t o r e t r a i p i ù i n t e r ess a n t i d e l l ’ a v a n g u a r d i a p o s t - b e l l i ca. 24 sentireascoltare Ma pro ba bilme nt e, l’ir r equiet o m us icista orig ina rio di New Hav en, Conn ecticu t, de ve av er c am biat o idea a ll’ultimo mom ent o, poic hé il s uo ultimo album è q u a n t o d i p i ù l o n t a n o si p ossa imm aginar e da quella c he comu ne men te v iene def init a “ c las sica ” co nte mpor anea. Eppur e la log ica avreb be v olut o c he, dopo gli e sp erime nti c am er is t ic i di S l a v e ’s Gr a ve s And Bal l ads e i l p r o g e t t o corale dell’alb u m s u c c e s s i v o , c i s i sare bb e p otu t i as pet t ar e qualc os a d i simile . E inv ec e, m ir ac olo del g en io musica le c he, s e v uole, può e ssere illog ic o ( nel s ens o di andare contro le re g o l e d e l l a l o g i c a ) c o n Ris e Abov e ( Dead O c eans , 11 s et te mbre 2 00 7, r ec ens ione s ul #35) , L on gstreth si pr es ent a alla pr ov a (fo rse ) de finitiv a della s ua m at ur azion e artistic a c on un s ound c he, g razie ad u n or ganic o s t r um ent ale rid otto a ll’oss o ( c hit ar r a in ev idenza, b asso e b at t er ia, c on c or o f em minile) strizza l ’ o c c h i o i n m a n i e r a del tutto pers o n a l e e s c h i z o f r e n i c a alla “negritu d i n e ” : r y t h m ’ n ’ b l u e s , fu nky e so ul in s t ile M ot own. M a, al cospetto di u n a p e r s o n a l i t à c o s ì estrosa e mu s i c a l m e n t e o n n i v o r a , questi riferim e n t i v a n n o p r e s i c o n le mo lle, tan t o s ono am algam at i e me tab olizza ti ( e, di c ons eguenz a, n asco sti) a ttrav er s o s t r ut t ur e e s t ili che ne rap pre s ent ano l’es at t o c ontrario. Tra qu e s t i , u n a c e r t a v e n a p rog , che p er v ade t ut t o l’album e con ferisce fo r s e il m ar c hio più peculia rmen te dis t int iv o a ques t a ennesima piccol a - g r a n d e s v o l t a ; c o s ì come le sferzate noise e i passaggi dal s a p o r e p o s t - r o c k ( D e p r e s s i o n , Spr a y P a i n t ) , a i q u a l i è d a t o i l c o m pito di rompere improvvisamente un’atmosfera generale che si può definire piuttosto pacata (in questo s e n s o s p i c c a l a b e ff a r d a t e n e r e z z a di Th i r s t y A n d M i s e r a b l e e d i G i m me Gimme Gimme), anche se i toni s ono q u a s i s e m p r e s o p r a l e r i g h e . Vo l e n d o t i r a r e l e s o m m e , c o m e s i fa in genere per gli artisti arrivati ad un c e r t o g r a d o d i m a t u r i t à , r i s u l t a a b b a s t a n z a d i ff i c i l e t r o v a r e stili, aggettivi e riferimenti che in p o c he p a r o l e r i e s c a n o a d e s c r i v e r e e s a ur i e n t e m e n t e l a m u s i c a d i D i r t y Pr oje c t o r s s e n z a r i s c h i a r e d i s t i l a r e ele n c h i i n t e r m i n a b i l i d i c o m p o s i tori, band, generi, nel tentativo di aff er r a r e l e n u m e r o s e r e l a z i o n i e gli intrecci culturali che animano la c r e a t i v i t à d i L o n g s t r e t h . U n a d i s c r et a f o r m a z i o n e c l a s s i c a , m e s c o lata ad una curiosità inesauribile e ad u n ’ a t t i t u d i n e m u s i c a l e n e l l a quale c o n v i v o n o i g e n i d e l r o c k e dell’avanguardia, completano una p e r s o n a l i t à m u l t i f o r m e , c h e a ff o n d a le s ue r a d i c i n e l l a C a n t e r b u r y w y a t t iana , n e l s i n f o n i s m o d i G u s t a v M ahl e r, n e g l i e s p e r i m e n t i d i H a rr y Pa rt c h , n e l l o s t i l e v o c a l e d i J e ff Buckley e nell’attitudine folk di suo p a d r e Ti m . D a v e L o n g s t r e t h s t e s s o , dall’alto della sua eccentricità, ha provato a definire la sua musica con gli appellativi più strampalati (glitch folk, wabi sabi, dun-songs) fallendo sistematicamente. Forse per c h é n e a n c h e i l m e n t o r e d e i D i r - t y P r o j e c t o r s s i è r e s o c onto della grandezza del suo lavoro. Un prog e t t o m u s i c a l e t a l m e n t e ap e r to d a f a r c o n v i v e r e X i u X i u c o n o r ch e s t r a z i o n i i n s t i l e t a r d o - r omantico, l ’ u k u l e l e e i l q u a r t e t t o d ’ a r ch i , l ’ i r r i v e r e n z a d i C a p t a i n B e efheart e q u e l l a d i S t ra v i n s k i j . Certo è che un artista di questo spessore meriterebbe maggiore visibilità e riconoscimento. Ma si sa, la notorietà non va quasi mai di pari passo con i meriti artistici e il nome Dirty Projectors, nonostante le prove e le conferme di essere una delle migliori realtà musicali dell’avant pop del nuovo millennio, rimane relegato alla penombra dell’underground. Di suo, Dave Longstreth ci mette un atteggiamento restìo alle voraci necessità del mercato: poche interviste, un sito Internet che si limita alle informazioni di base (concerti e discografia), una piccola label alle spalle e, per ora, una presenza sul territorio che riesce con molta fatica ad oltrepassare l’oceano. P e n s a n d o c i b e n e , p e r ò , i n fondo in f o n d o l a s u a è a n c h e l a condizione o t t i m a l e d i c h i f a m u s i c a per il puro fine espressivo, senza scendere a c o m p r o m e s s i d i n e s s u n ti p o . Pr o b a b i l m e n t e , r a g i o n a n d o eg o i sti ca m e n t e d a a s c o l t a t o r i , c o n vi e n e sp e r a r e c h e l a s i t u a z i o n e n o n cambi e c h e i l m u s i c i s t a d i N e w H a ve n p o ss a c o n t i n u a r e a p e n s a r l a co sì, a n c h e a d i s c a p i t o d i m i g l i o r i guadagni e c o n o m i c i : m e g l i o f a r e o t timi dischi c h e a s p i r a r e a m e t t e r e la propria f a c c i a a d i s p o s i z i o n e d i M TV. sentireascoltare 25 SUPER FURRY ANIMALS meta-pop 4 everyone! di Antonio Puglia Quatto rdici an ni d i inar r es t abile c r eat iv it à m et a- po p . Proviamo a racconta r v i i S u p e r F u r r y A n i m a l s ; p i ù c h e u n a m o n o g r a f i a , u n t e n t a t i v o d i g u i d a i n u n a d i s c o g r afia incredib ilmen te d en s a, da s pulc iar e t r ac c ia per t r a c c i a . They don’t give a fuck a b o ut anybody els e Va l l i a c a p i r e , c e r t i p e r c o r s i d e l l a c r i t i c a . C i v o l e v a l ’ u l t i m o H e y Ve nus! (recensito sul numero scorso) per ricordarci ancora una volta quanto grandi fossero - non, badate, fossero stati - i Super Furry Animals, fra gli astri meno celebrati del Britpop. Anzi, del pop tutto, che diamine, perché se attraversi indenne gli anni ’90 e non solo puoi raccontarlo in giro, ma continui pure a collezionare cascate di elogi (quando il 99 percento dei tuoi contemporanei, nella migliore delle ipotesi, si è perso per strada o sta ancora raccogliendo i cocci), allora non ti schioda nessuno. In teoria. In pratica, quando il discorso cade sui grandi della musica albionica recente, si tirano fuori i soliti Suede, Oasis, Pulp - tra l’altro, solo da poco collocati in their right p l a c e - , B l u r, R a d i o h e a d , p e r f i n o i Ve r v e . L o r o , g l i A n i m a l i S u p e r Pelosi, sono considerati al massimo un’anomalia; per la maggior parte del pubblico restano “quelli che cantano in gallese” (con tutto ciò che ne consegue in termini di diversità / freakerie), “quelli di 50 volte fuck dentro una canzone” e c c e t e r a . Tu t t o s a c r o s a n t o , p e r c a rità, ma ci sarebbe dell’altro. E poi certo, si è sempre saputo che sono valenti e talentuosi; a dirla tutta s o n o i p r o v e r b i a l i c r i t i c ’s d a r l i n g s (fatevi un giro per la rete e vedete un po’ che media voti hanno TUTTI i loro dischi), al punto che ormai ogni loro uscita viene data quasi per scontata e plausi e complimenti, pur meritati, diventano addirittura routine. Paradossalmente, sono 26 sentireascoltare così bravi che la maggior parte della gente non se ne accorge; e dire che in patria il pubblico li ha più volte premiati, e lo fa tuttora, con dignitosi piazzamenti nelle charts. Ora, verrebbe quasi da pensare che in fondo a loro non frega un cazzo di nessuno (“they don’t give a fuck about anybody else”, quella frase scippata agli Steely Dan divenuta vessillo di una carriera), visto che dopo oltre due lustri i Furries restano costantemente immersi in quella catena di montaggio creativa che li ha portati a realizzare quasi un album all’anno, s e n z a c o n t a r e s i n g o l i , E P, p r o g e t t i visuali, side-projects e ovviamente incessanti tour intorno al globo terraqueo. Senza mai esaurire le batterie. Per loro, e soprattutto, nostra, fortuna. Questo in teoria farebbe di loro la più grande pop band del pianeta, se il mondo fosse un posto migliore. O almeno, la migliore band b r i t a n n i c a d e g l i u l t i m i 1 0 a n n i . Vo lendo andare un po’ più a fondo, s i p o t r e b b e a n c h e d i r e c h e i S FA sono stati fra i primi, nel pop, ad anticipare quella tendenza di ultraassimilazione/rielaborazione che è poi - da un punto di vista snob-nostalgici e un po’ pigro - la cifra dei nostri tempi. Peccato che (quasi) nessuno sappia farlo bene quanto loro. Eppure, non basta. Sia come sia, non dovete stupirvi se questa monografia probabilmente somiglierà a un interminabile elenco, a una ragnatela potenzialmente infinita, e perché no, opinabile, di r i f e r i m e n t i i n c r o c i a t i . Tr o v e r e t e u n a riga sì (e l’altra pure) una quantità pantagruelica di nomi di artisti, album e canzoni, perché è proprio q u e s t o c h e s o n o i S FA : u n m e g a frullatore pop, un potentissimo sintetizzatore di almeno quarant’anni di musica, stilisticamente apolidi e onnicomprensivi eppure riconoscibilissimi nell’approccio, nei suoni, nell’attitudine. Le Mothers del Britpop? I Beck d’Oltremanica? I Beach Boys degli anelli di Saturno? I Roxy from Mars? (E le libere associazioni possono continuare). Probabilmente il segreto sta nell’enciclopedico background dei cinque (Gruff Rhys, voce e chitarra, Huw “Bunf” Bunford, chitarra, Guto Pryce, basso, Cian Ciaran, tastiere e aggeggi assortiti, Dafydd Ieuan, batteria), fonte inesauribile di input per ogni output degli Animali. Basta scorrere la tracklist del volume di Under The Influence da loro curato nel 2005: Dennis Wilson e Sly Stone, Undertones e Underworld, E.L.O. e MC5, Beach Boys e Datblygu… Questi ultimi, misconosciuti new wavers attivi fra ’80 e ’90, erano stati tra i pochi alfieri di una sparuta quanto seminale scena indie r o c k g a l l e s e ( p o s t - Yo u n g M a r b l e Giants, per capirci), a cui i Nostri si riallacceranno direttamente al momento di muovere i primi passi nell a C a r d i ff d i i n i z i o d e c e n n i o s c o r s o . Nel 1993, anno in cui Rhys, Ieuan e Pryce sono già noti nell’ambiente come sovversivi techno-ambient, è tempo di rinascite, a livello locale e nazionale. Il Parlamento ing l e s e a p p r o v a i l We l s h L a n g u a g e A c t , d a n d o u ff i c i a l m e n t e i l v i a a l l a riscoperta della cultura e della lingua del Galles e, di lì a venire, una serie di band della regione assur- gerà a gloria patria: Catatonia, Manic Street Preachers e, in misura m i n o r e , G o r k y ’s Z y g o t i c M y n c i . È a loro, i più fieri e tradizionalisti, ma anche i più obliqui, del lotto che guardano i Furries quando si comincia a fare sul serio, ovvero una volta fissata la classica formazione a cinque dopo alcuni assestamenti (ad occupare il posto di lead singer per un breve periodo c’è stato persino l’attore Rhys Efans, quello di Tw i n To w n e , p e r i m u s i c o f i l i , d e l video di Importance Of Being Idle degli Oasis). I G o r k y ’s i n c i d o n o p e r l a A n k s t , storica label locale - già casa dei sunnominati Datblygu - specializzata in indie rock dalla forte matrice psych; e psichedelico è l ’ e s o r d i o d e i S FA , u n E P d i q u a t t r o tracce in gallese il cui titolo pare studiato apposta per entrare nel Guinness dei primati (cosa che, effettivamente, avviene). Show M e Magic! Llanfairpwllgwyngyllgogerychwyrndrobwllllantysiliogogogochochynygofod (In Space) esce nel giugno del 1995, portando in sé i semi del tipico suono dei p r i m i S FA f r a f u z z , c o r e t t i , b a l l a t e a l l a M a j o r To m e d e ff e t t i s p a z i a l i a iosa. Il successivo Moog Droog, sempre per Ankst, presenta la prima canzone in inglese, God! Show Me Magic; un cambiamento non da poco visto che l’idioma locale, p e r q u a n t o a ff a s c i n a n t e , l i q u i d o e incredibilmente musicale è anche incomprensibile alla maggior parte degli ascoltatori. Il sig. Alan McGee l o f a n o t a r e a G r u ff & C o . a l m o - mento di scritturarli per la sua Creation, richiedendo che le prossime canzoni siano scritte nella lingua della BBC; nel giro di pochissimo - siamo a inizi 1996 e i cinque non hanno praticamente esperienza al d i f u o r i d e l G a l l e s - , i S FA s i r i t r o vano già parte di uno dei roster più prestigiosi e celebrati della storia della musica britannica, seppure prossimo all’estinzione (che arriverà inevitabile nel 1999, quando McGee dovrà chiudere baracca e i v a r i P r i m a l S c r e a m , Te e n a g e F a n c l u b , R i d e , M y B l o o d y Va l e n t i n e e Oasis sono già leggenda). A undici anni di distanza, il debutto su LP dei superpelosi sorprende ancora: Fuzzy Logic (Creation, giugno 1996) è certamente figlio del suo tempo, ma va anche oltre quel limite, grazie agli scintillanti gioiellini meta-pop che lo costellano. God! Show Me Magic (ri-registrata per l’occasione e pubblicata su 45) sembra la partenza di una navicell a s p a z i a l e a l i m e n t a t a a p o p p e r, i N e w Yo r k D o l l s c h e s u r f a n o c o n i fratelli Wilson; Something 4 The We e k e n d è u n a b o c c a c c i a a i B l u r d i a l l o r a , c o n A l l T h e Yo u n g D u des a fare da canovaccio (laddove Gathering Moss è già l’Albarn del futuro, citazione morriconiana i n c l u s a n e l l a c h i o s a ) ; I f Yo u D o n ’ t Wa n t M e To D e s t r o y Yo u , b a l l a t o n a stringicuore ’70 con finale d’archi cinematico... E questi sono solo i singoli, ché la lunga distanza consente ai gallesi di allargare il ventaglio delle possibilità espressive, incorporando inoltre funk&soul (Mario Man, Fuzzy Birds), chitarre Pixies su cori dementi (Frisbee), reminescenze di Madchester (Hangin’ With Howard Marks) e parecchia altra roba, mescolando estro e ironia in un marchio di fabbrica già riconoscibile. L’ a l b u m n o n d e c o l l a n e l l e c h a r t s come vorrebbero gli interessati (idea poi abbandonata col tempo, salvo alcune gratificazioni), ma i Furries sono già una cult-band: lo dimostra un’esibizione durante l o S m a s h H i t s To u r ( r e p e r i b i l e s u Yo u Tu b e ) c h e v e d e i N o s t r i , n e l delirio generale, salire sul palco in costumi da animaloni di peluche, in una via di mezzo fra i colleghi Supergrass e i Flaming Lips yet to come. A consolidare tale status su scala nazionale arriva nel novembre 1995 il singolo al quale il quintetto deve una buona fetta della propria mitologia, The Man Don’t Give A Fuck. Ingredienti: una front cover dedicata a una leggenda del calcio politicamente scorretta (lo scomp a r s o R o b i n F r i d a y, r i p r e s o n e l l ’ a t t o d i m a n d a r e a ff a n c u l o l ’ o b i e t t i vo), un irresistibile sample di Show Biz Kids degli Steely Dan come ritornello (su base ballabilissima), e soprattutto quella parolaccia, che prevedibilmente compromette l’airplay ma garantisce un enorme successo in termini di costume (e un altro record da Guinness). Culto totale. È il preludio a quello che ancor oggi viene considerato il miglior album della fase “pop” (o meglio, di inizi carriera) dei Super Furry Animals, quello a cui il neofita si deve assolutamente rivolgere, per farla breve (in secondo luogo va bene anche sentireascoltare 27 Quando esce, Guerrilla (Creation, giugno 1999) fa cadere più di una mandibola, a colpi di una produzione impressionante (a cura della sola band) e una palette stilistica a n c o r a p i ù a m p i a . Ve d i a m o : a c i d lounge (Check It Out), Genesis in B r a z i l ( T h e Tu r n i n g T i d e ) , t r i p h o p (A Specific Ocean), salsa (Northern Lite), electro-ballad à la Zero 7 (Some Things Come From Nothing), John Cale se avesse suonato sul terzo disco dei VU (Fire In My H e a r t ) , g a r a g e g l i t t e r a t o ( N i g h t Vi s i o n , Te a c h e r ) , F l a m i n g L i p s c a t a pultati in Smiley Smile (Chewing Chewing Gum), Beatles a base di mellotron (l’hidden track Citizen Band), Zombies in giro sulla luna ( K e e p T h e C o s m i c Tr i g g e r H a p p y ) . Basta? No, perché c’è anche, soprattutto, l’electro-dance stupida e contagiosissima di Wherever I Lay S o n g b o o k Vo l . 1 , c h e r a c c o g l i e tutti i singoli fino al 2004). Classico sin dalla copertina di Pete Fowler - titolare della grafica di tutti gli output dei Nostri fino al 2005 -, Radiator (Creation, agosto 1997) è un ricettacolo ultraconcentrato di arte compositiva e creatività in 14 atti, la cui freschezza e immediatezza restano ineguagliate (primato forse conteso solo dall’attuale H e y Ve n u s ! ) . R i s p e t t o a l l ’ e s o r d i o , la produzione è meno “pastosa” e più calda nel mescolare tinte elettriche e acustiche, mantenendo comunque quel suono corposo e pieno che, coi dovuti distinguo, a v r e b b e f a t t o l a f o r t u n a d i a c t a ff i ni come la Beta Band (fino alla sua attuale incarnazione The Aliens). L’ e n t i t à S FA è u n b l o b b o n e c h e a s sorbe tutto ciò che lo circonda, si tratti di passato, presente o futuro: sentite come suona Pulp Hermann Loves Pauline, in un arrangiament o v o c a l e i m p o s s i b i l e , o c o m e G r u ff si trasforma in un clone di Peter Gabriel in Placid Casuals, o ancora come International Language Of Screaming è de facto una delle migliori canzoni di Beck, senza parl a r e d e l l e s o l i t e c o n v e r g e n z e B l u r, in vena folk, di Different River, o dell’epos-psych filtrato Fab Four della conclusiva Mountain People. Demons è una gemma che defini- 28 sentireascoltare sce una carriera, ma si potrebbe d i r e l o s t e s s o d i S h e ’s G o t S p i e s (The Ve l v e t s + s o u l + S FA p u n k ) o Play It Cool (acid disco exotica su falsetto impossibile). Come ficcare una bomba dentro il proprio lettore cd, insomma; ed è solo l’inizio. In un crescendo frenetico, gli sforzi discografici saranno sempre più improntati su un imperativo “nessun limite alla creatività”, in una sfornata continua di singoli assurdamente catchy e album minimo da 4 stelle. No, questi Animali decisamente non sono umani. Cosmic Tr i g g e r U n a n n o s c a n d i t o d a u n s o l o E P, Ice Hockey Hair (Creation, maggio 1998), che scalerà le classifiche grazie a una vocoderizzata e popadelica title track e alla blaxploitation di Smokin’, e dall’extra catalogo Out Spaced, (Creation, novembre 1998), vendemmia di bsides e rarità straripante di gemm e , e r i t r o v i a m o i S FA i n t e n t i a bissare lo strike di Radiator più carichi e pompati che mai. La prima parola che viene in mente è “ambizione”, anche se è lecito pensare che per i Furries si tratti solo di ordinaria amministrazione, vista la naturalezza con cui attraversano il luna park marziano che hanno allestito nel loro terzo disco. M y P h o n e ( I t ’s M y H o m e ) , a b a s e d i s l o g a n , l o o p e v o c o d e r, m e s s a assieme con l’arte dei dj più scafati. A sentirla oggi fa tanto anni ’90, ma resta puro genio. Che è pure l’opinione che la maggior parte della critica del tempo ha, giustamente, formulato sull’album, anche se non si riesce più a capire cosa c’entrino questi eccentrici gallesi con l’allora morente Britpop. Niente, è chiaro, come dimostra la mossa successiva. We l s h fo r Z e n Complice lo scioglimento della Creation, i Pelosi si tolgono infatti uno sfizio mica da poco: un disco tutto in gallese, in aperto omaggio al loro eroe Meic Stevens, solitario folksinger d’altri tempi e galassie di cui hanno spesso coverizzato la hit (se può definirsi tale) Y Brawd Houdini. Uno dei suoi EP di fine ’60 si chiamava Mwg, ed ecco allora Mwng (per la loro Placid Casuals, maggio 2000), che si traduce come mane, “criniera”. Le stranezze finiscono qui, ché, a parte l’iniziale cazzeggio di Drygioni, questo è anzi un lavoro apparentemente sottotono, laddove si cerca una via più semplice e rilassata all’arrangiamento con una predilezione per i toni acustici. La perla del caso è fra i brani più lineari ed orecchiabili del repertorio, Dacw Hi (velvettiana alla Rock And Roll, nel m o m e n t o i n c u i Y Te i m l a d - i n r e altà una cover dei Datblygu - è la loro versione di New Age, restando in tema Reed & co.); non mancano i colpi di coda, vedi Gwreiddiau Dwfn / Mawrth Oer Ar y Blaned Nefion, una ballata prog-folk-jazz a s p e r s a d i b r i c i o l e Ti m B u c k l e y , o P a n D d a w ’ r Wa w r, i l f a n t a s m a di Pet Sounds che si vaporizza in psichedelie acustiche assortite, mentre il singolo Ysbeidiau Heulog rischia decisamente meno propon e n d o i l t i p i c o s u o n o S FA ( u n a r o b a alla primi Roxy Music + i Floyd del p i ff e r a i o ) ; i n Y m a e l o d i  ’ r Y m y l o n , Y Gwyneb Iau e Nythod Cacwn c’è perfino un relativo antipasto di cart u c c e a n c o r a d a s p a r a r e ( i l G r u ff Rhys gigione e folk-barrettiano di Candylion più certo mellow pop ’70 e classic country di Rings Around The World e Phantom Power). Beh, non si può certo parlare di passo falso: l’album venderà anche bene ( 11 ° i n c l a s s i f i c a , r i s u l t a t o i n s p e r a to per un album in gallese), e riceverà inoltre una menzione d’onore in Parlamento per meriti linguistico-culturali; nondimeno, presenta alcuni fra i brani più gradevoli del canzoniere degli Animali. Sai mai che, giocando di ripiego, han fatto persino meglio di Guerrilla? Let ’s G et Jux taposed! Parrebbe di sì, e Rings Around T h e Wo r l d ( E p i c , l u g l i o 2 0 0 1 ) è l a controprova che il viaggio è ancora in salita. Messe da parte velleità indie di sorta, adesso si alza il tiro coinvolgendo perfino gente come Sir Paul McCartney e sua maestà John Cale, re del Galles; ma non bisogna farsi abbagliare dai nomi, c i ) , I t ’s N o t T h e E n d O f T h e W o r l d (la ballatona romantica che i Blur non hanno mai inciso), il capolavor o J u x t a p o s e d W i t h Yo u ( i l s o u l d i Barry White su una Love Boat in r o t t a v e r s o i l p i a n e t a Ve n e r e ) . S e proprio vogliamo trovare un apice nella carriera dei Pelosissimi, questo è Rings, un disco che sembra nato per raccogliere applausi, e infatti arriva a sfiorare il Mercury Prize e frutta ai gallesi la posizione più alta di sempre (#3). visto che quello di Macca è un cameo per filologi (rosicchia verdure in Receptacle For The Respectable, in ricordo della sua analoga perf o r m a n c e i n Ve g e t a b l e s d e i B e a c h Boys, versione inedita dello Smile o r i g i n a l e ) , e q u e l l a d e l l ’ e x Ve l v e t (al piano in Presidential Suite) è più una partecipazione abortita, una toppa messa sopra il diniego ad arrangiare gli archi del disco. Un’opera invece splendidamente condotta dall’High Llama Sean O’ Hagan che, sommata a un budget d a m a j o r, s i t r a d u c e n e l d i s c o p i ù magniloquente e, stavolta sì, ambizioso del gruppo. La solita, inarrestabile emorragia di idee si unisce a una nuova visione del suono, che adesso si vuole il più cinematico e ampio possibile: a p a r t i r e d a l c a m p o l u n g o d i A l t e rn a t e R o u t e To Vu l c a n S t r e e t , f i n o a l l o s p l e n d i d o s o g n o i n Te c h n i c o lor di Presidential Suite (gli Steely Dan sulla spiaggia di Malibu insieme a Brian Wilson), la mus i c a d e i S FA d à p r o p r i o l ’ i m p r e s sione di prendere letteralmente il volo. Non bastasse, gli input psych e sperimentali vengono tutt’altro che meno, dal trip-hop sci-fi di [A] To u c h S e n s i t i v e a l l a p a s t o r a l / p a rodistica Shoot Doris Day, per poi far convivere nello stesso brano kitsch ’70, folk e drum’n’bass (No Sympathy), surf pop, hard-psych e thrash metal (Receptacle For The Respectable), infiniti suoni elettrici e acustici, analogici e digitali (Sidewalk Serfer Girl). E, ovviamente, fanno da corollario di lusso i singoli estratti, tutti e tre da punteggio pieno: (Drawing) Rings Around The World (gli Stereolab a braccetto coi Beach Boys classi- S l o w L i fe A questo punto appare quasi fisiologico allentare la presa, lasciare la via maestra per imboccare un sentiero laterale, tranquillo e in apparenza indisturbato. Phantom Power (Epic, luglio 2003) sembra infatti nascere da un istinto di conservazione, un’urgenza di semplicità, che non è la stessa di Mwng, ma le è parente, non più rinviabile; dall’altro lato però, il sodalizio stip u l a t o c o n M a r i o C a l d a t o J r. ( c o m pagno di lungo corso dei Beastie Boys) e rinnovato con O’Hagan (chiamato ancora ad arrangiare gli archi) dimostra che la guardia non si è del tutto abbassata, che lo sguardo è ancora rivolto oltre l’orizzonte. A fronte di una forte virata verso placidi lidi country rock (Hello Sunshine), folk (le Drake-iane Father Father #1 e #2, la oppiac e a e D o n o v a n - i a n a S e x , Wa r A n d Robots) e pop classico (la Wilsoniana Piccolo Snare, dove l’High Llama sciorina meraviglie), l’album in realtà non fa altro che rinnovare il mood da grande schermo di Rings, prefiggendosi altri obiettivi. Non mancano infatti alcune incursioni in territorio rock come Golden sentireascoltare 29 30 sentireascoltare Z o o m m e t t e a s s i e m e N e i l Yo u n g e d A i r , Wa l k Yo u H o m e S t e e l y D a n e (ovviamente) High Llamas… Non mancano alcuni scivoloni, come il reiterare un suono trippy che ormai puzza un miglio di ’90 (Pscylone!), e ma quando produzione e songwriting si mantengono sui livelli di una meraviglia popadelica come Atomik Lust, non è proprio il caso di mettersi a cercare il pelo nell’uovo. Se questa non è la fatidica “maturità”, le somiglia parecchio. Retriever (parte CSNY e prosegue proto-metal) e Out Of Control (gli Hawkwind dell’era Lemmy), assieme a intrattenibili sfoghi di un’indole gigiona impossibile da tenere a freno (Undefeated, la samba di Va l e t P a r k i n g ) , f i n o a l l a c o n c l u s i v a ed epica Slow Life che mette assieme electro, pop orchestrale per poi ammiccare pesantemente alla Beetlebum di blurresca memoria. Slow sì, ma mica tanto. Un album irrimediabilmente mellow - leggi: rilassato - per gli stand a r d S FA ; f o r s e p e r q u e s t o ( o p e r per puro e semplice sfizio) subirà un drastico restyle in Phantom Phorce (Placid Casuals, aprile 2004), remix concessi da signor i c o m e F o u r Te t , B r a v e C a p t a i n e l o s t e s s o C a l d a t o J r. N e s s u n a abiura di quanto fatto, per carità; il progetto successivo vede infatti nuovamente all’opera la medesima s q u a d r a , c o n l a d i ff e r e n z a c h e s t a volta, e per la prima volta in assoluto, il songwriting è equamente diviso fra Rhys, Bunf, Ieuwan e Ciaran, chiamati anche a spartirsi il microfono. Come dichiara la stessa band, il modello per Love K r a f t ( E p i c , a g o s t o 2 0 0 5 ) è S u r f ’s Up dei Beach Boys e questo, oltre che nella pluralità dei autori, si riflette in un quanto mai massiccio uso di archi da parte di O’Hagan, maestro nel ricreare quei nostalgicissimi landscape tardo-californiani. Ecco quindi un lavoro dalle atmosfere intense e dal carattere marcatamente classico e rétro, in cui proprio il singolo scelto, Lazer Beam, stona nell’insieme riproponendo certi cliché dei Furries; per il resto Cabin Fever sembra proprio uscita da quel disco dei BB del ’71, Run -Aw a y ! Ma i nostri cari Animali di crescere e mettere la testa a posto non ne vogliono proprio sapere, anzi. Dal 2005 le loro attività collaterali sembrano moltiplicarsi magicamente, in un dispendio inesauribile di energie, un rinnovarsi continuo di stimoli, un entusiasmo da seconda adolescenza. Gruff comincia una personalissima carriera solista con Yr Atal Genhedlaeth, dischetto di pop sperimentale su quattro tracce, rigorosamente in lingua madre; a inizio 2007 ha fatto il bis con Candylion, che fa ancora meglio con le sue freakerie folk tinte di rosa-pastello barrettiano, con l’amico O’Hagan sempre presente a dipingere il paesaggio. Intanto è in corso una collaborazione - che è già tutta un programma - col maniaco electro ’80 Boom Bip nel progetto Neon Neon, di cui si attende presto il primo parto; nel frattempo Rhys sta curando il secondo volume della compilation Welsh Rare Beat il primo risale al 2005 - e si diletta a ripescare improbabili album di progressive turco. Il tastierista Cian Ciaran non è da meno, dato che a inizio 2006 ha finalmente pubblicato Omni, l’esordio del suo side project Acid Casuals, vecc h i o q u a n t o i S FA ; p e r n o n r e s t a r e indietro, anche Dafydd Ieuan ha messo su un’altra band, i Peth, in cui torna dietro al microfono nientemeno che Rhys Efans. È in questo scenario adrenalinico che si colloca il più recente capit o l o d e l l a s a g a , H e y Ve n u s ! , c h e segna anche un cruciale passaggio d e i P e l o s i a l l a R o u g h Tr a d e , o l t r e all’alleanza con nuovi compagni di viaggio come il producer dei Broken Social Scene David Newfield e l’illustratore giapponese Keiichi Ta n a a m i . N e a b b i a m o g i à p a r l a t o in sede di recensione, ma val la pena di rimarcare i punti segnati da questo disco anche qui. Dove i d u e p r e d e c e s s o r i s o ff r i v a n o d i una certa pesantezza (in durata e talvolta in sostanza), nonché dell’eredità gravosa (anche in termini di suono) di Rings Around The World, oggi si recupera in agilità e scioltezza, selezionando una tracklist di poco più di mezz’ora in cui i singoli brani sono uno strike pop dietro l’altro. Oltre alla solita critica, anche il pubblico finalmente gradisce e premia l’album con un b u o n 11 ° p o s t o i n c l a s s i f i c a ; i n a t tesa di vederli prossimamente sui palchi d’Europa, sappiate che Suc k e r s , R u n - Aw a y , S h o w Yo u r H a n d e Baby Ate My Eightball sono i nomi dei nuovi classici, e se qualche mis c r e d e n t e p e n s a c h e i S FA o r m a i sono belli che alla frutta, ebbene sappia che c’è già un nono album in fase di rifinitura. Insomma, sembra che non ci sbarazzeremo facilmente degli Animaloni. Per loro, e soprattutto, nostra, fortuna. sentireascoltare 31 p.j. harvey Alice nel Paese delle meravigliose atrocità (e ritorno) di Stefano Solventi WILCO 32 sentireascoltare Che fine ha fatto Polly Jean? Ce lo potevamo legittimamente chiedere, prima che White Chalk, sesto album firmato dall’irrequieta ragazza del Dorset, ci suggerisse una risposta. Una risposta sconcertante: Polly Jean è implosa in una dimensione intima, friabile, schiva. A ben guardare però le canzoni girano attorno alla stessa anima nuda e corazzata. Quelli che hanno seguito in diretta la parabola di Polly Jean Harvey fin dagli inizi, portano dentro una consapevolezza feroce, il marchio di una collisione inaudita. Quel modo di traslocare i rovelli atavici del blues sul pianerottolo del punk rock più rude... Da non credere che muscoli e nervi femminili potessero tanto. Invece, la giovane Harvey – classe ’69 da Corscombe, Dorset – ci riusciva benissimo, immolando la propria femminilità con tanto slancio da annullare quel senso minimo di finzione che siamo soliti attenderci - che in fondo esigiamo - quando ascoltiamo canzoni. Forte di una screanzata immediatezza, Polly dava fondo alle smanie iraconde, al malanimo cocente, all’esplosiva turbolenza erotica. Pescando nella pignatta del passato - nel fetido minestrone da streghe e diavoli al crocicchio, tra i fenomeni della mitologia terrigna - senza concedere sconti alla contemporaneità. Come una Alice di periferia che si getta nella tana del diavolo, solo perché non farlo significa arrendersi ad una realtà peggiore. Alla musica Polly si prestò fin da giovanissima, spinta da un’atmosfera familiare favorevole - i genitori sono due reduci del ’68 con la discoteca zeppa di sano acidissimo rock’n’roll. A soli quindici anni suonava il sax nell’ensemble Boulogne, avventura curiosa (otto dilettanti in cerca d’eccentricità) ma breve. Ti m b r ò q u i n d i i l c a r t e l l i n o n e i P o l e k a t s e – s o p r a t tutto - negli Automatic Dlamini di Bristol, band in cui militava un certo John Parish, di cui riparleremo. La giovane Harvey si occupava di sax, chitarra e backing-vocals: non poteva bastarle. Il tempo di p u b b l i c a r e u n a l b u m , F r o m A D i v a To A D i v e r , e s e ne andò per dare forma alle proprie composizioni, alla propria musica. La accompagnarono il bassista S t e v e Va u g h a n e d i l b a t t e r i s t a R o b e r t E l l i s : c o n l e i a v o c e e c h i t a r r a , e r a n a t o i l P J H a r v e y Tr i o . Spezzarsi l’anima Ne uscì musica come brandelli d’anima e particole viscerali a squassare una morale profonda, incarnita. Cruento cerimoniale d’autoflagellazione. Cercando l’infimo, la degradazione, come una guerra concentrata sul proprio metro quadro, tanto veemente - con la chitarra elettrica scorticata, col canto posseduto e carnefice - da coinvolgere il mondo. Un primo singol o , D r e s s , o v v e r o u n g r a ff i o p e r i c o l o s a m e n t e v i c i n o all’iride. Quanto all’album d’esordio, è ancora oggi u n ’ e s p e r i e n z a s c o n v o l g e n t e . D r y ( To o P u r e , 1 9 9 2 ; (7.3/10) sembra fin dalle prime note un’invocazione al demone del blues perché accolga, esorcizzi e se possibile risolva il dissidio cosmico tra l’amore e la sua insostenibilità. Di più, il suo corollario crudele, la carnefice propensione al dominio dell’Uno sull’Altro, conflitto atavico dalla valenza simbolica pressoché intatta. Undici pezzi selvaggi e disperati: strategie post punk imbrattate di misteri folk-blues, blues e ancora blues, sgranato, rallentato, devastato, elevato a grido catartico, a cerimoniale pagano (la produzione di Head azzecca l’enfasi cruda dei bassi, il crogiolo sonnecchiante ed esplosivo di chit a r r e e d r u m m i n g ) . Tr a i t i t o l i s p i c c a n o l a c r u d a O h My Lover, il sabba garage della già citata Dress e la giga amfetaminica di Joe. Poi, soprattutto, SheelaN a - G i g e Vi c t o r y , a t t i a l f u l m i c o t o n e d ’ u n a c o m m e d i a epica e uterina ad un tempo, tra rigurgiti di mitologia e f e m m i n i l i t à s o t t o s c h i a ff o . D i s c o r s o a p a r t e m e r i ta Plants And Rags, viluppo nevrastenico del violoncello che s’impiastra sui pensieri, una specie di consiglio di sfuggita a tutto il cantautorato folk-rock passato, presente e futuro. È solo l’ansito iniziale, preliminare di un amplesso di cui è già facile intuire il fuoco. Col successivo Rid of Me (Island, 1993; 7.2/10) cambiano “solo” l’etichetta ed il produttore - la benemerita Island ed uno Steve Albini in fase di consacrazione. Quanto al resto, stessa band e stesso piglio. F o r s e l e e s p l o s i o n i s u o n a n o a p p e n a p i ù d i ff e r i t e , come se la lama fosse penetrata di qualche altro millimetro e la carne e il metallo imbastissero un dialogo fatto di dolore, di adattamento, di confidenza. Musicalmente, quanto detto si riflette nella densità melmosa di episodi come Missed o Ecstasy (brontolii cupi di un grembo senza pace), nella straordinaria “ f i s i c i t à a e r e a ” c h e M r. A l b i n i r i e s c e a i m p r i m e r e s u nastro (come il basso che in Legs aleggia sul frinire del violoncello), il canto appena meno viscerale in una cappa di volume sensibilmente attenuato. Ma il conflitto è pur sempre in atto, indigerito e indigeribile, pronto ad aggredire ogni ipotesi di quiete. E può contare su una scrittura più matura e strutturata, in equilibrio instabile su improvvisi squarci umorali. Emblematiche in tal senso le due versioni di Man-Size, una allucinata e urticante, l’altra cameristica arrangiata per sestetto d’archi. Quanto al sentireascoltare 33 resto, indimenticabili le gighe hardcore di Me Jane e le stordenti lacerazioni di Snake, mentre la sordida strategia valzer di Rub ‘Til It Bleeds ed il crescendo fino allo sconquasso ovarico della title track tracciano uno schema senz’altro risaputo - il rilascio progressivo della tensione, la veemente esplosione - di cui la Harvey s’impossessa senza sforzo. Se Dry suonava come un’anima sul punto di spezzarsi, Rid Of Me sembra la consapevolezza di questo trauma. Polly cresce letteralmente con la propria musica, s’indaga, si costruisce attorno quel guscio che non ha mai avuto e forse mai avrà del tutto. Quasi a rimarcare la propria natura di sanguigna p e r f o r m e r, o l t r e e n o n o s t a n t e l ’ a c c a s a m e n t o p r e s s o I s l a n d , e s c e 4 - Tr a c k D e m o s ( I s l a n d , 1 9 9 3 ; 7 . 1 / 1 0 ) , raccolta di demo registrate in totale autarchia, versioni embrionali e scalcianti di pezzi che avrebbero trovato versione definitiva su Rid Of Me, lati “B” e qualche inedito. Sorta di “unplugged” primordiale, si struttura su pochi ingredienti, ma la formula non lascia scampo: il canto come un sortilegio sgraziato, la ruggine sfocata delle chitarre, talora l’organo inacidito o il frinire maligno del violoncello. Il quattro tracce raccoglie tutto, giustappone gli elementi con malferma fragranza, ma fa anche altro: intercetta (crea?) un riverbero stretto da bugigattolo squallido, getta luci deboli e improvvise sulla fisionomia di Polly Jean, mai tanto nuda, in masochistica rivela- 34 sentireascoltare zione (come nel retro copertina, il broncio apatico, la magrezza inconsolabile avvolta in orrido cellophane). Le versioni scollacciate e sferraglianti dei pezzi già noti sono quindi un’esperienza tutt’altro che trascurabile. Quanto agli inediti, la Harvey non si risparmia: è auto-esorcizzante in Reeling, è uterina e f l e m m a t i c a i n H a r d l y Wa i t ( t r a s c i n a n t e o v v i e t à g i à rivelata nella OST di Strange Days per l’interpretazione di una puttanissima Juliette Lewis), capricciosamente mesmerica in Driving, angolosa e spiritata in M-Bike, mentre nella conclusiva Goodnight cavalca lasciva il dio serpente del malanimo. Episodio per nulla accessorio anzi piuttosto inevitabile, ossa e polpa Polly Jean Harvey da gustare addentando anche il dolore. I vestiti nuovi del dolore Come è tipico di tutte le carriere “importanti”, ad un certo punto arriva il disco topico che conferma, pot e n z i a o s m e n t i s c e . N e l c a s o d i To B r i n g Yo u M y Love (Island, 1995; 8.0/10) accadono tutte queste cose. Nel migliore dei modi. Polly si sposta, trasloca in uno status nuovo, muta la pelle armonizzandosi allo status di matrona d’una stirpe antica e maledetta. È Alice che conosce la maturità, raccoglie il sangue nell’urna e compone la propria “persona”. Reclutati Flood ed il vecchio amico John Parish (assieme ai quali co-produce il disco), ingaggiato il “seme c a t t i v o ” M i c k H a r v e y, a d o t t a t o u n i m p a t t o e s t e t i c o r a ff i n a t o e d e c a d e n t e ( v e d i l a l a n g u i d a p o s a p r e r a f faelita in copertina ed il raso rosso degli abiti vamp per lo sconcerto dei fan), sembra che Polly tenti di incendiare le consuete polveri aggiungendo additivi teatrali e umori moderni, definendo una cortina iconica sempre più spessa che la rivela e la nasconde allo stesso tempo. Conseguentemente, l’ossessione blues-rock sembra consumarsi in un’atmosfera da vivisezione emotiva, destrutturazione psichica-archetipica (e quindi - al solito - mitologica) e ricostruzione accurata e accorata (organi, vibrafoni, percussioni d’ogni ordine e grado, archi). Una sorta di iperblues lancinante e carezzevole che racconta la femminilità violata, la musicista preda di un formidabile circolo vizioso stilistico (da spezzare), l’immagine massmediatica sempre più aliena a se stessa. Il vecchio e il nuovo in Polly Jean toccano lo zenit, si ridefiniscono a vicenda, sublimando l’impossibilità dell’uno e la necessità dell’altro. La “vecchia” Harvey portata ad implacabile compimento è tanto la travolgente Long Snake Moan - sovraccarica di minacciose metafore sessuali - quanto l’appassionato romanticismo di C’mon Billy, per non dire della cavernosa title track o della crudele Down By The Wa t e r . I l “ n u o v o ” s i p r e s e n t a c o m e u n a r i d d a d i i p o tetici umori dal tasso urticante già elevato, tempesta interiore le cui avvisaglie germogliano dai cincischi vischiosi di I Think I’m A Mother (dove sembra la ni- p o t i n a d i Wa i t s i n o v e r d o s e d i v a l i u m ) o d a l l a m o r b o s a l i t a n i a d i Te c l o ( i n c u i c o n v e r g o n o g l i s t r u g g i m e n ti del Cave più sordido). Su questi sostrati, come sul pastoso languore della conclusiva The Dancer e sull’acidità robotica di Meet Ze Monsta, si innesteranno i costrutti sonori degli episodi futuri. Il sodalizio con Parish si rivelò azzeccatissimo, al punto da fruttare un album in condominio, l’ottimo Dance Hall At Louse Point (Island, 1996; 7.8/10). Undici tracce a firma di Parish più la fascinosa cover di Is That All There Is?, classico a firma Leiber & S t o l l e r. L a H a r v e y s i c a l a n e l l a p a r t e c o n t u t t a s e stessa, donandosi completamente, facendone materia propria, tanto che in queste trasfigurazioni postpunk, in queste congetture blues claudicanti, languide e vetrose, puoi scorgere un ulteriore tentativo di confondere le acque, di togliersi dal centro del m i r i n o . I l n e b u l o s o i n c e d e r e d i C i v i l Wa r C o r r e s p o n dent o le fluorescenti striature di Rope Bridge Crossing, per non dire di un delirio fantasmagorico come Ta u t , p r o p o n g o n o u n a P o l l y J e a n i n c e r c a d e l p u n t o di equilibrio tra vacuo e sanguigno, tra stregoneria vocale (à la Diamanda Galas) e urlo liberatorio, tra crudezza e incantesimo alla luce di un istinto che poco o nulla concede al mestiere. A quel punto Polly poteva vantare un repertorio già considerevole, che obbligava e obbliga gli addetti ai lavori a registrare i parametri su nuove frequenze. La Harvey era sì considerata una sorta di appendice sentireascoltare 35 li (Joy), dolenti crescendo (la title track, il sordido melodramma di Angelene) e languide cospirazioni di piano e tromba (The River), melme cibernetiche frastagliate da brezze jazzy (The Wind) e un singolo sì commestibile ma irrimediabilmente indolenzito (A Perfect Day Elise), mentre The Sky Lit Up e No Girl So Sweet consumano con una certa brutalità lo zenit energetico della scaletta. Una stessa febbre in ogni canzone. Anime illuminate dall’interno, schegge di sensazioni, stralci di pensiero minimo, una pietà muta ad aleggiare ovunque, unificando ritratti ora malinconici, ora disperati, ora brutali. Scenari che si squadernano aprendosi all’urbanità senza appigli, in cui Polly sembra smarrirsi come Alice nel Paese d e l l e A t r o c i t à . Tu t t a v i a c o n s a p e v o l e d i d o v e r l o f a r e , per non perdersi davvero. Mimetismi in traslato f e m m i n i l e d i N i c k C a v e , a c u i f u a n c h e e ff e t t i v a m e n te legata e col quale collaborò in un pezzo di Murder Ballads, ma per quanto riguarda il rock al femminile la sua intransigenza, l’intensità uterina e la veemente presenza artistica la elessero a riferimento irrinunciabile. Proprio questa straordinaria compiutezza espressiva e iconografica fu probabilmente il motivo per cui Polly Jean si sentì intrappolata, avvertì il pericolo di un cul de sac. I tempi erano maturi per un vero e proprio cambio di rotta. Così, annusato l’estro dei tempi nella compenetrazione stilistica e tecnologica, azzardò Is This Desire (Island, 1998; (7.0/10). Album che deve molto alle ugge ruggenti del trip-hop bristolian o , i n p r i m i s d e l l ’ a m i c o Tr i c k y ( c o n c u i a v e v a a p p e na collaborato in Angels With Dirty Face), senza però tradire l’amore primo, il blues. Blues colto nel riflusso, dissanguato, sovraesposto e incrudito, ma pur sempre blues (vedi le cupe ossessioni circolari di Electric Light e The Garden). Una vera e propria continuità nel cambiamento, come testimonia anche l a c o n f e r m a d e l l o s t a ff ( F l o o d , P a r i s h , E l l i s , H a r vey) a cui si aggiunge il multistrumentista Eric Drew Feldman, già al lavoro con Captain Beefheart, mito p e r s o n a l e d e l l a H a r v e y. Scrittura, interpretazione e arrangiamento vivono quindi una tensione implosiva, tra grugniti in slowmotion (My Beautiful Leah) e scudisciate digita- 36 sentireascoltare Polly si stava quindi adattando, pagando lo scotto di un necessario rito iniziatico. Non le mancava certo il carattere per superare la prova. Infatti, la Polly Jean c o l t a i n f r a g r a n t e d a S t o r i e s F r o m T h e C i t y, S t o r i e s From The Sea (Island, 2000; 6.5/10) dimostra nuove, sorprendenti mutazioni. Alice ha imparato la strada, o v v e r o l e s t r a d e d e l l a G r a n d e C i t t à . N e w Yo r k – d o v e per mesi vive, scrive, incide - è sfondo ed emblema, gravida di presente in bilico su qualcosa (l’ecatombe d e l l e Tw i n To w e r s s a r e b b e a v v e n u t a l ’ a n n o s u c c e s s i vo). Polly mimetizza la fragilità selvaggia da animale periferico sotto abiti decisamente urbani. Più sicura, felino metropolitano corazzato Prada, decide di fare a meno di Flood e Parish per co-produrre l’album a s s i e m e a d E l l i s e M i c k H a r v e y, c o l n o n c e r t o p i c c o l o aiuto del redivivo Head alla consolle. Ne risulta un sound d’impatto wave, flessuoso e tosto, riesumazione Patti Smith – giustificando chi a lei l’aveva spesso paragonata - sfrondata di lirici deliri (Good Fortune) o rigurgito U2 corroborato Iggy Pop (Big Exit), per non dire di quella Kamikaze (a proposito di preveggenze undicisettembre...) che sembra una frenesia Bad Seeds in procinto di farsi Prodig y . L’ a l t r a c a m p a n a s o n o q u e l l e b a l l a d s p a l m a t e s u una strisciante frenesia, come Beautiful Feeling o T h i s M e s s We ’ r e I n ( i n e n t r a m b e l a p a r t e c i p a z i o n e d i u n i n v e r o p i u t t o s t o r i s a p u t o T h o m Yo r k e ) o a n c o r a quella Horses In My Dream che caracolla nel solco tra angoscia e liberazione, tra scorie blues e farragini jazz. Quanto Polly abbia lavorato sulla voce, addomesticandola per conseguire un’impostazione cui non sembrava votata, è evidente soprattutto in A P l a c e C a l l e d H o m e e n e l l a c o n c l u s i v a We F l o a t , nelle quali alterna il registro tumido e flessuoso ad u n f a l s e t t o l i r i c o e g r a ff i a n t e . I n e v i t a b i l m e n t e , q u a l cosa sembra perdersi. Nel riflesso l’immagine cede intensità, si rilassa compiaciuta. Anche per questo, in un certo senso, è un disco paradigmatico. Questa “stabilizzazione” in un corpo urbano non poteva durare. Ancora una volta, ancora di più, ciò che Polly era diventata sembrava non appartenerle. Lo rifiutò. Si rifiutò. Per spostarsi, di nuovo. Uh Huh Her (Island, 2004; 6.4/10) si sostanzia di fotogramm i i n t r a s l a t o . L’ e n n e s i m o s t r a p p o , s t a v o l t a p e r ò “ i n fieri”, che azzarda tirare le fila, coinvolgendo nella cesura tutto il passato, come dimostrano esplicitamente gli autoscatti del libretto. Il più recente dei quali è forse quello utilizzato in copertina, lei sdegnosissima seduta in un’auto guidata da un tale che forse è Josh Homme, così come lo sfondo pot r e b b e e s s e r e q u e l J o s h u a Tr e e n e l q u a l e p r e s e r o vita le irresistibili Desert Sessions vol. 9 - 10 cui Polly regalò ragguardevoli performance. Movimenti i m p r e n d i b i l i e a n t i g r a z i o s i . N o n - d e f i n i z i o n e . Ve r i t à a squarci. Alice si muove verso nuove atrocità. Non importa dove, importa andare. Non farsi intrappolare. E lo fa, finalmente, nuovamente, da sola. O q u a s i . L a p r o d u z i o n e è d i P o l l y, r e s t a n o a d a r e u n a mano Head (missaggio, backing vocals) e Rob Ellis (tamburi, backing vocals). Sono indubbiamente suoi q u e i b l u e s s p u t a t i , s t r i d e n t i , a c c a r t o c c i a t i ( I t ’s Yo u , T h e L i f e A n d D e a t h O f M r. B a d m o u t h ) , c o s ì c o m e i l punk villano di Who The Fuck – lezioncina di stile en p a s s a n t a i t r o p p i Ye a h Ye a h Ye a h ’s i n c i r c o l a z i o n e . La scaletta persegue una sconcertante per quanto comprensibile estemporaneità stilistica, bazzica b r u m e i n d u s t r i a l - b l u e s ( C a t O n T h e Wa l l ) e f o l k n o made (The End), esplora sonorità esotiche a base di x i l o f o n o e t a s t i e r e n e l l a s p l e n d i d a Yo u C o m e T h r o u gh oppure persegue la più classica delle palpitazioni acustiche in The Disperate Kingdom Of Love. Di q u e s t o m o o d i n a ff e r r a b i l e e d i s a g i a t o , d i q u e s t o a p proccio sgarbato all’esigenza espressiva, il disco si n u t r e m a i n e v i t a b i l m e n t e s o ff r e , s c i o r i n a n d o e p i s o d i oziosi come la danza pellerossa di The Pocket Knife (estremo rigurgito Patti Smith?) o la prevedibile folk-wave di Shame. Il disco di chi se ne sta andando e ti guarda dallo specchietto retrovisore. Srotolan- doti le polaroid d’una vita passata e amen. E ti va bene che non ti mostra il dito medio. Alta indefinizone Dopo quel disco, Polly Jean era un rovello inestinguibile, un’immagine ad alta indefinizione. Cui si accompagnarono dichiarazioni shock circa il ritiro dalle attività live (figuriamoci, lei che sul palco ci sta come un ragno nella ragnatela). Faceva tutto parte del gioco: ritirata strategica, stracciarsi l’ennesima maschera, il trucco lavato via col sapone, i capelli tagliuzzati da sola. Scappare verso dove puoi essere di nuovo, sempre più vicina all’Io che fugge, sfugge, si confonde. E dove, ancora? White Chalk (Island, 24 settembre 2007; 7.1/10, in spazio recensioni) propone l’ennesima tappa. È il ritorno al paese natio, un luogo dove ciò che è stato conta meno di ciò che sei. Perché non sei mai stata tanto sola. Ma è anche un costrutto mentale, dove puoi provare a raccogliere i cocci di una carriera ancora viva, organizzare l’esperienza e il talento in una calligrafia, se possibile, nuova. Con sforzo. Snaturandosi al punto da farlo sembrare una naturale necessità. Poche chitarre (argh!), un pianoforte malfermo - suonato da lei - al centro della scena, la voce appesa a registri più alti e rarefatti. Il corpo che prova a indagarsi s e n z a i l c o r p o , c o m e u n a ff a r e p i ù d i s p i r i t o c h e a l tro. Di coscienza. D’anima. Dove, in quale luogo esiste White Chalk? Non esiste. È solitudine nutritiva, abbandono sotto controllo. Distanza dal mondo che sostanzia la trepidazione di colmarla. È la Nebraska che le covava dentro. Piedà-terre sopra un mondo meraviglioso e atroce, irresistibile richiamo per anime fameliche di vita malgrado la vita. Nido costruito sulla desolazione di esistere, che ci restituisce un’artista in qualche modo rinata. DISCOGRAFIA Dry (Too Pure, 1992) Rid Of Me (Island, 1993) Is This Desire? (Island, 1998) Stories From The City, Stories From The Sea (Island, 2000) 4-Track Demos (Island, 1993) To Bring You My Love (Island, 1995) Dance Hall At Louse Point (With John Parish) Uh Huh Her (Island, 2004) The Peel Sessions 1991-2004 (Island, 2006) White Chalk (Island, 2007) (Island, 1996) sentireascoltare 37 turn it on Aesop Rock - None Shall Pass (Definitive Jux, 2007) Genere: hip hop E c hi lo s c o r d a A e s o p R o c k c h e c o n i l s u o f l o w z i g z a g a n t e r u b a v a l e t t e ra l m ent e la s ce n a a i C a n n i b a l O x d u r a n t e i l t o u r d i T h e C o l d Ve i n ? A n c ora v i v i d o è i l r i c o r d o . L o s a p e v a m o c h e e r a u n g r a n d e m a c i a v e v a l a s c i ato lo s t es s o t u t t i a b o c c a a p e r t a . Q u e l l a s c i o l t e z z a , q u e l l a f a c i l i t à d i l i n g u ag gio, quella c o n s a p e v o l e z z a d e i p r o p r i e n o r m i m e z z i q u a s i s f r o n t a t a m a a l c ont em po ca r i c a d i r i s p e t t o . E p o i l ’ i n c o n f o n d i b i l e t i m b r o v o c a l e . E r a n o i t em pi del s u o t e r z o a l b u m , u s c i t o n e l 2 0 0 1 , q u e l c a p o l a v o r o c h e r i s p o nd e al nom e di L a b o r D a y s . È t r as c or s o u n l u s t r o e n e l f r a t t e m p o i l N o s t r o s i è t r a s f e r i t o d a N e w Yo r k a San Fr anc is c o , s i è a ff e r m a t o p r e s s o u n p u b b l i c o p i ù a m p i o e d h a p u r e i n c i s o u n d i s c o p e r l a N i k e s e n z a t u t t a v i a s p u t t a n a r s i , r e s t a n d o a s u o m odo un ar t is t a u n d e r g r o u n d . A e s o p , c o s ì c o m e f o t o g r a f a t o o g g i d a l s u o q u i n to full leng ht, è un arti s t a m a t u r o e p i ù m i s u r a t o , m e n o f u n a m b o l i c o e s b a r a z z i n o f o r s e m a b e n p i a z z a t o e s e m pre stilos issimo. Evid en t e c om e l’appor t o di c olleghi i n d i s c u t i b i l m e n t e b r a v i d i a q u e l q u i d i n p i ù a N o n e S h a l l P a ss . A prod urre u na b uo na m et à dei pez z i c i pens a Bl o c k h e a d , s u o u o m o d i f i d u c i a s i n d a l s e c o n d o a l b u m , i l q u ale svolg e u n la vo ro com e al s olit o egr egio: bas t a s en t i r e F u m e s e G e t a w a y C a r p e r r e n d e r s e n e c o n t o . D a s e g n a l are parecchi altri pe zzi: G un f or t he W hole Fam ily , pr o d o t t o d a E l - P ( p a r e i n f a t t i u s c i t o d a I ’ l l S l e e p Wh e n Yo u ’r e D ead) e po i 3 9 Th iev es , c on lo s t es s o bos s della D e f J u x i n c o m b u t t a a l m i c ; o p p u r e D a r k H e a r t N e w s , a c ura di un altro camp ion e della s c uder ia c om e Rob Son i c ( a p r o p o s i t o , n u o v o d i s c o i n u s c i t a p e r l u i p r o p r i o i n q u e sti giorni). E alla fin e, c on Cof f ee ( oc c hio alla ghos t t r a c k ) , c ’ è a n c h e s p a z i o p e r J o h n D a rn i e l l e d e i M o u n t a i n Goats, a suggellare un d i s c o c h e s i d i s t i n g u e r i s p e t t o a l p a s s a t o p e r l ’ u t i l i z z o d i u n a n o t e v o l e s t r u m e n t a z i o n e l ive mixata co n synth e c am pionam ent i ( as c olt at e No C i t y … ) . C i l i e g i n a s u l l a t o r t a l ’ a r t w o r k d i J e re my F i s h ( ! ) . U n rit orn o con vin ce nte dopo il non ent us ias m ant e Ba z o o k a To o t h e s e t t e p u n t i e m e z z o i n p i ù d a a g g i u n g e r e alla D ef Jux ne lla classific a c os t r ut t or i. Q ues t o è quel c h e s i s u o l d i r e u n b u o n l a v o r o d i s q u a d r a . ( 7 . 5 / 1 0 ) Alarico Mantovani 38 sentireascoltare pas s a g g i s e g r e t i . Sicuramente dedicato a tutti quelli che pensavano non avrebbero mai m es s o u n C D Tr o n i k s n e l l o r o l e t t or e. M e n t r e a c h i a v e v a g i à a v u to modo di apprezzare le 16 bitch, non molti per la verità, diciamo che le Nostre non si sono ammorbite, il loro suono si sta solo evolvendo in qualcosa di più terrificante ma ad un liv e l l o p i ù s u b l i m i n a l e . ( 7 . 2 / 1 0 ) Nicolas Campagnari 16 Bitch Pile-Up – Bury Me Deep ( Tr o n i k s , m a g g i o 2 0 0 7 ) Genere: noise isolazionista L e 1 6 Bitch Pi l e- up s o n o u n t r i o all-female ch e p r o v i e n e d a l l ’ O h i o , ha nn o alle spalle una dis c ogr af ia tanto stermin a t a q u a n t o d i d i ff i c i l e rep erib ilità, e s i t r ov ano a f ar us c ire p er la Tron ik s di Paul Blank ensmith s (The Cher r y Poi nt ) i l p r i m o CD co n u na t ir at ur a di “ ben” 1000 co pie (che p er gli s t andar d dell’unde gro un d ame r ic ano s ono un’enor mità). Ma n on aspe t t at ev i l’ennes im o autocompiacime n t o h a r s h - n o i s e t i p i c o della label so p r a c i t a t a , s i a m o p i ù dalle parti di u n c u p o i s o l a z i o n i s m o di sta mpo :z ovi et * f r ance e The Ha fler Tr io. I n e ff e t t i r i s p e t t o a l l e u scite pre ce dent i in c ui l’im pr ov v isazion e no ise f ac ev a la par t e del le on e, in Bury M e Deep c ’è m aggiore calcolo e p r e c i s i o n e , c o m e c i si aspe ttere bbe da un Al va Not o o da u n Ryoji I keda; pr endet e Some thin g Po ke Up c h e p a r t e c o n i l me tron omico bat t it o del c uor e per p oi incorp ora r e dur ant e la s ua c or sa suoni di ca m p a n e , l a t r a t i d i l u p i , per chiudersi c o n i l s o l o s u o n o d i un orologio a p e n d o l o , t u t t o c i ò b en e se mplifi c a ques t a m ut az ione: meno rumore m a u n s u o n o c h e s i fa se mpre pi ù m agm at ic o e t eneb roso. Opp ur e il t appet o di bas s e fre qu en ze Th e Dead Boy W ould No t Go Away, c h e p a r e u s c i t o d a l l o stu dio di u n Br i an Eno per iodo O n Land, sop ra i l quale s i s ov r appong on o picco le m iniat ur e di m us ique con crè te. Un a par ola pot r ebbe defin ire Bur y M e Deep: int ens o. Ripetuti ascolti a i u t e r a n n o a s c o p r i r e sempre nuove a r c h i t e t t u r e s o n o r e e A A . V V. – T h e K i n g s O f E l e c t r o (Rapster / Audioglobe, 24 settembre 2007) Genere: old school electro Nuova uscita per la pregevolissima s er ie T h e K i n g s O f … d e l l a R a p s t e r R e c o r d s . L’ e t i c h e t t a – a ff i l i a t a a l l a !K7- aveva già da tempo coniato il modello perfetto: doppio CD scelto e mixato da due personaggi culto delle rispettive scene che vanno a r iem p i r e i p u n t i n i d i s o s p e n s i o n e dopo il titolo. Questa volta tocca a due p r o t a g o n i s t i d e l l ’ e l e c t r o : P l a y gr oup e A l t e r E g o . L a c o s a c h e s o r prende di questa lunga selecta è il r ic hia m o c o s t a n t e a l l ’ o l d s c h o o l . Nel primo CD il ricordo si orienta più verso nomi black-80, vicini alla break-dance e alle sonorità hip-hop di Afrika Bambaata o delle prime s t r ee t c r e w, c o m e c o n i l s u p e r t u r nt abi l z m d i D y n a mi x I I , l a p s e u d o wav e i p n o t i c a d i M r & M rs D a l e , i l f unk r o b o t i c o d e i F e a rl e s s 4 , l e t a s t ier i n e o r i e n t a l e g g i a n t i d i R y u c h i Saka mo t o , l a c a v a l c a t a s p a c e y c h e pr elu d e a i ‘ 9 0 d i D e e e - L i t e . S u o n i v int a g e c h e p o s s o n o s e m b r a r e d a tati e naïf, ma che a guardar bene stanno tornando alla grande in qualsiasi genere: dal rock al pop, dall’h i p - h o p a l l a t e c h n o . Nel secondo CD si respira invece l’ar ia d e i p r i m i c l u b , d e l l e s p e r i m ent a z i o n i a c i d , s p e c c h i o d e l l a m u tazione elettronica degli anni ‘80: danc e c h e s i t r a s f o r m a i n t e c h n o , anima black che conserva le radici afro ma che spinge il confine contro le pa r e t i a s p e c c h i o d e l c l u b . I l s u o no s i s p e z z a e c o m p a i o n o l e p r i m e figure che porteranno il germe alla m at u r a z i o n e : M a u ri z i o ( c o n l a s t o r ic a h i t M 4 , p u l s a z i o n e b a s e p e r q u a l s i a s i D J ) , P l a s t i k ma n , i primi s e n t o r i d e l m i n i m a l i s m o ch e o r m a i è v e r b o t e c h n o ( l a s t u p e nd a M i n u s d i R o b e rt H o o d e l e i n c u r si o n i su p e r f i l t r a t e d i D o p p l e re f f e k t ) e a l cu n e p u n t a t i n e s u l c l u b b i s m o più soul (Jupiter Jazz). I n d u e o r e è d i ff i c i l e r i a s s umere più d i v e n t ’ a n n i d i c u l t u r a m u sicale; qui s i v a a l l a r i c e r c a d i c h i c c h e n a sco ste, pezzi più o meno underground c h e c o s t i t u i s c o n o u n a b u on a i n tr o d u z i o n e p e r i n e o f i t i e u n a b e l l a r a cc o l t a d i r i c o r d i p e r c h i m a ngia onde s i n u s o d i a l i a c o l a z i o n e . ( 7 .0 /1 0 ) Marco Braggion A A . V V. – B o x e r 5 0 J u b i l e e (Boxer Recordings / Family Aff a i r, 2 1 s e t t e m b r e 2 0 0 7 ) Genere: compilation minimal technodreaming G r a n d e f e s t a i n c a s a B o xe r p e r i l c i n q u a n t e s i m o a l b u m i n uscita. L’ e t i c h e t t a u b e r m i n i m a l di Colonia c i s f o r n a u n d o p p i o d i c l a s se mixato d a l l e s a p i e n t i m a n i d i F r a nk M a r tiniq. M o l t i i n o m i i m p o r t a n t i s ia sul mix c h e s u l l ’ o r m a i c l a s s i c o bonus CD d i r e m i x : l a t r a n c e o n i r i c a d i We s s l i n g & S c h ro m, i l m i n i m a l i sm o d i Z e n t e x , l ’ i n c u r s i o n e n ell’acid di H a n d y c ra f t , l e r i v i s i t a z i o ni acide di G u i B o ra t t o , l a p r o g r e s si vi tà à l a Vi b ra s p h e re d i M . A . N . D . Y., l o sci ccosissimo remix di Michael Meyer ( c h e r i c o m p o n e A d r i a n o , la traccia c o n c u i h a p r e s o i n i z i o l ’ avventura B o x e r ) e i l r i c o r d o a n n i ‘ 80 d i The S h o c k , f a n n o d i q u e s t o doppio un g i o i e l l i n o d i s t i l e m i n i m a l ch e ci r i v e l a c o m e g i à s e t t e a n n i fa q u a l cu n o s t a v a m u t a n d o i n c o n sciamente sentireascoltare 39 (?) le sorti d ella ca s s a- Det r oit , at traverso sonorità ra r e f a t t e , c a m e r e met allizza te pe r cy ber m aniac i del danceflo or, pu r con s er v ando un’at titudi ne pienamente i n d i e , u n o s t i l e che in molti p assa ggi s i av v ic ina alla soft-trance onir i c a , a l l o s b a l l o da decompressione. Uno degli slogan ch e r i c o r r e d i p i ù nei blo g è: “se n on è m inim al non è techno, se non è t e c h n o n o n è minimal”. Questa c o m p i l a t i o n l o riconferma in p ien o. I l 2007 c om e anno b ipo larme nte n u- s oul e m inimal. Gli estremi che s i t o c c a n o . U n bookm a rk pe r le n uov e gener az ioni. 50 di questi disc h i , c a r a B o x e r. (7. 2/1 0) uggioso al limite del malinconico a far propendere l’ago della bilancia a f av or e di R a i n y D a y s . ( 7 . 0 / 1 0 ) Stefano Pifferi Massimo Padalino Marco Braggion Airportman – Rainy Days (Lizard / Audioglobe, giugno 2007) Genere: post post-rock? I qua ttro ae rop ortuali piem ont esi propongono come d a t i t o l o u n a musica da giorni d i p i o g g i a e l o fanno con la n on c om une c apac ità di tocca re le co rde più s ens ibili del l’ascoltatore. M u s i c a i n p u n t a di st r u men to ch e per s em plif ic ar e definia mo po st-ro ck, m a c he è ben lungi d all’e ssere la s em plic e r ipr oposizio ne d i q ue i suoni c he nel decennio sco rso fecer o gr idar e alla ennesima morte (o r i n a s c i t a , c h e è la stessa cosa) del r o c k . Colonna sonora im m a g i n a r i a e d ideale p er bru mose gior nat e nella pianu ra d ell’Oltre pò , c onc ent r at o di em ozion i sussu rr at e per aut unnali tra mon ti, Rainy Days e s a l t a l e doti stru men tali de l quar t et t o dis egnand o lan de d i q uiet e or a f olk y, ora ind ie, o ra a l lim it e del c ant autorato afo no . C’è inf at t i m olt o della musica che hann o ( e a b b i a m o ) amato negli ultimi an n i n e l l e f r e c c e di quest’album: melo d i e s o ff o c a t e e deser tich e a mbizion i, ec hi s ognanti e u mora li d i Sm og e T h e P a p e r C h ase , pa esag gi a c us t ic i am plif icat i da glo cken sp iel e f is ar m oniche, lievi increspatu r e e l e t t r o n i c h e , strugge nti e fun ere e nenie ( O c t ober, u na de lle vette dell’album ) . Ma è la maturità d e i q u a t t r o n e l saper coniugare qu e s t i l i n g u a g g i verso un mo od in tim o e per s onale, te, caldo, africano. Disco armonic a m e n t e r i c e r c a t i s s i m o . P a r e nte s t r e t t o d e l l a 4 t h Wo r l d M u s i c d i J on H a s s e l l . D i s c o i n t r i s o d i u n a sp i r i t u a l i t à a n t i c h i s s i m a , a n c e s t r ale. (7.5/10) Alejandro Franov – Khali (Staubgold, 2007) Genere: world Ar gent ino, 3 5 e n n e , A l e j a n d r o F r a nov ha già alle sue spalle una carriera discografica onorevole. Innanzitutto come collaboratore di Juana M ol i n a , i n b e n t r e d e i s u o i bei album ( S e g u n d o , Tre s C o s a s e Son) , e i n s e c o n d a b a t t u t a c o n t ant e alt r e t e s t e ( m u s i c a l i ) p e n s a n t i della c on t e m p o r a n e i t à ( L i l i a n a , Her r er o, F e rn a n d o K u b a s a c k i , M ono Font a n a e c c ) . K h a l i è s e gnato dall’incrociarsi, ed ibridarsi, dei s uoni d i t r e s t r u m e n t i d i v e r s i. O gnuno p r o p r i o d i u n d i ff e r e n te continente: mbira (Africa), sitar (india) e l’arpa paraguaiana. Khali è anc he un a i s o l a c r o a t a , d o v e i l nonno dell’autore è nato, ed uno dei cicli della musica Hindustani. Il s uono c he d a l l a v o r o s g o r g a f u o r i r im anda, i n e v i t a b i l m e n t e e f e l i c em ent e, a l l e m u s i c h e d e l M a l i , a quelle degli indios centroamericani e ai raga indiani. Qualche chitarra di contorno, qui e là una tastiera, giochi di voce al femminile talvolta (Lea Franov) e l’ibrido prodottosi, c om e nel c a s o d i G a n d a n g a , a s s u m e il v olt o d i u n a s o r t a d i m i n i m a l i s m o et nic o. U n P h i l i p G l a s s s p a r s o fra una miriade di spezie esotiche. Tuonam i D i a b a t e , s o m m o a r t i s t a africano, potrebbe anche fungere da riferimento specifico (un brano c om e Pas a n d o E l M a r ) n e l l i r i s m o c os ì s off ic e m e n t e , e s o ff u s a m e n - Amor Fou – La stagione del cannibale (Homesleep, ottobre 2007) Genere: elettronica A l e g g e r e i l n o m e d e i m u s i cisti c o i n v o l t i n e l p r o g e t t o A m o r F o u ci si r e n d e c o n t o , a n c o r p r i m a d i s c h i a cc i a r e p l a y s u l l e t t o r e , d i q u e l l o a cui s i a n d r à i n c o n t r o c o n L a s t a g i one del cannibale: un cantautorato eleg a n t e , f o r t e m e n t e “ l e t t e r a r i o ” , dal p a s s o l e n t o m a r a ff i n a t o , v e n a t o da s t r i a t u r e e l e t t r o n i c h e . U n a m u s ica i n e v i t a b i l m e n t e l e g a t a a l c a r a tte r e d e i s i n g o l i , c h e i n q u e s t o c aso h a n n o i l n o m e d i C e s a re M a l fa t t i ( L a C r u s e T h e D i n i n g R o o ms), A l e s s a n d ro R a i n a ( e x f r o n t man d e i G i a r d i n i d i M i r o ’ e p a r o l i e r e di i n t e r e s s a n t i p r o s p e t t i v e ) , L e z i ero R e s c i g n o ( m u l t i s t r u m e n t i s t a c o ll a b o r a t o r e d i F r a n c e s c o D i B e l l a dei 2 4 G r a n a e M a r a R e d i g h i e r i d egli U s t m a m o ’ ) e L u c a S a p o ri t i ( t i t o l a re del progetto Lagash). Nelle undici tracce del disco si parla d’amore. Un rapporto di coppia c o n s u m a t o s i t r a S e s s a n t a e S e tt a n t a c h e è a n c h e u n a s t o r i a d i ab b a n d o n i e r i t o r n i , p a s s i o n i e c on f l i t t i , n o n c h é i l p u n t o d i p a r t e nza p e r u n a r i f l e s s i o n e s o c i o l o g i c a su q u a r a n t ’ a n n i d i v i t a i t a l i a n a . Vi s su ti d a i d u e p r o t a g o n i s t i t r a d i ff e r e nze d i c l a s s e , i n f a t u a z i o n i p o l i t i c he, s p i n t e c u l t u r a l i , d o v e r i e m e s ch i - turn it on A m a r i – S c i m m i e d ’ a m o r e ( R i o t m a k e r / Wa r n e r M u s i c , o t t o b r e 2007) Genere: soulgazing pop hip “In fon do ti av ev o av v er t it o, dic ev i c he s ar e b b e a n d a t o t u t t o b e n e … ” A p p un ti di viag gio dal pr es ent e off - c ant aut or a l e i t a l i c o . S e t t e a n n i d i A m a ri. Sette a nn i lungo t ut t o lo s t iv ale. Lo s c o r s o a n n o p o i , h a n n o b i s s a t o l’e xp loit ind ie degli O ff laga in quant o a ban d c o n p i ù d a t e e a ff l u e n z a d i pubblico; ogg i , q u e s t o è i l d i s c o d e l l a m a t u r i t à , q u e l d i s c o c h e f a p a u r a a tutti. Stacca r e o f a r s i t r a v o l g e r e . E l a g e n t e c h e d i c e : n o n c ’ è g a r a c o n l’a rrog an za e la pr opos it iv it à dei due pr ec e d e n t i . D o p o i p r i m i v a g i t i c o n Apothek e e Cor por al i , G am er a è s t at a la sp e r i m e n t a z i o n e , G ra n d M a s t e r Mogol il bo tto pop. E or a? Adoles c ent pop f a t t o d a t h i r t y s o m e t h i n g b o y s . Non servono p i ù l e p r o v e d i f o r z a s p e r i m e n t a l i , n o n s e r v e s t r a f a r e , g l i Amari convert o n o l a s c u o l a r o m a n a m a s t i c a n d o N o r d - E s t e p o s t h i p h o p , r i u s c e n d o a f a r e q u e l c h e n o n ti aspetti: n on u n’a ltra m anc iat a di c olor at is s im e c ar t o l i n e d e l “ p r o p r i o c o m e a l l o r a ” ( C o n o s c e r e g e n t e s u l t r e n o u ber alles), ma un po ’ d i quel “ poi” da v ec c hi/ giov ani c h e a s c o l t a n o l a t a r d o a d o l e s c e n z a c o n d i s t a c c o , m a c o n i m m e n se vo ra gin i di n ostalgia. “ Q uant i am ic i ho per s o n e l l a n e b b i a ” , “ v o r r e i c o n o s c e r t i t r a q u i n d i c i a n n i ” e n a t u r a l m e n te tu tti q ue i “e se…”, più s ot t ot r ac c ia c he t r ac c iat i. I l r e v i v a l b u o n o i n s o m m a . L’ i m p i a n t o a g r o d o l c e a l i t a d i e t r o la nuca e la musica ch e ne es c e è più v iv a c he m ai, c o n l ’ e l e t t r o a g r a ff i a r e q u a n d o s e r v e , i g r o o v e a m u o v e r t i l e g a m b e , i l to cco ro ckista nella s t anz a da let t o e le pir o e t t e c a m p - p e r c h é n o - p e r i l p u b b l i c o p i ù o m o s e x ( c h e f u rb a str i …) . Meno plastici e g a i , P a s t a e D a r i e l l a r i e s c o n o a m a n t e n e r s i l e g g e r i i n u n m o d o n u o v o , u n p o ’ c o m e i personaggi d ella le ttera tur a c ont em por anea giappones e . L e s t o r i e d i B a n a n a Yo s h i m o t o o d i H a r u k i M u r a k a m i . Q u e ll e d e scr i zion i d i u n attim o. La bellez z a diabolic a de i d e t t a g l i ( “ n e s s u n o d i n o i a v r à p i ù c a m i c i e s t i r a t e … … Q u an to l e h o sog na te”). E n at ur alm ent e quel t oc c o naï f c o m e d o v r e b b e e s s e r e : u n p o ’ B e r s a n i ( m a s e n z a s p o c c h i a ) e u n p o ’ Ba ustelle (ma s enz ’es s er i s olit i m audit , pe r d i o ) . L a c u t e g e n e r a t i o n i t a l i a n a t r o v e r à n e g l i A m a r i i s u o i a l fi e r i . L i ha già incontr a t i , è v e r o . O r a ( g r a z i e a n c h e a u n a d i s t r i b u z i o n e m a j o r ) l i c o n s a c r e r à m e t t e n d o l i c o m e uno scudo stella re pe r tu t t o c iò c he è adult o… e s ar à u n c a s i n o , s a r à u n a n u o v a s t a g i o n e i n t i m i s t a , p u r o c o n c e n tr a to so u l g azing . Prima ch e tu tt o c iò ac c ada, i nos t r i her oes c o n v e r t o n o t e m p o e s p a z i o i n u n m i s t o d i s y n t h p o p a l c o mp r e sso r e , indie Ottanta e N o v a n t a e u n a n d a m e n t o d a b - b o y e m o z i o n a t i , d a s c i m m i e i n a m o r e ( s i n g o l o e r i t r a t t o fauve di n oi voi tu tti). È il t op ar t is t ic o e neanc he a d i r l o , i l s i n g o l o L e g i t e f u o r i p o r t a l o f i s c h i e t t i a m o g i à t u t t i . L o ste sso , ved rete , acca dr à c on t ant e alt r e c anz oni d i q u e s t ’ a l b u m , p e r c h é è s o l o u n r a ff r e d d o r e . N o n è s a n g u e di naso. Ve dra i fra q ua lc he gior no non c i f ar ai più c a s o . P e r q u e s t o s c a p p a v i a . ( 7 . 5 / 1 0 ) Edoardo Bridda e Marco Braggion sentireascoltare 41 nità. A dar spessore a l l e p a r o l e u n elet t r op op so gn an te, m alinc onic o, liquor o so , vicin o per indole alle leggere zze de i No t w i st , dec or ato da nuvole di chi t a r r a e t a s t i d i pianofo rte, solcato da v oc i s uadenti e cornici sintetich e . U n a m u s i c a che guadagna in fam i l i a r i t à a s c o l t o dopo a scolto , q ua nd o anc he i det tagli più nascosti ve n g o n o a g a l l a , e che n elle fin ali L’anno luc e e L a S t rag e – si pa rla di quella di Piaz za Fontana - raggiun g e f o r s e i l s u o zenit h q ua litativo. (7 . 0/ 10) Fabrizio Zampighi I n ques t o n u o v o e p i s o d i o i t r e s e m brano procedere per sottrazione, gioc ando c o n s i l e n z i e p a u s e , v u o ti pneumatici in cui far riverberare anc or più p r e p o t e n t e m e n t e i b r e v i momenti di presenza che danno il t it olo al lu n g o f l u s s o s o n o r o . R i c hiedono c o i l o r o s p a s m i l ’ a t t e n zione dell’ascoltatore, costretto a vedere con l’orecchio frammenti di s uono, s f ila c c i a m e n t i d i n o t e , a b o r ti di strofe che assumono il proprio s ens o s e v i s t i c o m e c o n t i n u u m c o n i v uot i. La stimolante sensazione che se ne ha è quella d i u n a v e r s i o n e o l t r e jaz z dei 4’3 3 d i c a g e i a n a m e m o r i a o una r ilet t u r a d i c e r t i m o m e n t i r i ley ani in c h i a v e a n a t r o j a z z . L a c e r t ez z a è c he g l i A n a t r o f o b i a h a n n o eff et t uat o su l “ j a z z ” l o s t e s s o p e r corso che gli Starfuckers/Sinistri eff et t uar ono m a n d a n d o I n f ra n t u mi il r oc k . Ent r a m b i , o v v i a m e n t e c o n ec c ellent i r i s u l t a t i . ( 8 . 0 / 1 0 ) mani esperte? Diciamolo subito Set T h e Wo o d s O n F i re n o n s o d d isfa l e a s p e t t a t i v e . N o n c h e s i a u n b r u tt o d i s c o : m o l t e c a n z o n i ( I T h o u ght I Wa s F r e e , S e t T h e Wo o d s O n Fi r e e T h e G a m e ) s o n o d i o t t i m a p r esa c o n f e r m a n d o l ’ i s p i r a t a v e n a c r e ati v a d i O r e n d a F i n k . M a è t u t t o qui. N o n c o l p i s c e . N o n a g g i u n g e n i en t e d i n u o v o . L e c a n z o n i s o n o t utte a d a g i a t e s u u n t a p p e t o t r a d i z i o na l mente folk che sa tanto di manier i s m o . C i ò c h e n e s c a t u r i s c e s on o i r e c e n t i t r a s c o r s i d e l l e A z u r e R ay, q u a l c h e t i m i d a d e r i v a p o p a l l a Fe is t e s o p r a t t u t t o q u e l g u s t o m e l od i c o p r o p r i o d e i C a rd i g a n s . I l t utto m i s c h i a t o e c o n d i t o c o n u n f a r e fin t r o p p o a n t i c o e p r e v e d i b i l e . F o sse stato un disco solista avremmo potuto pensare, almeno, che qualcosa in futuro potesse cambiare. Ma così… (5.2/10) Andrea Provinciali Stefano Pifferi Anatrofobia – Brevi momenti di p r e s e n z a ( Wa l l a c e / A u d i o g l o be, ottobre 2007) Genere: anatrojazz S ono ce nte llina ti i m om ent i di pr esenza ch e g li Ana tr of obia dis pensano a l me rca to mus ic ale, m a degni della più totale a t t e n z i o n e . I n partico lare qu an do , c om e nel c as o di Br ev i m om e nti d i pr esenz a, l o scart o d alle pre ce de nt i pr ov e è notevole. Un un icu m s u d d i v i s o i n 1 4 tracce frutto d i u na s es s ione di r egistrazione in presa d i r e t t a i n c u i i tre (la chitarra di S a s s i n o n è p i ù della partita) presci n d o n o d a o g n i sovrain cision e. P rescin do no pe rò i c anav es i, anche da loro stessi, a ff i d a n d o s i n o n più unicamente alla l o r o p e c u l i a r e sintas si ja zz, ma ri f er endos i quasi alla colta con tem por anea. E lo fanno consapevolme n t e a l l a l u c e d i un percorso orma i q uas i dec ennale che li h a visti e li ve de t ut t or a t r at tare la materia fino a p l a s m a r l a a propr io p iacimen to. 42 sentireascoltare Art In Manila – Set The Woods On Fire (Saddle Creek, 7 agosto 2007) Genere: indie-folk Dopo lo s ci o g l i m e n t o d e l l e A z u r e Ray av v en u t o n e l 2 0 0 4 , O r e n d a Fi nk – la m e t à d e l d u o – , i n t r a p r e s e una br e v e c a r r i e r a s o l i s t a c h e la condusse alla pubblicazione del debut t o The I n v i s i b i l e O n e , s e m pr e pr es s o l a S a d d l e C r e e k , o n n i comprensiva etichetta di Omaha, Nebr as k a. D u r a n t e i l t o u r p r o m o z ionale del d i s c o l a N o s t r a s i a c c or s e, gr azi e a l l ’ a c c o m p a g n a m e n t o strumentale di molti amici/colleghi t ut t i gr av it a n t i i n t o r n o a l l ’ e t i c h e t t a succitata, che la veste di solista le calzava stretta. Ecco così nascere gli Ar t I n M a n i l a . E c c o c o s ì n a s c e re una piccola sintesi di molte band della Saddl e C r e e k . I n f a t t i a d a f f ianc ar e la F i n k c i s o n o m e m b r i d e i G ood Li f e, M a y d a y , B ri g h t E y e s e Neva Di n o v a . S e n z a c o n t a r e a n c he alt r i m e m b r i d i b a n d c o m e T h e Anni ver sar y , L i t t l e B ra z i l , D a n ce M e Pr eg n a n t , n o n p r o p r i a m e n te colleghi di etichetta. Ora, come non as pet t a r s i i l m e g l i o d a u n s i f fatto album composto da così tante B a b y s h a m b l e s - S h o t t e r ’s N a tion (Capitol, 12 ottobre 2007) Genere: pop’n’roll I l t i t o l o n o n d e v e i n g a n n a r e . S h ot t e r ’s N a t i o n c h e t r a d o t t o d allo s l a n g s i g n i f i c a “ l a n a z i o n e d eg l i s p a c c i a t o r i ” , è i l p o s t D o w n I n A lb i o n . N o n i l c a p i t o l o s u c c e s s i v o ma un nuovo libro. Un lavoro che si dir e b b e m a t u r o , f o r m a c a n z o n e d en tro i ranghi, partiture anche comp l i c a t e , r i ff o r a m a e c a m b i t e m p o , pulizia formale. L a s c i a t o s i i l c l a u d i c a n t e d e b u tto a l l e s p a l l e a s s i e m e a i v e c c h i t e ssitori (Mick Jones dei Clash, il dis c r e t o P a t r i c k Wa l d e n a l l a c h i t a rra, a n d a t o s e n e n e l 2 0 0 5 p e r p r o b l emi di eroina…), un Pete ripulito in- traprende un c o r s o p o p p u n k ’ n ’ r o l l d al restylin g m olt o pr of es s ional. C’è Stephen S t r e e t ( S m i t h s , B l u r e Kaiser Chiefs ) d i e t r o a l d e s k e s i sente, ma c’è u n b e l b u c o ( e n o n sul b raccio qu es t a v olt a) : Deliv er y, singolo apripi s t a , t r a p r i m i K i n k s a un ritornello n o r m a l i z z a t o ( p i ù c o d a q ua lun qu ista ) , è m oder nar iat o per fe tto pe r l’IPo d, non l’hit più o m eno g en era zio na le Fuc k For ev er . In sostanza, i l p r o b l e m a d e i n u o v i Babyshamble s s e m b r a p r o p r i o u n fa ttore d ’attitu dine e c ont r ollo: s uonano con il m o t o r e d i u n a m a c c h i n a a pp en a u scita dal c onc es s ionar io, quando a gui d a r l a c i s o n o s e m p r e i soliti d rog ati. Sono t ut t i c int ur at i p erò , e cco pe r c hé il gioc het t o v ocale a ttorn o a You Talk n e l c l a s s i c o rh yth m’n’b lue s è s t uc c hev ole, il s alisce nd i d i Un s t ook ie Tit led aut om atico, il ja zzino Ther e She G oes u n d ive rtisseme nt per pr ender f iat o. Neanche il D o h e r t y 2 . 0 è p e r ò u n manichino, qu a l c o s a l a d i c e e n o n è ta nto il bra no Side O f t he Road ( un tra sch pu nk s guaiat o e goliar dic o ripescato da u n a v e c c h i a s e s s i o n assieme a Ba r a t ) q u a n t o u n d o l c e a nth em, Bad dies Boogie, a r egalarci qualcosa a s s i e m e a l l a v a l i d a De ft Le ft Han d ( f u n k s v a g a t o d a l sap ore cab are t t is t ic o) e L o s t A r t O f Mu rde r (una b a l l a d c o n l ’ i d o l o f o l k in gle se Ber t Jansch) , il f inale ideale tra autobi o g r a f i s m i e s q u a r c i d i vita bruciata. Sono gli epi s o d i m i g l i o r i d i u n a ba nd ch e p un t a ad allar gar e l’audience (la ro c k b a l l a d c a n o n i c a Unb ilo Titled ) . A f ar s i un f ut ur o ( le cla ssich e manier e r oc k di F r e n c h Dog Blu es). D el r es t o una r oc k s t ar non prende S t e p h e n S t r e e t a c a s o e Glastonbury c e l ’ h a r i v e l a t o : p e r Pete è l’ora d ’ i n i z i a r e u n a c a r r i e r a , una fortuna p e r l a s u a s a l u t e e u n a bad news per c h i a m a v a l ’ A l b i o n e ch e b rucia. (5 . 5/ 10) Edoardo Bridda B a n d O f H o r s e s – C e a s e To B e gin (Sub Pop / Audioglobe, 9 ottobre 2007) Genere: indie-pop L’unica cosa c h e n o n d o v e v a n o fare e ra arre nder s i all’aut oc om pia- c i m en t o . E d è p r o p r i o q u a n t o h a n n o f at t o. D e t l e f S c h r e m p f è u n a c a z z o di ballad compiaciutissima e non è l’unic a a h i m é . E n e l l ’ e c o n o m i a d i un di s c o d i 1 0 p e z z i n o n s i p o s s o no spendere tre cartucce in questo m odo . N o p e r c h é M a r r y S o n g è u n gr an p e z z o a n c h e s e è u n o s c i m m iot ta m e n t o p a l e s e d e g l i S h i n s s enz a a v e r e l a l o r o c l a s s e , e O d e To LR C è u n a b u o n a t r a c c i a a n c h e s e pu z z a d i B u i l t To S p i l l d ’ a n n a t a , e No O n e ’s G o n n a L o v e Yo u è u n a grande ballad commovente degna di stare nel loro primo disco, che diciamocelo, aveva tutt’altra grinta e t ut t ’ a l t r a i s p i r a z i o n e . Sì pe r c h é Wi c k e d G i r l e r a u n p o ’ I n t er po l m a a v e v a c a r i c a d a v e n d e r e , The F u n e r a l a v e v a d e l l e a p e r t u r e s onor e p o r t e n t o s e e T h e G r e a t S a l t Lak e e r a s e m p l i c e m e n t e u n a g r a n de c a n z o n e . E ’ t r i s t e p e n s a r e c h e il de b u t t o d i E v e r y t h i n g A l l T h e Ti m e a v v e n i v a s o l o l ’ a n n o s c o r s o , m a qu e s t o C e a s e To B e g i n s i g u a r da al l o s p e c c h i o e s i s o r r i d e a m miccante, ed è tutto quello che sa f ar e. ( 4 . 9 / 1 0 ) Alessandro Grassi c u p . c o m / ) . I l n o d o d e l l a f accenda è t u t t o q u i , d a q u e l l e p a r t i è r a cch i u s a l a b o n t à d e l p r o g e t t o Beirut, la s u a p e c u l i a r e v a r i a n t e r ispetto ai l a v o r i d e i c a p o f i l a d e l m o vi m e n to q u a l i J e r e m y B u r n s e ( a l a to ) Matt E l l i o t t , l a f a s c i n o s a s e n s ibilità pop c h e l o c o n t r a d d i s t i n g u e , l ’attitudine a p o l i d e / s t r a d a i o l a c h e l o alimenta. G i r a t o a B r o o k l y n , è p r o b abilmente N a n t e s i l c l i p a s p i c c a r e p e r r e sa a c u s t i c a e v i s i v a : Z a c h sce n d e l e s c a l e d ’ e m e r g e n z a d i u n a p a l a zzi na industriale intonando una ballat a n e l l o s t i l e d e l P a t ri c k Wolf più dolente e intimista. Piano dopo pian o , p a s s o d o p o p a s s o , l a canzone i n c o n t r a i s u o i m u s i c i s t i d iventando s e m p r e p i ù c o r p o s a . P r i ma chitarra e v i o l i n o , p o i i l t r i o d i f i ati, infine l a f i s a r m o n i c a e l a b a t t e r i a . Fa n ta s t i c o . C ’ è t u t t o l ’ a ff l a t o l i ve ch e ci v u o l e e l a p e r f o r m a n c e di Condon è s e m p l i c e m e n t e m a g n i f i c a . Im p a r i a m o c h e d i N a n t e s c ’ è u n a ta ke p r e c e d e n t e p e r n u l l a m a r ziale e su d i s c o c e n ’ è u n ’ a l t r a a n c or a d i ve r s a c o n u n a p i a n o l a r e g gae style, u n a n d a m e n t o p i ù l i n e a r e ( b a tte r i a s c h e m a t i c a , l a t r o m b a in docile c o n t r a p p u n t o ) e u n a s e z i o n e d ’ o tto n i p i ù c o m p o s t a . T h e P e n a l i ty (e gli a l t r i v i d e o ) c o n f e r m a n o : è come se i n s t u d i o t u t t o s i f o s s e r a ffr e d d a to o p e g g i o - i b r a n i s i a s s o mi g l i a sse r o . I n q u e s t ’ u l t i m o v i d e o , catturato i n u n p a r c h e g g i o ( i n p r e sa diretta p i ù c h e m a i ) , v o c e e u k u l el e i n so l i t a r i o p e r i l p r o d i g i o e l ’ e n semble da s t r a d a i n a c c o m p a g n a m e nto b a n d i s t i c o . Tu t t i i n p a s s e g g i a t a co n l ’ a u d i o c h e v a e v i e n e , m a l a vibrazione è p a p a b i l e . È c o m e e s s ere li con l u i . L a c a n z o n e è v i v a . S u d i sco , l a b a s e s ’ è t r a s f o r m a t a i n u n va l z e r e d i v a l z e r c e n e s o n o p o i ta n - Beirut - The Flyng Cab Cup (Ba Da Bing / Goodfellas, 9 ottobre 2007) Genere: folk-pop mediterraneo Per a c c o m p a g n a r e i l n u o v o l a v o r o, Z a c h C o n d o n e l a s u a b a n d d a strada “allargata”, hanno girato per New Yo r k u n a s e r i e d i v i d e o c l i p r i gorosamente homemade. Pare che lo scopo sia quello di filmarne uno per ogni canzone e attualmente quell i d i s p o n i b i l i s o n o s t a t i r a c c o l t i in un s i t o d e d i c a t o ( h t t p : / / f l y i n g c l u b - sentireascoltare 43 tissimi altri, tutti un p o ’ i m b r i g l i a t i . C ’è il risch io che Fl y ing Cup a n n o i gli scafati mediterra n i s t i f r u s t r a n d o propr io l’ap pe tito liv e c he da s em pre li co ntra dd istin gue. D ’altro can to, è inn egabile c he a favore d elle tracce in s t udio c ’è il bel lavoro d ’archi di O w en Pal lett (Final Fantasy) , g e n e r a l m e n t e presen te a mo’ di v alor e aggiunt o (l’at t acco d i In The M aus oluem , ) ma do mina nte in U n Der nier Verre (P ou r L a Rou te), u n a t r a c c i a s u base jazzy da l fasci no c hans on s ublimata dall’orchest r a z i o n e . E p o i c’è la qualità della s c r i t t u r a : Z a c h ha dichiarato di ave r a s c o l t a t o u n sacco di Brel e can z o n e f r a n c e s e prima di comporre il d i s c o , c o m e d e l rest o i Flying Cab so no i palloni aerost atici all’in tern azionale di Par igi degli anni ’10 che i l n o s t r o a v e v a visto in foto. Non a s p e t t a t e v i c o s e tipo Ne me qu itte p as ( l a s e n s i b i l i t à passa comunque att r a v e r s o Wo l f o Wainwrigh t) ma b el le epopee c orali/ t asca bili qu elle s ì . I nt elligent e poi lo spostamento v e r s o O v e s t c o n le em b lema tich e Fo r k s a n d K n i v e s e S t . Apo llon ia a pre f er ir e f is ar m onica e xilofono alla t r a c o t a n z a d e i fiati. Fatevi i vostri c o n t i e s e a v e t e pochi soldi spendet e l i a l c o n c e r t o . C ondo n co mun qu e è un gr ande. (7. 0/10 ) Edoardo Bridda B e n j a m i n B i o l a y - Tr a s h Y é Y é (Virgin / Emi, 21 settembre 2007) Genere: nuova chanson d’autore Potenzialmente, Bio l a y è u n o c h e può far diventare ve r d i d a l l ’ i n v i d i a : bello e talentuoso, o c c u p a s a l d o una posizione di ass o l u t o r i l i e v o t r a le nu ove g en era zio ni di “ c hans onniers” fran ce si. Lio nes e e c on un background di studi c o n s e r v a t o r i a l i (eviden ti n ell’e cle ttis m o s t r um ent ale e nel gusto con c u i a r r a n g i a g l i archi), s’è affacciato a l l a r i b a l t a c o n discre zio ne , scriven do e pr oduc endo per Ker e n Ann, Henr i Sal vador e Ju liette Gr éc o. Giunge qui al quart o a l b u m , d o p o aver brillantemente s u p e r a t o d u e anni or sono la diff i c i l e p r o v a d e l 44 sentireascoltare terzo, il quale resta nondimeno il s uo apic e i n s u p e r a t o . L o h a f a t t o però dubitare l’autore, fino a una buona m et à a b b o n d a n t e d i s c a l e t t a in c ui non s i b u t t a v i a n i e n t e , d a l la s t at ic a, o m b r o s a L a G a r ç o n i e rr e c he r inn o v a S e rg e G a i n s b o u rg (un mito per Biolay: gli si crede, eccome) all’autentico capolavoro di ballat a d a c a m e r a L a C h a m b r e D’Am is , a l l a s c a n s i o n e m o d e r n i s t a s ot t o Doulo r e u x D e d a n s a u n a R e gar der La Lu m i e r e c h e d i c i s o t t r a t t a a un Songs O f F a i t h A n d D e v o t i o n più r om ant ic o . S p l e n d i d o a t a l p u n t o, e non è d a m e n o q u a n t o g l i f a c om pagnia i n u n ’ a z z e c c a t a s i n t e s i t r a pr es ent e e f u t u r o . Per ò: s uc c e d e c h e d a l s e n s a z i o n a le pic c o int i m i s t a s o p r a m a g n i f i c a to, il “trash” del titolo si imponga d’un tratto e appesantisca quasi tutti i brani che lo seguono. Non si p u ò r e s t a r e i n d i ff e r e n t i e s o r d i d i f r ont e al bo l s o d i s c o - r o c k Q u ’ e s t c e Q ue ç a P e u t F a i r e , a l l o s t u c c h e v ole av v it ar s i p r i v o d i c e n t r o C a c t us Conc er t o , a u n p o p l i n e a r m e n t e m odes t o c h e s i r e d i m e s o l o c o n l a m or bida Lai s s e A b o y e r L e s C h i e n s e in una s ec o n d a m e t à d i D e B e a u x Souv enir s c h e u n i f i c a N i c k D ra k e e M om us. U n p o ’ t r o p p o i n e g u a l e Tr as h Yé Y é , p e r r a c c o g l i e r e p i ù di una pr om o z i o n e c o n r i s e r v a , d i quelle che fanno benedire il tasto di av anz am e n t o v e l o c e d e l l e t t o r e; pec c at o , p e r c h é d i c a n z o n i s e duc ent i o s l a n c i a t e c o m e D a n s L a M er c o Benz e B i e n Av a n t n o n s e ne ascoltano ogni mese. Che t’è pr es o a un c e r t o p u n t o , B e n j a m i n ? ( 7. 0/ 10) M a p e r c h é d o p o d o d i c i a l b u m in s o l i t a r i a , i l p i ù r e c e n t e d e i q u ali, i l d o p p i o F a s t M a n R a i d e r M an, r i s a l e a d d i r i t t u r a a l 2 0 0 6 , e d opo l’annunciato tentativo (mancato?) di riunire la sua vecchia band in s t u d i o d o p o u n t o u r c h e h a f atto sobbalzare i cuori dei fans più nos t a l g i c i , C h a rl e s T h o mp s o n I V si p r e s e n t a o g g i s e m p r e c o m e s o l ista m a c o n i l s u o p r i m o n o m e d ’ arte B l a c k F r a n c i s , p r o p r i o q u e l l o u s ato c o n i P i x i e s ? C h e s i a g i à u n p r im o passo di avvicinamento alla reunion tanto attesa, oppure, al contrario, un segnale per annunciare l a t o t a l e r i n u n c i a a t a l e p r o g e t to? M i s t e r o . C i b a s t i s a p e r e p e r ò , che Bluefinger (dedicato al pittore e musicista olandese Herman Brood), r i s p e t t o a l l e d e r i v e c o u n t r y, b l u e s e s o u l d e g l i u l t i m i a l b u m , s a n c i s ce u n s e m i - r i t o r n o a c e r t e s o n o rità g r a ff i a n t i e v i s i o n a r i e c h e f e c e r o la f o r t u n a d e l l a p r i m a b a n d . L e p r i me d u e c a n z o n i d e l l ’ a l b u m r a p p r e s en t a n o u n v e r o p u g n o n e l l o s t o m a co : i v o l u m i s o n o a l t i s s i m i , l a c h i t arra tagliente e la voce si perde in del i r i f u o r i s q u a d r a d e g n i d e i m i g l iori tempi andati. Threshold Apprehen- Giancarlo Turra Black Francis – Bluefinger (Cooking Vinyl, 4 settembre 2007) Genere: indie-rock Chit ar r is t a e c a n t a n t e d i q u e l l a s b i lenc a c iur m a c h e e r a n o i P i x i e s , ne r appr es e n t a v a i n d u b b i a m e n t e i l deus ex m a c h i n a . E m b l e m a t i c a d i ciò è la lunga e prolifica carriera s olis t a c he i l N o s t r o i n i z i ò n e l 1 9 9 3 , dopo lo scioglimento del gruppo m adr e, s ot to l o p s e u d o n i m o F r a n k Bl ack. s i o n n e r a p p r e s e n t a l ’ e p i s o d i o più riuscito facendo quasi gridare al m i r a c o l o : r e n d e p a l p a b i l e l ’ i l l u s i one d i u n v i a g g i o n e l p a s s a t o s u l f i nire d e g l i O t t a n t a , q u a n d o i m p r e v e d ib i l i t à s c h i z o f r e n i c a e u r g e n z a s o nica d e t t a v a n o c r i t e r i s t i l i s t i c o - e s t e t i ci . I l l u s i o n e c h e p e r ò p i a n p i a n o p e rde d i e ff i c a c i a . G i à a l l a t e r z a t r a c cia Francis aggiusta il tiro tornando a sonorità recentemente a lui più c a r e , a n c h e s e c a r i c h e e v i t a l i c ome d a t a n t o n o n a v v e n i v a . C o s ì c i tr o - turn it on Fiery Furnaces - Widow City (Thrill Jockey / Wide, 10 ottobre 2007) Genere: rock opera revisited Nulla si crea e nulla s i dis t r ugge m a le f or n a c i , a n c o r a u n a v o l t a a l l e p r e se con u na ro c k oper a, s i m uov ono. Canz o n e e n a r r a z i o n e . C a m b i t e m po come gioc a r e a f l i p p e r. M o m e n t i g r a n d g u i g n o l e s c h i e m a r c e t t e . E c ’ è po co da fa re, M at t hew Fr i edber ger v u o l e e s s e r e i l m i g l i o r a r r a n g i a t o r e d i questi anni e s e n o n c ’ è r i u s c i t o a n c o r a è s o l o p e r c h é d o b b i a m o a b i t u a r c i all’id ea . Da u n paio di album a ques t a par t e s o t t o i s u o i f e r r i r e s t a p o c o da arrangiare : m a g a r i u n a s p o l v e r a t a i n p r o d u z i o n e ( B i l l S k i b b e e J e s s i c a Ruffins), un g i r o d i m a n o p o l a a l m i x e r ( J o h n M c E n t i r e ) , o p p u r e l a s c i a r e tutto com’è, p e r c h é s o u n d & f o r m a t s o n o i n c o n f o n d i b i l m e n t e e f i e r a m e n t e Fie ry Furn aces . Ar r iv at o dopo il s ont uos o B i t t e r Te a , Wi d o w C i t y p a r e l a so lita me na ta da pr im o della c las s e: anc or a c a n z o n i - c o l l a g e , a l s o l i t o m a t r i o s c h e d i s t i l i , s t r a p p i , m e l o d i e . Ep p u re… No n stia m o par lando c er t o del Cham be r l a i n , l a n o v i t à p i ù a p p a r i s c e n t e d e l d i s c o , u n o s t r u m e n t o a ta sti e r a ch e riman da l oops di alt r i s t r um ent i e per m e t t e d i c r e a r e t e s s i t u r e m a e s t o s e ( E x G u r u ) , p r e n d e t e p i u t t o sto i testi: il cut up b ou rr oughs iano di r iv is t e f em m inili e m a g a z i n e c u l t u r a l i d e g l i a n n i S e t t a n t a d o v e s ’ a l t e r n a n o i n co m u n i ca bilità di cop pia e t em i polit ic i t r as v er s ali , è u n c o n t i n u o c o r t o c i r c u i t o t r a s i g n i f i c a t i e s i g n i f i c a n d i , s op r a ttu tto quanto l’inter a z i o n e t r a t e s t o e a r r a n g i a m e n t o , s i f a p i ù m a r c a t a , c o n E l e a n o r p i ù v e r s a t i l e e l ’ a r r a ngiamento più fo ca lizzato nel r ender e s onic am ent e qu e l c h e s t a a c c a d e n d o . I n o l t r e Wi d o w è u n a l b u m d i h i t , a modo loro s’in ten de , a nzi a m odo di am a la m us ic a e i l s u o n a t o : p r e n d e t e M y E g y p t i a n G r a m m a r , o p p u r e l a b u ff i ssi m a The Old Ha g Is Sleeping ( c he s pedis c e in c anti n a t u t t i i c a m p i o n a m e n t i d e l l e C o c o ro s i e ) . I r i t o r n e l l i t i r imangono in testa su bito c om e quel “ I t ’s a Clear / I t ’s a C l e a r / S i g n a l F r o m C a i r o ” c h e g i à u n c l a s s i c o , e l o è pu r e p e r i memorabili in t e r v e n t i h a r d c o r e c h e c o s t i t u i s c o n o l ’ e n n e s i m o b a t t i t o d ’ a l i . S p o s t a n d o i l c u t u p d a l l a musica ai testi e farcen d o l a p r i m a d i g e s t i l i b e r a t o r i d a s c a f a t a l i v e b a n d ( a s s o l i , r a s o i a t e h a r d c o r e , r i ff h a r d r o ck) i brani diventano ass o l u t a m e n t e p o p s e n z a p e r d e r c i i n g u s t o “ a v a n t ” . P o t e v a n o t a c c i a r l i d i e c c e n t r i c i t à e d i eccessiva framme nta rietà m a or a non lo pos s ono più f a r e ( s e n o n s t o l t a m e n t e ) . L’ a v a n g u a r d i a p e r l e “ m a s s e ” è f in a l m e n te raggiunta. Co s e d a G r a n d i . A l t r o c h e “ s e m p r e l a s o l i t a m i n e s t r a ” . S e m p r e i n d i e t r o t u t t a . S e m p r e a v a n t i ancora. I Fu rna ce s son t or nat i. ( 8. 0/ 10) Edoardo Bridda sentireascoltare 45 viamo d inn an zi a ncor a a un m is c uglio di pop, rock, b l u e s , c o u n t r y e soul m a sta vo lta co ndit o da una f r esca tensione punk, c h e n o n v i e n e rilasciata neanche n e i m o m e n t i p i ù intimi dell’album. Qu e s t a è l a v e r a novit à di Blue finger , q u e l l a c h e sicuramente si cela a n c h e d i e t r o la sce lta d i ch iama r s i anc or a una volta Black Fran cis. Per pot er ancor d elirare urlando i n p i e n a l i b e r t à su zig za ga nti traie tt or ie r um or is t iche, tra con trocan ti f em m inili e linee di ba sso p ulsan t i, m a c on una maturità raggiunta c h e g l i e v i t a d i scimmiottare l’omon i m o s e s t e s s o di vent’anni fa. Vi s e m b r a p o c o ? I l Grande Folletto è a n c o r a i n o t t i m a forma: inconfondibilm e n t e i r o n i c o e frene tica men te pu ngent e olt r em odo. ( 6.7/1 0) Andrea Provinciali Brian Ellis - The Silver Creature (Benbecula / Wide, 20 agosto 2007) Genere: post-fusion S ul po st-ro ck si conc or da un po’ tut t i: vive di g lorio s i r ic or di, m ediocrità po co au rea , r it or ni di pr otagonisti ed emula t o r i r i t a r d a t a r i . S ignifica tivo re sta , t ut t av ia, quanto del suo spirito s i s i a r a d i c a t o con forza nell’attual i t à , d i c o m e l a commistione totale t r a g e n e r i - c h e iniziò n ei primi Ottant a e v olò altissima n el de ce nn io s uc c es s iv o si sia con esso del t u t t o c o m p i u t a . La trovate incuneata s o t t o p e l l e a g l i sperim e nta tori o die r ni, a c hi t r aff ica con idio mi ibrid i c er c ando di f ar si capire. Che poi i p i ù t r a c o s t o r o cadano ne ll’au tore f er enz ialit à, è da imputarsi nella p o c a c u r a p e r la scrittu ra: con ce ntr at i s ul s uono, chi ci p en sa più alla c anz one? Anche se “post”, sareb b e s e m p r e r o c k e come tale a qual c h e c o s a d e v e appogg iarsi, an ch e q uando lo s i intende in sen so mo lt o lat o, o dov e non ve n’è più tracci a . S orta di “o ne man band” dalla c osta ovest degli U.S. A . , B r i a n p a r e essern e fin tro pp o c os c ient e quando t raffica atto rno ai c onf ini ec c ellent i d i ja zz e d ele ttr onic a, puls ioni kraute e percussion i l a t i n e , f u n k e rock co me si faceva nella Chic ago 46 sentireascoltare d i u n d e c en n i o e p a s s a f a . C o m e M i l es Davi s a c a v a l l o t r a S e s s a n t a e Set t ant a, c o m e c h i g l i t e n n e d i e t r o a r uot a ( a n c h e i n o s t r a n i P e ri geo… ) C ’ è , n o n d i m e n o , u n a c e r t a oleografia in più, una palla lunga ac id jaz z di t r o p p o t i r a t a n e l s a l o t t o buono, perché il futuro è diventato p r e s e n t e e p a s s a t o p r o s s i m o . Va benissimo se non ci si attendono rivoluzioni e, magari, sarebbe ora: s i può r im e d i a r e i n s e g u e n d o l e c i tazioni o apprezzare la condizione p i a c e v o l m en t e a c c e s s o r i a d i d i s c h i come questo. Se la personalità è carente e lo s f or z o di m o d e r n i z z a r e p e r l o p i ù as s ent e, g l i s c e n a r i d i p i n t i s o n o s ugges t iv i q u a n t o b a s t a e i l o r o c o lori vividi e sapientemente dosati. Cinquant aqu a t t r o m i n u t i d a f r u i r e nell’insieme (magari privilegiando la s lanc iat a N i g h t Tr a i l s , i l r u t i l a r e di c hius ur a C o o k i e s A n d C r e a m e quello jaz z f u n k d i H o m e C o o k i n ’ ) che scorrono abbastanza rapidi sono cosa oggi insolita, pur nella f at ic a a im p o r s i e i n c i d e r e s u l s e r i o . M ic a t ut t a c o l p a d i B r i a n , s a p p i a t e lo. ( 6. 6/ 10) Giancarlo Turra Burnt Friedman – First Night Forever (Nonplace / Audioglobe, 21 settembre 2007) Genere: electro-dub nujazz ambient-soul Dopo le pr o v e c o n l ’ a m i c o S y l v i a n nel pr oget t o / s u p e r g r u p p o N i n e H o rses, F r i e d m a n r i t o r n a a l p r o g e t t o d i pr oduz ione i n s o l i t a r i a , r i u n e n d o una c ongr e g a d i m u s i c i s t i d a i p a lat i c om ple t a m e n t e d i v e r s i : S t e v e Spacek, la v o c e s o u l d a l l a I s l a n d ; Eni k, il pr od u t t o r e d a l l a k r a u t i s s i m a M o n a c o ; B a rb a ra P a n t h e r, l a c an t a n t e d a l c u o r e d i B e r l i n o , a l suo e s o r d i o s u d i s c o ; T h e o A l t e n b e rg il s e m p r e v e r d e b e r l i n e s e g i à f r e q u en t a t o r e d i c o m u n i h i p p i e s n e g l i anni Settanta, amico di Joseph Beuys e f o n d a t o r e d e l g r u p p o a m b i e n t O der N i c e ; i l c a n t a n t e d ’ o p e r a a m e r i c ano D a n i e l D o d d - E l l i s . Q u e s t e m e nti / v o c i , a g g i u n t e a d a l t r i s t r u m e n t i tra c u i c l a r i n e t t o , v i o l i n i , c h i t a r r e e di a v o l e r i e e l e c t r o , v a n n o a c o m p or r e i l m a g m a s u c u i i l N o s t r o c o s t ru i s c e v i s i o n i d i u n d u b i n f l u e n z ato d a l l ’ e l e t t r o n i c a p e r l ’ a m b i e n t e e dal soul/jazz. U n m o d o d i s v i n c o l a r s i d a l l e s o no r i t à d i q u e s t o 2 0 0 7 ( e l e c t r o ) d ub , u n a s t r a d a c h e d i ff e r i s c e d alle t e n d e n z e g r i m e / d u b s t e p ( B u ri a l e soci) o mat/hop (Anticon, Subtle e c o m p a g n i a ) c h e s t a n n o s p a z z a ndo e f a c e n d o n a s c e r e n u o v i s e m i n ella s e m p r e m u t a n t e s t o r i a d e l l a b l a ck m u s i c . Wh e r e S h o u l d I G o è u n r i c h i a m o a q u e l l o c h e Tri c k y h a a n n u n c i a t o c o n i l s u o a l b u m p i ù o s cu r o , q u e l P re - M i l l e n n i u m Te n s ion s n o b b a t o d a m o l t i , m a c h e h a pr e v i s t o m o l t e d e l l e i n c r i n a t u r e m u si c a l i ( e n o n s o l o ) c h e s t i a m o v i v en d o o g g i , M a c h i n e I n T h e G h o s t è un i n n o a c o u s t i c - b l u e s c o n r i c h i a mi e s o n o r i t à c h e t o c c a n o l a v o c e d i Ca t Power (stupenda l’interpretazione d i B a r b a r a P a n t h e r ) e d e g l i a r r an g i a m e n t i c h e r i c o r d a n o ( g u a r d a ca s o ) i P o l i c e p i ù w a v e . A Wa l k With M e m a n c a s o l o l a p a r o l a F i r e per d i v e n t a r e u n l a m e n t o a d a t t o a l l e a tm o s f e r e d a r k d i Ly n c h , N e e d I s All Yo u L o v e u n d u b - b l u e s d a s c a r i ca tori di porto per il prossimo disco di To m Wa i t s c o n u n T h e o A l t e n b erg in estasi. U n g i o c o c i n e - d u b c h e r i m e s c o l a ti t o l i e s o n o r i t à j a z z ( i n p a r t i c o l a r e gli u l t i m i l a v o r i d i S y l v i a n ) c o n u n gu s t o s o u l - f u n k d e c i s o ( a s c o l t a t e ad e s e m p i o l a m i s u r a t i s s i m a g r a z i a di H e a l e r , o i l r i ff i n c a l z a n t e d i b a sso d i T h u m b S e c o n d ) , c o l o n n a s o n ora c o o l p i e n a d i s u o n i a c u s t i c i e v oci d a g u s t a r e c o n c a l m a . U n m a e stro d e l n u - d u b c h e a t t e n d e p a z i e nte m e n t e 6 a n n i p e r s c o l p i r e i n s t udio u n d i s c o e c c e l l e n t e . I n u n m o ndo fatto di produzioni velocissime e d i s i n g o l i c h e s i s u s s e g u o n o o r mai a l l a v e l o c i t à d e l s u o n o , F r i e d m a n ci riporta a un a r t i g i a n a t o p r o d u t t i v o b asato su lla q ualit à e s ulla m edit azion e. Un a via da s eguir e. ( 7. 3/ 10) qua co m e o g n i c o s a p e r f a r s i p o i d i n u o vo , e t e r n a m e n t e e m a g i c a m e n t e s c iar a d a d i s e s t e s s a . C a m u s i c a M us i . ( 8 . 0 / 1 0 ) Marco Braggion Stefano Pifferi Camusi – Self Titled (Setola Di Maiale, luglio 2007) Genere: ur-jazz È il d uo Ste fano G ius t - Pat r iz ia O liva (a .k.a . Madam e P) la s or pr es a più stimolant e d e l 2 0 0 7 . C a m u s i , sciarada di s i g n i f i c a t i l o n t a n i , o r a rinoceronte, o r a p r o f i l o u m a n o , s i p resen ta sotto le c angiant i f or m e dei due prot a g o n i s t i . L a m a d a m a dell’elettronic a i t a l i a n a c i m e t t e rumori, loops , e l e t t r o n i c a d e v i a n t e e soprattutto l a v o c e : c r i s t a l l i n a , p ura , su ssurr at a, dis t or t a, dev iata . Il de us-ex - m ac hina delle m us iche non conv e n z i o n a l i d i S e t o l a d i Ma iale invece per c uot e, c olpis c e, sbatte, sbuffa , a c c e l e r a e d e c e l e r a su tutto ciò ch e pos s a dar e un s enso ritmico a l tut t o, t ant o da div enir e il vero cu ore puls ant e d e l l ’ o p e r a . L’un ion e in ce s t uos a t r a i due, la fu sio ne estatic a t r a due s pir it i af fini genera un m o s t r o a m i l l e t e s t e , tentacolare m e d u s a p o s t m o d e r n a al cui ascolto s i r e s t a p i e t r i f i c a t i . Trip -ho p de for m e quant o un Elep ha nt Man su pent agr am m a, s c hiz zi di una Diam a n d a G a l a s l u c i f e r i n a ma atipicame n t e j a z z , P o r t i s h e a d in deliquio, b r a n d e l l i d i r u m o r i s m o d igita l-pe rcu s s iv o, m ant r a or ient ale gg ian ti. Mad am e P c he s i aut of agocita in cont i n u i c o n t r o c a n t i i n c u i campiona e r i m a n d a i n v o r t i c e l a sua stessa voc e. I l G ius t c he s t ende un tappeto r i t m i c o c h e h a d e l l o strao rdin ario m a s opr at t ut t o dell’or d ina rio (me talli, f or c het t e, penne… tanti, tantissi m i o g g e t t i ) . L a v o c e d i No stra Sig nor a Elec t r o c he s i r ifra ng e e divent a più v oc i, più angolazioni, cas a m a t t a d i s e s t e s s a , Min a + Dia m anda G al as + M eir a Ashe r + o gn i c os a. L e aritmie d el l’uom o- r it m o c he t enta no d i fre na r la, c onf inar la, inc luderla in un p e r i m e t r o r i c o n o s c i b i l e ma che finis c o n o p e r d e r a g l i a r e a nch’e sse su l s ot t ile f ilo della f ollia. La music a c h e a v v o l g e m o n d i lo nta ni, che m oder na s ir ena inc anta g li ig na ri n av igant i, c he s i f a ac - h a rt , m e n t r e T h r e e M o nth s Pa i d n o n s t r a p p a g l i a p p l a u s i che forse c e r c a v a e S o u n d e d L i k e A Train, Wa s n ’ t A Tr a i n h a d a l s u o u n m e l o d i a r e m o n o c o r d e , s t r i n g a to all’osso ma vincente. E p i s o d i o i n t e r l o c u t o r i o d u nque, con q u a l c h e a p i c e r e g a l a t o alle stelle e q u a l c h e r i e m p i t i v o d i t roppo per essere un disco sopra la media, e p r o p r i o d a q u e l l ’ e s o r d i o d i cu i se m b r a c o s ì f r a t e l l o n o n r i e s ce a e vi n c e r n e l a v e r v e e l a p r o f o nd i tà to ta l e , c h e l à e r a p r e g n a n t e , e qui solo accennata. (6.1/10) Alessandro Grassi Castanets – In The Vines (Asthmatic Kitty / Wide, 23 ottobre 2007) Genere: folk-rock Ray m o n d R a p o s a è c a n t o r e d o l e n te, un folkster perduto nell’abisso, un’ombreggiatura scura che si erge lungo l a l u c e d i u n a n o t t e p a r t i c o larmente buia ed intrisa di pericolo. I n Th e Vi n e s , t e r z a p e r l i n a d e l l a f ilier a C a s t a n e t s , s i r i c o n g i u n g e s im b i o t i c a m e n t e c o n l ’ e s o r d i o d e l 2004 , q u e l C a t h e d ra l s c u r o , g o c c iolan t e s a n g u e . Fi r st L i g h t ’s F re e z e p o i è s t a t a l a sperimentazione che usciva da un c las si c i s m o f o l k r o c k , p e r a b b r a c c iar e u n c a n t a u t o r a t o s e m p r e f o l k ma poggiato su strascinamenti rumoristi, su basi campionate e su frenesie quasi kraute, ma sempre con un occhio di riguardo verso le t e n e b r e . Te n e b r e c h e t o r n a n o q u i ossessive nel cadenzare doloroso dell’o p e n i n g R a i n Wi l l C o m e , c h e v a pe r d e n d o s i i n u n a c o l t r e d i r u more bianco, accecante come un nodo a l l a g o l a . E mentre This Is The Early Game e Wes tb o u n d , B l u e s o n o d u e n u m e r i f olk s e n z a i n f a m i a n é l o d e , S t r o n g Anim a l c o n l e s u e p e r c u s s i o n i s i nis t r e e l e s u e a t m o s f e r e c a r a c c o lanti ha il marchio di una grandeur emotiva che gioca a nascondino c on f a n t a s m i B l a c k H e a rt P ro c e s si on e H o w e G e l b . S w a y t o c c a i l c uor e c o m e i l p r i m o D e v e n d ra B a n - C e e p h a x - Vo l u m e O n e & Tw o (Rephlex / Goodfellas, giugnoluglio 2007) Genere: acid, IDM Sul portale di discografie Discog, Ceephax c’ha una foto niente male: capello lungo stile Aphex bisunto, birra da sessantasei in mano e maglione di merda. Come se non bastasse un’espressione da metallaro idiota per la serie “facci una f a c c i a a l l a O z z y, A n d y ! ” . A n d y d i cognome fa Jenkinson e suo fratell o m a g g i o r e è To m , o v v e r o S q u a repusher. Metti pure sul piatto le ultime due fatiche del ragazzo, tutte acid e sperimentazioni Universal Indicator (la serie più avant della produzione Rephlex) e già te li vedi litigare quei due. “Lo stile slap fa schifo e pure tutte quelle trovate jazz-fusion elettro-acustiche!” Mi sa che Andy è un gran freak, di quelli che nei Sessanta si sarebbero fottuti di acidi. Altro che quella fighetta di Luke Vibert, l’approccio del nerdone al classico sound di Chicago non è per nulla morbido, anzi, Ceephax praticamente è un esperimento di clashing tra due elementi: ambient di stampo IDM minimale da un lato, e trip/orge Roland e drum machine dai settaggi hardcore dall’altro. Sono lame a doppio taglio: alle volte si creano delle strane convergenze, altrimenti convivono forzatamente due anime incompatibili. Questa la magia/limite del doppio volume tutto, un gioco che tuttavia quando riesce è tanto brutto quanto terribil- sentireascoltare 47 mente fascinoso. Senza dimenticare che Andy è un efficace tessitore di incubi post rave come Ravenscar, nello stile di Aphex depurato dai breakbeat. Probabilmente Ceephax è il miglior acid-maker della sua generazione, capace anche di dialogare con il fratello tramite certe cose easy listening rullate dentro il miasma analogico-lisergico. Per una volta abbiamo due album che non basano tre quarti dell’arrangiamento su un putiferio di breakbeat in tutte le salse. Basta drill. Datemi l’acido. Anche se forse è tardi… (6.5/10) Edoardo Bridda C e l e b r a t i o n – T h e M o d e r n Tr i b e (4AD / Wide, 12 ottobre 2007) Genere: wave Probabilmente in un’altra vita Katrina è stata una regina del funk. Un super-concentrato-sexy di ormoni urlanti e curve cromate come una Plymouth Fury rosso fuoco del ‘58. In un’altra vita Katrina è stata qualcuna che ha furoreggiato sui palchi come una via di mezzo tra Mahalia e Sharon Jackson. Puro e semplice Soul-Power, la cui forza trova valvole di sfogo anche negli algidi anni del download con gruppi più bianchi dell’ebano come i Celebration. The Modern Tribe è il secondo disco del gruppo di Baltimora, quello che stavamo aspettando con ansia, per lasciarci di nuovo prendere dall’onda d’urto della sezione ritmica, dalle dolci maree dell’organo e dalle zuccherosissime sillabe della voce. Una prima ricognizione ci dice che è tutto come lo avevamo lasciato. La pasta strumentale è esattamente quella che t’aspetti da loro. Semmai, l’attenzione per le parti di basso si è fatta ancora più meticolosa. Brani come Evergreen, Pressure e Hearbreak, ascoltati come comanda il Sacro Dio del Rock - in uno stereo di qualità e al massimo del volume concepito agitano le più recondite cellule del tuo corpo rendendoti praticamente impossibile restare fermo. Eppure c’è qualcosa che non va. Il singolo apripista del disco di debutto si chiamava WAR e faceva da apertura a un’infuocata giostra di invettive, che per quanto edulcorate e lucidate, 48 sentireascoltare erano pur sempre invettive. Ma quelle di questo lavoro sembrano tutte ballate, un po’ movimentate un po’ troppo melodiche. Sembra di vedere un musical ambientato nel Crazy Horse e con i colori caricatissimi e posticci del buon vecchio Technicolor. Pony e Fly The Fly riportano la febbre ad una giusta gradazione “hot”, ma si dimostrano due fuochi di paglia. I Celebration ci mandano per altro a dire che questo disco lo hanno concepito in due battute differenti. Nel mezzo David Sitek dei Tv On The Radio, chiamato a produrre come avvenuto per il precedente, se ne è andato in vacanza in Grecia, lasciandoli a metà del lavoro e con solo le parti ritmiche messe su nastro. Ma Hands Off My Gold, manco a dirlo, strizza l’occhiolino proprio ai Tv On The Radio. Del resto, Katrina ci confessa che la tribù moderna del titolo sono proprio loro “The title is homage to friendships with the people we’ve worked and connected with. Bands like Antibalas, Dragons of Zynth, TV on the Radio, and the Yeah Yeah Yeahs – all good friends and musical collaborators, along with others. Together, we’re the modern tribe.”. E se per il party serviva una colonna sonora, eccola servita, ma il sudore del primo disco viene qui edulcorato da un termostato regolato a temperatura ambiente. (6.5/10) Antonello Comunale Charalambides – Likeness (Kranky / Wide, 29 ottobre 2007) Genere: psych folk Arrivati a questo che è su per giù il 24° disco dei Charalambides, si s a r e b b e a n c h e t e n t a t i d i g i r a r e l oro l e s p a l l e , s t o r c e r e i l n a s o , t r o v a re il p e l o n e l l ’ u o v o , m e t t e r e i n c a m po i s e e i m a e s n o c c i o l a r e l a s o l i t a ti r i t e r a c h e p r i m a è b e l l o , d o p o è b r u tt o . I n q u e s t ’ o p e r a d i r e v i s i o n i smo c o a t t o e s n o b , p o t r e b b e r o a i u t arci i p r i m i d u e b r a n i d i L i k e n e s s . Un c l o u d y D a y è u n ’ i m p a c c i a t a n e nia c o n C h r i s t i n a a l p i a n o e To m a l wah w a h . D o Yo u S e e u n b l u e s c l a ud i c a n t e p e r d o p p i e v o c i . N o n e s a tta m e n t e l e c o s e m i g l i o r i c h e a b b i a mo a s c o l t a t o d a l o r o . P o i a r r i v a Figs A n d O r a n g e s : a r p e g g i o c i r c o l are, d e l a y c o s m i c o , v o c e d i C h r i s tina a v o l a r e a l t i s s i m a e a r a d d o p pi a r e u n a s e c o n d a t r a c c i a d i c h i ta r r a . A 2 ’ 5 0 ’’ n o t i a m o c h e l e c h i t arre s i s c i o l g o n o , v a n n o i n r e v e r s e , si f o r m a u n a m a r e a o n d e g g i a n t e che c i i n v e s t e d o l c e m e n t e . L’ e ff e t t o è piacevolmente suggestivo. Memor y Ta k e s H o l d p r o s e g u e i l d i s c o rso p e r a l t r i t r e d i c i m i n u t i d i v o c a l izzi e cori fantasma. Su Saddle Up The P o n y s i p e r m e t t o n o a n c h e d i u sa r e l o s t e s s o r i t a r d o n e l d e l a y u s ato d a i P i n k F l o y d s u A n o t h e r B r i c k In T h e Wa l l . Q u e s t o e d e n f a t a t o c h i a mato Likeness prosegue lungo la s c i a d i u n o n i r i s m o s f a c c i a t o e di u n a n a r c o - p s i c h e d e l i a d ’ a m b i e nte d i g r a n a f i n i s s i m a . L a c h i u s u r a è di q u e l l e i n g r a n d e s t i l e c o n Wa l k ing T h r o u g h T h e G r a v e y a r d e W hat Yo u D o F o r M o n e y , c h e s o n o i ti p i c i “ b l u e s l u n a r i ” i n c u i s i è o r mai specializzata Christina. Likeness è n a t o i m p r o v v i s a n d o i n s t u d i o p oco d o p o a v e r c h i u s o A Vi n t a g e Bur den. Quest’ultimo era un disco di “ c a n z o n i ” , m e n t r e q u i c ’ è i l t a glio c r u d o d e l l ’ i m p r o v v i s a z i o n e a me tt e r s u u n p o n t e c h e c i r i p o r t a d ritti dritti a Joy Shapes, Huston e Mark e t S q u a re . L a d i ff e r e n z a è c h e i l g e n e r a l e m a r e d i e c h o i n c u i q uasi t u t t i i b r a n i v e n g o n o a ff o g a t i è lo stesso degli ultimi dischi di Chris t i n a . D e l r e s t o c i p e n s a s e m pre l e i a d a g g i u n g e r e u l t e r i o r e f a s cino all’operazione, usando per le liriche parole prese in prestito da canzoni popolari americane del 19° e d e l p r i m o 2 0 ° s e c o l o , r i a s s e m b l ate i n u n n u o v a s t r u t t u r a e i n u n n u ovo s i g n i f i c a t o . U n o d e i l o r o l a v o r i mi g l i o r i , c h e è c o m e d i r e l ’ e n n e s i mo. C ’ è p o c o d a s t o r c e r e n a s i e f a r e gli turn it on Jens Lekman - Night Falls Over Kortedala (Secretly Canadian, settembre 2007) Genere: pop Il caro , ve cchi o J ens . St r ano, eppur e nas c on o p r o p r i o s e n s a z i o n i d i q u e s t o tipo ascoltand o i l n u o v o l a v o r o l u n g o - a pp e n a i l s e c o n d o - d e l g i o v a n e can tau tore svedes e, c os ì f or t e la s ens az ion e c h e p r o c u r a l ’ i m b a t t e r s i n uo va men te c on ques t a c alligr af ia t ant o c io n d o l a n t e q u a n t o m a r c a t a , l a n g uid a e fron dos a, c az z ona e s of is t ic at a. U n a s c a l e t t a c h e n e i s o l i p r i m i d ue pe zzi sq uader na af r or i da Scot t Wal ker i n d o r m i v e g l i a ( A n d I R e m e m b er Eve ry Kis s ) e danc e s oul da Bachar ach s u l l o v e b o a t ( S i p p i n g O n T h e Swe et Ne cta r ) , s enz a t r alas c iar e quella c e r t a i n c l i n a z i o n e p o s t - w a v e d a Mor r iss ey sc ar aboc c hiat o s ul diar io ( la m a l i n c o n i a d o l c i s s i m a e s t r a p a z zata d i Shirin ) . Palpit i e t r em or i s t em per ati t r a s o g n i e s o t i c i ( A P o s t c a r d To Nina ) e rig ur git i dis par at i ( i REM di Nea r Wi l d H e a v e n n e l l a s t r u g g e n t e Yo u r A r m s A r o u n d M e , u n a inopinata L a Cole gia la nell’ineff abile I nt o Et er nit y ) f in o a u n a g e n i a l e r e g r e s s i o n e n e l l a n i n n a n a n n a b e l l e a n d s e b asti a n a d i It Wa s A Stra nge Tim e I n M y Lif e. Certo, la scrit t u r a p a g a p e g n o i n e v i t a b i l m e n t e a d u n a c e r t a r i p e t i t i v i t à , f o r s e a n c h e u n p o ’ d i q u e l l a f reschezza ra ffazzo na ta e c ar bonar a s i dis per de nel c e s e l l o s e m p r e p i ù d e f i n i t o d e g l i a r r a n g i a m e n t i ( a r c h i e t r o m b e, vi b r a fo nini e percuss i o n i , s t r a n i c a m p i o n i c o m e m i r a g g i a l r a l e n t i ) , q u a s i c h e i l N o s t r o a v e s s e m e s s o s u l s e r i o il maestro Ste phen Mer ri t t nel m ir ino. Alla f ine per ò t o c c a c a p i t o l a r e d i f r o n t e a l l ’ e v i d e n z a , p e r c h é è u n l a v o r o che ti ci tuffi c om e nella r et e di s ic ur ez z a, s c o p r e n d o a d o g n i r i m b a l z o p o s s i b i l i t à n u o v e , s f a c c e t t a t u r e ta n to i n sospe ttab ili quant o inus uali, c om e nelle c on c l u s i v e K a n s k e Ä r J a g K ä r I D i g - f u n k y s o u l p e r v a s o d i s t ra n e a llucina zio ni TV O n The Radi o - e Fr iday N i g h t A t T h e D r i v e - I n B i n g o , i l s a x d a o r c h e s t r i n a d i p e r i f e ria per un p iccolo inn o a l dis im pegno t r af elat o. Ad accompag n a r l o i n q u e s t a s t r a o r d i n a r i a c a v a l c a t a a l t r e d u e t e s t e p e n s a n t i d e l l a c o n t e m p o r a n e a scena pop sve de se , le a m ic he El Per r o Del M ar e Fr i d a H y v o n e n , c h e h a n n o i n c i s o s u l l a g e s t a z i o n e d e l l ’ a l b u m m ol to d i p i ù d i qu an to si pos s a int ender e e pens ar e. O v v e r o , i n q u e l m o d o p a r t i c o l a r e c h e n o n p u ò n o n c a r a t t e r i z za r e tu tto ciò ch e circon da l’univ er s o s c om bic c her at o e i n e ff a b i l e d e l c a r o J e n s . I l q u a l e h a i n f a t t i d i c h i a r a t o : “ El Perro e Frida) sono d u e g e n i . E l P e r r o d o v e v a p r o d u r r e l ’ i n t e r o a l b u m m a a l l a f i n e h a d e c i s o l e i s t e s s a c h e si sarebbe trovata molto p i ù a s u o a g i o i n u n r u o l o p iù d e f i l a t o . C i s i a m o r i t r o v a t i n e l s u o s t u d i o , l e i s i è s e d u t a dietro di me limitandos i a d a n n u i r e c o n l a t e s t a , s o r s e g g i a n d o u n a t a z z a d i c a f f è … E r a t u t t o q u e l l o d i c u i a v e v o realmente b iso gn o.” Ch e dit e, c ’è bis ogno di c om m enta r e ? ( 7 . 2 / 1 0 ) Stefano Solventi sentireascoltare 49 snob. Questi due tex a n i a n d r e b b e r o glorificati nella Hall O f F a m e d e l l a psich ed elia . (7.3 /10 ) Pre-Emptive False Rapture lo si può ascoltare anche privi di amianto. (6.0/10) Antonello Comunale Gianni Avella Chrome Hoof – Pre-Emptive False Rapture (Southern / Goodfellas, 23 luglio 2007) Genere: arty-metal Un logo che sembra la storpiatura di quello degli Accept (teutonici metallici di un tempo) e una cantante colored molto denim e tanto blaxploitation, nove elementi dalla mise richiamante parimenti i Gwar e Slipknot come anche il guardaroba di Sun Ra. Giocano molto sull’appariscenza i Chrome Hoof, che dicendosi non di meno ispirati da Mc5, lo stesso Sun Ra, George Clinton, Goblin, il doom eppure le Esg punzecchiano la nostra, libidinosa fantasia; ma se una rondine non fa primavera, imbracciare qualche fiato non è suonare p-funk cosi come una figura progressiva non fa Goblin fuori tempo (massimo). Diciamo più volentieri che i Nostri s a n n o d i s e g n a r e o s s u t i r i ff c h i r u r g i c i ( To n y t e ) e p e r d e r s i i n g r a n i t i c i pseudo funk-rock (Spokes of Uridium) forti di veemenza e principio, con una versatile Lola Olafisoye convincente nei toni medi e g r a ff i a n t e ( s e m b r a K a r y n C r i s i s d e i Crisis) nello screaming di Death Is Certain, un doom scritto coi Cathedral (il bassista Leo Smee da lì proviene) a far da garante. Dei loro show si dice un gran bene e pare che si circondino di ballerini, teatranti, fuoco e fiamme, ma questo 50 sentireascoltare Cobblestone Jazz – 23 Seconds (!K7 / Audioglobe, 18 ottobre 2007) Genere: nu-jazz minimal ravetronica Il trio di Mathew Johnson, Danuel Ta t e e Ty g e r D h u l a a r r i v a s u ! K 7 ; d o p o l a m i l i t a n z a s u Wa g o n R e p a i r, i l j a z z e l e t t r i c o d e i c a n a d e s i entra quindi nel mercato major ed è pronto per fare il botto. Ascoltando il lungo doppio 23 Seconds viene in mente la piccola grande rivoluzione di Kruder & Dorfmeister costruita sul remix sampledelico. Da quel piccolo grande disco – che, guarda caso, usciva sempre su !K7 -, sono nati milioni di cloni. Tu t t o p a r t i v a d a l l ’ A u s t r i a , d a u n a delle periferie mitteleuropee di tradizione essenzialmente techno e/o minimal, rivoluzionare spostando lo sguardo. Oggi la storia sembra ripetersi, ma questa volta l’ago della bilancia si sposta a Ovest. Questa crociera salpa da oltreoceano, e cambia rotta. Non più remix, anche live music. Sì, i nostri amici d i e l e t t r o n i c a n e u s a n o a b i z z e ff e , s p a r a n o s a m p l e s e d e ff e t t i c o m e se piovesse, ma in più aggiungono p i a n o f o r t i R h o d e s , v o c o d e r, p e r cussioni e un basso caldissimo. Atmosfere che attingono dalla cultura da club e dal funk blues di fine Settanta. Ascoltate che cosa riescono a fare in 45 minuti di performance, nel secondo preziosissimo disco quasi interamente live: sorprendente il dialogo tra elettronica e strumenti, mood che si intrecciano in maniera graduale, senza break, senza bisogno di superproduttori, un po’ come quando Herbie Hancock si metteva a scov a r e r i ff d a p e l l e d o c a , o q u a n d o Davis sparava quegli inni stellari su Bitches Brew. Ovviamente la nuova generazione non prescinde da quello che sta succedendo n e l d a n c e f l o o r. S i v a q u i n d i p e r l a strada grondante sudore del deep rave, attaccandoci patches blues da sogno. Se il primo disco inizia tutto concentrato sull’electro, basta attendere qualche minuto per vedere come il blues sia ancora l’anima che muove il suono idealmente black. Lime In Da Coconut è inno minimal per eccellenza e singolo per il prossimo set di Ricardo Vi l l a l o b o s , C h a n g e Yo u r A p e s u i t un funkettino spacey con una base da far invidia a Medeski Martin & Wo o d , g l i e c h i a f r o d e l i c i d i S a t u rday Night e di W sono pronti a farci sognare notti infinite a base di vocoder e filtri risonanti, brevi detriti old school. Una sorpresa. Un gruppo doubleface che eccelle nella pura tecnica strumentale e nella sapiente arte del rhythm making. Il nuovo modo di pensare e di fare jazz è servito. Re-Birth of the cool. (7.3/10) Marco Braggion Dave Gahan - Hourglass (Mute, 22 ottobre 2007) Genere: electro blues/rock Il Paper Monster di quattro anni fa rappresentò un debutto solista più che dignitoso, in cui Gahan mostrava una scrittura forse non geniale ma ben innestata sul fusto della propria ossessione, ovvero il blues nient’altro che il blues. Una certa franchezza anche imbarazzante svolgeva il ruolo di valore aggiunto, vizietto che non perde questo Hourglass, scritto e prodotto assieme a due turnisti depechiani, il chitarrista Andrew Phillpott ed il b a t t e r i s t a C h r i s t i a n E i g n e r. E ’ g r a zie a loro, presumo, che la barra si sposta sensibilmente verso solu- zioni electro più strutturate quand o n o n r a ff i n a t e , v e d i i l t r a m e s t i o lasco e vetroso in un inquieto chiarore Notwist di Insoluble oppure le omeopatie Badalamenti nella vaporosa trepidazione di Miracles. Ma il “manico” ovvero la penn a d i M r. G a h a n è q u e l l a c h e è , i limiti sono evidenti per quanto li dissimuli aggrappandosi ad un vissuto di tutto rispetto e graffiando con una certa personalità. E’ i l c a s o d e l l a s d e g n o s a U s e Yo u , quasi una versione cibernetica di B l a c k Ve l v e t d i A l a n n a h M y l e s , o di quella Kingdom perfettamente inscritta nella minacciosa mitologia industrial/pop/wave così cara ai fans dei Depeche (per quanto il chorus sembri ispirato a certi Duran Duran). Quanto al resto, il sound pesca spesso dalle gotiche scenografie periodo Songs Of Faith And Devotion (l’ebbra A Little Lie, la torva Saw Something), ammiccando talora l’assedio sfrigolante imbastito dagli U2 dei Novanta (se i ghigni tribali di Deeper And Deeper ricordano vagamente Mojo, la sferzante 21 Days caracolla ombrosa come una The Fly al ralenti). Immagino sia anche il caso di sottolineare quanto le strofe della conclusiva Down siano pressoché identiche a quelle della radioheddiana Creep, ma questo non vi suoni come una condanna. In fondo Hourglass è il prodotto dignitoso di un non-genio con molto appeal, impegnato a non sconfessare un rispettabilissimo passato. (6.4/10) Stefano Solventi Devendra Banhart - Smokey Rolls Down Thunder Canyon (XL, 24 settembre 2007) Genere: folk psych Uno di quei dischi che tenta di raccogliere tutto quel che c’è da raccogliere in un dato tempo in un dato luogo. Pensate a qualche celebre doppio vinile del passato - non fatemi citare titoli - e capirete dove voglio andare a parare. Devendra Banhart consuma una fatidica resa dei conti con se stesso, ordisce un eremitaggio irrequieto assieme alla sua band di musicisti e compari fricchettoni (tra i quali l’attore Gael García Bernal - il Che Guevara de I Diari Della Motocicletta! -, Nick Valensi degli Strokes e Chris Robinson già Black Crowes), srotola il tappeto delle meditazioni e ci lascia cadere qualsiasi demonietto gli passi tra la testa e il cuore: folk, blues, samba, psichedelia, progressive, funk, dub, rumba, caro vecchio rock’n’roll... Un trip folle e scentrato, spiazzante e inafferrabile. Un dare fondo e vita a qualsiasi scintilla valida, ad ogni particella sonora che giustifichi il Devendra Banhart musicista ora e qui, in questo mondo più folle di lui. Difficile trovare il bandolo del filo che attraversa tutti questi sedici pezzi, a meno che non si decida d’averlo già trovato in questa tensione accumulatrice, rivelatrice e liberatoria, in questo darsi totale, in questo cercarsi visionario nel pelago delle (proprie) visioni. Nell’affermare se stesso - uomo e artista, una cosa sola - attraverso musica che sembra uscire dalle pieghe d’un sogno storto, alambiccato, a tratti febbrile. Pur sempre un sogno gioioso, anche quando le trame s’infittiscono di mistero e umori inesprimibili. Perché Devendra conosce il segreto della leggerezza, un equilibrio ebbro ma saldo tra i flutti che schiaffeggiano con liquida disinvoltura ora la placida e incontenibile inquietudine del Caetano Veloso londinese (Samba Vexillographica, Rosa), ora brume doorsiane spiritati glam (Tonada Yanomaminista), ora funk-glam tipo Bolan & The Family Stone (Lover), ora schivi capricci Grant Lee Buffalo (Bad Girl), ora adorabili e inquietanti chimere fifties (So Long Old Bean, Shabop Shalom). Un micragnoso sdrucciolare tra suggestioni contigue ma eterogenee che azzeccano talora combinazioni di stordente bellezza - come l’incantevole ninna nanna incantata mexico di Cristobal, i filamenti spersi Tim Buckley a ordire il folk mistico di Seaside o ancora le placide illuminazioni d’archi e slide Mojave 3 sulla spiaggia younghiana di Freely - oppure soltanto divertenti, come la rumba elettrica di Carmencita o il gospel asprigno nel baraccone loureediano/lennoniano di Saved. Nel caso di Seahorse c’è addirittura l’azzardo della suite-manifesto, otto minuti di solenne folk psych morbidamente ammorbato soul, il Van Morrison giovane sbilanciato prog con naturale movimento black, nel gorgo imbastito da piano, organo, flauti, cori (ai quali partecipa l’immancabile Vashti Bunyan), nell’oppiacea tracotanza Traffic frastagliata Jethro Tull, tra elettricità doorsiane dalla ieratica quadratura (assolo acido compreso), galleggiando come un piccolo prodigio di Madre Natura concesso a questi strani giorni rock. I fantasmi - quei fantasmi prewar che Devendra raccattava da chissà quali cassetti di chissà quali stanze dimenticate - finalmente ha imparato a cavarseli di sana pianta dal cuore. Senza che sembrino per questo meno sconcertanti. (7.4/10) Stefano Solventi Digitalism – Idealism (Virgin, giugno 2007) Genere: dance electrofunk post-daft generation L e c i t a z i o n i i n c a s s a d r i t t a . L’ e m blema robotico per eccellenza: sentireascoltare 51 il tributo alla seconda metà dei Novanta dominati dall’Homework daftpunkiano. Non solo: un gusto per la rivisitazione indie che risiede nella mente dei Rapture e n e g l i a r c h i v i d e l l a D FA , p a s s a n d o per qualche remix dei Soulwax. Questo è il nuovo suono rock dance minimal del 2007. E questo è quello che fanno i due amici krauti Jens Moelle e Ismail Tu e f e k c i . N e l l a l o r o o p e r a p r i m a sulla lunga distanza sparano anthem come fossero noccioline. L’ i n c i p i t s p i e g a g i à t u t t o : i l v o c o der spacey di Magnets in quattro e quattr ’otto dichiara un amore incondizionato verso il classico dei padrini francesi, il delay di Zdarlight è tutto costellato di paillettes post-BiggerBetterFasterStronger. Ma se è vero che la storia (in)segna il suono, in I Want I Want scopriamo che le coordinate dance non possono prescindere dall’ind i e - p - f u n k d i N e w Yo r k , i n I d e a l i stic ricompaiono fantasmi Ottanta filtrati dall’acido, in Pogo (il singolone da lacrime e sangue) riparte la baracca rock’n’acid che abbiamo sentito dalle parti dei !!!. Un substrato che ammicca ai Daft Punk (il quasi plagio di Moonlight o i crescendi di Anything New e The Pulse) ma che non li emula fino in fondo. È ancora lunga la strada per staccarsi dalle radici. Consideriamo questo esordio come un esercizio ben riuscito. Una dimostrazione di reverenza e rispetto. Un lungo inchino che per 53 minuti farà sorridere i ventenni dei Novanta e farà pensare a più di qualcuno che la meteora francese non è ancora scomparsa. Più che una meteora, una costellazio- 52 sentireascoltare ne che brilla di luce propria. Digitalism ancora in viaggio. Ma il loro Galaxy Express è pronto a stupirci. Li aspettiamo, guardando un tramonto dall’acidissima Jupiter Room, aspettiamo i loro racconti digitali, le loro scorribande attraverso il tempo. Viaggiate ancora, piccoli nipotini. Daft Generation is t h e w a y. ( 6 . 7 / 1 0 ) Marco Braggion D i s c o D r i v e – T h i n g s To D o To d a y ( U n h i p / A u d i o g l o b e , 3 0 agosto 2007) Genere: punk-funk, dub, indie Grow Up!, dicono subito i Disco Drive, mentre in sottofondo la musica si fa ipnotica, lenta, dissonante. E per un attimo sembra realizzarsi la profezia che la band d i W h a t ’ s W r o n g W i t h Yo u , P e ople andava ripetendo in giro da un po’ di tempo a questa parte. “Il nuovo disco – ammonivano – sarà completamente diverso rispetto a quello che eravate abituati a sentire da noi”. Ma è una sensazione che accompagna l’ascolto solo per qualche minuto. La successiva The Flower Stall infatti riporta la questione in ambiti più realistici e sobri. I Disco Drive sono tornati. E sono sempre loro. Niente pericolose inversioni a U. Niente derapate hip hop. Niente cambiamenti e p o c a l i . P i u t t o s t o , T h i n g s To D o To d a y è l a n a t u r a l e e v o l u z i o n e del discorso iniziato un paio d’anni fa col CD d’esordio. Un’attitudine punk-funk che tende a contaminarsi e ad allungare il proprio raggio d’azione. Evoluzione, quindi. Che porta stavolta il trio Unhip – con Matteo Lavagna che prende il posto di Andrea Pomini al basso – a lasciare a casa il poster dei Fugazi, a subire le fascinazioni lisergiche dei primi Liars e ovviamente a tenere nel portafoglio – manco fosse una reliquia – una fototessera autografata di LCD Soundsystem. Si continua a ballare, dunque, battendo le mani e dicendo – ça va sans dire – yeah. Gonna Love This è la Stayin’ Alive dell’indie rock. I t ’ s A L o n g W a y To T h e To p è a l l o stesso tempo una festa caciarona, un inno d’amore eterno al quattro quarti e uno scioglilingua pop. E la canzone che dà il titolo al disco è un pezzo che se lo sentissero quelli di Pitchfork lo innalzerebbero a brano dell’anno, con buona pace delle band angloamericane che credono di saper suonare la grancassa e il charleston meglio di tutti gli altri. Se da una parte allora si assiste al perfezionamento di una formula che aveva fatto gridare al miracolo alla sua prima apparizione, dall’altra si nota come il gruppo abbia inserito il freno a mano per gettare un ponte verso la sperimentazione. Find Me Animal sembra provenire dal periodo psichedelico dei Beatles. Cholsey è in bilico tra pop e dub, prima di deragliare nelle distorsioni assordanti del finale. Finger and Nails è come sentire i Clash rallentati di London Calling in versione electro, ipotesi di una prossima evoluzione dei Disco Drive. Che confermano a questo giro di essere una band dalle buone potenzialità, pienamente espresse peraltro dal proprio repertorio. Anche se li preferivamo quando ci permettevano talvolta di sfogare i nostri istinti con qualche sacrosanto, violento pogo sotto il palco. Ma non si può avere tutto dalla vita. (6.8/10) Manfredi Lamartina D o n Tu r b o l e n t o – S p e n d T h e Night On The Floor (Autoproduzione, luglio 2007) Genere: electro p-funk Dispositivo per il lancio obliquo di una sferetta – La Gente turn it on Mother And The Addicts – Science Fiction Illustrated (Chemikal Underground / Audioglobe, 23 agosto 2007) Genere: indie post punk E 10 0. To cca un num er o di c at alogo im por t a n t e a l s e c o n d o a l b u m d i M o th er And Th e Addic t s , una c if r a t onda t ond a c h e s a d i r i p a r t e n z a d o p o i l recente ricam b i o g e n e r a z i o n a l e i n c a s a C h e m i k a l U n d e r g r o u n d ( a s e g u i r e De lga do s e Ar ab St r ap, per f ino gli Aer eogr am m e h a n n o g e t t a t o l a s p u g n a ) . Vuo i ved ere c he s ar anno ques t i quat t r o a m a b i l i d e b o s c i a t i g l a s w e g i a n i a risolle va re le s or t i della label? Par r ebbe d i s ì , d a l m o m e n t o c h e S a m Sm ith (o vver o M ot her – il M adr e Super ior a d i Tr a i n s p o t t i n g , l a d d o v e g l i a dd icts sono i c o m p a g n i d i b a n d ) s t a v o l t a l ’ h a f a t t a g r o s s a . N e l s e n s o che h a bu ttato v ia i t oni s guaiat i dell’es or d i o - Ta k e T h e L o v e r s H o m e Tonight, tutt’ a l t r o c h e i l l u m i n a n t e - p e r s b a t t e r c i i n f a c c i a u n o d e i m i g l i o r i d ischi di po st punk m oder no ( in alt r i t em pi a v r e m m o d e t t o e m u l , m a g a r i i n s e n s o u n p o ’ d i s p r e g i a t i v o ) che ci sia capitato di as c o l t a r e u l t i m a m e n t e . Ch e Scie nc e Fi ct i on I l l ust r at ed nas c a da u n ’ i n d u b b i a i n f a t u a z i o n e p e r l a n e w w a v e i n g l e s e d e l l a p r i m i s si m a o n d ata , con Ma gaz i ne e Bans hees s ugli s c udi ( i r o m a n t i c i s m i d i R o l l O n M e O v e r e Ye a h N e x t , i t r i b a l i s m i d i Going Na tive ), non è c e r t o u n m i s t e r o ; i l p u n t o è c h e , o l t r e a l l ’ a m o r e p e r q u e l l a m u s i c a , c i s o n o g u s t o e c r e d i bilità nella lu ccica nza Fa l l + O r ange Jui ce dell’inc ipit A l l I n T h e M i n d , o n e l k r a u t - p o p d i S o To u g h , o n e l f a l s e t t o punky pop d i qu el g ioie llino di s c r it t ur a c he è Car t hag e . E c i s o n o – c o s a p i ù i m p o r t a n t e d i t u t t e – p a r e c c h i e p o t e n zi a l i h i t in die , da ll’ine ff abile dis c o t alk ingheads iana d i A r e O t h e r s a q u e l l a s o r t a d i m o s t r o s y n t h p o p c h e è Wa tch Th e L ine s, come dir e i New O r der g u i d a t i d a M a r k E . S m i t h . B r i l l a n t e . D a q u a n t o l a C h e m i k a l n o n l i c e n z i a v a un album così? È p rop r io il c as o di dir lo: alt r i c ent o d i q u e s t i d i s c h i . ( 7 . 5 / 1 0 ) Antonio Puglia sentireascoltare 53 Mormora (Spastic Guru, agosto 2007) Genere: follia prog-metal Go Down Moses – Welcome Idiots (Produzioni Sante, settembre 2007) Genere: noise-rock Italian gu itar atta ck! Tr e nom i nuovi e belli caldi che s i m u o v o n o s u coordinate diverse m a p u r s e m p r e parte ndo dal terren o c o m u n e d e l guit ar so un d. Pe r pr im i i Don Tur bolento , d uo b resci ano pr ot agonista di un cu rioso e pis odio legat o alla Discho rd e de l quale pot r et e leggere ovunque su c a r t a e w e b . L’E P d ’esord io si muov e s u t er r it ori p-funk con l’urge n z a d i u n p a i o di ann i fa : la title trac k è u n a p u r a bomba di syn th-ro ck r ot ondo e f unkissimo che in un m o n d o a p p e n a propon ibile gire reb be s u t ut t e le radio. Non d a men o gli alt r i pez zi, con il ritornello r o b o s p a s t i c o d i Take It Up u na spa nna s opr a i r estanti due. A fare la d i ff e r e n z a c o n gli altri p -fun ke rs è il per iodo di r iferimento: questi sta n n o v e r a m e n t e in fis sa con gli ?80, m a q u e l l i s e r i . P romossi. (6 .5/1 0) P alma d ’oro pe r il nom e più as s ur do, i Dispositivo ven g o n o d a R o m a , esord iscon o co n un 3 pez z i in c ui dimos tran o ap pie no di m er it ar e la fama d i Usa Is A Monst er i t a l i c i ( a i quali ha nn o pu re fat t o da s uppor to senza sfigurare) . S t e s s a f o l l i a nell’app roccio “pro g” a c om pos iz ioni che assu mon o d i v olt a in v olt a i contorni del metal p i ù c r e a t i v o e fuori binario, dell’ind i e p i ù s p a s t i c o , dell’art-co re p iù ro vi nat o. A f ar la da padron e so no i bre ak s s t r um ent ali in cui a comanda r e è i l d i a l o g o tra synth e batteria, m a è i l s e n s o di ve lata follia evoc a t a d a i q u a t t r o che la scia pia ce vo lm ent e im pr es - 54 sentireascoltare s ionat i. Un q u a r t o d ’ o r a s c a r s o è troppo poco per dare un giudizio m a l’im pr es s i o n e è d a p o l l i c e a l t i s s im o. ( 6. 5/ 1 0 ) Dulc is in f u n d o , s i f a p e r d i r e , i t r e scellerati lombardi che prendono nom e da un a n o v e l l a d i F a u l k n e r e is pir az ione d a l g u i t a r s o u n d a m e r i cano. Post-punk strillato, potente e lanciato a mille all’ora debitore di t r oppi nom i p e r e s s e r e s o l o d e r i v at iv o. Q ui s i t r a t t a d i a n n i d i d e voti ascolti, non di mere fotocopie f unz ionali. S c h e g g e d i F u g a z i , G S L s ound, m a t h e m a t i c h e e v o l u z i o n i alla Shel l ac , i n t r e c c i c h i t a r r a / b a s s o c om e li fa c e v a n o s o l o i L u n g f i s h per un dis c o o t t i m a m e n t e p r o d o t t o ( da G iulio F a v e r o ) e m o l t o b e n s u o nat o. E il b a t t e r i s t a è u n v e r o m o s t r o! ( 6. 8/ 10 ) Stefano Pifferi Dylan Donkin – Food For Thoughtlessness (Pias / Self, 1 ottobre 2007) Genere: folk-pop Quella di Dylan Donkin è musica f iglia dell’E l l i o t t S mi t h p i ù s m a l i z iat o e dei 3 E p d e l l a B e t a B a n d . Musica aerea, punteggiata di poco, c he par t e d a u n ’ a c u s t i c a n a r r a n t e per poi f lu i r e a t t r a v e r s o q u a l c h e arco monocorde, qualche tastiera a delineare le linee del panorama. Un f olk - pop po v e r o , f i n t r o p p o r i l a s s a t o e r ipiega t o i n s é p e r e s s e r e a b bas t anz a es p r e s s i v o . Un ep di d e b u t t o c h e n o n c o n v i n ce, che non sottolinea un talento in f a s e d i s c r it t u r a e c h e e v i d e n z i a l e ancora notevoli mancanze in fase di ricerca melodica e proposizione s o n o r a d e l N o s t r o . Ve d i a m o c o s a riesce a fare su un lavoro completo. M a per ades s o ( 4 . 5 / 1 0 ) . Alessandro Grassi Efterklang – Parades (Leaf / Wide, 15 ottobre 2007) Genere: elettronica Il primo disco degli Efterklang, Tr i pper ( 20 0 4 ) , e r a s t a t o u n i n a s pet t at o be s t s e l l e r. I l c o m b o d a nese sembrava arrivare dal nulla con una vagonata di argomenti in p e r f e t t a l i n e a c o n l ’ a r i a d e i t e mpi. E l e t t r o n i c a c o l t a , s e n s i b i l e , e m oti v a m e n t e “ c a r i c a ” , a s t u t a m e n t e ap p i c c i c o s a . D i l o r o i d a n e s i c i me tt e v a n o u n ’ a t t e n z i o n e i n e d i t a p e r le p a r t i v o c a l i , s u o n a n d o a t r a t t i né più né meno che come un coro polif o n i c o d a o r c h e s t r a . P a ra d e s a r riva 3 a n n i d o p o p e r s b a n c a r e i l b o tte ghino come tutti i sequel che si ris p e t t a n o , m a c o m e s p e s s o a c c a de, i l n u m e r o u n o e r a p i ù o r i g i n a l e pur n e i l i m i t i d i u n ’ o p e r a d i d e b u t t o . Il v e r o d i f e t t o d i P a ra d e s è p r e m ere a t a v o l e t t a l ’ a c c e l e r a t o r e s u l l e voci e s u g l i a r r a n g i a m e n t i o r c h e s t r a l i. Il d e t t a g l i o c h e s i f a “ o p e r a ” . L’ u n ica c o s a c h e d a v v e r o e r a o r i g i n a l e ne l l a p r o p o s t a d e g l i E f t e r k l a n g v i ene elevato all’ennesima potenza come c i f r a “ a u t o r i a l e ” . M a c o s ì f a c e ndo s i s m a r r i s c e i l s e n s o d e l l a m i s ura. P o l y g y n e i n i z i a c l a s s i c a m e n t e alla l o r o m a n i e r a . U n g l i t c h c i r c o l are, l ’ i n n e s t o s e m p r e p i ù p r o g r e s s ivo delle voci e dell’orchestra a disegnare un’aria da melodramma. I dan e s i v a n n o s e m p r e a l l a r i c e r c a d ella m e l o d i a f i c c a n t e , c e r c a n d o d i f arla uscire da strati e strati di tracce ric o l m e d i s u o n i . I l p r o b l e m a s t a l i. A volte gli scappa la mano e sembran o u n a b a n d a d i p a e s e ( M i r a d o r ), a l t r e v o l t e g l i a r r a n g i a m e n t i o r c he strali sono davvero fuori controllo e c o p r o n o a n c h e l a m e l o d i a ( H o r se b a c k Te n o r s , M a i s o n D e R é f l e x i o n ). I n f a t t i , l a d r a m m a t i c a e d a r k F rida F o u n d A F r i e n d , q u e l l a c h e p i ù si a v v i c i n a a l l a m a n i e r a d i Tri p p e r , c o l p i s c e n e l s e g n o e s e m b r a una b o c c a t a d ’ a r i a f r e s c a i n t a n t o ba i l a m m e s i n f o n i c o . I l d i s c o è s t a to c o n c e p i t o p r o p r i o p e r e s s e r e g o nfio e pesante. Parti di coro e organo s o n o s t a t e r e g i s t r a t e i n u n a c h i esa e i n s t a n z e m o l t o g r a n d i e s g o m bre in modo che r e s t i t u i s s e r o u n g i u s t o e co . In fa se d i m is s aggio c i ha m es so mano anch e D a r r e n A l l i s o n c h e g ià aveva lavor at o s u Lovel ess d e i My Bloody Val ent i ne p e r d i r e d i u n altro disco da v v e r o f u o r i m i s u r a , i n senso buono p e r ò . A d i s c o l p a d e g l i Efte rkla ng si può c er t am ent e dir e che quello ch e a v e v a n o i n m e n t e di fare - una p a r a t a f r a c a s s o n a , pestona e gio i o s a - s o r t i s c e i l s u o e ffetto , ma p r opr io c om e nella pr ocessio ne pe r il Sant o Pat r ono del Pa ese, alla fin e quando t i s ei f at t o i tu oi sacri km e s ei ar r iv at o in c hiesa, ti fa così m a l e l a t e s t a c h e n o n c’è p iù spa zio nem m eno per as c olta re il Sig no re. ( 6. 3/ 10) Einstürzende Neubauten – Alles Wieder Offen (Potomak / Audioglobe, 19 ottobre 2007) Genere: industrial neubaten So no p assa ti t r e anni da Per pet uum Mobile . Tr e a n n i d u r a n t e i q u a l i la b an d no n è r im as t a c on le m ani in mano, coin v o l t a c o m ’ e r a n e i v a r i progetti, sia t e a t r a l i c h e m u s i c a l i , che h an no te nut o oc c upat i i m us icisti tedeschi , l o n t a n o d a l l a M u t e : Alle s Wa s Ir g endw i e Nüt z t , la s erie Muste r ha us e a l t r e i n i z i a t i v e spesso riserva t e a d u n a p i ù o m e n o ristretta ce rc hia di f an, s ar anno ricord ate sop r at t ut t o per av er inn esca to un m ec c anis m o di aut of inanziamento a t t r a v e r s o l a r e t e , c h e h a pe rmesso alla band di lav or ar e lo nta no da lle es igenz e delle c as e d iscog rafiche e di pr odur r e in t ot ale libe rtà. Alle s Wie de r O ff en, c he è pubblicato da lla Po t om ak , et ic het t a per sonale degli E i n s t ü r z e n d e , n a s c e i n questo clima e s i p r e s e n t a c o m e u n rito rno , ma a nc he c om e s int es i di un percorso c h e h a v i s t o l a b a n d berlinese int e r a g i r e e d i s c u t e r e d ella p rop ria pr oduz ione m us ic ale d iretta men te c on il pubblic o. Un r ito rno che , p er ò, al di là delle nov it à in termini di p r o d u z i o n e , d a l p u n t o di vista strett a m e n t e m u s i c a l e , n o n riserva n essu na s or pr es a par t ic olare, visto e co n s i d e r a t o c h e l ’ a l b u m è la lo gica c ont inuaz ione del s uo p red ecesso re. Atte nzion e al la pr os odia, alla paro la e al g est o t eat r ale, ar r angiamenti raffinati , m i n i m a l i s m o , s i l e n z i “ s ex y ” , a d i s t a n z a d i t a n t i a n n i , r i m ang o n o a n c o r a , a n c h e i n q u e s t ’ a l bum, elementi imprescindibili dello stile della band tedesca. In questo contesto, il passato espressionista, l’angosciosa furia industriale degli esordi, divenuta ormai da tempo immemore un elemento espressivo come tanti, viene relegata alla pura d e l l e o n d e d e l m a r e i n D i e We l l e n ); i r o n i c i e g r o t t e s c h i ( c o m e definire a l t r i m e n t i L e t ’s D o I t A D a d a , co l l a g e d a d a i s t a n e l q u a l e t r o va spazio a n c h e u n a d i v e r t e n t e p r e sa in giro i n i t a l i a n o d e i “ s i g n o r i Russolo e M a r i n e t t i ” d i r i t o r n o d a l l ’ Ab i ssi n i a ) ; s t r a n a m e n t e a p o c a l i t t i c i ( o r i vo l u z i o n a r i ? ) ( i l m o t t o “ t u t t o è ancora a p e r t o ” d e l l a t i t l e - t r a c k ) o cr e p u s c o l a r i ( l a d e s c r i z i o n e d ella morte i n U n v o l l s t a e n d i g k e i t ) , c reano un m o n d o p a r a l l e l o a i s u o n i ch e d i v e n t a i m p r e s c i n d i b i l e p e r cogliere l’essenza di un disco che pur non e s s e n d o u n c a p o l a v o r o m a n ti e n e l a s u a d i g n i t à d i p r o d o t t o f i n ito, opera c o m p i u t a e , d i c i a m o c e l o p u r e , fa ci l m e n t e c o m m e r c i a b i l e . ( 6 . 4 /1 0 ) Daniele Follero funzione estetica, una parentesi da apr ir e s o l o q u a n d o s e r v e . For s e a B l i x a B a r g e l d , u n a v o l t a l a s c iati i B a d S e e d s , è v e n u t a v o g l i a di sperimentare direttamente sulla sua creatura la “literature in music” di Nic k C a v e . S t a d i f a t t o c h e i n alc un i s u o i e p i s o d i , A l l e s Wi e d e r O ff en r i c o r d a m o l t o i l C a v e s o n gwr it e r d i M u rd e r B a l l a d s ( N a g o rny Ka r a b a c h ) . E , c o m u n q u e , i n t u t to l’album è evidente la centralità c onf e r i t a a l l a p a r o l a e a l l a s u a d e c l a ma z i o n e . B l i x a p i ù c h e c a n t a r e , r ec it a , s u a c c o m p a g n a m e n t i m u s i c ali s p e s s o c o s t i t u i t i d a p a t t e r n r i t mici minimali e ripetitivi. C’è molto senso del teatro in questo continuo s us s e g u i r s i d i r e l a z i o n i f i g u r a s f o n do tra l’attore-cantante-creatore e il s uo a m b i e n t e , f a t t o d i s u o n i e r u mori, di atmosfere placide e battiti martellanti dall’incedere ossessivo e claustrofobico (Unvollstaendigk eit) , c l i m a x c h e r a g g i u n g o n o i n progressione picchi di intensità da c ar di o p a l m a ( D i e We l l e n ) . F i n o a s f o c ia r e n e l l ’ a m b i g u a c a n z o n e t t a I c h H a t t e E i n Wo r t , c h e c o g l i e s u bito di sorpresa, tanto è lontana da qualsiasi idea si possa avere degli Eins t ü r z e n d e . Per il r e s t o , d o v e n o n a r r i v a l a p o l i s em i a d e l l a m u s i c a , l a c h i a v e i n t e r pr et a t i v a d e l l ’ a l b u m s i r i t r o v a n e i t e s t i . Ve r s i a l t a m e n t e l i r i c i ( l ’ a p o l o g i a Eisley – Combinations (Reprise / W a r n e r, 7 a g o s t o 2 0 0 7 ) Genere: fake alternative rock U n ( b r u t t o ) a ff a r e d i f a m i glia quello d e l l e D u p r e e . Tr e s o r e l l e tr e : b i o n d e , t e x a n e , g i o v a n i s s i m e e ca r i n e i n p e r f e t t o s t i l e “ a l t e r n a ti vo ” , o cc u p a t e - c o n u n c u g i n o e u n a l tr o f r a t e l l o a r i m o r c h i o - i n qualcosa c h e s a d i s u c c e s s o a l e tte r e m a i u s c o l e . U n c o a c e r v o d i a sso r ti ti l u o g h i c o m u n i , s e è d i m u si ca ch e p a r l i a m o , d a l r o k k e t t o n e em o - g r u n g e ( c o r r e n t e r i m p i a z z o d i quello da F M ) a i g o r g h e g g i c h e v o r rebbero la M i t c h e l l m a p o s s o n o p ermettersi s o l o M i c h e l l e B ra n c h o , al limite, J e w e l . Tr a b a l l a t e p o p u l i ste , co u n tr y s v e n e v o l e e s v o l a z z i f o l k, se d o t a t i d e l l a p a z i e n z a n e c e s sa r i a r a cc a t t a t e p e r s t r a d a l a r e g o lamentare s t r i z z a t i n a d ’ o c c h i o a l l a new wave e u n k a r a o k e i n o d o r e d i Tor i A m os ( l a t i t l e t r a c k , d i g r a n l u n g a l ’ u n i ca cosa decente). M o l t a p l a s t i c a u s a e g e t t a ma poca c u r a , f i g u r i a m o c i l a d i g n i tà: troppo i m b e r b i p e r s a p e r e c o s a sia. Ha a l l e s p a l l e u n a l t r o a l b um e una m a n c i a t a d i E P, l a f o r m azione, e m e l a s c o m m e t t e r e i l a n c i a ta ve r s o l a g l o r i a , c o n s i d e r a n do ch e h a a p e r t o t o u r n e e d i C o l d p la y e H ot H o t H e a t i n p a t r i a , G r a n Br e ta g n a e A u s t r a l i a e d i e t r o h a u n’etichetta p o t e n t e ( c h e f a u s c i r e l o r o e dice di n o a g l i Wi l c o … ) . O t t i m e p o ssi b i l i - sentireascoltare 55 tà di trovarli presto s u M T V c o n l a Lavinia e i bambolo t t i f r a n g e t t o n i , o nell’episodio fina l e d e l l a n u o v a serie d i Th e O.C. Ro ba da f ar s em brare i Fle etwood M ac di Tango I n T he Nigh t gli Slint. ( 3. 5/ 10) Giancarlo Turra Enon - Grass Geysers… Carbon C l o u d s ( To u g h & G o / S e l f , 8 o t tobre 2007) Genere: indie-rock Gli Enon sono una bizzarria nel panorama indie rock americano. Veicolano le istanze j-pop dei Deerhoof e le stralunatezze soniche dei seminali Brainiac (ex band del cantante e chitarrista John Schmersal) in una serie di uptempo rock viscerali e obliqui che fanno dell’alto tasso di bpm il loro cavallo di battaglia. Come al solito è tutto incentrato nella creatività del duo SchmersalYasuda e come al solito i Nostri cercano di costruire la pop song perfetta e possibilmente che sia pure ballabile. Peccato che la lezione sia sempre quella e che i migliori fasti li abbiano già raggiunti con il mai troppo celebrato High Society ormai vecchio di 5 anni. Hocus Pocus era un degno erede di quel disco e ne riassumeva la verve dando in pasto agli ascoltatori altre ottime tracce, cosa che sicuramente fa anche questo nuovo episodio ma quello che viene a mancare è la zampata decisa, la traccia convincente che si abbia realmente a che fare con del materiale esplosivo e non con delle miccette di seconda mano. Tra scarti e pe zzi d i r ic am bio s em bra di a dd en trarsi in un Lost M ar b les… (la loro racco l t a d i b - s i d e e d inediti de l 20 05 ) e si ha la s ens azione che tutto qu es t o indie r oc k sconquassato sia a b b a s t a n z a u n a cosa da fine anni ’ 9 0 , r e a l m e n t e fuori temp o massim o. Det t o questo non tutto è d a but t ar e e bene o male Grass Gey s e r s … C a r b o n C l o u ds è u n disch et t o c he s i c onquista la sua fetta d i s u ff i c i e n z a . Quindi “rigorosame n t e p e r f a n ” … I curio si vad an o a r ipes c ar s i H i g h S o ciety … (6 .0/1 0) Alessandro Grassi 56 sentireascoltare Eric Copeland – Hermaphrodite ( P a w Tr a c k s / G o o d f e l l a s , a g o s to 2007) Genere: noise-pop? Si trastulli per qualche mese con questo giochino, chi brama impaziente il nuovo Black Dice ché qui ce n’è abbastanza per ingannare l’attesa. Eric (uno dei due fratelli Copeland della formazione newyorchese), si sa, riveste, in quel gruppo, il ruolo di ideale paciere tra pulsioni free-noise e vezzi accademici da laboratorio di ricerca sul ritmo; si scopre il membro più a r t i s t i c a m e n t e a ff i n e a l l e d e r i v e folk dell’Animal Collective e, non a c a s o , d i v i e n e c o n Av e y Ta r e l a m e n t e d e l p r o g e t t o Te r r e s t i a l To nes. E allora, nel suo primo album da solista: echi e gocce riverberate, arcobaleni colorati di suono primitivo e démodé (Hermaphrodite, Scraps); elettronica a basso cons u m o , e ff e t t i s t i c a a p r e z z i m o d i c i , la più economica attualmente sul m e r c a t o ( O r e o , Wa s h U p , Tr e e Aliens); rumore, dunque, ma assai trattenuto, e sempre circoscritto nel perimetro dell’ultima parvenza di una forma-canzone (FKD, Dinca); ipotesi di cantautorato che sappia ancora stupire come solo le melodie concepite da bambini (Mouthhole); e ancora, dub astratti (La Booly Boo, Green Burrito) e nenie tribali (Spacehead). Gli ingredienti già li conosciamo, e il progetto è indubbiamente estemporaneo (Hermaphrodite è il progressivo sedimentarsi di registrazioni accumulatesi negli ultimi due anni), ma stupisce come l’insieme sia architettato con la serenità dello sperimentatore pa- cificato con se stesso (quale ossimoro più azzardato), forse con il solito aiuto delle droghe, comunque nel riflusso di quella pace ondivaga - eppure quanto rilassante - che gli stessi Black Dice vanno conquistando album dopo album, stemperatesi ormai definitivamente le inutili foghe degli esordi. (6.8/10) Vincenzo Santarcangelo Faris Nourallah – Gone (Kitchen - Blog Up Musique - Awful Bliss, 2 luglio 2007) Genere: pop C h e c i s i a v v i c i n i a G o n e s p i n t i da un sentimento di condivisione - i proventi della vendite finiranno nell e c a s s e d e l l a K n k , u n ’ a s s o c i a zi o n e u m a n i t a r i a c h e o p e r a n e l l ’ a re a asiatica –, per semplice curiosità o magari perché già si conosce qualcosa della produzione di Faris Nour a l l a h , d i u n f a t t o c i s i r e n d e r à c on t o b e n p r e s t o : c h e l e t r e d i c i t r a cce in scaletta lasciano senza fiato. E n o n t a n t o p e r l e q u a l i t à e s t e t i che – d i q u e l l e n e m m e n o c i s i a c c o rg e i n b r a n i d e l l a d u r a t a m e d i a d i due m i n u t i e v e n t i s e c o n d i - q u a n t o per l a f r e s c h e z z a c h e c o n t r a d d i s t i n gue l a p o e t i c a d e l m u s i c i s t a d i s t a nza a Dallas. Un’attitudine lo-fi che lo spinge a generare pop i n a s p e t t a t a m e nte c a m e r i s t i c o ( F o r g i v e n e s s ) , p i a ce v o l m e n t e “ s t o n a t o ” ( E l e p h a n t i n e ), vagamente Sixties (Anticipation Anx i e t y e T h e R o p e ) , c o n l ’ a u s i l i o di chitarra, basso, batteria e poco alt r o . Tr a q u e l “ p o c o a l t r o ” , g e n e r ose d o s i d i i n v e n t i v a , q u e l l a c h e i n Ay C a r l o f a c o e s i s t e r e z e r b i n i d i d r um turn it on Polly Jean Harvey - White Chalk (Island, 24 settembre 2007) Genere: folk rock Visti i nomi c o i n v o l t i , s e m b r e r e b b e p r o p r i o u n r i t o r n o a l p a s s a t o : F l o o d , Joh n Parish, Er ic Dr ew Feldm an. Q uas i per i n t e r o i l t e a m c h e r e a l i z z ò I s this Des ir e?, più il non t r as c ur abile c ont r i b u t o d e l b a t t e r i s t a J i m Wh i t e , me mbro de gli s pir it i aff ini Di r t y Thr ee. M a l a P o l l y J e a n c h e t o r n a a m a n ifestarsi con W hi t e Chal k n o n è p i ù l a r o c k e t t a r a a c u t a e s p a u r i t a a l l e p rese co n le br um e m et r opolit ane di f ine m i l l e n n i o , q u e l l a s p e c i e d i A l i c e a lla sco pe rta della c it t à- m ondo dopo le m ille b a t t a g l i e c o n g l i s p i r i t i a t a v i c i e terrigni del b l u e s . L a H a r v e y d a a l l o r a s i è f a t t a d o n n a c o r a z z a t a , s e m p r e p iù p ad ron a d i s é m a anc he inev it abilm ente p r e d a d e l m e c c a n i s m o . F i n o a l pu nto di n on ac c et t ar s i più e s br ac ar e s p r e z z a n t e c o l t r a f e l a t o U h H u h He r , il disco d e l v a ff a n c u l o , d e l r a c c a t t a r e i c o c c i e l e v a r e l e t e n d e . Po lly rico mincia quindi dal pr opr io m et r o q u a d r o , a c c o g l i e n d o t u t t o c i ò c h e n e l f r a t t e m p o - d e n t r o e a tto r n o - è camb iato . Pe r f ar lo, az z ar da una t abula r as a s c o n c e r t a n t e : i l p e r n o d i q u e s t e u n d i c i c a n z o n i è i l p i a no fo r te , d i chita rre ap pe na qualc he ac c enno, il m ood è i n t i m o e p i u t t o s t o d e s o l a t o . Q u a n t o a l l a v o c e , t r a t t e g g ia u n a se quela di mala n i m i p u n t u t i , a c c e n n a s o l t a n t o a i c a v e r n o s i v i l u p p i d e l p a s s a t o s p i e g a z z a n d o s i p e r l o p i ù i n falsetto, concedendo r a r e - p e r a l t r o i n t e n s i s s i m e - d e f l a g r a z i o n i , c o m u n q u e m a i d e l t u t t o f u o r i c o n t r o l l o ( v e d i quella, pur la ncina nte , ne lla c onc lus iv a The M ount ain) . Po treb be ram m ent ar e la Tor i Am os più s c h i v a ( D e a r D a r k n e s s , T h e P i a n o ) , a l t r o v e a d d i r i t t u r a l a B j ö rk p i ù p a n i ca/a rca ica (Br ok en Har p) . All’iniz io, per c hi l ’ h a c o n o s c i u t a e a m a t a , è u n v e r o s h o c k . P o i s c o p r i c h e i p e zzi , q u e ste fantasmat i c h e c o n c r e z i o n i d i e r r e b ì o m e o p a t i c o , q u e s t e b a v e f o l k - b l u e s i m p r e g n a t e d i g o t i c a i r r e quietezza, p alp eg gia no lo s t es s o c uor e f er it o di s em pr e . C o m e è e v i d e n t e n e l l ’ o s t i n a z i o n e i n d o l e n z i t a d i G r o w G ro w Gr o w , tra ro mbi di pelli ed ev anes c enz e angos c ios e . O p p u r e n e l l a v i t a l i t à d e s o l a t a d i S i l e n c e , a t e s t a b a s s a nel senso di perdita e ab b a n d o n o . M a , s o p r a t t u t t o , i pe z z i c i s o n o . L u n g i d a l l ’ e s s e r e ( s o l t a n t o ) d i m o s t r a z i o n i d i u n percorso e ste tico n uo v o da par t e dell’ex inc az z at is s i m a d e l b l u e s - r o c k , c o v a n o b u o n i m o t i v i p e r e s i s t e r e , s o n o i sp i r a ti . A p artire da lla p s y c h languida, inaff er r abile de l l a t i t l e t r a c k , p e r n o n d i m e n t i c a r e l ’ i p n o s i j a z z y s c o s t a n t e d i To Ta l k To You e la scar na t r epidaz ione di Bef or e D e p a r t u r e . Mi p iace p en s ar e a ques t o dis c o c om e al Ne b ra s k a d i P o l l y, u n r a c c o g l i m e n t o ( q u a s i ) s o l i p s i s t i c o p e r r i mettersi a fu oco, p er to rnar e al noc c iolo della ques t ion e d o p o l e t r o p p e t e m p e s t e c h e n e h a n n o m e s s o a l l e c o r d e la p o e ti ca , il lin gu ag gio , la v it a s t es s a. ( 7. 1/ 10) Stefano Solventi sentireascoltare 57 machine e vo ci alla Beck, in G a l l a sonda i punti di cont a t t o t r a r e g g a e e pop ma lincon ico , in T h i n g s We R eally See a vvicin a l’aut or e ai c antori s gh emb i di casa Sub Pop – in partico lare Shins e Rogue Wave e in generale regala p i c c o l e g e m m e sot t o forma di me lod ia. Mezz’o ra d i musica c he dov r à bastarvi, in atte sa d el nuov o R a d i o F aris in uscita a g e n n a i o 2 0 0 8 . (7. 0/1 0) Fabrizio Zampighi F e u T h e r e s e – Ç a Va C o r n e r (Constellation, 8 ottobre 2007) Genere: art-rock I l disco ch e ci aspe t t av am o da Sebastian Tellier. Sicu r a m e n t e n o n i l disco che ci aspett a v a m o d a i F e u T herese . Avan t-rock er or am ai pent iti (il primo d isco), il gr uppo c apitanato da Jonathan P a r a n t ( F l y P a n Am) e Alexandre St - O n g e ( K l a x o n G ueule ) se ne la va le m ani, s i am monisce . Rico mincia. Quanto Bowie av r a n n o s e n t i t o nell’ultimo pe riod o? Q uant o t ar do krautro ck (le gg asi Cl ust er ) av r anno consumato? asc o l t a n d o l i o r a , a più d i un an no da l debut t o, par rebbe veramente mo l t o . D i ff e r e n z e : la forma canzone si s n e l l i s c e e s i abban do na no le te nd enz e f r ee- f or m di un a volta ; la voce, t ut t a in f r ancese, si scopre mél o e d e c a d e n t e e l’atmosfera analo g i c a d e l l a v o r o non si discosta da q u a n t o e s p r e s s o dal B o wie a rido sso del m ur o. L’inizio di À No s Am our s l a s c i a i n verità un tantino int e r d e t t i n e l s u o essere fu nkettin a, ins ipida s enz a avere capo quanto c o d a ; p o i p e r ò una dig ressio ne im pr ov v is a e Vi sage Sou s Nylon e v o c a M o r o d e r, K raft we r k e orizzon t i s p a c e - d i s c o (se la se ntisse Lindst r om … ) . S i apre, o ra, u no scenar io m it t eleuropeo ch e è pu ro a r t - r oc k m id- s eventies: Le s Dé se rts Des Az ur s , i l B ow ie/L a Du sseld or f di L e b r u i t d u pollen la nu it, l’an co r a Bowie – s t avolta però Young Am e r i c a n s - e r a – nella soffice, be llissim a Nada t u t t a sorretta da synth ova t t a t i e b a s s l i n e white-funk, l’ auster a e a m b i e n t a l e Ç a Va Co rne r ch e fa il paio c on la Warz awa del Duca B i a n c o o p p u r e 58 sentireascoltare la r it m ic a m o l t o S o u n d a n d Vi s i o n di Les Enf a n t s . Se Fer r ar i E n F e u P t . 2 r i c h i a m a l e per ples s it à d e l l a t r a c c i a i n i z i a l e , l a r om ant ic her i a c o s m i c a ( c h i h a d e t t o Roy k s opp ? ! ) d i L a N u i t E s t U n e Fem m e e la c h i u s a d i L a i s s e B r i l ler Tes Yeu x D a n s e L e S o l e i l i l c u i c lim ax r ic or d a m o l t o , m a m o l t o d a v ic ino Abbr a c c i a l a , A b b r a c c i a t i A b br ac c iali di B a t t i s t i ( p r o v a t e a c a n ticchiarci sopra il motivo del Lucio naz ionale e p o i m i d i t e . . . ) c o n g e dano c om e m e g l i o n o n s i p o t r e b b e . For s e nelle m a n i d i q u a l c u n a l t r o questo disco sarebbe di diversa v alut az ione , m a v i s t o c h e a d o c c u par s ene è il s o t t o s c r i t t o l a s c i o t u t t o all’em pat ia. E u r o n e u e n p o p . S e m bra un giorno dei Seventies, oggi… ( 7. 5/ 10) Gianni Avella e l a r g i r e r o c k s i m i l e a q u e l l a d i ce r t i u l t i m i O n e i d a c o n u n a v e n a t ura d i p o p s c h e r z o s o i n m e z z o ( f o r s e il p e z z o m i g l i o r e ) . I l s i n g o l o B e L ess R u d e h a u n f r a s e g g i a r e l e g g i a dr a m e n t e S o n i c Yo u t h s e n z a o m b r a tu r e n o i s e o c h i t a r r i s m i m a n i e r i s t i ci e c o n i n s e r t i d i t a s t i e r i n e t r a s p a r enti e leggere che ben rendono l’atmosfera in che di trasognante. Ya w n s è q u a s i s u s s u r r a t a , m e ntre B e h a v e t e n t a s t r a d e d i v e r s e per u n p e z z o c o m a n d a t o d a u n ’ a c u sti c a e d a u n ’ a t m o s f e r a m a l i n c o nica e s o ff i c e m e n t e f o l k r o c k , d i s t u r b ata da un basso distorto e sta a Squar e 9 t r a c c i a r e u n a l t r o t r a g i t t o per un crescendo fragoroso e mai invadente di tastiere e di chitarra. Q u e s t o d e b u t t o m o s t r a u n g r u ppo f r e s c o c h e s a a p p l i c a r e a l l a f o rma c l a s s i c a d e l l ’ i n d i e r o c k i d e e i nte ressanti e sa trasfigurare al meg l i o c a n o v a c c i u l t r a n o t i i n s c e nari s t i m o l a n t i ; m a n c a n o l e z a m p ate c h e l a s c i a n o v e r a m e n t e i l s e g no, m a f o r s e , s e s o n f i o r i , f i o r i r a n no. (6.4/10) Alessandro Grassi Frightened Rabbit – Sing The Greys (Fat Cat / Wide, 25 ottobre 2007) Genere: indie rock I Frightened Rabbit sono un trio e v engono da G l a s g o w c o m e i M o g w ai e i Be l l e A n d S e b a s t i a n , m a non c ’ent r a n o a s s o l u t a m e n t e n u l l a con loro, anzi. I Nostri fanno indie rock, di quello puro e diretto senza t r oppe dec l i n a z i o n i o f r o n z o l i . The G r ey s i n i z i a i n p o m p a m a g n a crescendo sempre di più in mood c on un s alir e d i c h i t a r r a c h e r i c o r da m olt o a l c u n i p a s s a t i S e b a d o h e anche nella voce Scott rimanda not ev olm en t e a q u e l l a d i u n L o u Bar l ow . M u s i c N o w è u n m i d t e m po um or ale m o l t o a l l a T h e Wre n s , m ent r e G o- G o G i r l s è i n q u a l c h e modo assonante ad una maniera di F. S . B l u m m M e e t s L u c a F a d d a - Self Titled (Autopilot / Wide, ottobre 2007) Genere: loose jazz I l f a s c i n o i n d o l e n t e e d i n o c c o l ato del fiato di Fadda e le minuterie a p e r d i t a d ’ o c c h i o d i F. S . B l u m m . Il j a z z d a a f t e r d i n n e r e l a p l a c e nta di animaletti sonori. I suoni dei gioc a t t o l i , d e i “ f i e l d s ” e d e l l a t r o mba t r a i l “ t r o v a t o ” e i l “ r i t r o v a t o ” . La r i f l e s s i o n e e i l r i l a s c i o s u l / d e l q uo t i d i a n o . S p r o f o n d a r e n e l l a p i ù co m o d a d e l l e p o l t r o n e c o n i n m a n o il m i g l i o r e d e i l i q u o r i , o p p u r e l ’ i m ma g i n e d e l r o b o t c o n i l j o i n t i n m ano simbolo dell’IDM reincarnato uomo c h e s i f a c o c c o l a r e d a u n a g r o ssa, g r a s s a m a n o . O p p u r e . P e n s a r e che d a l b u c o p i ù p r o f o n d o e o n i r i c o sia p o s s i b i l e l e v a r s i i n a r i a e r i m a n erci a l l ’ i n f i n i t o . I l s o g n o d i Wy a t t . F. S . B l u mm M e e t s L u c a F a d d a è, a l m e n o p e r t r e q u a r t i d e l l a s u a du rata, pura alchimia sulfurea come s e i d u e m u s i c i s t i s i f o s s e r o c a piti e c o m p l e t a t i d a s u b i t o . G i o r g i and L u c y , p o s t a i n c a p o a l l a s c a l e tta, tratta proprio d a l p r i m i s s i m o l i v e set n ewyorches e, ne è la r ipr ov a: u na so rta d i s t r eam ing f us ion t r opicalista pe r chit ar r a, bas s o e t r om b a “inn atu rale ” diff ic ile da dim enticare. Trans - e t n i c a l e g g e r m e n t e sporcata d’ele t t r o n i c a c o m e l a a m a il mu sicista tedes c o m a dec is am ente p iù esotic a- am niot ic a r is pet t o a lla p rod uzione quar t om ondis t a di u n Hasse ll. C ’è dent r o la s ens ibilità indietroni c a e l ’ e l e g a n z a N e w York like de l jaz z e t ut t o s em br a suo na to e pu lit o, pur e quando c ’è il “processo” d i m e z z o , q u a n d o c i o è l’intervento de l l a t r o m b a d i F a d d a è filtrato (ma no n c o m e q u e l l a d i J o n ) e i suoni di Bl u m m m a n i p o l a t i c o m e un bravo zoo l o g o d e l s u o n o . I n f i n d ei con ti è com e s e i due s m as c herassero conti n u a m e n t e l a s t e r i l i t à di certi dibatt i t i s u l l a m u s i c a c a l d a e quella fred d a . S c h i z z a n o s u l l a te la u na va riet à di c olor i e s f um ature senza vo l e r r i c o m p o r r e f i g u r e o narrazioni. N i e n t e p o p . P i u t t o s t o sen sa zio ni. U m or i anc he c om ples s i d a scio glie re il t im pano c om e ac cad e ne ll’ab bac inant e R i c k e a n d Din a, l’altro b r a n o l u n g o p r e s e n t e in scaletta. U n a s a v a n a i n t e r i o r e . Se nz’altro u na pas t ella dolc is s ima e n on è u n c as o c he la t r ac c ia sia sta ta pe ns at a per un’audienc e di bambini, e n u l l a c i f a s e F a d d a l’ha suonata a d u e m i l a c h i l o m e t r i d i d ista nza me nt r e Blum m er a a Ber lin o. An Ide al f or a leav ing r oom . (7 .0/1 0) Edoardo Bridda Fugu – As Found (Third Side / Audioglobe, 17 settembre 2007) Genere: pop All You Need I s P o p . Q u e s t o v i e n e da dire se nte ndo il s ec ondo c apitolo de lla sag a Fugu di c ui s i f r egia come pro t a g o n i s t a p r i n c i p a l e i l po lied rico co m pos it or e M ehdi Zanna d, d i orig ini f r anc es i. I l Nos t r o s i muo ve fra sinuos it à Br i an Wi l son, melo die frizza nt i Beat l es e un c er to gu sto ré tro per i r it or nelli ed i c oretti che fan no t ant o Six t ies . Here To da y, s i m p a t i c o o p e n i n g , è una traccia s e m p l i c i s s i m a , d i r e t t a che ben illustr a c i ò c h e a n d r e m o a d aff r on t a r e l u n g o t u t t o i l d i s c o , f r a s eggi d i t a s t i e r e e d i c h i t a r r e c h e s i inc r o c i a n o e g i o c a n o s i b i l l i n i a r i n c or r e r e l e n u v o l e e u n a l t r o “ A n o t her S u n n y D a y ” d i m e m o r i a B e l l e And S e b a s t i a n . P o i a r r i v a n o l e b a l lad ( S t r a i g h t F r o m T h e H e a r t o P a rk ing L o t s ) d o v e s e m b r a d i s c o r g e r e la penna commossa di un vecchio Paul M c C a rt n e y , s e n z a t u t t a q u e l la sofisticata grandezza espressiva che ben conosciamo nel quartetto di Liverpool e nei suoi momenti più t oc c a n t i . Q u a l c h e u p t e m p o b e l l o c cio e ben curato piazzato qua e qualch e m o m e n t o p i ù r i f l e s s i v o a p poggiato sulle note di una giornata di t e m p o c o n f u s o e n u v o l e r a p i d e , ed ec c o s e r v i t o A s F o u n d . Fugu è un progetto laterale nel senso che si occupa di ripescare una c e r t a v e n a p o p l a s c i a t a s p e s so in disparte, ma laddove finisce l’em o z i o n e d i f a r p a r t e d i u n s o s t r at o o r m a i s e p o l t o , r i e m e r g e l a pedissequità del risultato, che ben s i a cc o m p a g n a a p l u r i m i a s c o l t i m a s t ona i n f a t t o d i n e c e s s i t à . A l l a f i n e quell a c h e r i m a n e è l a s e n s a z i o n e che il compitino è stato fatto e che ques t o b a s t i e a v a n z i . ( 6 . 0 / 1 0 ) Alessandro Grassi Future Of The Left – Curses ( To o P u r e / S e l f , 2 8 s e t t e m b r e 2007) Genere: noise ‘n’ roll D a l l e c e n e r i d e i g l o r i o s i M c L u s k y, la nuova creatura del cantante/ chitarrista Andy Falkous, ancora una volta nel segno del noise’n’roll più smaliziato e corrosivo in circolazione. Non m u t a n o i p u n t i d i r i f e r i m e n t o d e l l ’ u o m o , s e m p r e a n c orato alla m a g i c a t r i a d e c o m p o s t a d a B ig B l a c k , G a n g O f F o u r e Fa ll, e, f o r t u n a t a m e n t e p e r n o i , n o n si a l t e r a n o n e a n c h e i v a l o r i d e l l e si n g o l e c o m p o s i z i o n i , a n c o r a u n a vo l ta s c h e g g e a n f e t a m i n i c h e di due/tre m i n u t i r i c o l m e d ’ a u t o i r o n i a ( Friges B e c o m e T h u m b s , F u c k T h e C o u n tr y s i d e A l l i a n c e , M a n c h a s m con un g i r o d i t a s t i e r e c h e v a l e il prezzo d e l b i g l i e t t o ) , e s p l o s i v i t à ( Wr i n g l e y S c o t t , P l e g u e O f O n c e s , ovverosia l ’ e q u i v a l e n t e d e i B e a s t i e B oy s in s t u d i o c o n i F u g a z i ) e sch i zo fr e n i a ( T h e L o r d H a t e s & C oward, My G y m n a s t i c P a s t ) , c o m e s em p r e d o v r e b b e r o e s s e r e i d i s c h i c h e si p r o c l a m a n o f e d e l i a l l a m a t e r i a r o ck. I l f u t u r o d e l l a s i n i s t r a , a lmeno da q u e s t i p a r t i , è c e r t o i n b uonissime mani. (7.0/10) Stefano Renzi Giuseppe Ielasi – August (12k, agosto 2007) Giuseppe Ielasi / Nicola Ratti – Bellows (Kning Disk, settembre 2007) Genere: microsuoni, elettronica Q u a n d o è s o l o d a v a n t i a macchine e s t r u m e n t i , G i u s e p p e I e l asi non è u n i c a m e n t e l o s p e r i m e n t ato r e a u d a c e e r a ff i n a t o c h e c o n t inuiamo a r i c o n o s c e r e n e l l e f r e q u e n ti co l l a b o r a z i o n i c h e l o v e d o n o c o i nvolto; è, p i u t t o s t o - c e n e s i a m o accorti già c o n l ’ e p o n i m o l a v o r o d e l 2006 –, il b r i l l a n t e a r r a n g i a t o r e d i disparate f o n t i s o n o r e , r u m o r i e m icrosuoni, r e c r u d e s c e n z e a m b i e n t e g u i zzi o r c h e s t r a l i , s p r a z z i d i a c u t o lirismo e s u s s u l t i d i i n f i n i t a d e s o l a zione che s i a l t e r n a n o i n s t r u t t u r a t e m i cr o su i te dagli infiniti dettagli. A u g u s t è l a n a t u r a l e p r o se cu zi o n e d e l d i s c o r s o i n t r a p r e s o nel suo p r e d e c e s s o r e : c i n q u e n uovi brani s e n z a t i t o l o , l u n g h i i n m edia sette m i n u t i , c u r a t i s i n n e l m i n i m o p a r ti c o l a r e ; m i n a c c i o s a m e n t e r i g o r o si , n e l l a l o r o d i n a m i c a , e p p ure capaci d i f e r i r e l ’ a s c o l t a t o r e n e l c ontesto di u n a v e r a e p r o p r i a g u e r r a d i sfi a n c a m e n t o , p s i c o l o g i c a e d emotiva. G e n e r a n o a t t e s a , p e r p oi d i si l l u d e r l a ( i l p r i m o b r a n o ) , r a sserenano sentireascoltare 59 per c us s iv a p s i c h e d e l i c a , 2 ’ 2 4 t r i b u t o es plic it o a D e re k B a i l e y . R i s t o ra la quiete raggiunta dalle ampie v olut e di d r o n i d e l l ’ u l t i m o 1 0 ’ 5 7 , br ano m em o r e d e i f a s t i d i A u g u s t . D i s c o a ff a s c i n a n t e , m a s o l o p e r or ec c hie be n d i s c i p l i n a t e . M e r a v i gliosa l’immagine di copertina dal v ago s apor e p a s o l i n i a n o . ( 6 . 5 / 1 0 ) Vincenzo Santarcangelo con sta si d i freq ue nz e o m edit az ioni pianistiche, dopo i l l e v a r s i d i u n crescendo ansiogen o , f i n i s c o n o p e r inabissarsi in un ma r e d i m e s t i z i a senza fondo (il seco n d o b r a n o ) . La fo rmu la è orma i collaudat a e I elasi u n mae stro n ell ’ac c os t ar e s t ati d’a nimo , ne ll’evoc ar e paes aggi e visioni: discrete t r a m e d i t i m i d i glit che s si alte rna no - in una dialettica ch e è orma i quas i pr olet t ica - ad ap ertu re di m aes t os i dr ones dall’amp io re sp iro sinf onic o ( la s econda e la te rza tracc ia) . Più s pes so sim ile all’u ltimo M ur cof , d u n q u e , che a quegli improvv i s a t o r i r a d i c a l i a cui si è abituati a d a c c o s t a r e i l suo nome; ma semp r e p i ù s i m i l e a se stesso, al Giuse p p e I e l a s i c h e , da solo, n on è u nicam ent e lo s perimentatore audace e r a ff i n a t o c h e abbiamo imparato a d a p p r e z z a r e . (7. 5/1 0) In questo senso, le c o l l a b o r a z i o n i con artisti dalla se n s i b i l i t à a ff i n e paiono assu mere il r ango di es er cit azio ni e stu di p rep ar at or i in v is t a di que ll’op us ma ius p e r e n n e m e n t e in co struzione che è i l p e r c o r s o i n solitaria del chitarr i s t a l o m b a r d o . La più recente, que l l a c o n l ’ a l l i e v o e soda le Nicola Rat t i ( già in Pi n P i n Sugar e Ronin, m a anc he autore di interessanti d i s c h i a p r o p r i o nome ), è u n lavoro d i pr ec is ione ar tigianale pazienteme n t e o ff e r t o a l l e potenzia lità d ello str um ent o pr im at trice – sebbene si a s c o l t i n o , o l t r e alle chita rre, pe rcu s s ioni, t ur nt ables, e lettro nica. 4 ’27’’ è i p n o t i c o girare a vuoto di ch i t a r r a e ff e t t a t a su sfo nd o sinte tico , 7’30’’ l o o p d i arpegg io a lla Gas tr del Sol e s uc cessiva risacca d i feedbac k , 6’19’’ improvvisazione su r i t m i c a d u b , 07’01’’ noise digital e e l u n g a c o d a 60 sentireascoltare G o l d m u n d - Tw o P o i n t D i s c r i m i nation (Western Vinyl, 10 settembre 2007) Genere: ambient M ent r e il pr o g e t t o H e l i o s c o n t i n u a egr egiam en t e c o n A y re s , i l p i a n i smo astratto dell’altro moniker di J enniff ov v e r o G o l d m u n d è t o r n a t o inas pet t at am e n t e a f a r c i v i s i t a , q u e s t a v o l t a n o n p i ù p e r l a Ty p e b e n s ì a c a s a We s t e r n Vi n y l . I l c a m b i o d i et ic het t a è p u r a m e n t e f o r m a l e , Tw o Poi nt O f D i s c ri mi n a t i o n , s e g u i t o s ulla lunga d i s t a n z a d i C o rd u ro y Road, s i c o m p o n e d i u n d i c i p i è c e s di più br ev e d u r a t a e d a l l ’ a p p r o c c io – m a s on o i n e z i e - m a g g i o r m e n te intimista e minimale. Il solco è il medesimo, tra Feldman, Harold Budd e una spruzzata di classica c ont em por a n e a , m a i l f o c u s d i c h i a r at o del m u s i c i s t a d i v e n t a q u e l l o d’indagar e l e r e l a z i o n i t r a i l s u o n a re (toccare i tasti) e il suonato (il suono che esce). Il risultato è più ambiguo rispetto all’ottimo esordio ma il risultato è più che dignitoso. ( 6. 5/ 10) Edoardo Bridda Hair Police – The Empty Quarter (Harbinger Sound, luglio 2007) Genere: drone/noise/industrial Considerati a torto un side-project di M i ke Co n n e l l y ( Wo l f E y e s ) , g l i Hai r Pol i ce ( c h e p e r l a p r e c i s i o n e nascono prima della sua entrata n e i Wo l f E y e s ) m e r i t e r e b b e r o u n a diversa considerazione, soprattutto in un m om e n t o c o m e q u e s t o , i n c u i la s c ena f r e e - n o i s e s t a o t t e n e n d o la m as s im a e s p o s i z i o n e m e d i a t i c a . Las c iat i or m a i a l l e s p a l l e g l i a s s a l t i all’arma bianca delle prime temibili us c it e dat a t e 2 0 0 2 , o g g i g l i H a i r P o l i c e s o n o u n a m a c c h i n a i n fe r n a l e c h e p r o d u c e c l a u s t r o f o b i che t r a c c e s u l l e q u a l i s o ff i a n o v e n t i di p u r a m a l i g n i t à . R e g i s t r a t o a Yp si l a n t i , M i c h i g a n , n e i p r i m i m e s i del 2 0 0 7 , T h e E mp t y Q u a rt e r p arte c o n A D e a d B e l l e i m m e d i a t a m e nte v e n i a m o c a t a p u l t a t i n e l l o r o t e r r i fi c a n t e e d e g r a d a t o u n i v e r s o : d r o nes d a l l e t o n a l i t à b a s s i s s i m e , s u o n i che s e m b r a n o p r o v e n i r e d a o s c i l l a to r i malfunzionanti, grida disumane e vorticose spirali dissonanti. N o n c ’ è u n r a g g i o d i l u c e i n T he E mp t y Q u a rt e r, n e s o n o l a p r ova l e s u c c e s s i v e I n t e r r u p t i o n a n d In v a s i o n e B r e a t h i n g i n C o n f l i c t i n cui p a r e s e n t i r e c r e a t u r e m i t o l o g i ch e muoversi nell’oscurità. P e r c h i h a d i m e s t i c h e z z a c o n la discografia del gruppo, qui siamo d a l l e p a r t i d e i v a r i D ra w n D e a d e C o n s t a n t l y Te rri f i e d , s t e s s a p er i z i a n e l c o s t r u i r e m o s t r u o s i t à n o ise a b a t t u t a b a s s a . P o t r e b b e e s s ere una perfetta colonna sonora per inc u b i c i n e m a t o g r a f i c i d e l t i p o N e kr o m a n t i k m a f o r s e i l v e r o o b i e t t i v o del trio del Michigan è quello di lasciare all’ascoltatore la libertà di legger e i n q u e s t e t r a c c e l e s u e p e g g iori paure e fantasie. Un disco consigliato chiaramente a t u t t i g l i e s t i m a t o r i , m a a n c h e a t utti quelli che hanno amato le sonorit à s u b l i m i n a l i e m e d i t a t e d i H u man A n i ma l d e i Wo l f E y e s . ( 7 . 0 / 1 0 ) Nicolas Campagnari Hollywood Pornstars – Satellites (Naïve / Self, 7 settembre 2007) Genere: rock (?) Possibile trovare un nome più or- turn it on S i r R i c h a r d B i s h o p - P o l y t h e i s t i c F r a g m e n t s ( D r a g C i t y, 2 0 0 7 ) Genere: indian raga guitar Il Pa nth eo n d i r if er im ent o, in c oper t ina, è qu e l l o d e l l e d i v i n i t à i n d u i s t e . R i cha rd, le cu i or igini f am iliar i inc r oc iano da v i c i n o q u e l l a p o r z i o n e d i m o n d o, in du gia di f at t o nel s uo pr iv at is s im o Pa n t h e o n d i e r o i a l l a s e i c o r d e . J ac k Rose , S t e p h e n B a s h o - J u g a n s , J o h n F a h e y, D j a n g o R e i n h a r d t , Ra vi Shanka r ( r aga, alapa, gat ) , il f lam en c o , l e m u s i c h e z i g a n e . . . C r o s s My Palm With Finger s non dev e inv ent ar e n u l l a , d e v e s o l o l a s c i a r s i e s e g uire , te ne nd o f ede ai neum i per s onali dell’ a u t o r e , a q u e l l a p u n t e g g i a t u r a tutta sua per s o n a l e , f a t t a d i i n t e r v a l l i e p a u s e f r a l e n o t e i m p r o v v i s a t e su stili e tem i b e n d e f i n i t i . L’ a l b u m h a u n a s u a g r a m m a t i c a p r e c i s s i m a , dunque. E le c o m p o s i z i o n i s o n o i l r i f l e s s o , i n f o r m a s t r u t t u r a t a , d i q u a n t o h a in ve stito negli anni l’im m aginar io del nos t r o Ve s c o v o . H e c t a t e ’s D r e a m rip ren de (e vviv a ev v iv a! ) il s uono dilat at o, l i s e r g i c o , s p o r c o , d i c e r t o c h i t a r r i s m o c h e f u d e l g l o r i o s o Torch Of The Mys tics ( 1990) . I Sun Ci t y G i r l s n o n s o n o p a s s a t i i n v a n o n e l l a v i t a d e l N o s t r o ! Q u i s i f a n n o s o s p ensione di g lissan di fa ntas t ic a e appic c ic os a c om e gla s s a . U n q u a d r o d ’ e s p r e s s i o n i s m o p u r o a f i r m a S R B . I l r e s to d e l l ’ a l bum suona de s e r t i c o , v i s c e r a l e , f i l m i c o c o m e d a a n n i ( d a l l ’ e s o r d i o ) n o n e r a d a t o s e n t i r e . E ( f i n a l m ente, sitar in clu so ) c’è un r aga v er o e pr opr io, Sar as wa t i , i n c h i o d a t o a l l e s u e a r m o n i e d a u n p i a n o f o r t e a l l u c i n a t o . Sp e r i a m o n on sia no qu es t i gli ult im i f r am m ent i del po l i t e i s m o a p o l i d e d e l l ’ o t t i m o R i c h a r d B i s h o p . D i l u i n o n s e n e a vr à m a i a bb astan za . ( 7. 5/ 10) Massimo Padalino sentireascoltare 61 rendo di Hollywoo d P o r n s t a r s ? Come si possano s p e n d e r e s o l d i per pro du rre e far c ir c olar e por c ate di questa portata ? U n b e l p a c c o di sold i, ve rreb be da pens ar e, v isto che per dare lus t r o a l l a c o s a s i è convocato pe rso no un t ec nic o di richiamo come J ohn G oodm anson in passato al serviz i o d i b i g q u a l i Wu Ta ng Clan, Blon de Redhead e S l eat er Kinne y. D enaro b utta to. Ci s ar ebbe v olut o l’ennesimo miracolo d i P a d r e P i o ed il bu on Goodm a nson nat ur almente , che d i mira c oli anc or a non ne f a. Un alb um inu t ile t r a nef andezze gla m rock (An dy ) , polpet t oni new wave in sa lsa I nt er pol ( I s lands) e d u n bra no com e The Fugit iv e dove semb ra di asc olt ar e gli A r t i c Mo n ke ys co n la dia r r ea. ( 3. 0/ 10) Stefano Renzi Hototogisu - Chimärendämmeruns (De Stijl / Goodfellas, 26 settembre 2007) Genere: drone rock, post industrial U no: Se tte min uti d i m onolit e per mugu gn i d i sola chi t ar r a, non una variaz ion e to na le, non una c oncessione al colore. G r i g i o c a t r a m e , fumo, lo rdu me e de tr it i di lav or o pesante: ciò che resta d e l l a f a b b r i c a smantella ta. Due : a ppena un leggero dinamismo si im p a d r o n i s c e d e l molosso, pa rve nza di not e, là s ot to, sepolte da tonne l l a t e d i r u m o r i , sfrigolii e dissonanze c h e n e m m e n o i prim i Einsturzend e N e u b a u t e n arrabbiati. E’ un gio c o a l m a s s a c r o che va avan ti q ua si per v ent i m inuti. Tre : chita rra effe t t at a, r iv er ber i di dron e come Pau l i ne O l i ver os 62 sentireascoltare pr es t at a pe r u n a v o l t a a l l a s e i c o r de. Poi di nuovo tutto in frantumi, la c hit ar r a r es t a p u r s e m p r e l o s t r u m ent o da s p a c c a r e s u l p a l c o , q u e l lo con cui distruggere quel rock che ha c ont r ibu i t o a f a r n a s c e r e . S i s i mula un crescendo, se è lecito, qui, par lar e anc o r a i n t e r m i n i m u s i c a li, se a infinito si può addizionare m aggior e. Q u a l c u n o p o t r e b b e a n che inventarsi di ascoltare assoli, è passato quasi un altro quarto d’ora, m a c his s à, f o r s e s i t r a t t a s o l o d i a l luc inaz ioni i n d o t t e . Q u a t t r o : s i o d o n o v o c i e ff e t t a t e i n s o t t o f o n d o , m a anc or a una v o l t a i l t u t t o s i c o n f o n de nel c on s u e t o , a m o r f o f a s c i o d i frequenze irremovibili pur nel loro fluire. Coda rumorosissima, come di c ant ier e i n d u s t r i o s o a p i e n o r e g i m e. Cinque : f r e q u e n z e p i ù b a s s e , quas i un s o l l i e v o ; v o l e n d o , t a l v o l t a, s i pos s o n o i s o l a r e s c i e d i s u o no che tracciano percorsi consueti - a m im ar e l ’ a b b o z z o d i u n a m e l o dia, a inseguire tonalità che uno si aspetta -, ma il processo necessita di grande pazienza e capacità di as t r az ione, c h é i l r e s t o d e l l ’ o r c h e s t r a – c hit ar r a , c h i t a r r a , a n c o r a c h i t ar r a – c ont i n u a f r a t t a n t o a p i c c h i a re assai duro. Se c os ì de v e a n d a r e , s e q u a l c u no, c ic lic am e n t e , d e v e a r r i v a r e e d i s t r u g g e r e t u t t o a ff i n c h é s i a p o i pos s ibile r ic o s t r u i r e s u q u e l l e m a cerie (ne abbiamo parlato anche a pr opos it o d e l l ’ u l t i m o P ru ri e n t ) , ebbene noi staremo stoicamente a guar dar e s e n z a a l i m e n t a r e c a t a s t r of is m i, s e n z a s i m u l a r e e n t u s i a smi. Ci si venga a spiegare, però, per c hé l’av e r m i l i t a t o i n D o u b l e Leopar ds ( M a r c i a B a s s e t t , l a m e t à f em m inile d e l d u o ) o S u n ro o f ! , Vi br acat hedr a l O rc h e s t ra ( M a t t h e w Bower) debba costituire condizione s u ff i c i e n t e p e r f a r s i c a r i c o d e l ( s i n troppo allettante, ci pare di capire) s ac r if ic io de l l ’ i c o n o c l a s t a . ( s . v. / 1 0 ) Vincenzo Santarcangelo T h e H o w l i n g H e x - X I ( D r a g C i t y, 28 agosto 2007 ) Genere: psych rock St av olt a Ne i l M i c h a e l H a g e r t y è r i uscito a tenere a bada l’estro per un anno intero, e infatti questo XI o t t a v o l a v o r o s o t t o l ’ e g i d a H o w l ing H e x - h a i l p i g l i o d i u n a m p l e s so dopo lunga astinenza. Però l’età e l ’ e s p e r i e n z a s o n o q u e l l e c h e s o no, e l a f o g a t r o v a i l m o d o d i c o m p i ersi c o n u n c e r t o s t i l e . P a r t i c o l a r m e nte a z z e c c a t a l ’ i n t r o d u z i o n e i n o r g an i c o d e l s a s s o f o n i s t a R o b b i e L e e, il c u i s t i l e n a i f v a g a m e n t e G e t a t c hew M e k u ry a r e a l i z z a u n c o n t r a p p un t o r u s p a n t e e b l a s é c o n l a f r e gola delle chitarre. Ne viene fuori un ling u a g g i o g u s t o s o e a g g r e s s i v o , un a f e s t a m o r d a c e i n n a ff i a t a c o n a cidi s t o n e r, g a r a g e e f u n k , a n c h e s e tra le tartine puoi trovare folk rock corr u s c h i t i p o i G ra t e f u l D e a d i m pa s t a t i C re e d e n c e ( M a r t y r L e c t u res Comedian), oppure rock-blues à la K e i t h R i c h a rd s s t r a t t o n a t o M C 5 (Ambulance Across The Street) o a n c o r a s o u l - r o c k t i p o i l B o w i e di Yo u n g A me ri c a n s i r r o r a t o d i s m a n i a J o n S p e n c e r e d i m p u d e nza P ri ma l S c re a m ( F i f t h D i m e n s i o nal Johnny B. Goode). C i s i d i v e r t e s ì , m a n o n t r o p po, p e r c h é u n ’ a r i a s u r r e a l e a l e g g i a su tutto, non ti fa abbassare la guard i a , a d e s e m p i o q u a n d o i m p r i g i on a i l b l u e s - r o c k v i s i o n a r i o d i T h e 8 8 in u n a s c o s t a n t e t r a m a p o s t , o p p ure q u a n d o s p i n g e i l b o o g i e - p s y c h in s t i l e P a t t o t r a l e f a u c i d i u n t o s s ico a s s o l o n o i s e . C o n s i d e r a t e p o i q ue l l a s o r t a d i L e n n y K ra v i t z s b a l lo tt a t o B e a s t i e B o y s d i D r. S l a u g hte r o l a s o r n i o n a o s s e s s i o n e L i a rs di Save/Spend, e finirete per consider a r l a u n a b o l g i a s u l b a t t e l l o e b bro verso dove non si sa bene. D’alt r o n d e , p a r e c h e a d H a g e r t y p i a ccia p a r e c c h i o q u e s t o n a v i g a r e a v i sta. (6.4/10) Stefano Solventi I a n B r o w n – T h e W o r l d I s Yo u r s (Universal, 24 settembre 2007) genere: soul orchestrale, r’n’b, indie Se ci guardiamo intorno, agli ex lea d e r d e i g r u p p i i n g l e s i d i s u c c e sso d e g l i a n n i ’ 9 0 s o n o t o c c a t e l e so r t i p i ù d i s p a r a t e . C ’ e c h i a t t r a v e rsa t e r r i b i l i c r i s i d i m e z z a e t à ( B rett A n d e r s o n ) , c h i v e l e g g i a t r a n q u i llo, g r a t i f i c a t o d a g l i o d i e r n i t r a g u ardi Beh, pare che padre Brown abbia t r ov a t o f i n a l m e n t e l a s u a s t r a d a , andando oltre quell’abbagliante bolla d i s a p o n e c h e e r a s t a t a l ’ i n gom b r a n t e b a n d d i c u i a v e v a f a t to parte tanto tempo fa. Come si chiamavano? Ah già, Stone Roses. Bene c o s ì I a n , e c h e n o n t i v e n g a in m e n t e d i f a r e l a “ c l a s s i c a t e l e f o nat a” a J o h n S q u i r e p e r r i m e t t e r e as s ie m e i c o c c i ( v e d i u n p o ’ i l p a pocchio che hanno combinato i tuoi am ici M o n d a y s … ) . ( 7 . 0 / 1 0 ) (Jarvis, Alb ar n) , c hi dopo av er c i p rovato d a solo f a la c las s ic a t ele fon ata ag li old pals : “ r im et t iam o su la band?” ( R i c h a r d A s h c r o f t ) . E il “re scimmia ” d i M a d c h e s t e r, c o m e se la pa ssa? Fr a alt i e bas s i, è ar rivato tra nq ui llo t r anquillo al quint o cap itolo d i u na c ar r ier a s olis t a s enza infamia né l o d e , s p e s a p e r l o p i ù in u na d ign itos a t er apia di m ant en imen to. Preambolo dovuto, perché per Ian Brown questo è l’album della scommessa più grande, il suo What’s Going On. Almeno, per come lo vede lui. Per come la vediamo noi, ci è andato parecchio vicino: The World Is Yours mette assieme soul, hip hop, r ’n’b, parlando proprio di quello che succede. Più che nei contenuti, la forza del disco sta in un sound mirato e fortemente ammiccante ai ’70, che mischia archi a cascata (la memorabile title track), upbeat (On Track) e riff cicciuti e trascinanti (Sister Rose); la presenza nell’edizione deluxe dei 12 brani in versione puramente orchestrale non fa che dimostrare quanto il suo autore abbia mirato in alto in termini di suono e concetto. La produzione azzeccatissima, coi fiocchi, va infatti a braccetto con una personalità che stavolta è difficile da ignorare, anche quando si cimenta nel più classico ballatone britpop come Goodbye To The Broken. Non per niente, per l’occasione Ian si e’ fatto aiutare da vecchi amici come Andy Rourke degli Smiths e Paul Ryder degli Happy Mondays, Steve Jones e Paul Cook dei Sex Pistols, nonche la pasionaria per eccellenza Sinead O’Connor nel singolo antibellico Illegal Attacks. Retorica a parte, questo e’ un disco potente e - alleluia! – credibile di soul moderno. Antonio Puglia i L I K E T R A I N S – E l e g i e s To L e s son Learnt (Beggars Banquet / Self, 5 ottobre 2007) genere: post-rock storicista Sì , o k , i l c o s i d d e t t o p o s t - r o c k - o quan t o m e n o , l a s u a d e r i v a e m o t i v a di m a r c a M o g w a i - S i g u r R ò s - E x p l o sion in The Sky - è passato di moda da u n p e z z o e d è i r r i m e d i a b i l m e n te caduto dalle grazie della critica. A l l o ra p e r c h é q u e s t o d e b u t t o s u l l a lunga distanza degli iLIKETRAINS ( d i cu i a b b i a m o t r a t t a t o s u q u e s t e pagine l’anno scorso, all’epoca del m ini d ’ e s o r d i o P ro g re s s / R e f o rm) , c he s i c o l l o c a i m m e d i a t a m e n t e n e l s udde t t o e v i t u p e r a t o f i l o n e , d o vrebbe mai fare eccezione? Beh, anzitutto perché ha un fascino tutto suo, nella scelta del liricista David Martin di trattare di precisi episodi s t or ici i n u n a “ e l e g i a p e r l e l e z i o ni imparate” (quelle della Storia, non quelle di storia). Poi, perché s i all o n t a n a d a c e r t i c l i c h é d i g e nere, aggiungendo a una musica che nasce prevalente strumentale delle liriche narrative e colte, che accentuano l’aspetto puramente ev oc a t i v o e c i n e m a t i c o d e i s u o ni. Immaginifiche, queste canzoni, che sanno di pellicole in bianco e ne r o , d i i n c e s s a n t i t o r m e n t e d i n e v e, d i c a p p o t t i l u n g h i e p e s a n t i c o p r i c a p i d a Tu n d r a . C o n l a s t e s s a band a produrre e la mano di Ken Thom a s ( S i g u r R ò s , m a n c o a d i r lo) ad aggiungere magniloquenza e solennità (vedi i fiati e gli archi in Co m e O v e r ) , l e c o o r d i n a t e s o n o quell e d e g l i i s l a n d e s i f u n e r e i d i ( ) , c on u n a c o l t r e d i m a l i n c o n i a D i s i n t egr a t i o n a r i c o p r i r e . Tu t t o m o l t o s u g g e s t i v o , c e r t o , p e c c a to ch e l a l u n g a d i s t a n z a m e t t a duramente a l l a p r o v a l ’ a s c o l t a t o r e n o n a vve zz o a d a t m o s f e r e t a n t o monocordi - o v v e r o n a r c o l e t t i c h e e d i n e so r a b i l m e n t e i n m i n o r e ( c o n l ’ eccezione d e l l a m i n a c c i o s a We G o H u n ti n g ), c o n i s u o i b e i c r e s c e n d o e p i ci a l p o s t o g i u s t o ( We A l l F a l l D o w n ) . I l c h e s i t r a d u c e p i ù o m eno in: gli iLIKETRAINS non sono male, e q u e s t o E l e g i e s F o r L e s s on Learnt m e r i t a l ’ a t t e n z i o n e c h e g l i compete ( o v v e r o , p i ù d i o g n i a l t r a uscita di g e n e r e ) ; p e r ò , a l u n g o a n d a r e , o cchio alla noia. (6.4/10) Antonio Puglia I m p e r i a l Te e n – T h e H a i r T h e T V The Baby & The Band (Merge, 21 agosto 2007) Genere: indie-pop D o p o c i n q u e a n n i d a l d ebutto su M e r g e d i O n , t o r n a n o g l i Imperial Te e n , l a b a n d d i R o d d y B o ttu m ( e x F a i t h N o M o re ) c o n i l l o r o p o p so p r a ff i n o , s c r e z i a t o d i n o n sense e di m e l o d i e d e n s e e c a r e z z e vo l i e sp i g o l o s e s o l o a t r a t t i . I r i f e r imenti più vicini sono alle delicatezze melodic h e d e g l i u l t i m i Yo L a Te n go e allo s c i a b o l a n t e o n d e g g i a r e note dei s e m p i t e r n i B e l l e A n d S e b a s t ia n. E v e r y t h i n g t a c a b a n d a c o n un soft p o w e r p o p d e c l a m a n t e , tastiere e s o l i d i c h i t a r r a c o m e p i o ve sse , Do I t B e t t e r f a t a n t o Yo L a Te ngo su i t e c a s a l i n g a , S h i m S h a m r i sp o l v e r a l a g e n e r a z i o n e “ B i g Muff” dei m e t à a n n i ’ 9 0 e B a b y A n d Th e Ba n d è a n c o r a u n n u m e r o a l l a maniera d e l t e r z e t t o d i H o b o k e n . Co n Room Wi t h A Vi e w a r r i v a l o s pettro dei B e l l e A n d S e b a s t i a n , d o ve i co r i l a f a n n o d a p a d r o n a e i l pianoforte sentireascoltare 63 e la batteria con un r i t m o u p t e m p o conducon o il tu tto d ent r o t r adiz ionalismi pop d’oggi, n i e n t e p i ù c h e soffic i e sba razzin i. La minestra non cambia quando i Nostri provano a mutarsi in fantasmi glam-pop (la “grandeur plasticosa e zuccherina” di Fallen Idol) o ritentano il numero power (la coda di It’s Now e Sweet Potato), ma il meglio lo danno quando si limitano a toccare il cuore con melodie soffici e con cori dolci da regalare ai primi vagiti di autunno come nella conclusiva e deliziosa W h a t Yo u D o . . U na ba nd che è in g ir o dal 1996 e che ha attraversato i l p o w e r p o p più “disgraziato” per p o i a p p r o d a r e ad una forma canzo n e p i ù c o n s o n a e più coerente, fino a d a v v a l o r a r e una strad a fatta d i squis it o pop m oderno, delicato, trad i z i o n a l e s e n z a essere vecchio den t r o … Q u e s t o è uno di qu ei disch i c he f anno bene al cuore . (6.2 /10 ) a fuoco della calligrafia. Scaletta di soli tre pezzi inaugurata da una We Roc k ch e è s u a d e n t e i n t r u g l i o Depeche M o d e / M a s s i v e A t t a c k / Japan, il p a s s o b l a n d o e i n e s o r a b i l e t r a r i ff e t t i n i d i s y n t h e b r u s i o d i chitarre, il canto setoso di Johanna Tham a s p a r g e r e f l e m m a s u l l ’ i n quietudine. C’è ques t a s p e c i e d i e n e r g i a t r a t tenuta sotto la patina, di sensualità c o c c i u t a m e n t e d i ff e r i t a , c h e a t t r a e r is c hiando p e r ò u n ’ e c c e s s i v a a l g i d i tà. Lo stesso accade nella più tesa Kam a ( s or t a d i K i m Wi l d e r e i n c a r nat a t r a ugg e w a v e , a r z i g o g o l i D a f t Punk e v a m p e d i o t t o n i ) e n e l l a r um ba r obo t i c a d i C r a c k ( s c r e z i a t a di umori jazzy e additivi chill-out). Alla ricetta manca forse un pizzico di cattiveria, ma ti viene voglia lo s t es s o d’inf i l a r c i i l d i t o . P i ù d i u n a v olt a. ( 6. 8/ 1 0 ) Alessandro Grassi Jakob Olausson – Moonlight Farm (De Stijl-Sub Pop / Audioglobe, ottobre 2007) Genere: weird folk Jakob Olausson è un ragazzone s v edes e c h e l a v o r a i n u n a f a b b r i ca di zucchero da barbabietola. Nel tempo libero Jakob strimpella la sua chitarra acustica e biascica parole introverse con un piglio da crooner ingobbito e l’aria di chi è talmente depresso che le parole escono fuori dir et t am ente i m p r e g n a t e d e l s a p o r d i J a c k D an i e l s . N o n s i s a c o m e , ma De Stijl lo nota e l’anno scorso dis t r ibuis c e M o o n l i g h t F a rm s o l o in v inile. D a l m o m e n t o c h e i l m e r cato del weird folk si è allargato a s uff ic ienz a e i n v i r t ù d i u n a t i r a t u r a comunque esigua, Jakob riesce a piazzare qualche disco. Quest’anno De St ijl non p a g a d e l l o s f o r z o c o m piuto l’anno passato, fa una joint v ent ur e c on S u b P o p e o r a d i s t r i b u isce il disco a tiratura più elevata e in pratico formato compact disc. E’ in ques t a v e r s i o n e c h e a s c o l t i a m o M oonl i g h t F a rm. L a p r i m a c o s a che salta all’orecchio è la chitarra s c or dat a e l ’ a s s o l o d i s i t a r d e l p r i m o br ano. I m m e d i a t a m e n t e p e n s i a m o c he per u n J a n d e k c h e c i r i e s c e c i s o n o 1 00 J a n d e k - w a n n a b e c h e Inina Gap – We Rock EP (Automat, 7 settembre 2007) Genere: electro fusion Il buon d eb utto Sof t w ar e Soci et y (Automat, 2005) ci l a s c i ò i l t i p i c o formicolio d elle p rom es s e s t uz z icanti, in virtù d i qu ella f r egola dance cath cy be nché s t r ut t ur at a, s atura di memorie ele c t r o i n d i ff e r i t a dagli Ottanta con c o p i o s i r i m b a l z i N ineties. Nell’a ttesa del s ec ondo lavoro lungo, il quin t e t t o a u s t r i a c o (il cu i nome, per inc i s o , è P a g a n i n i al contrario) ci offre l a p o s s i b i l i t à di ap rire il file su di lor o c on un ep che testimonia il pro c e s s o d i m e s s a 64 sentireascoltare Stefano Solventi v u o i p e r m a n c a n z a d i m i s t e r o , ca r i s m a e s t i l e , v u o i p e r l a p i ù t o t ale d e f i c i e n z a d i s e n s o d e l l a m i s ur a , n o n t o c c a n o l e s t e s s e c o r d e e il g i o c a t t o l o w e i r d i m m e d i a t a m e n t e si r o m p e s o t t o i n o s t r i o c c h i n e l l a g o ff a g g i n e p i ù t o t a l e . C o n J a k o b no n s i a m o p r o p r i o s u q u e s t i t e r m i n i , ma p o c o c i m a n c a . L’ a r r a n g i a m e nto d i q u e s t e s e r e n a t e d a “ f a b b r i c a” è completamente fuori fuoco, comp l e t a m e n t e s b a l l a t o . N e l l e o c c a si o ni migliori possiamo andare a par a r e d a l l e p a r t i d e l M a t t Va l e n t ine p i ù b u c o l i c o e “ h i p p i e ” m a d i l u i non c ’ è c e r t o l a s t e s s a m a e s t r i a . P r eso come esperimento estemporaneo e “ n a i f ” s i p o t r e b b e a n c h e p e r d o n are a J a k o b i l d e l i r a n t e a c c u m u l o d i fr e akerie che coprono melodie folk invero abbastanza scialbe, ma se De S t i j l e S u b P o p a d d i r i t t u r a s i un i s c o n o p e r d i s t r i b u i r e u n d i s c o del g e n e r e , a l l o r a c i c o n v i e n e t o r n are a b u s s a r e a l l a p o r t a d e l l a C o r w ood Industries (5.0/10) Antonello Comunale Jeffrey Lewis – 12 Crass Songs ( R o u g h Tr a d e / S e l f , 5 o t t o b r e 2007) Genere: protest indie folk C h e s u c c e d e s e m e t t i a s s i e me L o u R e e d , A d a m G r e e n , J o n a t han R i c h m a n , Wi l l O l d h a m e D a niel Johnston? Succede che ti compar e d a v a n t i u n p e r s o n a g g i o n e c o me J e ff r e y L e w i s , a l l u c i n a t o – e p p u r l u c i d i s s i m o – t r o v a t o r e m e t r o p o l i ta n o , f o l k s t e r, f u m e t t i s t a e , p i ù s e m p l i c e m e n t e , a r t i s t a a t u t t o t o n do. A r r i v a d r i t t o d a l c u o r e d e l l a G r a nde M e l a , d a q u e l l a f u c i n a a n t i - f o l k che u n i s c e i d e a l m e n t e M o l d y P e a c hes e R o a d r u n n e r d e i M o d e r n L o v ers, turn it on Sunburned Hand Of The Man – Fire Escape (Smalltown Supersound, 2 ottobre 2007) Genere: weird funk Cosa p osso no m ai av er e in c om une J ulian C o p e e K i e r a n H e b d e n ? P r o b a bilme nte n ien t e, s e non f os s e c he ent r am b i h a n n o u n a p a s s i o n e s v i s c e rata p er i Su nbur ned Hand O f t he M an. C o m e o g n i a v a n t - m u s i c i s t a c h e si rispe tti Kier an c om pr a r egolar m ent e Th e Wi r e e p r o p r i o l e g g e n d o u n articolo della r i v i s t a i n g l e s e , s i i n c u r i o s i s ce a p r o p o s i t o d e l l a c o m p a g i n e ame rica na , p or t apandier a – c om e s i legge n e l l ’ a r t i c o l o - d e l l a c o s i d d e t t a ”New Weird Am er ic a” . A quant o par e Kier an d i v e n t a r a p i d a m e n t e u n e s t i mato re d el g r uppo. Segue un t our in c ui i S u n b u r n e d f a n n o d a s p a l l a a Four Te t e po i n e l m a r z o 2 0 0 6 q u e s t ’ u l t i m o r o m p e g l i i n d u g i s i a v v i c i n a a l Revere nd o Jo hn M alony e gli c hiede s pas s i o n a t a m e n t e d i p o t e r p r o d u r r e un lo ro disco , in m odo da dar e la s ua per s o n a l e v i s i o n e d e l l a b a n d . Q u e s t o d i s c o è q u i n d i i l r i s u l t a t o d i q u e sta stra mba stori a d’am or e. Q uat t r o or e di r egi s t r a z i o n e c o n d e n s a t e d a F o u r Te t i n u n d i s c o d i p o c o m e n o d i 5 0 m i nuti, in cui c’ è u n a f u s i o n e i n t e g r a l e e p e r f e t t a t r a l a p s i c h e d e l i a f r e e f o r m d e l g r u p p o a m e r i c a n o e l ’ approccio free jazz indie t r o n i c o d i F o u r Te t . C o s ì c o m e l o s c i e n z i a t o S e t h B r u n d l e s i f o n d e v a c o n l a m o s c a p e r d i ventare un mostruo so ib r ido nel v ec c hio f ilm s ul Dot t o r K r i f a t t o d a C r o n e n b e r g , c o s ì F i re E s c a p e f o t o g r a f a i n t e gr a l m e n te la cro na ca d i ques t a f us ione di s t ili, v is ioni e s u o n i . I S u n b u r n e d e F o u r Te t i n u n u n i c o o r g a n i s m o s o n i co . Su l l a ca rta po teva v enir e f uor i una m os t r uos it à ab e r r a n t e c o m e q u e l l a d e l f i l m , m a i r i s u l t a t i s o n o d e l i z i o s a m en te d e g n i di no ta. Il loro è un m at r im onio dec is o all’in f e r n o e p i ù p r e c i s a m e n t e n e l m i s t e r i o s o G i r o n e I n f e r n a l e d e l Gr o o ve . Kieran la sa tr o p p o l u n g a p e r n o n p r e m e r e l ’ a c c e l e r a t o r e s u l p r o f i l o f u n k d e l b a s s o . C o n t e s t u a l m e n t e l ’ attenzione pe r le p ercus s ioni v iene enf at iz z at a dal t a g l i o n e r v o s o c o s ì t i p i c o d e l m u s i c i s t a a n g l o - i r a n i a n o . D i c on tr o l ’ i n fern ale e fe rrat is s im o jam m ing dei Sunbur n e d , a d i s p e t t o d e l b r u t t i s s i m o Z p u b b l i c a t o a p p e n a a l c u n i mesi fa su Ecsatic Peace , r e g a l a q u i u l t e r i o r i c a p i s a l d i n e l l a l o r o p e r s o n a l e s t o r i a d e l l o s b a l l o p s i c h e d e l i c o , i n i z iata con il fen ome na le Jaybi r d e p r o s e g u i t a c o n r i s u l t a t i c o s t a n t e m e n t e a l t e r n i . P e r q u e s t o d i s c o d a n n o p e r a l t r o una mano, co me memb ri eff et t iv i della band, M ic hael F l o w e r e B r i d g e t H a y d e n d e l l a Vi b r a c a t h e d r a l O r c h e s t r a . È co sì ch e si otte ng on o br ani c om e Nic e But t er f ly M as k , T h e P a r a k e e t B e a t , F i r e E s c a p e e R a w B a c k w a r d s , a l l u c in a ti d e l i r i psych fu nk, c on il bas s o in pr im a linea e la r i t m i c a a m a r c i a r e s p e d i t a v e r s o l a r o v i n a t o t a l e . Wh a t C o l o r i s th e Sky in th e Wo r ld You Liv e I n? e The Wind h a s E a r s s o n o i b r a n i s u c u i p i ù s i a v v e r t e l a m a n o d i F o u r Te t. Oa si lisergiche per c a l m a r e i l c a r d i o p a l m a t r a u n a f r e n e s i a e l ’ a l t r a . C h e i l d i s c o s i a r i f i n i t o i n o g n i d e t t a g l i o è presto dimo stra to a nc he dall’ar t wor k oper a di Yam a t s u k a E y e d e i B o r e d o m s . U n a l t r o s p i r i t o a ff i n e c h e q u i n o n a vr e b be affatto sfig u r a t o c o m e m u s i c i s t a . U n l a v o r o d e l g e n e r e , i n u n m o d o m o l t o s o t t i l e e c o n n e s s u n a s u pponenza retorica, chiu d e i n e v i t a b i l m e n t e i l d i s c o r s o s u l l a p r i m o c i c l o d e l l a N e w We i r d A m e r i c a . D i f a t t o , g i à d a un po’, si po teva p arla r e di s ec onda gener az ione, m a m a n c a v a a n c o r a u n i m p r i n t i n g u ff i c i a l e . E c c o l o . ( 7 . 5 / 1 0 ) Antonello Comunale sentireascoltare 65 il Dylan visio na rio del G r eenwic h Village e il Lou sul m a r c i a p i e d e d i Lexing ton 12 5. Ha praticamente tut t i i n u m e r i p e r farsi incoro na re d a pubblic o e c r itica come definitivo p e r s o n a g g i o d i culto de i pro ssimi an ni, ed è pos s ibile c he ciò avve ng a c on 12 Cr ass S o n gs , su o qu arto dis c o uff ic iale - sen za co nta re le tant e aut opr oduzioni a partire dal 19 9 7 - s u R o u g h Trade, che tra l’altro a r r i v a d o p o l a mietitu ra d i co nsen s i del pr ec edente C ity & Eastern Songs ( f i r m a t o insieme al fra tello J ac k ) e un t r ionfale tour in UK di s u p p o r t o a l s u o maestro Da nn y. N on vie ne men o il suo s ongwr it ing intellig en te, b uffo , ac ut o, c olt o, divert ente e imp eg na t o, e nella c onsueta attitudine sim i l - s l a c k f a t t a d i cori, coretti e filast r o c c h e - f a n n o adess o l’occh iolin o ar r angiam enti ac curati e sugge s t i v i ( v e d i g l i archi in cresce nd o di W h e r e T h e N ext Co lumb us), q uando non s em pliceme nte e ccen tric i ( Wa l l s I n T h e Oven). Ne l mirin o delle s ue per sonalissime pro test s ongs c ’è ov viamente l’amminist r a z i o n e B u s h , la gue rra, i ma ss m edia, lo s t at o generale delle cose ; a m e t t e r c i a l riparo dalla retorica i n t e r v i e n e l a terrifican te ca tch yn es s d i b u o n a parte de lle can zo ni ( quas i una c ontropa rte schierata d e i p r i m i B i s h o p Allen, diremmo). E p o i , s e p r o p r i o cercavate qu alcun o c he v i s piegas se co me, q ua nd o e per c hé “ P u n k I s D ead”, l’avete final m e n t e t r o v a t o . (6. 7/1 0) Antonio Puglia Je Suis France – Afrikan Majik (Antenna Farm / Goodfellas, ottobre 2007) Genere: miscellaneous rock Da A thens, Georgia , c o m e B - 5 2 ’s , R . E .M., Pylon e il c ollet t iv o Elephant 6. Si n omin an o J e Suis Fr ance e sono al terzo fu l l l e i g h t , m a a l sot t oscritto – mi si per doni la negligenza – suonano nu o v i c o m e d e l l a prima o ra. Li ignora vo in so mm a, m a gir ov agando per il web h o s a p u t o d i u n loro sp lit con g li Aci d M ot her Tem ple e l’id ea su l lo ro c ont o c om in- 66 sentireascoltare c i a v a a p r en d e r f o r m a . Tr a l a s c i o i l wor ld wide w e b e m i c o n c e n t r o s u l dis c het t o, l a s c i a n d o p a r t i r e l a p r i m a t r ac c ia d i A f r i k a n M a j i k , S u f f i c ient ly Br ea k f a s t , u n a s u p e r n o v a d i s e d i c i m i n u t i c o n r i ff i n g p r o t o - s p a c e e s olis t a le r c i a c o m e i l J a m e s Wi l liam s on deg l i S t o o g e s ; c ’ è a n c h e un t int innio m o n o t o n o d i t a s t i e r a c he s a m olto S c o t t T h u r s t o n ( s e m pr e St ooge s ) e l a c o s a , c o n f e s s o , piace a me come al pulsare delle m ie v ec c hie J b l . Ce ne vuole di coraggio a piazzare un m onolit e d e l g e n e r e a d a p e r t u ra disco e giocarsi buona parte del minutaggio; ma il coraggio, si sa, spesso collima con incoscienza e ques t i J e S u i s F r a n c e n e h a n n o d a v ender e pe r c o m e s a l t a n o c o n a r dir e dalle p a r t i d e i B e l l e A n d S e bast i an ( T h a t D o n ’ t W o r k T h a t We l l For Us ) e s y n t h - p o p ( m i c a f a c i l e evocare all’unisono The Perfect Kis s dei Ne w O r d e r e E v e r y Ti m e dei Radio D e p t , e p p u r e T h e L o v e O f The Fr anc e c i r i e s c e ) c o n d i s i n c a n tata attitudine mista a scazzo come dei Violent F e m m e s n e l g a r a g e a f f ianc o ( Che m i c a l A g e n t s ) . Giocano molto, si divertono (vedasi le f ot o int e r n e d e l b l o o k e t ) e z i g z agano dai Tr a n s A m ( Wi z a r d O f Point s ) a l l a s i n t e s i p i n k f l o y d - i a n a – un po’ Ba r r e t t e m o l t o R u n L i k e Hell – di W h a l e b o n e , c h i o s a n d o i l t ut t o c on un n u m e r o i n l e v a r e , N e v er G onna To u c h T h e G r o u n d , p a c ione c om e l o e r a n o c e r t i X T C . D a qualche parte ho letto una cosa tipo “ H e r e C o m e t h e Wa r m J e t s p l a y e d by Super c h u n k ” e v i s t a l a n a t u r a c ent r if uga d e i N o s t r i , n o n c h é l a v or ando di f a n t a s i a , c i p u ò a n c h e s t ar e. L’ide a f a t t a s i a l p r i n c i p i o v a a f ar s i bene d i r e . A n o i s o n o g a r b a - t i . E m u l ( p r o g ? s p a c e ? p o p ? ) r ock meets smiling. (7.0/10) Gianni Avella Jenny Hoyston - Isle Of (Southern / Goodfellas, settembre 2007) Genere: wave folk rock U n d i s c r e t o s h o c k c e l o r e g a l ò già H a l l w a y s O f A l w a y s , l a v o r o a q ua tt r o m a n i a s s i e m e a Wi l l i a m E l liot Wh i t mo re , n e l q u a l e l a H o y s ton r i v e l a v a u n ’ i n o p i n a b i l e a t t i t u dine c o u n t r y r o c k . D a u n a E ra s e E rrat a è p r e s s a p p o c o l ’ u l t i m a c o s a c h e mi s a r e i a s p e t t a t o . P a r e t u t t a v i a che a f o l k p i ù o m e n o r o o t s J e n n y si a e ff e t t i v a m e n t e c r e s c i u t a , l a q u a l c o s a d e v e a v e r l e l a s c i a t o i n e r ed i t à b a t t e r i c h e o g g i s b o c c i a n o d opo l u n g a i n c u b a z i o n e . G l i s t e s s i ch e o g g i c o n t e n d o n o i l t i m o n e d e l l a sua c i f r a s t i l i s t i c a a l l a v e r v e l o - f i / n oise e a l l e u b b i e g r r r l / w a v e . L a r a g azz a , v a d e t t o , s e m b r a m a r c i a r c i alla g r a n d e . S a p e n d o d i a v e r e u n bel c r e d i t o d i s t i m a e v e r g i n i t à i n d i e da s p e n d e r e , f a i n m o d o c h e l e d o dici t r a c c e d e l d e b u t t o s o l i s t a a l t e r nino tutto il campionario. C o s ì , s c o r r e n d o q u e s t o I s l e Of p a s s i d a l l i v i d o q u a d r e t t o Wi re di I D o n ’ t N e e d E m ’ a l l a s o r d i d e zza e l e c t r o b l u e s - u n p o ’ Wa i t s , u n p o ’ P J H a rv e y - d i R u f f . . R u f f . . / R ai n b o w C i t y , d a l l a f i l a s t r o c c a L a urie A n d e rs o n / S t e re o l a b d i E v e r y o ne’s Alone al folk/blues pressoché Lan e g a n d i S e n d T h e A n g e l s , d alla J o a n J e t t s t r a t t o n a t a S o n i c Yo ut h d i S p e l l D - O - G a i g u i z z i d a n i p o t ina s c r e a n z a t a d i L o re t t a Ly n n i n E ven In This Day And Age. Co nvincon o i pez z i, s ia quelli dalla scrittu ra br us c a ed es s enz iale (ved i Bring B ac k Ar t , u n p i z z i c o d i Stooges via Sl eat er Ki nney) c h e q ue lli stra na m ent e ibr idat i ( la r it imica bossa tr a g r u g n i t i d i c h i t a r r a d i No ve list). C o n v i n c e u n p o ’ m e n o il fatto che sti a n o i n s i e m e , o m e g l i o non è chiaro c o s a l i f a c c i a s t a r e u n o a ccan to all’a lt r o, uno dopo l’alt r o. I prossimi lavo r i d i J e n n y d o v r a n n o , tra le a ltre cos e, dar c i qualc he r ispo sta in p rop os it o. ( 6. 8/ 10) Stefano Solventi Ma non tutte le ciambelle vengono c ol b u c o . E q u e s t a v o l t a i l c a n t a u tore americano lascia un po’ troppo il filo della propria ispirazione ad epis o d i c h e b a l l a d d a l s a p o r e c o u n t ry o cavalcate folk oscure, territori c he h a g i à b a t t u t o m a c o n u n a c a pac ità d i s c r i t t u r a s i c u r a m e n t e m i gliore. Qui manca il piglio melodico v inc e n t e , l a b o u t a d e r i u s c i t a c h e riesca pienamente a convincere. Ci sono episodi buoni, come il cantare la libertà della mente che vola oltre le ba r r i e r e d i u n a J a i l b i r d s u s s u r r at a, o c o m e l ’ o p e n i n g A To w n C a l led A m e n c h e t r a s u d a s o u l d a o g n i poro e che respira sincerità da ogni ant r o . M olt i e p i s o d i m e d i m a i l f a s c i n o l a t i ta e il coinvolgimento emotivo a cui av ev a a b i t u a t o è s t a t o m o m e n t a neam e n t e m e s s o i n d i s p a r t e , f o r s e per una fruizione migliore che però ha traghettato il livello di qualità ad uno s t r a t o d e c i s a m e n t e p i ù b a s s o . Si rimane speranzosi per il futuro ma per adesso non si va oltre un ( 5. 5. / 1 0 ) . Alessandro Grassi Jim White – Tr a n s n o r m a l Skiperoo (Luaka Bop – V2, 1 ottobre 2007) Genere: folk-rock Jim White è u n u o m o c o m p l e s s o e un cantautore e c c e l l e n t e . D a u n a pa rte la ten s ione v er s o la r eligione e i fu riosi dubbi c he ne c onse gu on o, da ll’alt r a una v is c er ale passione alla d e s c r i z i o n e f i g l i a d i quell’America m e m o r e d i F a u l k n e r e di Hemingwa y. E p o i c ’ è i l J i m c o n la sua chitarra e l e t t r i c a e i l s u o f o l k rock de lica to c om e f os s e la m anna più semplice, f i g l i a d e l l a t r a d i z i o n e Nine ties ch e ha agglom er at o es pone nti come i Wi l co f r a le s ue gem me più p rezios e. Dopo quel m ez zo ca po lavoro c he è D r i l l A H o l e In That Subs s t r a t e A n d Te l l M e Wha t You Se e W h i t e s i è c o n c e s s o tre a nn i di p aus a per t ir ar e le r edini a se. Quell o c h e e s c e n e l n u o v o Tr a ns nor m al Ski per oo è u n o s t a t o nu ovo d i evanes c enz a alla s ens azio ne di sen tir s i liber i e r es pir ant i, un n uo vo d esc r iv er e un r oc k delicato, speziat o d i s o ff i c i a t t i m i d a cristallizzare e d e d i c a r e a l l ’ i n f i n i t o . Joe Henry – Civilians (Anti / Self, 14 settembre 2007) Genere: songwriting Ar r iv a t o a l d e c i m o a l b u m e a l s e c ondo s u A n t i , i l s o n g w r i t e r e p r o dut t o r e J o e H e n r y ( A l l e n To u s s a i n t / Elv is C o s t e l l o , A n i D i F r a n c o ) s i c ir c o n d a d i u n m a n i p o l o d i c o l l a b o r a t o r i e c c e l l e n t i ( Va n D y k e P a r k s , Bill Frisell per citarne alcuni) per un di s c o d i r o c k c l a s s i c o i m p a r e n tato da un lato al songwriting del pr im o To m Wa i t s , q u i n d i c o n t u t t e le t e n s i o n i b l u e s y e n o t t u r n e d e l c as o ( s i v e d a l ’ i n c i p i t c o n C i v i lians ) , d a l l ’ a l t r o c o n t u t t a l a t r a d i zione della canzone d’autore che v a da D y l a n i n g i ù ( P a r k e r ’s M o o d ) , pas s a n d o p e r i l C o s t e l l o a m e r i c a no e le sue orchestrazioni solenni ( l’ele g i a d i C i v i l Wa r , c o n P a rk s a l piano) e il pianismo classico di un Rand y N e w ma n ( O u r S o n g , I Wi l l W r it e M y B o o k ) . La c r e m a d e l l a s o n g d ’ a u t o r e a m e r ic an a q u i n d i . A c u i H e n r y s i a v v i c i na per osmosi ed esperienza, con un d i s c o g o d i b i l e e b e n p r o d o t t o . C h e s u o n a b e n e e s i l a s c i a a sco l ta r e c o m e t u t t i i c l a s s i c i d e l su o g e nere. (6.8/10) Te r e s a G r e c o José Gonzáles - I n O u r N a t u r e ( I m p e r i a l / F a m i l y A f f a i r, 2 4 settembre 2007) Genere: folk songwriting I numeri, José Gonzáles se li è conquistati tutti, diciamolo. Con le 700 mile copie vendute di Veener il quasi trentenne ha sbancato tutti i tavoli più prestigiosi e ambiti, dal South By Southwest di Austin ai vari dischi di platino e oro in diverse parti del mondo, fino a conquistare letteralmente il Nuovo Mondo. E c’è di che essere contenti per un successo più che meritato, quando le doti e le capacità sono così evidenti. Per cui non suona più di tanto eccezionale l’attesa che si è montata all’indomani delle prime indiscrezioni sulla sua ultima fatica. In Our Nature, un titolo dall’aura tanto universale quanto personale in realtà è l’approccio. Era già affiorato quel modo introverso e quasi maniacale nella costruzione dei brani, quel ripiegamento su se stessi alla ricerca della perfezione formale che senza forzatura alcuna si apre alla facilità d’ascolto, alla limpidezza di certe soluzioni che trovano nello stile classico il volano per la modernità. Segni particolari, che istigano ad una qualche reazione, che sia spegnere il lettore, andare avanti o ricominciare daccapo. Ecco, il più delle volte capita con lo svedese proprio quest’ultima, del tipo: “forse qualcosa mi è sfuggito, riascoltiamo”. Non è certo da meno questo secondo lavoro, dunque, che sentireascoltare 67 lascia perplessi e quasi allontana, o cerca di tenere a distanza, nonostante l’intenso richiamo sgusci via da quella porta socchiusa appena dietro le nostre spalle. Ė così con The Nest e Fold che nulla aggiungono alla storia scritta dalla sei corde del Nostro, un po’ Drake un po’ Simon & Garfunkel, episodi minori che dischiudono l’oscura intensità che si nasconde tra gli accordi di How Low o Down The Line (voce profonda e guizzi chitarristici quasi percussivi per un’accusa verso la stupidità umana che stenta ad imparare dai propri errori), nelle aperture quasi Sixties della title track, nel lungo crescendo della conclusiva Cycling Trivialities (risplende una volta di più l’impennata ritmica della chitarra), nel perverso e attraente ipnotismo di Teardrop, densa e sinistra proprio come l’originale dei Massive Attack. Il resto scorre via senza troppo rimanere impresso, ciò che avevamo assaporato nella collaborazione con gli Zero 7 non si è trasformato in realtà, lasciando in stand by la curiosità di vederlo e sentirlo in altre vesti, deludendo in parte le aspettative riposte e riproponendo uno stile sempre ammaliante e ben congeniato (e il carattere deciso di Down The Line o How Low lo dimostrano ampiamente), ma fin troppo circolare e riconoscibile, soprattutto quando assestato su toni pacati come nelle già citate The Nest o Fold. Resta comunque la certezza di una scrittura matura, in cui ghiaccio e fuoco, natura e artificio, fede e disperazione, vengono condensati in una precisione artistica di appena 33 minuti, ma saremmo stati ben più soddisfatti se José avesse imparato ad osare di più. E chissà che la prossima volta non ci prenda in considerazione. (6.8/10) Va l e n t i n a C a s s a n o D e v a s t a t i o n s – Ye s , U ( B e g gars Banquet / Self, 19 ottobre 2007) genere: songwriting electro-noir Di questo trio australiano trapiantato in Europa se ne è parlato di recente, quando l’anno scorso la Beggars 68 sentireascoltare Banquet ha ristampato il loro Coal; è bastato per far sì che nascesse un piccolo culto anche dalle nostre parti. Quello era già il secondo album dei Devastations, formazione debitrice in larga parte al romantico songwriting noir del conterraneo King Ink e dei cari vecchi Tindersticks; adesso, per il primo album rilasciato direttamente dalla storica label inglese, quelle atmosfere rarefatte e fumose si fanno liquide, dense e sfuggenti come il mercurio. I n Yes, U s i d e l i n e a i n s o m m a u n a s v olt a a t utt i g l i e ff e t t i , i n d i r e z i o ne di una personalità più marcata; m er it o dell’e l e t t r o n i c a ( i l c u i u s o c i r ipor t a dr it t i d r i t t i a g l i u l t i m i s s i m i Low , c om e i n O h M e O h M y ) , c h e a l tresì vira il sound verso certa wave ’80, quando non verso il trip hop (il dens o t app e t o d i T h e P e s t ) , s e n z a t im or e di n a s c o n d e r e c e r t e v e l l e i t à da s ound t r a c k ( g l i A i r i n f a t u a t i G ains bour g d i A s S p a r k ) ; a l t r o v e l e t int e s i f ann o d i s t o r t e ( R o s a ) , p o p p y ( M is t ak e) , a c u s t i c h e ( T h e F a c e O f Lov e) . N e s s u n m i r a c o l o , b e n i n t e s o , ma i segni di una bella crescita non ancora completa, ci sembra - ci s ono t ut t i. ( 6 . 8 / 1 0 ) pero dell’estro compositivo il quale però, ripulito di quelle bizzarrie psichedeliche che oggi non hanno più ragione d’essere, porge il fianco a una poco coinvolgente semplicità. Only Heaven Knows, Baby Come Home, Unfairground sono l’Ayers lezioso e pop, adagiato su una morbidezza che gli anni potevano come minimo accentuare. Arrangiamenti con archi a cantare melodie risapute, spezie latine a ricordarci che il sole di una spiaggia è preferibile a una vecchiaia maledetta. Fa piacere alle orecchie la psichedelia della porta accanto di Cold Shoulder. Quando il discorso si fa appena più spedito e rock (Wide Awake) il Nostro si rivela uno dei tanti cantautori di talento (e oggi è già molto). Episodio più riuscito: Brainstorm. Tutto viene messo a tacere con una Run Run Run che non ci vorrà molto per dimenticare. Intervengono alla festicciola: Phil Manzanera, Jeff Baron, Euros Childs, Gus Franklin, Graham Henderson, Isobel Knowles, Kellie Sutherland, Bill Wells, Wyattron, Dave McDonald, Luca Cantucci… Ripescato in sala di registrazione Hugh Hopper, Ayers dovrebbe tornare a circondarsi degli Allen, Oldfield, Coxhill ecc. per sperare in un ritorno che coinvolga i più disillusi. Ma forse i tempi sono cambiati, per tutti. (6.5/10) Filippo Bordignon Antonio Puglia K e v i n Ay e r s – T h e U n f a i r g r o u n d (Lo-Max, settembre 2007) Genere: songwriting Erano in pochi ad attendere un capolavoro dal nuovo album di Ayers. Solo i nostalgici meno smaliziati. Gli altri non si alzeranno dalla sedia per la standing ovation. Vero è che questo The Unfairground, confrontato con gli album più recenti (si fa per dire; l’ultimo, Still Life With Guitar, risale a 15 anni fa) dimostra un recu- K K N u l l – F e r t i l e ( To u c h / F a m i l y A f f a i r, a p r i l e 2 0 0 7 ) Genere: noise / field recordings R i c o r d a t e i l d i s c o N u mb e r O n e ? La collaborazione tra KK Null, z’ev e C h r i s Wa t s o n , u s c i t a s u To u c h un anno e mezzo fa, che univa sapien- turn it on Ta l i b a m ! - O r d i n a t i o n O f T h e G l o b e t r o t t e r i n g C o n s c r i p t s ( A z u l Discografica, 2007) Genere: post noise/jazz Or dina tion O f The G l obet r ot t er i ng Consc ri p t s è i l p r i m o d i s c o “ u ff i c i a le” del combo d o p o l ’ e s o r d i o o m o n i m o s u E v o l v i n g E a r d e l l ’ a n n o s c o r s o . Ancora una v o l t a i l j a z z v i e n e s o t t o p o s t o a d u n a t t a c c o b a t t e r i o l o g i c o d i antracite aritm i c a . Va r i a n t e i n d i s t r u t t i b i l e d e r i v a t a d a l g e n i o d i K e v i n e M a t sop rattu tto. Il lor o c onnubio ai r is pet t iv i s t r u m e n t i d e v a s t a ( R e v o l u t i o n a r y Bu mmer We ed ) , il r es t o c e lo m et t e la s f ilz a d i o s p i t i p r e s e n t i : M o p p a E l liott, Michael E v a n s , P e t e r E v a n s , J o n I r a b a g o n , S a m K u l i k , R o b b i e L e e . L’album è un p i c c o l o c a p o l a v o r o d i s g r a m m a t i c a t u r a p o s t ( n o i s e , j a z z , e perchè no... a n c h e r o c k ) . L a v e r t i g i n e f r e e è a n z i t a l m e n t e p o t e n t e c h e fa reb be , in u n f ilm di s c i- f i, l’eff et t o di un a b o c c a t a d i o s s i g e n o t r o p p o p uro su org an is m i abit uat i ad inalar e az ot o . U c c i d e ! I c o m p o n i m e n t i k i l l e r s o n o t a n t i . L a m e t r o n i m i c a Guns And Bu tter, che sf r i g o l a v i a s u i n t e r m i t t e n t i s e g n a l i s i n t e t i c i m e n t r e s a x c o l t r a n i a n i ( e n o n s o l o ) s ’ a r r a m picano ad u ng hie stre tte s ul s uono- r um or e s ov r aes pos t o . S p e t t a c o l a r i p o i i 1 3 m i n u t i , a s i p a r i o q u a s i c a l a t o , d i T h e Spectre Of Wa ter Wa r s , m odello di f us ion nuc lear e i n a u d i t a e s e n z a l o s c a m p o l o d i u n r i f e r i m e n t o s t i l i s t i c o c h e si a u n o . Ca po lavoro ( 8. 0/ 10) Massimo Padalino sentireascoltare 69 temente field recor d i n g s a s u o n i digitali? Ecco , q ue s t o Fer t i l e, c o n tit olare il solo KK N ul l , s i p r o p o n e come u na n atu rale p r os ec uz ione di quell’e sp erie nza, an c he s e le diff erenze restano eviden t i . I n f a t t i t a n t o N u mber One p un tav a all’iper t r of ia sonor a , tan to Fe r til e f a del m inimalismo la sua ca rat t er is t ic a pec uliare; pochi elemen t i c o i n v o l t i m a sempre significativi: s u o n i r o b o t i c i che si in treccia no co n r igur git i liquidi (03), ep ilettiche s inewav es unit e a dron es urb an i (05) , d i s s o n a n z e metalliche che irrom p o n o s u t a p p e t i di bleep s e glitche s f ut ur is t ic i ( 06) . Il tutto in una fusio n e p e r f e t t a t r a suono an alo gico e s uono digit ale, tanto da renderli indi s t i n g u i b i l i l ’ u n o dall’altro . Pro prio q ues t o è uno degli elementi più si n g o l a r i , i n f a t t i pur presentando u n a m o l t i t u d i n e di fonti sonore, dal c i n g u e t t i o d e g l i uccelli alle batterie i n d u s t r i a l , d a l crepitio del fuoco ar d e n t e a d r o n e s di rumo re bia nco, F er t i l e d i m o s t r a una, forse inspera t a , o m o g e n i t à , un’unica vision e di un m ondo dis umanizzato in balia d e i s u o i i s t i n t i più primordiali e terr i f i c a n t i . La ric erca musica le di KK Null s em bra no n co no scere p aus e: r ic or diamo anche la recente c o l l a b o r a z i o n e con Daniel Menche e l o s p l i t c o n gli Earth del 2005, d o v e i l N o s t r o ci dimostra come g l i s i a d i ff i c i l e fossilizza rsi su g en er i, s t ili o pr at iche ma che al contra r i o s i a s e m p r e aperto a n uo ve sfide e or iz z ont i s onori. (6 .5/1 0) de del Br it P o p , s o l t a n t o g l i E l e c ktroids si erano genuflessi al Kling Klang con tanta devozione. Anche all’interno di uno stesso i d i o m a , l e d i ff e r e n z e t u t t a v i a n o n m a n c a v a n o: r i s p e t t o a l l ’ e s o r d i o d i ques t ’ult im i ( E l e k t ro w o rl d u s c i t o peraltro un anno dopo), il sound dei Komputer si caratterizzava per la f as c inazi o n e f u t u r i s t a / c o s t r u t t i v is t a piut t o s t o c h e p e r l a c o m p o nente elettrica-robotica (divulgata in m odo m a s s i c c i o d a i D a f t P u n k ) . Dunque più u n a ff a r e d i S p u t n i k e m ac c hine d a c a l c o l o c h e u n ’ a t t i t u d i n e c a r t o on a u t o i r o n i c a . L’at t uale Sy n t h e t i c , a l b u m d i r i t o r no pr opr io a l l e s o n o r i t à d e l l ’ e s o r dio The Wo rl d O f To mo rro w , d i ironia infatti non è ha per nulla, anz i, l’es t e t i c a r i m a n e l a m e d e s i m a in r is po s t a / f u s i o n e a l l e s o n o rità rinnovate del rientro in studio dei M anneq u i n s d i D ü s s e l d o r f . N o n s or pr ende t r o v a r e S i r E n o e p i ù indiet r o s ua m a e s t à S t o c k h a u s e n tra le influenze dichiarate piuttosto che Gary Numan e i suoi anthem t ec hno- adol e s c e n z i a l i , e p p u r e p a r - 70 sentireascoltare Edoardo Bridda La Sornette – Etnoacustica (Etnoacustica, settembre 2007) Genere: etnico Se non apprezzate il suono dell a f i s a r m o n i c a , d e l l a g h i r o n d a , del b o u z o u k i o d e l b a g h e t , s e l a s v olta e t n i c a d i D e A n d r è n o n v i h a mai c o n v i n t o , s e l ’ u n i c a f o r m a d i d a nza che concepite è quella che si ball a s u i r i ff e l e t t r o n i c i d e i F a i n t , te n e t e v i a l l a l a r g a d a q u e s t o d i sco. Qui si parla la lingua della terra, il d i a l e t t o d e l l e c a m p a g n e d e l l ’ I t alia s e t t e n t r i o n a l e , e l o s i f a v e s t e ndo l e m e l o d i e c o n g l i a b i t i a m p i d elle c l a s s i p o p o l a r i e q u a l c h e c o p r i c apo v i s t o s o i n s t i l e P F M ( l e t a s t i e r e di C a r n i v è ) . S o t t o l a s u p e r f i c i e , folk a u t o g r a f o , b r a n i t r a d i z i o n a l i , w orld m u s i c , s u o n a t i d a u n g r u p p o di s t r u m e n t i s t i c a p a c i e d a l l a p r e p ar a zione classica. (6.5/10) Fabrizio Zampighi Nicolas Campagnari Komputer - Synthetic (Mute, 16 agosto 2007) Genere: Kraftwerk, indietronica I Komputer non fann o m i s t e r o d e l l a loro fede indefessa p e r i K r a f t w e r k . Loro stessi d ich iara v ano nel 1998 che l’unico modo p e r c o n t r a s t a r e lo strapotere degli O a s i s e r a q u e l l o di formare una ban d c h e t o r n a s s e a far sog na re g li am ant i del s y nt hpop ge rman -brita nn ic o. Er ano t em pi non sospe tti: il pr im o album at terrava quell’anno, g i u s t o p r i m a d e l rit orn o Ottan ta di iniz io Duem ila e anteced en teme nte, nella dec a- o l ’ a p p r o p i n q u a r s i a u n a t e o r i a di trancedub in Synthetik aprono int e r r o g a t i v i s u l l a b r a v u r a i n e s p r e ssa appieno dal duo. Rifare i Kraftwerk oggi è un’impres a f a t t i b i l e : b a s t a p a r t i r e d a una s c r i t t u r a s o l i d a . Q u e s t o s i s t e ma t i c a m e n t e l o d i m e n t i c a n o t u t t i . Un c o n s i g l i o p e r c h i – c o m e p o c h i - non p o s a : l ’ u l t i m o R i g h e i r a . C ’ è d ella farina propria nel sacco. (5.0/10) liam o pur se m p r e d i p o p . P o p s o n g depur at e de l l a c u p e z z a s y n t h f i n e Set t ant a, a t u t t o f a v o r e d e l l ’ i n d i e tronica leggera della laptop music ma – tocca dirlo - senza catchyness ( il s ingolo d e b o l u c c i o L i k e A B i r d ) . A l m a s s i mo d e l l o r o p o t e n z i a l e , i Komputer potranno anche venir s c am biat i p e r g l i o r i g i n a l i ( i n v e r sione Duemila chiaramente), ma più pr opr iam e n t e v i e n e d a p e n s a r e a un dis c o d i b a s t a r d p o p Ta rw a t e r ( Headphone s a n d R i n g t o n e s u n s e m iplagio) v e r s u s T h e M a n M a c h i ne ( Blak ie) , p u r e q u a n d o l e t o s t e s per im ent az i o n i c o m e G l o o p y , R a i n Luke Vibert - Chicago Detroit Redruth (Planet Mu / Goodfellas, ottobre 2007) Genere: aceed, ambient drum’n’bass S e m p r e i n p r i m a f i l a n e l m i s s are o n d u l a z i o n e d a n c e e I D M , L uke Vi b e r t , i l r a g a z z o g e n t i l e d e l l ’ e le ttronica albionica, è uno dei figli più e m b l e m a t i c i d e l l a m e n t a l i t à m e s co lona e scazzona dei Novanta. È da c i r c a u n l u s t r o c h e i s u o i a l b u m si c a r a t t e r i z z a n o p e r u n ’ a l t e r n a nza d i a c i d t r a c k c h i c a g o a n e ( P h utu r e , Tr a x R e c o r d s ) e u n i n d i e t r on i c a m a d e i n P l a n e t M u , N i n j a Tu n e , Wa r p e R e p h l e x , c o m e è n o t a la z a m p a t a n e l l a s e r i e d i 1 2 ’’ A n a l ord a f i r m a A F X c h e p r e n d e v a n o i l t i tolo proprio da una canzone dell’album Lov er ’s Acid. Chica go Detroi t Redr ut h è m e n o a cid di q ue st’ ult im o e pr obabilm ente più vicino a Yoseph ( c h e t u t t a v i a g li riman e super ior e) , m a s os t anzialmente le c o o r d i n a t e s o n o d a t e : b allo d i te sta e ballo di piedi, c it azion i old skool e t r am e t as t ier is t iche stile On (Aphex Twin) e L u n a t i c Har nes s (Mu- Ziq) . I l per c or s o del resto, è quel l o d i m o l t i r e d u c i d e i Novan ta: ferm at a una gr iglia di s t ilemi, il la vo ro s i c onc ent r a s ui det tagli e sulla ci f r a s t i l i s t i c a a c q u i s i t a dove senz’altr o n o n m a n c a l ’ e s t r o e la timidezza, i l s o r r i s o e l a z a m p a t a na ïf d i cui il n os t r o è c apac e. Cor rosiva Argu m ent Fly ( p e r R o l a n d radioattiva e r i b o l l e n t e ) , l a n g u i d o l’inte rlud io jaz z y alla M u- Ziq di Rot tin g Fle sh Ba gs , c om e eff ic ac i le citazioni can t i e r i s t i c h e - a n a l o g i c h e à la Ric ha r d D. Jam es in C l i k i l i k . D’a ltro can to non m anc ano le ideuzze abusate c o m e i l r o b o t p a r l a n t e d i Bre akbe at M et al M us ic , oppur e i camp ion ame nt i s c i- f i di G od. L a classe però p u n g e a n c o r a i n u n a scin tillan te Com phex ( a c i d , l i r i s m i ambient e disc o - f u n k m e s c o l a t i c o n leggerezza) o n e l c a l e i d o s c o p i o Swe t (jazz, h o u s e , p s y c h , e l e c t r o , exotica alla N i n j a Tu n e ) c o n t a n t o d i fin alo ne iro nic o di un c ant ant e lirico. Un Viber t s e m p r e g o d i b i l e m a u n p o’ ripe titiv o. ( 6. 5/ 10) Edoardo Bridda Madlib – The Beat Konducta vol.3-4: In India (Stones Throw / Goodfellas, 28 agosto 2007) Genere: indian hop Il nu ovo lavor o di M adl i b, The Beat Konducta v ol. 3- 4: I n I ndi a, è s per - s onal i z z a n t e c o m e l a c o l o n n a s o n o r a di u n f i l m . È u n p a s t i c h e d i r o b b a india n a , d i b e a t h i p - h o p , d i u n p r e s s appo c h i s m o f i l o l o g i c o e a n t r o p o l o gico simile a un b-movie, appunto. M a, co m e g i à è a c c a d u t o d i r e c e n t e, il M a d l i b n o s t r o g i o c a c o n l a r e lazione tra individuale e collettivo, e a noi ci piace abbastanza. Come in altri suoi lavori, infatti, è l’individualità autoriale a emergere, e proprio nel lavoro di produzione; d’alt r a p a r t e , p e r ò , è u n a c o l l e t t i v it à e s o t i c a c h e p a r l a , a n c o r p r i m a c he a c a u s a d i c i ò c h e v i e n e s u o nato, ovvero musica indiana; anche per c h é , c o m e g i à a c c e n n a t o , n o n è per nulla una musica indiana valida ( s ent i t e p e r e s e m p i o l ’ i n c r o c i o s c i v a- s c i - f i d r u m ’ n ’ b a s s d i E a r l y P a rty, che, dai, è divertente), ma piena di f il t r i o c c i d e n t a l i , c u l t - i s m i r i c c h i di inse r t i c h e c i r i p o r t a n o a n o i . è un flusso di inserti che blatera – caratteristica proprio della cultura dell’hip-hop da cui Madlib proviene; un gioco di inserti giocato da una f or m a m e n t i s f o r t e m e n t e c h i u s a i n s é ep p u r e a g g r e s s i v a m e n t e r i v o l t a all’es t e r n o . I n s o m m a l a r i p r o d u z i o ne d e l l ’ a r r o g a n z a c u l t u r a l e d i u n m ond o c h e h a s u b i t o a r r o g a n z a . Vi s t a l’ i d e a d i f l u s s o ( e i l n u m e r o i m bar az z a n t e d i b r a n i ) , d u n q u e , n o n ha senso citare un brano piuttosto c he u n a l t r o ; T h e B e a t K o n d u c t a è Madlib dietro che sta facendo il dj per n o i , n e l l a r i c o s t r u z i o n e d i B a n gk ok c h e s i c u r a m e n t e c i d e v ’ e s s e r e a Ve g a s , e n o i s i a m o n e l l o c a l e dove suona, potremmo benissimo f ar e a l t r o , b e r e u n a b e v a n d a a l g u sto di tè alla menta in polvere, sent ir e u n p r o f u m o a r t i f i c i a l e d i s p e z i e , anc he g g i a r e … p e r p o i u s c i r e d a l l o c ale e r i t r o v a r c i t r a i m a l l e l e B r i t ney. ( 6 . 5 / 1 0 ) Gaspare Caliri M . A . N . D . Y. - 1 2 G r e a t R e m i x e s F o r 11 G r e a t A r t i s t s 2 0 0 1 – 2 0 0 7 (Get Physical / Audioglobe, settembre 2007) Genere: electro/deep house Se non avete confidenza con il n o m e M . A . N . D . Y. , p r o b a b i l m e n t e non avete molto a cuore le vicende della d a n c e m u s i c . O p i n i o n e r i s p e t - t a b i l i s s i m a e p e r c e r t i versi pure c o n d i v i s i b i l e m a q u a l o r a vo r r e ste m e t t e r e d a p a r t e , a l m e n o mo m e n ta n e a m e n t e , c h i t a r r e e d a mplificatori p e r f a r p o s t o a d u n a s a n a iniezione d i B P M , b e h , q u e s t o d i s c o è quanto d i p i ù c o n s i g l i a t o o g g i i n ci r co l a zi o n e p e r a p p r o c c i a r e l e d e r i ve p o st house. P e n s a t o e g e n e r a t o ( o l t r e che per i soldi) per tutti coloro che non aman o s b a t t e r s i a d a c q u i s t a re l e ve r s i o n i i n v i n i l e , 1 2 G r e a t Remixes F o r 11 G re a t A rt i s t s 2 0 0 1 – 2 0 0 7 , r a c c o g l i e q u a n t o d i m e g l i o h a sa p u t o f a r e i l t e a m t e d e s c o nel corso d e l l a p r o p r i a c a r r i e r a , d e str e g g i a n d o s i a b i l m e n t e t r a s p i g o l osi tà e l e ct r o e p r o f o n d i t à d e e p h o u se. D i ff i c i l e c o n s i g l i a r e u n b r a n o r i spetto ad un altro, tanta è la qual i t à m e s s a s u l p i a t t o , a n c he se D a m a g e d i Ti e f s c h w a rz F e at . Tr a c e y T h o rn , l a c l a s s i c a R o u n d R o u n d di S u g a b a b e s e T h e T h r i l l Of It Al l dei R o x y M u s i c s e m b r a n o possedere q u e l t o c c o d i s e n s u a l i t à e sinuosità i n p i ù c a p a c e d i f a r e l a d ifferenza. Da avere. (7.7/10) Stefano Renzi Marhaug/Asheim – Grand Mutat i o n ( To u c h / F a m i l y A f f a i r, g i u gno 2007) Genere: drones/minimal/noise G ra n d M u t a t i o n o v v e r o s i n fo n i a e r i t u a l e p a g a n o a s s i e m e . Prendete u n p o d e r o s o e d i m p o n e n te organo da chiesa (proprio come quello in c o p e r t i n a ) c h e s i m e t t e a dialogare c o n u n c o r r e d o d i o s c i l l ato r i si n u s o i d a l i e d i n t o n a r u m o r i de l Ve n tu nesimo secolo. S i p o t r e b b e s i n t e t i z z a r e c o sì l ’ e so r d i o d i L a s s e M a r h a u g s u To u ch ( i n c o a b i t a z i o n e c o n i l c o mpositore n o r v e g e s e N i l s H e n r i k A s he i m ) ch e p r e n d e l e m o s s e d a l p r o g etto Spir e ( c h e s i p r o p o n e d i i n d a g a r e l e a ffi n i t à e l e d i v e r s i t à t r a , u n an ti ch i ssi m o s t r u m e n t o , o v v e r o l ’ o rgano e le o d i e r n e s p e r i m e n t a z i o n i e l e ttr o n i c h e , d o c u m e n t a t e d a e s i b izioni live e p u b b l i c a z i o n i i n c d ) m a a l te m p o s t e s s o s e n e d i s t a c c a se n si b i l m e n t e ; i n G ra n d M u t a t i o n tr o vi a m o m e n o c a l c o l o , p i ù c u o r e e l a vo l o n t à d i c r e a r e u n d i s c o c h e possa fare sentireascoltare 71 della comp atte zza e della m onolit icit à la sua ba nd iera . Per fare questo ai d u e n o r v e g e s i è bastata un a n otte c hius i nella s eicentesca cattedrale d i O s l o , c h e ospita il già citato o r g a n o ( u n o d e i prefe riti da Ashe im), per m et t er e insieme questa cavalc a t a m i n i m a l i s t a e dronante di un’ora , r e g i s t r a t a n e l giugno d el 20 06 e suc c es s iv am ent e mixata e divisa in cinque c apit oli. E cco allo ra la so len ne Phoneum a, la f ramme nta ta e no is y M agnat on, la quie ta ma mina ccios a Philom ela, che ci introducono in s t a n z e o s c u r e dove si d imen an o inquiet ant i f antasmi g otici. Un d isco c he s i c olloca a cavallo tra la r i c e r c a c o l t a e il noise, e che ci di m o s t r a a l m e n o due cose: la prima ch e To u c h r i e s c e ancora a sorprender e e a l i c e n z i a r e dischi eccellenti, la s e c o n d a è c h e la carriera “vera” di L a s s e M a r h a u g sia app en a a gli a lbo r i. ( 7. 5/ 10) Nicolas Campagnari M e a t P u p p e t s - R i s e To Yo u r Knees (Anodyne Records, 13 settembre 2007) Genere: american indie-rock N ella fo to in tern a d i R i s e To Yo u r K n ees il viso d i Cr i s Ki r kw ood è torvo, quasi da re d u c e , i n n e t t o contrasto con la più r i l a s s a t a p o s a del fratello. Ne ha t u t t i i m o t i v i , consid era nd o q ue l c he ha pas s at o, e sembra di legger g l i e l o i n f a c c i a l’infer n o in terra d el l’ult im o dec ennio. Rescisso il cont r a t t o m a j o r d e i Burattini Di Carne, s i s p a l a n c ò p e r lui un a bisso esiste nz iale s em pr e più fo sco: orre nd e s t or ie di c r onaca - anche nera, pu r t r o p p o - s u l l e quali no n vog liamo r it or nar e. Pr e- 72 sentireascoltare feriamo raccontarvi come l’uomo s e ne s ia s o t t r a t t o e a b b i a m e s s o ogni bruttura alle spalle, di quanto s ia in r agio n e d i c i ò a n c o r p i ù g r a dito il suo ripresentarsi tra le fila del gr uppo c h e f o n d ò p i ù d i v e n t i anni f a c on C u rt e i l b a t t e r i s t a D e rr i ck Bost r o m ( q u i r i m p i a z z a t o d a l dis c r et o Ted M a rc u s ) . Un altro nome da aggiungere, quindi, sulla lista delle vecchie glorie dell’underground americano riaffacciatesi sulle scene nel corso del 2007, per di più tra quelli che meritano da sempre caratteri maiuscoli. Fantastica quella “sexy music”, come loro la etichettavano in mancanza d’altro, sfuggente e sospesa tra hard, folk, psichedelia, jazz. Così eclettica che non credevi fosse l’evoluzione di un ipercinetico, contorto punk. Cosa resta nel terzo millennio, di tanta meraviglia? Più di quel che si potrebbe ragionevolmente pretendere ma meno che nell’ultimo dispaccio, il pregevole Golden Lies che sette anni fa trovava il solo Curt Kirkwood al timone. Pesano infatti su questi sessantasette minuti alcune lungaggini strumentali e un pugno di brani sfocati, cui tuttavia risponde l’efficace poker inaugurale all’altezza - se non di II o Mirage almeno di Too High To Die. Da Fly Lik e T h e Wi n d , O n T h e R i s e , Radio M ot h e Ti n y K i n g d o m s a l g o no v apor i d a r e s p i r a r e a p i e n i p o l moni, stonato intruglio tra chitarre alla Jer r y G a rc i a , r i v i s i t a z i o n i p o c o or t odos s e d e l l e r a d i c i e p i g l i o s q u a dr at o m a a g i l e d a p r i m i Z Z To p . Anima di un disco che, nel tanto di buono che comunque dispiega, s i f a r ic or da r e s o p r a t t u t t o p e r T h e Ship, c apol a v o r o d ’ o p p i a c e a b a l l a ta e tempo sospeso sopra le sabbie dell’Arizona. Le stesse che li videro nascere decenni fa e alle quali si rivolgono oggi, rughe e scricchiolii d’os s a c om p r e s i . U m a n i , d o p o t u t t o. ( 6. 8/ 10) Giancarlo Turra Metric – Grow Up And Blow Away (Gronland / Audioglobe, 2 ottobre 2007) Genere: indie-pop Metric. Canada. Amici dei Broken S o c i a l S c e n e . G r o w U p A n d B low A w a y d o v e v a e s s e r e i l l o r o p r im o a l b u m . N a t o f r a i l 1 9 9 9 e d i l 2 0 0 1 ad o p e r a d e i s o l i E m i l y H a i n e s ( v oce, t a s t i e r a ) e d i J a m e s S h a w ( c h i t arra e d e ff e t t i s t i c a d i g i t a l e ) , q u e s t o d i s c o è s t a t o r i g e t t a t o d a l l ’ e t i c h etta R e s t l e s s e d è p o i s t a t o a c c a n t o na t o f i n c h è l a L a s t G a n g ( l ’ e t i c h etta canadese dei Metric) ha deciso di pubblicarlo nel giugno di quest’ann o . D a q u i p o i l a G r o n l a n d h a f atto il resto. Com’erano i Metric all’inizio? Un d u o i n d i e p o p c h e s i d e d i c a v a ad u p t e m p o d e l i z i o s i m a p r i v i d i ne r bo, che spruzzava qualche melodia d i s a p o r e e l e c t r o - p o p c o n q u a l ch e base campionata e qualche nota di p i a n o b u t t a t a l ì i n m a n i e r a s p a va l d a . E a l l o r a l a t i t l e t r a c k a p r e con i l s u o f a r e p u t t a n e s c o e s b a r a zzi n o , u n a s o f t - d a n c e p e r p a l a t i p oco e s i g e n t i c o s ì c o m e R o c k M e No w s h o c k a p e r i l s u o v e r b o s c o s t a nte, u n r e c i t a t o s u u n a b a s e v a g a m e n te s l o w - d a n c e c o n t a n t o d i c o r e t t i in f a l s e t t o … R i c o n o s c i a m o f o r t u na tamente la band che poi partorirà q u e l l a d e l i z i a d i a l b u m c h e è Old Wo rl d U n d e rg ro u n d , Wh e re A r e Yo u N o w ? n e l l a c a d e n z a m a l i zi o s a d i H a r d w i r e , c o n i s u o i g i ochi d i p i a n o e c h i t a r r a e i l s u o s o l o di t a s t i e r a s o ff u s o m a a n c h e e s o p ra tt u t t o n e l l a d e s o l a z i o n e p u r a m e n te p o p d i O n T h e S l y , b e l l i s s i m a nel s u o a n c h e g g i a r e c h i t a r r i s t i c o e vo cale che traghetta il pezzo a ben alt r i l i d i r i s p e t t o a q u a n t o s e n t i t o pr i m a . S o f t R o c k S t a r è u n a p i a c e v ole e s o ff i c e s e m i - b a l l a d d ’ i n t e r m e zzo m e n t r e c o n R a w S u g a r s i r a s c hia i l b a r i l e d i u n t r i p - h o p v e l o c i z z ato d i q u a r t a g e n e r a z i o n e . Wh i t e G o l d turn it on White Rainbow – Prism Of Eternal Now (Kranky / Wide, 1 ottobre 2007) Genere: ambient kraut Il pa ckag ing è già un om aggio. Pr i sm O f E t e rn a l N o w s c r i t t o a c a r a t t e r i cub itali, in vio la s u f ondo r os a. Un c olpo in u n o c c h i o c h e r i c h i a m a l a l i n e a g rafica d el pr im o Dr eam Sy ndic at e di Joh n C a l e , To n y C o n ra d , A n g u s Ma cLise , La M ont e Young e M ar i an Zaz e e l a . I n s o m m a i m a e s t r i a c u i Ad am Fo rkn er f a qui es plic it am ent e r if er im e n t o e d a c u i a t t i n g e p e r d i s e g na re la su a fant as ios a t ela as t r at t a. Una v e r a e p r o p r i a f i l o s o f i a m e t a f i s i co-esistenzial e c h e s a l t a f u o r i a n c h e d a g l i i r o n i c i p r o c l a m i p r o p a g a n d i s t i c i a mmassa ti n el r et r o di c oper t ina: “ Pr is m O f E t e r n a l N o w = 1 0 0 % To t a l N o w Vib ratio na l Pr es enc e! Cent ur ies old Eas t er n Wi s d o m s p r o v e t h a t S o u n d Vi brations conta i n Va s t , P o w e r f u l , P o s i t i v e H e a l i n g E n e r g y ! W h i t e R a i n b o w is Fu llest Spe c t r um Pos s ible of Healing Ray s o f S o u n d , L i g h t a n d E t e r n a l No w Life -Vibe s . Wide Rainbow! W hit e Wav e s ! ” . L e o n d e b i a n c h e d i W h i t e R a i n b o w r i d u c o n o t u t t i i c o l o r i dell’iride in u n meta fisi c o baglior e et er no. Puls es c o m i n c i a s u l r i t m o d i u n a d a n z a t r i b a l e e s c i a m a o r d i n a t a e d enfatica verso la più c las s ic a delle ipnos i k r aut . M id d l e g i o c a c o n i d r o n i c o m e f a r e b b e u n b a m b i n o c o n i b a s t o ncini dello sha ng ai. For Ter r y s t r iz z a l’oc c hiolino a Ril e y f i n d a l t i t o l o . L’ E t e r n o A d e s s o d i Wh i t e R a i n b o w è u n a sca l tr a m i scela di territ o r i a ff i n i : d r o n e m u s i c , n e w a g e , m u s i c a c h i l l o u t , k r a u t r o c k , m i n i m a l i s m o . P e r e r i g e r e a rchitetture comp lesse ma dall’im pat t o im m ediat o c om e M y s t i c P r i s m o c c o r r e a v e r e u n a d i m e s t i c h e z z a c o n i l m e z z o costruita con an ni d i as c olt i e pas s ione. Dopo t ut t o, i l m o n d o d i Wh i t e R a i n b o w n o n è c o s ì l o n t a n o d a q u e l l o d eg l i Yu m e Bitsu. Ad am F or k ner s gom it a c on as t uz ia pe r d i v e n t a r e i l n u o v o g u r u d e l l o y o g a s o u n d . ( 7 . 2 / 1 0 ) Antonello Comunale sentireascoltare 73 è il numero intimista c o n l a n o s t r a prota gonista al pian o e c o n i l v o c a l quasi su ssurra to, m ent r e L o n d o n H alf life tocca le ste s s e c o r d e c o n un’acu stica pa racul a al c ent r o ad accomp ag na re le no t e di piano. Quello ch e si dip an a in ques t o disco “ripescato” è un d u o s i m p a t i c o e dalle capacità abbo z z a t e c h e p e r ò non ha ancora intra p r e s o l a s t r a d a giust a o ssia q ue lla c he poi s ar ebbe giun ta con l’ind ie r oc k s im il- inyour-face dei due dis c h i s u c c e s s i v i . Nell’attesa di un nuo v o v e r o d i s c o , questo rima ne un c apit olo int er locut orio. Un ve zzo p er f an. ( 5. 5/ 10) Alessandro Grassi Che sia colpa della maturità, di una stanchezza generalizzata o magari soltanto una questione di scelte, sembra chiaro, tuttavia, che il musicista senza fronzoli ma meravigliosamente diretto di qualche tempo fa ha lasciato il posto ad una nuova creatura, attratta dalle mezze luci, intima ma aristocratica, disposta a sacrificare sull’altare della cura esteriore - e della reiterazione - ogni forma di progresso (nei testi quanto nelle musiche). L’EP Io non sono come te non fa eccezione in questo senso, dal momento che recupera il discorso lasciato aperto con l’ultimo Toilette Memoria senza tuttavia ampliarlo. Affidandosi invece, ancora una volta, al binomio chitarra acustica-Wurlitzer per dare colore alle sfumature (Felce), incorniciare i particolari, perdersi in strumentali (Il risveglio) o macerare in suadenti lentezze. Col rischio di dar vita a un disco apprezzabile, capace forse di regalare qualche buon momento di raccoglimento, ma lontano dall’apparire memorabile. Peccato. (6.5/10) nelle tenebre, il tutto accompagnato da un contrabbasso suadente e da tocchi di chitarra ammalianti, ma la sensazione di pericolo è ovunque e l’armonica è lì a dipingere questa sensazione che si fa sempre più tattile. Febbrile è lo stato di coscienza a cui spingono i Nostri e Fireday è uno swing delizioso, dal sapore antico, pura stilosità alla Mrs. Mitchell e la conclusiva Jaywalker apre la strada ad un piano sconsolato ed ad un melodiare la luna e quello che potrebbe dire. I Moriarty sono una band da tenere d’occhio perché mette in tavola ingredienti comuni in certo folk, ma con una capacità di scrittura sicuramente sopra la media e con una notevole ricerca melodica che rende il risultato veramente degno di ogni attenzione. Guardiamoli crescere. (7.1/10) Alessandro Grassi Fabrizio Zampighi Moltheni – Io non sono come te E P ( L a Te m p e s t a / Ve n u s , 8 s e t tembre 2007) Genere: indie-rock Non comprendiamo davvero per quale motivo la musica di Moltheni, che fino a due anni fa riservava strette al cuore, lacrime e sorrisi, oggi non riesca più a penetrare quella corazza fatta di cinica disillusione e costante incazzatura con cui ci troviamo quotidianamente a fare i conti su questa Terra. Per quale strana congiunzione astrale insomma, uno che ai tempi di Natura in replay cullava la nostra integrità con parole nuove, in Fiducia nel nulla migliore ci faceva urlare a squarciagola, con Splendore Terrore prospettava - a ragione - una nuova forma di canzone d’autore, ora non sia in grado di meritarsi più di un cenno d’approvazione per qualche arrangiamento riuscito o una pacca sulle spalle per una progressione armonica indovinata. 74 sentireascoltare Moriarty – Gee Whiz But This Is A L o n e s o m e To w n ( N a i v e / S e l f , 9 ottobre 2007) Genere: folk rock Una voce assonante a quella di Joni Mitchell e una maniera di declinare un certo folk rock con atmosfere fumose e con orchestrazioni dissonanti, non possono che far risplendere questo debutto degli americani Moriarty. Le ambientazioni sono bucoliche, l’armonica conduce i giochi e la voce di Rosemary è quanto di più ammaliante ci possa essere per entrare in questo microcosmo fatto di chitarrine jingle-jangle e di un folk maestoso, cullante, a tratti tenebroso. Jimmy racconta la migliore austerità made in Black Heart Procession, Lovelinesse ha un tocco alla Ani Di Franco di un tempo e Private Lily è una ballad per slide guitar accesa come un fuoco in mezzo alla foresta, occhi che si ammaliano a guardare uno spettacolo di colori e luci dissonanti. Cottonflower apre la strada MV & EE With The Golden Road – Getting Gone (Ecstatic Peace, 9 ottobre 2007) Genere: psych folk Forse è la volta buona che Matt Valentine vende qualche disco anche fuori dal ristretto cerchio di amici e appassionati. In tanti anni di carriera, Getting Gone è la cosa più accomodante e facile da ascoltare su cui abbia messo mano. La coppia più bella del mondo weird folk, MV & EE, torna quindi con un lavoro nuovo su Ecstatic Peace e con una compagnia mutata, al punto che non si parla più dei Bummer Road, bensì dei Golden Road. C’è ancora una colonna fondamentale come Samara Lubelski, mentre saltano all’occhio J. Mascis (già nel precedente disco “vero” su Ecstatic Peace, dove suonava il mellotron su un paio di tracce) e John Maloney dei Sunburned Hand Of The Man, entrambi chiamati a suonare la batteria. Come preannunciato da Green Blues, c’è voglia di andare oltre il solito bailamme psyco-freak. Voglia di smettere di farsi d’erba, rimanere più sobri e fare musica con tutti i crismi del suono americano. Voglia di prendere la chitarra distorta e di lanciarsi in cavalcate acid roots. Insomma…c’è voglia di copiare Neil Young. Il riff di Susquehanna che apre il disco ti fa subito sorridere. La cadenzata marcia di Hammer sembra uscita fuori da On The Beach o Harvest Moon. E ancora ci sono Mama My, Coaled Out, Speed Queen, Home Comfort, Sweet People tutte trattate alla maniera del grande canadese. Non so proprio cosa gli sia venuto in mente, ma è tutto così apertamente scoperto che per uno come Matt Valentine non può trattarsi semplicemente di provare a fare Neil Young per vedere cosa viene fuori. La copia è talmente spudorata e precisa che sembra una serigrafia di Warhol o Gus Van Sant che rifà Psycho identico in ogni fotogramma. Poi però tra una strizzatina d’occhio e l’altra i Nostri piazzano quelle deliziose ballate da hippie fuori tempo massimo, che ce li hanno fatti amare in tutti questi anni. Brani folk leggerissimi e soffici come nuvole acide a pascolare su un campo di fiori fioriti. The Burden è la prima. I Get Caves in There è la seconda. Easy Livin’ è la terza. Motorin’ la quarta. Country Fried la quinta. Matt Valentine e Erika Elder fanno ancora “blues lunari”, ma stavolta hanno provato a fare la rock band e a presentarsi in pubblico. Del resto, Matt ha indossato la giacca buona e si è fatto anche la barba! (7.1/10) Antonello Comunale My Awesome Mixtape - My Lonel y A n d S a d Wa t e r l o o ( M y H o n e y Records / I Dischi Dell’Amico Immaginario, 7 settembre 2007) Genere: indie-geek-pop Chi n on ne ha anc or a s ent it o par lare? I My Awe s om e M ix t ape da Bo- logna n e l g i r o d i p o c h i m e s i s o n o pas s a t i d a b e n i a m i n i d e l l a b l o g o sfera a next-big-thing dell’universo indie . R e v e n g e o f t h e N e r d s . M e r i t o de l p a s s a p a r o l a ( r e a l e e v i r t u a le) m a a n c h e d e l l ’ i n c e s s a n t e a t t i v i t à liv e , c h e l i h a p o r t a t i a c a l c a r e i palc h i d e i p r i n c i p a l i f e s t i v a l i t a l i a n i , M i A m i , S p a z i a l e e I t a l i a Wa v e . Dopo l ’ E P S o n g s o f S a d n e s s Song s o f H a p p i n e s s u s c i t o p e r l a Uf o H i - F i i n e d i z i o n e v i n i l e + c d a l l a Al bi n i , e c c o l i a l l a p r o v a d e l n o v e c on l ’ a l b u m i n q u e s t i o n e , p r o v a s u perata in maniera brillante grazie a m elo d i e a p r e s a r a p i d a , r i t m i d a n z er ec c i e i n c a s t r i a z z e c c a t i d i e l e t tronica vintage e strumenti classici. M aol o e c o m p a g n i h a n n o p o c o p i ù di vent’anni ma il loro immaginario s em b r a q u e l l o d e i t h i r t y s o m e t h i n g cresciuti a pane e C64, gli anni di War G a m e s e S p a c e I n v a d e r s , g l i anni d i Tr o n e d e l l e t a s t i e r i n e g i o c a t t o l o c h e t a n t o a ff a s c i n a n o i g e e k del n u o v o m i l l e n i o . I l s u o n o i n v e ce è quanto mai attuale, un frullato di hip hop sbilenco, indie-pop, micromusic che non sfigurerebbe nei c a t a l o g h i To ml a b e A n t i c o n . Pr en d e t e H i l a r i o u s , d o v e i l p a e s aggi o p l u m b e o , d e n s o d i c a r i che elettrostatiche si dissolve in un clap & beat isterico e un finale v or t ic o s o e c o r a l e o l ’ i n c a n t e v o le dr e a m - h o p d i S i l e n t l y A p r i l L e f t Us Wi t h o u t A K i s s , p r o s s i m o a n t hem d i o g n i l o s e r c h e s i r i s p e t t i . I testi di Maolo parlano di piccole battaglie quotidiane, notti insonni, pom e r i g g i i n c a m e r e t t a e t r a c i t a z ioni d i E d g a r L e e M a s t e r ( F r a n c i s Tur ne r ) e g i o c a j o u e r 2 . 0 ( N a p a l m on B *** G ****) , a t a r i - s p l e e n e f i l a s t r oc c h e a 8 b i t ( A s t h e c l o u d s m a k e my mood fall down, the beat makes i t s u d d e n l y r i s e U p ) l ’ a l b um sci vo la via che è un piacere. Dormire, p i a n g e r e , g r i d a r e , p e r d e re, low-fi, d e b u g g a r e , p i x e l , c a s s e t ti n e , r i a vv o l g e r e , k o r g , c u o r e , b a l l are, insert c o i n , s m a n e t t a r e , m y s p a ce , sp a m m a r e , a m i c i , b a c i a r e , m o ri r e , w h y? (7.2/10) Paolo Grava Nervous Cabaret – Drop Drop (Naive /Self, 11 settembre 2007) Genere: art-rock Immaginate un miscuglio del Captain Beefheart più oscuro e sperimentale, la tromba del Miles Davis più invasato e l’estrosità dei Tv On The Radio ed avrete un’idea di cosa sono i Nervous Cabaret. Insomma una creatura deforme, musicalmente una via di mezzo tra singulti hardcore, smanie avantjazz e momenti di art-rock. Conditi tutti dalla voce semplicemente irritante e fastidiosa del cantantechitarrista Elyas Khan. Ed immagino che con queste prerogative il gruppo avrebbe già la copertina di qualche rivista underground blasonata, ma il problema qui è che proprio il loro miscuglio non convince per nulla. Melodicamente non dicono niente, ritmicamente possono essere interessanti e i loro momenti di tragedia da cabaret da quattro soldi con gli incroci di tromba, trombone e sassofono baritono possono essere intriganti, ma ai fini della fruizione risultano troppo indigesti e semplicemente inascoltabili. Singulti jazz per atmosfere noir nella deprezzabile Flamegirl, scenari sentireascoltare 75 da bolgia in stile Gogol Bordello nella carente Les Enfant Du Papillon e cori alla luna in mezzo a fantasie post punk nel tremendo cadenzare della dolorosa Sleepwalkers. Questo è il mondo dei Nervous Cabaret, ed è veramente troppo difficile da digerire anche per chi ha a cuore un certo tipo di avanguardia. In una parola, inutile. Ergo (3.0/10). Alessandro Grassi Northern State - Can I Keep This Pen? (Ipecac, 2007) Genere: indie-rap Immaginate Le Tigre che giocano a fare i Beastie Boys ed avrete una riproduzione piuttosto fedele di quel che realizza questo trio femminile di Long Island giunto al terzo album, il primo su Ipecac. Non a caso le Northern State hanno già aperto concerti per le tigrotte (un pezzo come Cold War è più realista del re, da questo punto di vista) e non a caso dietro Oooh Girl e Suck a Mofo c’è proprio lo zampino di Adrock dei Beastie Boys. La produzione di uno che ha a che fare col mainstream come Chuck Brody emerge prepotentemente in un pezzo come B e t t e r A l r e a d y, p u r a p a r a c u l a g g i n e d a M t v, r o b a d a g e t t a r e i n pasto al pogo di liceali ubriachi. Ta l v o l t a i n v e c e a f f i o r a u n q u a l c o sa che è uno strano ibrido tra Madonna e le Breeders. Quando le Nostre, a dispetto delle tendenze riot, abbassano i toni e recuperano melodia canora e fragilità femminili, esce infatti qualcosa di buono: Run Off the Road, Fall Apart e Away Away - con accenti da all-female bands K e Kill Rock Stars anni ‘90, tipo Sleater Kinney - sono infatti i pezzi che risollevano le sorti di questo disco assai leggero, talvolta carino e carezzevole e sovente scimmiottante, di cui presumibilmente non ci ricorderemo in futuro. Anche se Away Away non smetto proprio di canticchiarla... (5.5/10) Alarico Mantovani 76 sentireascoltare N u m b e r s – N o w Yo u A r e T h i s (Kill Rock Stars, 21 agosto 2007) Genere: indie-rock M et à Velv e t W h i t e L i g h t / W h i t e Heat , m et à S t e re o l a b . E c c o i n p o c he par ole i N u m b e r s . G i à c i s o n o gli Electralane direte voi, e noi con voi. E non solo gli Electralane, per giunta. Un gruppo, questo di Frisco, c he ho s em p r e s e g u i t o d i s t r i s c i o ( qualc he v id e o n e l l a p r o g r a m m a z i o ne not t ur na d i M T V o p p u r e s p o r a d i che visite al loro My Space) in virtù di un attrazione mai nata. Ricordo, c he nel r ece n t e c l a m o r e n e o - n e w wav e v eniv a n o c o n s i d e r a t i c o m e l a n e x t b i g t h in g a l l a s t r e g u a d i E r a s e Er r at a et s im i l a , p o i p e r ò i l n u l l a . Comunque siamo qui a dirvi del loro quar t o lav or o – s e c o n d o p e r l a r i n o m at a Kill R o c k S t a r s – e l a f a n t a sia già scricchiola, dato che quello che dovevo dire è nell’incipt di cui s opr a, os s i a : Ve l v e t M e e t s S t e r e o lab, un equazione appariscente e dai frutti oramai essiccati. Il Nuovo Num ber s , in t e r e s s a ? ( 5 . 0 / 1 0 ) Gianni Avella Overmood – Sorry For The Setbacks (Suiteside / Audioglobe, 20 settembre 2007) Genere: indie M es s a da p a r t e o g n i v e l l e i t à i n n o vatrice su una musica tanto usurata q u a n t o v i t al e c o m e i l r o c k - f o r s e anc he per r a g g i u n t i l i m i t i d i e t à d e l la stessa -, alle nuove leve spesso non rimane che optare per quello c he obiet t iv a m e n t e s e m b r a i l m a l e m inor e. Es p l o r a r e c i o è g l i a n g o l i meno illuminati di questa creatura v ec c hia più d i m e z z o s e c o l o e s a l - t a n d o i p u n t i d i c o n t a t t o p r e s enti t r a l e s u e n u m e r o s e r a m i f i c a z io n i i n t e r n e , c u r a n d o p a r t i c o l a r m e n t e la f o r m a , a d a t t a n d o l e v e c c h i e s ca l e pentatoniche ai ritmi feroci e al rumore dei giorni nostri. I n t e r m i n i p i ù p r o s a i c i , i n c r o c i are i linguaggi, o come direbbero gli a m e r i c a n i , f a r e c r o s s o v e r, m a g a r i a ff i d a n d o s i a u n a b a t t e r i a i n l e v are q u i e a q u a l c h e d i s t o r s i o n e d i ch i t a r r a l à , f a c e n d o s e m p r e b e n a t t en z i o n e a r i m a n e r e i n e q u i l i b r i o sul filo della decenza estetica. G l i O v e r m o o d d a A l e s s a n d r i a non f a n n o e c c e z i o n e i n q u e s t o s e n so, m e s c o l a n d o , n e l l o r o e s o r d i o d i s co g r a f i c o s u l l a l u n g a d i s t a n z a , c h i ta r r e e l e t t r i c h e r u g o s e , s y n t h ( G rain O f H o p e ) e i n c e d e r e p u l s a n t e in s t i l e d i s c o ( F l a m e – R e d L a w n ), d i s s o n a n z e ( O d d s & E n d s ) e p unk s t r u m e n t a l e ( C l i m b T h e D a y s ) , Hip H o p e a c c e n t i R & B ( P a l e l y e R ub b e r ) . I l t u t t o c o n d i t o d a q u a l c h e bit di elettronica sparso e parecchio e n t u s i a s m o g i o v a n i l e , q u e s t ’ u l t i mo i n g r a d o d i e s a l t a r e q u a n d o l a mu s i c a c o l p i s c e a f o n d o – i P i x i e s di Wi n n i n g G u i t a r – e d i s o p p e r i r e su ff i c i e n t e m e n t e a l l e c a r e n z e q u a nd o i n v e c e c a l a l a l u c i d i t à ( R e s t l ess Song). (6.5/10) Fabrizio Zampighi P. C . S o l a l – P r e s e n t s T h e M o o n s h i n e S e s s i o n s ( Ya B a s t a ! / Self, 28 ottobre 2007) Genere: country Questa è una di quelle faccende che, per raccontarle, si deve prima prender fiato: il sig. Solal, DJ fran- cese fondatore del famigerato Gotan Project, ha deciso di scrivere e pubblicare un disco country. Tutto vero: però dimenticatevi i modernismi laccati da Buddha Bar che - pur insopportabili - proponevano un approccio consapevolmente inedito alla musica argentina. Qui c’è il classico armamentario di slide, duetti uomo/donna, violini e armoniche oleografiche che impazza nelle frange più edulcorate della musica d’oltreoceano. Un manuale seguito a puntino, fatta eccezione per qualche rara intromissione affossata dalle aggiunte posticce di un sottofondo di grilli e fruscii tipici del vinile, paradosso che va contro i presupposti di genuinità sbandierati da Solal. Il disco è ben eseguito, e come potrebbe essere diversamente, dato che a supervisionare l’operazione c’è Bucky Baxter (da anni a fianco di Dylan e prima ancora di Steve Earle) e al canto ecco autentiche star delle stazioni radio specializzate, ma non è questo il punto. Manca di autenticità e anima che in un supermercato non trovate e che latita nel 90% dei dischi da catena di montaggio di Nashville. Un mero divertissement, Presents The Moonshine Sessions, appartenente per nostra sfortuna alla categoria che diverte solo chi li fa e non chi li deve ascoltare: lo dimostrano le cover di Dancing Queen degli ABBA e della pistoliana Pretty Vacant, inferiori all’idea di partenza (e se gli Hayseed Dixie han stufato al secondo disco, vedete voi…). Bel tentativo, Monsieur, ma si rimetta le scarpe da ballo, se proprio deve farsi vedere in giro. (4.5/10) Giancarlo Turra Pluramon - The Monstrous Surplus (Karaoke Kalk / Wide, 28 settembre 2007) Genere: shoegaze pop E così insistiamo. A distanza di quattro anni da Dreams Top Rock, Pluramon ritorna a quella formula shoegaze (adult) pop che poco aveva entusiasmato il pubblico indie. Il plot s’allarga inglobando ospiti nuovi, ma i problemi d’allora rimangono. Stessa divisione in due della medaglia feedback: da una parte una sorta di Badalamenti meets Ride (per inciso la musa Cruise infatti è proprio quella che canta nel famoso episodio di Twin Peaks), dall’altra una narrazione androide à la Blade Runner. Il problema non sta tanto nella produzione, certamente potente e dai riverberi ben amplificati. E neanche le performance vocali - che questa volta vedono protagonisti anche Julia Hummer (un’attrice tedesca), l’artista e scrittore Jutta Koether e (novità) lo stesso Marcus - deludono, semmai è una questione d’abuso. Specie sul versante estatico (Border, If Time Was On My Side), queste canzoni sono troppo note, troppo patinate, troppo perfettine e ok, pure troppo commerciali. Rientrano in quella brutta categoria di adult quando per adult s’intende l’assetto mentale di chi non rischia più ma ti fa le cose con infinita precisione (e per tutti). Sarebbe stato più intelligente approfondire il discorso letterario. So infatti disegna percorsi interessanti attorno al testo di Koether. Ma se un Badalamenti non si tocca, Schmickler certamente sì: quest’idea di “nuovo” soul metropolitano bianco per bianchi tra sottili amarezze e sferzate blasé non è altro che un’elegante retroguardia. (5.0/10). Edoardo Bridda Pram - The Moving Frontier (Domino / Self, 5 ottobre 2007) Genere: avant lounge Da meravigliosa anomalia trip hop a ensemble morriconiano su Marte. Troppo riduttivo. Da splendida formazione neo canterburiana a mirror band degli Stereolab. Stupidamente snob. Da frullato di jazz, psych, kraut e etnica come i King Crimson di Island, il Robert Wyatt di Dondestan e gli AIR di Premiers Symptomes in un unico box, a una dignitosa formula che tutto comprende e tutto sublima. Non ci siamo ancora ma capirete senz’altro una cosa: i Pram sono una band spessa come una quercia. Perlomeno lo erano. Attualmente sono quel luogo raffinatissimo in cui è sempre bello accamparsi. Dove non si rimarrà mai delusi. E fin qui ci siamo. Il nuovo The Moving Frontier appunto si muove, su se stesso ma va bene così, il gusto di queste marmellate difficilmente annoierà e gli stilemi imbastiti saranno pur sempre imburrati dalla parte giusta. Per capirci fate conto che i Pram sono il gruppo esotico più complicato che ci possa essere. E nessun fan di Canterbury potrebbe resistergli. Tuttavia non si può negare che gli ultimi quattro dischi di questi signori di Birmingham rappresentano la coda di una gloriosa epopea iniziata nel 1993 con una tripletta d’album di devastante bellezza. Il confronto con quelle creature è pesante assai ma non c’è pericolo, neppure se l’iniziale The Empty Quarter inizia con una morriconata trita e ritrita, fatta da loro suona ancora come dovrebbe. Come pure tacciare Sundew di discoverychannelismo sarebbe una cattiveria gratuita. Piuttosto poggiate l’orecchio su Iske, come dire il miglior jazz-rock calato in Messico, oppure Hums Around Use, una straniante gemma minimal psych, oppure ancora la finale The Silk Road, country come si farebbe a Bombay. Pensate che quest’album, scioglie le tessiture più aspre del precedente concedendosi al sale e alla sabbia, ai deserti e alla frontiera appunto. I punti molli, l’abbiamo detto, ci sono. Le proprietà di linguaggio anche. E i Pram parlano una gran bella lingua meticcia. (6.8/10) Edoardo Bridda P r e f u s e 7 3 - P r e p a r a t i o n s ( Wa r p / Self, 14 settembre 2007) Genere: glitch hop C o m e o g n i d i s c o d i P r e f use anche questo quarto nuovo album è un lav o r o c h e p i ù l o m a n d i g i ù e più si t i r a s u . E h s ì , p e r c h é c o me ben si sentireascoltare 77 a l i v e l l o c er e b r a l e e p a s s i o n a l e g l i highlight s d e l d i s c o : G i r l f r i e n d B o y f r iend, Pr o g Ve r s i o n S l o w l y C r u s hed e Let I t R i n g . N e l l ’ u l t i m a p a r t e ar r iv ano i n u m e r i p i ù “ s p e r i m e n t a li” : Pom ade S u i t e Ve r s i o n O n e h a struttura e sapore prog ed è proprio qui c he s i p e r c e p i s c e m a g g i o r m e n t e l ’ a ff i n i t à c o n i c o m p a r i B a t t l e s . Alla f ine, c o n P r e p a r a t i o n O u t r o Ver s ion, s i l a s c i a d a p a r t e l ’ h i p h o p v er s o s c en a r i e d i m m a g i n a r i e l e t troacustici ancora da definire. Bene c os ì . ( 7. 5/ 1 0 ) sa, qu i n on stiamo par lando di un parven u ma di u n tip o c he ha c oniato uno stile . Uno da annov er ar e nella cerch ia d i qu ei p r odut t or i es t r osi, obliqui e raffina t i c h e , c o m e i l colleg a Da br y e, si s o n o g u a d a g n a t i la stima incondizion a t a d i u n ’ a m p i a schie ra d i rap pe r di r az z a. E dunq ue e cco Pr epar at i ons, c he in CD u scirà doppio, in c o p p i a c o n u n altro d isco “omb ra”, I nt er r egnum s, una r a ccolta d i com pos iz ioni c las siche moderne comp o s t e e s u o n a t e da Herren, utilizzan d o v i o l o n c e l l o , clarinetto, piano ed a l t r i s t r u m e n t i , tot alm en te p rive di beat s , in per fetta dialettica con P r e p a r a t i o n s . Per ora non ci è dat o s a p e r e d i p i ù ma le reazioni di al c u n i s u o i a m i c i lo immortalano com e u n “ s a d - a s s soundtra ck” e q ue sto bas t a per ac cresc ere la n ostra cur ios it à. Le collaborazioni s o n o p o c h e e d oculate: non più la p a r a t a d i s t e l l e - peraltro efficace - di S u r r o u n d e d B y Silence , bensì l a v o l o n t à d i conce ntra rsi to talme nt e s ulla r ic er ca musicale. Non ri l e v a n t i s s i m e l e novit à stilistich e, be nc hé il t our c on gli amici Ba ttles ab b i a c r e a t o p i ù di un po sitivo fee db ac k in ques t o senso . E se ne ll’alb um pr ec edent e il compagno di mer e n d e e r a s t a t o Ti o n day Br a xton, i n q u e s t o c a s o uno degli apici del d i s c o G u i l l e r m o Scott Herren lo toc c a i n s i e m e a l grande J ohn Sta nie r ( e x b a t t e r i s t a degli He lm et,): sent i t e c h e r a z z a d i bomb a è Smoking Red e d a n n u i t e quando a d un tra tto una v oc e c am pionata recita: “Ever y d a y i s j u s t a n ext ension of yester day . . . ” . P a r o l e sante. Eccitante an c h e i l s i n g o l o , S chool of 73 Be lls, c on la par t ecipaz ion e de gli Sch o o l o f S e v e n B ells , così come s o n o g r a t i f i c a n t i 78 sentireascoltare Alarico Mantovani Prinzhorn Dance School - Prinz h o r n D a n c e S c h o o l ( D FA R e cords-EMI, 2007) Genere: empty-funk I n u o v i p r o t e t t i d i M r. M u r p h y s i c h i a m a n o To b i n P r i n z e S u z i Horn e vengono da Brighton. Nonostante il Dance piazzato in m ez z o al no m e d e l g r u p p o , s i t r a t t a di uno d e i d i s c h i m e n o p i s t a o r i e n t e d d e l c a t a l o g o D FA , i l b a s s o di Suz i c he s c a v a p i ù c h e s m u o v e re, le voci che declamano triplici slogan (Up! Up! Up!, Crash Crash Cr as h) inc h i o d a n o l ’ a s c o l t a t o r e i n vece di lanciarlo in balli sfrenati. O lt r e a Cr a c k j a c k D o c k e r, g i à u s c i ta su singolo e in versione remix, s o n o d e g n e d i n o t a Yo u A r e T h e Spac e I nv a d e r d a l l a c h i t a r r a s l a b br at a e Wo r k e r, d o v e i l t i m b r o e n f a t i c o e b e ff a r d o d i To b i n r i c o r d a Hugh Cor nw e l l . Oltre agli Stranglers di No More Her oes v en g o n o i n m e n t e a i s o l i t i n o m i d el l a s t a g i o n e p o s t p u n k e della r ece n t e o n d a r e v i v a l i s t a , W ir e, Slit s , E r a s e E r r a t a , N o N e w Yor k e M et a l B o x . P a r l a n d o i n v e c e dei dischi di quest’anno si avvicina a due r ec e n t i e s p e r i m e n t i d i p o s t core minimale usciti su Dischord, il dis c o s olis t a d i J o e L a l l y e R e f l e c t o r degli Antelope. Album caratterizzati da vuoti e riduzioni strumentali, con il bas s o in p r i m o p i a n o a p u l s a r e s pes s o da s o l o . I P r i n z h o r n D a n c e Sc hool s em b r a n o p r o p o r r e u n a v e r s ione m inim a l e e n a r c o t i c a d e l l ’ o r m ai dem odé p u n k - f u n k , s e n z a f u n k , s enz a punk, s e n z a f u t u r o . ( 6 . 5 / 1 0 ) Paolo Grava Róisín Murphy - Overpowered (Emi, 15 ottobre 2007) Genere: wave dance L a b e l l a R ó i s í n , e x - M o l o k o , s co tt a t a d a l l a p o c a e n e r g i a s p e s a pe r p r o m u o v e r e l ’ a m b i z i o s o e s o r dio s o l i s t a R u b y B l u e d a l l a E c h o Re c o r d s , h a s c e l t o s t a v o l t a u n a c i li n d r a t a d i l u s s o c o m e l a E m i e s c om m e t t o c h e l a m u s i c a c a m b i erà. Q u a n t o a l l a m u s i c a v e r a e p r o p ria, f a d i t u t t o p e r e s s e r e q u e l l ’ o r d i gno c a t c h y, s f e r z a n t e e s t i l o s o c a p ace d i a r r a m p i c a r s i s u l l e c h a r t p i ù c ool d e l l a p a r t e g o d e r e c c i a d e l p i a n eta. S u l l e o r m e , s e v o g l i a m o , d e l l a Gold f ra p p p i ù c a c i a r o n a d e l s e c o ndo album: c’è un simile impasto di nos t a l g i a f a s t o s a e m o d a l i t à c a r i c a tu r a l i d o v e v a l e p i ù l ’ e m p i t o c h e non l ’ o g g e t t o d e l l a n o s t a l g i a , t a n t o che u n a M o v i e S t a r e v o c a u n a p a r ata s y n t h w a v e s o v r a c c a r i c a , m u r o di s y n t h d e p e c h i a n i e p i g l i o f u n k - g l am colorato, plastico, onirico, languid o , f e s t o s o e s p a c e y, u n a m e s si n s c e n a v e r a e p r o p r i a c o n n e s s una pretesa di plausibilità. L a q u a n t i t à e q u a l i t à d e i c o l l a bo r a t o r i ( d a A n d y C a t o d e i G r o ove A rma d a a M i k e P a t t o n - c h e d i s t r i b u i s c e v o c a l i z z i i n v e r o p i u tto s t o a d d o m e s t i c a t i - p a s s a n d o dal s e m p r e p i ù l a n c i a t o R i c h a rd X fino a l v i o l o n c e l l i s t a e b r o k e n b e a t ers S e i j i ) g a r a n t i s c e c i r c a l a q u a l i t à di questo gioco tra intelletto, adrenal i n a , t e n d i n i e o r m o n i . E l e c t r o c l ash metabolizzata, meditata, meno prop e n s a a l l o s h o c k c h e a l p u n g olo. S t o r m o d i v i s i o n i d a n z e r e c c e che scrutano gli Eighties attraverso i Novanta più evoluti (giochini iperc r o m a t i c i e p r a g m a t i s m o i n c a l z a nte i n Yo u K n o w M e B e t t e r ) , M a d o nna i n g r a v i d a t a D e p e c h e M o d e v i a Eu- r y thm ic s (la t it le- t r ac k ) , i D e a d O r Alive immischiat i in un r av e Chem ic al Br othe r s ( la f in t r oppo c hiru rgica Cry B aby ) , f u n k s o u l t o r v i irro rati di fals et t i jac k s oniani ( Pr imitive) e car n o s e p a t i n a t u r e à l a Gr a ce J ones t r a agili pat ur nie Nel ly Fur tado (Tell Ev er y body ) . Ne esce d ecis am ent e bene, l’es t r osa gn occa irl andes e, v oc e di s et a e ca rne , um or i e af r or i m im et iz zati dalla cos m e s i a l n e o n . F a c i l e p ron ostica re s f r ac elli, s e le legg i d el mercat o f os s er o equaz ioni. (6 .9/10 ) Stefano Solventi Robert Wyatt - Comicopera (Domino / Self, 12 ottobre 2007) Genere: avant/jazz E’ lo ste sso Wy at t a s piegar c i la frag ran za di ques t o dis c o, s uggeren do d ’esse r s i is pir at o alla s t r aripante comu n i c a t i v a d e g l i a l b u m di Char le s M i ngus c o n b a n d d i cinque, sei, u n d i c i e l e m e n t i . Va l e a dire , a ll’atm os f er a am ic ale c he pe rmea nd o lo s t udio f iniv a inev itab ilmen te pe r c ont agiar e la m us ica. Gli amici c o i n v o l t i n e l p r o g e t t o so no i “so liti” Phi l M anz aner a ( n e l cui studio cas a l i n g o s o n o a v v e n u t e le re gistrazioni) , Br i an Eno, P a u l We ller , l’otti m a t r om bonis t a Annie White he ad e il pianis t a D a v i d Sincla ir tra g li alt r i. Wy at t ins om ma può perm e t t e r s i d i c o n s e g n a r e se stesso (co n t u t t o c i ò c h e q u e s t o significa, e no n s i a l e t t a c o m e u n a frase fatta) a l l e g r a z i e d i c o t a n t a b en eme rita atm os f er a, e c os ì s f or nare ciò che l ’ e s t r o - d e l m o m e n t o , n el mo men to - s ugger is c e e c onsente. Po i pe rò n on dev e s t upir e s e Com i c oper a si stru t t u r a c o m e u n a v e r a e propria… o p e r a i n t r e a t t i . A t t i d’accusa, a d i r l a t u t t a . R i v o l t i a d u n mon do d i uom ini c he per s eguono con ostina z i o n e l a d e c a d e n z a , la rovina, la tr a g e d i a . E v i t a n d o c o n naturalezza - c o n g r a z i a w y a t t i a n a - le trap po le della r et or ic a, per s ino quando ne l f i n a l e s i p e r m e t t e d i rispo lve rare il c om m os s o r ic or do/ rimp ian to di Che G uev ar a ( lo av eva già fa tto c on Song For Che i n Ruth Is Str anger Than Ri char d) . At t i d i v i t a c o n s a p e v o l e e p a r t e c i pe, potremmo quindi dire. Il primo dei q u a l i ( d a l t i t o l o L o s t I n N o i s e ) s i ap r e c o l d e l i r i o b l u e s d i S t a y Tu ned a f i r m a A n j a G a rb a re k , r i p o r tato sulla terra tra coretti angelici e quel contrabbasso che scomoda alluc i n a z i o n i B a d a l a me n t i , l a v o c e r appr e s a i n u n a s o r t a d i g e l a t i n a sintetica, gli ottoni a scompaginare le c o o r d i n a t e e m o t i v e . Tr e p i d a z i o ne c a l d a e u n b e l p o ’ a n g o s c i o s a , c he il v a l z e r j a z z a t o d e l l a s u c c e s s i v a J u s t A s Yo u A r e ( s c r i t t a a s s i e m e alla moglie Alfreda) sbaraglia con aria da solenne banalità, in virtù anc he d e l c a n t o s o a v e d i M o n i c a Vasc o n c e l o s . E’ un inizio a dir poco disarmante. Siam o a l l ’ e s a s p e r a z i o n e d i q u e l la tipica facilità d’approccio che c ar at t e r i z z a Wy a t t f i n d a l l ’ e p o c a M at c h i n g M o l e . L’ a t t o s e c o n d o ( T h e Her e a n d T h e N o w ) n o n s m e n t i s c e ques t a i m m e d i a t e z z a , s c h i u d e n d o s i c o l f o l k e l e t t r o a c u s t i c o d i A Be aut if u l P e a c e ( u n D y l a n p a c i f i c a t o ) e os p i t a n d o u n o s w i n g s f e r z a n t e e s t ilos o ( B e S e r i o u s ) c h e r i c o r d a i l Lou R e e d d i T h e B e g i n n i n g O f t h e G r ea t A d v e n t u r e . P o i p e r ò O n T h e Town S q u a r e è u n o s t r u m e n t a l e c a raibico vetroso che giochicchia tra im pa l p a b i l i c i a n f r u s a g l i e c o v a n d o una m a l i n c o n i a c h e s o m i g l i a a l l ’ a n gos c i a , l a s p e t t r a l e O u t O f T h e B l u e è un a g i u s t a p p o s i z i o n e e n i a n o / bjor k i a n a d i t e c n o l o g i a ( v o c o d e r, s y n t h , t r o m b a e ff e t t a t a . . . ) e n a t u r a (la manifestazione analogica di sax e t r om b a ) c h e s i s p e c c h i a n o s e n z a c om p e n e t r a r s i . Sembra uno schema consueto, per quan t o u n p o ’ a n n a c q u a t o : l a s p e r im en t a z i o n e i n s o u p l e s s e , i l d e c o l lo verso sfere sempre più astratte e astruse. Invece, in realtà, non è così. Difatti la terza e ultima parte ( Awa y Wi t h T h e F a i r i e s ) s i c o m p i e all’in s e g n a d i u n a n o s t a l g i c a m e stizia, rinuncia all’idioma inglese e con questo compie una garbata ma ferma dissociazione. Rilegge la s o l e n n e g r a v i t à C S I d i D e l m o n do - s t o r d e n t e e i n e ff a b i l e t r a a r c h i piz z ic a t i e s y n t h - , p a l p e g g i a l a n guor e i n e l u t t a b i l e c o n C a n c i o n D e J uliet a - t e s t o d i G a r c i a L o r c a - e infine, come già detto, ci saluta con la rumba allarmata tra spasmi jazz e a t m o s f e r i c a c o m m o z i one della c l a s s i c a H a s t a S i e m p r e C om a n d a n te. Ti r a t e l e s o m m e , f o r s e i l disco più l e g g e r o m a i l i c e n z i a t o d a Wya tt, tu tt a v i a c o m e a l s o l i t o p o r t a tore sano d i n u t r i t i v e c o m p l e s s i t à , da i n d a g a r e n e l t e m p o e c o l t e m p o . Ta n to R o b e r t s a r à s e m p r e l ì , c o l s uo sorriso s e n z a s c a m p o , a i n d i c a r c i la strada senza alzare un dito. (7.0/10) Stefano Solventi Scout Niblett – This Fool Can D i e N o w ( To o P u r e - B e g g a r s / Self, 19 ottobre 2007) Genere: alt.folk, songwriting U n p o ’ C a t P o w e r e u n p o ’ Polly Jean (ma in fondo solo se stessa), la pol i s t r u m e n t i s t a i n g l e s e S c out Niblett a r r i v a a l t r a g u a r d o d e l q u arto album c o n a l l e s p a l l e u n c u r r i c u l u m d i tu tt o r i s p e t t o , s p e s o t r a I n ghilterra e A m e r i c a , c h e v a n t a c o l l ab o r a zi o n i e c c e l l e n t i c o m e q u e l l e con Steve Albini e Jason Molina. E A l b i n i l o s i r i t r o v a a n c h e d i e tr o T h i s F o o l C a n D i e N o w, i l cl a ss i c o d i s c o c h e a r r i v a a d u n ce r to m o m e n t o d i u n a c a r r i e r a, in cui l ’ u r g e n z a p r i m i g e n i a c a l a a favore d e l l a r i f l e s s i o n e . L’ i r r u e nza della N o s t r a i n c o n t r a i n f a t t i i l f lemmatico B o n n i e P ri n c e B i l l y , e a llora sono q u a t t r o i n t e n s i d u e t t i - di cui due c o v e r, C o n f o r t Yo u d i Va n Morrison e R i v e r O f N o R e t u r n d a l l’ o m o n i m o f i l m c o n l a M o n r o e - p i e n i d i p a l p i ta z i o n i f o l k - r o c k a c c o m p a g nate dalla s o l a c h i t a r r a , o r a a c u s t i c a ( Do You Wa n n a B e B u r i e d Wi t h M y Pe o p l e ), o r a e l e t t r i c a ( K i s s , c h e f inisce per e s p l o d e r e n e l l e l a c e r a z i oni vocali d e l l a N i b l e t t ) ; a l t r o v e è pu r o p sy- sentireascoltare 79 ch rock agitato da p u l s i o n i o s c u r e (N evad a), b alla d n er v os e t r a PJ e S hanno n Wrig ht (Ba by Em m a) , inquieto lirismo a gita to dai s uoi et er ni fanta smi (Din osau r Egg) e t u t t o u n saliscendi di implos i o n i / e s p l o s i o n i , fino alla co nclusion e c on una s t r egata ninn an an na fin ale al piano ( Fishes An d Ho ne y). C on t ut t o il s uo consu eto hu mou r da pièc e dell’as surdo (“Dinosaur E g g , w h e n w i l l you ha tch ? ‘Co s I g ot a m illion people coming on Friday w h o e x p e c t t o see a d ino sa ur, n ot an egg” ) . A lbum disomo ge ne o m a non per questo frammentario , t e s t i m o n i a l a conferma di u n’e sp r es s iv it à or m ai mat ura e comp iuta . ( 7. 1/ 10) Te r e s a G r e c o S e m i n o l e – N o n Tu t t i I Ve r m i Diventano Farfalle (Seminole, giugno 2007) Genere: anarco-noise-rock A utoprod uzion e a ba s e di luc ide liriche e chita rre tag lient i, f ier am ente indipendente e cru d a m e n t e n i t i d a nella su a d isa mina della c ont em poraneità. Nessu no cant er à ( e ne ha cantato in 10 anni di a t t i v i t à ) l e l o d i di Seminole, colletti v o t o r i n e s e d e l giro de i ce ntri sociali, ed è un pec cat o. Non Tutti I Ve r m i D i v e n t a n o F arfa lle è un d isco br ev e, int ens o e orgogliosame nte con t r o c he s eppur sfruttando un impian t o t i p i c a m e n t e noise-rock ha dalla s u a u n a l u c i d i t à nelle lirich e che se m br a r iac c endere qu el fuoco mai sp e n t o n e l v e n t r e della Torino antagon i s t a . La tensione è semp r e a l t a g r a z i e alle ch itarre che rie c heggiano alc uni pa ssag gi alla Ma ssi m o Vol um e ma è g razie a gli in t r ec c i t r a s t r u- m ent i e pen s i e r o c h e l o s c a r t o a s s um e i t oni d e l l a s o r p r e s a . La c os a peg g i o r e – s u g g e r i s c o n o – è r es t ar e in d i f f e r e n t i . E n o i c o n f e r m iam o in pi e n o . Dura è la vita della provincia, ma f inc hé gent e c o m e S e m i n o l e s c a t t er à is t ant a n e e d i t a l e p o r t a t a r i echeggerà sempre quel senso di vaga comunione spirituale che se non r is olv e i l p r o b l e m a a l m e n o a i u ta a sentirsi parte di una comunità. ( 7. 0/ 10) Stefano Pifferi Shitmat – Grooverider (Planet Mu, settembre 2007) Genere: drum’n’bass, breakcore Henr y Col l i n s e i l r i t o r n o d e l l ’ h a r dcore plunderfonico più estremo c h e m a i . L a s c u o l a Wr o n g M u s i c ( i l r agga jungl e d i p e r s o n a g g i o s c u r i c om e Dj S c o t c h E g g , R o g e r S p e c ies o Chez n y H a w k e s ) , s i r i a s s e t ta dopo i fasti del dubstep e ritorna qui c on poc o p i ù d i 4 0 m i n u t i c h e v anno da A mo n To b i n a l m e l t i n ’ pot della fine dei Novanta operato dall’underground londinese, il tutto rigovernato da qualche puntatina pos t - bhangr a c h e i n M . I . A . h a r i t r o vato da pochissimo la necessaria c ons ac r az io n e . M a s e a un p r i m o a s c o l t o l ’ o p e r a zione può sembrare per lo meno m er it ev ole, d o p o u n p o ’ c i s i a c c o r ge c he i t em p i d e g l i A t a ri Te e n a g e Ri ot s ono t r o p p o d i s t a n t i e l a v i o lenz a punk c h e a g g i u n g e v a p e r s o nalit à al ga b b e r u n d e r g r o u n d s e m bra essere (oggi) priva di valenza es t et ic a. Ni e n t e d a d i r e p e r l a t e c nic a: s iam o a i l i v e l l i d i d e c o s t r u z i o ne di Ki d 60 6 e d e i C o l d c u t ( s p l e n didi gli ins e r t N o v a n t a i n B e n s o n & Hedges , il l o o p a r a b o i n Z a g r e b , i l r ic hiam o ag l i A s i a n D u b F o u n d a t i o n in M or e Fir e ) , m a l a m o n o t o n i a e l o s ballo non a t t i r a n o p i ù . Se il dubs t e p h a r i d a t o v i t a a l l a scena londinese, non è detto che con qualche campione più o meno et er ogeneo e c o n q u a l c h e d r u m - s e t scintillante sia matematico riuscire a pr odur r e u n b u o n d i s c o . ( 5 . 5 / 1 0 ) Marco Braggion 80 sentireascoltare Sic Alps – Description Of The Harbor (Awesome Vistas, settembre 2007) Sic Alps – Strawberry Guillotine 7” (Woodsist Records, settembre 2007) Genere: psichedelia out D e i d u e S i c A l p s , u n o d e i s e g r e ti m e g l i o c o n s e r v a t i d e l l ’ u n d e r g r o und a stelle e strisce, avevamo app r e z z a t o i l p r e c e d e n t e P l e a s u res A n d Tre a s u re s ( A n i m a l D i s g u ise , 2 0 0 6 ) , p u n t a d e l l ’ i c e b e r g d i u s cite i n f o r m a t i m i n o r i c h e c i a v e v ano c o n s e g n a t o u n g r u p p o c a p a c e di f o r n i r e u n a v e r s i o n e m o d e r n a d ella p s i c h e d e l i a r o c k c o n i u g a t a p e r ò se c o n d o i p r o p r i c a n o n i . O r a i c a l i fo r n i a n i s i r i p r e s e n t a n o c o n d u e u s cite i n c u i c o n t i n u a n o l e l o r o i n c u r s ioni n e i v a s t i t e r r i t o r i d e l g e n e r e : i l v in i l e 1 2 ” p e r i l c o l l e t t i v o a r t i s t i c o Aw e s o m e Vi s t a s v e d e s u l l a t o B n ove brevi pezzi che scivolano con nonc h a l a n c e t r a d e r i v e c o u n t r y - n o ise, boogie’n’roll pestone, litanie semia c u s t i c h e e g r a n d i o s i p e z z i r o c k in s l o w - f i ( l ’ a r r a p a n t e D r. B a g A n d The P o m a d e N a t u r e G i a n t s ) c h e s a nno t a n t o d i Wo o d s t o c k q u a n t o d i J e sus & Mary Chain. A sorprendere però è il lato A occupato dalla lunga suite che intitola il v i n i l e e c h e d a s o l a o c c u p a l a m età d e l l ’ i n t e r o m i n u t a g g i o . D e s c r i p tion O f T h e H a r b o r i n i z i a c o m e u n p e zzo d i p s i c h e d e l i a r o c k c o m e p o t e v an o intenderlo, per capirsi, i primi e più s c o n n e s s i M e rc u ry R e v , m a p o i si s f a l d a i n r i v o l i d i s u o n i s c r e mati d e b i t o r i t a n t o d i u n a f o r t e p u l s i one a v a n t q u a n t o , i n a l c u n i m o m e nti, d e l l a c o n t e m p o r a n e a p s i c h e d elia p i ù a s t r a t t a . I l 7 ” p e r Wo o d s i s t i n vece incarta un esperimento di ru- mo rismo fre e- r oc k ( RATRO Q ) t r a d ue p ezzi di pac hider m ic a ps ic hedelia come po t r e b b e r o i n t e n d e r l a i Me lvins se fo s s er o dei f r ik k et t oni. Dopotutto non c ’ è d a m e r a v i g l i a r s i dell’approccio p o c o o r t o d o s s o a l l a ma teria ro ck, v is t o c he della par t ita era fino a poc o t em po f a anc he Adam Stoneh o u s e d e i d e v a s t a n t i Hospitals … Com e dir e, la gar anzia. (6 .8/1 0) Stefano Pifferi Simian Mobile Disco – Attack Decay Sustain Release (Wichita, 18 giugno 2007) Genere: electro postdaft generation Da electropop p e r s a r e m i x a t o r i . D a re mixa tori a s eguac i del c ult o Daf t Punk . E il titolo è già dic hiar az ione d ’inte nti mini m al. Super t ec hno da sba llo rock m es c olat a a una m or b osa simbio s i c on le m ac c hine, la p erfe zio ne che c os t r uis c e s uoni oltre l’impasse p - f u n k p e r u n a n u o v a dimensione vi c i n a a l l ’ e u r o d i s c o e a l suono ibizenc o . L a lun ga e sp er ienz a c om e r em is c elatori di capi s c u o l a r o c k - f u n k n o n p uò che g iovar e, e qui s i s ent ono tu tte le intu iz ioni dei v ar i Rapt ur e, Kla xons e Bl oc Par t y. M a il r is ultato supera il p u r o d i v e r t i s s e m e n t e d ive nta atto di s f ida c ont r o la t r adizion e. Se in alt r i c as i ( v edi Just i c e) la meta r i m a n e l ’ e s i b i z i o n i s m o p ura men te d is c opop, qui s i r im as t ica la acid hou s e e l a s i r i c o n f i g u r a n ell’u nico a ct pos s ibile dopo le av ven ture di !!! e LCD Soundsyst em . Pe r no n socc om ber e s ot t o la s er ie in finita d i e m uli, qui s i s pinge t ut to al massim o , s e n z a p e s a n t e z z e , senza barocchismi. Il suono pulito, dritto, puro e semplice inviluppo. Pr ec e d u t o d a d u e c o m p i l a t i o n ( r i spettivamente su Bugged Out e Go Com m a n d o ) , d o v e i l d u o b r i t a n n i c o ci aveva già fatto capire che aria si sarebbe respirata, il disco parte alla g r a n d e c o n S l e e p D e p r i v a t i o n , un crescendo che spara misticismo, un op e n e r c h e n o n l a s c i a s p a z i o a niente che non sia movimento o es t as i c o n t e m p l a t i v a . I G o t T h i s Town è u n f o t t u t o i n n o b r e a k d a n c e an n i N o v a n t a c o l v o c o d e r, t r a c ce di storia dance-hop, sapiente e am m i c c a n t e , s u p e r s i n g o l o m a r a n z a; I t ’s T h e B e a t r i p o r t a l a v o c a l i s t ( Ninj a ) d e i G o ! Te a m a u n p u n k e t t ino i n d i e c h e r i c o r d a t a n t o l e u l t i m e c o s e d e L e Ti g re , C h a r J o h n s o n c he c a n t a s e x y s s i m a i n H u s t l e r i n una performance che fa gara con M ado n n a . Ti t s & A c i d è q u e l l o c h e i Che mi c a l B ro t h e rs n o n o s a n o p i ù s c r ive r e d a a n n i , p u r a e n e r g i a a c i da, I B e l i e v e ( c h e c o i n v o l g e i l v e c c hio c o m p a g n o d i g r u p p o S i m o n Lor d ) è u n m i d - t e m p o o t t a n t i s s i m o c on c o r i e h a r m o n i z e r g i à n e l l ’ o l i m po, Wo o d e n u n a v i s i o n e o l d s c h o ol di A rma n d o e P h u t u re , L o v e e Sc ot t d o p p i o e p i l o g o r o b o t i c o f u o r i dal t e m p o . G li e r e d i d e i D a f t s o n o a r r i v a t i . Sopr a ff i n i e s c i c c o s i s s i m i , s e n z a sbavature. Pura energia in 4. Disco m inim a l d e l l ’ a n n o p e r c h i s c r i v e . ( 7. 6/ 1 0 ) A p a r t e u n r a g a - p s y c h l i sergico in c o d a ( S u r v i v i n g I n 4 5 B e l o w ) , Ska l l a n d e r è u n p r o g e t t o d i r a ffi n a to s e m i - i s o l a m e n t o , l o n t a n o d a l l e fr e a k e r i e n e o c o s m i c h e , e più vicino a l p o p S i x t i e s c a l i f o r n i a no ( Flesh B o r n C o n s t e l l a t i o n , M i s e ry), come a i m i g l i o r i K i n g s O f C o nv e nie nc e v i r a t i s e p p i a ( D u s t i n g Th e Ga l l o w s ) , o p p u r e a l l e r i f l e s s i o n i a d u l te di stampo Low (Ingrain), il brio di c e r t o f o l k b a r o n e t t o ( D i sm e m b e rm e n t , Ti m e I s O n l y A R evo l u ti o n ). C i ò c h e c ’ è d i b u o n o è u n a scrittura s o p r a l a m e d i a , p e r d i p i ù b a sa ta s u p o c h i s s i m o : a r p e g g i e calibrati i n s e r t i a m b i e n t ( c o m e d ’ a rchi “finti” e p p u r c a l d i s s i m i ) . È l a t e rza prova o m o n i m a a f i r m a S k a l l a n d e r, l a p r i m a s u Ty p e . E s e q u a l c uno pensa c h e l ’ e t i c h e t t a a b b i a p r e so u n p r o d o t t o m e d i a n o s i s b a g l i a di grosso. (7.0/10) Edoardo Bridda Marco Braggion S k a l l a n d e r - S e l f T i t l e d ( Ty p e / Wide, 27 agosto 2007) Genere: folk Uscita decisamente drakeiana per l’etichetta inglese specializzata in elettronica e foreste nere, come dir e c h e i d u e n e o z e l a n d e s i M a t thew Mitchell (chitarra) e Bevan Smith (elettronica) unici detentori del p r o g e t t o , p r e f e r i s c o n o r i m a n e re vicini alle bronze del focolare che addentrarsi nel thrilling della c as a ( X e l a e S v a rt e G re i n e r) . L a loro musica si nutre di crepuscoli e dell’intimità di pochi amici ma non as pet t a t e v i l a s o l i t a p a r a t a d i s p e t tri dal volto gentile, incensi gotici e t r ov a t e b a r o c c h e . Spokane - Little Hours (Jagjaguwar / Wide, 7 agosto 2007) Genere: american indie-rock E n n e s i m o s e g n a p o s t o s ulla lunga s t r a d a d e i s i n g o l i a r t i s t i nascosti d a p s e u d o n i m i d i “ g r u p po ” , Spok a n e è d a l 2 0 0 0 c r e a t u r a del solo R i c k A l v e rs o n , n e l l a q u a le infonde t u t t a l ’ a m m i r a z i o n e p e r f ormazioni c a p i t a l i c o m e L’ A l t ra , L o w e, più in controluce, verso gli esperiment i c a m e r i s t i c i d i R a c h e l ’s e 3 3 .3 . A t m o s f e r e t e n u i e d i l a t a t e, soffuse e d o l e n t i , n o n d i r a d o p e rcorse da b r i v i d i e s o t t o l i n e a t u r e d ’ archi che s o n o f o n d a l e d i s t o r i e s o ffe r te e m e d i t a t e . L’ e ff e t t o è u n o s to r d i m e n t o m a l i n c o n i c o , o p p i a c e o e simile a sentireascoltare 81 quei pigri pomerigg i d ’ i n v e r n o c h e paiono alvei in finiti. Registrato nell’isola m e n t o - c h e f a tanto Big Pink - di u n c o t t a g e d e l l a Virginia , Little Ho urs s i s is t em a s ulle medesime coordin a t e d e i q u a t t r o lavori che lo hanno p r e c e d u t o m a l i super a q ua nto a sc r it t ur a ed equilibrio . Be ne ficia nd o in m olt i episodi delle corde vo c a l i l e g g e r e d i C o u rtne y Bowles , g i à o s p i t e n e l più rece nte Mea su rem ent d e l 2 0 0 3 , le sonorità sied on o all’es at t o inc r ocio t r a le p rime d ue f or m az ioni c it ate poche rig he sop r a: s ono s t anz e abitate da pianofort i f a n t a s m a c h e si stringono violini e v i o l o n c e l l i , dove le voci su ssur r ano c onf idenze e la ritmica si aff ida es c lus iv amente a un rullante e a l c u n i p i a t t i polverosi. Pescando q u a s i a c a s o in un a sca letta b rev e m a s olidis s ima, sa pp iate a llora c he i s ei m inuti di Build ing inquie t a n o c o n t a s t i e car illo n sospe si a m ez z ’ar ia, I f There Is Hope, It Lie s I n T h e P r o l e s si spezza in due so p r a u n a b i s s o di em otività e Mid dl e Sc hool è u n a rivelazione pura per v o c e , p i a n o e pulviscolo sonoro. Altrove si frontegg i a n o s c h e l e t r i , ma dalle ossa robu s t e e i n c a p a c i di spaventare: sem m a i i n d u c o n o benvenuti a tirare i l f i a t o p e r u n a manciata di min uti d el nuov o s ec olo, ch e - fre ne tico e dis t r at t o - f aticher à a p restare or ec c hio t ant o alla minimale solenn i t à c h i e s a s t i c a di A dde nd um che a Tell M e, g e m m a memore de ll’Alex Chi l t on int ent o a guard arsi a llo sp ec c hio e doler sene. Vo i siate p iù s aggi: non r inunciate a queste or e , p i c c o l e p e r ò profo nd e, in time e r ar e. Di c ons eguenza, da assapo r a r e a l l ’ i n f i n i t o senza an no iarsi mai . ( 7. 7/ 10) via dalla palude dell’improduttività sia stato il boss in persona della Bella Union R e c o r d s , S i m o n R a y m onde ( ex C o c t e a u Tw i n s ) , i l q u a l e ha anc he m e s s o m a n o a l l a c o m p o s iz ione di A L i l y F o r T h e S p e c t re . Nel frattempo si registra anche una c om par s a d i u n a s u a c a n z o n e n e l l a s er ie t elev is i v a D a w s o n C r e e k . C h e dir e della su a p r o p o s t a m u s i c a l e ? Che la sua passione per i fantasmi è in ques t o d i s c o d e l t u t t o g i u s t i f i c at a. I nf at t i p i ù d i u n o s p e t t r o a l e g gia diet r o le t r a c c e c h e c o m p o n g o - Giancarlo Turra Andrea Provinciali Stephanie Dosen – A Lily For The Spectre (Bella Union / V2, 4 giugno 2007) Genere: folk La biondissima sta t u n i t e n s e d e l Wisconsin Stephanie D o s e n g i u n g e al suo secondo alb u m a d d i r i t t u r a cinque an ni d op o il s uo debut t o autopro do tto Ghos ts, M i ce And Vag ab onds . Si narra c h e a t r a s c i n a r l a Sunset Rubdown – Random S p i r i t L o v e r ( J a g j a g u w a r, o t t o bre 2007) Genere: psych pop obliquo A pochi mesi dalla distribuzione it aliana del s e c o n d o a l b u m ( S h u t Up I Am Dr e a mi n g , u s c i t o i n r e a l t à l’anno s c o r s o s u R o u g h Tr a d e ) , ec c o anc or a i l c o m b o d i p o p o b l i quo Sunset Rubdown, questa volta 82 sentireascoltare no l’album. Su tutti spicca quello di Pol l y Paul u s ma : i l t i m b r o v o c a l e della Dosen è talmente identico da pr ov oc ar e im b a r a z z o . M a n o n s o l o : anc he quell o d i E mi l i a n a To rri n i e , più nella pe n o m b r a , q u e l l o d i F e i s t spirano tra le pieghe del disco. In più s e s i a g g i u n g e a n c h e u n a e c cesssiva omogeneità tra le canzoni, i fantasmi diventano insopportabili. Cer t o l’iniz i a l e T h i s J o y e D e a t h And The M a i d e n s o n o e p i s o d i c h e per la lor o b u o n a i n c i s i v i t à a v r e b b e ro sicuramente impreziosito l’ultimo lavoro dell’ectoplasmica Paulusma. Parafrasando il titolo dell’album: un dis c o per lo s p e t t r o . ( 5 . 0 / 1 0 ) s u J a g j a g u w a r. L a s t o r i a d e g l i i n t r e c c i i n c a s a c a n a d e s e è n o t a , e il d e u s e x - m a c h i n a d e l g r u p p o , S p e nc e r K ru g , c h e c o m e s i s a , g r a vi ta i n v a r i a l t r i e n s e m b l e ( S w a n L ake, Wo l f P a r a d e … ) a p p a r e c c h i a u n a l t r o s t r a m b o p i a t t o a l l ’ i n s e g n a del melting pot, questa volta ponendo p i ù d e l s o l i t o l ’ a c c e n t o s u l v e r s a nte psych pop. Pezzi dilatati e stratificati, con lung h e j a m a c i d e ( M a g i c v s . M i d as), c r e s c e n d o a l l a A rc a d e F i re f iati e v o c e c o m p r e s i ( T h e M e n d i n g Of T h e G o w n ) , m a r c e t t e a l l a B o wie p o s t - Z i g g y i n a c i d o ( U p O n Your L e o p a r d … ) , e t u t t a u n a s e r i e di s t r a m b e r i e p s y c h o r a a l l a B a rr e t t ( T h e C o u r t e s a n H a s S u n g ) o r a e l e ttrificate e rielaborate alla Beck e M e r c u r y R e v ( S t a l l i o n ) , c o n t u tta l ’ e s a g e r a z i o n e d e l c a s o ( F o r The P i e r … ) . U n a d e r i v a c h e , r i s p etto al precedente, li fa peccare in dis p e r s i o n e m a n c a n d o d i u n i t a r i e tà ; vengono ripetuti alcuni spunti e s e l a s c i a n o i n d i e t r o a l t r i , c o m e le s v e l t e p o p s o n g d e s t r u t t u r a t e ma r c h i o d i f a b b r i c a . P e c c a t o , p e r ch é K r u g s e m b r a c r e d e r c i p a r e c c hio. (6.3/10) Te r e s a G r e c o Supersilent – 8 (Rune Grammofon, 17 settembre 2007) Genere: future jazz N o n s e m b r e r e b b e , m a i S u p e rsi l e n t m a n c a v a n o d a u n o s t u d i o di r e g i s t r a z i o n e d a l l o n t a n o 2 0 0 3 . Nel m e n t r e , t r a u n a t o u r n é e c h e h a t o cc a t o l ’ I t a l i a ( i d u e c o n c e r t i i n s u cc e s s i o n e l a s e r a d e l n o v e f e b b r aio 2 0 0 6 n e l l a c o r n i c e r o m a n a d e La Casa del Jazz ) e u n c d / d v d l i v e d a p osse de re e c us t odir e gelos am ente, le primave r e s i f a n n o d i e c i e l a d iscog rafia a c c oglie il nuov o ar r ivato. La tavol o z z a d e l l ’ a r t w o r k o r a , d op o gli an t er ior i blu, t ur c hes e, n ero e le du e t onalit à di v er de pr op on e un ro sa f em m ineo e la s olit a g rafica e ssen z ialis t a. I Weather Rep o r t c y b e r p u n k , i l j a z z d ell’a nn o 30 00 c he as c olt i oggi e a nche in u n m is t er ios o dom ani par te sub ito co l doom di 8. 1 c he f are bb e rab briv idir e pur e l’ac c oppiata Ktl di Step h e n O ’ M a l l e y e P e t e r Reh be rg. Il misticismo di 8. 2 e l ’ a n s i o g e n o dru mming di 8. 3 s em br ano, anche in virtù d i u n a c i d i s s i m o S t a l e Storløkken all’or gano, v ar iaz ioni de co mpo ste dell’A l i c e C o l t r a n e di Unive r sa l Consci usness. A r v e Hen riksen , si nor a r im as t o nelle r etrovie, d ise gn a c on quella t r om ba se mpre p iù has s ell- iana la s educe nte e p arim ent i des olant e t r am a di 8.4 e la co m p i u t e z z a ( d e n t r o c ’ è tutto: jazz, ter z o m o n d i s m o , r o c k ) d i 8.5 ch e staziona una s panna s opr a le a ltre. Non si p uò di r e alt r et t ant o di 8. 6 e del suo glitch d i m a n i e r a ( a n c h e s e il ca nta to pa gano r ias s es t a un po’ il tiro ) né de l nois e di nov e m inuti (se fossero s t a t i l a m e t à … ) a l à Sto og es/L.A. Blues di 8. 7. Chiude lo stran ian te am bient , c on t as t ier in e tipo Pie ro Um iliani, di 8. 8. P e r d irla co me Ar v e Henr ik s en: un disco ch iaro scur o. ( 6. 5/ 10) Gianni Avella Susanna – Sonata Mix Dwarf Cosmos (Rune Grammofon, 20 agosto 2007) Genere: alternative pop Encomiabile la produttività artistica di questa norvegese dal nome atipico. Appena un anno fa, infatti, usciva la sua seconda fatica Melody Mountain, album di cover messo su insieme alla sua metà Morten “Magical Orchestra” Qvenild. E pensare che per Susanna Karol i n a Wa l l u m r ø d u n a n n o p o t r e b be essere considerato addirittura come un anno luce, data la percezione cosmica che la dilatazio- ne e la sospensione sonora delle sue canzoni riescono a infondere nell’ascoltatore. Per d i p i ù , s t a v o l t a l a N o s t r a è u f f ic ial m e n t e s o l a . M o rt e n O v e n i l d e gli a l t r i m u s i c i s t i – t r a i q u a l i a l piano spicca anche il fratello della Wal l u mrø d , C h ri s t i a n – c o l l a b o rano all’album in maniera del tutto or nam e n t a l e . L a s e m p l i c i t à s t r u t t ur ale d e l l e t r a c c e è e m b l e m a t i c a di ciò. Non che i precedenti lavori f os s e r o c o m p l e s s i , m a q u e l l a c o m ponente elettronica che in passato arricchiva il suono e che andava a “ s por c a r e ” l a l i m p i d e z z a d i s t r u m e n ti classici come l’arpa, il piano, la c eles t a e t c . , è o r a d e l t u t t o i m p e r cettibile se non in rare eccezioni. È la voce, accompagnata sempre da un’es s e n z i a l i t à s t r u m e n t a l e s c h e letrica, a dare densità, a dettare il pas s o d i o g n i s i n g o l o e p i s o d i o , i m pregnando l’album di una classicità anc or a p i ù m a r c a t a r i s p e t t o a i l a v or i p r e c e d e n t i . C l a s s i c i t à c h e s o r pr end e n t e m e n t e p e r ò n o n a p p e s a n tisce il risultato finale. Anzi, proprio quell a l e g g e r e z z a m a l i n c o n i c a d e l la componente vocale rende tutte le c a n z o n i c o m e s o s p e s e n e l v u o t o cosmico, in assenza di gravità. I nt r ud e r c i d à i l b e n v e n u t o i n p a e s a gg i l u n a r i c h e d e l i n e a n o g i à quale sarà l’atmosfera dell’album: c u p am e n t e l e g g e r a e q u i e t a m e n t e m alin c o n i c a . D e l l a q u a l e P e o p l e Liv ing e F o r Yo u n e r a p p r e s e n t a n o s enz a d u b b i o g l i e p i s o d i m i g l i o r i toccando picchi emotivi altissimi. Solt a n t o a l c u n e s f u m a t u r e p o p q u a e là, c h e e m e r g o n o s o p r a t t u t t o i n quegli episodi nei quali è il suono s om m e s s o d e l l a c h i t a r r a a d e t t a r e il pas s o , S t a y e B e t t e r D a y s , f a n n o s c or g e r e c o d e d i c o m e t e c h e c o l o - r a n o d i c o b a l t o i l v u o t o c i rcostante. M a g i u s t o i l t e m p o d i v e d er svanire l a l o r o s c i a c h e g i à q u e l l a b u i a a tm o s f e r a , i l l u m i n a t a s o l t a nto d a l ti m i d o b a l u g i n a r e s i d e r e o , ci avvolge m a t e r n a . M a t e r n a , s ì : p e r ch é i n ve c e d i o p p r i m e r e e a n g o s c i are, essa, c o n q u e l s u o i n c e d e r e c o mp a ssa to , n o n r a p p r e s e n t a c h e u n d o l ce r i s c a l d a r e . L a b a l l a t a p i a n i sti ca L i l y, p o s t a i n c h i u s u r a d e l l ’ a l bum, ne è l a c o n f e r m a l a m p a n t e : 2 : 34 d i ca n dore etereo. C e r t o , o c c o r r e u n ’ i n d u b bi a p r e d i s p o s i z i o n e d ’ a n i m o p e r a ddentrarci n e l l e t r a m e d i S o n a t a Mix Dwarf C o s mo s , m a u n a v o l t a d en tr o , sta t e p u r c e r t i , v i s e n t i r e t e in pace, a l l e g g e r i t i d i q u e l l e z a v o rre inutili c o n l e q u a l i l a v i t a t e r r e s tr e ci l e g a a s é . B e n v e n u t i n e l l ’ u n i v er so . Be n v e n u t i n e l l ’ a n t i g r a v i t à . ( 7 . 3 /1 0 ) Andrea Provinciali Swod – Sekunden (City Centre Offices / Wide, settembre 2007) Genere: piano music D o t a t o d i e v i d e n t e r e s p i r o ci n e m a ti c o - n o t e c h e e s p r i m o n o i l massimo d e l l e p r o p r i e p o t e n z i a l i t à solo se a m u s i c a r e i m m a g i n i , c o m e te sti m o n i a t o d a l l e d u e t r a c c e v i d eo ch e i n t e g r a n o l a s e c o n d a o p e r a del duo b e r l i n e s e - S e k u n d e n è disco che s i f a t i c a a d a s c o l t a r e p e r intero, se n o n c o m e s o t t o f o n d o a d a l tr e a tti v i t à o c o a d i u v a n t e d i e s e r ci zi m e d i t a t i v i . È i l p i a n o f o r t e d i Stephan Wö h r m a n n i l p r o t a g o n i s t a a sso l u to d e i n o v e b r a n i , u n p i a n o fo r te ch e o d o r a d i E r i k S a t i e , Ya n n Tiersen, B l a c k Ta p e F o r A B l u e G i r l, persino, talvolta, di Ludovico Einaudi. sentireascoltare 83 U n’ambie nt e leg an t e e dis c r et amente pretenziosa, d a l l ’ a t t i t u d i n e spiccata men te ne oclas s ic a ( Deer ) , venata da effettistic a e l e t t r o n i c a e scariche sinte tich e - è O liv er Doerell ad o ccup arsen e - buone, s e non altro, a mitiga r e l e p r e t e s e orato rie e ca pa rbia m ent e m onologanti dello strument o p r i n c i p e . N o n mancan o fran ge nti di ogget t iv a bellezza (Pa tina ge ), sla n c i d i o s t i n a t o lirism o (Exit, coin vo lt i anc he bas s o e batte ria, u no de i br ani più r ius c it i in scaletta) o soluz i o n i i n d o v i n a t e (S ekun de n: il p ian o c om e p a t t e r n ritmico oltre che stru m e n t o s o l i s t a ) , ma risulta difficile c o n s i g l i a r e p e r intero u n d isco che al più può s edurre filmmaker e v i d e o a r t i s t i d a i gusti no n tro pp o d iff ic ili. ( 5. 7/ 10) Vincenzo Santarcangelo S y l v a i n C h a u v e a u – S . ( Ty p e / Wide, settembre 2007) Genere: modern composition L’approdo di Sylvain C h a u v e a u a l l a corte di John Twells è p r o c e s s o d e l tutto naturale se si p e n s a a l l ’ u m o r e di certe recenti usci t e i n c a s a Ty p e R eco rd ing s (De af C ent er , J u l i e n N eto , Goldm und). I n at t es a della rist ampa pe r l’etichet t a m anc uniana dell’accla mato Le L i v r e N o i r D u C ap italis m e (Disque s D u S o l e i l E t D e L’Acie r, 2 00 3) un v ar iegat o antipasto: dalle ultime c o n c e s s i o n i a l post-rock (gli sp aru ti baglior i di c hitarra preparata su fo n d a l e s i n t e t i c o di Comp osition 8), allo Chauv eau che già co no sciamo , l’er ede angelicat o d ella trad izio ne m audit ( P. , N , br evi comp osizio ni per piano e poco altro); e poi l e p r o p o s t e p i ù 84 sentireascoltare audac i: lo s t e t o s c o p i o b i a u r i c o l a r e ad auscultare gli ultimi battiti del m oder nis m o i n m u s i c a , u n ’ e l e t t r o n i c a t a n t o m i n i m a l e q u a n t o e ff i c a c e , il riannodarsi ciclico di glitches e f r equenz e ( E / R , A) . N u o v e d i r e z i o n i c he s i s per a v e n g a n o a p p r o f o n d i t e in f ut ur o. ( 6 . 5 / 1 0 ) Vincenzo Santarcangelo Te l e p h o n e J i m J e s u s – A n y where Out Of The Everything (Anticon / Goodfellas, 25 settembre 2007) Genere: avant hip hop Tr e a n n i d i d i s t a n z a t r a u n d i s c o e il s uo s uc c e s s o r e p o s s o n o r a p p r e sentare un tempo molto relativo, a s e c o n d a d el c o n t e s t o m u s i c a l e a c u i ci si riferisce. Per una band ormai agli s goc c io l i i n q u a n t o a c r e a t i v i tà, che si ritrova a fare dischi per accontentare contratti discografici decennali, possono anche essere poc his s im i, c o n s i d e r a t o i l p e r i c o l o - d i s a ff e z i o n e d e l p u b b l i c o . S e s i par la inv ec e d i a v a n g u a r d i e , d i m u s ic is t i c he i n q u a l c h e m o d o r a p p r e sentano il futuro della musica, un triennio equivale a un’eternità, a un t em po dens o c h e p r o v a a r i a s s u m e r e int ens it à e c r e a t i v i t à . Se c i s i gua r d a a l l e s p a l l e , e s i f i s sa l’attenzione sulle trasformazioni av v enut e in s e n o a l l a s c u d e r i a A n ticon rispetto a quel fatidico 2004 che ha visto la dissoluzione del pr oget t o cL O U D D E A D , c i s i a c c o r ge di quant o s i a c a m b i a t o , i n q u e s t a m anc iat a d i a n n i , i l p a n o r a m a dell’av ant h i p h o p e , p i ù i n g e n e rale, dell’elettronica che volge lo sguardo alla contaminazione. Q ues t a br ev e d i g r e s s i o n e p u ò a i u t ar e a c om p r e n d e r e l e e v i d e n t i d i f ferenze ch e contraddistinguono Anyw her e O u t O f T h e E v e ri t h i n g r is pet t o al s u o p r e d e c e s s o r e , A Poi nt Too F a r To A s t ro n a u t , e s o r d i o p e r l ’ et i c h e t t a s t a t u n i t e n s e d i G e o r g e C h a d w i c k , a k a Te l e p h o n e Jim Jesus. Un album, il nuovo, che r is ent e del c a m b i a m e n t o d i r o t t a s t i listico che ha contraddistinto molti degli ar t is t i c h e s i r i c o n o s c o n o n e l la famiglia-Anticon, come fosse una sorta di filosofia del fare musica: già nei dis ch i s o l i s t i d i Wh y ? A l i a s , S o l e e O d d N o s d a m, c o s ì c o m e nei n u o v i a r r i v i T h e e M o re S h a l l o w s e B ra c k e n , a v e v a m o n o t a t o u n ’ a t t e n z i o n e m e t i c o l o s a a l l a r a ff i n a t e zza n e l l a s c e l t a d e i s u o n i , m a a n che u n a p e r i c o l o s a t e n d e n z a a g i o c he r e l l a r e c o n m e l o d i e d e c i s a m e nte t r o p p o “ e a s y l i s t e n i n g ” . U n r i s chio che si sente di correre anche Georg e c h e , a b b a n d o n a t i q u a s i d e l t utto i r e s i d u i e l e c t r o e i b e a t s p r e s i in p r e s t i t o d a A p h e x Tw i n , p r o v a a mettersi in riga con i colleghi, reg i s t r a n d o u n a l b u m c h e v i r a d eci s a m e n t e v e r s o i l r i t m o , r i s p e t t o alla p a c a t e z z a e a l l e a t m o s f e r e s t a t i che d e l p r e c e d e n t e l a v o r o d i s c o g r a f i co. T J J c o n t i n u a l e s u e e l a b o r a t e co s t r u z i o n i d i s a m p l e , m a q u e s t a v olta l e s o v r a p p o n e a u n a s e z i o n e r i t mi ca più accentuata, pronta a marcar e l ’ a c c e n t o s u p a s s a g g i l e n t i s s i mi, a l l i m i t e d e l d o o m ( D i d Yo u H e ar ? ; H i t B y N u m b e r s – m a a l l o r a s i può d a v v e r o p a r l a r e d i d o o m - h o p ? ) , su p a r e n t e s i h i p h o p o l d s c h o o l ( D ice R a w , c o n l e v o c i d i P e d e s t ri a n e W h y ? ) o p p u r e s u s c h i z z i d i f u nky ( A M o u t h O f F i n g e r s ) . I n a l c u n i c asi s e m b r a q u a s i d i a s c o l t a r e P r e f use 73. L a m a n o p e s a n t e e r i s o l u t a d i A l ias s i f a n o t a r e s i a a l i v e l l o c r e a t ivo c h e p r o d u t t i v o . I n B i r d s t a t i c , i n pa r t i c o l a r e , s i r i t r o v a n o p e r f e t t a m e nte t u t t i g l i e l e m e n t i m u s i c a l i c h e c on t r a d d i s t i n g u o n o i l s u o s t i l e : a r p eggi r e i t e r a t i a m o ’ d i t a p p e t o s o n oro, u n ’ a t m o s f e r a g e n e r a l e i n c o n f on d i b i l m e n t e d r e a m y e p e r c u s s i oni l e n t e e p e s a n t i . M a n c a s o l o l a v oce d e l l a Ta rs i e r, a c o m p l e t a r e i l q u a dro. M a n o n è s o l o A l i a s a m e t t e r c i le tt e r a l m e n t e l e m a n i i n q u e s t o d i s co. N e i c r e d i t s s i l e g g o n o n o m i o r ma i turn it on Ye a s a y e r – A l l H o u r C y m b a l s ( N o w W e A r e F r e e / W i d e , 2 2 o t t o b r e 2007) Genere: wave rock Si pa rte co n una Sunr is e c h e s e m b r a u s c i t a f u o r i d a u n d i s c o d i G e o r g e Micha el. Pa re quas i di v eder lo anc heggia r e s u l c l a p c l a p i n m i d - t e m p o della ritmica, q u a n d o C h r i s K e a t i n g a t t a c c a l a p a r t e v o c a l e s u b i t o d o p p i a t a d a u n g ioio so c or et t o gay. Tut t o ques t o potr e b b e t r a n q u i l l a m e n t e s u o n a r e in mo do o rribi le, m a inv ec e f unz iona alla pe r f e z i o n e . Wa i t F o r t h e S u m m e r p ag a in ve ce t r ibut o a Pet er G abr i el c om e b u o n a p a r t e d e i b r a n i r e s t a n t i . È lu i la stella polar e v er s o c ui t endono br an i f a n t a s i o s i c o m e N o N e e d To Wo rry e Fo rgi v enes s . 2080, il pr im o s ingol o p e r l e r a d i o , t i a p p i c c i c a s u bito ad do sso la s ua m elodia in m anier a v igl i a c c a e s e m b r a u n a S h o c k T h e Mo nkey rifatta da Paul Sim on m ent r e jam m a c o n g l i A n i ma l C o l l e c t i v e . Pa rte d el fa scino della m us ic a degli Yeas ay e r è d i n a t u r a p r e t t a m e n t e p o s t - m o d e r n i s t a . M u s i c a c h e s t r i zza l ’ o cchio lino in ma nier a s ubdola ad un t r ilione d i r i f e r i m e n t i e p u o i t a n t o s t a r e a l g i o c o q u a n t o l a s c i a r t i a n d a r e a l l ’ i n ced ere d elle m elodie e c eder e al m inut aggio d e l d i s c o . S o t t o q u e s t o p u n t o d i v i s t a l a t e n u t a s u s t r a d a è d i q u e l l e d a a uto di p rim a linea. G er m s è un’alt r a od e e t n o - e i g h t i e s c h e s i a n i m a s u c o r i d a g i u n g l a i n s t i l e R e a l Wo r l d . Win tertime è un’epic a m ar c et t a indiana m a s u o n a t a c o m e l a s u o n e r e b b e r o g l i A k ro n / F a mi l y . G l i Ye a sa ye r q u e sto sono. Un m a t r i m o n i o a s t u t o t r a p a s s a t o ( g l i a n n i ‘ 8 0 ) e i l p r e s e n t e ( t a n t o t r i b a l i n d i e d i q u e s t i a n n i ) Riuscite a d immag ina r v i un ibr ido t r a i Fine Young C a n n i b a l s , P e t e r G a b r i e l e g l i A n i m a l C o l l e c t i v e ? S e n o n c i r iu sci te g l i Yea sa ye r po s s ono es s er e una r is pos t a. ( 7. 2 / 1 0 ) Antonello Comunale sentireascoltare 85 familiari a ch i h a un po’ di c onf idenza con qu ella ch e si pot r ebbe def inire la “sce na d i Oa k land” : O dd Nosdam, Ped estrian , W hy ?, Doseone (che p resta il suo r apping a U g l y K nees), Ale x Kort dei Subt l e ( v ioloncello ele ttrico in Feat her f all) , B o ma r r , che ci me tt e lo z am pino in parecchi brani. Con t i n u a d u n q u e , la filosofia dell’ unit i - s i - v i n c e ( e s i crea) che h a se mpre c ont r addis t into le produzioni Anti c o n . E ’ p r o p r i o per il cooperativismo p e r f e t t a m e n t e riuscito che esprime , n o n c h é p e r l a (disom o ge ne a) comp at t ez z a e l’infinit à di sfuma ture c he lo c ont r addisting uo no , ch e Any wher e O u t O f T h e Ev er y thing si c andida s enz ’altro ad essere la m i g l i o r e u s c i t a dell’anno per la lab e l c a l i f o r n i a n a . (7. 2/1 0) Daniele Follero The Brunettes – Structure And Cosmetics (Sub Pop / Audioglobe, 5 novembre 2007) Genere: indie-pop U n albu m tu tto zu cc her o e ar c obaleni, miele e bubble g u m , i n t r i s o d i una no sta lgia pa ste llo dal r et r ogusto do lce ama ro. Giu nt o f in da noi dalla Nuova Zelan d a s o s p e s o a mezz ’aria da pa llon c ini m ult ic olori passando attrave r s o c i e l i g r i g i o autunnali. I Brunette s s o n o u n d u o compo sto d a He at her M ansf i el d e Jo na tha n Br ee , aff ianc at i nelle loro m orb ide trame pop da div er s i strum en tisti mai tr oppo inv as iv i. S tru c tur e And Cosm et i cs r appr esenta la loro terza fa t i c a e s a n c i s c e molto probabilmente i l l o r o l e g i t t i m o coronamento interna z i o n a l e . I n f a t t i dopo due album e u n a m a n c i a t a d i 86 sentireascoltare EP pubblic a t i p r e s s o l a l o r o c o n t e r ranea etichetta Lil’ Chief Records, è nientedimeno che la Sub Pop a s c om m et t er e s u d i l o r o s d o g a n a n doli al m on d o i n t e r o . Tr a t t o d i s t i n t i v o d e l l a ba n d è q u e l l ’ a l t e r n a r s i d i v oc i m as c h i l i e f e m m i n i l i c h e r a g giunge l’ap i c e q u a l i t a t i v o q u a n d o diventa un vero e proprio duettare. Se la pr im a c a n z o n e p o t r e b b e d i s or ient ar e m u o v e n d o s i s u u n p a r ty pop all’insegna di band come Ar chi t ect ure I n H e l s i n k i e G o ! Team c on t a n t o d i c o r i e h a n d c l a p ping, s o n o l e s u c c e s s i v e t r a c c e a riassestare il tiro spostandosi su binari più decisamente twee pop. I nf at t i St er e o ( M o n o M o n o ) , S m a l l Town Cr ew e C r e d i t C a r d M a i l O rder c o n i l l o r o d e l i c a t o p o p a c u s t i c o da c am er ett a , c o n d i t o q u a e l à d a allegr i ins er t i t a s t i e r i s t i c i , e v o c a n o t ant o i pae s a g g i r a ff i n a t i d e i B e l l e And Seb a s t i a n q u a n t o i b o z z e t t i s bar az z ini d e l l e C o c o ro s i e , f i n a n c he i Beach B o y s e i B e a t l e s p i ù c o m p a s s a t i. N o n s o n o p a r a g o n i d a poco; le canzoni funzionano e la loro facile orecchiabilità è tenuta a bada da un approccio lo-fi che non appesantisce mai il risultato finale. Her Hair aga m i S e t è l ’ e s e m p i o c o m piuto della giusta misura pop: strofa pimpante e spensierata, ritornello dilat at o e m a l i n c o n i c a m e n t e a m a r o a pr es a r ap i d a . N o n m a n c a n o n e p pur e epis od i p i ù c u p i c o m e l ’ o n d e g giant e Wall P o s t e r S t a r : q u a s i u n a r iv is it az ione p o p d e i B l a c k H e a r t Pr ocessi on . Q u e s t ’ a l b u m r i e s c e a d addolc ir e l’ a u t u n n o s e n z a i n n e s c a r e diabet ic i a l l a r m i . ( 7 . 0 / 1 0 ) p e r q u e s t i o n i l e g a t e a d u n a n e c e ss i t à i n t e r i o r e e n o n c o m e a t t i vità c o l l a t e r a l e , d a i n t r a p r e n d e r e tr a u n ’ a g g i u s t a t i n a a i c a p e l l i p r i m a di s a l i r e s u l p a l c o e u n ’ i n t e r v i s t a r osa shocking da rilasciare alla stampa. T h e re I s L i f e I n T h i s O l d L a nd r i e n t r a i n q u e s t a c a t e g o r i a , c o n il s u o f o l k i n g i a l l i t o i n b i l i c o t r a tr a d i z i o n e a m e r i c a n a e c a n z o n e d ’ au t o r e , l ’ i n c e d e r e l e n t o e r u r a l e , il country sottopelle, il potere taumat u r g i c o d e l l e o t t o s t a z i o n i d i q u e sto v i a g g i o v e r s o O v e s t . O t t o t a p p e più à l a M o j a v e 3 c h e i n s t i l e D y l a n, sospese e ristoratrici (It Ain’t), eleg a n t i e i n t e n s e ( S t a r s h u t t l e e J ust S e m p t e m b e r ) , m a l i n c o n i c h e e mi surate (Through Rivers e New Mac h i n e ) . A l l a g u i d a d e l l a B u i c k s c a ss a t a m a i n d o m i t a c h e a t t r a v e r sa i c i n q u a n t a m i n u t i d e l d i s c o , R o ger R i d e l b a u e r ( Tr a n s m i s s i o n , J olie H o l l a n d , B o x c a r S a i n t s ) e C h a r les S o mme r ( H a l i f a x P i e r ) , p i ù q u a l c h e a m i c o d e l l a B a y A r e a f a t t o acc o m o d a r e s u i s e d i l i p o s t e r i o r i tra c o n t r a b b a s s o , b a t t e r i a , v i o l o n c ello e t r o m b a . U n g r u p p e t t o s c a p i g l i ato e s e n z a a s p i r a z i o n i p a r t i c o l a r i , ca pace tuttavia di perdersi piacevolm e n t e t r a l e p i e g h e d i u n a m u s i ca d i s c i p l i n a t a , e s s e n z i a l e , d a l p a sso elegante. (6.7/10) Fabrizio Zampighi Andrea Provinciali The Cannery – There Is Life In This Old Land (Awful Bliss, 15 settembre 2007) Genere: folk A volte basta poco per regalare em oz ioni: u n a c h i t a r r a a c u s t i c a i n dolenz it a, u n a p e d a l s t e e l u n p o ’ r uff iana, qu a l c h e c o l p o b e n a s s e stato di fingerpicking, la voce di chi si è svegliato presto la mattina s enz a av er d o r m i t o a s u ff i c i e n z a . O magari la sensazione che chi sta s uonando lo f a c c i a e s c l u s i v a m e n t e The Focus Group – We Are All P a n ’s P e o p l e ( G h o s t B o x , a p r i l e 2007) Genere: pop/lounge/dance/folk T h e F o c u s G r o u p , l a c r e a t u r a d i J ul i a n H o u s e ( f o n d a t o r e d e l l ’ e t i c h e t- ta Gho st Bo x, as s iem e a J im J upp) ra pp resen ta for s e la par t e più r adicale e in teg ral is t a dell’int er o c at alogo. Già il titol o è u n a d i c h i a r a z i o n e d ’inte nti. We ar e Al l Pan’s Peopl e fa riferimento s i a a l d i s m e s s o c o r p o d i ba llo d el Top O f The Pops degli anni Setta n t a , s i a a l c a p o l a v o r o d ella lette ratu r a hor r or The G r e a t God Pan (1 89 4) dell’aut or e galles e Ar thur Ma chen ( 1863- 1947) . Il mon do in c ui s i m uov e The Focus Grou p è popolat o da f ant as m i, fantasmi di u n p a s s a t o p r o s s i m o , dei programm i r a d i o e d u c a t i v i d e l l a BBC, serie tv s c i - f i , r o m a n z i e f i l m horror. Un pa n t h e o n d i p e r s o n a l i t à musicali-letterarie-televisive-cinematografiche o ff , c o m e J o e M e e k , Nig el Kn ea le, Alger non Blac k wood, C. S. L ewis, M B Dev ot . La m us ica pu ò esse re ad un pr im o as c olt o spig olo sa ne lla s ua f r am m ent ar ietà e varie tà di s t ili: lounge, m us iq ue con crè te, t ec hno, m a l’idea è p rop rio qu ella di r ic r ear e una s or ta di zapping r a d i o t e l e v i s i v o , c h e p ossa ind urre l’as c olt at or e ad un p rocesso d i r iat t iv az ione della m emoria. Non s i t r a t t a p e r ò s o l o d i uno sguardo n o s t a l g i c o e p a s s i v o d ella Sto ria, m a s i t r at t a s em m ai di un tentativ o d i r i - s c r i t t u r a d e l l a stessa a ttraver s o la r i- c er c a e la r isco pe rta d i una Pas s at o alt er nat ivo, parallelo.E c c o p e r c h é s i a m o u n p asso o ltre alla Rec her c he pr oustiana. Unico v e r o l i m i t e d i q u e s t e 25 tracce, dov e r i s u o n a n o r i v e r b e r i di un passato t a n t o g l o r i o s o q u a n t o poco conosci u t o , s t a n e l f a t t o , d a non sottovalu t a r e , c h e l ’ a s c o l t a t o r e ita lian o p otrà av er e qualc he diff icoltà a ricono s c e r e e l e m e n t i d i u n a tradizione che n o n g l i a p p a r t i e n e , i l cui contesto c u l t u r a l e e g e o g r a f i c o è q ue llo de lla G r an Br et agna anni ’6 0 e ’70 . (7.0 / 10) Nicolas Campagnari T h e G o o d L i f e – H e l p Wa n t e d N i g h t s ( S a d d l e C r e e k , 11 s e t tembre 2007) Genere: indie-folk Quarto album per il progetto parallelo di Tim Kasher, cantante e chitarrista dei più conosciuti Cursive. Rispetto a quest’ultimi, i Good Life rappresentano la parte più intima e folk del Nostro. La loro proposta musicale si basa su un incedere chitarristico quasi del tutto acustico sorretto da una sezione ritmica che difficilmente prende il sopravvento. Come nei dischi del gruppo madre, protagoniste assolute sono le liriche. Ma qui, grazie a una più marcata semplicità strutturale delle canzoni e all’attenuazione dei volumi, quel modo estremamente personale di interpretare le canzoni di Kasher diventa ancor più profondo e commovente. Dobbiamo ammettere che dopo il salto qualitativo fatto con il precedente Album Of The Year, ri- spetto ai primi due dischi (Novena On A Nocturne e Blackout), questo Help Wanted Nights ne rappresenta un’ottima conferma. Certo, niente di nuovo sotto il sole: un indie folk che si muove sulla stessa strada del suo amico Conor “Bright Eyes” Oberst. Ma composto da canzoni tanto semplici quanto delicate da insinuarsi sottopelle con una facilità disarmante. Si va dalle pacate melodie dell’iniziale On The Picket Fence a quelle più melodrammatiche di So Let Go, passando dall’allegra bizzarria del singolo Heartbroke fino allo sfarzoso crescendo finale di Some Tragedy. Ma è You Don’t Feel Like Home To Me, tutta dolcezza e sospiri, a rappresentare al meglio l’ottimo stato di forma di Kasher. Un lavoro ispirato e poco pretenzioso che si muove in punta di piedi su territori morbidamente folk. Messo su con una semplicità che forse persino il suo caro amico Oberst ultimamente invidierebbe. (6.9/10) Andrea Provinciali T h e T h r i l l s – Te e n a g e r ( V i r g i n , settembre 2007) genere: sunshine pop, folk rock Ci sono voluti quasi tre anni per d a r e u n s e g u i t o a L e t ’s B ot t le B oh e mi a , c o n t r o v e r s o s o p h o m o r e di q u e i T h r i l l s c h e f i n o a c i nque anni f a s e m b r a v a n o d e s t i n a t i a dominare l e c h a r t s p o p ; i n v e c e , g l i irlandesi h a n n o s c e l t o u n c a m m i n o l a te r a l e , m e n o c l a m o r o s o , f a c e n d o amicizia con i R.E.M. e band minori – e gem e l l e – c o m e T h e Ty d e . Sbagliato p e r ò p e n s a r e c h e , n e l frattempo, s i a n o i n t e r c o r s e m a t u r a z i o n i o cr e s c i t e d i s o r t a : Te e n a g e r ( guarda un p o ’ c h e t i t o l o ) c i r e s t i t u i s ce i soliti T h r i l l s , s e m p r e i n t e n t i a costruire u n p o n t e f r a l e c o l l i n e d ella verde I r l a n d a e l e s p i a g g e d i M al i b u . C e r t e d o t i d i s c r i t t u r a p o p , così come l a s o l a r i t à p r e v a l e n t e d e l la musica, s o n o s o s t a n z i a l m e n t e c onfermate ( s e n t i t e u n p o ’ T h i s Ye ar ); i toni sono per lo più delicati, e nonos t a n t e l ’ a n d a m e n t o d i a l cuni brani f a c c i a e m e r g e r e c e r t i f r emiti rock sottopelle, non c’è niente di immed i a t o c o m e B i g S u r , a n z i è a tratti u n l a v o r o q u a s i i n t r o s p e t t i vo . Il l o r o F a b l e s O f T h e R e c o n s t r uc t ion? N o , v i s t o c h e c o m e n e l f o r tu n a to So M u c h F o r T h e C i t y c ’ è l o zampino d e l v e t e r a n o To n y H o f f er (Beck, Belle And Sebastian, Sondre Lerc h e ) e s i s e n t e , n e l l a p r o d u zi o n e l u c i d a e n e l m o o d i n d u bbiamente c a l i f o r n i a n o . D a l c a n t o s uo, Conor D e a s e y c o n t i n u a a d i m personare u n i b r i d o n e r d y f r a i l g i o v ane Brian Wi l s o n e R i v e r s C u o m o d e i We e ze r, m e n t r e i l c h i t a r r i s t a D a n i el Ryan fa d i t u t t o p e r s u o n a r e c o me il suo i d o l o d i c h i a r a t o P e t e r B u c k, fr a R i c k e n b a c k e r, m a n d o l i n i e ukulele di sentireascoltare 87 sorta . Tutto al suo p o s t o , q u i n d i ; che sia q ue sta la r agione per c ui questo disco sta pa s s ando pr at ic amente ino sservato ? ( 6. 5/ 10) nuare ad apprezzare nonostante non siano il massimo dell’originalità. Un onesto gruppo devoto ai padri che divulga ai figli il verbo country rock. Con un precipuo mood malinconico (si veda Emo Country Rock, per esempio, ballad di atmosfera crepuscolare tra Yo u n g e D y l a n ) c h e i n q u e s t ’ u l t i m o album si accentua, a favore della consueta foga. Un episodio che li potrebbe portare verso altre direzioni, o semplicemente una pausa di riflessione. (6.5/10) Antonio Puglia To K i l l A P e t t y B o u r g e o i s i e – The Patron (Kranky / Wide, 15 ottobre 2007) Genere: post 4AD Nell’incastro tra il trip hop più atmosferico e sexy (Massive Attack, Portishead, Lamb) e certo dark etereo griffato 4AD (His Name Is Alive, This Mortal Coil, Durutti Colum) nascono le canz o n i d e i To K i l l A P e t t y B o u r g e o i sisie, ennesimo duo uomo-donna, Mark McGee e Jehna Wilhelm, arrivato su Kranky per il debutto sulla lunga distanza. Dediti a un sound elettronico, avvolgente, misterioso e decisamente chic, i due costruiscono complicate e ipnotiche trame elettro eteree. Piccoli labirinti che sembrano cercare costantemente una forma più definita. The Patron, per esempio, parte su una base di elettronica molto pesante ai limiti di certo post-industrial anni ’90 e procede in un costante gorgoglio di frequenze. In altre occasioni possono essere più tenui e languidi, creando pic- cole romanze oniriche come Long A r m s , I B o x Tw e n t y , e l ’ u l t i m i s s i ma Window Shopping. Certe trovate non possono non ricordare da vicino altra gente di Bristol, come i primissimi Third Eye Foundation e in special modo gli Amp, di cui sembrano una versione moderna e hi-tech. La voce da lolita fan- 88 sentireascoltare tasma di Jehna, fascinosa ma un po’ anonima, ha le stesse qualità cripto-erotiche dell’ugola di Karyn Charff e ammanta tutto il suono di un ombra eterea da sirena dream. infatti se non avessero dedicato tanta attenzione al taglio crudo di certi beat potevano tranquillamente essere inseriti nella categoria dream-pop, ma ora come ora, per quanto stretti, sono solo dei parenti. (7.0/10) Te r e s a G r e c o Antonello Comunale Tw o G a l l a n t s – S e l f T i t l e d ( S a d dle Creek / Self, 5 ottobre 2007) Genere: alt.country rock Solidamente cristallizzatosi tra le coordinate Conor Oberst, Neil Yo u n g , D y l a n t o r n a - a d i s t a n z a di qualche mese dall’EP acustico The Scenery Of Farewell - il duo Tw o G a l l a n t s c o n i l t e r z o l a v o r o sulla lunga distanza. Questa volta agli ingredienti si aggiunge un impatto decisamente più classic rock, insieme all’usuale alt.country e questo si avverte sin dall’incipit con The Dealer, ballad in forte odore Pearl Jam, e in altri episodi del lotto, in cui è piuttosto forte la somiglianza ritmico-vocale con il g r u p p o d i E d d i e Ve d d e r. Stemperatasi leggermente l’urgenza espressiva che li aveva caratterizzati finora, a favore di una forma più adulta di country rock (ma non di maniera e pur sempre più grezza di un Oberst, per dire) restano alcune pregevoli intuizioni melodiche e un’omogeneità di fondo, insieme alla solita epica del racconto, che ce li fa conti- Ungdomskulen – Cry Baby (Ever / Audioglobe, ottobre 2007) Genere: rock alternativo, wave P i ù c h e u n d i s c o , s e m b r a u n a co r s a s u l l e m o n t a g n e r u s s e . C ry B aby d e g l i U n g d o m s k u l e n t i d i s o r i e nta c o n i c o n t i n u i s b a l z i r i t m i c i , c o n la v o c e t e n o r i l e d e l c a n t a n t e , c o n i r i ff di chitarra che spesso lambiscono i l c o n f i n e c h e s e p a r a l a r u ff i a n eria c o n l a p a c c h i a n e r i a . E , p e r l a v er i t à , q u a n d o c o m i n c i a d a p p r e z z are l ’ a p p r o c c i o s b r u ff o n e e m u s c o l ar e d e l l a b a n d n o n c a p i s c i s e s i a un bene o un male, se è da interpretare come un campanello d’allarm e c h e t i a v v e r t e c h e l a t u a s a l ute mentale vacilla pericolosamente. P e r c h é a c o n t i f a t t i l ’ a l b u m è i n die r o c k c a s i n i s t a , t a m a r r o , f e s t a i olo. A t r a t t i p e r s i n o s p e r i m e n t a l e . G l ory Hole è un tornado che mescola voc a l i z z i e s t r e m i , s c h i t a r r a t e a p alla e s p i a z z a n t i i n t e r m e z z i s t r u m e n ta l i i n q u a t t r o q u a r t i c h e s e m b r an o f a r e i l v e r s o a i g r u p p i p u n k - f unk. F e e l s L i k e H o m e p a r t e a c e nto all’ora per po i l a s c i a r s i a n d a r e a d u no sco ncerta nt e r it or nello c he m escola in un m o d o q u a s i s u b l i m e i Sonic Youth c on i Dar kness ( l ’ o r o col p iomb o – s c egliet e v oi qual è l’oro e quale i l p i o m b o , b e n c h é n o n dovrebbero e s s e r c i d u b b i , n o ? ) . Un gd omsku len r a s e n t a a d d i r i t t u r a l’h ard co re, q uello della c os t a or ienta le de gli Stati Unit i, r is ult ando c r ed ibile e serra t o. Un disco che s u o n a r o c k , a l l o r a . Con quegli st a c c h i d i b a t t e r i a c h e hanno fatto u l t i m a m e n t e l a f o r t u n a d ei Mus e. Con q u e l l e s o l u z i o n i r o c k che sembran o p r o v e n i r e d a l r o c k mainstream d e i p r i m i a n n i 2 0 0 0 . Con quel sen s o d e l r i t m o – c o s ì d en so d i g roo v e – c he già appar te ne va a i Ra pt ur e. F o r s e s t a n c a n o un po’ dopo q u a l c h e a s c o l t o , m a q ue sti otto pe z z i s uonano v alv olari e maestosi c o m e D i o c o m a n d a . No n fon da men t ali, c er t am ent e c ar in i. (6.8 /10 ) Manfredi Lamartina Ve g a s M a r t y r s – F e m a l e M i n d ( Tr o u b l e m a n U n l i m i t e d , l u g l i o 2007) Genere: noise I Ve g a s M a r t y r s s o n o l a n u o v a creatura a cui partecipa Dominick Furnow (insieme a Richard Dunn e Joe Potts), figura mica da poco del noise estremo newyorkese (non troppo lontano da un incrocio malato di hardcore e Black Metal), soprattutto noto ai più come Prurient. Se a qualcuno questo nome dice qualcosa, ha capito anche di cosa tratta questo Female Mind (già uscito come demo nel 2005, ora disponibile in uscita ufficiale in un’edizione limitata di 750 vinili); se invece non gli dice nulla, si lasci andare dall’onomatopea epidermica del suono, la trasmetta dalla pelle alle orecchie e di nuovo a tutto il corpo; sappia insomma che di rumore vero qui si parla.Un monolite di rumore. Una distorsione praticamente omnipervasiva, la cui unica controparte sono gli squarci creati dalle urla; come fosse una ricerca sui timbri del rumore allo stato finale, a cui risulti accessorio il lavoro compositivo, tranne in rari casi (Levothroid parte dall’archetipo di Heroine e lo sviluppa secondo un muro distorto di puro fastidio; in Banalg ci sembra di riconoscere un tentativo di velocità). Il problema è allora aggrapparsi a una fonte di comprensibilità, che esuli dal classico (e fin troppo bonario, a dirla tutta) leit-motiv dell’esternazione di un malessere esistenziale. Che palle. Ci si potrebbe appellare al titolo, pensare ai gender studies e via, ma si appiopperebbe un’interpretazione forse sovradimensionata all’oggetto che ci sta martoriando. Piuttosto è interessante notare una cosa, e cioè che in tutto questo marasma incomprensibile succede, cosa ben strana, che si rimane stranamente turbati quando il rumore viene interrotto, quando riemerge un filo di umanità, verso l’ascoltatore, verso un capello di intelligibilità. E ciò avviene tra un brano e un altro, per qualche attimo di silenzio. La sufficienza andrebbe data di default a chi arriva in fondo all’ascolto, per passione o anche s o l o p e r l a v o r o . F o r s e c h e i Ve gas Martyrs meritano meno, allora? Il punto è che negare ogni argomentazione è un’argomentazione fortissima, che a me basta. (6.5/10) Un girovago dalle orecchie ricettive, Vinicius è in ciò perfetto esempio per i fecondi incroci del villaggio globale: nato nel profondo dell’Amazzonia, ha suonato p r o g r e s s i v e n e g l i O Te r ç o , p r e s t a t o l ’ a b i l i t à s t r u m e n t a l e a Ve l o so, Buarque e Gil, infine scritto fior di successi altrui. Da qualche tempo risiede nel crocevia cultur a l e d i N e w Yo r k , d o v e g o d e d e l l a stima dell’intellighenzia più acuta, da David Byrne ad Arto Lind s a y e B r i a n E n o . Tu t t i a t e s s e r ne le lodi, e ne han ben donde: senza toccare gli spigoli di Zé o il classicismo velosiano, il suo accostarsi alla musica verdeoro è di quelli che le cartoline le schivano. Anzi, le prendono con ambo le mani e le stracciano sorridendo. Succede nella maggior parte di questi quaranta minuti agili e guizzanti, toccanti e delicati, allegri e mesti come la migliore musica d’autore deve essere a prescindere dalla provenienza geografica. Ben accompagnato da un parterre di strumentisti eccezionali nell’integrarsi (tra i più noti un Brad Meldhau non troppo ligio alla tradizione, Bill Frisell, il superbo Eric Friedlander al violoncello), Cantuaria si dedica a impreziosire di dettagli ogni brano, aggiungendo elementi che inscenano piccole rivoluzioni stilistiche in brani gradevoli. Galope scende spigliata da Cuba al continente sottostante, per risalire verso la Grande Mela; l’agrodolce Gaspare Caliri Vinicius Cantuaria - Cymbals (Naive / Self, 21 settembre 2007) Genere: pop brasiliano Vo ç e E E u i n n e s t a p i a n i s m o j a z z su una bossanova sospesa e impalpabile; Chuva è motore ritmico e fiatistico in trascinante progres- sentireascoltare 89 so punteggiato da pause solari. Perfetto amalgama d’avanguardia e tradizione che non rinuncia a comunicare, Cymbals si volge efficace al passato (Vivo Sonhando è vergata da Jobim e percorsa da archi felpati) e altrettanto fa col futuro di scenari poco uditi: valgano, a mo’ di splendidi esempi, l’infelicità romanticamente aguzza che dona l’anima a Prantos e l’abbraccio tra echi dub e percussioni da giungla di un’autobiografica O Batuque, a quattro mani c o n N a n a Va s c o n c e l o s . U n a m u sica siffatta, capace di indagare l’attualità senza la minima traccia di forzature e distacco emotivo, andrebbe inculcata in tanti sedicenti innovatori incapaci a comporre canzoni. (7.6/10) Giancarlo Turra di zecca mollate i virtuosismi progressivi e la confusione stilistica zappiana, preferendo abbracciare una briglia sciolta in cinque brani tra loro così radicalmente diversi che sembra una compilation. Siete danzerini (Friends: inenarrabile, tra Rednex e Bloodhound Gang) e reggae (una King Billy sfiatatissima, e dire che produce King Jammy…), camuffati da balera latina (Light Me Up) e infine infilati nell’abito degli Ottanta (Slow Down Boy potrebbe esser tranquillamente un demo degli Spandau B a l l e t d i Tr u e ) . Vo r r e s t e f a r c r e dere di conoscere il segreto del “nerd pop” arguto e perspicace, Gene e Dean, ma per promuovervi bisogna essere di bocca buonissima. Oppure non capire niente di musica come il sottoscritto. (4.5/10) Giancarlo Turra Ween – The Friends EP (Schnitzel / Goodfellas, agosto 2007) Genere: indie pop demenziale Forse sono io che non ci arrivo, che sono privo dei mezzi adatti a comprendere. Eppure non mi fanno ridere gli Ween, con i loro sketch triti e le battute sagaci degne del Bagaglino. Però il fatto che, tra una ristampa e l’altra, siano ancora sulle scene qualcosa dovrà pur dire; ci dovranno pur essere annidati da qualche parte una morale, un significato, un motivo che ne giustifichino l’esistenza. Sì, perché non è davvero possibile che basti la musica, cari i miei Mickey Melchiondo e Aaron Freeman, anche se in questo EP nuovo 90 sentireascoltare Ya r o n H e r m a n Tr i o – A T i m e F o r Everything (Naive / Self, 12 ottobre 2007) Genere: jazz Coniugare il verbo jazz coverizzando dei pezzi parte dell’immaginario pop commerciale non è impresa da poco, ma non è neanche inusitata, dato che è stata abbondantemente portata avanti negli anni scorsi ed in maniera eccelsa da gruppi come i Bad Plus (di cui si ricordano con piacere le cover d i S m e l l L i k e Te e n S p i r i t d e i N i r vana e Heart Of Glass dei Blondie). I l t r i o d i Ya r o n H e r m a n n o n p o r t a avanti solo questo verbo e fagocita strada facendo anche pezzi propri, suite che vivono della brillantezza del Miles Davis aureo del primo periodo, brani pregni di swing e di incastri suadenti di basso, batteria e pianoforte. Che i Nostri ci sappiano fare è palese ma è il lato emotivo a non giovarne pienamente, dato che si perdono spesso in dialoghi troppo schematici ed in manierismi da primi della classe abbastanza noiosi e con pochissima verve… Paradossalmente il gioco vale la candela solo quando coverizzano pezzi come Army Of Me di Bjork per quanto possibile fedele all’originale, Message In A Bottle dei Pol i c e e s o p r a t t u t t o To x i c d i B r i t n e y Spears, che non perde per strada la brillantezza della versione madre. Nota favorevole a parte per la chiusa veramente emozionante con la cover del Leonard Cohen migliore ossia quello della sempre eterna Hallelujah. Da rivedere in un contesto più degnamente loro per vedere se la bravura tenderà ancora a prevalere sul cuore. (5.0/10) Alessandro Grassi Ye l l o w C a p r a – C h e z D é d é ( P i loft / Wide, ottobre 2007) Genere: prog-post D e l p r i m o d i s c o d i q u e s t i Ye l l o w Capra (self titled), avevamo segnalato delle tendenze di composizione, che miravano a integrare gli strumenti meno rock utilizzati di brano in brano. Sembra che con questo Chez Dédé gli YC si siano lasciati andare a quelle tendenze; il che è una buona notizia, va detto subito. C’è di meno buono che questo secondo disco è la conferma di una doppia natura, che ancora un po’ fa fatica a convincere, fatta di una certa progressività primi Settanta dell’approccio, da un lato, e dello struggente “bellezza” mogwaiana, dall’altro. Certo, meglio loro che la miriade di cloni dei Mogwai. Anzi, questo disco rivela le loro potenzialità di ergersi sopra il mare magnum postrockorum, senza che però decidano di ergersi veramente. Si sente poi un ottimo allena- mento nella capacità compositiva – un allenamento che gli deriverà, plausibilmente, dalle colonne sonore che sono stati chiamati a scrivere e suonare in questi anni; la variazione improvvisa di Porco Io (che vince la palma d’oro al titolo), per esempio, sembra voglia accompagnare un colpo di scena cinematico, pur con il persistente tema in tono minore tipico della band di Glasgow a cui non si fa meno di ritornare. Califoggia, poi, pare una bossa violoncellata suonata da dei timidissimi Stratovarius. Ma abbiamo detto sopra “primi Settanta”, e fermiamo a rifletterci sopra. Pensiamo alla parabola dei Meat Puppets, che partirono dal punk hard-core americano (a cui aderirono nel suo momento aurorale) e si rivolsero poi ai seventies acidi, dimenticandosi in superficie dell’hard-core, ma conservandone qualcosa, l’atteggiamento, la sensibilità, o anche solo il fatto di averci passato i v e n t ’ a n n i . G l i Ye l l o w C a p r a p o trebbero fare questo, e sarebbe molto più interessante, in quel caso, cogliere dove e come il post-rock, una volta rimosso, tornerebbe ad affiorare. (6.4/10) Gaspare Caliri Yo u n g G a l a x y – S e l f T i t l e d ( A r t s & Crafts / Audioglobe, 13 settembre 2007) Genere: space-pop G l i Yo u n g G a l a x y s o n o u n d u o g r a vitante intorno alle personalità di Stephen Ramsay (voce/chitarra) e Catherine McCandless (voce/ tastiera). Il loro è uno spacepop etereo, speziato di sinuosità psych, viscosità Spiritualized e qualche singulto shoegaze. E il risultato è comunque molto interessante perché uniforme, delicato e preciso nella propria esposizione e mediamente emozionante. S w i n g Yo u r H e a r t a c h e è l ’ o p e n i n g perfetto per aprire le danze, tempi lenti e una tastiera sparata alla luna per una coralità di voci in un crescendo emotivo denso. Outside The City con il suo basso suadente gioca agli incastri melodici tipici dei compagni di scuderia Stars come fa la limpida Searchlight, Wailing Wall è decisamente un numero che inframezza le chitarre migliori degli Stone Roses più aerei con la soffice delicatezza declamante degli Spiritualized e Come And See è un rockettino in tempi dispari per spacerockers più intransigenti. Ma il meglio lo si raggiunge alla fine con The Alchemy Between Us, la vera summa espressiva di quanto sa fare questo duo, il vero connubio che sa di screziature shoegaze e che profuma alla lontana delle nuvole e di quel gocciolare sottile che era l’anima di brani come Sometimes dei My B l o o d y Va l e n t i n e . Insomma un debutto solido, un disco quadrato che fa di una formula unica il suo vero punto di forza e che trova nella sinergia del duo la vera valvola propulsiva per un narrare stolto e inebriante. (6.6/10) Alessandro Grassi Yo Z u s h i - N o t e s F o r H o l y L a r ceny (Pointy / Goodfellas, 3 settembre 2007) Genere: folk Un rampante atipico, il londines e Yo Z u s h i , g i à a p p r e z z a t o p e r l’album di debutto Songs From A D a z z l i n g D r i f t ’ ( P o i n t y, m a r z o 2006). Occhi a mandorla rivolti all’altra sponda dell’Atlantico, verso quella sciarada di sogni spersi che un tempo erano America e oggi sono un luogo mentale tappezzato di nostalgia e lap stee l ( i M o j a v e 3 i n s e g n a n o ) . Tu t t o buono comunque affinché il giovinotto - 26 anni compiuti il 3 settembre, giorno di uscita di questo Notes For Holy Larceny - si lasci incantare e decida d’incantare noialtri in ascolto. Il folk di Zushi possiede una ferrata indolenza, ciondola con trepida disinvoltura tra emerite folk ballad talora maculate da un piglio swing-blues (che fa outing in Bright Lucifer, sezione fiati compresa). La voce, a metà strada tra il Cohen giovane, il Bright Eyes più posato ed i l M a t t Wa r d d e i m i r a g g i f i f t i e s , snocciola terse mestizie e rigurgiti d’allegria, senso di perdita e accorata speranza. Mantenendo quel tipico “distacco partecipe” da narrastorie consumato (è o non è il profilo di Dylan quello che spunta nell’illustrazione del booklet?) che permette ad esempio a l l a l u n g a T h e Tr e e s , T h e y G r o w High di non scadere nel tedio. Se questi sono i frutti, forse le stagioni del NAM e del prewar non sono passate invano. (6.8/10) Stefano Solventi sentireascoltare 91 Backyard Like Me, Umi De No Jisatsu), quasi lounge nei casi migliori (Taiyō è forse la canzone più convincente di tutto il disco), è tutto dire, sia per le pieghe che il gruppo avrebbe potuto prendere (sì, sto tendenziosamente suggerendo: “che avrebbe fatto meglio a prendere”), sia per un’opinione personale dello scribacchino che in questo momento li sta ascoltando. Come già per il postpostrock mogwaiano (che fra l’altro fa espresso capolino in It’s Too Late), è tempo di severità. (5.0/10) Asobi Seksu – Self Titled (One Little Indian / Goodfellas, 2007) Genere: indiepop/shoegaze Tempo di ristampe a passo di gambero per gli Asobi Seksu. Dopo Citrus, seconda prova dei newyorkesi un po’ giapponesi, ora la One Little Indian ne ristampa anche l’esordio self titled, che uscì inizialmente nel 2002 (ma per pochi fortunati) e poi già fu ripubblicato nel 2004 da Friendly Fire. Senza cattiveria, uno a volte si chiede il perché delle cose. Procedendo anche noi all’indietro, riprendendo Citrus prima di questo disco, scopriamo l’origine della vena shoegaze della band, e onestamente non è una festa. Certo, uno può dire che anche i My Bloody Valentine non hanno fatto solo cose brillanti prima dei due diamanti che uscirono in long playing. Ma loro erano in medias res, decidevano (anzi: hanno deciso) dello shoegaze; e comunque il paragone, mi si perdoni, non reggerebbe neanche coi vari This Is Your My Bloody Valentine o Sunny Sundae Smile. Insomma l’origine di quella vena è poco incisiva, e il fatto è che alla fine i risultati migliori sembrano emergere dai brani che, sì, sono potenzialmente shoegaze, ma in definitiva indie pop pseudonipponico (l’iniziale I’m Happy But You Don’t 92 sentireascoltare Gaspare Caliri Awesome Color – Self Titled (Ecstatic Peace, 2007) Genere: retro-noise-rock Ristampa sui generis per Awesome Color, album che l’anno scorso vide il debutto dell’omonima band americana e che da noi non era circolato affatto. Il trio scoperto dal talent scout più rumoroso del pianeta appartiene al versante più accessibile della Ecstatic Peace e si pone sulla scia del suono grunge-oriented dell’altro gruppo del roster, i Black Helicopter, di cui abbiamo parlato qualche tempo fa. Anch’essi come i label-mates sono micidiali dal vivo, anche essi su coordinate noisy e rétro, ma con qualche peculiarità in più rispetto ai compari. Già a vederli, infatti, si dovrebbe capire il pesante accento posto sul versante psichedelico: nastri, lustrini, lunghi capelli tenuti su da fasce multicolore; insomma gli hippy del terzo millennio in salsa noise-rock. L’incipit di Grown non lascia dubbi in proposito: batteria piena, chitarra e basso che seguono sempre lo stesso giro ipnotico e una voce che sembra quella di Iggy Pop prima che si friggesse il cervello e diventasse la pantomima vivente di se stesso. Il problema però è che se al primo pezzo ci si diverte, già al secondo si comincia a dubitare; al terzo ci si stanca visto che se ogni tanto si esce dal tunnel stoogesiano/mc5iano lo si fa per imboccare quello caro al padrone di casa: Free Man è de facto un vero e proprio outtake dall’epoca Goo/Dirty. Non basta la dilatazione psichedelica della conclusiva Animal a risollevare il tutto. Awesome Color è un album non brutto, ma sostanzialmente inutile. (5.5/10) Stefano Pifferi Brainbombs – Singles Collection Vol. 2 (Load Records / Goodfellas, ottobre 2007) Genere: garage/trash rock Per tutti gli amanti delle chitarre sature e del garage più rumoroso: attenzione, i Brainbombs sono tornati. La Load fa uscire in occasione dei vent’anni di carriera del combo svedese questa compilation che racchiude vari 7 pollici usciti per Wabana, Tumult, Ken Rock, Anthem e Big Brothel, più una manciata di pezzi live. È sufficiente scorrere i titoli della raccolta, Stinking Memory, The Grinder, I Need Speed, per capire come i Brainbombs ricalchino in pieno tutti gli stereotipi del rock and roll più anti politically-correct. Musicalmente non ci discostiamo molto da un mid-tempo garage con sane chitarre distorte e voce tra il lamentoso e l’indolente, basta poi aggiungere qua e là il suono di un sax anarchico e si avrà un quadro più o meno completo del disco. Difficile capire se sia un prodotto destinato anche alla nuova LoadGeneration, che forse è già in trepidazione aspettando il prossimo disco dei Lightning Bolt, decisamente avanti anni luce rispetto alla musica ivi contenuta. (5.0/10) Nicolas Campagnari Derek Bailey – Standards (Tzadik, 2007) Genere: standard revisited Negli ultimi anni della sua vita la Tzadik di John Zorn ha rappresentato un punto di riferimento importante per l’ultimo periodo compositivo del chitarrista inglese. Un periodo in cui il suo stile, mai sceso a compromessi, ha cominciato a concedere qualcosa alla tradizione, in particolare a quella jazzistica. Ballads (Tzadik, 2002) rappresentò il manifesto di questo sguardo all’indietro verso i classici: per la prima volta, Bailey si confrontava con gli standard, abbandonando il radicalismo dell’improvvisazione libera. Aperture melodiche, accordi dal sapore inconfondibilmente jazz, si intrufolavano nei meandri di una tecnica chitarristica divenuta inconfondibile, dando vita all’ennesimo capolavoro del musicista di Sheffield, che sarebbe presto divenuto il disco più venduto della sua carriera. Classici inossidabili della canzone afroamericana come Body & Soul, Stella By Starlight, Georgia On My Mind, venivano qui presi e trasformati dalla testa ai piedi, resi assolutamente irriconoscibili. Non un tema né un giro armonico a ricordare ciò che queste melodie avevano rappresentato in passato per i jazzisti dal be-bop in poi, tanto che veniva da chiedersi il perché di quei riferimenti, impenetrabili ad un ascolto superficiale. In fin dei conti, la libertà assoluta che si era concesso Bailey in tutto il corso della sua vita da musicista, era ancora lì a gridare ancora più forte al mondo il senso vero, quello più recondito, dell’improvvisazione: l’espressività senza limiti. Sarà per il successo che quell’album è riuscito ad ottenere, sarà perché quel Natale di due anni fa, quando Derek Bailey ha deciso di lasciarci per sempre, è ancora molto vicino e la voglia di ascoltare la sua musica ancora forte come quella di baciare una donna che ti ha appena lasciato; sta di fatto che la Tzadik, senza timore di essere accusata di speculare sulla sua morte, ha deciso di pubblicare un album gemello di Ballads, una raccolta di materiale inedito che fa riferimento alle session precedenti di due mesi la pubblicazione di quel disco. Ce n’era davvero bisogno? Probabilmente sì, visto che si tratta di materiale assolutamente inedito e che quindi, considerata l’unicità di ogni performance del chitarrista, riesce a dire qualcosa in più su un musicista mai completamente compreso. L’approccio è lo stesso di Ballads: il tocco raffinato, una tecnica quasi convenzionale e un flebile richiamo ad armonie costruite sulla sovrapposizione di intervalli di terza, fanno da collante ad uno stile che abbandona, ma non del tutto, il radicalismo degli anni precedenti. Ma, attenzione. È sempre di Derek Bailey che si sta parlando, per cui non aspettatevi di ascoltare nulla che possa ricordare il passato o un tentativo di nascondersi dietro la sicurezza dei classici. La chitarra rimane uno strumento polifunzionale, che nelle sue mani, attraverso lo sfregamento delle corde, la percussione, lo scuotimento e l’evasione da qualsiasi successione melodica consonante, diventa strumento di liberazione da tutto ciò che è standardizzato. Un paradosso, rispetto ad un titolo e ad un progetto che si richiamano proprio agli standard, quelle canzoni che sono diventate, dopo gli anni ’40, il pane per tutti i jazzisti. Ma che per lui sono soltanto un pretesto, semplici titoli per dare, una volta ancora, l’ultima, un nome alla sua splendida anarchia sonora. (8.0/10) Daniele Follero Glenn Branca – Symphony Nos. 8-10 - Live At The Kitchen DVD (2004 - Atavistic / Goodfellas, settembre 2007) Genere: no wave/contemporanea Un conto è pensare Glenn Branca ai tempi della no-wave, un intellettuale prestato alla violenza e al nichilismo, un compositore che si inserisce in un colpo di mazzo (cioè con un paio di lesson e quel primo monolite che è The Ascension) con una scarpa nella contemporanea e nell’altra nella storia del rock. Uno a cui viene l’idea di un esercito di chitarre la cui scordatura è un’arma da controllare e usare, non un difetto da minimizzare. Un conto è ritrovarselo a teatro, con la serietà che si confà al luogo e che comunque merita la musica di Branca; e questa seconda possibilità è leggermente straniante. In definitiva, comunica una punta di noia. Sono gli occhi che si annoiano, perché a chiuderli – durante l’ascolto – le scordature colossali di Glenn ipnotizzano lo spirito, lo tengono in costante stato di ammonimento; certo diciamo che le due sinfonie contenute in questo DVD, cioè Symphony Nos. 8-10 – Live At Kitchen (registrato al Kitchen, appunto, di New York nel 1995), soprattutto la ottava, sono un po’ sottotono rispetto ad altre (giustamente) più blasonate – sempre da un ristretto nume- sentireascoltare 93 ro di blasonatori, certo; anche se la mistura tra potenza e raffinatezza è indiscutibile. Per concludere, giudicando solo l’operazione audiovideo, non riesco a non pensare che quell’esercito di chitarre prende la forma (non me ne vogliano) di musicisti un po’ ingessati; e allora qui si propone un timido (6.5/10). Che passa a (7.0/10) man mano che si riascolta (ma non vede) la seconda parte della Symphony No. 10, mentre ci si sussurra The Horror. Gaspare Caliri AA. VV. – John Barleycorn Reborn (Cold Spring / Woven Wheat Whispers, settembre 2007) Genere: dark britannia È certamente una stagione fertile per il doom folk. A confermarlo arriva una poderosa compilation assemblata da Marc Coyle del Woven Wheat Whispers e distribuita da Cold Spring. Un lavoro minuzioso che cerca di fare il punto sulla componente britannica del dark folk. Nel momento in cui la colonna sonora di The Wicker Man diventa sempre più di culto e le nuove leve della weird generation prendono a piene mani dal suono della tradizione, John Barleycorn diventa una chiave di lettura privilegiata per indagare tra le pieghe del suono folk anglosassone. Traditional tra i più celebri del repertorio britannico, riletto e rifatto migliaia di volte, John Barleycorn offre l’opportunità a Marc Coyle di disegnare un affresco in due (anzi tre) dischi sullo stato dell’arte di quella che fin dal sottotitolo, non ha paura a chiamare, Dark Britannia. Il pregio di questa raccolta è quello di 94 sentireascoltare fornire una panoramica trasversale di approcci alla materia. Ci sono weird folk, dark folk, traditional folk, apocalyptic folk, psych folk e così via a illustrare tutte le sfaccettature di un sound che nel corso del tempo si è fatto multiforme, ma non ha mai perso quelle qualità mitiche che lo legano alla notte dei tempi. John Barleycorn è del resto basata sulla trasformazione del grano, sul ciclo delle stagioni e dei raccolti. Musica che ci parla delle nostre radici e della terra su cui poggiamo la nostra presenza. La raccolta offre anche l’opportunità di dare spazio a piccoli artisti legati a website specializzati come The Unbroken Circle e Terrascope. Figure ancora poco conosciute come The Horses of the Gods, Damh the Bard, The Triple Tree, Alphane Moon, English Heretic, The Straw Bear Band, The Purple Minds of Lazeron. Accanto a questi ci sono poi sigle più conosciute come The Owl Service, che offrono per l’occasione una rilettura filologia di North Country Maid; i Sol Invictus densi e marziali come al solito; una Sharron Kraus delle migliori con Horn Dance; e ancora i Pumajaw, Peter Ulrich, Sand Snowman (probabilmente l’episodio migliore del lotto), Clive Powell, Xenis Emputae Travelling Band e dulcis in fundo Martyn Bates. La compilation si suddivide in due dischi, il primo intitolato “Birth” e il secondo “Death”, ma per gli avventori del sito Woven Wheat Whispers c’è anche un terzo disco, disponibile solo in download e intitolato, manco a dirlo, “Reborn”, giusto per non far morire la tradizione e dirne quattro ai Traffic. (7.3/10) Antonello Comunale Lee Perry and The Upsetters – Apeology: Super Ape/Return Of The Super Ape/Roast Fish And Cornbread (1976/1978 - Trojan / Goodfellas, 25 giugno 2007) Genere: reggae dub Il Lee Perry che arriva a proporre a Chris Blackwell Super Ape è un Genio affermato, che ha apposto il suo inconfondibile marchio produttivo sui maggiori capolavori della battuta in levare e ha tenuto a battesimo i primi sottovalutati passi di Marley. Che è tra gli inventori di quel dub oramai infiltratosi come un benefico virus dentro a rock, dance e derivati. Chiuso nel suo studio Black Ark, Perry si è creato rudi strumenti capaci di fornire un’immagine visionaria - perciò psichedelica nel senso più autentico - del reggae, ottenuta per sottrazione invece che aggiungendo elementi. Rivoluzione epocale della quale è (stato) tra i protagonisti assoluti. Strettamente parlando, non si tratta di materiale completamente dub, ma neppure roots o reggae classico, e va bene così, perché i tre dischi (i primi due in particolare) siedono sul crinale e ne osservano ambo i lati, confondendosi la vista e mescolando tutto. Lee è al suo meglio nel trafficare con dilatazioni, inserti di fiati, piste duplicate e accatastate una sull’altra, rumori sparsi ovunque come punti interrogativi (muggiti e ronzii, pianti di bimbi e cigolii…). Stranezze che non diventano mai gratuite, innestate sul corpo di una scrittura di alto lignaggio in dischi che appartengono a una dimensione unica, allucinata e vaneggiatrice di un futuro che sarà. Del quale Clash e Primal Scream - così, giusto per buttar lì un paio di nomi - faranno tesoro per riscrivere le regole. Cosa che accade già qui, casomai non l’abbiate ancora chiaro a sufficienza. Imperdibile, Super Ape viene oggi ristampato assieme al “sequel” di poco inferiore Return Of The Super Ape e a un album da tempo irreperibile ancorché pregiato come Roast Fish And Cornbread. Il rifiuto da parte della Island di pubblicarlo (una pazzia seconda solo al no opposto ai Congos di Heart Of The Congo: indovinate chi lo pro- dusse…) sarà l’ennesimo inciampo in un rapporto da sempre difficile (con chiunque: uomo difficile, Mr. Perry) e una delle gocce che renderanno l’eccentricità una pazzia traboccante. Preda di una folle ira, “Scratch” darà fuoco al Black Ark e sparirà, recuperando il senno con Adrian Sherwood (altro grande che gli deve tutto o quasi) e il Dub Syndicate all’altezza dell’ennesimo capolavoro Time Boom For De Devil Dead. Fate il conto e capirete che si tratta di una ristampa essenziale, anche se di reggae avete in casa sì e no dieci dischi. (8.5/10) Giancarlo Turra Mercury Rev – Yerself Is Steam/ Lego My Ego CD + DVD (Mint / Goodfellas, 21 maggio 2007) Genere: psych In un fiume sonnecchiante possono accadere molte più cose di quello che ci si potrebbe aspettare. Ci sono acque lisergiche ma inquietanti, docili e scherzose ma spaventevoli e imprevedibili; calmissime e dolci ma capaci di diventare fragorose. Ci sono mulinelli imprevedibili, note che non sanno se guardarsi le scarpe o rivolgersi paganamente al mondo e agli astri. Un satiro, seduto su un sasso che affiora dall’acqua, suona il flauto, dopo aver inseguito con cupidigia un infante. Lì di presso, bela una pecora, si lamenta sorniona. In questo paesaggio ci sono tanti, tutti i colori, tra cui anche quello che li racchiude tutti, cioè il nero (“I see blue, I see black”, recita Blue And Black). Come tutti i colori ci sono del video(-documentario? Non è così lontana la testimonianza ripresa del primo acido di Syd Barrett) in 35 mm di Chasing A Bee, presente – insieme al video della splendida Car Wash Hair – nel DVD della riedizione in cofanetto di Yerself Is Steam dei Mercury Rev, ristampata dalla Mint. I commenti su questo disco potrebbero essere solo parabolici; a quelli abbiamo preferito il racconto di un’Arcadia, che comprende anche Lego My Ego (peraltro già uscito in abbinamento a YIS nel 1992 per la Beggars Banquet), altra raccolta di pietre mercuriali preziose. Se in quel fiume tutto passa, allora passa la psichedelia, passa lo shoegaze, passa un senso di terreno ultraterreno e insieme amatoriale (si ascolti la versione da camera automobilistica di Chasing A Bee, che in Lego My Ego recita “Chasing A Girl / Inside A Car”, con il belare della chitarra); si dà insomma conferma di una cosa che già noi di SA avevamo segnalato: la natura ectoplasmatica delle canzoni dei MR, che mantengono cristallina personalità attraverso ogni alternate take. E dunque ha senso ascoltare un alternate take (o un live, di cui Lego è pieno) dei Mercury Rev. Allo stesso modo, la coppia di video in 35 mm presenti nel DVD sono una forma di conoscenza ulteriore del gruppo, più che una chicca da nerd. Certo, due soli video sono pochi, per giustificare il valore aggiunto di una ristampa. Ne vale la pena? Se qualcuno non avesse il CD, e se avesse intenzione di comprarlo, direi di sì. Poi, certo, il voto dovrebbe essere ponderato all’operazione, ma non ce la faccio a pensarlo meno di (9.0/10). Gaspare Caliri Tarentel – Ghetto Beats On The Surface Of The Sun (Temporary Residence / Goodfellas, agosto 2007) Genere: kraut-psych rock A partire almeno da We Move Through Weather (Temporary Residence, 2004) i Tarentel si sono gradualmente emancipati dai manierismi post degli esordi per accasarsi nei pressi – più perigliosi – di un rock strumentale di chiara impostazione krauta. Ghetto Beats On The Surface Of The Sun, poderoso doppio CD che racchiude la serie di quattro LP a tiratura limitata licenziati dalla Aquarius Records, è un estenuante e avventuroso tour de force - lungo più di due ore – fra territori musicali (più o meno esplorati) di ieri e di oggi, avanguardia e tradizione, influenze lampanti o velate, citazioni dotte e temerari esperimenti che diresti di spregiudicato e curioso apprendista. Disorientato da interminabili cavalcate tribali sostenute da drumming à la Can (Sun Place, All Things Vibrations, Everybody Fuck With Somebody), da folate ambientnoise esalate come ultimo respiro di elettronica non troppo invadente (Cosmic Noise), da interludi psichedelici (You Do This. I Do That, Dreamtigers) e divagazioni cosmiche abbondantemente disseminate, da episodi che ammiccano pericolosamente alle avventure sonore più audaci degli ultimi tempi (i field recordings di Sleep Map, i drones di Somebody Fucks With Everybody, l’attitudine improv di Tied ToTree In A Jungle Of Mistery ), il frequentatore di dischi come From Bone To Satellite (Temporary Residence, 1999) o The Order Of Things (Neurot, 2001) faticherà non poco a ritrovare nei solchi di questi due dischi i propri Tarentel. È a g l i i n t r e p i d i s p e r i m e n t atori della G e r m a n i a d e l k r a u t r o c k c h e i q u a tt r o v o l g o n o o g g i l o s g u a r d o , a This Heat o 23 Skidoo più che alla pac i f i c a t a a m b i e n t d i u n B ria n Eno o a l l e d i l a t a z i o n i s p a c e y d i ce r ti Pink F l o y d . F o r n e n d o i n d i s c u t i bile prova d i c o r a g g i o , s e b b e n e a c o sto d i l u n g a g g i n i e l e z i o s i t à c h e d i cono di un g r u p p o a n c o r a a l l a r i c e r ca d i u n a n u o v a , d e f i n i t a i d e n t i t à . ( 7.0 /1 0 ) Vincenzo Santarcangelo sentireascoltare 95 Independent Days 2007 Dal vivo Independent Days Festival 2 0 0 7 : M a x i m o P a r k , To o l , N i n e Inch Nails - Bologna (2 settembre 2007) È la storia di un’opinione negativa che nasce, che si rafforza, che diventa nervosismo, per quanto è corroborata, ma che poi si spegne all’improvviso. L’Independent Days Festival, consueta giornata di concerti all’aperto dell’inizio settembre bolognese, è un po’ così. Ha spesso un cartellone che perplime, mette il dubbio, e poi si finisce per andarci, attratti da qualcosa. Quest’anno quel qualcosa sono i Nine Inch Nails – non se la prendano i fan dei Tool. E anche per questa edizione arrivare agli headliner non è stato facile. Una coda improponibile per prendersi una birra; un volume altalenante per tutto il pomeriggio prima dei tre nomi di punta; non si può uscire da Parco Nord una volta entrati; fuori c’è una fiera campionaria, anzi no, la Festa dell’Unità/umidità. 96 sentireascoltare C’è da aspettare quei ruffiani dei Maximo Park per divertirci un po’ (ma poco), proprio come il rinfrancante episodio Franz Ferdinand avvenuto qualche anno fa in circostanze molto simili (prima della gioventù sonica); eppure i sorrisi compiaciuti e le teste che tengono il tempo continuano a latitare, mentre attorno alle mura delimitate dell’area decine di ragazzi, per saltare la fila del bagno, sono lì a dieci metri l’uno dall’altro pronti per l’esecuzione. Disatteso l’hype inglesoide, abbiamo la conferma che il 60% dei ragazzi sono qui per i Tool, famosi per i loro show video-sonici e per la tosta massa sonora che riescono a far vibrare. Lo spettacolo, un teatro cyber-dark per drumming tostissimo, è irrimediabilmente rétro, come di chi è stato troppo puntuale a suo tempo e a quel tempo resta ancorato. I fedelissimi cantino a memoria tutte le canzoni della band, ma è meglio che Trent faccia qualcosa, pure con quella pancetta post-ripulisti alcolico. Bam. Il Signor NIN spinge sulla pura memorabilia cyber-noise-rock sfoderando l’intero repertorio di cavalli da battaglia. Aggredisce il microfono, se la prende con una chitarra che gli si frantuma tra le mani, tiene il palco come un vero leader e la voce bella, potente, carismatica è proprio quella dei film audio della sua discografia. La band? Non è da meno: spavaldissima, sfascia strumenti, li lancia in aria, digita tasti sui computer; ma se ci si aspetta semplicemente uno spettacolo da professionisti c’è il colpo da maestro; un flash brucia retine che a metà show cala sul palco sottoforma di 16/9 in pesante griglia metallica. A quel punto, pure chi non è riuscito a prendersi una birra in sei ore non si preoccuperà della sete. È uno schermo gigante senza retroilluminazioni. Un plasma da 1000 pollici. La band ridotta a trio si piazza davanti ad esso in un set minimal di macchine (che tanto deve ai Kraftwerk, nella disposizione, ma con un surplus di contemporaneità). Si apre un inside show di potentissimo noise elettronico fatto di grafiche aliens, zapping velocissimo d’esplosioni e a s s e n z a d i s e g n a l e t v. È l ’ a p o t e o s i , e proprio su quest’ultima sequenza Reznor si piazzerà dietro allo screen bucandolo come un Poltergeist. La chicca nell’apoteosi. Detto tutto questo, suonato praticamente tutto Downward Spiral, Dead Souls, la cover dei Joy Division, e Hurt, che importa del triste siparietto a proposito del downloa d q u a n d o Tr e n t , t r a m i t e l a v o c e del tastierista Alessandro Cortini, ci dice che a lui importa più che si ascolti la sua musica, piuttosto che la si compri. Certo, proprio lui che ha pubblicato l’ultimo album con un materiale termosensibile (lo metti nel lettore e ci leggi cose che a freddo sono invisibili). Lo stesso personaggio che ha messo online tutto l’album giusto prim a d e l l a p u b b l i c a z i o n e u ff i c i a l e . Contraddizioni? Forse. I Nine Inch Nails sono un tramite tra la semplicità argomentativa dell’adolescenza e ciò che di quella resta qualche anno dopo. Quelle esplosioni hollywoodiane viste in TV che poi ti scoppiano in faccia. Realmente. Ye a r Z e r o . L a f i n e d e l m o n d o . S u bito! Gaspare Caliri e Edoardo Bridda Dalla Main Street al Main Stage: u n a s e r a t a a d I t a l i a Wa v e ( S e s t o Fiorentino, 19 luglio 2007) Cominciamo sul lirico? Massì, vai. A l l o r a : a l l ’ o r a i n c u i i Ti n a r i w e n salgono sul palco, il colore del cielo è lo stesso che decora le loro tuniche. E’ giovedì sera, siamo davanti al Global Stage, il secondo palco per importanza d e l f e s t i v a l I t a l i a Wa v e , a l s u o primo anno lontano dalla sede storica di Arezzo.Ma le linee guida del festival sono rimaste le stesse, ovvero presentare la musica più interessante e curiosa in circolazione, magari ricorrendo alla presenza di qualche grosso nome anche del mainstream (tra virgolette, ovvio) come volano per l’intera manifestazione. E questa è proprio una di quelle serate giocate su un tale equilibrio, con che successo vedremo. Si comincia, per quanto riguarda le proposte pregiate, con i suddetti “uomini blu”, sull’onda dell’entusiasmo suscitato anche in orecchie importanti (Robert Plant, per dirne uno) dalla loro proposta, che r i b a d i s c e q u a n t o a ff e r m a t o n e i d o cumentari di Scorsese sull’origine africana del blues. Qua e là infatti, mentre nel giro di tre canzoni il gruppo finisce di salire sul palco, tra i ritmi ipnotici del loro natio Mali, fanno capolini echi Cooderiani e fraseggi che ricordavamo di aver ascoltato sulla Main Street degli Stones (prima che rientrassero dall’esilio per accomodarsi sulle sonorità più mainstream che caratterizzano quasi tutta la loro produzione post-’72). Il pubblico c’è e segue, sebbene una gran parte sia in giro a guardare il festival, o in fila per Mika o a farsi dare da mangiare altrove, visto che i prezzi dei due stand vicino al Global Stage n o n s o n o c e r t o d a Te r z o M o n d o . La scaletta del Festival -che giustamente non vuole sovrapporre i concerti- purtroppo non ci concede più di un’oretta di afroblues magico ed ipnotico; così ci accomodiamo alla tavola calda che al costo di due global-birre ci imbandisce una cena di tutto rispetto, in una postazione da cui possiamo ammirare, pur da lontano sui maxischermi, il suddetto Mika che invece ci imbandisce i risultati del suo frugare tra e rielaborare quella parte di storia del pop che si muove tra acuti, fals e t t i e u n g r a m m o d i c l a s s e . Tu t t o pulito, tutto preciso, anche qualche passaggio più accorato, ma certo il confronto col concerto precedente più che paragoni suscita stupore, visto che ci troviamo davanti a un pur bravo e preparato interprete della musica più occidentale e meno contaminata possibile. Finita la cena finisce anche Mika, e così torniamo al Global Stage, dove s t a n n o p e r s u o n a r e g l i Av i o n Tr a vel, purtroppo - accidenti del (e al) festival- in contemporanea con gli Yo - Yo M u n d i c h e m u s i c a n o S c i o pero! del maestro Ejzenstejn: non che il pubblico dei due gruppi sia esattamente lo stesso, per quanto Tinariwen ad Italia Wave sentireascoltare 97 entrambi si muovano a grandi linee sul crinale tra rock e folk, ma certo l’accoppiamento suscita qualche r a m m a r i c o . To r n a n d o a i c a s e r t a n i , la loro oretta è dedicata principalmente all’ultimo Danson Metropoli (l’omonimo brano apre il concerto) e, misteriosamente, a quasi dieci minuti di assolo del vibrafonista (bello, ma su un’ora...), che è uno dei musicisti che supportano i nostri, come detto ormai in quattro (e in forma smagliante). La quale formazione a quattro, supporti o meno, lascia molto più spazio a Mesolella. Il quale però, curiosamente, non ne approfitta tanto sulle canzoni dell’ultimo disco (registrato con questo organico) quanto su due vecchi classici come Sogno biondo e soprattutto Aria di t e : p i ù d e l l a c o n s u e t a , a ff a s c i n a n t e teatralità di Servillo, infatti, stavolta a caratterizzare il loro act è la prova stellare del chitarrista, che ci porta in mondi lontani tirando fuori da una chitarra classica con p o c h i e ff e t t i p i ù o m e n o t u t t o q u a n to è possibile tirarci fuori, come un guitar-hero d’altri tempi ma senza sguappare come spesso fanno i suoi colleghi di categoria (ci sarà un motivo per cui da venti anni abbondanti è confinata al metal...): e sì che sarebbe anche campàno... Ma a portarci lontano è anche il piacevole disorientamento davanti all’impossibilità, a un certo punto, di capire che genere stiano suonando i quattro (più annessi) e come si può chiamare questa sintesi, anche qui magica, di stili e geografie. C’è poco da fare: nell’arte come in biologia, la mescolanza e il meticciato significano forza (come evidentemente sapeva anche Presley, che dalla mescolanza di country folk e blues diede vita al R’n’r). Poi anche loro se ne vanno, e mentre facciamo un giro per le bancarelle prima di andar via (il viaggio di ritorno lo impone), sul Main Stage iniziano gli attesi, chissà perché, Kaiser Chiefs. Dalle bancarelle si sentono benissimo, ma non è certo un bene: quello che esce dal Main-stream-stage infatti è il rock più banalmente occidentale sentito da anni a questa parte, con un cantante che oltre a introdurre 98 sentireascoltare le canzoni con una voce da ultrà ubriaco ce le canta anche (non gli hanno spiegato che il festival da quest’anno non si tiene più in uno s t a d i o ? ) , e u n g r u p p o i c u i r i ff , g i r i , stacchi e passaggi si collocano s u l l o s t e s s o g r a d o d i r a ff i n a t e z z a (ci fosse stato un gallagherometro a misurare la banalità musicale sarebbe saltato per aria). Un rock che sarebbe stato vecchio già nell’81, a parte forse qualche dettaglio sonoro peraltro non pervenuto: forse perché eravamo lontani, ma meno di quanto questo gruppo lo sia dalla verve di uno qualsiasi dei mille gruppi altrettanto classici ma dotati di una penna capace di rivitalizzare la tradizione. Av e v o c o m i n c i a t o s u l l i r i c o , m a tocca finire sul polemico. Lasciando perdere le ovvie domande sul perché del loro successo e le altrettanto ovvie risposte, infatti, durante la lunga mezz’ora di strada per il parcheggio (sempre ahimé seguiti dalla musica dei KC) non si può fare a meno di chiedersi: a questo gruppo farebbe meglio una settimana chiusi in una stanza con Fear of Music e Sandinista! a ripetizione o, più semplicemente, basterebbe consigliargli, la prossima v o l t a c h e g l i Av i o n Tr a v e l o q u a l s i a si altro gruppo davvero degli anni 2000 (già Mika sarebbe un passo avanti) suona nei loro dintorni, di andarli ad ascoltare con un minimo di attenzione? Ma soprattutto: chi è stato quel sadico che, inserendoli in questa giornata, li ha sottoposti a questo confronto impietoso? Se alla fine, infatti, l’equilibrio tra ricerca e pubblico di cui dicevamo all’inizio si è numericamente tradotto in un successo degli “occidentali”, il bilancio artistico invece riflette al contrario quello del pubblico. Forse, è equilibrio anche questo. Giulio Pasquali London Sinfonietta + Guests – Remembering The Beatles: Sgt. P e p p e r ’s A n d M o r e ( F i e r a m i l a n o Rho, 21 set t e mb re 2 0 0 7 ) Che è, uno scherzo? Jarvis Cocke r, P e t e r M u r p h y, R u s s e l l M a e l degli Sparks, Robyn Hitchcock, Alex Chilton, Marianne Faithfull, B a d l y D r a w n B o y, B e t h O r t o n , i RESIDENTS (!!!) tutti insieme? Dal vivo? In un concerto dedicato al S g t . P e p p e r ’s ? a R H O ! ? ? ! É t u t t o vero, caspita. A fine serata li vedi lì, in fila sul palco, che intonano s o r r i d e n t i A l l Yo u N e e d I s L o v e mentre la London Sinfonietta sciorina uno ad uno i motivi orchestrali del brano, ripresa finale di She Lov e s Yo u c o m p r e s a . I r r e a l e . I m p o s sibile. Bellissimo, a suo modo. La notizia era talmente inverosimile - e, ahimé, mal pubblicizzata - da passare per la proverbiale bufala, ma non parleremo delle grandi pecche organizzativo-logistiche del caso; anzi sì, giusto per dire che il costo popolarissimo di 5 euro, di per sé stupefacente, ha piuttosto fatto sì che buona parte degli avventori fosse del tutto casuale e poco interessata a quanto stesse accadendo, dalla classica signora annoiata (con tanto di seggiola portata da casa) al marito di lei, incazzato con l’organizzazione perché “non ci sono i posti a sedere”. Peccato, ché l’evento è di quelli irripetibili - in senso proprio: è una rappresentazione unica - e avrebbe meritato la dovuta attenzione e rispetto per gli a r t i s t i c o i n v o l t i . Vi r i s p a r m i a m o l a retorica esterofila (che pure non guasterebbe), così come vi risparmiamo il solito pippone sul valore della sostanza del concerto in sé, ovvero un tributo a quel colorato e lisergico dischettino inglese su cui gravano già 40 primavere (no, non The Piper At The Gates Of Dawn; quell’altro), e ai quattro musicisti che lo hanno partorito. Non é tanto il cosa viene tributato; é il come, e soprattutto il chi. Da un lato una delle più acclamate orchestre di contemporanea, le cui incursioni in ambito pop-rock non sono mai scontate o banali (la rec e n t e r i l e t t u r a d e l c a t a l o g o Wa r p , la collaborazione con i Radiohead nel 2005); dall’altro – come s’è visto - un cast stellare ma non propriamente “all star”, di estrazione piuttosto obliqua e cult-oriented. Fanno da ponte i Baby Lemonade, quintetto di valenti (-issimi) musicisti americani visti alla corte del compianto Arthur Lee, cui tocca London Sinfonietta + Guests riprodurre con massima fedeltà le Sacre partiture. Niente spericolate riletture o azzardate sperimentazioni insomma, anche se certi nomi avrebbero fatto sperare il contrario: è una pura celebrazione in cui tutto il disco viene rivissuto in diretta sul palco, dall’accordatura dell’orchestra all’inizio della title track all’accordo tonante che chiude A Day In The Life (c’é perfino un allestimento floreale che ricrea la scritta Beatles, come in copertina); in sostanza, pur con gli arrangiamenti di Matthew Scott e la conduzione di Jurjen Hempel, la musica è quella (la Sinfonietta esce dai ranghi giusto quando riempie certi vuoti o sottolinea alcuni passaggi, ma basta così). E allora parliamo dei protagonisti, cominciando dai meno probabili, ovvero un Badly Drawn Boy un po’ troppo sottotono - in ogni senso - e una spaesata, emozionata e titubante Beth Orton. Fa piacere trovare tutta baci e sorrisi la Signora della serata, Marianne Faithfull, specie dopo la brutta avventura passata di recente (un male oscuro da cui si è pienamente ripresa); peccato che la suggestività delle sue interpretazioni - specie A Day in The Life - non sempre è all’altezza della resa. Lo stesso vale per un deludente Peter Murphy, troppo teatrale e poco concentrato sul pezzo, tanto da commettere alcuni vistosi errori nella pur d i ff i c i l e W i t h i n Yo u W i t h o u t Yo u a l u i a ff i d a t a i n s i e m e a d e i m u s i c i sti indiani. Fa ancora più piacere r i t r o v a r s i a s o r p r e s a m r. B i g S t a r Alex Chilton – una partecipazione last minute -, la cui Fixing A Hole si fa ricordare per il solo doppiato di chitarra, che per l’interpretazione in sé, ma tant’è. Adesso, solo in base alle apparizioni di Residents, Russell Mael, Jarvis Cocker e Robyn Hitchcock, potremmo spendere righe su righe. Basterà dire che: l’aplomb dinoccolato di Jarv sta bene indosso sia a Ringo che a Macca (magistrali le sue Help From My Friends e l’inciso di Day In The Life); la classe della voce degli Sparks (sciarpamunito come ai bei tempi) spazza via buona parte della concorrenza, sia che impersoni il dandy divertito simil-Ferry in When I’m Sixty Four, s i a c h e a t t a c c h i u n a v i g o r o s a I t ’s A l l To o M u c h n e i b i s ; r i p r e n d e r s i dallo shock di vedere le teste d’occhio su un palco mentre inscenano una pantomima della fanfara c i r c e n s e d i M r. K i t e , d e c l a m a z i o n i da fiera e atmosfera da vaudeville inclusi, non è per niente facile (rarità estrema dell’evento a parte, l ’ e s e c u z i o n e p i ù e ff i c a c e ) ; s e g i à in cuor nostro sapevamo che nessuno meglio di Hitch avrebbe potuto addentrarsi nei brani del Pepper (impresa che ha compiuto di suo qualche mese fa), figurarsi quando si è messo nei panni del Lennon v i s i o n a r i o d i I A m T h e Wa l r u s , c o n tanto di orchestra alle spalle. Con il rischio - anzi, la certezza - di farci odiare a vita da chi legge,èé proprio il caso di dire: beato chi c’era. Antonio Puglia Morgan & Le Sagome - Prato, 25 luglio 2007 Un semicerchio di tastiere in mezzo al palco, e gli altri musicisti intorno: la postazione da cui Morgan ci guida nel suo circo (pop, staccandosene ogni tanto per suonare il basso o per cantare e basta, è una via di mezzo tra un trono, un sedile da pilota e la poltrona del padrone di casa. Anche l’atteggiamento è da salotto: l’ex leader dei Bluvertigo chiacchiera, scherza, tira fuori da una borsa stile “tascapane” anni ‘70 improbabili strumenti con cui a volte scherza e a volte li usa sul s e r i o , s i l a s c i a p o r t a r e d a g l i e ff e t t i delle tastiere che un paio di volte vanno per conto loro e ci accenna su qualche vecchio classico (anni ‘80, ovviamente), dice che in realtà lui e il gruppo preferiscono le chiacchiere e gli intermezzi tra le canzoni alle canzoni stesse - forse perché è la seconda data del tour e, confessa testuale, stanno “suonando con le chiappe strette”. Ma è un gioco: sebbene qualche imperfezione qua e là si senta, il composito gruppo de Le sagome ormai sa come seguire i percorsi del signor Castoldi, e alcuni brani suonano anche meglio dal vivo c h e s u d i s c o ( I l s i n g o l o Tr a 5 m i nuti per dirne una). E’ un viaggio quindi per le strade curiose del pop (tipo la filastrocca di Animali familiari), condotto con atteggiamento di citazione giocosa e sbruffoncella (per quanto con un senso sacrale dell’arte della canzone) più netto rispetto ai tempi dei Bluvertigo, quando il tutto era incanalato in coordinate stilistiche più definite. Nella sua carriera solista invece l’approccio si è liberato, pur avendo mantenuto un’impronta netta e riconoscibile: è questa impronta che spiega sia l’idea di rifare interamente un disco di De André (che vista la beatificazione in atto del cantautore genovese comportava più rischi che altro), sia il fatto che nella scaletta del concerto sentireascoltare 99 Z’ ev, Piombino eXperimenta 2007 quelle canzoni, anche se magari inferiori alle originali, calzino perfettamente in mezzo alle composizioni del Nostro (e alla cover di If dei Pink Floyd già su Canzoni dell’appartamento); anche più di una Sovrappensiero la cui bellezza non toglieva un senso di irrisolto nell’arrangiamento nella versione su disco ancora più forte in questa versione dal vivo. Ma non è - pur rigoroso - tutto gioco: verso la fine Morgan abbandona lo scherzo per far posto alla confessione di Contro me stesso condotta, ma senza “citare”, un po’ con lo sguardo deciso di Per niente stanca della Consoli e un po’ al ritmo della rapsodia dolorosa di Povero me di De Gregori. Poi, con la chiusura di Altrove, si torna al classico, con il gusto per il testo arguto e tutti gli armamentari stilistici soliti; ma quella canzone mostra un’altra faccia di quel talento di cui lo accusano di compiacersi, ma che di sicuro non gli manca. Giulio Pasquali Piombino eXperimenta3 – Piombino (29/30/31 agosto - 1 settembre 2007) Giunto alla terza edizione Piombino eXperimenta, rassegna di sound art e sperimentazione elettronica, ha messo a confronto due diverse generazioni: da una parte quella dei maestri John Duncan e Z’ev e dall’altra quella delle giovani leve come Fabio Orsi, Pietro Riparbelli, Radical Matters e An- 100 sentireascoltare tonio Della Marina; e proprio dalla seconda sono arrivate le note più liete del festival. Come dimenticare, infatti, l’infuocato live set di Fabio Orsi assieme all’ex leader dei Limbo Gianluca Becuzzi, che ci hanno dato dimostrazione di come si possa colpire al cuore anche utilizzando due laptop e una chitarra. Molto convincente anche l’installazione a Palazzo Appiani di Pietro Riparbelli con la sua Camera Sonora for 4 Radiodramas, incentrata sullo studio del rapporto pensiero/percezione, grazie a cinque radio modificate poste all’interno di una stanza buia. Lo stesso Riparbelli assieme a Sandro Gronchi/Radical Matters ha dato vita a quattro installazioni site-specific in una stanza del palazzo in ristrutturazione, dove tra field recordings, giradischi locked groove ed evocazioni di demoni (Goetia), i due hanno dato saggio delle potenzialità del progetto/etichetta Radical Matters. Sempre a Palazzo Appiani si è potuto assistere al Lt. Murnau Music Mixer di Vi t t o r e B a r o n i , g r a z i e a l q u a l e t u t t i avevano l’occasione frantumare e sminuzzare fotocopie che rappresentavano trent’anni di scorie musicali. Sul fronte “maestri” John Duncan con la sua installazione site-specific in un capannone industriale del porto di Piombino, all’interno del quale aveva sistemato degli altoparlanti da cui fuoriuscivano drones metallici, non ha convinto fino in fondo; al contrario il suo live, dal tono austero e cupo, ha dato conferma della sua capacità nel maneggiare bordoni noise. Nella serata di giovedì un folto pubblico è stato chiamato a raccolta dall’icona dell’industrial a m e r i c a n o , M r. S t e f a n J o e l We i s s e r, i n a r t e Z ’ e v , i l q u a l e i n p o c o più di un’ora ci ha dato saggio della sua arte di percussionista alle prese con i famosi gong e piatti in titanio autocostruiti; un live set tra il ritualistico e il minimalista. Da segnalare inoltre il Long String Instrument di Ellen Fullman per la prima volta in Italia, installato all’interno della torre Rivellino. La stessa Fullman per tre sere consecutive, nel suo live set ha accarezzato del suo particolare strumento, con corde lunghe 16 metri, produc e n d o s o ff i c i e d e l i c a t i d r o n e s . Ha raccolto molti consensi Christina Kubisch e la sua installazione nei giardini del castello, dove i n d o s s a n d o c u ff i e w i - f i m o d i f i c a t e e seguendo le trame dei cavi elettromagnetici posti sopra gli alberi, si potevano creare, a seconda della posizione, delle composizioni sonore. Degna chiusura della rassegna toscana è stata l’esibizione dell’organico audiovisivo Cellule d’intervention Metamkine, che grazie al loro consueto armamentario fatto di magnetofoni, sintetizzatori, microfoni a contatto e proiettori di pellicola, hanno fornito uno spettacolo d’impatto figlio diretto della tradizione delle lanterne magiche create nel Seicento da Christiaan Huygens. Nicolas Campagnari CONQUISTADOR! #10 di Fabrizio Zampighi Alle sog lie de i Ses s ant a poc hi m us ic is t i s epp e r o r a c c h i u d e r e n e l t e r m i n e f r e e j a z z i m p e t o m u s c o l a r e e d e l e g a n za , a ton alità e d es inenz e c las s ic he, liber t à di p a r o l a e r i g o r e . Ce cil Taylor fu uno di ques t i. una rubrica jazz a cura di Stefano Solventi e Fabrizio Zampighi “Penso alla mia musica in termini di possessione e di trance [...]. Ho bisogno di creare delle circostanze [...] che dipendono dal modo in cui vivo, che si riferiscono sia al pianoforte sia ad altro, in maniera tale che lo sviluppo della musica possa continuare”. Vita e jazz vanno di pari passo nell’arte di Cecil Taylor. Lo scorrere del tempo, l’evolversi del quotidiano, la sofferenza, la nascita e la morte diventano colori, sfumature, declinazioni di un sound furente e inarrestabile. Un sound talmente umorale da poter essere circoscritto soltanto dai limiti fisici del buon vecchio vinile, sulla cui superficie si postano senza ritegno al massimo un paio di sillogismi (uno per lato). Un sound massiccio, dall’aspetto poco invitante, summa del lavoro di un pianoforte che scalpita, si impenna, viene battuto a sangue, galoppa come un purosangue imbizzarrito. Secondo un illustre studioso della materia come Arrigo Polillo, tre sono i nomi che cambiarono forma al jazz all’inizio degli anni sessanta: John Coltrane, Ornette Coleman e, appunto, Cecyl Taylor. Tre cavalieri dell’Apocalisse che rivoltarono dal basso la vecchia musica afroamericana domiciliando il futuro free tra le istanze politiche progressiste del periodo e la voglia di rinnovamento di un gruppo di musicisti fuori dagli schemi. Taylor fu forse, dei tre, quello che raccolse meno consensi, in virtù di uno stile spigoloso, ostico, vicino all’atonalità, difficilmente digeribile, tuttavia affascinante, elegante, anarchico. Uno stile che in Conquistador! (Blue Note, 1966) rivela tutte le sue potenzialità. A dar manforte al padrone di casa nelle due tracce che costituisco- (Gi)Ant Steps Cecil Taylor no il corpus del disco vengono chiamati Bill Dixon alla tromba, Jimmy Lyons al sax alto, Andrew Cyrille alla batteria e Henry Grimes / Alan Silva al contrabbasso. Musicisti dall’animo affine capaci al tempo stesso di esaltare le storture armoniche del pianoforte e di indirizzarne i passi con un contorno strumentale adeguato. A cominciare dai diciassette minuti e cinquantuno del lato A, in cui i fraseggi veloci posti in apertura da Taylor svegliano gli ottoni, chiacchierano tra loro, per poi seguire – si fa per dire – la batteria in un’orgia ritmica sudata e distonica tra saliscendi di tromba e sax. Passa un terzo della title track ed è già tempo di fermarsi a pensare: si rilassano i muscoli, si sciolgono le dita, si dà aria ai polmoni, per poi riprendere gradualmente il match con una danza serrata di tastiere e piatti prima e un omaggio alle attese spasmodiche di Charles Mingus poi. Due battiti di ciglia ed è gia ora di girare l’LP. Si scopre allora che il contrabbasso di Alan Silva non disdegna i volteggi controllati e le pattinate sulla tastiera, che il pianoforte di Cecil Taylor puo’ anche sciogliersi in cascate di note classiche, che gli strumenti a fiato sono più libertini di quanto non fosse sembrato inizialmente. Una sensazione che guadagna in consistenza con i minuti che passano, finché i tasti bianchi e neri non rubano la scena agli altri strumenti accelerando Monk da trentatrè a quarantacinque giri, imprecando contro le spazzole, perdendo gradualmente di intensità fino al termine del disco. Un silenzio conclusivo che, tuttavia, ha il sapore di un nuovo inizio. sentireascoltare 101 WE ARE DEMO a cura di Stefano Solventi e Fabrizio Zampighi WE ARE DEMO Side A Giovani virgulti dell’entroterra soglianese tutti umiltà, disagio e panzette da birra. Power trio d’assalto, i Chester Polio. Grande desiderio di venire allo scoperto. Grande urgenza di spaccare tutto. Hardcore noise strumentale (tuttavia una voce sarebbe un gran bel passo avanti) strutturato come da scuola math rock ma suonato con inevitabile attitudine punk. Le figure geometriche ci sono, semplici se vogliamo, ma ci sono. Il problema (se problema lo si vuol chiamare) e che sono su piani cartesiani differenti: impressiona come spesso chitarra e basso siano completamente dissonanti e paralleli. Viene quasi il dubbio che non si siano accordati gli strumenti prima di registrare. Oppure che ognuno suoni quel che gli va buttando appena l’orecchio al putiferio che lo circonda. Mi piace comunque pensare che sia tutto voluto e studiato al centimetro. La batteria sferraglia e mattona a dovere. Pesante e precisa. La registrazione è molto buona ed adeguata al genere. Come prima prova insomma c’è da divertirsi e da godere forte, magari con qualche dubbio e riserva. Sono giovani e si sente, in senso del tutto positivo comunque. Una maggiore esperienza, coesione e qualche struttura più complessa gioveranno in futuro al disastroso combo. Per ora la cosa migliore è andarseli a vedere dal vivo. Candidi quanto brutali. (6.5/10) Gioacchino Turù da Ivrea ora Firenze è un ragazzo pigro, molesto, un tipo poco 102 sentireascoltare #20 raccomandabile, amante delle provocazioni (anche gratuite) e dell’osceno. E’ il solito gioco a cercare di capire quanto ci è e quanto ci fa. Lasciamo ad altri. Ci concentreremo piuttosto su questo C’è chi è morto sul Tagadà, concentrato di canzoncine svogliate e sboccate fino all’eccesso, minimalismi elettronici, puntilli di tastierine vintage, micromusic 8 bit, electro cafona ed autoreferenzialità hip hop. Su tutto questo ambaradàn svetta la voce di Gioacchino che per- zoni sono sempre più compiute e sembra che finalmente ci sia anche la voglia di comunicare e piacere, che ricordiamo, non è male alle volte. In più c’è da segnalare che la canzone Girls from Ronta è veramente e finalmente una meraviglia, singolo riuscito e maturo. Bello che pronto per i vostri I-pod. Inevitabile il consiglio di continuare su questa strada. Molto bella anche Paul Rock che richiede a gran voce una linea vocale adeguata. Inutile aggiungere che fa piacere constatare i lopiù canta-parla-delira estemporaneo come fosse un karaoke con il solo scopo di divertire una stretta cerchia di amici ubriachi nel suo appartamento. Eppure nonostante l’atmosfera completamente disimpegnata e cazzona sembra di intuire che il ragazzo sappia il fatto suo ed abbia le idee abbastanza chiare in fatto di stile e attitudine. Viene il dubbio che se smettesse di giocare e si impegnasse un po’ di più potrebbe essere in grado di sfornare vere e irriverenti hit bomba. Anzi, mi arrischio ad affermare che su questo dubbi non ce ne siano poiché L’uomo + bello del mondo e soprattutto la splendida Forza Marco Prandi delle hit bomba lo sono già. Le ascolti, le vuoi riascoltare e non te le scolli più dalle cervella. E allora, Gioacchino! (6.7/10) Di Mark Zonda si era già parlato nel We Are Demo di aprile. Sembra che ora il talentuoso cesenate abbia voluto dividere la sua produzione in due diversi progetti: M’Ar(o per quel che concerne la produzione solista in italiano e per l’appunto Tiny Tide che invece vedrà il Nostro affiancato da valenti compagni di squadra. Le coordinate di questo Zonda Feb Demos sono sempre le stesse: ultrapop deviato molto Eighties, melodie appiccicosissime e riuscite ma sfasate e dall’effetto straniante e psichedelico. Strati di tastiere fluttuanti, cori angelici, basi elettroniche, voce lontana, sommersa e spesso imprecisa, come se stessimo assistendo ad un karaoke casalingo nell’iperspazio. La novità è che i progressi ci sono. Eccome. Le can- progressi di un’artista sul quale si era già scommesso. Forza Mark! (7.0/10) Davide Brace Side B I My Morning Needle sono un trio bresciano coagulato nel 2002 attorno a quest’idea psych eterea e pastosa, tipo un blues (mal)digerito a post e dark di cui resta una vena pietosa e scura, un battito che batte flebile ma incessante, chitarre che indagano il silenzio tra esplosioni differite e distorsioni pittoriche. Le tracce di While A Beautiful Autumn Fell sono quattro ma bastano a raggiungere i tre quarti d’ora canonici, grazie soprattutto a quella Venus Blue che sfiora i venti minuti al modo d’una suite tutta assorti ciondolamenti, sussurri, sospensioni sigurrossiane, una tromba che scomoda il Miles di Solea, palpiti Kozelek nella penombra For Carnation, B o n u s Tr a c k certa rabbia moderna manteca la devozione (This Town, In Your Time Of Need), soprattutto c’è un voler stare con tutti e due i piedi in questo sogno alla frontiera di tutti i sogni disillusi ma evidentemente ancora vivi. Tutto ciò me li fa amare subito e senza condizioni. Sarà che sono sensibile a certe cose. (7.0/10) Come già segnalato in un vecchio WAD, i torinesi Farmer Sea suonano come una fantomatica “next big thing” già accaduta, solo che non se n’è accorto nessuno. Almeno, per me che ho amato il precedente Where People Get Lost And Stars Collide questo quartetto è “accaduto” eccome. Tornano con Helsinki Under The Great Snow, un mini cd - due brani appena – bastevole ad assodare le buone sensazioni. Prima ciondolando trepido sulla grazia slo-fi della title track, sorta di fusione tra lo sciropposo languore dei Pavement più quieti, il “tepore algido” della miglior folktronica, il dipanarsi orizzontale delle inquietudini Yo La Tengo e nel cuore forse - chissà - un po’ dello spazio dilatato Red House Painters. Eppoi con l’incedere dinoccolato di Neil Young Is Watching Me, gentilezza remmiana dedita a turgori Malkmus cantata a mezza voce intanto che monta l’emulsione di chitarre Teenage Funclub nel giaciglio elettronico, ma considerate che con un titolo così mi piacerebbe anche un rutto di topo. Recuperando la serietà, vorrei sottolineare come la loro forza non stia - lo avrete capito - nell’originalità della proposta, quanto nella padronanza, nella disarmante disinvoltura con cui mettono assieme la loro cosa, senza clamori gratuiti, una lucidità estetica che va al sodo senza mai perdere la tenerezza. Non potrebbero che migliorare, se qualcuno investisse su di loro. Casomai quel qualcuno si decidesse ad accorgersene. (7.2/10) Contrariamente a quello che potrebbe sembrare dalla copertina piuttosto spartana, Does It Make You Smile? degli Shine è un EP che poco ha del demo e molto del disco finito. Merito di una proposta musicale matura basata su una sfida a colpi di riff tra basso, chitarra (due) e batteria, un po’ Television, decisamente Cure – soprattutto nel cantato -, non troppo distante dagli Smiths. Nei tredici minuti del disco, tra grooves uncinanti (la title track) e parabole venate di acid jazz e funk (Close To The Ground), i Nostri trovano anche il tempo per una dedica “speciale” riservata alla stampa di settore (Music Press) (voto: 6.7/10, web: www.shineplace.it). Dialetto siciliano e rock si uniscono nell’omonimo demo dei Tramuntana, per nove episodi in bilico tra toni riflessivi (In cattività) e mid-tempo energici (A Prisenza), dissonanze (8/10) e intermezzi cantati in italiano (Dal profondo), chitarre acustiche (Sonata triste) e vapori noise (Dumani). Se il cuore suggerisce di chiamare in causa i 24 Grana come illustri predecessori, la testa ci fa invece notare come la band possegga una personalità musicale peculiare, veicolata da buone doti di scrittura e capacità tecniche nella media. Per un suono che ha ancora bisogno di crescere, pur mostrando di avere agevolmente superato i turbamenti ormonali dell’adolescenza (voto: 6.5/10, web: www.myspace.com/tramuntana) Zerovolume è invece sinonimo di elettronica nell’accezione più generica del termine, ovvero musica in cui programmazione industrial e cornici sintetiche di basso vanno di pari passo con chitarre elettriche e batteria. A dar vita ad una formula che più che i Bluvertigo sembra ricordare i meno noti Dorian Gray, tre musicisti innamorati della techno applicata agli overdrive (Silenzi Radio), dei Subsonica (Effetti collaterali), delle narcosi in forma di beat (Fotografia), dei paesaggi cosmici (lo strumentale Echoes Of Emotive Interferences). Cinquanta minuti che da un lato non lasciano trasparire cadute di stile e dall’altro non soddisfano appieno causa soluzioni musicali talvolta troppo asettiche (voto: 6.4/10, web: www.zerovolume.it). Stefano Solventi Fabrizio Zampighi sentireascoltare 103 WE ARE DEMO finché non deflagra al modo di un accorato folk-rock gilmouriano (l’assolo però tende al noise) e s’acquieta di soul triphoppato. Capito che roba? Quanto ad Halogen 1200, il pezzo più breve coi suoi “soli” sei minuti e mezzo, è una marcia tra schiva apprensione e livide inquietudini, una carica sotterranea che promette minacce sul punto di accadere e invece si limita a piantarti una falce di luna giusto nella giugulare. Ok, basta così. I restanti due pezzi più che altro ribadiscono per altri venti minuti - più morbidamente jazzy Cable Swing, in liquido crescendo psych-post Coal Day. I ragazzi hanno fatto le cose per bene, registrando live (chapeau) a Milano con Lorenzo “Milaus” Monti per poi affidare il mastering alle cure dell’inglese Alan Ward in quel di Bruxelles. Direi che ne valeva la pena. (6.9/10) Tocca poi a questo duetto da Aprilia, Cristiano (voce, chitarre e tastiere) e Fabrizio (batteria, basso, cori), coadiuvati nelle esibizioni live da Massimo e Roberto, rispettivamente bassista e chitarrista. D’altronde, c’è o non c’è da suonare qualcosa che suoni caldo e pieno? Un sound covato negli anni in cui i due fondatori si sono trovati a collaborare in progetti vari, finché la brama folk rock impregnata di Seventies si è concretizzata nei Desert Motel, al debutto con questo Out For The Week End ep. Già il titolo dice molto. Sette tracce in cui puoi vedere neanche tanto in filigrana la sagoma della Band (What About You), di Petty, dei Calexico, qualcosa di Young e dell’imprescindibile Gram Parsons (Paths). Il suono è pasturato ad organo, slide, armonica, c’è persino una tromba tex-mex. Sfilano ballate acidule col cuore che si spalma on the road (A Song For When You’re Blue, Resurrection), la vibrazione analogica incombe su tutto, la voce rammenta vagamente Willie Nelson, una Classic Van Dyke Parks FIABA DEL GENIO D’ANTAN di Filippo Bordignon S enza b iso gn o d ei clam or i della c r onaca o d el tribu to di qualc he c om pilation cele bra tiva Va n Dyke Par ks si è infiltrato nelle t r a m e d e l l e p i ù importanti situazioni d e l r o c k e d e l pop. Tracce d el su o oper at o nelle canzo ni di de cin e e dec ine di ar t isti diametralmente o p p o s t i t r a l o r o : B yrds, U2, Le o Kottk e, St an Ridgway, Laurie Anderso n , F i o n a A p p l e , Grat efu l De ad , Ph il O c hs , Tim Buc kley, Bru ce Sp ring s t een per c it ar ne a lcu ni. Pian ista , c om pos it or e, arran gia tore , p rod utt or e e par oliere, egli ha incarnato i n m a n i e r a d e l tut t o p erson ale la fig ur a dell’ar t is t a che parte dal passa t o ( n e l c a s o l a musica tradizionale a m e r i c a n a ) p e r giunge re a l co nio di c his s à quale nuova estetica. L a r i s u l t a n t e d i questo viag gio inim it abile è bene espressa da un a ma nc iat a di album che, con sid era ti p er la v alidit à della loro pro po sta mu sic ale, m er it er ebbero d i ve nire an al iz z at i nei Conservatori di ogni dov e . Van Dyke Pa rks n asc e il 3 gennaio 1943 a Ha ttiesbur g ( M is s is s ipi) cittadina nota se n o n a l t r o p e r l’attribuzione, da pa r t e d i q u a l c h e giornalista, del tito l o d i “ l u o g o d i nascita d el rock’n ’roll” , per v ia delle registrazioni effe t t u a t e n e l ‘ 3 6 dai Mississippi Jook B a n d , u n t r i o acustico. Lu ng o tu tt a la s ua inf anzia Van Dyke re sp ira a pieni polm oni musica , arte e spet t ac olo. I pr imi passi “profession a l i ” r i g u a r d a n o quest’ultima categor i a : t r a i l ’ 5 3 e i l ’58 s i p resta p er com par s at e t elevisive e cinematogr a f i c h e ; i l r u o l o che o gg i vien e più m enz ionat o gli capit a, tred ice nn e, per I l ci gno, con protagonista G r a c e K e l l y. L a sua pre dispo sizion e m us ic ale invece è sviluppata pr i m a g r a z i e a l l a frequ en tazion e d ell’ Am er ic an Boy choir School di P r i n c e t o n ( n e l l a quale si disting ue co m e v er o e pr o- 104 sentireascoltare pr io enf ant p r o d i g e ) e p o i a l C a r negie Institute di Pittsburgh dove, abbandonat o i l c l a r i n e t t o , s u o p r i m o s t r um en t o , s i d e d i c h e r à a l p i a nof or t e dipl o m a n d o s i . Con il fratello Carson però decide d’im br ac c ia r e l a c h i t a r r a a c u s t i ca, tentando l’approccio del folk a nom e The S t e e l t o w n . S i i n i z i a c o n un duo, un trio, poi tutto si allarga c o m e G r e en w o o d C o u n t y S i n g e r s . Le pr im e r e g i s t r a z i o n i u ff i c i a l i ( ’ 6 6 ) a proprio nome sono due singoli per la M G M di c u i u n o i n p a r t i c o l a r e , Num ber Nin e / D o Wh a t Yo u Wa n t a, m et t e in l u c e u n e l e g a n t e a r r a n giamento pop su un celebre tema della Nona d i B e e t h o v e n . G r a z i e a u n c a m b i o d i e t i c h e t t a ( Wa r n e r Bros) Parks ha modo di conoscere ed entrare in sintonia con il leader dei Beach B o y s , B ri a n Wi l s o n . Q ues t i i f at t i : r e d u c e d a l m a s t e r p i e c e Pet Sou n d s e d a l l a r e p l i c a d e i Beat les Rev o l v e r i l p o v e r o B r i a n s i s t a s c er v ell a n d o n e l t e n t a t i v o d i s u per ar e Lenn o n e s o c i c o n u n o p e r a che vorrebbe fosse “una sinfonia adoles c enzi a l e p e r i l S i g n o r e ” a t i t olo Dum b A n g e l ( “ A n g e l o S o r d o ” ) . Par k s , inga g g i a t o c o m e p a r o l i e r e , c am bia s ub i t o i l t i t o l o n e l p i ù b e n e augur ant e S mi l e e r e a l i z z a i t e s t i di Sur f ’s Up , H e r o e s A n d Vi l l a i n s , W onder f ul, C a b i n E s s e n c e e d e l l a dr ogat a Win d C h i m e s ( b r a n i c h e , r i cordiamo, Wilson pare abbia scritto al pianoforte, all’interno di un box r iem pit o di s a b b i a n e l p r o p r i o s o g giorno). In casa Beach Boys però il suo approccio stravagante con le lyrics viene spesso freddato da Mike Love che bolla certe immagini c om e “ allit e r a z i o n i i n p r e d a a l l ’ a c i do” . L’us c it a de l l ’ i m b a t t i b i l e S g t . P e p per ’s è p e r W i l s o n l a g o c c i a c h e f a t r aboc c ar e i l v a s o e c a d e i n p r e d a a un dev as t a n t e e s a u r i m e n t o n e r - v o s o . D o p o u n a s e r i e d i r e g i s t r a zi o n i i n e ff i c a c i n o n s e n e f a p i ù n u lla; S mi l e d i v e n t e r à l ’ a l b u m f a n t a s ma p i ù f a m o s o d e l l a s t o r i a . N e u s cirà u n a v e r s i o n e a b o r t i t a a t i t o l o S m il e y S mi l e e s o l o n e l 2 0 0 4 W i l son t r o v e r à l a f o r z a p e r d a r e u n a ve s t e d e f i n i t i v a a l l ’ a l b u m a g o g n ato, c o n s e g n a n d o u n a v e r s i o n e s u o na t a e x - n o v o s e n z a i n f a m i a e s e nza l o d e . P a r k s n e l f r a t t e m p o n o n si p e r d e d ’ a n i m o , r e a l i z z a n d o i l su o p r i m o a l b u m s o l i s t a , u n a n i m e m en te considerato il suo capolavoro. S o n g C y c l e ( Wa r n e r B r o s , ’ 6 8 ) è u n c a l e i d o s c o p i c o a l t a l e n a r s i di g e n e r i m u s i c a l i c h e i m p i e g a u n ’o r c h e s t r a d i 6 0 e l e m e n t i e p i ù . L’ i n t e r p r e t a z i o n e d i Vi n e S t r e e t ( s c r itta dall’amico Randy Newman del qual e h a a p p e n a p r o d o t t o l ’ o m o n i mo e s o r d i o ) i n a p e r t u r a p a r l a 1 m i n uto d i b l u e g r a s s p e r p o i m u t a r e i n s pi e gabilmente verso arrangiamenti in b i l i c o t r a B r o a d w a y e i l t r i p l i se r g i c o . P a l m D e s e r t p r o s e g u e , a ffa b u l a t a d a l c a n t o d i P a r k s , s p e ci e d i e n t e r t a i n e r d i s n e y a n o i n v ena d i s u r r e a l t à . Wi d o w ’s Wa l k , L au rel Canyon Blvd., Public Domain s f r u t t a n o o g n i t r u c c h e t t o i m p i e g an d o e ff e t t i , s o v r a i n c i s i o n i e u n uso d e l l ’ o r c h e s t r a ( s p e c i a l m e n t e d egli a r c h i ) o r i g i n a l e e m a g n i l o q u e nte . Tu t t i i b r a n i s o n o i n c a s t r a t i l ’ uno n e l l ’ a l t r o ( “ s o n g c y c l e ” , a p p u nto) l a s c i a n d o l ’ a s c o l t a t o r e e s t e n u ato da una complessità strutturale calcolata fino al parossismo. La vers i o n e s t r u m e n t a l e d e l l a C o l o ur s d i D o n o v a n f a s e m b r a r e L e t ’s Go Aw a y F o r Aw h i l e ( u n i c o s t r u m e n tale n e l l ’ o s a n n a t o P e t S o u n d s ) p o c o più d i u n e s e r c i z i o i n c o m p i u t o . To c c a n t e i l b r e v e Va n D y k e P a r k s : s i t r atta d e l l ’ i n n o c r i s t i a n o N e a r e r, M y G od, To T h e e , l ’ u l t i m a c a n z o n e s u o n a ta d a l l ’ o r c h e s t r i n a d e l Ti t a n i c p r i ma d i c o l a r e a p i c c o , a l q u a l e v e n g ono v es t i t o d i t u t t o p u n t o c o m e u n s o u t her n m a n p r i m i ‘ 9 0 0 . L a t i t l e t r a c k ( unic o p e z z o o r i g i n a l e d e l l a r a c c o l ta) è uno dei momenti più semplici ed eff i c a c i d e l l ’ i n t e r o r e p e r t o r i o . L a riedizione Rykodisc contiene inoltre il c o m m o v e n t e s t r u m e n t a l e A m a z ing G r a c e - S l o w Ve r s i o n . J u m p ! ( Wa rn e r B r o s , ’ 8 4 ) e h a i l m e r i t o d i dis t o g l i e r e i l n o s t r o d a u l t e r i o r i t e n t az io n i e t n o m u s i c o l o g i c h e e r i c o n giung e r l o c o n l a c r e a t i v i t à d e l g i o co, del sogno, della fiaba. Si tratta d i 11 p e z z i c o n c e p i t i p e r u n m u s i c a l m ai r e a l i z z a t o e i s p i r a t i a l l a r a c c o l t a pe r b a m b i n i U n c l e R e m u s d e l l o scrittore Joel Chandler Harris. Il m elt i n g p o t d i u m o r i i n r o t a z i o n e ha r i n u n c i a t o a l l ’ e l e g a n t e o m b r o s i t à di S o n g C y c l e , p u r c o n t i n u a n d o a farci apprezzare l’ecletticità del nos t r o . B l u e g r a s s , j a z z e Ti n P a n Alley s t y l e r a c c o n t a n o a p i c c o li e grandi le vicende del coniglio Br ’er. To k y o R o s e ( Wa r n e r B r o s , ’89) sposa plasticamente sapori or ien t a l i a v a p o r i d i B r o a d w a y, a n a l i z z an d o c o n i r o n i c a i n t e l l i g e n z a i rapporti Giappone - Stati Uniti in c anz o n i s p a s s o s e c o m e Ya n k e e G o H o m e e M a n z a n a r. T h e F is he r m a n & H i s Wi f e ( W i n d h a m H ill, ’91) è p i ù c h e a l t r o u n t e n t a t i v o m u l ti m e d i a l e p r e s t o d i m e n t i c a t o nel quale P a r k s s c r i v e i l t a p p e t o s onoro per u n a f i a b a r e c i t a t a d a J o d i e Fo ste r. N e l ’ 9 5 s i r i p r i s t i n a l a p artnership c o n Wi l s o n p e r O ra n g e C r a t e A r t ( Wa r n e r B r o s ) ; p u r b o l s a e m a m m o n a l a v o c e d i Wi l s o n t o r n a a i n te n e r i r e g r a z i e a l l e c o n v i n ce n ti co m p o s i z i o n i d e l l ’ a m i c o . L a b e l l a title t r a c k , S a i l Aw a y e Wi n g s Of A D o ve a l z a n o l a p o l v e r e d e i “ b e i ve cch i t e m p i ” , c o n l e t i p i c h e a r m o n i zza z i o n i v o c a l i d i c a s a B e a ch Bo ys e i l m e s t i e r e d i P a r k s . L u l l a by d i Ge r s h w i n i n c h i u s u r a v a l e d a so l a l ’ a cq u i s t o d e l l ’ a l b u m . L a “ c r ate art” è a n c h e u n s o t t o g e n e r e a r ti sti co d a n o i s c o n o s c i u t o c h e s i r i f erisce alle i l l u s t r a z i o n i p e r l e c a s s e de l l a fr u tt a , t e s t i m o n i a n z e d a i c o l ori accesi d i u n m o n d o b u c o l i c o t u t t o allegria e s e r e n i t à . I l s o r p r e n d e n te M oonl i g h t i n g ( Wa r n e r B r o s , ’ 9 8) palesa l a v a l i d i t à d e l l ’ e s t e t i c a parksiana a n c h e n e l c o n t e s t o l i v e c on d e l i ca t e c o n f e r m e ( D a n z a ) e i n te r p r e ta z i o n i s u p e r i o r i a l l e v e r s i o n i d a stu - sentireascoltare 105 Classic sovrap po sti i bom bar dam ent i della g ue rra in Viet nam . The All G olden è sinte si pe rf et t a di r ic er c a ar m onica e capacit à m e l o d i c a ( p u r n e l l a frammentazio n e , n e l l o s c h e r z o e n el g ioco a lla c it az ione c olt a) . Stimo lan ti sor pr es e s ono pr ev is t e p ure ne i ’70 , all’indom ani della pr od uzion e pe r u n’alt r a gr ande pr om es sa, Ry Cooder, c on il quale s i instaurerà una v i v a c e c o l l a b o r a z i o n e che dura fino a i g i o r n i n o s t r i ( v e d i My Na m e Is Buddy del 2007) . L’unico d ifetto de l s uc c es s iv o Di scover ing Am e r ica ( Wa r n e r B r o s , ’ 7 2 ) è di suonare un p o c o e s t r a n e o a i n o n conoscitori de l l a m u s i c a t r a d i z i o n e a merican a. Tit oli e t es t i c it ano per sonaggi politi c i ( J . E d g a r H o o v e r ) , d ello spe ttacolo ( J ac k Palanc e) e della musica ( i l q u a r t e t t o j a z z d e i Mills Brother s ) a m e r i c a n i c h e a l pubblico d’olt r e o c e a n o d i c o n o p o c o o nulla. L’inda g i n e m u s i c a l e s i a p r e verso le orch e s t r i n e d i c a l y p s o i n comp osizio ni più r ilas s at e e dec isamente eso t i c h e . E s t r e m i z z a n d o i ton i d ella sua r ic er c a Par k s f inisce sulla cop er t ina di C l a n g O f T h e Yanke e Rea per ( War ner Br os , ’76) Van Dyke, la tua m u s i c a h a u n fo rte im pa tto vis ivo t ut t avi a non mi ris ulta sia m ai st at a abbi nat a a d ei videoclip… N ei ta rdi a nn i ’60 - iniz io dei ’70 ho calza to le ve sti d i pr odut t or e per alcuni video usciti per l a Wa r n e r B r o s e la Reprise Record s , m a s i t r a t t ò sempre di un lavoro s v o l t o p e r a l t r i artisti. Nessuno ha m a i p e n s a t o d i produrne uno per me c o s ì h o d e c i s o di arrangiarmi. Ne re a l i z z e r ò u n o i n occasione del mio p r o s s i m o a l b u m la cu i u scita è pre v is t a nel 2008. Cosa ricordi del periodo di Song Cycl e? Quell’album lo composi che avevo 24 anni; ero piuttosto abbattuto a causa della morte di mio fratello. Ne r is ult ò u n ’ o p e r a d i g r a n d e i n t e n s it à, del t utt o p e r s o n a l e . C l a n g O f Th e Ya n k e e R e a p e r : u n a canz one pre s s o c h é p e rf e t t a ; v e n t i l ast i l ’ i po t e s i d i f a rn e u n h i t s i n gl e? Non ricordo precisamente come andò ma sta sicuro che ignorare le possibilità di farne un singolo fu una dec is io n e d e l l a c a s a d i s c o g r a fica. Non si può proprio dire che mi s uppor t as s e r o i n m a n i e r a e ff i c i e n t e . Prima apparizione sullo schermo nel ’ 53; l ’ ult i ma v o l t a c h e t i h o v i sto in TV è stato in un episodio d i Tw i n P e a k s n e l ’ 9 0 ( s t a g i o n e 2 , epi sodi o 12 ) . Q u a l i a l t ri “ c a me o ” m i sono pe rs o ? Beh quei piccoli cameo (che non r ic hiedono s p e c i f i c h e a b i l i t à i n t e r pretative) mi si sono presentati di t ant o in t an t o s e n z a c h e s t e s s i a c er c ar li. M e l a s o n o s p a s s a t a m e t tendomi alla prova e, unitamente a ciò, quelle “apparizioni” mi danno la pos s ibilità d i c o p r i r e l a m i a f a m i glia con un’adeguata assicurazione s anit ar ia. Dal t uo s i t o i n t e rn e t h a i l a n ci at o l a p ro v o c a z i o n e d e i G o l d e n M i k e Aw a r d s : c h i p o t r e b b e esser e i l p ro s s i mo c a n d i d a t o ? Beh quei p r e m i s o n o n a t i u n p o ’ p e r g i o c o , a ff i n c h é c e r t e p e r s o n e si f e r m a s s e r o u n a t t i m o a d a s c o l t ar e q u e l l o c h e s o n o r i u s c i t e a d i r e… m a g a r i q u a l c u n o d i q u e l l i n o m i nati r i l e g g e n d o s i p o t r e b b e v e n t i l a r e la p o s s i b i l i t à d i f i c c a r s i u n a c i a b atta i n b o c c a p r i m a d i u s c i r e c o n c erte dichiarazioni. D a d o v e s a l t a f u o ri l a s t o ri a n a r r a t a n e l l ’ a l b u m T h e F i s h e r man A n d H i s Wi f e ? S i t r a t t a d i una f i a b a t e d e s c a d e l 1 8 s i m o s e c olo ra c c o l t a d a i f ra t e l l i G ri mm. L a c o p e r t i n a d e l l ’ a l b u m G re a t es t H i t s d i P h i l O c h s l o r i t r a e c ome una rock star tutta lustrini e disimp e g n o . C h e r a z z a d i s c h e r z o era q u e l l o ? Tu t t o p u o i d i r e d i P h i l O chs tranne che scherzasse. Fu uno dei p i ù s o t t i l i c o m m e n t a t o r i d e l l a s c ena s o c i o - p o l i t i c a a m e r i c a n a . A B o b D yl a n s a r e b b e p i a c i u t o e s s e r e c ome Phil Ochs! Di sicuro se fosse ancor a v i v o o g g i n o n s i s a r e b b e p r e sta t o p e r a p p a r i r e i n u n a p u b b l i c i t à di Vi c t o r i a ’s S e c r e t o d e l l a C a d i l l ac. Quelle sì che sono prese in giro. “ Q u e l l o c h e n o n a mma z z a f or tifica”. Bello s a re b b e sapere c o s ’ h a t e n t a t o d i a mmazz a r t i n e l c o r s o d e l l a t u a v ita. L’ i n t o l l e ra n z a n e i c o n f ro n t i d e ll a mu s i c a d a p a rt e d e l l ’ i n d u s tr ia d e l l a mu s i c a . D e l i c a t o s t a b i l i r e d u r a n t e l a f a s e di c o m p o s i z i o n e q u a n d o u n p e z z o sia v e r a m e n t e t e r m i n a t o . I l r i s c h i o è di d i l u n g a r s i o d i l a s c i a r e u n s e nso d’incompletezza. Qualche puntualizzazione? N o n m e l a s e n t o d i d a r e c o n s i g li a u n c o m p o s i t o r e . S e p r o p r i o d o v essi darne uno sarebbe un sentito ric h i a m o a l l a m o d e s t i a c h e t u t t i noi, successivi a J. S. Bach, dovremmo praticare senza esclusioni. Q u a l è l a d i f f e r e n z a s o s t a n z i ale t r a s c r i v e r e l a c o l o n n a s o n o r a per u n f i l m o p e r u n ’ o p e ra t e a t ra l e ? S t a t u t t o n e l f a t t o c h e s i t r a t t a di d u e c o s e d i v e rs e . S e l ’ a r t e è u n o s p e c c h i o , c o s a v edi r i f l e s s o n e l l ’ a s c o l t o d e l t u o To kyo R o s e ? D i p i n g e l a d e c a d e n e l l a q ua l e i l G i a p p o n e r a g g i u n s e i l s u o “ ze i t g e i s t ” d i v e n t a n d o u n a s u p e r p o t en - Van Dyke Parks e Brian Wilson Classic dio c ome Th e All Golden, p e r s o l o piano e vo ce . Se la pr oduz ione discografica del Nostro p u ò s e m b r a r e centellinata è a cau s a d e l l ’ i n f i n i t à di collaborazioni e a t t i v i t à m u s i c a l i collate rali n elle qu ali è c os t ant emente immerso. Tra le tan to colo nn e s onor e v a r icordato il tocca nte es or dio c inematografico alla reg i a d i A n g e l i c a H uston Bas tar d Out O f Car ol i na e i da n oi p iù n oti Ver so i l sud e Il g rande inganno, dir et t i e int er preta ti da Jack Nicho l s o n . M a p o i c i sono le musiche pe r g l i s p e t t a c o l i teatrali, quelle per p i c c o l e e g r a n d i produzio ni te levisive e le s em pr e più nutrite co mpa riz ioni nei pr oget ti di amici e collegh i i n q u a l i t à d i pianis ta o arra ng iator e. Com e non rest arne affa scina ti? Q ues t o pic c olo grande uomo cela i n s é i l m i s t e r o di una creatività co n t a g i o s a , d e l l a quale possiamo spe r a r e d i v e n i r e colpiti, rispolverand o i n q u a l s i a s i punt o la sua impre sa m us ic ale. 106 sentireascoltare Classic za econ omica. Tent ai di es pr im er e la mia a pp ren s ione di allor a r iguar d o q ue ll’evolu z ione. A ques t o pr oposito vorrei r a c c o m a n d a r e i l l i b r o Hocus Poc us dello s c r it t or e am erican o Ku rt Vonnegut c he, qualc he anno dopo la p u b b l i c a z i o n e d e l m i o album, affron t ò l a s t e s s a t e m a t i c a con grande hu m o u r. Non ti s em b r a che l e pr i m e r egistrazioni b l u e s ( B l i n d L e m o n Jefferson, B l i n d Wi l l i e J o h n s o n ecc.) pur nei l i m i t i d e l l e t e c n i c h e di registrazio n e c o n t e n e s s e r o u n fe eling che i l bl ues cont em por aneo non r ie sce a cat t ur ar e? Da q ue lle pr im e r egis t r az ioni t r aspira una tris t e z z a s i n c e r a e m o l t o d iretta ch e è poi il f ulc r o del blues . Si sente un s e n s o d i u r g e n z a c h e sca turisce da una r abbia quas i palp ab ile. Qualc he nom e? Il mio pre ferito è Howlin’ Wolf c on il q ua le h o co nd iv is o ( in f or m a pos t uma p er lui) l’ins er im ent o nella M is sissipi Mu sician Hall of Fam e. Er i a m ico di Ti m Buckl ey… Ma non abbastanza da impedirgli di cadere nella trappola dell’eroina. Gli ero molto vicino, ma al tempo non sospettavo che ci fosse cascato. Dopo 30 anni una nuova collaborazione con Brian Wilson per Orange Crate Art; com’è stato tornare a confrontare le vostre creatività dopo il casino di Smile? Sentivo di d o v e r d a r e u n a m a n o a lla ca rriera d i Br ian, in nom e della fiducia che m i a v e v a d i m o s t r a t o prendendomi c o m e s u o p a r o l i e r e n ei tard i ’6 0. Nel ’95 non s t av a r egistrando nul l a . M i s e m b r a v a u n a fo llia e pe nsai c he un po’ di at t enzion e mass-m ediat ic a s ar ebbe s t ata utile per st i m o l a r e l a s u a v i t a . E avevo ragione . Parlando de l l ’ e d i z i o n e 2 0 0 4 d i Sm ile Dav id Thom as ha det t o: “Smile non è m a i u s c i t o . Q u e l l o c he tr ov i ne i negoz i cont i ene al c une de lle ca nz oni scr i t t e dur ante quelle ses s i o n . N o n è l a s t e s s a cosa ” . D o ma n d a : c o s a t i a p p a s si onò n e l l a f a s e d i re a l i z z a z i o n e di Sm i l e n e l ‘ 6 7 c h e n o n h a i ri t ro vat o i n q u e l l a d e l 2 0 0 4 ? Sec o n d o m e l a v e r s i o n e 2 0 0 4 r i s pec c h i a l ’ i d e a o r i g i n a l e , n o n d e lude le mie aspettative. Semmai la cosa che mi ha infastidito è che la v es t e g r a f i c a o r i g i n a l e d i s e g n a t a da Frank Holmes è stata sostituita da una diversa. Frank era coinvolto e c hi a m a t o a d i r e l a p r o p r i a n e l p r o getto quanto il sottoscritto. Ci mise una s o r t a d i “ c o s c i e n z a f u m e t t i s t i ca” che risultò fondamentale. Però che opportunità fantastica lavorare c on B r i a n n e g l i a n n i ’ 6 0 ! C’ è il t u o z a mp i n o p u re n e l l ’ o t t i mo YS di Joanna Newsom. Come ti è parso lavorare con questo gi ova n e t a l e n t o ? J o a nn a h a t u t t o i l m i o a p p o g g i o . M a a dire il vero io “lavoro” solo per c ont o m i o . Moonlighting prova la validità della tua musica anche in un contesto live. Quali sono i tuoi limiti? Beh, mantenere una piscina (con t ut t o c i ò c h e c o m p o r t a l a m a n u t e n zione ecc.) sembra al di sopra delle m ie ca p a c i t à . È u n p e c c a t o p e r c h é vivo nel sud della California dove un genere di attività fisica come il nuot o è d e c i s a m e n t e l ’ i d e a l e . Cosa credi esprima la tua musica? M i p i a c e l ’ i d e a d i e s p r i m e re ciò che e s i s t e m a c h e r i s u l t a i n e sprimibile attraverso il linguaggio verbale. E s i s t e l a v o l g a ri t à i n a m bit o m usicale? C o m u n q u e a n c h e l a m u si ca p i ù i d i o t a è p r e f e r i b i l e a l p i ù r a ffinato dei b o m b ardamenti. C o s ’ h a n n o l a s c i a t o d i buono gli anni ’60? L a l o r o i n o s s i d a b i l e f o r za vitale. Ta n t i d e g l i i d e a l i d i a l l o r a so n o sta t i a b b a n d o n a t i m e n t r e s a re b b e sta t o n e c e s s a r i o b a t t e r s i p e r essi fino a l l a m o r t e . N a t u r a l m e n t e q u e sta è l ’ o p i n i o n e d i u n s i m p a t i zzante del così detto “comunismo”. L a v i t a è t ro p p o b re v e ? N o n p e r t u t t i i c a s i ; a v olte è fin t r o p p o l u n g a , p r o v a n e è quella di p e r s o n a g g i c o m e H i t l e r e tanti altri uomini politici americani. Q u a l è l ’ a s p e t t o p i ù s t r a ordinario d e l l ’ e s s e re u n a rt i s t a ? R e a l i z z a r e c o n a p p a g a m e nto i frutti c h e p u ò g e n e r a r e u n c e r to ti p o d i empatia. Per chi l’accoglie, la mus i c a è u n d o n o c h e n o n s i esaurisce m a i . P e r i m u s i c i s t i i n v e ce è se m p l i c e m e n t e t u t t o , f i n o a l l oro ultimo respiro. sentireascoltare 107 Classic Pink Floyd THE PIPER AT THE GATES OF DaWN di Stefano Solventi Troppo grande e importante questo disco. Sono quarant’anni che ci fa trasecolare, gli fanno un baffo certe operazioni puramente speculative, pur se confezionate benissimo, con cura e gusto come la qui presente edizione deluxe in triplo CD. Triplo CD, già: e come ti riempio tre dischi? Facile. Alla versione originale rimasterizzata (nulla di rilevante in merito) ne aggiungo una mono (“the original mono version” nientemeno, pare sia stato lo stesso Syd a curarsene: ok, la prendo con ampi benefici d’inventario, accolgo con curiosità una scheletrita Pow R Toc H, ma non so cosa farmene di una Bike o di una Matilda Mother senza ondeggiamenti stereo!), quindi affastello in un terzo dischetto i singoli del ‘67, lati B compresi (di cui una Apples And Oranges piacevolmente stereo, eh eh), più due versioni alternative di Interstellar Overdrive (una ovviabile “french edit” e una take inedita scossa da un estro selvaggio, svisante, capace di regalare in soli 5’ qualche strano brivido in più). 108 sentireascoltare L’ o b i e t t i v o , p e r a l t r o r i u s c i t o - c o n v e r r e t e c h e n o n e r a d i ff i c i l e - , e r a restituire una fotografia esaustiva di quei primissimi strabilianti Pink Floyd. Ben fatto. Chapeau. Di pseudo-floydiani che ignorano in tutto o in parte la fase pre-scrigno dei segreti (per non dire prelato scuro della luna) ce ne sono a frotte, probabilissimo che molti finiranno nelle spire di questa a corroborare le già clamorose spinte pop-syke di Chapter 24, di The Scarecrow, di Matilda Mother, quel loro vorticare tra colori sovraesposti e strali d’un oriente oleografico, la concrezione molle e febbricitante dentellata di insidie e intuizioni e squarci. Un gioco a disorientare, a spostare gli appigli e centri di gravità come nel tunnel vorticoso di Lucifer Sam, ghiottoneria e buon pro gli faccia. Se dunque vogliamo trovare un senso alla cosa, dobbiamo guardare a questa sorta di reinvenzione del disco, un po’ come se ipotizzassimo la scaletta di Sgt Pepper rinforzata dalle due songs “monstre” ad esso contemporanee, quelle Strawberry Fields Forever e Penny Lane che andarono a costituire il 45 giri con più lati “A” di ogni tempo. Una forzatura che possiamo permetterci con la nonchalanche di questi giorni di bastard-music, di post-modernità sovra-realista che d’emblé osa denudare Let it Be solo perché sarebbe stato meglio anziché tutti quegli stronzissimi fronzoli spectoriani (salvo poi rimpiangerli di nascosto, perché c’è una ragione per ogni cosa, anche per le meno opportune). Ok. Procediamo. Facc i a m o l o p u r e . Ta n t o g l i f a u n b a f f o , a l P i p e r. Ecco dunque i deragliamenti garruli e vischiosi di Arnold Layne e See Emily Play, l’ebbrezza errebì minacciosa e fumettistica di Candy And A Current Bun (che in o r i g i n e s ’ i n t i t o l a v a L e t ’s R o l l A n o ther One, i riferimenti non erano occasionali), la marcetta pepperiana (ovvero scombiccherata di ruspante e febbrile delirio) di Apples And Oranges ed i mesmerismi stropicciati di Paintbox che vanno che giusto un gatto può riuscire a starci in piedi, o come quando l a m a r c e t t a b e ff a r d a d i T h e G n o me spalma d’oppio l’arcobaleno, o come la stordente fantasmagoria squadernata dalla placida (forse) Flaming. Una tavolozza di colori che non puoi sostenere a lungo, e quando ti arrendi al caleidoscopio (perdonatemi, prima o poi dovevo scriv e r l o ) a ff o n d i n e l l a t a z z a s b r e c c i a ta del cappellaio matto, galleggi nel siero intangibile respirando il lato vuoto del pieno, senti le cose ravvivarsi di sensi diversi perché è semplicemente arrivato il tempo che le cose cambino, scosse dall’immobilità come un piedistallo che si stiracchia, sbocciate come fiori sul pavimento a rivestire d’un s o ff i c e d e l i r i o l a s o l i d a e i n v e r o stolida normalità del reale. Cosa era accaduto? Fu un po’ come se in una diga riempita accumulando il pop, il blues elettrificato e tutta una tradizione di fanfare e ballate popolari, si fosse messa in moto una reazione druidica i r r e v e r s i b i l e . E d a l l ’ e ff e r v e s c e n za fin troppo rapida. Difatti, quei Floyd eminentemente barrettiani dureranno appena il tempo di attraversare i cancelli del tramonto seguendo la rotta tracciata dal piff e r a i o i n e ff a b i l e . H o s c r i t t o F l o y d eminentemente barrettiani, certo, Classic ma non voglio con ciò tralasciare q u e l l a Ta k e U p T h y S t e t h o s c o p e A n d Wa l k f i r m a t a Wa t e r s c h e p u r e rielabora la scelleratezza del beat (attra)verso un motorismo angoloso e ipnotico in cui percepisci e s o t e r i c i c o n t a g i Ve l v e t U n d e r ground e Can. C’è qualcosa che brucia, nel piglio del bassista, un’ansia di futuro da fustigare nel presente con lo scudiscio del passato (invertite pure i fattori) che il folle Syd semplicemente ignora perché già impegnato a costruirsi, a percorrere la propria dimensione parallela, nella quale passato, presente e futuro sono semplici s o u v e n i r. Un viaggio nel profondo-accanto che da un lato attraversa quelle canzoni come altrettanti specchietti verso il paese delle meraviglie, dall’altro simula i decolli tremebondi e immaginifici di Astronomy Domine e - soprattutto - Interstellar Overdrive. Dove le strutture rinnegano se stesse implodendo disarticolate per poi esplodere formidabili, canzoni se volete - rapite da una corrente ascensionale che le annichilisce e libera nel vuoto pneumatico della visione spaziale. Più che il tempo – malgrado il tempo – conta lo spazio, appunto. La sua reinvenzione attraverso il suono che si compie in un tempo ciclico (in quest’ottica può essere letta anche la sperimentazione della quadrifonia nelle esibizioni live, che convoglia e distribuisce il suono a 360 gradi), abbozzando un’allucinazione d’infinito . Va l e a d i r e , I n t e r s t e l l a r O v e r d r i ve: firmata da tutta la band, è una suite tribale e cosmica innescata d a u n r i ff c h e d a s o l o v a l e t u t t o il grunge poi si sfilaccia, si sdilinquisce seriale, compie un’orbita mutante prima di tornare “jazzisticamente” sul tema con sbalordit i v i q u a n t o i n g e n u i e ff e t t i s t e r e o . Sembra di vederlo, Norman Smith – il produttore “con la testa sulle spalle” imposto dalla EMI in sostituzione del mai troppo lodato Joe Boyd - che non sa darsi pace di tutto il bailamme, di quell’apparentemente scervellato & scellerato smanettare con le leve del m i x e r. E g l i o c c h i d i S y d i m m e r s i nel rituale (quegli stessi occhi che ne saranno ingoiati, indicando per primi i sintomi della sua “assenza”), impegnato a balbettare assieme a tutto lo studio-strumento quel linguaggio inaudito, quei suoni senza gravità, unico limite la fine dell’orecchio come indicherà qualche anno più tardi lo spirit o t u t t o s o m m a t o a ff i n e d i R o b e r t Wy a t t . Ok, non poteva durare. Giusto così. Diamante pazzo in buca, largo alle apocalissi atmosferiche Wa t e r s - G i l m o u r, c h e c o m u n q u e r i empiranno altrettanti imprescindibili spazi. Per anni. Per sempre. Basti però non scordare quanto dal Piper si diparte, quanti ne hanno attinto, glam, kraut, wave, neo-psych, popadelici d’ogni ordine e grado. Dite, non vi sembra forse che ovunque il rock abbia osato ipotizzare realtà alternative, si scorga più o meno in filigran a l ’ o m b r a d e l p i ff e r a i o p a s s a r e come uno stormo di spaventapasseri ridanciani? sentireascoltare 109 Classic Trunk Records Così ieri che sembra oggi di Giancarlo Turra PopNonStop C ’è un ’ide a con divis a da em inent i critici e avvertiti asc o l t a t o r i : c h e l a musica po p sia per d e f i n i z i o n e u n a faccenda sfuggente e a t e m p o r a l e . Insomma, pa re ch e r ies c a nell’im presa di ap rirsi un a c av it à, c r es c ere dentro una dimen s i o n e p a r a l l e l a a sé stan te do ve ricic la in allegr ia i cascami della cultur a d i c u i è p a r t e integrante e - moren d o o g n i g i o r n o - rinasce in eterno. P e r m a g i a , c i ò che è “re tro” si pe rm ea d’una c om ponente nostalgica, c o n f o r t e v o l e e affet tu osa come la p olt r ona pr ef er ita di quando eravam o b a m b i n i . Ma c ’è un trucco: n e i “ n o n l u o g h i ” della riten zio ne ce rt e s onor it à m editano, si rinnovano e t o r n a n o c o m e risacca a cancellare l e c e r t e z z e , l e stess e ch e cre de va m o inc r ollabili ed erano al contrari o s u l l a s a b b i a . Lavorano sull’immag i n a r i o c o m u n e di un passato pross i m o c o s ì v i c i n o da sembrare antico , t e n e r a m e n t e e illusoria men te o tt im is t a s e c onfrontato al presente a r r i v a t o i n s u a vece, che no, non è e s a t t a m e n t e come lo aspettavam o . U n a f u g a c e ombra di inquietudin e r i p o s a p r o n t a all’agguato, anche n e i m o m e n t i p i ù allegr i e sp en sie rati ( anc he in quello che vien e con sid er at o “ m ains t r eam” e invece osa: a s c o l t a t e l a b e n e U mbre lla d i Riha nn a, poi dit ec i… ) 110 sentireascoltare Un’autentica ossessione dello scavo, preferibilmente in un passato immaginario, che è particolarmente viva in alcune frange appartenenti (ancora per poco) all’under-underground d’oltremanica, come puntualizzato a fine 2006 da Simon Reynolds in un articolo apparso in T h e Wi r e . P e r s u a s i v o , c o m e s u o solito, da indurci a prendere in esame una delle etichette simbolo di - è bene precisarlo da subito - un c h e s t r a n e ” , c u r i o s i t à e s o t i c h e che dopo il boom di metà Novanta sono p e r l o p i ù r o b a d a r i g a t t i e r e . Non è così: Jonathan Benton-Hughes ( c h e p r e f e r i s c e f a r s i c h i a m a r e J o nn y Tru n k ) h a p o s t o l e b a s i d e l l ’ eti c h e t t a n e l 1 9 9 5 m o s s o d a u n a non c o m u n e c a p a c i t à d i s c e l t a , d a un d i s e g n o p r e c i s o c h e m i r a v a s u b i to a l c u o r e d e l p r o b l e m a . I n s e g u iva q u e l m a t e r i a l e d a p e c u l i a r e “ l i br a r y ” ( m u s i c a d ’ a c c o m p a g n a m e nto “non movimento”. Nessuna scena da eleggere a hype e abbattere di lì a poco: la questione abita casomai dalle parti di un comune sentire, di un abbeverarsi a sorgenti accomunate dallo spirito originario nonostante le modalità stilistiche. I n q u e s t o p a n o r a m a , l a Tr u n k R e cords ci sembra - per catalogo, ampiezza delle vedute e un decennio di attività fresco di festeggiamenti - il caso da portare a esempio, parallelamente a quel Focus Group c o n c u i c o n d i v i d e a ff i n i t à e l e t t i v e ed istruzioni per l’uso. Appr of it t and o d e l l a p u b b l i c a z i o n e di Now We A re Te n ( Tr u n k / G o o d f ellas ; agost o 2 0 0 7 ; 7 . 8 / 1 0 ) , r a c c o l t a c elebr at iv a r i c c a d i i n e d i t i c h e n e r ias s um e a g r a n d i l i n e e i t r a t t i s t i l i stici, l’abbiamo posta sotto la lente del m ic r os c o p i o . N o n v e n e r a c c o n teremo la storia: a quello ci pensa già M r. Tr u n k n e l l e n o t e d i c o p e r t i n a d e l C D . Vi d i r e m o p i u t t o s t o d i c o m e , n o no s t a n t e o g n i p o s s i b i l e cautela, ci abbia dato da grattare il capo, confortando con amorevole r iev oc az ion e u n m o m e n t o e a g i t a n doc i a c olpi d i d e t o u r n e m e n t s i t u a z ionis t i que l l o s u c c e s s i v o . p e r p u b b l i c i t à , j a z z s a l o t t i e r o ma t a g l i e n t e e d e l e t t r o n i c a t e l e v i s i va) g e n i a l m e n t e s t r a v o l t o e s t r i d e n te n e i d e t t a g l i . M u s i c a s t r u m e n t a l e al q u a d r a t o , i n s o m m a , p e r l o p i ù p riva d e l c a n t o e s p e s s o a s s e r v i t a a una f u n z i o n e p r e c i s a . L a d d o v e m o l t i si limita(va)no a ritrovamenti dissenn a t i o b a s a t i s u l l a m e r a s t r a n ezz a , o g n i d i s c o p u b b l i c a t o d a J o nny a r r i v a d a l u o g h i a ff a t t o a n o n i mi e c o n f u s i , m a i r a d i c a t i i n u n v u o to autoreferenziale. Sono i figli sper i m e n t a l i d e l l ’ a r t e v i s i v a e s o n ora tipica degli ottimistici “tempi mod e r n i ” , a n n i i n c u i s i l a v o r a v a col meta-pop. Ci trovate la speriment a l e t e l e v i s i o n e b r i t a n n i c a d e i S essanta e dei primi Settanta (serie e p u p a z z i a n i m a t i v i s i o n a r i e i n q ui e t a n t i c o m e D r. W h o , T h e C l a n g ers, U . F. O . , T h e To m o r r o w P e o p l e ) , il c i n e m a i n g r a d o d i m o s t r a r e una d i ff e r e n t e p e r c e z i o n e d e l l a r e altà ( G o l a p r o f o n d a , T h e Wi c k e r M a n , il c u i s o u n d t r a c k d i c u l t o è d i v e n t ato u n s u c c e s s o , L a n o t t e d e i m o r t i vi v e n t i ) , i s u g g e s t i v i s u o n i c h e a tu tt o q u e s t o s ’ a b b i n a n o . O c h e , i n un g i o c o d i r i m a n d i e d e c h i i n c e s s a nti, s e m b r a n o p r e c o n i z z a r n e e p e r ce p i r n e l o s p i r i t o , s i a n o e s s i j i n gle p u b b l i c i t a r i , m o s s e c a b a r e t t i s t i che o i n d a g i n i d a s c i e n z i a t i d e l s u ono c o m e D e l i a D e rb y s h i re , B B C Ra d i o p h o n i c Wo rk s h o p o i l m i s c o no s c i u t o p r e c o n i z z a t o r e d e l l ’ a m b i ent Ye s terday … S e s i a n a l iz z a c o n s u p e r f i c i a l i t à i l c a t a l o g o Tr u n k c i s i p u ò f a r e l ’ i d e a c he s i t r at t i s o l o d i u n a d e l l e s o l i t e label dedit e a l r e c u p e r o d i “ m u s i - Da John Ca m er on, O r r i el Sm i t h e compagnia be l l a s i l e v a l a p o l v e r e e lì si scopre luc e n t i a r c a n i d a s o ff i t t a p sichica, si è inv es t it i da im m agini sonore rad i c a t e i n n o i a n c h e s e ma i se ntite né v is t e dav v er o al t em po in cui c’er a n o . N e a l e g g i a s o l o il misterioso, n o n d i r a d o s t r i d e n t e magnetismo, e q u a n d o o c c o r r e c ’ è la tele vision e c he “ una t ant um ” s er ve al recuper o . I n u n p a r a g o n e d a l sap ore d i madeleine p r o u s t i a n o , è come se arti s t i nos t r ani par t is s ero d alle ip no s i m us ic ali del m onoscopio Rai, d a i c o m m e n t i s o n o r i a i documentari a n n i ’ 7 0 e d a l l e f o l l i e visive de lla Tv Sv iz z er a per indag arle e cap ir ne i s egr et i. Veder e l’e ffetto ch e fa. Da quando J o n a t h a n h a m e s s o i n Classic … And Tod ay Jonny Trunk Ba sil Kir c hi n. D i f a t t i , l ’ i n t e n t o iniziale della l a b e l b r i t a n n i c a f u d i preservare e d i v u l g a r e l a m e s s e d i mate riali d ella Bosw or t h Li br ar y , il più lon g e v o a r c h i v i o s o n o r o d i musica “da c om m ent o” es is t ente oltremanica . C o m e n o n v e d e r v i un’ideale rico n g i u n g e r s i a l l ’ e p o c a dell’intrattenim e n t o i n g e g n o s o , d e i dettagli subli m i n a l i i n s e r i t i d e n t r o q ue lla ch e pa r e, m a non è, s em plice sotto cu ltur a us a- e- get t a? Per ché non ridar e v i t a a d i s c h i i n c i s i d a virtuo si ja z z is t i e genialoidi d i u n’e lettro nica a bas s o s v iluppo t ec n olo gico, p erc iò dal pot enz iale ev ocativo inversa m e n t e p r o p o r z i o n a l e ? Un ’op era zio ne s im ile a quella por ta ta a va nti d a St er eol ab, B o a r d s Of Ca na da e Br oadcast , c on la differenza ch e q u i s i s c a n d a g l i a i l cu ore d i q ue lla c he è s t at a s plendida men te etichet t at a c om e “ m em oriad elia ”. L à s i r ipr oduc e c r eat iv amen te pa rten do dalla s ugges t ione, prossima all’ o n i r i c o , d e l r i c o r d o , qu i se ne stu dia per lo più il r eper to (ri)generati v o . L’ i n t e n t o n o n è d a amanuense, s e m m a i d e l l ’ u m a n i s t a : pro va ne sia c he J onny, pr im o c ontrosen so che t ir a le f ila, ha pubblica to a nche int er es s ant e m at er iale di sua compos i z i o n e , p e r f e t t a m e n t e scamb iab ile p er v int age. O gni us c ita, grondante s t i l e f i n d a l l ’ a r t w o r k , rappresenta u n g e s t o d ’ a m o r e p e r epoche dime n t i c a t e e d i m e n s i o n i parallele. piedi l a Tr u n k , i l m o t t o è s t a t o “ m u s ic a, n o s t a l g i a e s e s s o ” , i n f o r z a del q u a l e h a t r o v a t o s u b i t o u n b a c i no d’ u t e n z a t r a c o l l e z i o n i s t i e c u l t o ri terminali, ma anche tra chi cerca nella musica un valore aggiunto di arguzia e spirito dei tempi (andati). Aiut a t o f i n a n z i a r i a m e n t e d a l s u c c es s o d i O h B o y d e i Tra n s c a rg o ( us at a p e r u n a n o t a p u b b l i c i t à d i automobili, ed ecco che il cerchio si chiude…), ha allargato pian piano il c e r c h i o d e g l i i n t e r e s s i . F i n q u i nulla di male o anormale, se non c he i n u n ’ o p e r a z i o n e f e d e l e a u n a linea che forse c’è e forse no (ma si vede), il Nostro ha sentito la necessità di andare alla fonte con lo s c r up o l o d e l l ’ a v v e n t u r i e r o , p o r t a n do in s a l v o i n t e r e c o l l e z i o n i d i m u s ic a f a l s a m e n t e a c c e s s o r i a , v i c e versa in grado di reggersi in piedi alla perfezione. Del c a m p i o n a r i o d i s c o g r a f i c o , n o n ricchissimo ma di qualità media c ons i d e r e v o l e , N o w We A re Te n off r e a d e g u a t o e s t i m o l a n t e c o m pend i o . N e s s u n a t r a c c i a d i a r c h i v is m o , r i b a d i a m o , p e r c h é l ’ “ u n d e r - s t a t e m e n t ” a n g l o s a s s o n e bilancia i p o c h i e c c e s s i , c o m e g i à accadeva p e r l a E l , e t i c h e t t a d a l l e non poche a ff i n i t à v o c a z i o n a l i c o n quanto fin q u i e s p o s t o . D a l t o r b i d o sg r a n a to s e v e n t i e s s o p r a g g i u n g o n o ta n to l a c o l o n n a s o n o r e d i G o l a Pr of onda ( p e l l i c o l a d a l s o t t o t e s t o o g g i b u ffa m e n t e i r o n i c o ) c h e l e a n t o logie di 7” a l l e g a t i a r i v i s t e s c o n c e , culminanti n e l g r a d o z e r o d i s p a z z a t ur a o n a n i s t a D i rt y F a n M a l e . I d e a spassosa, q u e l l a d i m e t t e r e s u d i s c o letture di m i s s i v e i n v i a t e a l l a s o r e l la d i Jo n n y, a n o n i m a a t t r i c e p o r n o , tr a sfo r m a t a s i i n “ f a t t o ” m e d i a t i co e in un l i b r o c h e r e i n i e t t a n o i l v eleno nel corpo che lo ha prodotto. Cosa resta, infine, oltre a musica di gradevolezza e intuito non comuni? Una certezza, per lo meno: la memoria si ricicla autonomamente nell’immaginario e il pop le tiene dietro. Sembra confortante, ma appena scruti dietro la facciata appare sempre qualcosa che scricchiola. È lì che avete ottime possibilità di incontrare Jonathan e, siatene certi, sta alacremente lavorando per voi. sentireascoltare 111 112 sentireascoltare Satchel- Reservoir Dogs Of Soul In fondo, ogni artista impara a scrivere il lavoro a cui sta lavorando solo nel momento in cui vi mette mano. In qualche modo, è l’opera d’arte stessa che gli insegna come vuole essere realizzata, di che necessita, cosa meglio può oliarne i meccanismi interni e renderla perfettamente funzionante. I Satchel, grandi dimenticati del grunge di Seattle, ebbero a che fare con questa forma di apprendistato rudimentale, ma necessario, proprio nella preistoria delle singole carriere d’ognuno dei membri fondatori. Per capire, però, un minimo da dove sbucassero fuori questi signori che, durante la mareggiata chitarristica heavy-psych del grunge, o s a r o n o r i f a r s i a n o m i q u a l i M a r v i n G a y, Te m p t a t i o n s e P r i n c e , b i s o gna rivangare un pochetto gli strati della geologia grunge più remota e rilevarne alcuni carotaggi. Nomi quali Mother Love Bone e Fire Ants vi dicono nulla? Allora, passando all’analisi il primo campionamento fatto, si dà il caso che tal Regan Hagar avesse militato, in qualità di batterista, in entrambe le seminali formazioni. Poi, terminata con queste la proficua esperienza artistica, si diede a nuovi progetti. Altri due nomi da sottoporvi: i Bliss e i Brad. Semiobliati i primi, laddove dei secondi, animati quali fossero sua personale marionetta hard dal Pearl Jam Stone Grossard, si ricordano un po’ tutti. La prima metà importante dei futuri Satchel l’abbiamo quindi individuata. Adesso tocca spendere un paio di parole anche sul cantante Shawn Smith. Smith fu colui il quale volle, assolutissimamente volle, che i Satchel fossero e, soprattutto, suonassero così neri, black e groovy quale mai nessun altra band in quei paraggi. Certo, Shawn aveva avuto anche lui il suo apprendistato musicale colto. I Pigeonhed, in combutta col produttore Steve Fisk, furono autori di un paio di album a loro nome, fra il 1993 e il 1997. Come suonavano? Campionamenti, soul, filamenti sperimentali sguscianti via da ogni singola partitura, devoti al genietto di Minneapolis Prince e fieri nella prassi loro imposta di decostruzione armonico-melodica ad oltranza. Un oltraggio al grunge d’allora, una speranza per quello a venire. E di questa ipotesi artistica ”’speranzosa” si nutrirono i Satchel. Eccentrici, ispirati, devoti all’arrangiamento jazz sofisticato (il magistero degli Steely Dan non ha certo fatto il suo tempo), pop nel senso maggiormente nobile, psichedelici di straforo e moderatamente inficiati da inserti electro, i Satchel del debutto suonano così. EDC contiene 13 canzoni che hanno il pregio sicuro della varietà. E della raffinatezza (cosa inusuale per una band di Seattle nell’anno domini 1994). La casa discografica, una major (la Epic), evidentemente non sa bene se i nostri eccentrici venderanno o meno, se la formula sia funzionale al successo di classifica o no, ragione per cui, nell’incertezza, adotta una p o l i t i c a s o l a . . . l a s c i a f a r e ! M r. B r o w n a p r e i l d i s c o e s u o n a c o m e u n B r a i n D a m a g e d e i P i n k F l o y d s e s o l o P r i n c e n e v o l e s s e f a r e u n a c o v e r. S p a z i a l e ! M e g l i o a n c o r a E q u i l i b r i u m , c o i s u o i f a l s e t t i a r i v e r b e r o , e q u e l m u r o d i t a s t i e r e v i n t a g e t a n t o a n n i ’ 7 0 . Ti t o l i d i c a n z o n i q u a l i M r. P i n k , M r. B l u e n o n c h é l a m i r i a d e d i i n s e r t i ( d i a l o g h i ) p r e s i d a R e s e r v o i r D o g s d i Ta r a n t i n o , n o n l a s c i a n o s c a m p o s u q u a l e s i a l ’ i m m a g i n a r i o ( f i l m i c o m u s i c a l e ) c h e i s p i r i i n o s t r i . M a t o r n i a m o a l l e c a n z o n i : l a c i r c o l a r e f i l a s t r o c c a s o u l d i Tr o u b l e C o m e D o w n , l’hard-rock sornione in More Ways Than 3, esperimento di rarefazione dell’ossigeno soul nella colonnina rock dei Satchel, sono solo altri modi in cui si esprime l’eclettismo del gruppo. Album memorabile quanto pochi altri, nella storia del sub-genere grunge, EDC fu seguito, a un paio di anni di distanza, da un secondo cd. The Family esce nel 1996 e, purtroppo, non raccoglie l’attenzione che meriterebbe. Né di pubblico, né di critica. La cometa grunge si è quasi disintegrata del tutto, durante la sua folle corsa nei cieli rock di inizi ‘90, ed adesso i Satchel son poco meno che pesci fuor d’acqua, se solo li si pensa legati alla storia di quelle musiche. Punto focale del nuovo disco, come tutto sommato dei precedenti, è la vocalità di Smith. Qui meno gigioneggiante, leggermente più “focalizzata”. Isn’t That Right, che apre il cd degnamente, è una sorta di esperimento, riuscito, di fusione soul-psichedelica con forti tinte confidenziali. Quasi una torch song che bruci lenta sull’ostinato del piano e il sottofondo chitarristico dilatato. Without Love suona grossomodo identica, solo aumenta i giri di marcia e scorre via uptempo. La sofisticazione più barocca la si tocca in Criminal Justice, piccolo gioiello d’arrangiamento che non soffoca la canzone (essa c’è! Il suo ritornello pulsa lento e dolente). È il canto del cigno. Altro i Satchel, agli annali del rock, non vollero lasciare. E forse fu un bene fermarsi così, al momento giusto. Massimo Padalino sentireascoltare 113 Classic Lost Grunge Heroes l a s e ra d e l l a p r i m a VISIONI 4 mesi, 3 settimane, 2 giorni (di Cristian Mungiu - Romania, 2007) I l Fes t iv al d i C a n n e s s e m b r a e s s e r e q u a l c o s a d i p i ù d e l c l a s s i c o b a r a c c o n e p u b b l i c i t a r i o s a t u r o d i s t a r. B a s t a g u a r d a r e i f i l m p r e m i a t i n e g l i u l timi a n n i c o n l a P a l m a d ’ O r o – p r e m i o n u m e r o u n o d e l l a m a n i f e s t a z i o n e – per c apir e c he tr a q u e i t i t o l i s i a n n i d a u n ’ i d e a d i c i n e m a c h e r i c o r r e n e l t e mp o e s i r ipr opon e n o n o s t a n t e i l c a m b i o d e l l e g i u r i e i n t e r n a z i o n a l i . L’ i d e a è ch e i l c i n e m a mi g l i o r e s i a q u e l l o c h e s c a t u r i s c e d a l c o r p o a c o r p o t r a m a c c h ina da pr es a e r e a l t à . S e i l c i n e m a n o n i n d a g a l a r e a l t à , s e n o n p r o d u c e c h i a r e z z a s u u n f a t t o s t o r i c o , s e n o n i n q u a d r a i l p r e s e n t e e i s u o i d r a m m i , non è adat t o ad u n r i c o n o s c i m e n t o u ff i c i a l e – u n p a r a d o s s o p e r i l f e s t i v a l c h e ha os annat o Ta ra n t i n o e Ly n c h . E p p u r e , n e a n c h e Ta r a n t i n o , u n a v o l t a a c a p o d e l l a g i u r i a , h a f a t t o d i v e r s a m e n t e : i l s u o v o t o è s t a t o d e t e r m i n ate nell’as s egn a z i o n e d e l p r e m i o a F a h re n h e i t 9 / 11 . Cos ì 4 m es i , 3 s e t t i ma n e , 2 g i o rn i , v i n c i t o r e d e l l a P a l m a d ’ O r o n e l 2 0 07 , è un f ilm c h e s ’ i n s c r i v e n e l s o l c o d e l n e o - r e a l i s m o c a r o a l F e s t i v a l d i C an nes . Ed è u n f i l m p o t e n t i s s i m o , c a p a c e i n m e n o d i d u e o r e d i s q u a d e r n a r e un m ondo, d i r i o r d i n a r e u n p a s s a t o , d i s v e g l i a r e l a m e m o r i a . S e c c o e f o r te c om e un pu g n o , t i s i a s s e s t a d e n t r o f i n d a l l e p r i m e b a t t u t e . I l p u g n o è l a s t o r i a d i G a b i t a e O t i l i a , n e l l a R o m a n i a d e l 1 9 8 7 , a i t e m p i d e l l a d i t t a t ura: di Gabita decisa ad a b o r t i r e e d i O t i l i a c h e l ’ a i u t a , f i n o i n f o n d o . A g u a r d a r e b e n e , è l a s t o r i a d i u n ’ a m i c i z i a s e nza pari tra d ue do nn e che s c opr ono s ul lor o c or po, de n t r o i l l o r o c o r p o - l ’ a b o r t o , l a v i o l e n z a d e l l o s t u p r o - i l d o m in i o feroce d el p ote re. Ed il film è spettaco l o s e n z a e s s e r e s p e t t a c o l a r e . G l i o r r o r i d e l l a s t o r i a s o n o t e n u t i f u o r i c a m p o . L a m a c c h ina da pre sa , rig oro sa m ent e t enut a a m ano, alt er na lu n g h i s s i m e i n q u a d r a t u r e a c a l c o l a t i s s i m i p i a n i s e q u e n z a – be l lissim o e insosten ibile quello della c ena. G li at t o r i s o n o s u p e r l a t i v i , a t a l p u n t o m i m e t i z z a t i d e n t r o i l f i l m , ch e le lor o e sp ressio ni s v elano i s ent im ent i e m ar c an o u n e p o c a s t o r i c a . L e m u s i c h e s o n o c o m p l e t a m e n t e a s s e n ti , ed il controllo quant o l ’ e s p l o s i o n e d e l l a t e n s i o n e , d e l l a s u s p e n c e , d e l l e e m o z i o n i , s o n o a ff i d a t e u n i c a m e n t e alla sapienza narrativa d e l l a s c e n e g g i a t u r a , c h e n o n s i s f i l a c c i a m a i , m a c h e p r e v e d e a l s u o i n t e r n o e l e m e n t i c h e di continuo potrebbero r i a p r i r e i l f i l m v e r s o u l t e r i o r i s v i l u p p i ( i l c o l t e l l o r u b a t o , i l d o c u m e n t o d ’ i d e n t i t à d i m e n t i c ato in albe rgo ). U n f ilm ne ce ssario , ques t o di M ungiu: c os ì c om e n e l 2 0 0 6 e r a s t a t o i m p o r t a n t e P ro p ri e t à p ri v a t a d i L a f o s s e, e ancor a p rima i film dei f r at elli Dar denne. O per e t e s e , a s c i u t t e , s p o g l i e , c h e r i p o r t a n o g l i u o m i n i , l e l o r o s t o r i e , l a mat eria lità de lla loro v it a, dent r o il c uor e dell’im m a g i n a r i o c o l l e t t i v o . È u n b u o n s e g n o s e l a r e a l t à , o r g a n i z z ata nella n arra zio ne , in gigant it a dalle t ec nic he di r app r e s e n t a z i o n e , t o r n a a i l l u m i n a r c i d a i b o r d i d i u n o s c h e r m o . Se il cinema svela cosa s i a m o o c o s a s i a m o s t a t i , t o c c a a n o i s p i n g e r e q u e s t a c o n s a p e v o l e z z a n e l p r o g e t t o d i un fut uro diverso e più gius t o e più um ano. Giuseppe Zucco 114 sentireascoltare Costanza Salvi sentireascoltare 115 l a s e ra d e l l a p r i m a I Simpson – Il film (di David Silverman - USA, 2007) Do po d icio tto s t agioni e quat t r oc ent o epis o d i e c c o l a f a m i g l i a p i ù a m a t a d ’America a pp r odar e al gr ande s c her m o. Ne s s u n ’ a l t r a s p i e g a z i o n e c i i n t e re ssa se n on quella gioia un po’ ignor ant e d i v e d e r e p r o i e t t a t o s u l g r a n d e sch ermo l’in no all’indolenz a, alle dipendenz e e a l l e u m a n e d e b o l e z z e r a p presentate da q u e s t o a d o r a b i l e c a p o f a m i g l i a . È un po’ inuti l e r a c c o n t a r v i l a s t o r i a : c o m e a c c a d e d i s o l i t o n e g l i e p i s o d i tv, si tratta d i un inanellar s i inf init o di ev ent i s u r r e a l i . H o m e r d e v e s a l v a r e l’in tera città di Spr ingf ield da una c at as t r o f e d o v u t a a l l ’ i n q u i n a m e n t o d a lui stesso pro v o c a t o . La più grande s c o m m e s s a d e g l i i d e a t o r i e r a q u e l l a d i e v i t a r e d i c o n c e p i r e il film come u na s equenz a di t r e epis odi: per f a r q u e s t o c i s o n o v o l u t i m o l t i me si d i riscrit t ur e e la pos s ibilit à di allar ga r e i l “ c a s t ” . P e r t u t e l a r e l ’ o r i ginalità del fil m r i s p e t t o a l t v s h o w c h e i n t a n t o p r o s e g u i v a , v e n n e r o p r e s i accordi secon d o c u i n e s s u n e l e m e n t o d e l p l o t a v r e b b e d o v u t o f u o r i u s c i r e dallo studio b l i n d a t o i n c u i g l i s c r i t t o r i l a v o r a v a n o . D i f a t t o l ’ a c u m e d e l te am si è rivelat o ec c ellent e nelle bat t ut e p i ù c h e , o v v i a m e n t e , n e l l a s t o ria , pre testo p er un per f et t o m ec c anis m o ad o r o l o g e r i a d e l l a r i s a t a b a s a t o sul ritmo delle b a t t u t e a g g a n c i a t e l e u n e a l l e a l t r e . I m p o s s i b i l i d a r i c o r d a r e tutte, alcune s f u g g o n o , m o l t e e s p r i m o n o q u e s t o p r o f o n d o s e n s o d i s f i d u c i a che i cin ea sti ( M oor e, Li nkl at er , Spur loc k ) s e n t o n o u l t i m a m e n t e n e i c o n f r o n t i d e l l ’ e r a B u s h . P e r n o n p a r l a r e , poi, dell’acum e c o n c u i G r o e n i n g r i e s c e a t r a t t e g g i a r e i c o s t u m i e l e a b i t u d i n i a m e r i c a n e , l e t e n d e n z e di certe comunità ristr e t t e a t r o v a r e i l c a p r o e s p i a t o r i o , i l g u s t o p e r l e s o f i s t i c a t e z z e t e c n o l o g i c h e : t u t t i e l e m enti su cui s’inn esca no le bat t ut e m iglior i. Un a ltro pro bl em a del t eam er a quello di esa l t a r e l e p o t e n z i a l i t à d e l g r a n d e s c h e r m o c h e p e r m e t t e v a u n r a d d o p p iame nto de llo s paz io a dis pos iz ione per il l a y o u t d e i d i s e g n i . C o s ì l o s c h e r m o s i r i e m p i e d i “ g r a n d i s s im e sce n e d i ma ssa” (hu ge m ob s c ene) , elem ent o di n o v i t à r i s p e t t o a i t a g l i c l o s e - u p d e l t v s h o w. N o n s i p o s s o n o co n ta r e poi le citazion i d i f i l m c h e G r o e n i n g f a e h a f a t t o n e l c o r s o d e i 1 8 a n n i d i p r o g r a m m a z i o n e d e i S i m p s o n. Grande cine filo, a man t e di f ilm s c i- f i di c ult o c om e G l i i n v a s o ri s p a z i a l i ( M e n z i e s , 1 9 5 3 ) o B e y o n d T h e Ti m e B a r r ie r (Ulme r, 1 96 0) inedit o da noi, inc ent r at o s u l t i m e - t r a v e l c h e i n f l u e n z e r à a n c h e F u t u ra ma , G r o e n i n g è anche g ran de con su m at or e di t v e ov v iam ent e di c a r t o o n : D o n a l d D u c k ( d i B a r k s ) e M i c k e y M o u s e ( d i D i s n ey) e a l tr i d ecisa men te m eno c onos c iut i da noi. M a Di s n e y, n o n è m a i s t a t o f r a i s u o i f a v o r i t i : p a r a g o n a t o i n u n e pi so d i o tv a Hitler e acc u s a t o d i a v e r s p a v e n t a t o a m o r t e g e n e r a z i o n i i n t e r e d i b a m b i n i i m p r e s s i o n a b i l i ( ! ) Insomma non i m p o r t a e s s e r e t r a i f e d e l i c h e n o n s i p e r d o n o u n a p u n t a t a o t r a g l i a c c u l t u r a t i c h e b i s t rattano un intratteniment o d a c u l t u r a p o p o l a r e , a n d a t e c o m u n q u e a v e d e r e q u e s t o f i l m c o n u n s e c c h i e l l o d i p o p c o r n o magari con uno zucch e r o s i s s i m o d o n u t r o s a : n o n v e n e p e n t i r e t e ! l a s e ra d e l l a p r i m a VISIONI Sicko (di Michael Moore - Usa, 2007) La s aga di M i c h a e l M o o re c o n t i n u a . D o p o l ’ i n c u r s i o n e n e l m o n d o d el l a dis oc c upaz i o n e i n R o g e r A n d M e , d o p o l a s c o r r e r i a n e g l i S t a t e s d alle pis t ole f ac i l i d i B o w l i n g a t C o l u mb i n e , d o p o i l p a m p h l e t s c a c c i a - B ush s par at o poc h i g i o r n i p r i m a d e l l e e l e z i o n i p r e s i d e n z i a l i d i F a h re n h e i t 9 /11 , ec c o il plur i p r e m i a t o M o o r e a v v e n t u r a r s i n e g l i i m p e r v i s c e n a r i d e l s i s t e m a sanitario americano. M a non è s o l o u n c i n e m a , q u e l l o c h e n e v i e n e f u o r i . I l f i l m , d e n u n ci a dopo denun c i a , c o n s t a t a z i o n e d o p o c o n s t a t a z i o n e , d i v e n t a l a r a d i o gr a f ia im piet osa d e l d i s a s t r o s a n i t a r i o c h e h a s p e d i t o i l p a e s e p i ù p o t e nte d e l p i a n e t a a l 3 7 ° p o s t o n e l l a c l a s s i f i c a m o n d i a l e c h e c e r t i f i c a l a q u a lità d e l l ’ a s s i s t e n z a m e d i c a . M a , c o n t r a r i a m e n t e a q u e l l o c h e d o v r e b b e e s s ere un r ef er t o, u n a r e l a z i o n e c l i n i c a , n o n v i è n u l l a d i a s e t t i c o e d i m p e r s o n a l e , i n q u e s t a r a d i o g r a f i a , p o i c h é t u t t o i l d o c u m e n t a r i o è f i l t r a t o d a l l o s g u a rdo c inic o, m olt o i r o n i c o , d i M o o r e . M a n o n b a s t a . M o o r e n o n è s o l o i l r e g i sta dell’oper az i o n e . M o o r e è a n c h e l ’ a t t o r e n u m e r o u n o d e l l a r a p p r e s e n t a zi o n e . È l ’ i n d i s p e n s a b i l e r a c c o r d o i n c a r n e e o s s a c h e p e r m e t t e d i c u c ire, legar e ins ie m e , t u t t e l e s t o r i e e g l i s c e n a r i - d a l l o c a l e a l g l o b a l e : A m e r i c a, Canada , I n g h i l t e r r a , F r a n c i a , C u b a – c h e i l r a c c o n t o o s p i t a . P e r c hé , in f ondo, M o o r e n o n è s o l o i l f i l t r o a t t r a v e r s o c u i p a s s a i l n o s t r o s g u a r do. Ma è a nche il se tac c io at t r av er s o c ui pas s a la no s t r a p e r c e z i o n e d e l l ’ a m e r i c a n o m e d i o . C o m e n e l l e s u e o p er e preced en ti, Mich ae l M oor e, c on il c appellino r oss o , l a g i a c c a d i p e l l e , l e s n e a k e r a i p i e d i , è l ’ i d e n t i f i c a z i on e dell’americano medi o . Non è un dettaglio d a p o c o . A n z i , q u e s t o c i p e r m e t t e d i c o g l i e r e m e g l i o l e s u e i n t e n z i o n i . M o o r e s i t r a v e s t e da Americano Medio pe r t r e r a g i o n i . P r i m a r a g i o n e : p e r p o t e n z i a r e i l s u o p u n t o d i v i s t a . U n a v o l t a t r a v e s t i t o , lo sguar d o d i Moo re a ppar e s it uat o all’int er no del s i s t e m a , c o m e q u e l l o d i u n t e s t i m o n e . S e a v e s s e i n d o s s a to i panni del Regista da O s c a r, i l s u o s g u a r d o s a r e b b e s t a t o p e r c e p i t o f u o r i d a l s i s t e m a , a l d i s o p r a d e l s i s t e m a : da test imon e sa reb be p as s at o a giudic e. Sec onda r ag i o n e : p e r f a r s i a c c o g l i e r e d a l l a c o m u n i t à d i a m e r i c a n i m e d i i n guaiati dal sistema s a n i t a r i o s e n z a e r g e r s i a p a l a d i n o o s a n t o n e . Te r z a r a g i o n e : p e r p o r s i i m m e d i a t a m e n t e c o me contrad dizion e, co m e una c ont r opar t e div er s a e di s t u r b a n t e , a n c h e s o l o a l i v e l l o f i s i c o - p e r i l t i p o d i c o r p o r a t ura, per il mod o in cu i pa r la o v es t e - quando il doc um e n t a r i o l o p o r t a i n g i r o p e r i l m o n d o p e r s a g g i a r e a l t r i s i s t em i sanitari. C on l’atte nzion e cost ant e r iv olt a al c or po dei paz ie n t i , m a a n c h e a l c o r p o d e l r e g i s t a - a t t o r e , q u e s t o d o c u m e n t a r i o ricorda gli stud i di M ic hel Fouc ault . Lui s t es s o av r e b b e p e n s a t o i l f i l m c o m e u n a b u o n a a n a l i s i d e l l a b i o p o l i ti ca - cioè d el mod o in c ui il pot er e am m inis t r a e dis po n e d e l l a v i t a d e g l i u o m i n i . L a g e s t i o n e d e l c o r p o u m a n o n el l a società americana, i l s u o i m p i e g o , i l s u o c o n t r o l l o , s e m b r a n o n l a s c i a r e s c a m p o a g l i i n c u b i d i u n n e o l i b e r i smo applicato e pervasiv o c o m e m a i p r i m a . Giuseppe Zucco 116 sentireascoltare Antonello Comunale sentireascoltare 117 l a s e ra d e l l a p r i m a Soffio (di Kim Ki-duk – Corea del Sud, 2007) Tu tto il mo nd o è paes e. Le s oc iet à indus t r i a l i z z a t e h a n n o t u t t e g l i s t e s s i p rob lemi. La c oppia non c om unic a, m a po t r e m m o a g g i u n g e r e s e m p l i c e me nte il ce leb r e adagio: “ Non dr am m at iz z i a m o . È s o l o q u e s t i o n e d i c o rn a”. Kim Ki-d uk av v er t iv a l’im pellenz a di dov e r p r e s e n z i a r e p e r l ’ e n n e s i m a volta al festiv a l d i C a n n e s e p e r e s s e r c i h a f a t t o i l c o n s u e t o f i l m i n t e m p i re co rd. Soffio è s t at o ac c olt o c on gener os it à d a “ r a ff i n a t i ” e s t e t i d e l c i n e ma d’a uto re cont em por aneo c om e Kez ic h e M e r e g h e t t i e h a t r o v a t o u n a ra pid issima v ia dis t r ibut iv a a s t agione app e n a i n i z i a t a . O r m a i p e r c e r t o cinema corea n o i l m e r c a t o , e i n p a r t i c o l a r e i l n o s t r o m e r c a t o , è t u t t o i n d iscesa. Po trem m o dir e c he t ut t o il c inem a o r i e n t a l e g o d e d i u n ’ a t t e n z i o n e ne l n ostro paes e alt is s im a ( Ang Lee c h e t r i o n f a a n c o r a a Ve n e z i a è lo sco nfo rtan t e eff et t o di t ut t o ques t o) . Sa r à p u r v e r o c h e s i a m o s e m p r e stati all’avang u a r d i a ( M i z o g u c h i c h e v i n c e p e r t r e v o l t e d i f i l a a Ve n e z i a è un vanto da p o r t a r e a l l ’ o c c h i e l l o ) , m a m a i c o m e o r a s i c a d e v a a i p i e d i d i qualsiasi cosa a b b i a g l i o c c h i a m a n d o r l a e s i a i n q u a d r a t a c o n u n c e r t o g usto ra ffina to ps eudo c hic . I l f at t o c he il n u o v o K i m K i - d u k s i a s t a t o d i stribuito imme d i a t a m e n t e a s e t t e m b r e a p p e n a i n i z i a t o , c o m e M u n g i u ( c h e p erò h a do vu t o v inc er e a Cannes , s ennò… ) , c o m e S h re c k e i S i mp s o n … è u n de ttag lio non ir r ilev ant e. Negli anni p a s s a t i , p e r v e d e r e c o s e c o m e Addr e ss Unk now n e L’ i sol a dov ev am o as p e t t a r e c h e E n r i c o G r e z z i c i f a c e s s e l a c o r t e s i a , a g e v o l a n d o ci l a vi si o n e via Fuo ri O r ar io, m a or a bas t a ent r ar e in u n a l i b r e r i a F e l t r i n e l l i p e r p o t e r s c o r g e r e v a g o n a t e d i Ti me e L’a r c o in comode ed i z i o n i D V D . S e f o s s e i l K i m K i - d u k d i u n t e m p o s a r e b b e u n b e l s e g n a l e , m a p u r t r o p p o è l’ombra d ell’a uto re ch e er a. O r m ai ha m es s o il pilo t a a u t o m a t i c o e S o ff i o è l a d i m o s t r a z i o n e l a m p a n t e c h e i su o i fi l m sono teoremi f r e d d i e p i l o t a t i . C o m e p o t e r p r e n d e r e s e r i a m e n t e l ’ e n n e s i m a s t o r i a d i c o r n a e d i i n c o m unicabilità tra co pp ie? Com e pot er s oppor t ar e s ilenz i s u s i l e n z i i l c u i u n i c o s c o p o è q u e l l o d i b e a r s i d e l l a p r o p r i a ap p a r e n te p rofo nd ità? C om e f ar e a las c iar s i pr ender e d a m e t a f o r e l o g o r e e t e l e c o m a n d a t e ( l e s t a g i o n i , l e f o t o , l ’ i n ci si o n e sul mu ro d ella c ella, il r appor t o om o- aff et ti v o t r a i d u e c o n d a n n a t i ) . N o n c ’ è v e r s o d i l a s c i a r s i p r e n d e r e d a u n film che è più f r e d d o d e l g h i a c c o s i b e r i a n o e d i u n a t e c n i c a c o s ì g o ff a m e n t e a r t i s t i c a d a s e m b r a r e t e l evisiva (lo spe cchio n ell’ angolo c he inquadr a i pr ot ago n i s t i d i r i f l e s s o d a l s a l o t t o è u n a c o s a d i u n i n f a n t i l e a l l u c in a n te …) . Pe r Kim ci vo r r ebbe una paus a e un bel po ’ d i u m i l t à i n p i ù , e p e r i l p u b b l i c o i t a l i a n o u n a d i s i n t o s s i c azi o n e d a tu tto q ue sto es ot is m o s uper f ic iale di plas t ic a . Derek Bailey L’ANARCHIA DEL GENTLEMEN LIBERTARIO i c o s i d d e t t i c o n t e m p o ra n e i a cura di Daniele Follero di Daniele Follero “Deve esserci un qualche grado non solo di mancanza di familiarità, ma proprio di incompatibilità con un partner. Altrimenti, che improvvisi a fare?” (Derek Bailey) Non è possibile introdurre un pers o n a g g i o c o m e D e r e k B a i l e y, s e n za accennare al suo concetto di improvvisazione libera. E’ stato così importante questo concetto per lui e la sua musica, che sarebbe inconcepibile anche solo percepire il suo modo di suonare, senza prima sforzarsi di capire cosa intendesse il chitarrista inglese per improvvisazione. Niente a che vedere con le “variazioni sul tema” proprie del jazz più convenzionale, né con la combinazione estemporanea di archetipi stilistici. Per Bailey il concetto di improvvisazione coincide con quello di anarchia e supera qualsiasi limitazione all’espressione libera e incondizionata. Improvvisare vuol dire, in questo senso, essere totalmente padroni delle proprie volontà, senza interessarsi minimamente alla convenzione. Ma nessuno meglio di lui stesso (caso più unico che raro in ambito artistico) è riuscito a dare una definizion e d e l l a s u a m u s i c a e d e l l a d i ff e renza tra quella che normalmente viene definita improvvisazione e ciò che lui intendeva per “freely improvised music”: “La prin cip ale d iffere nz a t r a la m usica liberamente im p r o v v i s a t a ” e ciò che normalmente v i e n e d e f i n i t a impro vvisa zio ne su pat t er n r it m ic omelodici “è che q ue s t ’ult im a è idiomatica laddove l’im p r o v v i s a z i o n e libera no n lo è p er n ient e. [ Le m usiche improvvisate] s o n o c o s t i t u i t e da un idio ma, no n dall’im pr ov v is azione stessa e si fo r m a n o c o m e i 118 sentireascoltare dialetti nei confronti di una lingua. Sono il pr o d o t t o d i l o c a l i s m i c h e possiedono le caratteristiche di una det er m inat a s o c i e t à . L’ i m p r o v v i s a z ione es is t e n e l l a m u s i c a d i q u e s t e s oc iet à ( e q u i c i s i r i f e r i s c e a l jaz z c las s ic o q u a n t o a l l e m u s i c h e et nic he) n e l l a m i s u r a i n c u i s e r v e a d a ff e r m ar e u n ’ i d e n t i t à c e n t r a l e , che rifletta una particolare regione ed una par t i c o l a r e p o p o l a z i o n e . E l’im pr ov v is a z i o n e d i v e n t a u n o s t r u mento (foss’anche lo strumento più im por t ant e) . L e r a d i c i d e l l ’ i m p r o v visazione libera, invece, stanno nell’oc c as io n e p i ù c h e n e l l u o g o . For s e l’im p r o v v i s a z i o n e , q u i , p r e n de il posto dell’idioma. In pratica, in un’improvvisazione di questo tipo, una miriade infinita di stili può mescolarsi, ma senza dare vita a un idiom a, b e n s ì a d u n ’ i d i o s i n c r a sia, cioè un incrocio estemporaneo e assolutamente imprevedibile di linguaggi m u s i c a l i ” . Forse è proprio questa la ragione p r i n c i p a l e d e l l a d i ff i c o l t à c o n l a quale, nella maggior parte dei casi, la musica di Bailey è giudicata estremamente ostica ad un ascolto che potremmo definire convenzionale, cioè legato a parametri condivisi dalla maggioranza. Nessuna struttura formale, nessuna gerarchia timbrica, melodica e armonica a l l a b a s e . Tu t t o , m a p r o p r i o t u t t o , regolato unicamente dalla libertà espressiva di chi interagisce nel processo improvvisativo. Anche per questo Bailey è stato definito il John Cage della chitarra (in maniera un po’ troppo semplicistica, a d i r e l a v e r i t à , c h é l e d i ff e r e n z e tra i due sono tantissime, ma non è questo il luogo per metterle in evidenza). Dal jazz alla liberazione totale della musica “non idiomatica” Eppure la carriera di musicista di Derek Bailey, inglese di Sheffield, classe 1930, è cominciata con tutt’altre premesse. Formatosi alla corte di chitarristi classici e di jazzisti, tra cui spicca la figura di John Duarte, gli esordi professionali del giovane Derek sono legati al lavoro di turnista nei più svariati contesti: sale da ballo, radio e tv, prevalentemente. Il suo primo trio, insieme a Tony Oxley e Gavin Bryars, fondato nel 1963, si muove ancora in un contesto jazzistico “classico”, anche se lascerà presto queste sicure sponde, per intraprendere il cammino della “liberazione”. Nel 1966, Bailey, allora trentaseienne, decide di trasferirsi a Londra, dove trova un ambiente piuttosto consono alle sue ancora embrionali idee sull’improvvisazione. Nella capitale, infatti, il chitarrista comincia un periodo fruttuosissimo di collaborazioni e prende parte a diversi ensemble dediti al verbo della libertà improvvisativa, tra i quali vale la pena di ricordare, almeno: lo Spontaneous Music Ensemble, cui presero parte anche Evan Parker, il contrabbassista Dave Holland e il trombettista Kenny Wheeler; la Music Improvisation Company (con Parker, Jamie Muir e Hugh Davies) la Jazz Composers’ Orchestra e gli Iskra 1903, un trio con il contrabbassista Barry Guy e il trombonista Paul Rutherford. Ma la sua formazione è legata anche alla musica “colta” europea, che influenzerà i suoi primi lavori solisti. In particolare, la fascinazione per la musica di Anton Weber è evidente Quando l’arte si confonde con la vita. Fino alla morte Qu est’attitu di ne liber t ar ia, t eor iz zata ne l 19 80 c on il libr o I m pr ovi s ation: It’s Nat ur e And Pr act i ce, i c o s i d d e t t i c o n t e m p o ra n e i in quella ricerca di parcellizzazione della composizione in momenti (attimi) separati e indipendenti tra loro, in cui il silenzio è parte integrante del suono. E’ questo l’approccio che contraddistingue le sue prime registrazioni (riedite successivamente da Tzadik con il titolo di Pieces For Guitar) e i due album solisti Solo Guitar Voll. 1 e 2 (rispettivamente del 1971 e dell’anno successivo). Due dischi , questi ultimi, che figurano tra le prime uscite per la Incus, etichetta da lui fondata a Londra nel 1970 insieme a Tony Oxley, Evan Parker e Michael Waters e che dalla sua fondazione e fino alla morte di Bailey rappresenterà, oltre alla sua principale occupazione, anche il punto di riferimento di una generazione di improvvisatori i cui soli nomi possono dare l’idea della portata di un movimento che ha condizionato e continua a condizionare l’avanguardia musicale. Tutti musicisti che nel 1976 confluiranno nella Company, una vera e propria congregazione di improvvisatori: Antony Braxton, Tristan Honsinger, Misha Mengelberg, Lol Coxhill, Fred Firth, Steve Beresford, Steve Lacy, Johnny Dyani, Leo Smith, Han Bennink, Eugene Chadbourne, Henry Kaiser, John Zorn (ma la lista potrebbe essere molto più lunga). Personaggi legati in maniera diversa al mondo dell’improvvisazione, molti dei quali cresciuti, non a caso, con il jazz, emblema occidentale dell’arte di improvvisare. Per Bailey, ogni incontro di musicisti, anche tra realtà molto diverse tra loro (anzi, soprattutto tra queste), genera potenzialmente sempre qualcosa di interessante, se è liberato dalle strette maglie degli schemi preordinati. Il momento dell’improvvisazione, il vero qui-ed-ora della musica, se non è strumento di una struttura, può dire cose veramente nuove, il non-detto, il cui fascino è anche dovuto al fatto che non si ripeteranno mai più come prima. ha spinto il chitarrista inglese ad apr ir e l a p o r t a a c h i u n q u e , d a n d o v it a a d u n a s p e r i m e n t a z i o n e i n c e s s ant e , c h e l o h a p o r t a t o a c o n f r o n tarsi con mondi diversi, a volte agli ant ip o d i c o n i l s u o c o n c e t t o d i m u s ic a e c h e h a d a t o v i t a a d u n a d i s c o g r a f i a d i ff i c i l m e n t e c a t a l o g a b i l e : dal sa x d i A n t h o n y B r a x t o n ( i l D u o pubblicato nel 1974 dalla Emanem r im an e u n a p i e t r a m i l i a r e n e l l a c a r riera di entrambi) a quello di John Zor n; d a l s u o d i r e t t o d i s c e n d e n t e Fr ed F r i t h a l l a b a n d n o i s e g i a p p o nes e R u i n s ( To h j i n b o , P a r a t a c t i l e , 1 9 9 7 ) f i n o a l l e r a ff i n a t e “ c a n z o n i ” di Da v i d S y l v i a n , r a c c o l t e i n q u e l Bl em i s h ( S a m a d h i s o u n d , 2 0 0 3 , a c ui h a p a r t e c i p a t o a n c h e F e n n e s z ) c he h a f a t t o c o n o s c e r e l a s u a c h i t ar r a ( i n m o l t i c a s i , p e r l a p r i m a v o l ta) ad un pubblico di profani della s ua m u s i c a . Questa frenetica ricerca del nuovo si rifletteva benissimo anche nel suo stile, assolutamente estraneo a qualsiasi riferimento possibile. Bailey è stato il primo ad esplorare le possibilità timbriche non convenzionali della chitarra, sfregandola, grattandola, percuotendola, e in questo rappresenta il padre di una lunga serie di discepoli, diretti e indiretti, che vanno da Fred Frith a Bernard Falaise dei canadesi Foodsoon. Ma la sua maniera di suonare non si limitava ad intervenire sul timbro, bensì provava a stravolgere anche gli altri parametri musicali, attraverso l’uso del ritmo libero, di distanze intervallari ampissime ottenute con l’uso alternato di armonici e di corde pizzicate in maniera tradizionale, e di feedback (se si trattava di strumenti elettrici). Il tutto, manco a dirlo, costruito su un tessuto melodico-armonico atonale, che si butta alle spalle circa nove secoli di teorie sulle relazioni verticali e orizzontali tra le note, lasciando il campo libero da qualsiasi costrizione. Qualsiasi. Anche quando la costrizione diventa fisica, Bailey cercherà di eluderla. Il rifiuto di farsi operare alla sindrome del tunnel carpale (neuropatia dovuta all’irritazione del nervo mediano e preludio della sclerosi laterale amiotrofica che lo avrebbe ucciso in poco tempo), che gli impediva di impugnare il plettro, per apprendere una nuova tecnica che si potesse adattare alla limitazione fisica, è indicativo di quanto la sua voglia di sperimentare con la musica fosse in realtà un atteggiamento esistenziale. Carpal Tunnel (Tzadik, 2005), oltre ad essere l’ultimo album registrato in vita da Bailey (in questi due anni sono già stati pubblicati alcuni album postumi, tra cui il più recente è Standards (uscito per la Tzadik, nella sezione Backyard), è anche la testimonianza diretta di quella sua lotta contro il male. Una lotta impossibile da vincere. Ma forse era proprio questa sfida all’impossibile che lo aveva sempre affascinato. sentireascoltare 119 120 sentireascoltare