Panorama - La voce del popolo
Transcription
Panorama - La voce del popolo
Anno LX - N. 17 - 15 settembre 2012 - Rivista quindicinale - kn 14,00 - EUR 1,89 - Spedizione in abbonamento postale a tariffa intera - Tassa pagata ISSN-0475-6401 Panorama www.edit.hr/panorama Croazia: salvo il rating creditizio Hrvoje Marko Peruzović, Karl Vouk, Mira Ličen Krmpotić, Klementina Golija, Janko Orač, Klavdij Tutta, Katja Smerdu, Fulvia Zudič, Valentin Oman, Nikola Mašukov, Matej Metlikovič «A Maria 1512-2012» F ino al 28 settembre prossimo presso Casa Tartini a Pirano sono in mostra i lavori realizzati alla colonia artistica per la raccolta di arte sacra a Strugnano in occasione dei 500 anni dell’apparizione della Maria della Visione. Il laboratorio si è svolto presso il Convento francescano di Strugnano alla fine di aprile e vi hanno partecipato 13 artisti internazionali tra i quali la connazionale Fulvia Zudič. Gli artisti, selezionati da Klavdij Tutta, hanno avuto modo di creare nell’idilliaco ambiente del convento e di conoscere gli aspetti più interessanti della località e dei suoi dintorni, Strugnano. Le opere sono state in mostra dapprima al Convento fracescano di Strugnano nel mese di agosto, e ora sono esposte presso la Comunità degli Italiani di Pirano. Klavdij Tutta “Pot k križu” 2 Panorama Darko Slavec dal ciclo “Kruh in kozmos” Fulvia Zudič “Visione a Strugnano” Katja Smerdu “Lumina” In primo piano Secondo il ministro alla Sanità, Rajko Ostojić, anche se il sistema è irrazionale In Croazia il miglior personale medico! di Ardea Velikonja l Governo Milanović ha appoggiato di recente la “Strategia nazionale dello sviluppo della sanità dal 2012 al 2020”. Il piano è stato steso da professionisti del settore, legali ed economisti ed è stato presentato dal ministro Rajko Ostojić. “Abbiamo il miglior personale medico in questa parte d’Europa - ha tenuto a sottolineare il ministro alla Sanità -, e siamo tra i primi al mondo in fatto di donazioni di organi e trapianti, ma, e purtroppo c’è sempre un ma, il problema sta nella frammentazione del sistema sanitario che non funziona né in orizzontale né in verticale. Non potremo mai accedere ai fondi EU senza una strategia di sviluppo del settore. Abbiamo perso sette-otto anni e ora dobbiamo rimboccarci le maniche”, ha concluso il ministro. Nel piano è compresa un’attenta analisi dei pregi e difetti del nostro sistema sanitario ma anche tutte le riforme, l’ultima avvenuta nel 2008 quindi quando è iniziata la crisi economica, e conclude dicendo che “sono ancora troppo numerose le istituzioni sanitarie che generano deficit e che non hanno i quadri professionisti necessari”. Nel documento si parla inoltre del finanziamento delle istituzioni sanitarie e di quale sia il loro contributo nel PIL. Al termine della lettura del documento è intervenuto il premier Milanović che ha tenuto a sottolineare che “non c’è Stato povero al mondo che abbia un sistema sanitario ai massimi livelli. Quello croato è irrazionale e il nostro compito è quello di porgere alla popolazione le cure migliori con il poco denaro che abbbiamo a disposizione. Dobbiamo chiederci se possiamo finanziare tante istituzioni sanitarie che porgono un servizio mediocre e che si trovano a breve distanza l’una dall’altra. In un paese dove da nord a sud si arriva in due ore d’automobile servirebbero solo alcuni centri medici e non i 6070 ospedali vari che abbiamo. Un simile numero di cliniche basta per un paese come il Texas!” I Dopo la pubblicazione della Strategia il dott. Nikica Gabrić, ex presidente del Consiglio direttivo dell’Istituto nazionale per la sanità, si è sfogato dicendo che “i 22 miliardi annui di cui dispone la sanità vengono spesi in modo irrazionale e noi non abbiamo una struttura sanitaria normale: quella primaria, secondaria e terziaria è inesistente. Quindi qualcosa non funziona. Non è vero che non abbiamo medici, ne abbiamo anche troppi ma non lavorano anche se sono profumatamente pagati. Basti un dato: in dieci anni le paghe dei dottori sono salite vertiginosamente e in nessuna parte del mondo possono usufruire di 7 settimane di ferie come da noi. Gli ospedali spendono e spandono mentre i contributi alla sanità sono i più bassi in Europa. Quindi qui qualcosa non va, è il momento che il governo dica basta ad una situazione simile, che si rimbocchi le maniche e definisca dettagliatamente i diritti del paziente ma anche degli impiegati nel settore il tutto per aumentare l’efficacia del sistema sanitario”. Ebbene fino a qua le dichiarazioni ufficiali, ma come la mettiamo con il paziente che aspetta mesi, per non dire anni, una visita specialistica dopo che per anni ogni nuovo ministro della Sanità ha promesso che non ci saranno liste d’attesa. Perché presso un ambulatorio privato si può fare una visita nel giro di due giorni mentre negli ospedali e policlinici si aspettano mesi? Perché per una riabilitazione si aspettano anni? Secondo un dato statistico in Croazia annualmente si effettuano 15.000 operazioni della cataratta: per farle in condizioni normali servono 15 medici che opereranno 22 pazienti alla settimana. Noi in Croazia abbiamo 400 oftalmologi e per operare una semplice cataratta si aspetta un anno! Evidentemente qualcosa non va perché la matematica non è un opinione. E infine se il ministro afferma che abbiamo il miglior personale medico in questa parte d’Europa, viste le statistiche, non sarà forse che non lavorano abbastanza? ● Costume e scostume Dimissioni sode o alla coque? Il PIL in Croazia ha avuto una “caduta” del 2,1 per cento rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Quando la notizia è diventata di pubblico dominio il premier Milanović si è rivolto al popolo chiedendo “un po’ di pazienza dato che noi non chiediamo pietà né cerchiamo di accativarci le vostre simpatie”. Evidentemente la parola “dimissioni” al governo è sconosciuta. E sono stati sempre i “terribili” giornalisti, dopo che l’Istituto nazionale per la statistica ha reso noti i dati sul PIL nel paese, a chiedere al premier se, dati i risultati nell’economia, il governo pensa di dimettersi. E Milanović ha candidamente risposto “Quali tipi di dimissioni volete: sode o alla coque?” e ha continuato “Noi non commentiamo, lavoriamo, non sono un commentatore. Abbiamo ereditato i trend negativi non dal governo precedente, ma dalla situazione globale. Non solo pensiamo ma siamo convinti che il prossimo anno non sarà migliore, ovvero che riusciremo a realizzare un PIL positivo anche se il terzo quadrimestre registrerà risultati positivi nel turismo. La Croazia è uno di quei paesi lasciati al caso, ed è questo che dobbiamo cambiare, il modo di governarla. Dipendiamo in pratica dalla pioggia: se non c’è va bene per il turismo ma non va bene per l’agricoltura. In poche parole dipendiamo da cose sulle quali non possiamo avere alcuna influenza. Noi lavoriamo, stiamo risolvendo la cantieristica e quelle cose delle quali per 17 anni nessuno si è occupato”. Panorama 3 Panorama www.edit.hr/panorama Ente giornalistico-editoriale ED IT Rijeka - Fiume Direttore Silvio Forza PANORAMA Redattore capo responsabile Mario Simonovich [email protected] Progetto grafico - tecnico Daria Vlahov-Horvat Redattore grafico - tecnico Annamaria Picco Collegio redazionale Nerea Bulva, Diana Pirjavec Rameša, Mario Simonovich, Ardea Velikonja REDAZIONE [email protected] Via re Zvonimir 20a Rijeka - Fiume, Tel. 051/228-789. Telefax: 051/672-128, direttore: tel. 672-153. Diffusione: tel. 228-766 e pubblicità: tel. 672-146 ISSN 0475-6401 Panorama (Rijeka) ISSN 1334-4692 Panorama (Online) ABBONAMENTI: Tel. 228-782. Croazia: annuale (24 numeri) kn 300,00 (IVA inclusa); semestrale (12 numeri) kn 150,00 (IVA inclusa); una copia kn 14,00 (IVA inclusa). Slovenia: annuale (24 numeri) euro 62,59 - semestrale (12 numeri) euro 31,30 - una copia euro 1,89. Italia: annuale (24 numeri) euro 70,00 una copia: euro 1,89. Versamenti: per la Croazia sul cc. 2340009-1117016175 PBZ Riadria banka d.d. Rijeka. Per la Slovenia: Erste Steiermärkische Bank d.d. Rijeka 7001-3337421/EDIT SWIFT: ESBCHR22. Per l’Italia - EDIT Rijeka 3337421- presso PBZ 70000 - 183044 SWIFT: PBZGHR2X. Numeri arretrati a prezzo raddoppiato INSERZIONI: Croazia - retrocopertina 1.250,00 kn; retrocopertina interna 700,00 kn; pagine interne 550,00 kn; Slovenia e Italia retrocopertina 250,00 euro; retrocopertina interna 150.00 euro; pagine interne 120,00 euro. PANORAMA esce con il concorso finanziario della Repubblica di Croazia e della Repubblica di Slovenia e viene parzialmente distribuita in convenzione con il sostegno del Governo italiano nell’ambito della collaborazione tra Unione Italiana (FiumeCapodistria) e l’Università Popolare di Trieste EDIT - Fiume, via Re Zvonimir 20a [email protected] La distribuzione nelle scuole italiane di Croazia e Slovenia avviene all’interno del progetto “L’EDIT nelle scuole III”, sostenuto dall’Unione Italiana di Fiume, realizzato con il tramite dell’Università Popolare di Trieste e finanziato dal Governo italiano (Ministero degli Affari Esteri - Direzione Generale per l’Unione Europea) ai sensi della Legge 193/04, Convenzione MAE-UPT. Consiglio di amministrazione: Roberto Battelli (presidente), Fabrizio Radin (vicepresidente), Maria Grazia Frank Franco Palma, Ilaria Rocchi, Marianna Jelicich Buić. 44Panorama Panorama Panorama testi N. 17 - 15 settembre 2012 Sommario IN PRIMO PIANO Secondo il ministro alla Sanità, Rajko Ostojić, anche se il sistema è irrazionale IN CROAZIA IL MIGLIOR PERSONALE MEDICO!................. 3 di Ardea Velikonja ATTUALITÀ Grazie ad una politica fiscale rigorosa voluta dal Ministero delle Finanze CROAZIA: SALVO IL RATING CREDITIZIO................ 6 di Diana Pirjavec Rameša INTERVISTE Enrico Serventi Longhi ha pubblicato una ricerca su Alceste De Ambris FIUME, LABORATORIO DEL NUOVO MONDO................... 8 di Diana Pirjavec Rameša GUERRA SUL MARE Discordanti quanto significativi i dettagli del combattimento DUE SECOLI FA LA BATTAGLIA NAVALE DI PIRANO.................... 14 di Giacomo Scotti SOCIETÀ Riflessioni su Carlo Maria Martini PER UNA CHIESA APERTA E PROFETICA.................17 di Marino Vocci LA STORIA OGGI L’Ernesto Guevara de la Serna tra mito e realtà CHE: UN AVVENTURIERO ROMANTICO E VAGABONDO.. 18 di Fulvio Salimbeni PSICOLOGIA CREDENZE E CIRCOSTANZE: COME NASCE UN FANATICO... 20 di Denis Stefan ARTE Alla galleria Adris di Rovigno la mostra di Vilko Gecan, importante nome della pittura croata moderna UN PITTORE E VIAGGIATORE ANCHE ATTRAVERSO GLI STILI..26 di Erna Toncinich REPORTAGE Il Festival storico Giostra da sei anni è diventato un prodotto turistico PARENZO BAROCCA PER TRE GIORNI.......................... 28 di Ardea Velikonja LETTURE “HORROR TEMPORUM (L’OLEANDRO DI PORTA PILE)”.. 34 di Laura Marchig LIBRI Secondo romanzo della trilogia “The Century” di Ken Follett appena uscito Un EPICO... INVERNO DEL MONDO................................. 38 ITALIANI NEL MONDO Il missionario e volontario italiano ha contribuito al salvataggio dell’Amazzonia DARIO BOSSI, UNA VITA PER GLI ALTRI..............................40 a cura di Marin Rogić MADE IN ITALY Alla grande kermesse, dal 27 al 30 settembre, presente per la prima volta l’Istria GUSTI DI FRONTIERA A GORIZIA...42 a cura di Ardea Velikonja MUSICA VOCE, TEATRO E MUSICA UN TERRENO DI RICERCA DALLE INFINITE POSSIBILITÀ.. 44 a cura di Ardea Velikonja CINEMA Oggi esistono rassegne sulle minoranze che si svolgono nei luoghi più diversi, dalla Corsica alla Scandinavia LE CINEMATOGRAFIE CHE STANNO USCENDO DALLA MARGINALITÀ............ 22 di Alessandro Michelucci SPORT Il dopo-Olimpiadi: polemiche con Carl Lewis BOLT ARRIVERÀ A 9.40, CALCIO E CRICKET PERMETTENDO.......46 a cura di Bruno Bontempo CINEMA E DINTORNI Theo Angelopulos si è spento da poco, Manoel De Oliveira ha oggi 104 anni e Marco Righi comincia la sua carriera PER UN MAESTRO CHE SE NE VA, UNO CHE RIMANE E UNO CHE STA NASCENDO..................24 di Gianfranco Sodomaco MULTIMEDIA Il software gratuito per il fotoritocco e per la gestione degli archivi fotografici PICASA 3.9 PARLA CON GOOGLE+... 50 a cura di Igor Kramarsich TRA STORIA E GUSTO L’ULIVO: UN VECCHIO DI MILLENNI... 48 di Sostene Schena RUBRICHE....................................52 a cura di Nerea Bulva IN COPERTINA: Operai al lavoro. Fino a quando? (foto di Goran Žiković) Agenda Intoppi nei lavori rimandano a data di destinarsi il soggiorno dei 32 bimbi iscritti Slitta l’apertura dell’asilo «Pinocchio» di Zara I bimbi iscritti all’asilo in lingua italiana di Zara avrebbero dovuto iniziare nel mese di settembre a frequentare la nuova istituzione situata in una bella villetta nei pressi della scuola elementare. Purtroppo non è così dato che l’impresa che ha effettuato i lavori non li ha finiti e per ora non si sa quando sarà possibile ospitare i bambini. Come ha detto la presidente della CI di Zara Rina Villani “non si sa cosa sia successo, dato che è iniziata la seconda fase dei la- vori per i quali non era stato ancora firmato nessun contratto. Noi non abbiamo potuto far altro che avvisare i genitori dei 32 bimbi iscritti. Alcuni hanno optato per l’iscrizione in un asilo d’infanzia della maggioranza, altri invece hanno deciso di attendere l’apertura di quello della CI”. Da parte sua Maurizio Tremul presidente della Giunta esceutiva dell’UI ha voluto sottolinare che “si sta lavorando con la massima intensità per risolvere nel modo più ra- pido questa situazione però ritengo corretto non fare previsioni in merito alla prossima apertura”.● Animata riunione del Consiglio della RTV slovena sul preventivato taglio del canone A rischio i programmi della RTV di Capodistria? L e possibili conseguenze del preventivato taglio del canone radiotelevisivo sui programmi dell’ente pubblico sloveno ha suscitato grande animosità nel corso della riunione del Consiglio della Radiotelevisione slovena. Infatti questo taglio indubbiamente influirà sui programmi ma anche sul personale, anche se è prevista una nuova programmazione. E per quanto riguarda i programmi italiani della RTV di Capodistria è intervenuto il presidente della Giunta esecutiva UI Maurizio Tremul che è pure consigliere del Comitato dei programmi della RTV slovena che si è espresso contro il taglio del ca- none per il quale non esisterebbero motivi reali, ma che può avere conseguenze molto serie sul ruolo e sulla missione affidata ai Centri regionali che lavorano per l’informazione della Comunità nazionale italiana ed ungherese, nonchè per gli sloveni che vivono nei Paesi vicini. “Esorterò i deputati Roberto Battelli e Làszló Göncz a votare contro il decreto governativo e di richiedere di rivedere la riduzione del canone”.● L’Ex tempore si svolgerà dal 27 al 30 settembre con artisti internazionali Grisignana a fine mese diventa una grande galleria R ealizzata nell’ambito della collaborazione tra l’Unione Italiana, la locale Comunità degli Italiani e il Comune di Grisignana, con il contributo del ministero agli Affari Esteri italiano e della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia si svolgerà dal 27 al 30 settembre prossimi l’Ex tempore di pittura. L’iniziativa, giunta ormai alla sua XIX edizione, ha visto nel corso degli anni un significativo e progressivo successo che ha portato nella splendida cornice della cittadina istriana un numero sempre maggio- re di artisti provenienti da Croazia, Slovenia, Italia e Austria. La manifestazione comprenderà, oltre alla competizione artistica principale, numerose iniziative culturali e letterarie collaterali e appuntamenti di musica tradizionale, dunque come sempre un ricco contenitore dedicato ai visitatori di tutte le fasce d’età. Una Giuria internazionale valuterà i lavori scelti e assegnerà i premi che verranno consegnati domenica pomeriggio. Da rilevare che ogni anno sono tantissimi gli artisti che vi partecipano ed altret- tanto numeroso è il pubblico che proviene da varie parti della Croazia e della Slovenia.● Panorama 5 Attualità Grazie ad una politica fiscale rigorosa voluta dal Ministero delle Finanze Croazia: salvo il rating creditizio di Diana Pirjavec Rameša L’ agenzia di rating Fitch ha rivisto la prospettiva dello status del debito pubblico croato da un giudizio negativo in “stabile”, mantenendo al contempo a BBBla valutazione del rating creditizio sui titoli in valuta straniera a lunga scadenza. Lo riferiscono i media di Zagabria citando l’agenzia. “Il giudizio stabile della prospettiva del rating della Croazia è fondato su una politica fiscale rigorosa intrapresa dal governo di Zagabria e dal ministro delle Finanze, Slavko Linić, in sintonia con le richieste per una maggiore responsabilità fiscale”, spiega Fitch in una nota. “Gli sforzi del governo per migliorare la riscossione delle tasse e nella lotta contro l’evasione fiscale - aggiunge Fitch stanno dando risultati concreti”. Comunque, l’agenzia ricorda che l’alto debito pubblico croato è “insostenibile a lungo termine” senza una serie di riforme strutturali del mercato del lavoro e senza nuovi investimenti. La Croazia sta attraversando una fase di crisi economica che nel 2012 ha assunto le caratteristiche di recessione, con la crescita negativa del PIL, anche se le prospettive vedono il PIL in lieve crescita a partire dal 2013. A pesare è stato soprattutto il calo degli investimenti e delle esportazioni nei rapporti con i paesi dell’Eurozona, i principali partner economici e commerciali della Croazia. La stabilità macroeconomica del paese non è a rischio, tuttavia la Croazia ha una posizione debitoria elevata (100 p.c. del PIL) che peserà sulle scelte governative inducendo a forti tagli sulla spesa che potrebbero ulteriormente deprimere l’economia, già caratterizzata da livelli di produttività non elevati: infatti la produzione industriale nel mese di luglio è calata del 5,5 p.c. rispetto allo stesso mese del 2011. A questo quadro va aggiunta pure una disoccupazione tra le più alte in Europa. Negli ultimi anni le autorità hanno cercato di stimolare lo sviluppo e 6 Panorama Il ministro croato delle Finanze, Slavko Linić la crescita, provando ad aprire l’economia ed a liberalizzarla soprattutto per raggiungere gli standard richiesti per l’ingresso definitivo nell’Unione europea, previsto per il 2013. Corruzione e una burocrazia ancora inefficiente rallentano questo processo e limitano l’attrattività dell’economia croata agli occhi degli investitori europei ed internazionali, anche a causa di un mercato del lavoro ancora rigido. La stabilità politica sembra garantita così come il livello di sicurezza, che al momento garantisce l’assenza di particolari rischi per lo sviluppo di attività economiche e commerciali. Il protrarsi della situazione di recessione economica potrebbe tuttavia mettere a dura prova la stabilità dell’attuale coalizione di governo e provocare proteste a livello sociale. Altro dato che preoccupa è la disoccupazione. È di qualche giorno la notizia che il numero complessivo di persone senza lavoro ha superato quota 300.000. Uno degli interventi che dovrebbero arginare questo grave problema economico e sociale è una modifica all’attuale Legge sul lavoro che viene considerata poco flessibile e non certo in grado di rispondere alle esigenze del mercato. Le modifiche ventilate dal ministro Mirando Mrsić riguardano la possibilità di introdurre contratti di lavoro part time: metà orario lavorativo, un terzo dell’orario di lavoro. Un modo questo per venire incontro alle imprese che stanno oramai soffocando sotto una forte pressione fiscale e con leggi che pongono troppi paletti alla loro attività. Nonostante le gravi difficoltà che incontra il governo croato i suoi ministri continuano ad impegnarsi in ambito internazionale nell’intento di fermare i flussi negativi in economia e dar quanta più stabilità al paese sviluppando rapporti positivi e di collaborazione con i paesi europei. Ed è in questa ottica che va inserita la partecipazione del ministro degli Esteri e degli Affari europei della Croazia, Vesna Pusić, nei primi giorni settembre all’annuale “Strategic Forum” di Bled, occasione in cui ha incontrato il suo omologo sloveno Karl Erjavec. Al centro della conferenza di quest’anno, il cui titolo era “L’Europa e l’ordinamento globale ridisegnato”, è stato il ruolo dell’Europa nelle relazioni internazionali, le sfide regionali nel sud del Mediterraneo, Europa sudorien- Attualità Vesna Pusić e Karl Erjavec a Bled tale e Asia centrale nonché le relazioni tra Ue e Cina. Commentando alcuni articoli pubblicati dai media croati in cui si sostiene che Bruxelles stia perdendo la pazienza in merito alla questione della Ljubljanska banka con la quale si vorrebbe condizionare la ratifica dell’accordo di adesione della Croazia all’Ue, Erjavec ha detto che non percepisce alcuna pressione e che si tratta soltanto di speculazioni mediatiche. “Bisogna trovare una soluzione adeguata per entrambe le parti” ha detto in relazione al problema della Ljubljanska banka ed i soldi dei risparmiatori croati. Il ministro degli Esteri sloveno ha ricordato che i due governi avevano nominato un team di esperti finanziari che si sono già incontrati al fine di esaminare il problema e proporre ai governi possibili soluzioni. Per questo motivo, ha precisato, bisogna continuare il dialogo. Sia il ministro Pusić che Erjavec ritengono di aver compiuto un grande passo avanti rispetto al loro ultimo incontro svoltosi a Dubrovnik (Ragusa). Hanno espresso modesto ottimismo per quanto riguarda il lavoro degli esperti finanziari annunciando una prossima riunione. Gli esperti che si occupano della questione sono Zdravko Rogić e France Arhar e si tratta di una proposta con la quale la Slovenia indirettamente condiziona la ratifica del trattato di adesione della Croazia all’Ue. “Tutti i dati relativi alla loro prima riunione parlano a favore della possibilità di trovare una soluzione relati- Il ministro degli Esteri, Vesna Pusić va alla situazione ‘win-win’ per entrambi gli stati e una loro proposta potrebbe uscire fuori in tempi brevi” ha commentato il ministro croato Pusić. Alla domanda quando ci si può aspettare che la Slovenia ratifichi l’accordo croato, ha detto che personalmente vorrebbe che questo accada al più presto, mentre il suo collega sloveno Erjavec ha espresso speranza che gli esperti presentino al più presto le loro soluzioni, che successivamente dovrebbero essere accettate da entrambi i governi. Dopo l’approvazione dei due governi, non vi sarebbe più nessuna ragione perché la Slovenia non iniziasse subito con la ratifica dell’accordo di adesione della Croazia all’Ue, ha detto Erjavec. Un argomento quindi questo che per la Croazia è importante visto che si tratta di rispettare l’annunciato ingresso del paese nell’Ue previsto per il primo luglio 2013. Il presidente della Slovenia, Danilo Türk, ha raccomandato ai diplomatici sloveni, riunitisi alle tradizionali consultazioni annuali svoltesi a Brdo kod Kranj, di riflettere sulla possibilità di una collaborazione di partenariato con la Croazia dopo che questa sia diventata membro a pieno titolo dell’Ue. Ipoteticamente è possibile immaginare delle consultazioni più strette tra Italia, Austria, Slovenia e Croazia nel contesto di decisioni da prendere nell’Ue. “Numerosi interessi accomunano questi Paesi e per questo un loro approccio coordinato relativo ai temi di cui si occupa l’Ue porterebbe indubbiamente a delle no- vità nel processo decisionale europeo, soprattutto nei prossimi anni, i quali saranno decisivi per il rafforzamento identitario dell’Ue” - ha detto il capo dello stato sloveno. Nel suo intervento di apertura alle consultazioni, Danilo Türk ha sottolineato che la Slovenia nel senso geopolitico ha tre identità perché è al tempo stesso uno stato balcanico, mitteleuropeo e mediterraneo. Va detto anche che pochi giorni fa il premier sloveno Janez Janša ha ammesso per la prima volta che la Slovenia rischia la bancarotta già ad ottobre. Anche se il governo sloveno finora dichiarava che tutti i problemi li poteva risolvere da solo, Janša ha ammesso esattamente il contrario dopo che le agenzie di credito hanno abbassato il rating della Slovenia per cui il valore del PIL nel secondo quadrimestre è calato del 3,2 per cento. Secondo i media tedeschi e austriaci, la Slovenia intende indebitarsi sul mercato americano contando su interessi inferiori rispetto a quelli europei. Il ‘Financial Times’ ritiene che l’appello di Janša in cui chiede aiuto è frutto dell’impossibilità del suo governo di coalizione di raggiungere un accordo sulle riforme. Il tedesco ‘Die Presse’ riprende le dichiarazioni del premier sloveno il quale ammette che la Slovenia deve pagare in un solo colpo due miliardi di euro di debiti a cui vanno aggiunti gli interessi, il che sarà impossibile se in autunno non verranno accolte le indispensabili misure per arginare la grave crisi finanziaria.● Panorama 7 Interviste Enrico Serventi Longhi ha pubblicato una ricerca su Alceste De Ambris Fiume, laboratorio del nuovo mondo di Diana Pirjavec Rameša foto di Graziella Tatalović a figura di Alceste De Ambris è stata studiata da diversi ricercatori, studiosi o anche semplici appassionati di storia. La sua vicenda biografica lo vede protagonista della politica rivoluzionaria dei primi decenni del Novecento, ma anche avanti. Il suo nome è legato a due episodi celebri: lo sciopero generale dei contadini a Parma nel maggio del 1908 e la collaborazione con Gabriele D’Annunzio a Fiume nel 1920. Esperienze profondamente diverse per fini, caratteri ideologici e sviluppi organizzativi, testimoni di una indiscutibile trasformazione, comune del resto alla generazione degli interventisti di sinistra. Enrico Serventi Longhi, un giovane ricercatore italiano si dedica tra l’altro allo studio di questo interessante personaggio, importante anche per la storia dell’area del Quarnero su di cui ha pure il suo dottorato di ricerca. Lo abbiamo incontrato a Fiume dove stava portando a termine nuove ricerche su Fiume dannunziana. Come nasce questo progetto di ricerca da cui è poi nato il libro dedicato al De Ambris e pubblicato dall’editore “Franco Angeli” nel 2011? L 8 Panorama Enrico Serventi Longhi “L’ipotesi di un progetto di lavoro su De Ambris nasce dal desiderio di approfondire il profilo di un protagonista spesso sottovalutato dalla storiografia italiana. A questo va aggiunta la constatazione che ho avuto modo di lavorare oltre che su documenti custoditi presso numerosi archivi sia in Italia che all’estero, anche su materiali molto importanti di proprietà personale di un nipote del sindacalista, il giornalista Mario Guastoni, oggi residente a Parigi. Si tratta di un Fondo che ho avuto pure la possibilità di catalogare e che ho rinominato ‘Guastoni-De Ambris’. Si tratta di documenti i quali mi hanno permesso di ricostruire importanti passaggi politici del protagonista e che mi hanno svelato inedite e molto interessanti implicazioni dell’opera e del pensiero del De Ambris. Oltre a ciò è stato possibile, grazie a queste preziose carte, costruire un fondamentale parametro per confermare o meno l’attendibilità di altre fonti, non sempre affidabili, come quelle di polizia o la memorialistica. Ho trovato anche materiale interessante presso l’Archivio di Stato di Fiume”. Nel ripercorrere la vita o l’opera del De Ambris molto interessante risulta essere la tesi del sindacalista in merito all’entrata in guerra dell’Italia... “Un certo tipo di guerra era sempre stato giustificato dai rivoluzionari sin dai tempi della rivoluzione francese e della Comune di Parigi. La guerra patriottica, specie se difensiva, veniva intesa come fattore di tutela del territorio e unione nazionale collettiva. Gli ambienti culturali con cui De Ambris era entrato in contatto nel suo esilio svizzero erano proprio costituiti da quei libertari messi fuori gioco, nei primi anni dell’Internazionale socialista, dal marxismo tedesco tipicamente burocratico e gerarchico. La Germania era individuata come pericolo e minaccia non solo dalle forze democratiche, ma anche da quelle rivoluzionarie sindacali e libertarie che la individuavano come il simbolo dell’oppressione tirannica e del tradimento di un socialista non più attento all’uomo, ma agli interessi materiali. Questo dibattito circolava in tutti gli ambienti della sinistra europea, ma De Ambris fu il primo a Interviste Ritratto di Alceste De Ambris a destra D’Annunzio mentre sta appuntando una medaglia a De Ambris tradurlo in Italia, in cui forte era la tradizione antimilitarista e pacifista nella scelta di appoggiare la Francia allo scoppio del conflitto. La sorprendente decisione aveva anche due risvolti positivi in politica interna: innanzitutto, con la campagna contro l’alleanza con Austria-Ungheria e Germania, metteva in difficoltà la monarchia, la vecchia diplomazia e la classe politica liberale, tradizionalmente alleati della Germania; poi, con la campagna interventista, mirava a coinvolgere l’Italia in un grande momento di rottura (per certi versi simile all’insurrezione o allo sciopero generale) che educando le masse alla politica e alla guerra poteva prepararle alla rivoluzione. Si trattava, dunque, di un approccio rivoluzionario, unito nei ‘Fasci interventisti’, fortemente legato alla Francia, che metteva insieme De Ambris e quasi tutti i sindacalisti rivoluzionari con una parte dissidente del socialismo ufficiale, capeggiata da Mussolini, che allora passò dalla direzione dell’’Avanti!’ a quella de ‘Il Popolo d’Italia’, che divenne l’organo ufficiale degli interventisti. Durante il conflitto De Ambris si recò diverse volte vicino al fronte, in veste di corrispondente e di sottufficiale; soprattutto si impegnò alacremente nella propaganda, con frequenti e molto apprezzati comizi in giro per l’Italia, ma soprattutto a Parma. Verso la fine della guerra, dopo l’allungamento dei tempi e la disfatta di Caporetto, De Ambris, insieme agli altri interventi- sti, radicalizzò le sue posizioni interventiste, fino ad assumere aperti atteggiamenti antisocialisti e antipacifisti. L’interventismo stava già cambiando, dopo aver ‘scoperto’ durante la guerra, il primato della Patria e della Nazione e, per quanto riguardava i sindacalisti, l’importanza del riconoscimento dello Stato del ruolo della produzione e del lavoro. Gli ‘amici’ di De Ambris, nel dopoguerra, divennero gli arditi (avanguardia militare dell’Italia), i fascisti (ancora progressisti) e le componenti più radicali dei combattenti e dei reduci di guerra: con tutti loro combattè una strenua battaglia per la valorizzazione della vittoria, per la rivendicazione dei diritti dei reduci e contro i soliti avversari del socialismo ufficiale”. Che cosa induce il De Ambris a raggiungere nel 1919 la città di Fiume? “La città del Quarnero non rientrava, in modo certo sorprendente, tra le terre concesse italiane dal Patto di Londra, mentre vi erano l’Istria e la Dalmazia. Ora la situazione era mutata vuoi per la dissoluzione dell’Austria-Ungheria, vuoi per la battaglia sulle rivendicazioni territoriali che aveva lacerato il fronte interventista: i democratici come Bissolati chiedevano, a maggior ragione se si voleva rivendicare Fiume, la rinuncia alla Dalmazia; i rivoluzionari e i nazionalisti rivendicavano il programma massimo del patto di Londra più Fiume. Le tensioni nella città già evidenti. Duran- te la gestione di una forza interalleata sfociarono nell’abbandono delle truppe italiane dopo un’inchiesta su gravi fatti di sangue fra italiani e francesi (che appoggiavano la neonata Jugoslavia). Dopo pochi giorni, Gabriele D’Annunzio, il poeta celebre per il suo impegno nazionalista in guerra e nel dopoguerra, guidò una colonna di soldati italiani disertori a Fiume, rioccupandola insieme a dei volontari fiumani precedentemente inquadrati da Giovanni Host-Venturi. Proprio a Fiume si coagularono dunque tutti quei gruppi, movimenti, individui che cercavano uno sbocco pratico all’interventismo: De Ambris aveva già rivendicato i diritti dell’Italia su Fiume durante un viaggio di propaganda negli Stati Uniti all’inizio dell’anno. Ora, deciso a non candidarsi nuovamente come deputato, in difficoltà dal punto di vista sindacale per l’adesione sempre maggiore degli operai alle forze popolari intravide a Fiume la possibilità di continuare a sperimentare la sua idea di rivoluzione. Arrivato nei primi giorni di novembre del 1919, fu subito travolto dall’atmosfera eccitata e frizzante che si respirava nella città quarnerina, dove i militari vivevano con gioia ed entusiasmo il loro ruolo di avanguardie delle rivendicazioni italiane, liberi dalle costrizioni delle gerarchie e della rigida disciplina dell’esercito regolare. Poi accettò la carica che D’Annunzio gli propose di capogabinetto, al posto di un Giovanni Giuriati Panorama 9 Interviste che, se era stato punto di riferimento di ambienti nazionalisti e irredentisti, non aveva scaldato il cuore dei giovani ufficiali disertori”. Qual è il rapporto del De Ambris con Fiume e come il sindacalista vive la città e il suo fermento rivoluzionario? “Dal punto di vista umano, Fiume per De Ambris rappresentò una vera scoperta: il magnifico panorama del golfo, la sincera passione italiana dei fiumani (ovviamente la parte italiana), la spregiudicatezza politica dei camerati legionari e, per la prima volta, un ruolo di vera e propria responsabilità amministrativa. Il Palazzo del Governo divenne la sua casa, inoltre aveva un elegante ufficio in cui si muoveva, anzi muoveva il suo pesante corpo, con disinvoltura. Il taglio dei capelli, da buona ‘ testa di ferro’, come erano familiarmente chiamate le avanguardie militari, era a zero e della faccia leonina di De Ambris non restava che il pronunciato pizzetto. La partecipazione alle cerimonie e ai comizi mettevano sempre alla prova, riscuotendo successo, le doti oratorie del rivoluzionario, capace di suscitare entusiasmi e di modificare opinioni anche fra i temprati arditi; inoltre, anche in questo caso in maniera inedita, rappresentarono un pubblico e sentito riconoscimento ufficiale, come nel caso della consegna della medaglia da parte di D’Annunzio. Le vere e proprie competenze di De Ambris per un certo verso restarono le stesse già tenute dal suo predecessore. Tenne i rapporti con la cittadinanza locale, soprattutto il Consiglio nazionale, spesso con nuove tensioni che riflettevano da un lato la volontà del sindacalista di avocare a sé diversi dei poteri amministrativi dall’altro la pregiudiziale del Consiglio che, composto in gran parte da persone di classi agiate borghesi, temevano le conseguenze sociali e istituzionali del nuovo corso del Comando. Inoltre, guidò le trattative con il governo italiano che, nonostante gli scambi di accuse in pubblico, continuavano intense ma non sempre efficaci, a causa dell’intransigenza di Nitti prima e del pratico cinismo di Giolitti poi. Per altri versi, la politica di De Ambris segnò una netta discontinuità: rappresentando la componente più radicale tra i legionari a Fiume, da subito aveva immagi- 10 Panorama Ritratto di famiglia: a Fiume. Alceste De Ambris con la moglie Maria e la figlia Laura (Fondo Guastoni-De Ambris) nato la possibilità di utilizzare Fiume e le difficili trattative diplomatiche per sperimentare nuove istituzioni, che riformassero il governo in senso repubblicano e l’esercito verso quella nazione armata che avrebbe potuto rendere più democratico l’esercito italiano. La sua attenzione, a differenza dei nazionalisti e degli irredentisti, era infatti rivolta al contagio rivoluzionario che l’esperimento fiumano avrebbe potuto diffondere in Italia. Mentre alcuni guardavano a Fiume come un ponte per continuare a destabilizzare i Balcani (appoggiando anche i movimenti separatisti croati e montenegrini) e puntare sulla Dalmazia, anch’essa contesa e, anzi, apparentemente perduta, De Ambris e i suoi seguaci cercarono con costanza di rafforzare la qualità rivoluzionaria dei legionari, in vista di un sommovimento interno. Non è vero, come spesso sostenuto dalla storiografia, che cercò il contatto con forze della sinistra rivoluzionaria come socialisti, anarchici o repubblicani: piuttosto, tenendosi in questo fedele a una visione avanguardista, settaria e volontaristica della rivoluzione, proprio dal nocciolo più duro dei legionari doveva partire la scintilla per incendiare la vecchia Italia parlamentare e monarchica”. Il De Ambris nel capoluogo quarnerino scrive la Carta del Carnaro... “La concezione dello Stato di De Ambris trovò la sua applicazione con la redazione della cosiddetta Carta del Carnaro, ossia lo statuto\costituzione della nuova Reggenza, che dal 12 settembre 1920, a un anno esatto dall’ingresso delle truppe dannunziane, divenne la nuova forma dello Stato libero di Fiume. Oltre alle libertà di stampa, parola, religione, ecc., il voto era concesso anche alle donne; accanto al riconoscimento della funzione sociale della proprietà, era prevista una Camera dei produttori a sancire il primato del lavoro; erano garantite le più ampie autonomie locali e venivano introdotte le Corporazioni, come organizzazioni tra produttori. La parola Repubblica venne evitata per non turbare eccessivamente i militari fedeli alla monarchia e il Consiglio nazionale, ma l’impianto era innovativo e recepiva gran parte degli stimoli provenienti dagli ambienti democratici e sindacali internazionali”. E il suo il rapporto con D’Annunzio? “Finita l’avventura di Fiume con lo sgombero delle forze di D’Annunzio da parte dell’esercito italiano regolare, De Ambris tornò in Italia e si propose come leader dei legionari usciti da Fiume. Purtroppo per lui, era in inarrestabile ascesa il fascismo, che si tramutò in partito e continuò sempre con maggiore effiacia a utilizzare le squadre contro il movimento operaio di marca socialista e conquistando con la forza i poteri locali. La capacità di attrazione del Partito fascista, passato ormai alla reazione antisocialista, finanziato da grandi gruppi economi- Interviste Da una pagina del diario di De Ambris I miei polmoni potevano finalmente dilatarsi... «F ino al novembre del 1919, io non avevo avuto l’occasione di conoscere personalmente Gabriele D’Annunzio. A dire il vero, l’occasione non l’avevo mai cercata, l’avevo anzi evitata le poche volte che mi s’era presentata. Non ci tengo molto a fare la corte alle personalità illustri, e d’altra parte la vita di D’Annunzio si svolgeva su un piano lontanissimo dal mio. Gli atteggiamenti politici del poeta mi parevano ispirati da uno snobismo nazionalista che non poteva essere di mio gusto, perfino l’arte di lui non era quella che preferivo. (...) Ma vennero le elezioni generali del novembre del 1919. Io avevo rifiutato ogni candidatura, più che per le mie convinzioni antiparlamentari per la nausea che mi suscitava la lotta da un lato con la più sconcia demagogia “neutralista”, e dall’altro con l’intenzione non dissimulata di trar profitto dall’interventismo praticato, o almeno predicato, durante la guerra. La nausea mi vinse a tal punto che sentii il bisogno di cercare un po’ d’aria respirabile e mi parve che avrei potuto trovarla a Fiume. In fuga dall’atmosfera elettorale italiana Vi andai dunque senza nemmeno intenzione precisa, salvo quella di sfuggire all’asfissiante atmosfera elettorale italiana. M’avevano detto che v’era qualche difficoltà a raggiungere Fiume e difatti dovetti partire truccato da capotreno per attraversare la linea di blocco. Ma in verità mi parve che tutto non fosse che una commedia superflua: la linea di blocco era tenuta da reparti assai più disposti a favorire l’impresa dannunziana che ad obbedire agli ordini del Governo di Roma.(...). Una nuova delusione mi attendeva appena giunto a Fiume. Ero partito dal Regno per non sentir più parlare di elezioni, di candidati e d’altrettante cose per me poco gradevoli, e arrivavo a Fiume in pieno periodo elettorale. Ignoro anche adesso chi avesse avuto l’idea di far eleggere, in un momento così poco delicato per simili esercitazioni, un deputato di Fiume che non avrebbe poi seduto in Parlamento neanche un minuto. Il fatto è che fu presentata la candidatura di Luigi Rizzo, il quale - la sera stessa del mio arrivo - doveva fare al Teatro Comunale un discorso agli elettori. Avevo conosciuto a Grado, durante la guerra, Luigi Rizzo, audacissimo combattente marinaro, e la curiosità di vederlo nella ben diversa veste di candidato mi spinse al Teatro Comunale, dove trovai modo d’alloggiarmi quietamente in un palchetto contando di poter fare, una volta tanto, la parte di spettatore ignoto e tranquillo. Da principio mi divertii assai a guardare un buffo signore corto con baffi a pizzo biancastri alla Vittorio Emanuele II, che si agitava molto parlando in un italiano che ignorava le lettere doppie. Mi dissero che quel personaggio era il dott. Grossich, presidente del Consiglio nazionale fiumano. Parlò poi Luigi Rizzo che, con mio grande stupore, mostrò di prender sul serio la sua candidatura, facendo un discorso spettacolosamente elettorale in un ambiente che ne era la negazione. Perché il pubblico delusissimo, composto in buona parte da legionari, s’interessava assai poco del programma e delle promesse del candidato ma cercava invece ansiosamente ogni pretesto per dare sfogo alla sua passione, che non aveva niente di elettorale. Un’incandescenza crescente e contagiosa Si veniva così formando malgrado gli oratori, uno stato d’animo collettivo, d’una incandescenza crescente e contagiosa, che guadagnava a poco a poco me pure. Rizzo finì di parlare e io mi stavo alzando per andare a salutarlo all’uscita, quando da un gruppo di legionari partì un clamore ripetuto: “Parli De Ambris! La parola a De Ambris!” Questo appello mi sorprese fino allo sbigottimento, perché credevo di essere completamente sconosciuto a Fiume, tanto più che nelle brevi ore trascorse dal mio arrivo non avevo ancora cercato di avvicinare nessuno. Mi avviai in fretta fuori dal palco, nella speranza che il calore de’ miei incogniti amici si placasse, evitandomi così di fare un discorso cui non ero menomamente preparato. Ma Rizzo - udito il mio nome - balzò velocemente al palchetto dove mi trovavo, mi colse all’uscita e mi trascinò sul palcoscenico, presentandomi al pubblico plaudente come suo compagno d’armi e amico strenuo della causa fiumana. Fu giocoforza parlare. Se mai vi fu un discorso improvvisato, nel senso più letterale della parola, fu il mio di quella sera. Non avevo neanche avuto il tempo di racapezzare due idee che dovetti abbandonarmi all’ispirazione del momento, o piuttosto lasciarmi trascinare dalla suggestione dell’uditorio insoddisfatto di chiacchiere elettorali. Che cosa dissi non so e non ha importanza. È probabile che la mia parola interpretasse il sentimento collettivo della folla, che gli oratori precedenti non avevano afferrato. Il teatro parve diventare subitaneamente il roveto ardente della fede. Fiume, quale l’avevo presentita da lontano, era in quella sala tempestosa, agitata da un magnifico impeto passionale che cancellava d’un tratto le impressioni un po’ meschine dei miei primi momenti fiumani, come il vento oceanico cancella le labili tracce nella sabbia. Ero venuto a cercare un po’ d’aria respirabile e sentivo il soffio vivificante dell’Adriatico, carico d’ossigeno, di sale e di procella. I miei polmoni potevano finalmente dilatarsi...». (Tratto da “Alceste De Ambris” Franco Angeli 2011)● Panorama 11 Interviste ci, appoggiato nell’esercito, era per i legionari assai maggiore della debole Federazione nazionale dei legionari, diretta appunto da De Ambris. L’assenza dell’appoggio di D’Annunzio al progetto di organizzare politicamente gli ex legionari compromise del tutto la scommessa di De Ambris. Proprio in questi anni si rovinò completamente il rapporto tra il Poeta e il Sindacalista, soprattutto dopo il fallimento elettorale di De Ambris nel 1921, quando D’Annunzio aveva accreditato con un suo messaggio la sua candidatura. La luna di miele di Fiume era ormai alle spalle: allora la collaborazione tra i due era stata esemplare: da un lato l’esteta e artista che sanciva con i suoi interventi la sacralità dell’impresa e la santità di Fiume italiana, dall’altra la tempra dell’organizzatore sindacalista, che dava sostanza alla costituzione cittadina, guidava il Comando attento ai diritti del lavoro e pronto a battersi con i poteri economici locali. Adesso, nell’Italia dilaniata dalla guerra civile, gli sforzi sintetici dei due erano vanificati dallo scontro e dall’affermazione della violenza di parte. De Ambris non si arrese e fino alla sua sconfitta continuò ad attaccare i fascisti a cui rimproverava lo scarso appoggio alla spedizione fiumana e la loro subalternità ai desideri degli agrari; D’Annunzio si ritirò nella sua nuova villa a Gardone, ricominciando a scrivere. I suoi interventi pubblici tentarono di conciliare e pacificare gli animi, senza comprendere l’irriducibilità dello scontro e la necessità di prendere una posizione netta. Così, fallimento dopo fallimento di ogni ipotesi organizzativa alternativa al fascismo con al centro la Nazione e il Lavoro, De Ambris, profondamente deluso, in alcune lettere molto belle abbandonò D’Annunzio al suo rifugio solitario e denunciò la sua assenza di coraggio e di determinazione, ovvero, in definitiva, il suo rifiuto a essere il Duce alternativo all’Italia nuova che stava sgorgando dalla guerra civile”. E il suo atteggiamento nei confronti del fascismo? “La marcia su Roma dell’ottobre del 1922 e la nomina di Mussolini a primo ministro emarginò progressivamente De Ambris, che fu anche aggredito da un gruppo di fascisti e, paradossi della politica, legionari a Genova. Minacciato e senza prospettive 12 Panorama decise di espatriare ancora una volta, scegliendo come destinazione quella Parigi dove la sua attività professionale in alcune cooperative di lavoratori sembrava propizia. Il suo carattere inquieto e irruento, inevitabilmente portato allo scontro politico, gli impedì di dedicarsi solo al lavoro e alla sua famiglia. Dopo qualche mese, pubblicò su un importante periodico francese il suo punto di vista riguardo al fascismo. La sua interpretazione era certamente originale, provenendo da un uomo che il fascismo, in quanto movimento politico, aveva contribuito a fondare, sebbene la sua scarsa simpatia personale per Mussolini era sempre stata manifesta. Molti dei massimi esponenti del fascismo vincente erano personali amici e compagni, con cui aveva condiviso anni di battaglie rivoluzionarie. Del fascismo salito al potere De Ambris, a differenza degli osservatori democratici, non ne denunciava la violenza e la demagogia: anzi, lui che la violenza rivoluzionaria aveva sostenuto e che si autodefiniva demagogo (in quanto suscitatore e sobillatore di masse) accusava il fascismo di aver perduto la sua anima rivoluzionaria. Non era un problema, dunque di guerra civile, di morti o feriti, che De Ambris riteneva inevitabile in ogni mutamento rivoluzionario, quanto piuttosto la direzione di questa guerra civile. Lo preoccupava il fatto che il fascismo volgeva alla reazione, alla difesa di quegli istituti che per tutta la vita aveva combattuto e che pure il fascismo originario diceva di combattere: monarchia, chiesa, parlamento, privilegi economici. Più che antifascista, De Ambris sembrò sempre essere un ‘deluso dal fascismo’ (e da D’Annunzio…), che come movimento politico aveva fallito il vero rinnovamento del paese. Alcuni emissari di Mussolini, cercarono di avvicinare De Ambris e proporgli alcuni ruoli di prestigio nel nuovo regime. Del resto, gran parte dei militanti confluiti nel sindacalismo fascista, come molti dei legionari entrati nelle squadre e nella milizia, come molti dei dirigenti politici in cima alla nomenklatura del Partito, erano tutti debitori di De Ambris e ne riconoscevano e apprezzavano il valore e le qualità. Il rifiuto di De Ambris di tornare in Italia, servo di un sistema che disprezzava, fu l’atto che sancì definitivamente il distacco dal fascismo, ricevendo gli insulti e la rabbia soprattutto degli intransigenti come Roberto Farinacci, che vedeva con fastidio l’opposizione di un leader che tanto rispetto godeva in una parte rilevante del fascismo”. Ad un dato punto c’è una svolta ideologica... tanto da indurlo a diventare antifascista. “L’assassinio di Giacomo Matteotti nel giugno 1924 radicalizzò la sua opposizione totale al regime: la violenza e la demagogia, se accettabili e anzi necessarie in un movimento rivoluzionario, divenivano fattori di delitto supremo, di oltraggiosa tirannia, di mero dispotismo quando compiuti da un potere costituito. L’azione violenta del fascismo era stata esercitata dall’alto, con il massimo senso dell’impunità e con lo spregio per le forme più elementari di rapporto tra governante e suddito, in ogni forma costituzionale. Così se il fascismo diveniva lo Stato italiano, si assolveva e non si poneva più limiti, tanto valeva condannare in blocco tutto il fascismo, anche quello delle origini. De Ambris si alleò quindi proprio con quell’antifascismo democratico così diverso, per temperamento e visione della politica dal suo: si affiliò alla Massoneria, con cui aveva collaborato restandone sempre esterno, e divenne uno dei dirigenti della Concentrazione antifascista, il massimo organo dei ‘fuorusciti’, come erano chiamati gli oppositori in esilio. Divenne anche il se- Interviste gretario della Lega italiana dei diritti dell’Uomo che, oltre a rivendicare democrazia e libertà in Italia, proteggeva e tutelava concretamente gli emigranti e gli esuli dal Regime. L’attitudine al compromesso e le diatribe trai partiti irritarono ancora una volta De Ambris, che decise di uscire alla Concentrazione e promuovere con pochi amici e compagni un nuovo antifascismo ‘non-conforme’. Il fascismo ritornò a essere visto con interesse, specie nella costruzione del suo Stato corporativo che, per esplicito riconoscimento dei suoi massimi promotori, si richiamava alla Carta del Carnaro e alle dottrine del sindacalismo. A sessant’anni, nel dicembre 1934, De Ambris pagò il conto con gli anni turbolenti della sua passione politica e un malore lo colse nella sua casa nel centro della Francia mentre non mancava di litigare con i suoi compagni sui caratteri da dare all’antifascismo. Nato in Lunigiana, splendida zona nell’appenni- Alceste De Ambris (foto custodita nel Fondo Guastoni-De Ambris) no tosco-emiliano, cresciuto nel cuore dell’Italia mazziniana, il sindacalista morì così fuori da quella terra che nel movimento operaio prima, in guerra e a Fiume poi, aveva difeso e valorizzato. Poco amato anche dagli antifascisti per le sue idee originali e il suo carattere vulcanico, la sua memoria non fu particolarmente coltivata negli anni a venire. Esiliato dal fascismo e senza aver partecipato a quella redenzione nazionale che fu la Resistenza, la sua stella non brillò neppure nell’Italia repubblicana. Solo a partire dagli anni ’60 iniziò un faticoso recupero della sua memoria, fino al trasporto del- le sue spoglie proprio in quell’amata Parma che lo aveva accolto. Eppure, molte delle sue opere e delle sue idee si ritrovano in gran parte del dibattito politico e sindacale dell’Italia del Novecento. Le sue idee sulla centralità del lavoro e sul ruolo dinamico e creativo del sindacato furono ripresi e approfonditi sia nel corporativismo fascista, che nella struttura costituzionale nuova; così molti dibattiti sull’autonomia e l’unità sindacali, fuori e al di sopra dei partiti, attraversarono tutti gli anni ’70 in Italia e in Francia, quando stretta era diventata la dipendenza del movimento operaio internazionale dall’Unione sovietica. La Carta del Carnaro, infine, prodotto genuino dell’esperienza fiumana divenne modello di riferimento per studi sul costituzionalismo moderno e ancora oggi sembrano suggerire possibili idee per riformare gli Stati e concepire finanche una nuova idea di Europa, contrapposta a quella burocratica delle banche e della finanza”. Mi risulta che lei stia lavorando su un altro libro, sempre dedicato a studi su Fiume dannunziana? “Fiume dannunziana è tornata recentemente a interessare diverse generazioni di italiani soprattutto per il carattere eccezionale ed eccentrico, che lavori più recenti hanno messo in luce. Dal punto di vista della ricostruzione storica, alcuni dei lavori più accreditati risalgono ormai a più di quaranta anni fa, con protagonista spesso esclusivo proprio quel D’Annunzio la cui luce di fatto oscurava tanti altri protagonisti fondamentali dell’impresa. Orientamenti storiografici più recenti, in particolar modo legati alle re- ligioni politiche e al rapporto tra rivoluzione e totalitarismo suggerisco peraltro la possibilità di una nuova e più affascinante interpretazione dell’impresa, legandola al processo di rigenerazione della cultura politica nazionale, di cui i soldati arditi e legionari furono per certi versi avanguardia e in cui il lavoro e il sindacato giocavano un ruolo fondamentale. La crisi del sistema liberale italiano trovò a Fiume una evidente manifestazione: non solo a livello negativo, come spesso messo in luce, come rifiuto della legalità e della disciplina, ma proprio come potente laboratorio di un mondo nuovo che la guerra aveva predisposto e che le nuove generazioni desideravano creare. Un mondo nuovo certo affascinante, ma non privo di quelle tragiche contraddizioni (compreso il rapporto difficile con la società civile) che esploderanno nei sistemi totalitari di pochi anni dopo. Grazie al fondo De Ambris, allo studio di Giuriati, alle carte dell’Archivio centrale dello Stato e dell’Archivio del vittoriale, ma, soprattutto, grazie alla disponibilità nell’Archivio di Stato di Fiume del fondo dei governi provvisori, sto scrivendo proprio di Fiume dannunziana come laboratorio di questo mondo nuovo: un lavoro che vedrà la luce, mi auguro, alla fine del 2013. Alla fine mi sento di ringraziare col cuore proprio la città e gli amici che mi hanno accolto e aiutato, sperando di venire personalmente a presentare il nuovo lavoro, così intimamente connesso con la storia più eccezionale e l’anima più suggestiva di questa splendida perla del mediterraneo, oggi ancora di più porta fra l’Oriente e l’Europa”. ● Panorama 13 Guerra sul mare Discordanti quanto significativi i dettagli del combattimento tra il «Rivoli», il Due secoli fa la battaglia navale di Giacomo Scotti eduta del combattimento delle due divisioni navali nell’Adriatico francese ed inglese nella notte del 21 venendo lì 22 febbraio 1812 fra il vascello “Rivoli” francese ed il “Vittorioso” inglese e li rispettivi loro brick, lungit. dieci miglia in ponente L’ebich delle coste dell’Istria d’inanzi Pirano: 1. Vascello “Rivoli” francese 2. Vascello “Vittorioso” inglese 3. Brick “Mercurio” italiano 4. Brick “Eridano” e “Mamalucco” datisi alla fuga Sul vascello imbarcati erano Sig. Cº Annibale Viscovich, il Sig.Vincenzo Mazzarovich ambi da Perasto col grado di aspiranti di 2a classe e che percorsero la via di onori come videsi la descrizione nell’altergo del quadro. Questo testo, scritto in un italiano zoppicante (L’ebich invece di Lebich ovvero Libeccio; come videsi la = come si vede dalla; nell’altergo = a tergo) si legge sul retro di un dipinto ad olio su vetro (dimensioni:30 x 35,5 cm) raffigurante la battaglia navale sostenuta nelle acque di Pirano nella notte tra il 21 e il 22 febbraio 1812 dal vascello francese “Rivoli” contro il vascello inglese “Victorious” e il brigantino “Weasel” pure inglese. Il quadro, evidentemente fatto dipingere dai due perastini protagonisti della battaglia, si trova nella chiesa votiva dei marinai della Madonna dello Scalpello (Gospa od Škrpjela) sull’omonimo isolotto dirimpetto a Perasto nelle Bocche di Cattaro. Nella stessa chiesa si conserva un secondo quadro ad olio, pur esso dipinto su vetro e delle medesime dimensioni del primo, raffigurante unicamente il vascello “Rivoli”. Sul retro di quest’ultimo, sempre in italiano, si legge un testo più lungo, una sintetica descrizione della battaglia. Eccola: “DESCRIZIONE del risultato del Combattimento seguito fra le due Divisioni Francese ed Inglese V 14 Panorama Battaglia tra la flotta francese e quella inglese di fronte a Pirano, ovvero il combattimento tra il “Rivoli”, il “Vittorioso” e il “Weasel” nel 1812 (incisione Giovanni Luzzo, conservata dalla famiglia di Jozo Visković a Perasto) d’inanzi Pirano nella Notte del 21 venendo li 22 Febbrajo dell’Anno 1812. Il Combattimento tra le due Divisioni Francese ed Inglese nella Notte del 21 venendo li 22 Febbraio 1812 e nel giorno successivo fu ostinato e di molto sangue. Rimasto solo il Vascello ‘Rivoli’ Francese per la fuga delli Brick ‘Eridano’ Italiano e ‘Mamelucco’ Francese, e per la sommersione del terzo Brick ‘Mercurio’ che s’incendiò, contro il vascello ‘Vittorioso’, e Brick ‘Weasel, sostenne con valore il contrasto per sei ore e venti minuti, ma la perdita di 506 individui fra morti e feriti del suo 53.mo Equipaggio dell’alto Bordo, la rottura dell’Albero di Contro Mezzana, lo spezzamento di vari pezzi di grossa artiglieria nella Batteria bassa da 36, non restando che sei pezzi di questo calibro atti alla diffesa, perforato il vascello di 42 bucchi dal livello del mare, ad un piede e mezzo sotto Acqua, con sei piedi d’Acqua in stiva, fu forza inalberrare il Segnale di resa. Non è perciò che a gravi perdite e danni non che è stato soggetto anche il Vascello ‘Vittorioso’ inglese, furono morti, feriti incapaci d’ogni azione, il numero ascende a 182 individui“. Con quest’ultima frase, piuttosto oscura, si vuol dire che anche il vascello nemico subì gravi danni e perdite, 182 fra morti e feriti. La “Descrizione” si conclude coon un encomio per i due Perastini distintisi nella battaglia e fortunatamente tornati vivi alle loro case nonostante avessero subito gravi ferite: “Li due aspiranti (ufficiali) Conte Viscovich e sig.e Mazzarovich, tutto che gravemente feriti, conservarono sino al termine del Combattimento, (sicchè il) Cap.o Barrè (il comandante del Rivoli, capitano di vascello Barres de Sant-Leu, nda) pello lodevole e valoroso loro condotto (li promosse) al grado di primi cl. Aspiranti (Aspiranti Alfieri di prima classe), al quale il Ministero della Guerra lì confermò. Fatti prigionieri, furono dopo tre mesi cambiati sulla parola d’onore, (in) seguito servirno nella squadra di Tolone, il primo sul Vascello ‘Danubio’ ed il secondo sul Vascello (nome illeggibile) sino alla fine della Guerra 1818...” Guerra sul mare «Vittorioso» ed il «Weasel» di Pirano Della battaglia navale di Pirano, e più precisamente della vicenda del “Rivoli” esistono tre descrizioni risalenti all’epoca in cui essa si svolse, e precisamente due francesi ed una inglese. Ce lo dice lo storico francese Antoine Bastide nel suo testo “Naissance et mort du ‘Rivoli’” nella rivista Neptunia, n. 30, Parigi 1953. Si ignoravano i due documenti di Perasto dai quali siamo partiti per rievocare quell’episodio, anche su queste sponde, poco noto. Nato a Venezia Dopo aver fatto distruggere l’Arsenale di Venezia nel corso della prima occupazione francese (16 maggio 1798-18 gennaio 1798) prima di consegnare la città agli austriaci che la terranno fino al 1806, Napoleone ordinò nel 1807 la costruzione di cinque navi da guerra per la sua flotta adriatica e, contemporaneamente, la ricostruzione degli squeri, di cui quattro grandi sorsero sull’Isolotto. Dagli scali di quei cantieri scesero, uno dopo l’altro, i vascelli “Rivoli”, “Lont SaintBernard”, “Montenotte”... Sui rispettivi scali rimasero il vascello “Saturno” ancora in via di allestimento (sarà distrutto dagli Austriaci nel 1821), e la chiglia appena posta di una quinta nave. Il “Rivoli”, armato con 74 cannoni come gli altri della stessa classe, cominciò ad essere costruito nel 1810. Pirano in una litografia del 1845 Una volta completato e varato, venne sollevato su un pontone o bacino galleggiante detto in francese “chameaux“ e in italiano “camello“ (progettato dall’ingegnere militare francese Jean M. Tupinier) che venne rimorchiato attraverso i canali della laguna il 20 febbraio 1812, raggiungendo quello stesso giorno il mare aperto. L’equipaggio, eccezion fatta per il comandante ed altri ufficiali francesi, era composto da 808 giovani marinai italiani e croati (veneziani, istriani, e dalmati), tutti alle prime armi, arruolati da pochi mesi. In quel periodo si era particolarmente intensificata nell’Adriatico la guerra di corsa tra le forze francesi e quelle inglesi che fin dal 1807 corseggiavano tra le isole dalmate e lungo la costa di terraferma fino all’Istria, spingendosi anche nelle acque di Venezia e di Ancona. Il “Rivoli”, con l’armamento e l’equipaggio al completo, con munizioni, pezzi di ricambio, viveri ed acqua per sei mesi, raggiunse dapprima il canale di Malamocco, dove fu accolto festosamente, così come era stato salutato alla partenza dell’Arsenale. Nessuno avrebbe immaginato che la navigazione alla quale si accingeva, una volta scivolato dal “camello”, sarebbe stata anche l’ultima sotto bandiera francese e che alcune centinaia di giovani marinai avrebbero trovato la morte nelle acque istriane solo due giorni dopo. Le due relazioni inglesi e quella francese sulla battaglia divergono profondamente, al punto che è difficile conoscere la piena verità storica. La descrizione trovata sul retro dei quadri di Perasto, probabilmente scritta o dettata dal Conte Annibale Viscovich, collima con quella francese, e comunque è la testimonianza di uno che a quella battaglia prese parte in prima persona. Stando a queste fonti ed alle ricerche dello storico delle Bocche di Cattaro Miro Montani (“Quelques notes sur le ‘Rivoli’ au combat de Pirano” in Neptunia, nro 60, Paris 1962 e “Pomorska bitka kod Pirana 1812. godine” in Pomorski Zbornik, tomo I, Zara 1963), il vascello “Rivoli” lasciò il porto di Malamocco alle ore 20 del 20 febbraio puntando in direzione dell’opposta sponda istriana. In sua compagnia si mossero tre brigantini: il francese “Mamelucco” e gli italiani “Mercurio” ed “Eridano”. Sul nome del secondo le fonti non concordano: c’è chi lo indica col nome di “Jena”. Il combattimento, la resa L’uscita in mare aperto delle navi francesi aveva un unico scopo: verificare la solidità del neocostruito vascello (navigazione di collaudo) e contemporaneamente addestrare l’equipaggio. Si sperava di trascorrere in mare qualche mese, appoggiandosi - nel caso fossero state necessarie riparazioni - ad uno degli arsenali minori della costa istriana direttamente subordinati a quello centrale di Venezia. Uno di questi si trovava a Porto Quieto a sud di Cittanova. Panorama 15 Guerra sul mare Al Comando francese di Venezia non erano pervenute informazioni di una presenza di navi corsare nemiche in Alto Adriatico. Invece, solo poche ore dopo la partenza da Malamocco, il “Rivoli” e le unità della sua scorta furono attaccate dalle due unità della divisione navale inglese in agguato a dieci miglia ad ovest di Pirano: il vascello “Victorious” e il brick “Weasel”. Già da alcuni giorni i comandanti delle due navi nemiche erano stati informati della data esatta della partenza della squadra italo-francese. Il brick “Mercurio” fu il primo ad essere colpito e distrutto; l’“Eridano” (“Jena”) e il “Mamelucco” si allontanarono dal campo di battaglia incalzati per alcune miglia dal “Weasel” che alla fine rinunciò all’inseguimento per dare mano forte al “Victorious”. In soccorso del “Rivoli” rimasto solo sul campo di battaglia avrebbe potuto accorrere il vascello “Danae” ancorato nel non lontano porto di Trieste, ma ciò non avvenne. Allertato dal fragore delle cannonate, il comandante del “Danae” aveva già posto in allarme l’equipaggio, ma non volle lasciare il porto senza l’autorizzazione del Comando superiore, autorizzazione che non giunse perchè ogni tentativo di contattare quel Comando fallì. Come si apprende dalla Storia di Perasto di Frano Viscovich (edita a Trieste nel 1898) anche il “Danae” fece una brutta fine: il 5 settembre di quel 1812 saltò in aria proprio nel porto di Trieste in seguito allo scoppio delle polveri da sparo nella Santa Barbara del vascello. Fin dal primo momento, quindi, il “Rivoli” era venuto a trovarsi in una posizione di inferiorità di fronte al La battaglia di Lissa (1866), il momento decisivo nello scontro delle flotte austriaca e italiana tra il pirovascello austriaco “Kaiser” e la fregata corazzata “Re di Portogallo” in testa alle navi italiane nemico. Ciononostante, l’equipaggio dimostrò forte determinazione e grande coraggio nel sostenere l’impari e lungo combattimento. La battaglia si protrasse per l’intera notte e nelle prime ore del mattino. Alle ore 9,30 del 22 febbraio, quando tutti gli ufficiali e gran parte degli uomini dell’equipaggio erano stati uccisi o feriti, il “Rivoli” fu costretto a inalberare il segnale della resa, la bandiera bianca. I rimproveri di Napoleone Una decina di giorni dopo la sconfitta, in data 3 marzo, Napoleone scrisse una lettera al Vicerè d’Italia e suo figliastro, Eugenio de Beauharnais, rimproverandolo di non aver ordinato al “Rivoli” di prendere il mare La divisione navale austriaca composta da 13 navi nel porto di Rovigno (1 giugno 1847) 16 Panorama sotto la scorta di una fregata e di non aver fatto esaminare la situazione sul mare prima della partenza del vascello. Ma ormai nulla poteva arrestare la caduta verticale della stella napoleonica non soltanto sull’Adriatico. Nel frattempo si fece la conta delle perdite. Sul “Rivoli”, tra morti e feriti, erano stati messi fuori combattimento 650 uomini (alcune fonti dicono 506); la batteria di bordo era andata distrutta, dei cannoni calibro 36 erano rimasti efficienti soltanto sei; il vascello era stato perforato in quarantadue punti dalle cannonate nemiche, colpito sopra e sotto la linea dell’acqua; all’interno della nave l’acqua aveva raggiunto l’altezza di sei piedi e mezzo. Le perdite inglesi furono relativamente poco significative: 27 morti e 96 feriti sul “Victorious” e pochi feriti sul “Weasel”. Il 26 febbraio, scortato dai due vascelli inglesi, il “Rivoli” arrivò e gettò le ancore nel Porto San Giorgio dell’isola di Lissa che da alcuni anni era in possesso degli inglesi e da essi trasformata nella Gibilterra dell’Adriatico. Riparati alla meglio i danni, inalberando il vessillo di Albione, senza mutare il nome, il “Rivoli” riprese la navigazione nel quadro della flotta britannica. Nei primi giorni di marzo lo troviamo nelle acque dell’isola napoletana di Ischia, dove attracca e cattura la nave franco-italiana “Minerva” con quaranta cannoni.● Società Riflessioni su Carlo Maria Martini nel giorno del suo funerale Per una Chiesa aperta e profetica di Marino Vocci G uardando, il giorno dei funerali nel Duomo di Milano, il libro dell’Evangelario posto sopra alla semplice cassa di legno che conteneva le spoglie mortali di Padre (così amava farsi chiamare) Carlo Maria Martini aperto sulla pagina della Resurrezione di Cristo, ho riflettuto sull’importanza, sulla bellezza, sul significato profondo ed anche rivoluzionario della liturgia della parola. Un libro aperto che per me, come pure per molti laici come me, ha un forte valore simbolico e rappresenta un gesto estremo e generoso di pace, fratellanza e soprattutto di speranza. Quasi all’improvviso un pensiero si è imposto sugli altri: cosa succede a questa nostra Chiesa cattolica? Un mondo che il Pastore tedesco doveva riportare all’ordine ed è invece attraversato da grandi tormenti e profonde lacerazioni Dove la potente Curia romana è sempre più frequentemente e scompostamente percorsa da intrighi di palazzo e da vicende giudiziarie. E l’immagine più immediata e più chiara che mi è venuta in mente è stata quella non di uno (il povero maggiordomo), ma di diversi enormi corvi neri che volteggiavano pericolosamente nel cielo di Roma, sfiorando la cupola della Basilica di San Pietro, sopra le teste di preti, vescovi e cardinali vestiti elegantemente con abiti talari, ostentatamente firmati. Rappresentanti di quella chiesa/potere che continua a negare il diritto al sacerdozio delle donne e il matrimonio ai preti e che, specialmente negli ultimi anni e in diverse parti del mondo, è scossa da grossi scandali legati a quelle storiacce ripugnanti dei preti pedofili. Una chiesa/potere, e siamo approdati in queste nostre terre, turbata dai comitati d’affari e dalle presunte paternità che vedono coinvolti due tra i più alti esponenti della Curia slovena e dalle polemiche nella Curia croata per il sostanziale “commissariamento/siluramento” di monsignor Ivan Milovan, della Diocesi Istriana, in seguito ai fatti legati al contenzioso con i benedettini di Praglia in merito al Convento di Daila. Ma neppu- re la Diocesi di Trieste sta molto bene, anzi! Qui la Curia romana, seguendo un precisa linea di orientamento politico nella nomina dei nuovi vescovi, che in questi ultimi anni sceglie quelli in linea con il “nuovo” corso, ha posto al governo della chiesa locale in sostituzione del lungimirante monsignor Ravignani (messo come il Cardinale Martini in pensione senza alcuna proroga, non come per altri vescovi e cardinali “allineati” al nuovo corso, esattamente al compimento del settantacinquesimo anno di età) un Vescovo in linea con il processo di “restaurazione”. Una Trieste che anche grazie a questo, ma anche purtroppo alla pochezza della sua classe politica e alla presunzione, arroganza, inadeguatezza e scarsa attenzione al bene comune di molti suoi politici, vede divisa come non mai la sua Comunità. E non solo quella dei fedeli e del mondo cattolico. Pensavo a tutto questo, mentre guardavo la gente di Milano assistere all’ultimo viaggio del Pastore, dell’uomo del dialogo, autore della bellissima lettera/libro “Sto alla porta”. In particolare pensavo al modo entusiasta, intenso e convinto con cui avevo “vissuto” il mio rapporto con il mondo cattolico. Quello con la “rivoluzione “ del Concilio vaticano II, il mio rapporto con Padre Balducci, le letture giovanili di riviste Testimonianze, di Aggiornamenti Sociali e dei testi dei teologi della Liberazione e dei difensori della Chiesa dei poveri. Guardavo con emozione il Duomo di quella Milano di Comunione e Liberazione e la sua piazza piena di gente, dove purtroppo però si notava l’assenza dei giovani, donne e uomini commossi e partecipi (al punto da creare un certo imbarazzo alla Curia romana), che rendevano omaggio a questo grande Pastore che molti, e io ero tra questi, avrebbero voluto vedere Papa. Sì avrei tanto voluto vedere Carlo Maria Martini Papa, proprio Lui che era stato uno dei grandi elettori di Ratzinger, quel Papa che è ora sempre più isolato, inascoltato e spesso ignorato. Avrei voluto vederlo Papa perché rappresentava un segno di speranza per il futuro. Perché riusciva ad interpreta- re i sentimenti profondi dell’uomo di oggi, perché conoscendo il suo pensiero ed il suo animo, avrebbe riportato la Chiesa alle sue origini. Soprattutto perché sarebbe stato un buon Pastore e un buon Padre. Perché, ancora, avrebbe contribuito ad avviare un percorso di cambiamento, favorendo la collegialità e destrutturando una gerarchia spesso oppressiva e opprimente, esclusiva ed escludente (per usare termini a me cari), in una chiesa ossessionata dalla propria identità e permeata dal dogmatismo assoluto. Una Chiesa che, come Padre Carlo Maria Martini ha ricordato nella Sua ultima intervista, è indietro di 200-300 anni. Lui invece credeva in una Chiesa aperta, profetica e missionaria che deve farsi prossimo, farsi Altro, che dialoga con tutti, ebrei, buddisti, mussulmani, cristiani di altra fede e anche con i non credenti. Un’altra Chiesa. Quella che guarda ai poveri ed agli ultimi e che si occupa anche delle questioni “eticamente sensibili”: che è contro il dogmatismo assoluto.Una Chiesa invece come corpo, come realtà intermedia che cerca di coniugare cristianesimo, illuminismo e modernità e che costruisce ponti di dialogo, confronto e scambio tra mondi, culture e religioni diverse. Una Chiesa non alla ricerca del potere e dei privilegi, che evita il rischio di lodare la povertà. Una Chiesa come quella vissuta e sognata da Padre Carlo Maria Martini, che nel momento dell’ultimo viaggio ha voluto salutarLo non ricordando il mistero della Resurrezione e della forza e del potere di Cristo nello sconfiggere la morte ma i motivi per cui in moltissimi su questa terra lo hanno amato. Grazie fratello Carlo Maria e Ti sia lieve la terra.● Panorama 17 La storia oggi L’Ernesto Guevara de la Serna tra mito e realtà, protagonista della Che: un avventuriero romantico e di Fulvio Salimbeni A Treppo Grande (Udine) dal 2005 era attivo l’agriturismo “I Benandanti”, gestito da Gianni Benasso che l’aveva fatto divenire un vivace centro di vita intellettuale, dove a cadenza più o meno mensile venivano organizzate conferenze e spettacoli d’alto livello, sempre seguiti da un folto e qualificato pubblico. Ora, per ragioni personali dovendo concludere questa riuscita esperienza, il titolare ha voluto dedicare l’ultima manifestazione alla vicenda di Ernesto Guevara de la Serna, meglio noto come “Il Che”, ritenendo giusto riflettere sull’esperienza storica d’una delle maggiori personalità del XX secolo, la cui biografia con il tempo ha assunto dimensioni leggendarie, mostrando ancor oggi sorprendenti tratti d’attualità. Non è certo casuale che a lui siano state dedicate bellissime canzoni, tre delle quali eseguite durante la conferenza, e anche film, dall’hollywoodiano Che!, del 1969, con Omar Sharif e Jack Palance, a I diari della motocicletta, del 2004 - fedele resoconto del giovanile viaggio in moto attraverso l’America Latina insieme con un amico che gli fece scoprire la tragica realtà di miseria e sfruttamento delle masse popolari, indirizzandolo verso la scelta dell’impegno militante -, e al Che, del 2008, in due parti, con Benicio Del Toro, oltre ad altri di minor valore artistico e storico, ma significativa testimonianza del costante interesse per la sua incredibile vicenda rivoluzionaria, senza contare i molti documentari a lui dedicati. Ed è significativo che a occuparsi di lui siano stati non solo storici, politologi, giornalisti, ma anche scrittori. La biografia di Pierre Kalfon, Il Che. Una leggenda del secolo (Feltrinelli), vanta, infatti, una prefazione di Manuel Vàzquez Montalbàn, mentre quella più ampia e documentata, Senza perdere la tenerezza. Vita e morte di Ernesto Che Guevara (Il Saggiatore), è dovuta al romanziere 18 Panorama Paco Ignacio Taibo II, che ha dotato il volume d’una bibliografia enorme, di 44 pagine tra memorialistica, raccolte di fonti, studi storici e gli scritti dello stesso Che, in larga misura tradotti e pubblicati in Italia subito dopo la morte. Né è da pensare che la sua vicenda abbia attirato l’interesse e l’ammirazione solo delle sinistre, come immaginabile data la sua scelta di campo antiimperialista, dal momento che perfino sul versante opposto essa ha riscosso un’attenzione affatto trascurabile, come provato da Mario La Ferla ne L’altro Che. Ernesto Guevara mito e simbolo della destra militante (Nuovi Equilibri). Di fronte a tutto ciò v’è da chiedersi quali siano le ragioni del permanente successo politico di colui che poi è divenuto addirittura un’icona consumistica - le magliette con la sua immagine -, anche se una recente indagine tra le giovani argentine ha rivelato che quasi tutte credevano fosse stato un cantante rocker degli anni Sessanta! La risposta si trova da un lato nella sua biografia e da un altro nel contesto mondiale attuale, segnato da una globalizzazione selvaggia, da squilibri sempre più accentuati tra ricchi e poveri, dall’asservimento dei diritti dei cittadini allo strapotere della finanza internazionale e di quella che già nell’Ottocento veniva definita la “bancocrazia”. Egli, infatti, nato in Argentina nel 1928 in una famiglia benestante, d’inclinazioni liberal-democratiche riformiste, si formò negli anni del governo di Juan Peròn (1946-1955), connotati da un orientamento politico socialisteggiante e favorevole alle masse - non è casuale che nel celebre musical di Madonna, Evita, il Che compaia come voce commentante la vicenda -, all’università, dopo un anno a Ingegneria, passò a Medicina, ritenendo così di poter essere più utile ai bisognosi, lavorando anche nei lebbrosari e trattando i pazienti come esseri umani e non quali rifiuti della società, rinuncian- do a una prestigiosa carriera accademica con luminari della disciplina, che ne apprezzavano le qualità e l’impegno. Una persona di vasta cultura Contrariamente all’immagine stereotipata del combattente, affermatasi a livello generale, egli, invece, fu persona di vasta cultura, lettore non solo dei classici dell’economia e del marxismo, ma anche di testi filosofici e letterari, spaziando dai grandi autori latino-americani a Walt Withman, a Rimbaud e ai maggiori poeti e romanzieri francesi e inglesi dell’Otto e Novecento, convinto dell’importanza dell’istruzione, tant’è vero che durante la guerriglia a Cuba nelle ore libere dai combattimenti s’impegnava in prima persona a insegnare a leggere e a scrivere ai suoi miliziani, ritenendo ciò fondamentale per il loro riscatto umano e per l’affermazione dei loro diritti, come ha ricordato Dariel Alarcòn Ramirez, uno dei suoi più fedeli collaboratori, nell’autobiografico Benigno, l’ultimo compagno del Che (Baldini Castoldi Dalai). È La storia oggi storia del Novecento vagabondo di questi anni il già citato viaggio in motocicletta attraverso l’America meridionale e centrale, che gli rivelò la tragica realtà delle campagne e dei loro abitanti. In Guatemala assistette agli ultimi mesi del governo di Arbenz, un militare riformatore, per il quale parteggiò, rovesciato da un colpo di stato finanziato dalla CIA, spostandosi poi in Messico, dove entrò in contatto con gli esuli cubani del fallito tentativo insurrezionale del 1953, appassionandosi alla loro causa. Rientrato per un breve periodo in Argentina, a metà degli anni Cinquanta ritornò in Messico, unendosi a Fidel Castro e ai suoi, partecipando all’avventura rivoluzionaria fino al suo pieno successo con il rovesciamento del regime di Batista e la presa del potere l’1 gennaio 1959. Divenuto uno dei più stretti collaboratori del Leader màximo, si trovò a reggere il Ministero dell’Industria, impegnandosi subito per l’educazione e la formazione professionale dei lavoratori, propugnando anche il lavoro volontario per la trasformazione economica e sociale di Cuba, battendosi per l’alfabetizzazione popolare e altresì contro la burocratizzazione della rivoluzione e il dogmatismo marxista che i consiglieri sovietici imponevano. Incapace di stare dietro una scrivania e per allontanarsi da un ambiente che sentiva sempre più ostile e connotato da sotterranee lotte di potere - vittima delle quali fu uno degli eroi della rivoluzione, Camilo Cienfuegos, scomparso misteriosamente durante un volo di trasferimento nell’isola -, egli con un pugno di fedelissimi si trasferì in Africa, per alimentare la lotta anticoloniale in Congo, sconvolto da lotte tribali e dalle interferenze delle multinazionali belghe, impegnate a difendere i loro interessi strategici, ma, presto deluso dalla situazione locale che non offriva gli sperati sbocchi rivoluzionari e osteggiato dall’URSS della cui politica si mostrava sempre più critico, ritenendola tutt’altro che veramente socialista, rimpatriò. Si trattò, però, d’una breve permanenza, perché la lotta anticapitalista pareva aprire un nuovo, promettente fronte in Bolivia, nel cuore dell’America Latina, le lotte dei cui minatori aveva già conosciuto in gioventù. Da qui la decisione di tentare la nuova avventura, quella decisiva e ultima, che l’ha consegnato alla leggenda, iniziata sul finire del 1966 e conclusa con la morte nell’ottobre del 1967. Partito convinto di trovare il terreno favorevole e assicurato dell’appoggio del proprio governo, una volta giunto a destinazione il Che scoprì una realtà ben diversa, perché il segretario del partito comunista boliviano gli comunicò subito che non avrebbe appoggiato quell’avventura, tra l’altro dirottata dalla regione prevista, favorevole alla guerriglia, a un’altra ambientalmente e socialmente ostile, poiché i campesinos erano stati persuasi dalla propaganda governativa che Guevara e i suoi venivano non a liberarli, bensì a strappare loro le misere proprietà. Le autorità cubane, inoltre, lo abbandonarono al suo destino, senza fornirgli i promessi aiuti, né informazioni operative o aiuti per la fuga, in ciò condizionate pure dalle direttive sovietiche, avverse a quell’impresa, che metteva in discussione i taciti accordi con gli USA sulle rispettive aree d’influenza. Così, braccato dai rangers governativi, il Che, nonostante alcuni fortunati colpi di mano, finì circondato, catturato e giusti- ziato dai boliviani contro la volontà degli USA, che lo avrebbero voluto vivo anche a scopi propagandistici. Da quel momento ebbe inizio la leggenda, molto più reale della realtà, come disse Régis Débray, l’intellettuale francese che ne condivise l’avventura, riuscendo a sopravvivergli e tenendone viva la memoria, che ha trovato nuovo alimento, dopo la fine della Guerra Fredda, con il trionfo d’un capitalismo selvaggio, che giustifica in pieno l’impegno militante del Che, espressosi costantemente in un vero amore per i popoli oppressi di tutto il mondo e la loro causa, tanto da essere assunto come simbolo della loro causa, insieme con il sacerdote colombiano Camilo Torres - che imbracciò le armi, cadendo nella lotta, per abbattere un ordine ritenuto ingiusto e dipendente dall’imperialismo nord-americano -, dai cristiani per il socialismo e dai teologi della liberazione, come attesta un saggio di Giulio Girardi, Che Guevara visto da un cristiano. Il significato etico della sua scelta rivoluzionaria (Sperling§Kupfer). Il suo esempio, del resto, ha trovato imitatori così nei sandinisti nicaragueni, riusciti a conquistare il potere, instaurando una regolare democrazia, come nella vicenda zapatista del subcomandante Marcos, capace di costringere il governo messicano a venire a patti con i peones e gli indigeni insorti. “Hasta siempre Comandante”! ● Panorama 19 Psicologia Quali sono i processi mentali che precedono la formazione di un Credenze e circostanze: come nasc di Denis Stefan altri che condividono i loro sistemi di convinzioni paranoidi. Le caratteristiche nominate però n questi giorni abbiamo avuto non sono di per se stesse una garanzia modo di sentire o leggere sui medel fatto che colui che le mostra deve dia la sentenza del processo ad per forza diventare un estremista fanaAnders Breivik, autore dell’eccidio tico, ci vuole dell’altro. La costruziodel 22 luglio 2011 che ha provocato ne di un fanatico è un processo lungo la morte di 77 persone, in prevalenza e piuttosto complesso, generalmente giovani, che si scusa per non aver ampreceduto da un’educazione che enfamazzato ancora… Altresì sono all’ortizza alcune idee politiche o religiose dine del giorno gli attentati suicidi dei e che si svolge in un determinato confondamentalisti islamici e le ripetute testo familiare e sociale. La psicologia minacce dei cosiddetti “teocon” ameevoluzionista sottolinea il fatto che, e ricani a coloro che non rispettano gli ciò è più marcato in età infantile, siainsegnamenti della Bibbia e sono anmo dotati di un istinto all’obbedienza cora vive nel ricordo tutte le atrocità che ci risulta utile poiché ci libera dal che si sono compiute, e purtroppo anpericolo di dover apprendere solo con cora si compiono in nome di certe pol’esperienza personale, per cui tendiasizioni ideologiche totalitarie. mo ad obbedire alle persoAvremmo la tendenza ne di cui ci fidiamo e verso a dire che gli atti estremi le quali proviamo affetto, trovino la loro causa nelin primis ai nostri genitori. le credenze di coloro che Non siamo però dotati di li compiono, ma possiamo un istinto che ci permetteveramente affermarlo con rebbe di distinguere i conassoluta certezza? Questa sigli utili, e quindi obbedinostra tendenza deriva da re solo a quelli, da quelli un meccanismo cognitivo che rappresentano solo un chiamato errore di attribueffetto placebo, del tipo zione e che sta ad indicare “se dirai le preghiere le che tendiamo ad attribuicose andranno bene”. Si re le causa delle azioni decrea così, tramite un cergli altri a delle loro caratto tipo di educazione, una teristiche interne e stabipre-condizione sulla quale li, quali possono appunto si innestano poi altri tipi di essere i sistemi di credencredenze partenti da preze religiose o ideologiche. Tante ricerche di psicolo- Breivik uno degli ultimi fanatici condannato recentemente giudizi che possono avere degli elementi di plaugia sociale ci hanno invece mostrato che certe circostanze pos- ma delle idee negative preconcette, sibilità, che facilmente li trasformano sono portare anche degli individui che che sono in genere non proprio com- in certezze. Se l’individuo, immerso non hanno delle credenze ideologiche pletamente implausibili, riguardo a nel suo ambiente sociale, ha acquisio religiose di tipo totalitario a compie- persone o situazioni con cui vengo- to delle credenze ideologiche o relire degli atti di estrema crudeltà. Allora no in contatto, attribuendo agli altri giose che tendenzialmente possono come la mettiamo? Sono le credenze intenzioni malvagie. Possono mo- indurre l’estremismo, e si è convinto o piuttosto le circostanze a creare un strare fantasie grandiose irrealisti- che sia in corso una specie di guerra fanatico, disposto anche ad immolare che sottilmente nascoste e tendono cosmica in cui il nemico è colui che la propria vita pur di affermare l’as- ad elaborare stereotipi negativi degli non condivide queste certezze, si deve soluta verità e bontà delle sue creden- altri, particolarmente di coloro che innescare un meccanismo mentale di ze? Per gli psicologi è interessante ve- appartengono a gruppi di popola- delegittimazione del “nemico” chiadere quali sono i processi mentali che zione distinti dal proprio. Attratti da mato disumanizzazione dell’avversaprecedono la formazione di un fanati- concezioni semplicistiche del mon- rio, detto con un termine più forte anco, se ci sono delle caratteristiche del do, sono spesso cauti nelle situazio- che “satanizzazione” (di cui ho parlasingolo che lo rendono più propenso ni ambigue. Possono fondare “culti” to negli articoli dedicati al disimpegno a compiere atti estremi e quali sono le o gruppi strettamente aggregati con morale) che è presente spesso anche I 20 Panorama circostanze dell’ambiente sociale che favoriscono il fanatismo e l’estremismo. Andiamo con ordine, innanzitutto gli estremisti generalmente mostrano di non differenziarsi dalla maggioranza della popolazione per quello che concerne le loro potenzialità intellettive, salvo mostrare forse una tendenza al pensiero rigido, tendente a formare facilmente degli stereotipi particolarmente tenaci. Dall’aspetto personologico alcuni di essi possono mostrare tendenze simili ai sintomi dei distubi della personalità di tipo paranoide intesi come tendenza a sentirsi continuamente minacciati da qualcuno. Gli individui con questo disturbo ricercano una confer- Psicologia simile individuo e un fanatico in forme non marcatamente aggressive e contrappone il gruppo di appartenenza (ingroup) agli altri gruppi (outgroup) e di cui la satanizzazione è la forma più estrema e violenta. La satanizzazione avviene in diverse fasi: crisi di fiducia in un dato potere istituzionale, conflitto di legittimità tra potere istituzionale e gruppo di appartenenza e in fine una crisi totale di legittimità del potere ufficiale che finisce per autorizzare qualunque tipo di atrocità. A questo punto ci vuole qualcosa che rinforzi e mantenga, nella mente del fanatico, le idee estreme e la prontezza a compiere azioni estreme. Il qualcosa si trova nel cosiddetto “rinforzo simbolico” (symbolic empowerment). L’attivazione di questo processo procede anch’essa per fasi la cui presa di coscienza fa da rinforzo alle “supercredenze fanatiche”. Si potrebbero descrivere tali fasi nel modo seguente: 1) Riscontri reali ed argomentabili, seppur non dimostrabili che innescano pensieri del tipo: “Il mondo va a rotoli; la corruzione e la secolarizzazione e liberalizzazione della società corrompono i sacrosanti valori della fede religiosa o politica. A questo ho il dovere di reagire anche con il sacrificio personale”. 2) Impossibilità di alternative: “I metodi di protesta non violenti (petizioni, manifestazioni pacificha, elezioni politiche, ecc.) sono inefficaci, coloro che li mettono in atto sono sostanzialmente dei codardi e non c’è alternativa all’azione violenta”. 3) Satanizzazione e guerra cosmica- alimentati da “capi” e da media intrisi di fanatismo. 4) Azioni simboliche di rinforzo: esaltazione degli atti di terrorismo in cui i terroristi vengono trasformati in martiri ed il tutto viene enfatizzato dai media La motivazione è ciò che dà il via ad un processo lungo e complesso: il terrorismo, il fondamentalismo religioso, anche non estremo, e la sub-cultura dal cui interno esso nasce e si sviluppa, possiedono profondissime radici motivazionali in grado di alimentarli in misura massiccia ed inconsueta. Le Torri gemelle distrutte dai fondamentalisti islamici Purtroppo, il fanatismo non è stato ben colto nei suoi risvolti psicologici profondi ed estremi: esso va inteso quale totale dedizione alla causa, con annullamento della persona individuale a vantaggio dell’ideale collettivo e ultraterreno. A questo punto, per il fanatico, il “reale” si rivela ben misera cosa a confronto con l’“ideale”, il “terreno” si rivela ben misera cosa a confronto con l’“ultraterreno”; la morte in effetti porta all’immortalità, quindi non c’è nemmeno sofferenza nel cercare la propria morte. Colui che si identifica nel terrorismo “assoluto-giusto-illimitato-infinito” non prova nessun rispetto per le vittime, nessun rispetto per se stesso. Non è impossibile, a questo punto, capire come si possa giungere a personalità solo apparentemente così “strane”: menti chiuse, cuori induriti, sentimenti azzerati. Tuttavia, si tratta pur sempre di una dimensione etica: per quanto negativa e talvolta malata, è in ogni caso una “morale” realmente esistente, e non la si può ignorare. Anche per questo, bisogna considerare che, al di là dei terroristi e dei fanatici, larghe parti “normali” della popolazione mondiale possiedono etiche differenti da quella prevalente. La maggior parte di noi, che ha avuto un’educazione moderata e che è favorevole allo sviluppo di una società aperta e democratica, è riluttante ad accettare che ciò sia possibile, ma non ci troviamo forse in delle situazioni paradossali in cui sosteniamo che la libertà e la vita umana sono sacrosante, ma poi, né più né meno di come fanno gli estremisti glorifichiamo persone che si sono immolate per la loro “fede” e le loro “idee”? Non ci ritroviamo quotidianamente a pontificare su ciò che è bene e ciò che è male, su ciò che è una “giusta causa” basandoci soltanto su dei nostri sistemi di credenze, ritenute verità assolute e che quindi assumono il ruolo di “supercredenze”? È possibile trovare una soluzione in una società liberale e pluralista, in cui si trovano a convivere portatori di tendenze estreme con coloro che non condividono le loro “supercredenze”? Certo, i casi di atti violenti, come il pluriomicidio di Breivik o l’attacco alle torri gemelle ci rimangono impressi e creano paura per la loro imprevedibilità e crudeltà estrema, ma vi sono anche altri modi, meno evidenti, in cui l’estremismo risulta dannoso per lo sviluppo di una società libera tendente ad allargare al massimo le libertà individuali. Sono i casi in cui la democraticità viene confusa con il concetto di “dittatura della maggioranza” che finisce per limitare le libertà individuali in nome di credenze condivise dalla maggioranza delle persone, ma che non hanno fondamenti razionali. Quale potrebbe essere una soluzione? Forse il graduale spostamento, peraltro in corso nelle società laiche, delle supercredenze dello “credere in” alla sfera del privato del “credere che” e la creazione di un ambiente educativo sempre più pluralista e meno dottrinario in senso etico. ● Panorama 21 Cinema Oggi esistono rassegne sulle minoranze che si svolgono nei luoghi Le cinematografie che stanno usc di Alessandro Michelucci partire dagli anni Settanta del secolo scorso i problemi delle minoranze e dei popoli indigeni hanno cominciato a guadagnare una visibilità che fino a poco tempo prima sembrava impensabile. Il fenomeno è partito in sordina, ma sono bastati pochi anni perché si affermasse. Anche l’Europa, in seguito al crollo dell’URSS e della Jugoslavia, è stata investita da questo fenomeno. Questo interesse non si è manifestato soltanto in campo politico, ma anche nel mondo cinematografico. Il fenomeno include da una parte l’affermarsi di cinematografie regionali e dall’altra il rinnovato interesse che il cinema tout court dimostra per questi temi. Anche limitandoci all’Europa, oggi esistono rassegne che si svolgono nei luoghi più diversi, dalla Corsica alla Scandinavia, grazie alle quali A La bella cittadina bretone di Douarnenez dove si è tenuto il festival certe cinematografie stanno uscendo dalla marginalità dando spazio a temi a lungo trascurati. Si tratta di una novità importante: se prima i problemi Le autonomie spagnole a Costituzione spagnola, entrata in vigore il 29 dicembre 1978, riconosce larga autonomia alle tre minoranze storiche - Baschi, Catalani e Galleghi - che la dittatura franchista ha represso duramente. Non solo, ma oggi la Spagna si presenta come il paese dell’Unione europea che più di ogni altro è riuscito a garantire una tutela effettiva delle proprie minoranze. I tre popoli suddetti costituiscono complessivamente il 29 p.c. della popolazione totale, che oggi raggiunge i quaranta milioni. La carta costituzionale spagnola fa esplicito riferimento ai “popoli di Spagna” e proclama la volontà di proteggere “le loro culture e tradizioni, le lingue e le istituzioni”. Lo stato, che viene definito “indivisibile”, garantisce l’autonomia delle regioni e delle nazionalità che ne fanno parte. Le 17 regioni (comunidades autonomas) istituite nel 1983, divise a loro volta in 52 province, godono di ampi poteri locali, tanto da avvicinare la Spagna a una federazione. Lo stato garantisce la realizzazione del principio di solidarietà, fissato dall’art. 2 della Costituzione, in modo da evitare lo squilibrio economico fra le varie regioni. La minoranza più numerosa della Spagna è quella catalana, che raggiunge i sette milioni. In altre parole, l’equivalente di un paese come la Svizzera. A questa potenza numerica si aggiunge il fatto che la Catalogna è la regione più ricca della Spagna. La città più importante, Barcellona, è una metropoli di respiro europeo e di grande vivacità culturale. Le tre minoranze suddette possono rivendicare molti talenti che vengono genericamente considerati spagnoli, fra i quali i catalani Salvador Dalì e Montserrat Caballé, il filosofo basco Fernardo Savater e il musicista gallego Carlos Núñez.● L 22 Panorama delle minoranze restavano confinati ai cineforum, negli ultimi anni abbiamo potuto vedere film come “Il vento fa il suo giro”, “La masseria delle allodole” e “Sonetàula”. Il fenomeno è stato confermato dai libri sul cinema basco, sardo e gallese, tanto per fare qualche esempio, che sono stati pubblicati recentemente. L’associazionismo direttamente legato alle minoranze non poteva rimanere inattivo. Lo dimostrano iniziative come la Mostra del cinema friulano, che poi si è trasformato in una rassegna europea, e lo European Minority Film Festival, la cui quarta Cinema più diversi, dalla Corsica alla Scandinavia endo dalla marginalità Place Jour piena di gente edizione si svolgerà a Husum (Germania) dal 22 al 24 novembre. La grande festa della diversità culturale Fra i tanti festival cinematografici dedicati alle minoranze, quello che si svolge ogni anno a Douarnenez, cittadina bretone situata sul’Atlantico, è sicuramente uno dei più appetibili e più longevi. Il Gouel ar Filmou, questo il nome in lingua bretone, è nato nel 1978 per iniziativa di alcuni cinefili locali, all’epoca impegnati nelle lotte popolari contro la centrale nucleare di Plogoff. Il suo obiettivo era semplice ma ambizioso: proporre un panorama di opere dedicate ai problemi delle minoranze che rifiutasse al tempo stesso l’approccio didattico-antropologico e quello umanitario. Fra gli animatori del festival spicca Erwan Moalic, che oltre a essere uno dei fondatori lo ha diretto fino al 2010, quando è stato sostituito da Éric Prémel. Moalic e gli altri membri dell’associazione Daoulagad Breizh non sono soltanto difensori appassionati delle minoranze, ma anche profondi conoscitori del cinema in quanto tale. Anno dopo anno, combinando queste due caratteristiche, hanno dato vita a un festival che affianca opere ignote a film che che sono stati distribuiti nel nor- male circuito cinematografico. Con gli anni l’iniziativa è cresciuta costruendo un mosaico socioculturale di grande valore nel quale si sono succeduti i popoli minoritari più diversi: dai Gallesi (1998) ai Maori della Nuova Zelanda (2001), dagli Indiani del Nordamerica (1979) alle minoranze d’Italia (2000). Talvolta, invece, gli organizzatori hanno optato per temi di grande attualità, come la globalizzazione (2002) e le migrazioni (1996). Col passare del tempo il festival è diventato una realtà sempre più prestigiosa e rilevante, ottenendo così il sostegno di numerose amministrazioni e banche locali. Il festival di Douarnenez non si esaurisce con la manifestazione estiva che porta questo nome, ma continua con vari programmi che si svolgono durante il resto dell’anno. Grazie al tessuto associativo che si è consolidato vengono organizzate proiezioni, conferenze e altre iniziative legate al cinema. Suoni e colori di tutte le Spagne La trentacinquesima edizione, che si è svolta dal 17 al 24 agosto, era dedicata alle tre minoranze storiche della Spagna: Baschi, Catalani e Galleghi. Per l’occasione i 280 volontari avevano creato uno scenario nel quale si al- ternavano il flamenco e la paella, l’architettura di Gaudì e le opere dell’artista Sam3, autore del manifesto ufficiale. Oltre alle proiezioni - settanta opere fra film, documentari e cortometraggi - il pubblico ha potuto assistere a dibattiti con attori, giornalisti, produttori, registi e altri esperti della materia. Il panorama culturale offerto dagli organizzatori non era limitato ai tre popoli minoritari suddetti, ma includeva opere di Almodóvar, Arrabal, Bunuel e molti altri artisti. Infine, una sezione era dedicata a registi stranieri che hanno raccontato la Spagna, dall’Olanda (Joris Ivens) alla Gran Bretagna (Ken Loach), senza dimenticare il Messico (Guillermo Del Toro). Come si vede il festival si oppone alla ghettizzazione delle minoranze, ma le considera giustamente come colori di una tavolozza che non avrebbe senso senza di loro. Un messaggio prezioso in questi tempi dove molti di coloro che rivendicano la propria identità rifiutano di riconoscere quella altrui. La specificità regionale, insomma, viene sottolineata con forza, ma inserendola in un contesto internazionale che la separava nettamente da certi etnicismi cupi e pericolosi. Se le proiezioni relative ai popoli scelti costituivano la parte principale del festival, al tempo stesso il programma includeva numerose sezioni dedicate ad altri temi: film sui sordi, sugli omosessuali e una stimolante selezione dei film realizzati in Bretagna nell’ultimo anno.● Panorama 23 Cinema e dintorni Theo Angelopoulos è morto a 77 anni sul lavoro Manoel De Oliveira ha oggi 104 anni Theo Angelopulos si è spento da poco, Manoel De Oliveira ha Per un maestro che se ne va, uno di Gianfranco Sodomaco L’ abbiamo visto l’altra volta, il grande Theo Angelopoulos è morto a 77 anni (1935-2012) sul lavoro. Ebbene, il grande portoghese Manoel De Oliveira ha oggi 104 anni e quando ha girato “Singolarità di una ragazza bionda”, il primo film di cui parleremo oggi, nel 2009, ne aveva già più di cento: così è la vita, così è la storia del cinema. Difficile definire l’arte di Oliveira: possiamo cominciare col dire che ha fatto, dal 1942 ad oggi, ventisei film di cui alcuni memorabili: “Francisca” (1981), “Viaggio all’inizio del mondo” (1997), “Il principio dell’incertezza” (2002) ecc., che ha vinto una trentina di premi in mezzo mondo e che ha ottenuto due Leoni d’Oro alla carriera a Venezia e una Palma d’Oro alla carriera a Cannes. Può essere utile, per partire, questa sua frase: “Il teatro è un’arte ma il cinema non è altro che un mezzo per fissare ciò che si recita davanti alla macchina da presa”. Dunque un “teatro filmato”? Neanche per sogno, perché non è detto che ciò che si recita davanti alla macchina da presa sia, di necessità, “teatro”. Insomma, il rapporto con il teatro c’è ma, conta quel ma, il cinema è un’altra cosa. Ebbene, Singolarità di una ragazza bionda, uscito in piena estate e quindi visto da pochissimi, può essere letto in questa chiave. La storia. E la storia (che si rifà a un racconto di fine ottocento) è narrata, fin dall’inizio, con toni dolen- 24 Panorama ti, dal giovane Macario ad una donna estranea incontrata su un treno in corsa. Inizio del flashback: contabile presso lo zio Francisco, dalla finestra dell’ufficio un giorno Macario vede la bella Luisa (tutti attori portoghesi a noi sconosciuti) affacciata alla finestra di fronte. Muovendo lentamente un piccolo ventaglio cinese, la ragazza avanza e insieme si ritrae, si mostra e insieme non si mostra. Macario se ne innamora, subito ricambiato. Ma lo zio Francisco si oppone alle nozze e il giovanotto è costretto a cercarsi un nuovo lavoro. All’isola di Capo Verde c’è bisogno di un contabile deciso ed energico e Macario, per amore, parte. Quando torna (il montaggio è tagliente, secco, le inquadrature quasi sempre fisse) Macario ottiene l’assenso dello zio (Oliveira mantiene questa mentalità/cornice ottocentesca nonostante la vicenda sia stata trasposta al giorno d’oggi), inizia subito a preparare le nozze e va, con Luisa, a comprare gli anelli. Ma è qui che la ragazza mostra la sua “singolarità”, da subito, immediata (il film dura 65 minuti): Luisa è una ladra, una cleptomane e il commesso della gioielleria subito se ne accorge. Fine del sogno di Macario, che scaccia, repentino, Luisa: fine di un amore. Caro Manoel, cosa ci vuoi dire, oggi, con questa, diciamo la verità, “storiellina”? Attraverso il classico “racconto morale”, che ieri (Ottocento) come oggi, c’è poco da farsi illusioni, non bastano i buoni sentimen- La locandina del film “Il principio dell’incertezza” che ha vinto una trentina di premi in mezzo mondo e che ha ottenuto due Leoni d’Oro alla carriera a Venezia e una Palma d’Oro alla carriera a Cannes ti, la forbita eleganza (il ventaglio), il romanticismo della (piccola) borghesia, dietro v’è sempre la sorpresa, e che dunque l’idealizzazione non è mai stata una buona maestra; non solo, simbolicamente, che il suo Portogallo, apparentemente proiettato nel futuro, è ancora quello di una volta e non sarà facile liberarsi della sua vecchia cultura. Insomma, quasi un lascito, un’eredità che Oliveira vuole lasciare ai suoi connazionali e a noi, Oliveira che ha già girato un altro film Cinema e dintorni Il giovane e promettente regista emiliano Marco Righi Una scena delfilm “Francisca “ di Oliveira oggi 104 anni e il giovane Marco Righi comincia la sua carriera che rimane e uno che sta nascendo che si potrà vedere solo dopo la sua morte... Un maestro, senza aggettivi. E adesso, dal Portogallo andiamo in... Emilia! E in Emilia, in questo momento “percossa” dal terremoto, terra generosa di tutto, di cantanti e rivoluzionari (ma anche fascisti), di buoni vini e buoni cibi, di scrittori e cinematografari (a partire dal padre del neorealismo, Cesare Zavattini), un giovanissimo regista, Marco Righi, bolognese, ha girato il suo primo lungometraggio: I giorni della vendemmia, con protagonista un altrettanto giovane esordiente, Marco D’Agostin. Perché lo segnalo, tra tante “opere prime” che, fortunatamente, d’estate, circolano e tra tante che andranno alla Mostra di Venezia? Perché ha qualcosa che mi tocca nel profondo, e cioè un momento storico che ho vissuto intensamente e che segna un passaggio da cui, drammaticamente, non si torna indietro. Il film si svolge infatti, non a caso, nel 1984, l’anno in cui è morto Enrico Berlinguer. Ed Enrico Berlinguer è il mito del padre del protagonista del film, l’adolescente Elia, chiamato così per volontà della madre: fosse stato il padre a decidere si sarebbe chiamato Palmiro o, appunto, Enrico. Capito l’ambiente che fa da sfondo alla storia? Ma sì, la classica famiglia emiliana cattocomunista dove, per decenni, le due ideologie sono convissute (Peppone e Don Camillo...) combattendosi ma anche rispettandosi. Roba veramente d’altri tempi. Ebbene, in questo ambiente, Elia inizia a crescere, ad uscire dal torpore della sua pubertà quando Il grande regista portoghese Manoel De Oliveira quando ha girato “Singolarità di una ragazza bionda” aveva 101 anni arriva, per aiutare a fare la vendemmia, ma proprio la ragazza chiamata Emilia, con le sue labbra più mature dell’uva da raccogliere. Elia dimentica subito la cartolina, che conserva come una reliquia, arrivata da Cesenatico e inviatagli da una coetanea che non è neanche riuscito a baciare. Elia la smette di masturbarsi con la calma e la rassegnazione che fa un tutt’uno con quel paesaggio. Con Emilia è tutta un’altra cosa, è lei a condurre il gioco e lui, finalmente, irretito, si lascia andare e chiude con l’età dell’innocenza. Ma la botta di vita dura poco. Arriva il fratello che (erano i tempi) fa l’hippy girovago per l’Europa e si scopre che il primo, vero “moroso” di Emilia è stato... proprio lui, il fratello. Emilia non sceglie, lascia, Elia lascia fare, non vuole contendere, litigare col fratello, è troppo semplice per lui tornare alla “sonnolenta” vita di sempre, tornare in campagna tra i vigneti ormai tagliati, nudi. E l’ultima scena, disperante, è per lui che, seminudo, balla da solo al ritmo del vinile rock del fratello. Certo, nulla di nuovo sul piano dei contenuti, ancora una volta l’iniziazione alla vita di un giovane di provincia, ma lo stile, l’“aria” che si respira nel film ricorda certo Bertolucci e certo Bellocchio che, non a caso, hanno attraversato e filmato le stesse “contrade”. Un piccolo film ma equilibrato, condotto con mano sicura, che sa riempire lo schermo. Marco Righi, più che una promessa. E adesso dall’Emilia andiamo, finalmente, a Venezia.● Panorama 25 Arte Alla galleria Adris di Rovigno la mostra di Vilko Gecan, importante nome del Un pittore e viaggiatore anche attra di Erna Toncinich S e la scorsa primavera la galleria Adris di Rovigno ha ospitato la personale di Oskar Hermann, grande protagonista dell’arte croata moderna, l’autunno porta nello stesso spazio espositivo un altro importante nome della pittura croata moderna, Vilko Gecan. Ambedue le mostre sono state organizzate dall’Adris grup con sede nella cittadina istriana e curate dallo storico e critico d’arte zagabrese Igor Zidić. Quasi coetanei, Herman e Gecan, tutti e due allievi della monacense Accademia di Belle Arti - dalla quale Herman esce con il diploma P mentre Gecan la frequenta un solo anno -, devono la loro formazione attraverso esperienze condotte direttamente in più luoghi, oltre che a Monaco di Baviera, dove Gecan ha contatti con i protagonisti della cosiddetta “scuola croata monacense” formata da Račić, Kraljević, Becić e dallo stesso Herman che però percorre una via diversa da quella degli altri tre pittori croati. Gecan subirà l‘influenza di questa scuola oltre che, come lo stesso Herman, quella di altri pittori operanti nel capoluogo bavarese, portatori di nuovi linguaggi, da essi fruiti e tradotti in modo proprio, personale. Herman vivrà a lungo - nasce nel 1886 e muore quasi centenario -, ben diverso, tragico, è il destino di Gecan che morirà ottantenne ma il suo ciclo creativo sarà molto breve, di soli sedici anni, colpito com’è dal morbo di Parkinson. Gecan, come del resto Herman, cambia spesso residenza - Zagabria, Monaco, Berlino, Praga, Parigi ensieri di Oskar Herman estrapolati dall’intervista concessa allo storico e critico d’arte nonché curatore della mostra allestita a Rovigno, Igor Zidić: Quello che conta è l’ unicità... Tutti i quadri nei quali i particolari prevalgono sull’ unicità non sono buoni. Se il frammento è migliore della sua totalità - il quadro non esiste più. Con gli anni mi piace sempre di più il fisicismo del mio lavoro. È strano che i miei quadri - mentre gli anni lasciano le loro tracce ed io ho sempre meno forza - mostrino sempre più energia... Prima, mentre dipingevo la casa, pensavo al comignolo, alla porta, alle finestre, mentre adesso sottolineo, velocemente e sommariamente, solo l’ idea della casa. Il monte, l’ albero, la nuvola - è tutto uguale. Ho fatto quello che ho potuto. Ho scelto questa strada invece di un’ altra. Il mio cammino era già definito da colui che mi ha creato.● 26 Panorama (dove lo affascina la pittura impressionista), New York, Chicago (nel continente americano lascia diverse pitture decorative), in Sicilia, da prigioniero di guerra, dove realizza numerosi disegni poi raccolti nella cartella Schiavitù in Sicilia - questi e altri ancora sono i luoghi in cui il pittore croato, “pittore viaggiatore” e “viaggiatore” anche attraverso gli stili (così lo ha definito Zvonko Maković, storico dell’arte croato, il cui dottorato verte sull’opera dell’artista) ha soggiornato, più o meno a lungo. Influenzato inizialmente soprattutto da Kraljević, Gecan si cimenta nell’espressionismo - e sarà uno dei portatori di questa tendenza in Croazia -, nel cubismo, nel realismo magico per realizzare infine opere permeate di un colorismo intimo. Dei poco più di tre lustri di attività Gecan ha lasciato dipinti, disegni, litografie e decorazioni su vetro. La mostra, da visitare per conoscere un pittore che ha svolto un importante ruolo nella nascita dell’arte croata moderna, è aperta sino al prossimo 28 ottobre. Pola invece, nel locale Museo di Arte Contemporanea, ha presentato, ma solo per pochi giorni, nell’ambito dell’annuale manifestazione della cultura ebraica Bejahad, una mostra di Oskar Herman (che propone più opere di quella allestita la scorsa primavera a Rovigno). Quaranta dipin- Arte la pittura croata moderna verso gli stili ti, prestiti della Galleria Klovićevi dvori di Zagabria, raccontano il percorso di questo pittore zagabrese di origine ebraica, viaggiatore - soggiorna a Parigi e a Berlino e più a lungo a Monaco di Baviera, durante la Seconda guerra mondiale per due anni nel campo profughi di Ferramonti Tarsia in Italia. Operano nell’ambito del romanticismo Herman, come Gecan, è un pittore che viaggia anche negli “stili”, opera nell’ambito del romanticismo, del simbolismo; si appassiona, è fervido ammiratore dell’opera del tedesco Hans von Marées, pittore di composizioni monumentali dal significato filosofico, in quel tempo attivo a Monaco. La pittura di Herman, conosciuta e studiata l’opera del von Marées, cambia. Alcune opere del primo decennio del Novecento già mostrano chiaramente che d’ora in avanti nella pittura hermaniana il colore dominerà sul disegno. Colorista eccezionale, non grande disegnatore, è con il colore che Herman “disegna” la forma. Os- serva a proposito lo storico dell’arte Zidić: “...Perché le virtù di Herman non dovrebbero misurarsi con le virtù di coloro che, durante lo studio, erano dei disegnatori migliori di lui?” Figure femminili e maschili, singole o in coppia, ma anche paesaggi, il pittore li costruisce con lunghe e forti pennellate di colore più o meno intenso, veemente, con tratti sicuri esegue sintetici insiemi non scevri di una nota espressionistica. Nel 2006, dodici anni dopo la morte dell’artista, i Klovićevi dvo- ri hanno ospitato una grande mostra retrospettiva di Oskar Herman, e Zdenko Rus, ottimo conoscitore dell’opera hermaniana, ha scritto nel catalogo della stessa: “La sua opera è stata analizzata, tutti gli enigmi, i dubbi, le continuità e discontinuità sono stati trattati, spiegati e risolti e le ingiustizie sono state corrette e superate. Herman è un libro aperto che si legge con molta facilità”. ● In queste pagine alcune opere di Oskar Herman e di Vilko Gecan, due pittori protagonisti dell’arte croata moderna Panorama 27 Reportage Il Festival storico Giostra da sei anni è diventato un prodotto turistico Parenzo barocca per tre giorni testo e foto di Ardea Velikonja U n tuffo nella storia, si potrebbe chiamare così la rievocazione storica Giostra che si svolge a Parenzo da sei anni nel mese di settembre. La città si veste di “barocco” con nobildonne e nobiluomini in costumi d’epoca che affollanno le vie, specie la principalissima Decumana, creando un’atmosfera particolare. Il Festival storico, come viene comunemente chiamato, è cresciuto in fatto di contenuti di anno in anno aggiungendo manifestazioni varie, il tutto per attirare quanto più visitatori e riempire le giornate settembrine dei numerosi turisti che soggiornano ancora sulla penisola istriana. E il tutto si è mostrato veramente azzeccato tanto che la tribuna allestita per assistere al torneo cavalleresco, che da quattro anni a questa parte è stato introdotto nelle manifestazioni, era troppo piccola per contenere tutti gli interessati. Tra le novità di quest’anno pure la Fiera franca triduana allestita al Lapidario del Museo nella quale si è voluto mostrare gli antichi mestieri con fabbri, falegnami, calzolai, bottai, scalpellini, pescatori, orafi e pittori ma Anche la centralissima Piazza Libertà si è “vestita” in stile anche panettieri e casalinghe che hanno preparato squisiti dolci tipicamente istriani. Nel mondo barocco di Parenzo quest’anno per la prima volta si sono inseriti pure gli attori della filodrammatica della locale Comunità degli Italiani che in tre giorni hanno riproposto più volte lo sketch “La dona sul balcon” accattivandosi le risa e le simpatie del pubblico. Un’altra novità di quest’anno è stata la celebrazione di un vero e Ma guardate che bel vestito che ho! 28 Panorama proprio matrimonio barocco (valevole a tutti gli effetti) di due giostranti celebrato nella chiesa della Madonna degli Angeli. Interessante un particolare: la sposa è arrivata davanti alla chiesa su una lettiga ricostruita per l’occasione. Dunque in tutta Parenzo per tre giorni si è respirata “aria d’altri tempi” con le colorate dame che attiravano l’attenzione della gente. Non c’è stato un turista che non si sia fatto una Le giovanissime giostranti si sono divertite tanto La Fiera Franca triduana e il corteo Panorama 29 A ritroso nel tempo 30 Panorama Panorama 31 Il torneo cavalleresco 32 Panorama Reportage foto con una delle donne in costume. Tutta la città è stata addobbata in stile con in Piazza Libertà le bancarelle, anche loro d’epoca, che offrivano oggetti antichi. Dinanzi alla Chiesa è stato allestito un salotto in cui le signore, e solamente loro, chiacchieravano con davanti una tazza di tè. Subito vicino il notaio con segretaria che, con una vera penna di piume alla mano, vi regalava un papiro con nome e cognome come attestato di partecipazione alla Giostra. Quest’anno si è inclusa pure l’associazione cittadina degli invalidi i cui ragazzi offrivano per sole 10 kune un bicchierone di cocomero o melone freschissimo che è andato a ruba data la temperatura registrata in questi giorni. E, stando da parte un po’ per vedere come andava la vendita, non c’è stato turista che non si è preso un bicchiere non tanto per il contenuto ma per aiutare quest’associazione. Quindi possiamo certamente dire che la Giostra sta diventando un vero e proprio prodotto turistico culturale che è riuscito a coinvolgere sia i cittadini che i turisti. Certamente lo spettacolo più atteso è stato il Torneo cavalleresco riproposto quattro anni fa grazie al Museo civico parentino. Quest’anno sono stati 18 i cavalieri che hanno partecipato alla gara. Nove erano parentini e gli altri sono arrivati da vari club d’equitazione dell’Istria. Il torneo cavalleresco viene eseguito in base agli scritti risalenti al 14 febbraio del 1745. Bartolomeo Rigo, uno dei cavalieri partecipanti alla Giostra e cancelliere comunale, aveva conservato questo Il torneo si è tenuto nello spazio accanto all’ ex cantina sociale documento nel “Libro delle terminazioni della cancelleria” seguendo gli ordini degli stimati signori giudici di Cittanova. Quasi trecento anni fa la gara si svolgeva su una lizza sontuosa (un rifugio per i combattenti dei tornei di quell’epoca) della lunghezza di cento passi (circa 180 metri), all’inizio lunga circa dieci piedi (circa 36 metri), la quale verso la fine era larga soltanto cinque passi (circa 1,80 metri). Dalla parte sinistra della lizza erano indicati due segni di colore rosso da dove il cavaliere partecipante al gioco doveva rispettare il tempo indicato per gettare la lancia e per arrivare fino al Saraceno (la meta) sistemato a distanza di altri 30 passi (circa 54 metri) fino all’ultima indicazione, colpirlo (ferirlo) e spezzare la lancia. Ognuno di loro aveva la sua guida (fante) ed il secondo (padrino) a cavallo. Il Mastro di campo (Mastro principale) supervisionava la gara assieme a tutto il seguito numeroso, i cavalieri, i trombettieri e i Grandi e piccine tutte eleganti cavalli di riserva. E tutto ciò viene riproposto a regola d’arte ancora oggi. Il centro cittadino è diventato sabato anche palcoscenico dei balli medioevali con musiche d’epoca suonate a regola d’arte dal gruppo austriaco “Saltarello” che si sono meritati i lunghi applausi del pubblico. Più tardi il corteo dei circa 300 nobili ha sfilato lungo le vie del centro fino allo spiazzo verde vicino all’ex cantina sociale. Tra loro spiccavano i “soldati” della Compagnia del Lupo Passante di Monselice che ogni anno partecipano alla giostra parentina. Tra gli altri c’erano anche ospiti in costume di Austria e Ungheria. Arrivati sul posto i nobili si sono accomodati sulle poltrone per assistere al torneo mentre i padrini dei cavalieri erano in prima fila dato che secondo le regole hanno diritto di controllare il verdetto del Mastro principale che assegna i punti dopo che il cavaliere ha effettuato il suo lancio. E, come detto, la tribuna allestita era troppo piccola per contenere tutto il pubblico e quindi la gente si è riversata intorno al poligono di tiro. Diciotto i cavalieri che hanno potuto infilzare la lancia per tre volte. Il primo posto quest’anno è andato ad Ante Tonči Topić, socio dell’associazione “Amici della Giostra”, che ha gareggiato nella categoria dei dilettanti e si è aggiudicato una pistola a salve. Tra i cavalieri professionisti il migliore è stato Ive Štoković al quale è andato il “masgalano” ovvero il piatto dorato simbolo del torneo. Il festival storico Giostra viene organizzato come detto da sei anni dalla società “Amici della Giostra” in collaborazione con lo studo 053 di Franko Štiković ai quali si sono uniti la Società Nostra Infanzia e l’associazione giovanile USB con il patrocinio dell’Ente turistico e della Municipalità cittadina.● Panorama 33 Letture L o scorso maggio sono stati attribuiti i Premi della XLIV edizione del concorso Istria Nobilissima, che hanno dato una nuova conferma dei potenziali creativi del gruppo nazionale italiano nei campi dell’arte e della cultura. Ritenendo che di tali potenziali debba fruire il maggior numero di lettori, nelle pagine riservate alle letture “Panorama” propone le opere a cui siano stati attribuiti premi o menzioni. Nella categoria “Letteratura” alla sezione “Poesia in lingua italiana” la giuria ha assegnato il primo premio a LAURA MARCHIG di Fiume per la raccolta di poesie dal titolo “Horror Temporum (L’oleandro di Porta Pile)”. Questa la motivazione: “Prosa poetica e liriche fortemente evocative, in buon equilibrio fra contrasto e paradosso, private lacerazioni e autoironia, da cui trapela l’umano disorientamento in un mondo privo di certezze” «Horror Temporum» (L’oleandro di Porta Pile) Horror Temporum Ritmo, musica Braccati, storditi, inseguiti da iene questa non è la mia scrittura è l’affidarsi al grido immutato del tempo che si espande si espelle dai ricordi braccati inseguiti da iene Questa non è la mia scrittura è il mondo che rode che insegue inseguito nell’immobile moto del proprio orgoglio per chissà quante volte sorpreso a mangiarsi la coda braccato dal mondo l’orrore del mondo stordito inseguito da iene Questa non è la mia paura questa non è la mia scrittura questa non è la distanza che prendo da me stessa dalla paura della scrittura dall’immutato grido del tempo mi fermo un momento respiro, riparto, ripeto... Avranno affilati coltelli le bandiere e il vento porterà ancora l’odore del sangue È una danza che si ripete: il piede dell’uomo incede e calpesta divora al suo passaggio la bocca ciò che trova l’orecchio non ascolta ciò che ascoltare non vuole e ancora una volta al suo passaggio l’orrore fa suo il suono del silenzio cancella le prove disconosce i figli più deboli i figli bastardi nati nel silenzio in atti d’orrore concepiti I continenti hanno movenze e rimi di danze apprese nei primordi quando essenza di fuoco era la materia manifesta Era un moto così musicale da rendere logica e pura ogni piccola tempesta ogni rivoluzione di un microcosmo e la materia rinnovata cantando e danzano era nel canto e nel moto perfetta e in questo ugualmente perfetta a un moto e a un canto più vasto materia appena rinnovata e già così pronta a cambiare. L’oleandro di Porta Pile * Nera come bara Portiamo i nostri corpi a giacere in nascosti tuguri privati dal senso contraffatti dalle parole dalla neve nera come bara Sbarriamo le imposte spranghiamo i portoni che non possano uscire i respiri le parole come stelle e gli altri dal giacere nostro non ci muovano Saltiamo con movenze innaturali di cervo trafitto dentro a una spelonca calpestiamo il fiato che coi denti teniamo che ancora ci rimane diamo addio al ritorno e il suo arrivederci sapendo di poter incontrare di nuovo sorpresi nell’orrore nella grazia dolcissima del più dolce attimo diamo al celeste respiro l’ampiezza di chi soffoca nel tugurio nostra casa nera su cui scende neve nera e che nera si scioglie Oh scogli oh sciogli oh sciogli i nodi ritocca i contorni affila i profili ma sciogli quei nodi... 34 Panorama C’è un oleandro nei pressi della Porta Pile il cui rosso dei fiori è il rosso cupo del sangue rappreso dello sfacelo nel cuore di un rubino. E fioritura segue a fioritura. Guardati dalle iterazioni. È il ritmo preciso del presente scandito. Facci da monito, questo ti chiedo. Le iterazioni spaventano e così deve essere. Il respiro il respiro il respiro è vaticinio, parola scomposta dal mare nell’onda ricomposta, residui di luce spezzata, bronzei fondi di caffè dalle linee incrudelite, un viaggio che non prevede luoghi da attraversare. Le iterazioni non hanno memoria e non conservano, anche a spremerle non secernono giudizi, non depongono prove. Questi fiori velluto si adattano alla terra, vi si adagiano cadendo come se ritrovassero il cuscino dell’infanzia riempito di piume da mani callose di donna, si rannicchiano nel non tempo, la loro forma è il rosso cupo del sangue rappreso dello sfacelo nel cuore di un rubino. (*) Porta Pile è uno dei due ingressi della città di Ragusa (Dubrovnik) Letture A proposito di allarmi Stagione Segreti e segreti leciti ridondanti velenosi eccitanti mostruosi evidenti economici di partito della mia compagna di scuola del figlio cresciuto del pentito di mafia e del magistrato del militare affiliato alla setta del miliziano assoldato del pacioccone reclutato quello che ha usato calze di nailon per strozzare e assicura “centomila volte meglio di mille coltelli se vuoi fare le cose in silenzio”. Spaventi e spaventi di quello che non si aspetta che la morte lo assalga da dietro gli spezzi la schiena di quello che la doppia strada in salita è la scelta così poco banale se davvero ci pensi fra vita e morale dell’amore azzannato per non farlo fuggire di una madre e di un padre che hanno scelto di viziare il vizio svezzando la figlia di omini esaltati dai deliri di onnipotenza e rosi dal terrore di perdere il potere del faccendiere che teme di non poterlo più comperare il potere del pensiero aberrante che teme di non essere più parte della moda corrente - seviziatore stipendiato d’ogni atto di fede per ogni tempo per ogni continente. Segreti e segreti lucidi come farfalle di metallo incandescenti come primavere di mille gradi fondenti come rigurgiti dell’Universo così inutili così inopportuni ma anche segreti bruni di ciglia e dunque leggeri tramonti pizzichi indefiniti di colore e pare di profumo. Noi di minerale di elemento naturale di resurrezione inopportuna sostanza aliena alla ragione sconosciuta al corpo e al linguaggio nella trasformazione supposta delle essenze nell’ingenuità del pensabile nella volontà dell’immaginabile che si trasforma in pio desiderio e illusione della conoscenza della propria missione di speranza nella presunzione che tutto conduca ad un fine, ci nutriamo. E quindi siamo pronti a farci allegoria. Eccoci, elastici di questa terra: un metallo che s’ingemma di brina, s’annoda come un fonema battuto dalle intemperie e che una volta estratto si spaesa. Siamo il segreto stanato della terra. Alla stagione ciò è indifferente. Si stiracchia e sbadiglia questa distensione dell’animo. A chi è morto ammazzato Tu pensa alla corazza di un angelo come alla casa di una tartaruga ai motivi delle ali come a una decorazione di nube sopra a un crocefisso. Pensa a una lancia come al raggio di sole che bacia il Sebastiano, alle suggestioni recondite dei simboli nei dipinti come a un’apoteosi di evidenze. Pensa alle eresie come penseresti alla religione. Nella frattaglia nel sangue rubino scruta la nuvolaglia tra il cuore di un Caravaggio. Pensa al delitto come a una bottiglia d’acqua-santa e versala piano sulla purezza del taglio, sull’effluvio del marcio e così, goccia a goccia, diffusamente contamina... E dunque... ...Pensa a come sarebbe essere la confusione che ama la regola, l’istanza che si dimentica di farsi pressione, il rovente punzone che diviene canto del torturato, pensa se ognuno avesse amato il mondo per quello che appare, come l’amante che ama e non vuol possedere. Pensa di possedere il segreto delle maree senza doverle per questo soggiogare, essere forma che non indottrina, entità che non dispone, essere conoscenza senza erudizione, senza volontà d’ammaestrare, non direttive né decreti, l’ortografia circolare di un tutto che non comprende più limitazioni. Alla tua morte prova a pensare con tenerezza come al giorno della tua nascita e cullati, accarezzati. Fosse solitarie, fosse comuni, fosse aeree di fumo, disegni di anelli nuziali come commozioni di una sigaretta. Fai della tua zana un mausoleo del mausoleo una cuna e sognati potente, morbido, bussola della gloria, sentimento augusto, ramata discendenza di stella cadente nel cielo d’agosto. Permanente Ma non mi rompere gli anni con i tuoi anni con la tua disallegria e non mi rompere le palle con i tuoi anni disallegri la nevrastenia della cervice di bestia che s’arrabatta da sola si calpesta senza conoscere dell’urlo la permanente potenza impotente della protesta della disperazione che crede che crea virtuosa s’arresta vilmente riprende. Non mi rompere la matita lasciami al lavoro solitario rispetta il bisogno primario di solitudine e il desiderio contrario di un tuffo nella folla il bisogno primario così umano della vicinanza al sudore di corpi alle risate dei teschi alle illusioni dei vivi. E non mi rompere più ma calpesta se le incontri, le mie ossa schioccanti: sempre avrei voluto far musica e ora posso petulante, stridula schioccare sibilante e poi velare criccare e ciò credi davvero mi delizia Panorama 35 Letture Da quanto mi manchi Consumo il divano e le ore Da quanto ti penso non penso Mi gonfio le occhiaie Sprofondo nel net Mi drogo di televisione E traccio arabeschi sentenze barocche Ma sento soltanto che sanno Scomposte crear confusione Poi torno a impilare il sedere su un cubo - braciere di poliuretano Mi piace da sempre portare un bicchiere ricolmo Che come per caso risulti appoggiarsi da solo In punta di labbra tenuto con mano Leggera e vezzosa Così mi concedo una tregua E quindi dai rami dai buchi risorgo Riprendo l’attesa E quella cosa che tu sai di essere e bene Mi manca da vomitare Quel prefisso para che accanto alla noia Entrandomi in bocca magnanimo fiore Senza rumore atroce si scorolla Pinguente (veduta) Ritorna amaro come di oleandro sotto forma di morbo dissacrato bianco clangore dal riso sguaiato. In questo monte d’ossa da ipermarket il ricordo d’un male, d’una guerra della furia rapace d’una terra che rode i propri figli, ingoia il tempo prima che passi, che si rappresenti prima che venga, che si concepisca e che capisca d’esser ciò che passa. Mi viene da estrarre a sorte una tibia come fossi velina ad un concorso: “Al fortunato toccherà ballare e potrà al fine dirmi la sua storia”! Sarà che delle cronache del tempo è forse solo l’acqua la memoria la terra si ribella, si fa muro ingoiando ogni cosa desolata e golosa, una risata tremenda come di madre, come di lupa mi dice “ciao” adesso ch’è un buongiorno. Recuperare i ricordi non serve: in questi luoghi licet il silenzio osso della terra nel dolore seminato e nel dolore fiorito. 36 Panorama Turista a Birkenau Oh donnina bassetta e peregrina perché ti fa orrore entrare in questi luoghi perché non t’appresti a varcare la soglia che come noi in tanti e tanti e tanti lo sai, hanno varcato? Ma perché resti ad aspettare fuori? Ti prendi una Coca - mi dici - piuttosto dietetica e respiri aria, l’aria polacca più pura e a casa tua, terrazza con vista cucini e ti scaldi soltanto a corrente del gas hai paura e già si sa che Natale Esce di casa sanguinando scopertamente di poesia vestito come in un modulo, come in un canto i vaticini di latte si moltiplicano intonando gennaio e le attese del calendario si sfogliano. Lo sgomento nel cielo è una vampa codardo presagio di ghiaccio. L’Acqua della Terra si fa amica perché di un cucciolo ha la memoria. Egli è nativo di questi luoghi: ”Dell’Universo”, dice, “riconosco le strade gli scorci celesti di paesaggio”. È un gesto il ticchettio del tempo il corpo che s’inarca persegue nel suo moto l’attimo della Resurrezione Hai scritto poesie? Tu hai scritto poesie? Per me eri l’afasia, il ricordo costante che ci si porta dietro nella tomba. Eri il non ritorno accoccolato nella memoria. Ma tu hai scritto poesie con quella tua facciotta tonda, con quella tua natura irrequieta posseduta dall’adolescenza che già si preparava a distendersi a dismisura con le sue appendici sulla tua vita futura. Ma tu scrivevi poesie e io non lo sapevo e mi parli ora usando la lingua furente dei vivi, aprendoti un varco nelle variabili del tempo, fermando il momento, respirando e quindi riprendendo... Letture Paesaggi Ho incontrato un alieno Lo so, non hai voglia di ascoltare i miei predicozzi sulla Natura. Mi chiedi di fare domande, di offrirti risposte, le pretendi scritte col sangue. Le visioni appaiate da rime spaiate che cantano l’esigenza di guardare alla Terra come alla fonte, come ad un fine, non placano, spieghi, la tua furibonda fame di presente, il senso d’orrore per ciò ch’è passato. L’orrore alla furia si oppone, la furia all’orrore e insieme rotolando, il tuo corpo percuotono. Non concepito, il dopo si scancella. Vorrei che le frange dei miei paesaggi fossero per te come il serpente che dopo aver morso il saggio gli leccò le ferite. Non sa ciò che su questa terra passa farti male. L’essenza di uno scoglio è così stabile e così mutevole da poter diventare il prolungamento della tua mano, l’amo della tua lingua, il crampo del tuo sgomento. Quietati dunque perché tu stesso sei ciò che passa, uno scorcio di paesaggio, la terra che all’improvviso si apre e t’inghiotte, così facendo se stessa reclama. Ho incontrato un alieno: aveva cinque dita in una mano e cinque nell’altra. Le unghie dei pollici erano leggermente scheggiate e tra le iridi azzurre nuotavano piccole stelline d’ambra in grado di ipnotizzare donne, iguane e spazzini. Sembrava essere umano in tutto e per tutto, dai peli scuri che spuntavano impavidi dai buchi del naso, alle piante dei piedi che apparivano piatte, in verità. Partivamo da punti vicini e c’incontravamo ogni volta scambiandoci i segreti di viaggi organizzati, di certe disastrose tournée in città di provincia, in locali fumosi e teatri mezzi vuoti, freddi oltre ogni dire. E mezze verità ci dicevamo, sempre, senza mentire. Faticavamo a non entrare l’uno nel discorso dell’altro non riuscendo ad ascoltare e a parlare nello stesso momento. Quel giorno qualsiasi che prese la sua astronave per volarsene in chissà quale luogo dell’ipermente, io stappai una bottiglia di spumante sloveno comperato al discount e mi accorsi di non avere alcuna domanda da fare alla creatura, né gli chiesi: “come essere il tuo pianeta, come provare emozioni voi alieni, come salutare?” Rivolsi il mio sguardo un po’ perso al gatto che mi fissava accoccolato sul divano. Questo strizzò piano gli occhi enormi e fece frullare leggermente quei suoi baffi da filosofo. Non scrivete più libri Vi prego non scrivete più libri: si accatastano nella mia casa come scheletri in un ossario si affastellano nella mia testa come mostri dei sogni più bui. Non intrecciate pensieri non raccontate storie memorie, intenzioni didascalie alle interiora trascorse. Non scrivete più libri non raccontate storie sulla perdita della memoria e il recupero della coscienza. Datemi dell’essenza di vuoto da conservare, qui - ora come una scatola di Pandora Coro greco Hai preso da qualche tempo a strappare la carta a morsi e ti mangi le mie poesie. Non hai rispetto per chi scrive e ti nutre. Tu che guardi il mondo dalla finestra, vorresti come me, essere la trasformazione eccentrica di un coro greco che, potenza della rappresentazione, assume la forma del ventaglio di un artista da strada. Vorresti diventare un magico ventaglio che sa commentare le tragedie umane senza mai mostrare quella noiosa, eterna meraviglia, quello stupore ingenuo di chi scrive e guarda il mondo dalla finestra. Anche tu, ci scommetto, vorresti essere il ventaglio di un giocoliere impegnato in un discreto “ti vedo e non ti vedo” che si muove impassibile col leggero frullio di un baffo di gatto. Tre deprecabili esempi di «confessional poetry» con gatto Istruzioni per il gatto Pino Sarà meglio che tu non esca: il mondo umano è pericoloso, quello animale, crudele. Sarà meglio che rimanga in casa, accomodato fra divano e poltrona o sulle spalle della tua padrona; che ti faccia castrare, che dimentichi... sarà meglio che te ne resti nell’Ade delle passioni, sotterrando timori e coglioni, barattando sette vite sottomesse con le regolari tue resurrezioni. Farai bene a cambiare la rampante voluttà ferina, con la pappa in lattina. Panorama 37 Libri Secondo romanzo della trilogia The Century di Ken Follett appena uscito Un epico... inverno del mondo C inque famiglie legate l’una all’altra il cui destino si compie durante la metà del ventesimo secolo in un mondo funestato dalle dittature e dalla guerra. Berlino nel 1933 è in subbuglio. L’undicenne Carla von Ulrich, figlia di Lady Maud Fitzherbert, cerca con tutte le forze di comprendere le tensioni che stanno lacerando la sua famiglia, nei giorni in cui Hitler inizia l’inesorabile ascesa al potere. In questi tempi tumultuosi fanno la loro comparsa sulla scena Ethel Leckwith, la formidabile amica di Lady Maud ed ex membro del Parlamento inglese, e suo figlio Lloyd, che presto sperimenterà sulla propria pelle la brutalità nazista. Lloyd entra in contatto con un gruppo di tedeschi decisi a opporsi a Hitler, ma avranno davvero il coraggio di tradire il loro paese? Volodja Peškov, destinato a un brillante futuro nei servizi segreti sovietici, li sta tenendo sotto stretto controllo. Sull’altra sponda dell’Atlantico i due fratelli americani Woody e Chuck Dewar, ognuno con un suo segreto, reagiscono a questi momenti drammatici prendendo strade diverse, uno in politica a Washington, l’altro sul fronte del Pacifico. A Cambridge, Lloyd è irresistibilmente attratto dalla cugina di Volodja, Daisy Peškov, 38 Panorama brillante frequentatrice dell’alta società, che rappresenta tutto ciò che la famiglia del ragazzo disprezza. Lei però gli preferisce l’aristocratico Boy Fitzherbert, pilota amatoriale, amante delle feste e membro di spicco dell’Unione britannica dei fascisti. A Berlino Carla s’innamora perdutamente di Werner Franck, erede di una ricca famiglia, anche lui con un suo segreto. Ma il destino lì metterà a dura prova, così come le vite e le speranze di tanti altri verranno annientate dalla più grande e crudele guerra nella storia dell’umanità, che si scatenerà con violenza da Londra a Berlino, dalla Spagna a Mosca, da Pearl Harbor a Hiroshima, dalle residenze private alla polvere e al sangue delle battaglie che hanno segnato l’intero secolo. L’inverno del mondo, secondo romanzo della trilogia “The Century”, prende le mosse da dove si era chiuso il primo libro, ritrovando i personaggi de “La caduta dei giganti”, ma soprattutto i loro figli. Come sempre Ken Follett eccelle da grande e indi- La biografia K en Follett è nato a Cardiff nel 1949 e vive a Londra. Laureatosi in filosofia all’University College di Londra, ha lavorato come giornalista. La sua straordinaria carriera di scrittore inizia nel 1978, con l’exploit di La cruna dell’Ago. Un successo mondiale hanno ottenuto anche i successivi romanzi (tutti editi da Mondadori): Triplo, Il codice Rebecca, L’uomo di Pietroburgo, Sulle ali delle aquile, Un letto di leoni, I pilastri della terra, Notte sull’acqua, Una fortuna pericolosa, Un luogo chiamato libertà, Il terzo gemello, Il martello dell’Eden, Codice a zero, Le gazze ladre, Il volo del calabrone, Nel bianco e Mondo senza fine. scusso maestro dell’intrattenimento nell’ambientazione storica impeccabile, nella narrazione fluida e accattivante, nel ritmo veloce e nella descrizione di personaggi davvero indimenticabili, dando vita a un’opera magnifica, epica e avvincente, che tra conflitto mondiale e drammi personali ci trasporta in un mondo che pensavamo di conoscere, ma che ora non ci sembrerà mai più lo stesso.● Novità in libreria Dan Roam SUL RETRO DEL TOVAGLIOLO Come risolvere problemi e vendere idee con le immagini Un modo completamente diverso di vedere business. Chiunque può risolvere un problema aziendale e vendere un’idea. Dan Roam offre la chiave per meglio comprendere e farsi comprendere: un metodo innovativo per affrontare e risolvere i problemi e persuadere gli altri. saggio sono quelli densi di eventi che vanno dal 70 al 58 a.C., in cui Cesare, prima di partire per la Gal- Von Hardesty EROI DEL CIELO Dai pionieri del volo ai viaggi spaziali Il cielo è sempre stato il teatro di imprese eroiche individuali: da quando i fratelli Wright controllarono per primi il volo su un mezzo motorizzato, ogni aviatore ha avuto una sola aspirazione: andare più veloce, più in alto e sempre più lontano. Da Lindbergh, che esaltò il mondo con la prima traversata dell’Atlantico senza scalo, ad Amy Johnson, che volò in solitaria dall’Inghilterra all’Austra- Neil MacGregor LA STORIA DEL MONDO IN 100 OGGETTI Se il tentativo di restituire un periodo o un personaggio storico attraverso una mostra ha sempre qualcosa dell’azzardo, per l’idea di raccontare la storia della civiltà umana sulla Terra attraverso 100 oggetti - da una pietra da taglio abbandonata in Tanzania due milioni di anni fa a una carta di credito islamica emessa nel 2009 - mancano le definizioni. Eppure Neil MacGregor non solo ha raccolto la sfida, ma le ha aggiunto un ulteriore gradiente di difficoltà: ha cioè pensato di descrivere i 100 oggetti, tutti provenienti dalle collezioni del British, alla radio, in altrettante puntate da un quarto d’ora l’una trasmesse tre anni fa dalla BBC. E, per farlo, ha sostituito alle immagini un numero equivalente di storie, raccontate con la sua voce, ma anche lasciando la parola a una folla di studiosi, esperti, artisti. Risultato? Un successo enorme che ha incoraggiato MacGregor a trasformare tutto il materiale trasmesso in ciò che, in filigrana, era già: questo libro. Che adesso si può aprire come un’enciclopedia, leggere come un romanzo, o visitare lia; dall’epocale discesa sulla Luna degli astronauti dell’Apollo 11 all’incredibile impresa del Voyager fino al record del Breitling Orbiter, il primo pallone a circumnavigare il globo non stop: l’entusiasmante epopea del volo attraverso cinque storie appassionanti. Con itinerari, mappe e poster giganti, per rivivere le imprese di come una Wunderkammer - un personalissimo museo portatile da percorrere una stanza dopo l’altra. Editore Adelphi Pagine 706. Prezzo 49,00 euro lia, s’impone gradualmente sull’insidiosa scena politica e prepara la sua irresistibile ascesa. Editore BUR Pagine 680. Prezzo 9,90 euro Esiste un sistema rapido ed efficace di analizzare le informazioni che ci circondano, di considerare i problemi che ci assillano? È possibile comprendere concetti complessi in modo intuitivo e comunicarli agli altri in maniera semplice, diretta, persuasiva? “Sul retro del tovagliolo” ci offre una soluzione disarmante: si possono analizzare dati, sviluppare idee e formulare strategie con pochi tratti di matita, che possono risultare molto più potenti di una presentazione in PowerPoint. Un libro che stimola riflessioni, sollecita nuove prospettive e visioni attraverso schizzi e scarabocchi che tutti sono in grado di realizzare. Editore A. Vallardi Pagine 256. Prezzo 14,50 euro Colleen McCulloug LE DONNE DI CESARE Geniale uomo di stato, eroico condottiero, splendido oratore ma anche dissipatore, volubile, gran seduttore, calcolatore astuto e cinico: questo il ritratto ricco di luci e ombre di Giulio Cesare, primo e unico dittatore a vita nella storia di Roma, suo padrone assoluto, al punto che dopo di lui “Cesare” divenne sinonimo di imperatore. Gli anni considerati nel piloti coraggiosi che, inseguendo un sogno, sfidarono i limiti del proprio tempo. Età di lettura: da 8 anni. Editore Touring Junior Pagine 64. Prezzo 14,50 euro Panorama 39 Italiani nel mondo Il missionario e volontario italiano ha contribuito al salvataggio dell’Amazzonia Dario Bossi, una vita per gli altri a cura di Marin Rogić S i chiama Dario Bossi il missionario e volontario originario della provincia di Varese che, negli ultimi mesi, ha contribuito al salvataggio di una parte molto estesa dell’Amazzonia, la grandissima foresta che caratterizza una buona parte del territorio di paesi come il Brasile. Seguendo l’esempio del suo compaesano Padre Daniele, morto di lebbrosi nel paese sudamericano nel 1917 durante una missione umanitaria, Bossi è partito proprio per il Brasile, “terra di conflitti generati da un forte sfruttamento che cancella il futuro” (citazione di Padre Bossi, ndr.) cinque anni fa, dopo sei passati con i giovani di Padova e altri quattro vissuti a San Paolo al fianco dei ragazzi di strada, quelli abbandonati non soltanto dai genitori, ma anche dalla società, perché considerati senza speranza, senza futuro. In un futuro migliore Padre Bossi ha sempre creduto, sin da giovane si è sempre battuto per i più deboli, per i più bisognosi. All’età di 20 anni ha deciso di intraprendere il viaggio più lungo della sua vita, un viaggio che continua ancora adesso e che lo ha visto intraprendere la strada del suo lontano predecessore. Arrivato in Brasile, si impegna da subito in attività di solidarietà, diventa uno dei coordinatori della rete “Justiça nos Trilhos” (Giustizia sui binari) che si stava mobilitando affinché non iniziassero i lavori per l’infrastruttura pesante che avrebbe turbato gli equilibri di una regione che già di per sé quotidianamente si ritrova ad affrontare innumerevoli problemi: si trattava di un sistema di binari ferroviari lungo alcune delle più importanti località minerarie e commerciali della zona, voluto dal colosso minerario Vale al quale un giudice, Ricardo Macieira, dopo i vari appelli della rete “Justiça nos Trilhos” e l’instancabile protesta di Padre Bossi, ha intimato di sospendere i lavori di ampliamento della linea di Caraiás, stabilendo che la porzione di territorio in questione non poteva essere rovinata dalla presenza di una struttura potenzialmente dannosa per l’ambiente, di grande estensione, il cui intento principale sarebbe stato quello di fornire agganci tra l’area mineraria del ferro della Vale e l’area portuale di Ponte de Madeira. Di grande estensione lo era certamente, si trattava infatti di un progetto che prevedeva 900 chilometri di ferrovia, dalle miniere di ferro dell’ azienda fino al porto di Saõ Luis, attraversando lo stato amazzonico del Parà. Come raccon- Padre Bossi ha contribuito al salvataggio di una parte molto estesa dell’Amazzonia 40 Panorama tato dal missionario al Corriere della Sera, si tratta di “un progetto da 28 miliardi di dollari che - spiega Padre Dario - con l’ apertura di nuove immense miniere e con l’ampliamento del porto, era stato fatto passare come un piccolo intervento che per questo può sfuggire alla valutazione di impatto ambientale e al consenso della popolazione”. Per dare l’idea di quanto “piccole” fossero quelle opere, il missionario aggiunge: “Oggi su questa linea viaggiano ogni giorno 24 treni da 330 vagoni; un domani, una volta raddoppiata la ferrovia, vorrebbero far transitare un convoglio ogni 25 minuti, 58 al giorno. E siccome ogni treno con il suo carico di ferro, inquinamento e rumore è lungo quattro chilometri e il suo passaggio dura cinque minuti, questo vuol dire sequestrare ogni giorno un quinto di vita alle persone che vivono lungo quei binari. Il giudice ha stabilito che il raddoppio potrebbe causare seri danni ad aree protette e allo stile di vita della tribù Awa Guaja in Amazzonia”. Inoltre, la concessione per l’avvio dei lavori era stata varata senza che venissero adottati tutti i procedimenti utili alla messa in sicurezza e alla verifica di sostenibilità dell’opera. La società ha annunciato che farà ricorso contro la sentenza. Ma intanto deve fermare i lavori. Ora è atteso un nuovo verdetto, quello di secondo grado. Davide, il missionario arrivato in Brasile da Varese, mosso e armato da una forte determinazione per affermare i prinicipi di verità e giustizia e con nel cuore l’arma più grande, quella della fede nel signore, si prepara alle prossime battaglie contro il gigante del ferro. In attesa degli sviluppi del processo, Padre Bossi si è preso fortemente a cuore le vicende della tribù degli Awa Guaja ed insieme all’associazione non governativa “Survival”, tre mesi fa ha lanciato una campagna umanitaria per difendere questa piccola tribù, diffondendo a mezzo stampa e internet bellissime immagini girate presso i loro gruppi Italiani nel mondo Connazionali in Patria e nel mondo X Convention degli italiani all’estero a Fondazione Filitalia International di Filadelfia (USA)-Distretto Italia guidata dal Governatore Daniele Marconcini ha partecipato con una numerosa delegazione alla 10ª Convention degli “Italiani in Patria e nel Mondo - 1° Incontro dei “Sanfratellani nel Mondo”, organizzata da Globe Italia International, da Filitalia International, dai Sanfratellani nel Mondo e da CabriniLand Heart in collaborazione con il Comune di San Fratello (Messina). Ideatori ed organizzatori dell’evento sono stati Pietro Paolo Podimani, presidente di Globe Italia International e membro del Direttivo nazionale di Filitalia International, e Francesco Buttà, Presidente del Chapter di Lodi e animatore dei Sanfratellani nel Mondo e di CabriniLand Heart di Lodi. Erano presenti Carlo Mazzanti, presidente del Chapter Filitalia International di Venezia, Stefania Schipani, in rappresentanza del Chapter di Roma e coordinatrice di Filitalia International in Calabria, Tony Currà, vice presidente del Chapter di Milano, Angelo Arangio Febbo, presidente del Chapter di Imperia, Sebastiano d’Angelo, membro del Direttivo nazionale di Filitalia International e direttore dei Ragusani nel Mondo. Nel corso della manifestazione Daniele Marconcini, Governatore del Distretto Italia della Fondazione Filitalia International di Filadelfia (USA), ha annunciato la nascita entro settembre di almeno dieci sedi di chapters in tutto il paese della Fondazione italo-americana, impegnata sin dalla sua nascita nel 1987 sui temi della difesa della lingua e della cultura italiana e dell’emigrazione. In qualità di vice presidente dell’Unaie (Unione nazionale Associazioni Immigrati ed Emigrati) Marconcini non ha mancato di manifestare la sua “forte preoccupazione sulle miopi politiche di disimpegno di molte regioni italiane sui temi della nuova emigrazione intellettuale e professionale delle giovani generazioni del nostro paese”, lanciando anche un allarme “sulla crisi dell’associazionismo degli italiani all’estero e sulla necessità di ripartire dai territori e dalle Comunità locali per fermare questa deriva sociale e morale sui temi dell’emigrazione”. Marconcini ha infine “chiamando a raccolta” i parlamentari eletti all’estero e il Consiglio Generale degli Italiani all’estero “per una più incisiva attività in collaborazione con il vero, grande Associazionismo regionale e provinciale degli italiani nel Mondo”. (aise) L Padre Dario Bossi che, pur mantenendo lo stile di vita tradizionale, non rifiutano il contatto col resto del mondo. In un’intervista al quotidiano cattolico on line “La perfetta letizia” ha dichiarato: “Si sollevano ogni giorno di più conflitti e impatti socioambientali (…) incidenti, riduzione dell’accesso alle fonti idriche, violenza in aumento nelle città, espulsione di famiglie e comunità per lasciare spazio ai cantieri e ad altre infrastrutture in vista dello sfruttamento di nuove miniere e massicce ondate migratorie. Tribù che da secoli abitano quei territori vengono costrette a lasciare la loro terra. La cacciata degli Awa Guaja rappresenterebbe una sconfitta per tutti, non lo permetteremo”. Oltretutto le foreste dell’Amazzonia rappresentano i polmoni del pianeta: preservarli è un problema di tutti, non solo degli Awa e delle altre tribù, è un problema che prevalica i confini sudamericani e che bussa alle porte di ogni paese. Questa volta il treno, per ora, è stato fermato, ma purtroppo il “treno” del profitto non si ferma, non conosce ostacoli e questa è una dura realtà del mondo in cui viviamo e davanti al quale tutti noi troppo spesso chiudiamo gli occhi. Scrive Padre Bossi nel suo blog (padredario. blogspot.com): “Quando potremo celebrare la dignità di questa gente, con la testa alta, senza paura né obbligo di fuggire? Quando finalmente, invece delle croci e delle ceneri di questa quaresima permanente, anche noi sperimenteremo la vertigine di chi può sognare e costruire la sua storia?”● Il comune di San Fratello in provincia di Messina Panorama 41 Made in Italy Alla grande kermesse, dal 27 al 30 settembre, presente per la prima volta l’Istria Gusti di frontiera a Gorizia a cura di Ardea Velikonja orizia si prepara a scoprire programmi e appuntamenti della più attesa manifestazione organizzata nel capoluogo isontino, capace di attirare 100 mila visitatori in una manciata di giornate. Fervono infatti i preparativi per la nona edizione di Gusti di frontiera, tradizionale kermesse che inaugurerà l’autunno goriziano il 27 settembre e si protrarrà fino al 30. New entry e rentrée Resta invariato il format della manifestazione, capace per originalità e varietà dell’offerta di attirare nel capoluogo isontino i palati più esigenti. «Sarà un’edizione ancor più ricca, con moltissime novità – spiega Ziberna, alla prima da gran cerimoniere del festival –. Estenderemo il percorso complessivo della manifestazione, abbracciando anche aree che fino a quest’anno erano state scarsamente utilizzate: penso a via Boccaccio e a via Diaz». Così, tra i chioschi di Gusti di frontiera farà per la prima volta capolino l’Istria, che con ogni probabilità darà vita a un asse all’insegna del Mare Adriatico con i produttori ittici di Grado, Trieste e Marano. Da registrare poi il ritorno della Spagna, già protagonista in piazza Sant’Antonio due anni fa: la delegazione iberica guiderà un’altra delle novità della kermesse, ovvero il “Borgo latino”, che accoglierà anche le specialità tipiche del Sudamerica. Confermata in massa, invece, la presenza delle nazioni che tanto successo hanno riscosso in passato: da quelli dell’area balcanica (Slovenia, Croazia, Serbia, Montenegro e Albania) alla Francia, dall’Austria alla Polonia. Il via giovedì 27. L’accensione di griglie e fornelli è fissata per le 18 di giovedì 27 settembre: il villaggio enogastronomico resterà aperto fino all’una. Venerdì e sabato gli stand saranno aperti dalle 10 all’una di notte, mentre nella giornata conclusiva il sipario sulla manifestazione cale- G 42 Panorama Le specialità regionali attirano circa 100 mila visitatori rà alle 23. Complessivamente sono giunte al Comune già 160 richieste di accredito per l’allestimento di stand nei quattro giorni dell’iniziativa: a questi si aggiungono altrettanti espositori, precettati direttamente dagli uffici municipali. Kermesse a costo zero «Gusti di frontiera costa complessivamente 150 mila euro, in larga parte ricavati dai contributi della Regione per il turismo – argomenta Ziberna –. Il nostro obiettivo è spendere meno della passata edizione, arrivando a pareggiare entrate e uscite». I gusti e gli aromi saranno esaltati dall’accompagnamento degli eccellenti vini della zona, i DOC del Collio e dell’Isonzo, unanimemente riconosciuti fra i migliori d’Italia.● Nel 2011 le spedizioni di spu Le bollicine ita U n’analisi dei 10 marchi di vino spumante più venduti negli USA conferma che le bollicine italiane continuano a dominare questo mercato in espansione. È quanto rilevato dall’Ufficio Ice di New York. Nel 2011, le spedizioni di spumanti verso gli Stati Uniti sono aumentate del 19.7 p.c., raggiungendo 7,65 milioni di casse. Secondo Impact Databank, 5 delle 10 etichette più importate negli USA sono italiane, di cui 4, Verdi, Sparkletini, Mionetto e Lunetta, hanno registrato un forte incremento nel 2011. Made in Italy Dal 29 settembre all’8 ottobre a Udinefiere il grande appuntamento Le soluzioni per sentirsi... a casa L e 59 edizioni, esperienza e qualità da vendere, prodotti e materiali da toccare con mano, soluzioni a vista, ampia scelta in un contesto espositivo stimolante, ricco di stile e di novità, aziende e professionisti del settore pronti ad offrire al pubblico risposte su misura che oggi diventano ancora più importanti e ricercate per ottimizzare al massimo tempo, risorse e spazi: questo e tanto altro ancora è Casa Moderna che si svolgerà dal 29 settembre all’8 ottobre. Appuntamento alla Fiera di Udine con lo stile e le produzioni di circa 500 espositori tra diretti e indiretti che presentano i migliori marchi nazionali e internazionali. Il percorso espositivo di “Casa Moderna” riguarda non solo l’area living, i complementi d’arredo, gli accessori e le soluzioni di alto design, ma esplora l’arredo bagno, l’arredo per esterno e giardino soffermandosi sui settori dei serramenti, rivestimenti e dell’ impiantistica. Una fiera importante come questa, che è punto di riferimento per il Nord Est, non tralascia l’attualità e la richiesta sempre più forte di eco-sostenibilità: continua infatti a crescere dentro “Casa Moderna” la sezione Casa Biologica con un intero padiglione, il 7, dedicato alle aziende, ai prodotti, ai professionisti e ai progetti del settore della bioedilizia e della bioarchitettura. L’attenzione di Udine e Gorizia Fiere per l’ambiente e per l’energia da fonti rinnovabili non si traduce solo nelle manifestazioni fieristiche organizzate, ma anche nella recente riattivazione della centralina idroelettrica sita dentro il quartiere e che già da alcuni mesi produce energia elettrica sfruttando il salto del corso d’acqua che attraversa e caratterizza il polo espositivo friulano. Il quartiere fieristico, facilmen- te raggiungibile dagli sbocchi autostradali e vicinissimo ad una città su misura e da visitare come Udine, si sviluppa infatti nel contesto naturalistico del Parco del Cormôr, cornice verde in sintonia con la parte eco-friendly di “Casa Moderna” e con i prossimi sviluppi del nuovo Orto Botanico proprio nell’area della Fiera. Visitare “Casa Moderna” significa anche informazione, aggiornamento, intrattenimento, incontrare ospiti e personaggi conosciuti, partecipare a convegni e incontri tecnici, a talk aperti sulle dinamiche dell’arredo/design, inteso come ricerca, innovazione, tecnologia, ma anche come linguaggio della piacevolezza e della bellezza.● manti verso l’America sono aumentate del 19.7 p.c., ovvero7,65 milioni di casse liane continuano a dominare il mercato USA Solo Martini e Rossi, la seconda etichetta italiana più importata, ha subito una flessione del 25 p.c. dal 2007. Il grande successo del Verdi e Sparkletini, importati da Carriage House Imports, è dovuto a due fattori: prezzo vantaggioso e il gusto americano per i vini aromatizzati, in questo caso, al gusto di mela verde, di pesca e di lampone. La quantità importata dei due marchi è quasi raddoppiata dal 2007, superando 1,5 milioni di casse nel 2011. Il Prosecco Mionetto (al n.8) e Lunetta (al n.10), che hanno un prezzo di vendita superiore, continuano a cre- scere sul mercato USA. Nel 2011, le vendite del Lunetta sono aumentate quasi del 50 p.c. raggiungendo le 150.000 casse, mentre il Mionetto ha registrato una crescita del 21 p.c. e ha venduto 155.000 casse. Alla crescita degli spumanti italiani, si contrappone il declino dei 3 più venduti CAVA spagnoli. L’etichetta Freixnet (al n. 3) ha subito un declino per tre anni di seguito (del 19 p.c. dal 2008). Gli spumanti Jaume Segura Viudas (al n.9), fissati ad un prezzo leggermente inferiore, hanno aggiunto circa 20.000 casse all’anno nel corso degli anni 2005-2010, tuttavia la crescita è notevolmente rallentata nel 2011. Il concorrente Serra Cristalino (al n. 5) ha seguito una tendenza simile. Dal 2006 al 2010, il volume è cresciuto dal 70 p.c. ma un calo del 8.5 p.c. nel 2011 ha concluso la sua ripresa. Nel frattempo le spedizioni di Champagne verso gli USA sono state cospicue negli ultimi due anni (+14 p.c. in volume per il 2011) caratterizzate però da un incremento relativamente basso dei due principali marchi, Moet & Chandon e Veuve Clicquot, alla quarta e settima posizione rispettivamente. (aise) Panorama 43 Musica In anteprima il programma del 56.esimo Festival della creatività Voce, teatro e musica un terreno di ricer a cura di Ardea Velikonja e le percussioni sono affrancate da un ruolo di marginalità proprio dalla musica contemporanea fin dal primo ‘900 (Ionisation di Varèse ne è il manifesto), anche la chitarra, tenuta tradizionalmente ai margini nell’area classica mentre conquistava centralità nei territori di ambito popolare, viene recuperata dalla musica colta come elemento di rottura con la tradizione. Ecco che il ventottenne Alberto Mesirca sa trarre con maestria tutta la complessità e la stratificazione sonora di questo strumento, restituendone un’immagine svincolata dagli abituali riferimenti idiomatici. In scena al Teatro alle Tese l’11 ottobre (ore 20.30), Alberto Mesirca, che al suo attivo ha concerti al Concertgebouw di Amsterdam, all’Auditorium di Valencia e alla Barocksaal di Vienna, aprirà il concerto con la prima italiana di Lassan szállj és hosszan énekelj, haldokló hattyúm, S Il compositore dell’opera di teatro musicale Giovanni Bertelli szép emlékezet! (“Fly slowly and sing for a long time my dying swan, my beautiful memory”, da Sándor Petofi), scritto espressamente per chitarra sola da György Kurtág, fonte di tanti ripensamenti e infine dato alle stampe in questo stesso anno. Sempre per chitarra sola e in prima italiana verrà eseguito Priapo Assiderato di Claudio Ambrosini, mentre trascritto dallo stesso interprete un altro pezzo di Kurtág, Splinter, 44 Panorama dai Cinque Merrycate, e Addio a Trachis II di Sciarrino, trascritto da Maurizio Pisati. A conferma del rapporto speciale che lega un autore al suo interprete, Andrew Zolinsky, che ha accompagnato come solista le maggiori orchestre di area anglosassone, dalla London Sinfonietta alla BBC, ha costituito un binomio inscindibile con Unsuk Chin, figura consolidata del panorama internazionale, riservandosi tutte le prime esecuzioni della letteratura pianistica fino a oggi composta dall’autrice coreana, da Londra a Parigi e ora anche a Venezia. Fiore all’occhiello del concerto, il 13 ottobre nella Sala delle Colonne (ore 15.00), sarà infatti la prima esecuzione italiana dell’intero ciclo di Six Etudes di Unsuk Chin. Il concerto prevede inoltre tre prime italiane di James Dillon e James Clarke la cui musica è spesso associata alla cosiddetta “neo complessità”, rispettivamente con The Book of Elements e Untitled3 e Island; inoltre i Klavierstucke V e VII, capitoli di forma variabile del famoso ciclo di Stockhausen e, infine, la Seconda sonata di Sciarrino. Alla sua prima esibizione in Italia, Andrew Zolinsky sarà protagonista anche del concerto che concluderà il Festival il 13 ottobre alle 23.00 nella Sala delle Colonne: in programma For Bunita Marcus di Morton Feldman, uno dei più bei pezzi per pianoforte dell’ultimo periodo di Feldman, detto dei “Long Works”, quando il compositore americano comincia a scrivere pezzi dilatati nel tempo – questo dura circa 75 minuti – ma riducendo ai minimi termini la densità del materiale: infinitesimali e scarsissime cellule germinali disseminate su lunghi periodi temporali. Una rarefazione incantatoria che, come è stato scritto, penetra la realtà sensuale dei suoni ed è il segno distintivo di questo inimitabile autore (Bob Gilmore). Un contrabbasso per otto In pochissimo tempo, dopo il debutto all’Auditorio Nacional di Madrid nel marzo 2010, Ludus Gravis, Il 13 ottobre ci sarà un omaggio a Stefano Scodanibbio, prematuramente scomparso lo scorso gennaio “la prima e unica formazione di contrabbassi al mondo” (Helmut Failoni), fondata da Stefano Scodanibbio e Daniele Roccato, ha avuto un’eco enorme. D’altronde il nome di Stefano Scodanibbio è legato alla rinascita del contrabbasso negli anni ’80 e ’90, quando questo strumento, con la sua ricchezza di armonici che lo fa suonare come un’intera orchestra, era isolato rispetto alla centralità degli altri strumenti ad arco. Racconta Terry Riley, di cui Scodanibbio realizzò una strepitosa versione di In C per ensemble di contrabbassi: “Da lontano riuscivo a sentire i suoni di corni francesi, tromboni, archi e ottoni tutti fusi insieme in un bellissimo ensemble modale. (…) Rimasi stupito, entrando nella galleria, di trovare Stefano da solo che suonava il suo contrabbasso”. La biografia di questo eccelso strumentista e compositore non fa che confermare la testimonianza di Riley: a Roma, nel 1987, Scodanibbio, destinatario di tante partiture scritte per lui da Bussotti, Donatoni, Estrada, Ferneyhough, Frith, Globokar, Sciarrino, Xenakis, ha tenuto una maratona di 4 ore non-stop suonando 28 brani per contrabbasso solo di 25 autori. Scodanibbio è stato a lungo collaboratore di Giacinto Scelsi e di Luigi Nono, che gli ha dedicato arco mobile à la Stefano Scodanibbio nella partitura del Prometeo, ma ha collaborato anche Musica contemporanea che si terrà a Venezia ca dalle infinite possibilità con artisti come il coreografo Virgilio Sieni, il regista Rodrigo García, il poeta Edoardo Sanguineti. Il concerto di Ludus Gravis, al Teatro Piccolo Arsenale il 13 ottobre (ore 18.00), è anche un omaggio a Stefano Scodanibbio, prematuramente scomparso lo scorso gennaio, con tre brani della sua ampia produzione: Ottetto, in prima esecuzione assoluta, l’assolo Due pezzi brillanti e Alisei. Accanto, Bajo el vulcano di Julio Estrada, compositore messicano di origine spagnola, compagno di strada delle più recenti avventure musicali di Scodanibbio, che proprio il Messico aveva eletto a dimora dei suoi ultimi mesi. A Tribute to L’esercizio della memoria non è facile retorica, ma un modo per riannodare i fili con la storia recente, troppo poco frequentata dai programmi concertistici, e creare un gioco di rimandi con gli autori di altre generazioni, moltiplicando i significati e dando nuovo senso alle opere in programma. Dopo Pierre Boulez, Leone d’oro alla carriera, dedicatario del concerto inaugurale, il Festival rende omaggio agli 80 anni di un compositore e intellettuale della musica come Giacomo Manzoni, anch’egli Leone d’oro alla carriera nel 2007. A Manzoni è dedicato il concerto del 12 ottobre al Teatro Piccolo Arsenale (ore 18.00) con l’ensemble Risognanze di Tito Ceccherini, acuto interprete di musica del nostro tempo, ma anche di tanti titoli operistici e di musica antica che lo hanno portato su palcoscenici prestigiosi. Ceccherini impagina il concerto affiancando alle opere del Maestro, con la prima esecuzione assoluta di Per questo, Alla Terra, Opus 75, Liriche di Élouard e Frase 2b, due novità assolute di Giovanni Verrando e Alessandro Melchiorre, entrambi intenti a sviluppare la ricerca e l’integrazione tra musica ed elettronica. Nel centenario della nascita, il nome di John Cage ricorre lungo il Festival con i tanti brani in programma: eseguiti da Simone Beneventi, la Mitteleuropa Orchestra, Irvine Arditti, Ciro Longobardi, oltre ad ispirare l’intero concerto “Out of a Landscape”. Alla figura di Luciano Chailly, che ha attraversato 50 anni della nostra storia culturale dando un contributo determinante, compositore, direttore d’orchestra, alla testa delle maggiori istituzioni musicali (dal Teatro alla Scala all’Arena di Verona, dal Carlo Felice di Genova all’Orchestra Rai di Torino), pedagogo appassionato, è dedicato un concerto, a dieci anni dalla sua scomparsa, il 10 ottobre nella Sala Concerti del Conservatorio di Venezia (ore 15.00). Protagonisti saranno i giovani musicisti del Conservatorio “G. Verdi” di Milano e dello stesso Conservatorio “B. Marcello” di Venezia. In tema di ricorrenze, può essere utile ricordare che In C, considerato il manifesto del minimalismo americano, compie 50 anni, e il Festival ne celebra l’anniversario con una esecuzione in tandem dell’ Ex Novo Ensemble e Alter Ego. La voce e il teatro musicale Voce, teatro e musica è un terreno di ricerca dalle infinite possibilità e dalla forte carica immaginativa e comunicativa: la molteplicità di elementi in gioco, gesto parola drammaturgia suono immagine, può dar vita ad un concerto scenico, un melologo, una micro-opera, teatro strumentale, performance, art song, sprechoper. Su questo versante la Biennale si è annualmente impegnata con Musik der Jahrhunderte di Stoccarda per produrre nuove opere sperimentali da camera. Quest’anno, saranno due trentenni, Francesca Verunelli, già vincitrice del Leone d’argento alla Biennale Musica 2009, e Giovanni Bertelli a cimentarsi, in separata sede, in quella che è la loro prima opera di teatro musicale il 10 ottobre al Teatro alle Tese (ore 20.30). Serial Sevens di Francesca Verunelli si ispira ai grovigli oscuri della memoria, riferendosi, nel titolo, ad un vero test clinico per valutare il grado di memoria e di concentrazione, ma anche alle 7 voci degli interpreti e ai testi, tutti Il giovane chitarrista Alberto Mesirca anonimi, tratti da autentiche conversazioni tra dottori e pazienti, che aprono spazi a un mondo non detto; AMGD, ovvero “aesthetica more geometrico demonstrata”, ma anche anagramma con cui i musicisti di qualche secolo fa siglavano i loro lavori e che significava “ad maiorem dei gloriam”, è costruito con una stessa catena di azioni – ispirata a un processo statistico noto come “catena di Markov” - ripetuta cinque volte, ogni volta subendo variazioni diverse. Sarà interessante anche la lettura registica, che per entrambi è opera della finlandese Kristiina Helin, a lungo alla scuola di Jerzy Grotowski e di Eugenio Barba. Allo strumento vocale, alla sua evoluzione e ai suoi sviluppi è poi dedicato un concerto l’11 ottobre al Teatro Piccolo Arsenale (ore 18.00) con l’insostituibile complesso dei Neue Vocalsolisten Stuttgart, dal 1984 alfiere prestigioso della nuova musica. Oltre all’impegno nelle opere di Francesca Verunelli e Giovanni Bertelli, i cantanti dell’ensemble di Stoccarda impaginano un concerto in cui si nota la presenza di Elliott Sharp, un eretico della scena sperimentale newyorchese, con il suo ultimo pezzo, Turing Test per 6 voci e clarinetto in prima italiana. Accanto novità assolute di Bernhard Gander, autore di Deathtongue, Johannes Schöllhorn con C - Vier Etüden, Yannis Kryakides e Oscar Bianchi.● (3-continua) Panorama 45 Sport Il dopo-Olimpiadi: polemiche con Carl Lewis e proiezioni sui tempi che il giamaica Bolt arriverà a 9.40, calcio e cricket a cura di Bruno Bontempo A vere il mondo ai propri piedi a soli 27 anni, dopo aver conquistato medaglie e record olimpici come se piovesse. Eppure al “marziano” Usain Bolt tutto questo sembra già non essere sufficiente. Il campione giamaicano, protagonista alle Olimpiadi di Londra con il tris di medaglie che ha bissato quelle ottenute quattro anni fa a Pechino, potrebbe scioccare il mondo. Questa volta, non per le imprese in pista, bensì per una nuova avventura che lo stesso Bolt si è detto curioso di intraprendere. La passione per il calcio dell’atleta nato a Trelawny potrebbe spingerlo, almeno provvisoriamente, lontano dallo sport che lo ha reso celebre. Dopo essersi offerto proprio durante le Olimpiadi al Manchester United, Bolt è tornato sull’ipotesi, lasciando intendere di non scherzare affatto: “Non stavo assolutamente scherzando. Non mi cimenterei in un’avventura del genere se non fossi sicuro di esserne in grado. Con la mia velocità potrei fare la differenza, e in ogni caso so anche giocare a calcio”. Sarà, ma a furia di scherzare un’offerta extra-atletica a Bolt è arrivata per davvero. Non dal Manchester United, che a lui per il momento ha preferito andare sul sicuro con Van Persie, e non dal mondo del calcio. Bensì dai Twenty20, squadra di cricket del campionato australiano. Un’idea che non sarebbe in realtà inedita per il giamaicano, che da piccolo ha praticato questo sport nella categoria juniores. Il mondo sportivo attende dunque con ansia di scoprire quanto di vero ci sia nelle intenzioni di Bolt. Ma una cosa è certa: quando il giamaicano afferma di non avere intenzione di scherzare, c’è decisamente da credergli. Due «figli del vento» Non c’è storia, perché non ci sarà mai la sfida. Non in pista, non sui blocchi. È come la partita mai giocata tra Pelé e Maradona: due miti, paragone infinito, ma sempre palla al centro. Nella notte in cui Usain Bolt è diventato 46 Panorama Il grande sprinter giamaicano è soprannominato Lightning Bolt (fulmine) “leggenda umana” per sua stessa ammissione, perché a nessuno era riuscita prima l’impresa del tris 100-200-4x100 in due Olimpiadi, la scia dorata fatta di show, flessioni, baci e saette si è intorbidita dei veleni a distanza con l’altro grande della storia della velocità: era stato Carl Lewis, quattro ori olimpici consecutivi nel lungo e una carriera infinita di successi anche nelle due gare della velocità, a innescare lo start della polemica. “Mi chiedo come si possa correre un anno in 10.3 e l’anno successivo in 9.69” l’insinuazione maligna del figlio del vento nei confronti dello sprinter giamaicano. Quanto basta per scatenare la guerra. E Bolt, forte del risultato straordinario nello stadio londinese, non ci ha pensato molto a replicare. “Ho perso ogni rispetto nei suoi confronti” ha tagliato corto, dopo essersi prodigato in ogni sorta di complimento invece per altri miti come Jesse Owens e i suoi ori nel ‘36 e Michael Johnson (“sono cresciuto guardandolo battere record su record”). Troppo pesanti per il giamaicano le ombre gettate su di lui da Lewis. “Il doping è una cosa seria e avanzare dubbi su un atleta mi fa davvero rabbia - le parole di Bolt -. Penso che lui voglia solo attirare l’attenzione su di sé perché non si parla più di lui”. Mentre si parla solo di Bolt: anche a Londra, dove le sue tre finali (tutte vinte) hanno adunato folle davanti ai maxischermi e scene di esultanza collettiva viste solo, o quasi, per le finali dei mondiali di calcio: La gente ama il giamaicano istrionico e vulcanico. Le incredibili prestazioni di Bolt e il fatto che la Giamaica non abbia un’apposita Agenzia Nazionale antidoping, avevano sollevato dei sospetti già durante le Olimpiadi di Pechino. Il velocista tedesco Tobias Unger, che non riuscì a qualificarsi per la seconda batteria dei 100 metri piani, accusò Bolt dicendo che le sue vittorie sono una burla, per il fatto che abbia corso i 100 metri in 9.92 senza preoccuparsi di scaldarsi e non mostrando segni di stanchezza a fine gara Carl Lewis fece notare pure che tra gli atleti che sono scesi sotto i 9.80 tre sono risultati positivi a test antidoping e uno è rimasto fuori per un anno a causa di un infortunio. Bolt non è mai stato trovato positivo. Ai Mondiali di Daegu, in Corea del Sud, dopo essersi qualificato per la finale con il secondo miglior tempo ma i favori del pronostico, Bolt venne squalificato per una falsa partenza, togliendosi prima la maglietta in segno di stizza e poi lasciando lo stadio. Il titolo andò al suo connazionale Yohan Bla- Sport no potebbe realizzare in futuro permettendo ke (9.92 e vento -1,4 m/s). In seguito a questo evento si addensarono vari sospetti sul motivo per il quale avesse voluto anticipare la partenza in modo così evidente. Carlo Vittori, l’ex tecnico di Pietro Mennea, lo criticò sostenendo che il suo gesto sia stato commesso volontariamente con l’obiettivo di far aumentare ancora di più l’attenzione dei media verso di lui, affermando che si sarebbe parlato molto di più di una sua inaspettata squalifica rispetto ad una sua vittoria. Bolt si riscattò dalla delusione dei 100 m, confermandosi campione mondiale dei 200 metri in 19.40 (vento +0,8 m/s). Lewis e Bolt, comunque, di certo la storia dell’atletica l’hanno già scritta: il primo ha segnato un decennio, con 9 ori olimpici e 17 anni di carriera. Per reggere il suo passo Ben Johnson fu costretto a doparsi, con gogna pubblica conseguente. Lewis era anche il signore del lungo e aveva 35 anni quando planò sulla sabbia per il suo ultimo salto. Certo non è mai stato quell’esplosione di simpatia che Bolt porta in pista ogni volta che gareggia: dietro, per la saetta, ci sono i ritmi e il calore della Giamaica, un paese che lo ha praticamente eletto a suo eroe. Record e medaglie: in mezzo il confronto con il passato, perché dopo Lewis c’è Bolt. Ma il giamaicano non vuole essere il suo erede, lui è un altro figlio del vento: balla, ride, mette in scena il suo show. Due storie, due miti e quei 100 metri mai corsi diventati lunghi una vita. 2/10 persi in partenza E naturalmente c’è chi vuole anticipare i tempi con previsioni... matematiche. Usain Bolt potrebbe tagliare quasi due decimi di secondo dal suo primato di 9.58 sui 100 metri senza dover correre più velocemente, ma solo con qualche accorgimento e le condizioni giuste. Lo afferma John Barrow, un matematico dell’università inglese di Cambridge, in un libro appena pubblicato in cui “risolve” in maniera scientifica i problemi di diversi sport. Gli ingredienti fondamentali individuati da Barrow nella sua simulazione sono una buona Carl Lewis (a sinistra)-Usain Bolt, la “storica” fida che non si farà mai partenza, che allo sprinter giamaicano riesce raramente, un vento ai limiti dei due metri al secondo consentiti dal regolamento e un’atmosfera rarefatta: “Basterebbe tagliare il tempo di reazione diciamo a 0,13 secondi, che è buono ma non eccezionale - spiega il professore -. Insieme agli altri fattori si potrebbe tagliare il record di 0,18 secondi, per portarlo a 9.40. Barrow ha affrontato in maniera matematica anche altri sport, sviluppando ad esempio un’equazione matematica per determinare la disposizone ottimale dei canottieri nel quattro e nell’otto di canottaggio: “Per fare in modo che le forze laterali si annullino - spiega - nel quattro il primo e l’ultimo vogatore dovrebbero avere il remo a destra, mentre i due in mezzo a sinistra. Nell’otto invece la disposizione ottimale è con il primo remo a destra, poi due a sinistra, poi uno a destra e uno a sinistra, quindi due a destra e l’ultimo a sinistra”. Anche l’uomo più veloce di sempre, Usain Bolt, parlando dei suoi progetti per il futuro ha raccontato quelli che saranno i suoi prossimi obiettivi e gli avversari contro cui vorrebbe confrontarsi. Il giamaicano parte proprio dal suo record nei 100 metri, il 9.58 stampato ai mondiali dello scorso anno a Berlino: “Ho sempre detto che il record del mondo può essere abbassato fino a 9.40 e spero di essere io a correrlo”. Gb, fisco troppo severo? In un momento di crisi mondiale, poter e saper risparmiare il più possibile è una dote da non sottovalutare. Lo sa bene anche Usain Bolt, che ha deciso di non gareggiare più sul terreno britannico. Tutta colpa della stretta fiscale adottata in Gran Bretagna. Il fenomeno giamaicano, infatti, si è lamentato delle tasse applicate in territorio britannico: “Mi piace correre qui, ma mi rivedrete in pista solo quando cambieranno le leggi”, la stoccata dell’uomo più veloce al mondo. Ma non è la prima volta per Bolt, e non sarà sicuramente l’ultima, che nei tre anni precedenti aveva infatti saltato tutti gli appuntamenti in terra britannica facendo un’eccezione solo per i Giochi. Le Olimpiadi, va ricordato, sono stati però “graziati” dal Ministero del Tesoro britannico, che non ha applicato la solita percentuale di tassazione. Un’eccezione che ha “convinto” Bolt. Il fulmine giamaicano non è però l’unico sportivo a mal digerire la tassazione britannica. Rafa Nadal, in questa stagione, ha deciso di saltare il torneo di preparazione a Wimbledon sull’erba del Queen’s optando per l’Atp di Halle, in Germania. “Non è stato uno motivo tecnico, ma solamente perché in Gran Bretagna le tasse per gli sportivi sono molto più alte”, aveva dichiarato il fenomeno maiorchino.● Panorama 47 Tra storia e gusto L’ulivo: un vecchio di millenni di Sostene Schena L a storia dell’ulivo ha testimoniato per millenni la vita dell’uomo e la propria esistenza, nessun altro albero può trovare altre similitudini con la natura umana. L’albero dal tronco stanco, ritorto, ma mai spezzato, si è sempre adattato alle infinite avversità, così come l’uomo si è adattato agli innumerevoli ostacoli della vita. “Vi sono creature sulla terra che debbono essere spiegate; un microbo, un animale, una pianta un fiore, ma non l’ulivo, è lui che ha spiegato noi, la nostra storia, i nostri bisogni, la nostra vita, facendosi portatore di messaggi, si è lasciato mangiare ed ha pregato con noi” (N. Mastrangelo op.cit.). Quando si guarda l’ulivo e lo si tocca, si venera una pianta la cui simbologia è nell’insieme mistica, sacra, unica, essenziale. La pianta dai rami lucenti come l’argento, è un miracolo divino che lega l’uomo alla terra, alla religione, alla fede, alle antiche credenze che da secoli raccontano una storia infinita. Ma quali sono le origini dell’ulivo? Molti studiosi ipotizzano che il genere Olea sia originario dell’Asia, precisamente delle regioni comprese fra l’Armenia, il Turkestan e il Pamir, da dove si sarebbe successivamente diffuso in tutto il bacino mediterraneo. La sua presenza è documentata nell’isola di Creta già durante l’età minoica, e con la vite rappresentava un’importante ricchezza economica. Nel 2.000 a.C. era ampiamente diffuso anche in Egitto, indicato col nome Tat veniva allevato con avanzati sistemi di potatura. Nel 1000 a.C. l’olivicoltura si sviluppava in Palestina, in Grecia e lungo le coste del Nord Africa. La sua diffusione nell’Italia meridionale e nella penisola Iberica risale al V secolo a.C. Tra il VI e il IV secolo a.C. si affermava nel Lazio, in Campania, nelle Marche, raggiunse poi il Veneto, la Liguria, poi la Sardegna, e con l’espansione dell’Impero Romano d’Occidente si sviluppava lungo le coste della Gallia meridionale. Gli ateniesi avevano per l’ulivo un grande rispetto, la sua simbologia, 48 Panorama ventagli superiori ai due piedi, veniva esaltata nelle feste e nei riti religiosi. Inoltre era vietato effettuare eccessive potature durante l’anno anno per non limitare la crescita. Ai Romani Atena, donando l’olivo, vinse la disputa con Poseidone per la precedenza nell’erigere un proprio tempio sull’Acropoli ateniese era proibito l’utilizzo della pianta per usi profani, il legno poteva essere bruciato soltanto come offerta agli dei. I maggiori fornitori d’olio erano i Fenici, che lo esportavano lungo le coste mediterranee, ricevendo in cambio monete e metalli preziosi. I greci ed i romani diffusero ampiamente la coltivazione dell’ulivo nella Gallia meridionale, incrementando l’utilizzo e il commercio dell’olio che si sostituì alla tradizione celtica del consumo di grassi animali. La comparsa della parola “olivo” appare, forse per la prima volta, nei poemi epici. Omero descrive questa pianta non solo nel suo aspetto botanico ma come simbolo mitico, idilliaco poetico, come significato di vita, di pace, di alleanza, di gioia, di gloria, di prosperità: “Nella mitologia greca l’ulivo è l’albero sacro custode dell’Acropoli di Atene. Si racconta infatti che Athena, figlia prediletta di Zeus, e Poseidone (Nettuno) dio del mare, si contendessero il predominio dell’Attica. Il diritto di precedenza per erigere un tempio sull’Acropoli fu il pretesto per una contesa di cui divenne arbitro e giudice Giove il quale, per rimettere pace Tra storia e gusto L’olivo è originario dell’Asia Minore, dall’altopiano dell’Iran, dalla Siria e dalla Palestina si diffuse poi in tutto il bacino del Mediterraneo fra i due contendenti, concesse il diritto di edificare a colui che avesse creato l’oggetto più utile all’uomo. Nettuno creò il cavallo, Athena creò l’ulivo e vinse”. Non vi fu mai odio fra Athena e Nettuno, l’ulivo divenne un simbolo di pace e si diffuse in tutta la Grecia. Fra i georgici latini, Columella ne elenca circa cinquanta varietà. Plinio ci offre ampie descrizioni nella sua monumentale “Naturalis Historia”. Pure Senofonte offre una elencazione descrittiva delle antiche colture che nei secoli costituivano il patrimonio agricolo dell’Impero. Narra la leggenda che la prima coltivazione dell’ulivo sia da attribuirsi ad Ermete, Dio dei Greci, figlio di Zeus che lo diffuse fra la Cirenaica e l’Egitto. Un’altra leggenda tramandata da Plinio e da Cicerone, riconosce Aristeo, divinità alla quale era stata affidata la protezione degli armenti dei frutti della terra, come colui per primo riuscì a estrarre dall’oliva il fluido dorato chiamato “olio”. Miti e leggende si intrecciano sull’origine di questa pianta così umile e così ricca, certamente tuttavia l’ulivo è un dono di dio fatto agli uomini, come grande segno di vita, di forza e di amore. La storia ci tramanda da secoli l’importanza dell’ulivo come elemento essenziale nella vita dell’uomo, Catone testimonia la propria esperienza nel “De Agricoltura” indicando particolari sistemi di coltivazione, di potatura e di raccolta del frutto. Circa un se- colo dopo Varrone nell’opera “De Re Rustica” valorizza i sistemi d’impianto attuati dai Romani considerandoli superiori a quelli dei greci. Nell’opera di Varrone l’ulivo diventa insieme alla vite, una delle risorse di grande interesse economico, una fonte di ricchezza unica, insostituibile, portata a segnare il destino dell’Impero. Columella, georgico latino originario di Cadice, elabora nell’ulivo uno studio, non solo letterario e scientifico ma una complessa analisi che porta a continue pratiche esperienze applicate a sistemi d’impianto altamente specializzati. Nel quinto libro della sua opera viene trattato dettagliatamente il tema della sua coltivazione, considerato con la vite la più importante ricchezza economica e commerciale di Roma. È infatti nelle terre dell’Oriente e dell’Occidente mediterraneo che l’ulivo trova il clima più idoneo divenendo il protagonista di una coltura sempre più estesa ed altamente qualificata. Si fa spazio un progresso tecnico ed economico che sviluppa un settore mercantile arricchito soprattutto dall’ulivo, dalla vite e dal grano. Ingenti flotte di navigazione costeggiano il mare, stabilendo importanti empori nelle città portuali che man mano divengono sempre più ricche e potenti. Nel primo secolo dopo Cristo la struttura agraria si modifica sensibilmente, dalla coltura specializzata nasce una produzione qualificata che alimenta i mercati delle più importanti città imperiali come: Roma, Atene, Alessandria Cadice. La mistica simbologia attribuita alla pianta nell’antico Testamento viene esaltata dalla religione cristiana, che, eletta prima e unica religione di Stato dall’imperatore Costantino nel 313, lega il valore sacrale dell’ulivo e dell’olio ai riti di fede della Santa Chiesa. “Nel vecchio Testamento il richiamo simbolico non viene riferito tanto alla pianta d’ulivo, quanto al suo prodotto che assume la funzione di vincolo tra il divino e l’umano, tra la morte terrena e la vita eterna. Già nel Deuteronomio l’olio, con il frumento e il vino, rappresenta uno degli alimenti essenziali con cui Dio sazia il suo popolo fedele, in una terra ricca di ulivi. Esso appare come una benedizione divina la cui privazione castiga l’infedeltà e la cui abbondanza è segno di salvezza e simbolo di felicità. Dai Libri della Sacra Scrittura, l’olio non appare solo un nutrimento indispensabile in tempo di carestia, ma è anche un unguento che profuma il corpo, che fortifica le membra, che lenisce le piaghe. Quanto ai due ulivi citati nel Vecchio Testamento, il cui olio alimenta il candelabro delle sette lampade, essi simboleggiano il re e il sommo sacerdote, che hanno la missione di illuminare il popolo e di condurlo sulla via della salvezza. Infondere olio sul capo significa augurare gioia, felicità e onore. Il legame tra l’unzione e lo spirito è infine all’origine del simbolismo dei sacramenti cristiani” (cit. Mastrangelo op.cit.). ● (2 - continua) Panorama 49 Multimedia Il software gratuito per il fotoritocco e per la gestione degli archivi fotografici Picasa 3.9 parla con Google+ a cura di Igor Kramarsich L a nuova edizione di Picasa, il programma gratuito di Google per l’archiviazione di immagini e video e per il fotoritocco leggero, si apre al social networking e permette di condividere su Google+ foto e filmati. In realtà già nella versione precedente di Picasa, grazie a Picasa Web Album, era possibile creare album fotografici sul Web, privati oppure pubblici (utili quindi sia come archivio personale sia per condividere le immagini) e sincronizzati con quelli in locale. Picasa Web Album mette a disposizione 1 Gbyte di spazio gratuito (incrementabile a pagamento in tagli da 20 Gbyte da 5 dollari l’anno, tasse escluse), ma lo spazio disponibile diventa illimitato se le foto sono grandi al massimo 800 x 800 pixel e i video non superano i 15 minuti. Con Google+ la dimensione dello spazio gratuito non cambia, ma la dimensione massima delle foto archiviabili on-line senza restrizioni sale a ben 2.048 x 2.048 pixel (il limite per i video rimane invariato). Foto e clip caricati su Google+ o Picasa Web possono essere messi a disposizione anche di chi non è iscritto 50 Panorama ai due servizi: la condivisione avviene infatti tramite un link che viene inviato per e-mail, e l’apertura dell’album corrispondente non richiede alcuna registrazione. Anche i tag associati alle foto (nomi delle persone inquadrate, luoghi e così via) sono condivisibili su Google+, sempre nell’ottica di fa- vorire uno scambio di informazioni tra le persone che frequentano il sito social di Google. A questo proposito segnaliamo però che la condivisione è automatica e non può essere disattivata: ogni tag riferito a una persona registrata in Google+ comporta la visibilità dell’intero album da parte di quest’ultima, cosa non sempre desiderabile. Le altre novità di Picasa 3.9 sono l’anteprima migliorata e un set più ricco di filtri fotografici. L’anteprima ora può visualizzare due foto in contemporanea, affiancate orizzontalmente oppure verticalmente. Può trattarsi dello stesso scatto (l’originale e la sua versione modificata con l’applicazione di uno o più filtri) oppure di due immagini diverse, una possibilità molto comoda quando bisogna selezionare la foto migliore tra numerosi scatti dall’inquadratura simile. Picasa 3.9 offre 24 nuovi filtri fotografici che trasformano le immagini nelle maniere più diverse. Tra questi citiamo Effetto Hdr, che recupera le zone troppo chiare e troppo scure, Orton, che rende più ricchi i colori e introduce un alone ideale per i ritratti, e Zoom Foca- Multimedia le, che simula gli scatti effettuati con una rapida variazione del fattore di ingrandimento. Interessanti sono anche Neon, che esalta i bordi e rende monocromatica la foto, Museo Mat, che inserisce una cornice semplice ma molto elegante, e Polaroid, che simula le stampe ottenute con le celebri macchine fotografiche a sviluppo rapido. Come ultima novità segnaliamo l’aggiornamento del modulo per importazione delle foto in formato Raw, ora compatibile con i file creati dalle fotocamere più recenti. Picasa impiega un’interfaccia molto accattivante grazie ai colori chiari e alla semplicità degli elementi grafici, mai invasivi e molto ridotti in numero. Nella modalità di gestione dei documenti lo schermo è quasi interamente dedicato alla visualizzazione delle miniature: a sinistra vi è il riquadro per la rappresentazione gerarchica degli archivi, ordinati per album e per cartella. Continua però a mancare una funzione diretta per la visione delle foto a pieno schermo senza altri elementi grafici. L’unico metodo - piuttosto scomodo - che abbiamo trovato consiste nel far partire lo slide show e poi metterlo in pausa. Picasa offre anche un altro tipo di interfaccia, molto scenografica e originale, richiamabile con il comando Cronologia. La schermata cambia completamente e appare una serie di miniature disposte ad arco: con il mouse si scorre la sequenza e poi con un clic si lancia lo slide show automatico. Il programma consente di associare a ogni foto fino a dieci tag, ma non ne offre di predefiniti Peccato inoltre che vicino alle miniature non appaia nessun simbolo per evidenziare le foto a cui sono stati assegnati tag. Stranamente non è possibile attribuire un indice di gradimento a più valori: Picasa supporta una sola stelletta, che evidenzia le foto giudicate “speciali”. La funzione di riconoscimento del viso è notevole: basta selezionare una o più foto e il software individua i volti al loro interno, anche se sono ritratti di profilo, elencandoli poi nel pannello a destra. Qui l’utente può assegnare i nomi corrispondenti, che il software utilizzerà in seguito per identificare le persone negli altri scatti. In questa seconda fase l’efficacia dell’algoritmo lascia però a desiderare, poiché non sempre l’associazione nome-volto risulta corretta. È comunque sempre richiesto l’intervento dell’utente, che deve approvare o rifiutare con un clic i collegamenti proposti dal programma. Gli strumenti per modificare le immagini appaiono di fianco al documento ingrandito e sono raggruppati in cinque pannelli sovrapposti. Nel primo troviamo diversi tasti, tra cui quelli per il ritaglio con preset, il raddrizzamento dello scatto, l’eliminazione degli occhi rossi e il bilanciamento cromatico automatico. Il raddrizzamento impiega, alo posto della classica linea di riferimento, un reticolo abbastanza comodo ma prevede una rotazione massima di circa ±10°. Lo strumento per gli occhi rossi è efficace, agisce in automatico ma consente anche di intervenire a mano per evidenziare con un rettangolo le pupille che sono sfuggite all’analisi del software. Per quanto riguarda il bilanciamento cromatico, con le foto di prova abbiano ottenuto ottimi risultati con la correzione livelli, la luce di schiarimento e l’eliminazione della dominante. Nel secondo pannello sono visibili i cursori per la regolazione a mano della temperatura colore e della luminosità sulle alte luci, sulle mezze luci e sulle ombre. In più è disponibile un selettore per portare alla tonalità grigio neutro il colore del pixel campionato. Negli altri tre riquadri sono distribuiti i filtri: nel primo si trovano quelli di base, già disponibili nell’edizione precedente, e negli altri due gli effetti più sofisticati, introdotti in questa edizione. Molti dei nuovi filtri sono regolabili nell’intensità di intervento oppure nei parametri di base, tramite semplici cursori disposti a sinistra dell’anteprima. Picasa 3.9 si è rivelato un buon programma per l’archiviazione e per il fotoritocco leggero delle foto; uno dei suoi principali punti di forza è senza dubbio la semplicità di utilizzo. Nonostante sia gratuito, offre prestazioni di tutto rispetto e un set di strumenti decisamente completo. Certamente non mancano i piccoli difetti, come l’impossibilità di visualizzare a pieno schermo una singola foto e l’assenza di simboli che evidenzino le foto a cui sono stati assegnati tag e indice di gradimento. In compenso i suoi strumenti correttivi sono efficaci e il collegamento a Picasa Web Album e a Google+ permette di archiviare e di condividere immagini e video su Web.● Panorama 51 Curiosità Cenerentola moderna Il pranzo è servito Dalla Cina l’arte pazza e interatti a cura di Nerea Bulva I nterattivi, irriverenti e con una gran voglia di “bucare” la tela: questi i quadri alla mostra dal titolo Magic Art che ha incantato i visitatori del Peace International Exhibition and Conference Centre ad Hangzhou, in Cina, lo scorso luglio e conclusasi il 6 agosto. Adulti e bambini sono stati invitati ad interagire con le opere d’arte, create da 15 artisti sudcoreani, e a farsi fotografare insieme ad esse. Con risultati a dir poco esilaranti. La mostra di Hangzhou (città diventata famosa nel 2008 dopo la costruzione del ponte più lungo del mondo con 36 km di lunghezza) è stato un grande successo per l’arte cinese. Ci sono voluti quattro mesi di duro lavoro e litri di colori ad olio per i giovani artisti che hanno suscitato curiosità e meraviglia in tutti i visitatori. Un intrattenimento divertente e innovativo che ha interessato milioni di persone di ogni età tanto da indurre gli organizzatori della mostra a renderla itinerante in tutta la Cina. Siamo ormai un po’ tutti abituati ad andare in museo rigidi, senza poter toccare questo o quell’oggetto, senza passare una mano su di una statua per apprezzarne linee e venature, limitandoci ad ammirare tutto con gli occhi, come se stessimo sfogliando un catalogo con belle immagini. Alla “Magic Art”, invece, gli spettatori hanno vissuto l’emozione opposta perché dovevano completare le opere con loro stessi, toccando, mettendoci la faccia (e alle volte non solo quella) per non rendere altrimenti l’opera incompiuta, mancante. Infatti la tecnica utilizzata dagli autori di questi dipinti è conosciuta come anamorfosi (dal greco ana = indietro e morphé = forma). Si Meglio spostarsi Buffetto sgradito 52 Panorama Oooh... issa asfalto Curiosità Tiro al lenzuolo Un cucciolo affamato va nei quadri 3D tratta di una particolare deformazione del disegno che, visto da una certa prospettiva, non solo non appare più distorto ma sembra acquistare una terza dimensione, con un rilievo e un gioco di prospettive che lasciano senza fiato. In altre parole un’immagine deformata ad arte acquista la sua forma corretta, quella che l’artista vuole suggerire, solo quando l’osservatore si dispone in una posizione molto inclinata rispetto al suo piano, o se la si riflette con uno specchio curvo. Come si può vedere nelle foto, ci si può davvero sbizzarrire.● Musica per le tue orecchie Ciao delfino Cavalca l’onda Attenzione a Hulk I vantaggi di un collo lungo Panorama 53 Salute Dopo il gr e prime piogge torrenziali e il tracollo delle temperature nel giro di poche ore hanno messo a letto molte persone. Questo è il periodo ideale per i virus simil-influenzali (coronavirus, rinovirus, adenovirus) che approfittano delle escursioni termiche. Quando lo sbalzo di temperatura abbassa le difese e le vie aree sono meno presidiate, partono all’attacco. Ma, rassicurano gli esperti, non c’è da aspettarsi il classico febbrone da cavallo, piuttosto il mal di gola, il naso chiuso o che cola e la faringite, tutti sintomi che possono durare da 3 a 4 giorni, con qualche strascico. Cosa si può fare? Per evitare il virus praticamente nulla anche perché viene trasmesso facilmente visto il ritorno al lavoro e l’inizio dell’asilo e della scuola per i piccini. Le cure poi sono sempre le stesse: basta non allarmarsi e in pochi giorni tutto tornerà alla normalità. Come curarsi, allora? Si consiglia l’automedicazione. Ecco una lista di rimedi naturali efficaci per combattere i primi sintomi dell’influenza. Limone e miele: sono ottimi rimedi contro il raffreddore e l’influenza, il limone per il suo alto contenuto di vitamina C e perché potenzia la capacità dell’organismo di espellere le tossine, mentre il miele perché aiuta ad ammorbidire la gola infiammata. Prepararsi quindi una bevanda calda con L Ecco perché ci «istupidisce» Q uando veniamo colpiti dal virus dell’influenza, il nostro organismo è costretto a combattere per ristabilire una condizione di benessere. Spesso, sia durante che in seguito a quest’affezione, ci sentiamo come istupiditi. I ricercatori dell’Università di Portland hanno scoperto che tutto ciò deriva dall’attivazione di un certo tipo di neuroni. Ovviamente anche la febbre ed il raffreddore compiono il loro “dovere”, ma in buona parte il merito di questo nostro stato alterato deve essere dato, come è stato rilevato attraverso le immagini ottenute tramite risonanza magnetica, a queste particolari cellule cerebrali contenute nell’ipotalamo ed in parte dell’amigdala che si attivano quando veniamo colpiti da un virus per convogliare maggiori energie verso il nostro sistema immunitario. Questi neuroni, chiamati “ipocretinergici”, fanno in modo tale che la “forza” che noi impiegheremmo per condurre della normale attività fisica venga inviata a quella parte del nostro corpo che lotta contro l’agente patogeno che ci sta causando malessere, portandoci quindi, attraverso la spossatezza, a limitare al massimo la nostra attività e azzerando la voglia di fare qualsiasi cosa. Secondo i ricercatori statunitensi questo meccanismo non entrerebbe in vigore solo in caso di virus influenzale, ma anche in concomitanza di qualsiasi malattia acuta o cronica. È un “modus operandi” che il nostro organismo ha migliorato nel corso dell’evoluzione e che mira alla sopravvivenza dello stesso. Queste particolari cellule cerebrali sono state scoperte nell’ambito di uno studio sulla narcolessia cataplettica, una rara forma d’ipersonnia, che causa il crollo istantaneo della persona a terra per via dell’addormentamento improvviso. È stato proprio grazie alla scoperta di questi neuroni regolati da una neuroproteina, l’ipocretina, che è stato possibile iniziare a mettere a punto dei farmaci contro l’insonnia e la narcolessia adeguati. Ed è stato proprio partendo da questo passaggio, che si è riusciti a collegare questa nostra “spossatezza” relativa alla malattia alle cellule cerebrali ipocretinergiche ed alla loro politica di “risparmio” attuata in situazioni di difesa.● 54 Panorama Salute an caldo arriva la prima influenza Il brodo di pollo è stato rivalutato perché, secondo una ricerca medica, le proteine della carne stimolerebbero la produzione di anticorpi il succo di due-quattro limoni e aggiungere un cucchiaino di miele. Timo: è molto utile contro il mal di gola grazie al suo potere disinfettante. Portate ad ebollizione l’equivalente di 1 tazza di acqua e lasciate in infusione 1 cucchiaino di foglie e fiori per 10-15 minuti. L’infuso va bevuto 3-4 volte al giorno. Salvia: nota per le sue proprietà balsamiche ed espettoranti, caratteristiche che la rendono molto efficace contro il mal di gola. Portate a ebollizione 500 ml di acqua e lasciate in infusione una decina di foglie di salvia per 10 minuti. Olio essenziale di eucalipto: è un mix molto efficace contro il naso chiuso, l’olio essenziale di eucalipto, infatti, favorisce l’espettorazione e libera subito le vie respiratorie. Fate sciogliere in una bacinella d’acqua bollente 1 cucchiaio di olio essenziale di eucalipto e 1 cucchiaio di bicarbonato, raccogliete bene i capelli e coprite la testa con un asciugamano e respirare. Pepe: è un ottimo rimedio per alleviare i sintomi della faringite. Bollite 2 grammi di pepe e bevetene 3 tazze al giorno. Acqua calda e sale: è utile in caso di faringite per fare i gargarismi. Aglio: in molti non lo usano perché è difficile da digerire e poi lascia un alito sgradevole, ma oltre essere uno degli elementi base della cucina è un potente battericida e può essere utilizzato come antisettico, come preventivo dell’influenza e come curativo di alcune malattie delle vie respiratorie. Il consiglio è di mangiarlo a crudo, se però non sopportate il sapore, potreste fare una tisana a base di limone e aglio. La “batosta” di fine estate è comunque solo un assaggio. Per imbatterci nell’influenza vera e propria occorrerà aspettare l’arrivo del freddo rigido, quello tipico dell’inverno, e sarà più aggressiva rispetto a quella dell’ultimo biennio. Le previsioni, elaborate sulla base dei dati diffusi dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), portano a far supporre che nei prossimi mesi circolerà ancora il ceppo virale pandemico del 2009 (il virus A/H1N1), ma anche due ulteriori nuovi ceppi, un ceppo B e un ceppo H3N2. Quindi, il vaccino che verrà somministrato conterrà sia quello relativo al ceppo influenzale del 2009, sia quello contenente il virus per stimolare gli anticorpi delle due nuove varianti. Intanto, i virus parainfluenzali si godono il loro “quarto d’ora di celebrità” grazie a una colonnina al mercurio ballerina.● Panorama 55 Benessere Tornare in forma con i cibi giusti O rmai possiamo dire addio, almeno per quest’anno, alla tanto amata stagione estiva. Certo ancora ci aspetta qualche giornata di sole, ma il mare e il caldo afoso sono ufficialmente finiti. Ci prepariamo ad affrontare l’autunno, e tra giornate di pioggia e i primi freddi cominciamo a prestare attenzione anche alla nostra linea, magari non proprio in forma durante l’estate. Ecco allora alcuni consigli sui cibi ideali per recuperare la forma fisica persa durante l’estate. Cominciamo con la mela Questo frutto, oltre a minerali e vitamine, contiene pectine, che sono utili per tenere sotto controllo la regolarità del nostro intestino, oltre che i livelli di glicemia e colesterolo. Insomma dalla serie “una mela al giorno leva il medico di torna” a confermare le proprietà salutari della mela, uno studio americano che sottolinea e ribadisce le virtù dimagranti della buccia della mela. Associare fibre e grassi Il consumo di fibre non solo riequilibria il nostro intestino ma limita anche l’assorbimento degli zuccheri e dei grassi in eccesso. Tra i suoi punti negativi vi si annovera il comune gonfiore addominale. Il modo migliore per evitare il fastidio è quello di associarle con il grasso vegetale come l’olio di oliva o di lino, che previene il gonfiore intestinale. Esistono due tipi di fibre, quelle solubili e quelle insolubili, entrambe utili per il nostro organismo. Per essere più precisi, le fibre solubili hanno proprietà prebiotiche ovvero favoriscono la crescita dei batteri buoni, importante per la salute del nostro organismo. Le fibre insolubili invece contrastano la stipsi. Le fibre solubili si trovano nella crusca di avena, frutta secca, albicocche, e mele; mentre quelle insolubili sono contenute nei cereali integrali, verdure, legumi e frutta. Come si può ben capire, una dieta fatta di probiotici e fibre aiuta a recuperare in poco tempo la forma fisica persa durante l’estate e ci prepara ad affrontare con maggiore sicurezza l’autunno e l’inverno. Piccolo consiglio come antipasto bevete frullati a base di fibre e probiotici che ti consentono di riconquistare la linea e mantenere la forma fisica perfetta. Ci sono anche i probiotici Come accennato per riattivare il metabolismo, oltre le fibre è bene consumare anche i probiotici, a cominciare dallo yogurt e dal 56 Panorama kefir che in quanto ricchi di batteri buoni, riattivano l’intestino e combattono l’accumulo di grasso in eccesso. Esempio di come si possono abbinare probiotici e fibre è yogurt e crusca, mix ideale per controllare il peso. Ricordatevi di scegliere lo yogurt naturale, intero o parzialmente scremato. A confermare le sue virtù uno studio giapponese questa volta, che ha spiegato come lo yogurt assottiglia i fianchi, dimostrando come il consumo per ben 12 settimane dello yogurt comporta un calo di peso notevole ed anche di grasso sottocutaneo, e conseguente riduzione del girovita. Migliorare le difese naturali Mangiate spesso - e fuori pasto - i frutti blu di stagione (prugne, mirtilli, uva, more). Il blu infatti è per eccellenza il colore che induce vibrazioni purificanti. Questi frutti aiutano anche a diminuire lo shock dovuto al cambiamento di ambiente: temperatura, umidità e smog infatti incidono tantissimo sui naturali ritmi del nostro organismo. Sport e moto Non sono due brutte parole, ma servono a rimettere in movimento il vostro metabolismo, che avrà rallentato per oziare con voi sulla Benessere sdraio. Scegliete qualsiasi attività (dalla piscina alla corsa, dalla palestra al tennis) purché la facciate con un po’ di costanza. Poche regole ma difficili da metterle in pratica con la vita frenetica di tutti i giorni. Potete sempre provare però, vedrete che sarà più sempli- ce di quello che pensate… e, soprattutto, potrete prolungare il benessere che avete acquistato durante le vostre vacanze! ● Stress da rientro? Non esiste! er molti le vacanze sono finite. Ombrelloni e sdraio ritrovano posto in soffitta e, di malavoglia, si abbandonano gli infradito per calzare i mocassini. Ma il ritorno alla scrivania non deve condurre alla nostalgia di spiagge dorate. Al rientro, secondo le ultime ricerche degli esperti psichiatri, non bisogna farsi prendere da un malessere che, fra l’altro, non è certo una patologia, bensì un’invenzione. La chiave per affrontare una vaga malinconia dovuta alla ripre- P sa di ritmi più concitati sta nel modo di guardare le cose. Bisogna pensare alla fortuna che si ha ad aver fatto delle ferie e a poter contare su un impiego, con i tempi che corrono. Per gli esperti ci sono molte persone felici di tornare nella propria abitazione, nel loro ufficio, altre che riescono semplicemente a razionalizzare e a non farsi prendere dalla tristezza perché capiscono che la situazione economica attuale non consente di lasciarsi andare a depressione. E se, nonostante tutto, compaiono mal di testa, stanchezza e irritabilità, come combatterli? Basta fare un po’ di sport, la psicomotricità è un elemento essenziale per il benessere umano. A tutte le età, dall’infanzia alla vecchiaia. Basta assecondare le proprie tendenze e, in caso di scarsa disponibilità economica, uscire e fare una bella corsa. Il ritorno alla vita di tutti i giorni non deve scatenare ansie. L’organismo e la mente umana sono perfettamente in grado di adattarsi a cambiamenti ben più repentini. Non dimentichiamo infatti che tutti coloro che si recano in vacanza sanno quando inizia e quando finirà, dunque hanno tempo per prepararsi psicologicamente a un rientro sereno. Un piccolo e prezioso stratagemma per sentirsi al meglio tutto l’anno: concedersi tre giorni di vacanza al mese, oltre alle domeniche. Il risultato è che si lavora anche meglio. Gli amici possono dare una mano anche in questo caso. Per gli esperti il segreto per non sentirsi tristi e depressi quando finisce l’estate è non isolarsi. Telefonare agli amici e stare il più possibile in compagnia è un modo per riprendere bene il tran tran quotidiano. Non bisogna mai essere passivi nella vita.● Panorama 57 Passatempi ORIZZONTALI: 1. Spaccio di alcolici – 7. Un pericolo per il sub – 15. La risposta quando non le manca prontezza e vivacità d’ingegno – 16. Scrisse il Paradiso perduto – 17. Si dà pigiando l’acceleratore – 18. La fine della guerra – 19. Margini, orli – 21. Il nome di Gazzara – 22. Nasce dal monte Penna – 23. Consumato dal fuoco – 25. L’Abel Janszoon navigatore ed esploratore olandese – 27. Il Capirossi del motociclismo – 28. Concessione strappata – 29. Lo stato USA con Topeka – 30. Automobile a Londra – 31. Particella pronominale – 32. Cittadina della Lombardia, in provincia di Pavia – 34. La corazza dei Cheloni – 37. Ha tre regni – 39. Gli avversari al fronte – 41. Profondo precipizio – 43. La sconfessa il fedifrago – 45. I confini della Somalia – 46. Parità per farmacisti – 47. Un po’ di paura – 49. Quartiere residenziale di Roma – 50. Ridotta in minuscoli pezzetti – 52. Valico delle Alpi Retiche – 53. Si nutre con foglie di gelso – 54. Città dell’Etiopia settentrionale – 55. Figlio inglese – 56. Lo sport dei pachidermi – 58. Le ini- Soluzione del numero precedente ziali dei Dumas – 59. Il nome di King Cole – 60. Formano acque vorticose nei fiumi – 62. Coperture per autocarri – 64. Piccola nave da guerra – 65. Accertamento di esperti. VERTICALI: l. Una gran confusione – 2. Le finanze dello stato – 3. Il simbolo del seaborgio – 4. Quello di Rubik è snodabile – 5. Andato – 6. Si muove lentamente – 7. Quello greco è pari a 3,141592 – 8. Città dell’Albania – 9. Un mitra inglese – 10. Il timoniere nel canottaggio – 11. Enna su targa d’auto – 12. Diede ad Abramo il primogenito Ismaele – 13. Un… buco del naso – 14. Lo sono i prezzi troppo alti – 16. Una bella incoronata – 20. Il seme del settebello – 22. Ospita cuore e polmoni – 24. Cittadina della Campania in pro- vincia di Salerno – 26. Patronimico scozzese – 27. Identifica il sepolcro – 29. La spada del samurai – 30. Piccoli vani – 33. Lo è l’apparecchiatura messa a punto – 35. Un colpo di vento – 36. Musicò l’Arlesiana – 38. Il nome di Dvořák – 40. Versione comica di un’opera – 41. Il fiume di Skopje – 42. Un… tedesco – 44. Uccelli dal becco enorme – 45. Si allestisce alla fiera – 48. Non tutto viene per nuocere – 51. Tela per sacchi – 52. Ballano quando il gatto non c’è – 53. L’isola indonesiana con Singaraja – 55. Il regista Peckinpah – 57. Tre volte in latino – 60. In mezzo alla strada – 61. Concludono le domande – 63. Ci ricorda un mago. Pinocchio 15.0%, il cucchiaino che scioglie il gelato S e vogliamo festeggiare qualcosa, il gelato è uno tra i modi migliori per farlo. Ma anche nella situazione opposta, quando siamo particolarmente tristi, anche lì, un gelato ci sta bene comunque. Molte volte però ci troviamo a scavare con un’agitazione rabbiosa nel tentativo inutile di racimolare un briciolo di golosa crema, con l’unico risultato di piegare il cucchiaino sotto la forza della nostra furia (e golosità)!!! Fortunatamente Naoki Te- 58 Panorama rada, architetto e designer giapponese, ci viene in soccorso con un cucchiaino speciale in grado di fondere il gelato, senza però farlo sciogliere. Meglio conosciuto come 15,0%, proprio perché la legge giapponese dice che il gelato deve contenere almeno il 15 p.c. di latte, è realizzato in alluminio con una conduttività termica del grado specifico per fondere il gelato senza ridurlo in una poltiglia liquida. Nello specifico il gelato piano pianino si scioglie mentre si mangia grazie al calore della mano trasmesso tramite l’impugnatura. ● 80 anni a 80 metri di profondità P er un Adriatico pulito e l’amicizia tra i popoli sta scritto sulla targa apposta sul relitto della nave da guerra italiana “Audace” affondata nell’acquatorio tra le isole di Pago, Lussino ed Arbe. A volerlo fare è stato il dott. Božo Dimnik, sloveno di nascita e amante delle acque dell’Adriatico. E lo ha fatto in un modo molto singolare: per festeggiare i suoi ottant’anni di età è sceso a ottanta metri di profondità, laddove appunto giace il relitto. Questa sua immersione è stata voluta nell’ambito del Progetto ecologico denominato 80/80 e che probabilmente ha fatto del dott. Dimnik il subacqueo più anziano del mondo che sia sceso ad una simile profondità. Subito dopo l’immersione il dott. Dimnik ha detto che “esploro i fondali del nostro belllissimo Adriatico da cinquant’anni e purtroppo devo dire che la situazione è catastrofica. Trent’anni fa nei relitti delle navi sparsi nel nostro mare la vita pulsava, c’erano pesci di tutti i tipi, aragoste, oggi non c’è nulla, ed è per questa ragione che ho voluto fare questa immersione, per dire a tutti che stiamo distruggendo l’Adriatico e che bisogna correre ai ripari”. Ad accompagnare l’anziano subacqueo c’era pure l’ex presidente Stipe Mesić, suo amico, nonché il sindaco di Maribor, città natale di Dimnik, Franz Kangler. Il dott.Dimnik, che tra l’altro è presidente della Società dell’amicizia croato-slovena, al termine della festa che gli è stata preparata non appena arrivato a riva ha detto che: “Il 4 settembre 2032 compirò cent’anni e quel giorno scenderò a 100 metri di profondità”. A. V. Panorama 59 60 Panorama