Sommario / Contents - La Cineteca del Friuli

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Sommario / Contents - La Cineteca del Friuli
Sommario / Contents
3 Presentazione / Introduction
7 Premio Jean Mitry / The Jean Mitry Award
8 In ricordo di Jonathan Dennis
The Jonathan Dennis Memorial Lecture
10 Collegium 2010
12 The 2010 Pordenone Masterclasses
15 Eventi speciali / Special Events
29 Tre maestri della Shochiku / Three Shochiku Masters
45 Cinema sovietico: le alterne fortune di Room, Kalatozov e Push
Shifting Fortunes: Three Soviet Careers
63 Comici francesi / French Clowns 1907-1914, A-Z
85 Gli archivi dei film di Londra e New York - 75
75 Years of Film Archives
93 Il canone rivisitato / The Canon Revisited
105 Riscoperte e restauri / Rediscoveries and Restorations
125 Cinema delle origini / Early Cinema
139 Making Of…
149 Ritratti / Portraits
159 Indice dei titoli / Film Title Index
Introduzioni e note di / Introductions and programme notes by
Richard Abel
Gyongyi Balogh
Lenny Borger
Eileen Bowser
Neil Brand
Kevin Brownlow
Günter A. Buchwald
Paolo Cherchi Usai
Ian Christie
Paul Cuff
Béatrice de Pastre
Carlos Roberto de Souza
Nino Dzandzava
Michael Eaton
Sami van Ingen
Livio Jacob
Alexander Jacoby
Anton Kaes
Sergei Kapterev
Eric Le Roy
Leslie Anne Lewis
Ron Magliozzi
Fereidoun Mahboubi
Alain Marchand
Annette Melville
Russell Merritt
Silvia Moras
Maud Nelissen
Johan Nordström
Irela Nuñez
Jan Olsson
Sunniva O’Flynn
Touve R. Ratovondrahety
David Robinson
Antonio Rodrigues
Kristin Thompson
Simone Venturini
Jon Wengström
Linda Williams
Tami M. Williams
Caroline Yeager
Laura Minici Zotti
Redazione / Edited by
Catherine A. Surowiec
Traduzioni / Translations by
Lenny Borger, Paolo Cherchi Usai, Aurora De Leonibus, Sonia Dose,
Andrea Filippi, Marina Mottin, Piera Patat, David Robinson,
Catherine A. Surowiec; Key Congressi, Trieste.
Copertina/Cover: Daigaku no wakadanna, Hiroshi Shimizu, 1933. (National Film Center, Tokyo)
Credits – Legenda: ad:adattamento/adaptation; anim: animazione/animation; assoc. prod: associate producer; asst: assistente/assistant; col: colore/colour;
co-prod: co-produzione/co-production; cost: costumi/costumes; des: designer; dial: dialoghi/dialogue; dir: direzione/director; dist: distribuzione/ distributor; ed: editor;
eff. sp: effetti speciali; exec. prod: executive producer; f: fotografia; fps: fotogrammi al secondo/frames per second; ft: piedi/feet; interv: intervistati/interviewees;
lg. or: lunghezza originale; m: metri/metres; mont: montaggio; mus: musica/music; narr: narrazione/narration; orig. l: original length; ph: cinematography; prod:
produzione/producer; prod. assoc: produttore associato; prod. asst: production assistant; prod. esec: produttore esecutivo; prod. mgr: production manager;
reg.ried: riedizione; rl: rulli/reel(s); scen: sceneggiatura/scenario/screenplay; scg: scenografia; sogg: soggetto; spec. eff: special effects; supv:
supervisione/supervisor; supv. tecn: supervisione tecnica; tech. supv: technical supervisor; v.c: visto di censura.
Presentazione / Introduction
Le Giornate del Cinema Muto – come quasi tutte le istituzioni e le manifestazioni culturali del mondo occidentale – sono state duramente colpite
dall’attuale crisi economica. Gli enti pubblici non sono più in grado di assicurare lo stesso sostegno dato in passato e i nostri ospiti già conoscono
gli effetti pratici di questa situazione: abbiamo dovuto aumentare la quota di accredito (che rimane tuttavia bassa rispetto a quella di gran parte
degli altri festival internazionali e al numero di film e iniziative in programma), siamo stati costretti a ridurre i giorni di ospitalità e a rinunciare
ancora a Film Fair. Inoltre quest’anno tutte le proiezioni avranno luogo in un’unica sede, la sala principale del Verdi. Ciò comporta degli svantaggi,
ma anche degli aspetti positivi perché non ci saranno film presentati in contemporanea e volendo (se si ha l’energia fisica sufficiente) si potrà
vedere tutto, senza dover compiere scelte laceranti.
Possiamo però affermare con grande soddisfazione che le ristrettezze economiche non hanno minimamente inciso sulla qualità del programma e
anche se sappiamo di fare ogni anno la stessa considerazione, siamo veramente convinti che quello del 2010 sia uno dei migliori di tutta la storia
delle Giornate, a cominciare dal folto numero di eventi speciali. Laura Minici Zotti, che da trent’anni è una delle figure di spicco nel campo delle
lanterne magiche, ha deciso di ritirarsi dalle scene per dedicarsi completamente al suo splendido Museo del Precinema di Padova ed ha scelto
proprio il nostro festival per tenervi lo spettacolo d’addio. La IX Jonathan Dennis Memorial Lecture sarà tenuta da Sir Jeremy Isaacs che, nella
sua veste di ideatore e primo direttore di Channel Four Television, è stato l’artefice di quell’età dell’oro della televisione britannica in cui ha visto
la luce la serie Hollywood di Kevin Brownlow e David Gill. Tutti gli appassionati di cinema muto del XXI secolo hanno quindi un debito di
riconoscenza nei confronti di Sir Jeremy. Jean Darling, con le sue canzoni e con i suoi ricordi di prima mano dell’epoca del muto, è ormai una
presenza irrinunciabile. Uno dei nostri ospiti più fedeli, Richard Williams, plurivincitore di premi Oscar, ci ha regalato la nuova sigla, realizzata con
l’animazione tradizionale – un disegno per ogni fotogramma. In tal modo Pordenone, unico fra tutti i festival mondiali, può vantare due sigle create
da animatori entrambi premiati con l’Oscar (John Canemaker ci ha fatto dono della sua nel 2008).
Un secondo regalo di Richard Williams è la proiezione in prima mondiale del suo ultimo film, Circus Drawings , la cui eccezionale vicenda produttiva
è descritte nelle pagine di questo stesso catalogo. Le Giornate si fregiano di altre due prime mondiali. Palace of Silents di Iain Kennedy ricostruisce
l’inquietante storia del Silent Movie Theatre di Los Angeles facendo una celebrazione del cinema muto che darà i brividi a tutti gli habitué del
festival. Première Passion di Philippe Baron cambia radicalmente le nostre idee sui primordi del cinema ricostruendo le intrepide avventure
di Sidney Olcott e dalla Kalem Company durante la realizzazione in Medio Oriente, nel 1911, di From the Manger to the Cross . Siamo inoltre
orgogliosi di presentare sei stimolanti riscoperte. A Thief Catcher (1914), ignorato per quasi un secolo, ci offre una breve ma già efficace
interpretazione di Charles Chaplin nelle sue prime settimane di attività agli studi Keystone. Upstream (1927), commedia di John Ford ambientata
nel mondo dello spettacolo, scoperta in Nuova Zelanda, riportata negli Stati Uniti e presentata un mese fa in anteprima all’Academy of Motion
Picture Arts and Sciences, ha ora la sua seconda proiezione a Pordenone. Die Waffen der Jugend, primo film di Robert Wiene, il regista di Caligari,
è stato scoperto di recente in una vecchia casa di Rotterdam, restaurato dall’EYE Film Institute di Amsterdam, e proiettato per la prima volta nel
quadro della Biennale EYE 2010. The Tonic, la terza comica di Elsa Lanchester, ritenuta perduta per ottant’anni, è stato ritrovata dalla Deutsche
Kinematek in una collezione di film amatoriali. Those Jersey Cowpunchers (1911), scoperto tra le collezioni della Archive Film Agency, è un esempio
frammentario ma unico nel suo genere di commento satirico d’epoca sulla migrazione dell’industria cinematografica in California. L’unico rullo
superstite del perduto Marizza di F.W. Murnau, recuperato negli anni Settanta e depositato presso la Cineteca Nazionale di Roma nel 2008, è stato
restaurato giusto in tempo per Pordenone 2010.
Nonostante l’austerità, le Giornate propongono anche alcuni notevoli eventi musicali dal vivo. In apertura, The Navigator di Buster Keaton,
accompagnato dalle improvvisazioni degli European Silent Screen Virtuosi. Lo spettacolare film della serata finale, scelto anche per celebrare il
centenario del campo di volo pordenonese La Comina, è Wings di William Wellman, con la partitura di Carl Davis eseguita dall’Orchestra
Mitteleuropea diretta da Mark Fitz-Gerald. Maud Nelissen ha curato gli accompagnamenti per pianoforte e archi di Rien que les heures di Cavalcanti
e di La Folie des vaillants , rarità di Germaine Dulac. Touve Ratovondrahety eseguirà la trascrizione per pianoforte della splendida partitura originale
composta da Henri Rabaud per Le Miracle des loups di Raymond Bernard. Domenica pomeriggio gli studenti di Sacile e Pordenone suoneranno per
un sestetto di antiche farse della Pathé e per There It Is di Charley Bowers. Due musicisti brasiliani, Angela Nagai e Gustavo Barbosa Lima,
accompagneranno No Rastro do Eldorado (Sulle tracce dell’Eldorado), un eccezionale documentario muto sulla foresta amazzonica.
Per quanto riguarda le rassegne vere e proprie, le due principali ci offriranno film muti dimenticati provenienti dal Giappone e dall’Unione
Sovietica. Il programma giapponese, per il quale ringraziamo il National Film Center di Tokyo e la casa di produzione Shochiku, è dedicato a tre
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maestri assai differenti tra loro che lavorarono per la Shochiku: Yasujiro Shimazu, Hiroshi Shimizu e Kiyohiko Ushihara. Quest’ultimo, attivo per
breve tempo nello studio di Charlie Chaplin, si considerò anche in seguito un allievo dello stesso Chaplin. Gli spettatori potranno vedere tutti i film
muti superstiti di ciascuno dei tre registi: segnaliamo che ognuna delle tre “personali” comprende un epico film di tre-quattro ore di lunghezza.
Il programma sovietico riguarda anch’esso tre registi, le cui carriere testimoniano degli svariati rischi che insidiavano il talento nell’impero
staliniano. Abram Room è un nome ben noto: un brillante regista di film muti la cui carriera si spense nella mediocrità dopo l’avvento del sonoro.
Una parabola opposta è quella compiuta da Mikhail Kalatozov, balzato a fama mondiale nel 1958 con Quando volano le cicogne; sarebbe stato però
necessario attendere ancora quasi trent’anni per vedere per vedere emergere dall’oscurità, cui li aveva condannati la censura sovietica, gli
splendidi film muti giovanili da lui girati in Georgia e che noi proietteremo al Verdi. Un altro georgiano, Lev Push, con cui Kalatozov instaurò una
creativa collaborazione cinematografica, iniziò la carriera registica nel migliore dei modi ma non realizzò alcun lungometraggio dopo il 1930
terminando il suo percorso professionale nell’oscurità girando cinegiornali in Siberia. Il programma è integrato dall’ottimo nuovo documentario di
Patrick Cazals Ouragan Kalatozov .
A inizio settimana, vengono proposti anche altri due film sovietici. Dopo il successo riscosso l’anno scorso da La casa sulla Trubnaja di Boris Barnet,
abbiamo ora un’altra graditissima sorpresa: La febbre degli scacchi , in cui Pudovkin utilizza abilmente il montaggio e l’effetto Kulesov per
trasformare il torneo internazionale di scacchi di Mosca e i campioni che vi partecipano in una commedia. Con l’insuperata Corazzata Potëmkin di
Eisenstein festeggiamo invece i 75 anni della londinese National Film Library, ora BFI National Archive. Con il Robin Hood di Douglas Fairbanks, in
una copia con i colori originali, ricordiamo invece un’altra istituzione settantacinquenne, il Dipartimento Film del Museum of Modern Art di new
York. Per una felice coincidenza storica, nei primi mesi del 1926 proprio questi due film si disputavano accanitamente il primo posto nella classifica
degli incassi ai botteghini di Mosca.
La seconda edizione del “Canone rivisitato” persegue ancora l’obiettivo di esplorare con freschezza di sguardo “film a lungo acclamati dai pionieri
della disciplina e ulteriormente promossi da coloro che ne hanno seguito le tracce”, offrendo a questi stessi film “un’altra possibilità di far sentire
la propria voce – nella forma il più possibile fedele a quella che li ha visti nascere - prima che essi entrino definitivamente a far parte della
sterminata galassia digitale che ci circonda”.
Les Archives françaises du film du CNC ci presentano, traendolo dalle proprie collezioni, un “dall’A alla Z” dei comici francesi attivi negli anni
precedenti la Grande Guerra; una serie di “Making of” ci consente invece di esplorare dall’interno, con vivido realismo, la lavorazione di alcuni dei
maggiori film francesi degli anni Venti, tra cui La Roue, Napoléon e La Fin du monde di Abel Gance. La sezione “Cinema delle origini” comprende
ulteriori tesori provenienti dall’apparentemente inesauribile collezione della famiglia Corrick; vedute del Madagascar realizzate nel 1898 dal pittore
francese Louis Tinayre e appena riscoperte; e una serie di film medici girati dallo psichiatra Vincenzo Neri tra il 1908 e il 1928. E c’è ancora
dell’altro in un programma che è davvero di alto livello: lo diciamo senza imbarazzo e senza presunzione, poiché il merito va non ai programmatori
delle Giornate, ma ai nostri amici e indispensabili sostenitori, gli archivi cinematografici internazionali e i collezionisti privati, che ci hanno messo
a disposizione i film e ci hanno donato il loro tempo e i frutti delle loro ricerche rendendo possibile questo festival.
I nostri pianisti “ufficiali” saranno quasi tutti in buca come al solito e ogni giorno lavoreranno anche con i tre dotati “allievi” delle Pordenone
Masterclasses, sempre più apprezzate per la loro capacità di aprire nuovi orizzonti all’interpretazione filmica. Il Collegium porterà in città dodici
nuovi giovani studiosi e appassionati di cinema muto, mentre uno dei collegians dell’anno scorso verrà scelto per l’annuale premio della Banca
Popolare FriulAdria al miglior Collegium Paper. Quella che vi aspetta è dunque una settimana intensa e noi siamo lieti di darvi il benvenuto!
L IVIO J ACOB , D AVID R OBINSON
We cannot pretend that the Giornate – along with almost every cultural event or institution in the Western world – has not been severely hit
by the current international economic crisis. Our public funders find themselves unable to support us at previous levels, while our operating
costs cannot be reduced. Our guests are already aware of this situation in very practical terms: we have had to raise the accreditation fee
(though it remains very low in comparison with most other international festivals and in relation to the number of shows we offer) and we are
obliged to be less generous in inviting guests. Once again there will be no Film Fair. In terms of the festival itself the shows this year must be
confined to a single venue, the main Verdi theatre. This is a mixed blessing: the days’ programmes will be long and demanding; but everyone
(with stamina enough) will be able to see everything: there are no competing films in different theatres, no teasing choices to be made.
Our great satisfaction is that the economies have in no single respect been allowed to impair the programmes. Indeed, though we find ourselves
saying the same every year, we believe that this year’s programme is one of our strongest ever. It is marked, for a start, by a number of notable
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special events. Laura Minici Zotti, one of the most prominent figures in the international magic lantern world for the past 30 years, has decided
to retire from performance, in order to concentrate on her exquisite museum of pre-cinema in Padua. She has honoured the Giornate by choosing
the festival as the venue for this historic Farewell Performance. This year’s Jonathan Dennis lecturer is Sir Jeremy Isaacs, who, as the first
head and architect of Channel Four Television was personally responsible for the golden age of British television – which made possible
Brownlow and Gill’s Hollywood and all that followed. Every 21st-century enthusiast of silent films is thus a debtor to Sir Jeremy. Jean Darling,
with her songs and unique first-hand memories of silent days, is now an indispensable presence. One of the Giornate’s most faithful guests, the
multi-Oscar-winning animator Richard Williams, has created a personal gift to the Giornate in the form of a new logo-trailer, with traditional
animation, every frame an individual drawing. This makes Pordenone unique among the world’s festivals in boasting two trailers, both by Oscarhonoured animators (John Canemaker donated his trailer in 2008).
A second gift from Richard Williams is the world premiere of his newest film Circus Drawings , whose exceptional production history is described
elsewhere in this catalogue. The festival boasts two other world premieres. Iain Kennedy’s Palace of Silents , relating the haunting story of the
Los Angeles Silent Movie theatre, is elevated to a celebration of silent film that must thrill any Pordenone habitué . Philippe Baron’s Première
Passion transforms our ideas of early film-making in recreating Sidney Olcott and the Kalem Company’s intrepid adventures to film From the
Manger to the Cross in the Middle East of 1911. As “re-premieres” we are proud to present six exciting rediscoveries. A Thief Catcher (1914),
unseen and unknown for almost a century, features a brief but already assertive performance by Charles Chaplin in his first weeks in the
Keystone studios. Upstream (1927), a backstage comedy by John Ford, was discovered in New Zealand and repatriated to the United States,
where it had its national re-premiere in September 2010 at the Academy of Motion Picture Arts and Sciences. Die Waffen der Jugend , the first
film of Robert Wiene, director of Caligari , was found recently in an old Rotterdam house, restored by EYE Film Institute Netherlands, and first
shown in the 2010 EYE Biennale. The Tonic , the third of the Elsa Lanchester comedy shorts, for 80 years thought lost, was found by the Deutsche
Kinematek in a collection of home movies. Those Jersey Cowpunchers (1911), discovered in the Archive Film Agency’s collections, is a
fragmentary but unique contemporary comment on the movies’ migration to California. A single surviving reel of F.W. Murnau’s lost Marizza has
been restored by the Cineteca Nazionale after lying forgotten in another museum for 30 years.
Despite austerities the Giornate still offers some notable live musical events. The opening feature is Buster Keaton’s The Navigator , with
accompaniment by the improvisational European Silent Screen Virtuosi. The spectacular final night event is William Wellman’s Wings , with Carl
Davis’s score performed by Mark Fitz-Gerald and the Orchestra Mitteleuropea. This performance is in part designed to commemorate the
centenary of Pordenone’s local airport, at Comina. Maud Nelissen creates a trio accompaniment for a double-bill of Cavalcanti’s Rien que les
heures and Germaine Dulac’s little-seen La Folie des vaillants . Touve Ratovondrahety will perform the piano transcription of Henri Rabaud’s
superb original score for Raymond Bernard’s Le Miracle des loups . For the fourth time school-children musicians of Sacile and Pordenone will
accompany a Sunday afternoon programme of comedies, this year Charley Bowers’ There It Is and a sextet of early Pathé farces. Two Brazilian
musicians, Angela Nagai and Gustavo Barbosa Lima, will accompany No Rastro do Eldorado (In the wake of Eldorado), one of two remarkable
programmes of silent documentaries on the Amazon.
Turning to the programme proper, the two main presentations offer little-known silent films from Japan and the Soviet Union. The Japanese
programme, which we owe to the generosity of the National Film Center, Tokyo and the Shochiku Company, is devoted to three very different
masters who worked for Shochiku – Yasujiro Shimazu, Hiroshi Shimizu, and Kiyohiko Ushihara, who had worked briefly in the Chaplin studio,
and ever afterwards regarded himself as Chaplin’s disciple. In each case guests will see the director’s entire surviving silent films: each oeuvre ,
we should mention, includes one epic production of three to four hour’s length. The Soviet programme also features three directors, whose
careers illustrate the various hazards that lay in wait for talent in Stalin’s empire. Abram Room is a well-known name – a silent director of
brilliance whose career faded into mediocrity in the sound era. In a reversal of this trajectory, Mikhail Kalatozov leapt to world-wide acclaim
with The Cranes Are Flying in 1958, though it was to be almost three more decades before the brilliant silent films of his youth in Georgia,
which we are now showing, were permitted to emerge from the obscurity of Soviet censorship and disapproval. A fellow-Georgian, Lev Push,
with whom Kalatozov collaborated creatively as cinematographer, started his directorial career with brilliance, but made no features after 1930,
and ended his career obscurely in the Siberian newsreel studios. The programme is complemented by Patrick Cazals’ fine new documentary
Hurricane Kalatozov .
Two more Soviet films figure in the festival. Following the success last year of Barnet’s The House on Trubnaya , we have another unexpected
treat, Chess Fever , in which Pudovkin skilfully uses montage and the Kuleshov Effect to transform the international Moscow chess championship
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and its stars into the stuff of comedy. Eisenstein’s unsurpassed Battleship Potemkin is shown as part of a special tribute to the 75th anniversary
of the founding of the National Film Library (now the BFI National Archive). The contemporaneous 75th anniversary of the Museum of Modern
Art Film Department is celebrated with a showing of a newly tinted print of Douglas Fairbanks’ Robin Hood . By a nice historical coincidence,
these two films were head to head as the hits of the Moscow box office in early 1926.
The second edition of “The Canon Revisited” pursues its aim of taking a fresh look at “films, hailed as cornerstones by the pioneers of our field
and further promoted by their successors”, giving these films “another opportunity to speak to us, in a form as close as possible to the way in
which they were originally created, before they enter the digital domain once and for all”. Les Archives françaises du film du CNC are presenting
from their own collections an “A to Z” of French comedians of the years before the First World War. A series of “Making of…” films gives vivid
insights into the making of several major French productions of the 1920s, including Gance’s La Roue , Napoléon , and La Fin du monde . The
“Early Cinema” section of the festival brings two further programmes from the seemingly inexhaustible riches of the Corrick family collection;
the newly discovered 1898 Madagascan views by the French painter Louis Tinayre; and a collection of medical films shot by the psychiatrist
Vincenzo Neri between 1908 and 1928. And more…
It is a remarkable programme – and we can say this without embarrassment or boasting, because the credit is due not to the Giornate
programme team, but primarily to our friends and essential supporters the international film archives, as well as private collectors, who have
generously given their time, research, and films to make the festival possible.
Most of our resident musicians will be in place as usual, and will work daily with three gifted guest pianists in the Pordenone Masterclasses,
recommended as one of the best shows in town and a remarkable insight into film interpretation. The Collegium will bring to Pordenone twelve
new young scholars and enthusiasts of silent film; and one of last year’s collegians will be selected for the annual Award presented by the
Banca Popolare FriulAdria, for the year’s best Collegium Paper. Welcome to a busy week! – L I V I O J A C O B , D AV I D R O B I N S O N
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Premio Jean Mitry / The Jean Mitry Award
Fin dalla loro nascita, avvenuta nel 1982, le Giornate del Cinema Muto hanno prestato una speciale attenzione al tema del restauro e della
salvaguardia dei film. Nell’intento di approfondire questa direzione di ricerca, nel 1986 la Provincia di Pordenone ha istituito un premio
internazionale che viene assegnato a personalità o istituzioni che si siano distinte per l’opera di recupero e valorizzazione del patrimonio
cinematografico muto. Nel 1989 il premio è stato dedicato alla memoria di Jean Mitry, primo presidente onorario delle Giornate.
From its beginnings in 1982, the Giornate del Cinema Muto has been committed to supporting and encouraging the safeguard and restoration of
our cinema patrimony. With the aim of encouraging work in this field, in 1986 the Province of Pordenone established an international prize, to
be awarded annually to individuals or institutions distinguished for their contribution to the reclamation and appreciation of silent cinema. In
1989 the Award was named in memory of Jean Mitry, the Giornate’s first Honorary President.
I vincitori dell’edizione 2010 sono / This year’s recipients are
A N D R É G A U D R E A U LT & R I C C A R D O R E D I
Vincitori delle edizioni precedenti / Previous winners
2009 Maud Linder & Les Amis de Georges Méliès
2008 Laura Minici Zotti & AFRHC
2007 John Canemaker & Madeline Fitzgerald Matz
2006 Roland Cosandey & Laurent Mannoni
2005 Henri Bousquet & Yuri Tsivian
2004 Marguerite Engberg & Tom Gunning
2003 Elaine Burrows & Renée Lichtig
2002 Hiroshi Komatsu & Donata Pesenti Campagnoni
2001 Pearl Bowser & Martin Sopocy
2000 Gian Piero Brunetta & Rachael Low
1999 Gösta Werner & Arte
1998 Tatjana Derevjanko & Ib Monty
1997 John & William Barnes & Lobster Films
1996 Charles Musser & L’Immagine Ritrovata
1995 Robert Gitt & Einar Lauritzen
1994 David Francis & Naum Kleiman
1993 Jonathan Dennis & David Shepard
1992 Aldo Bernardini & Vittorio Martinelli
1991 Richard Koszarski & Nederlands Filmmuseum
1990 Enno Patalas & Jerzy Toeplitz
1989 Eileen Bowser & Maria Adriana Prolo
1988 Raymond Borde & George C. Pratt
1987 Harold Brown & William K. Everson
1986 Kevin Brownlow & David Gill
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In ricordo di Jonathan Dennis / The Jonathan Dennis Memorial Lecture
Per ricordare Jonathan Dennis (1953-2002), che ha fondato e diretto per anni il New Zealand Film Archive, le Giornate organizzano ogni anno una
conferenza a lui dedicata, chiamando a parlare personalità il cui lavoro contribuisce allo studio e alla valorizzazione del cinema muto.
Jonathan Dennis era un archivista esemplare, un paladino della cultura del suo paese, la Nuova Zelanda – con una profonda consapevolezza del
ruolo del popolo indigeno dei Maori, e soprattutto era una persona di eccezionali dote umane.
In 2002 the Giornate del Cinema Muto inaugurated this annual lecture in commemoration of Jonathan Dennis (1953-2002), founding director of the
New Zealand Film Archive. Jonathan Dennis was an exemplary archivist, a champion of his country’s culture – particularly of Maori, the indigenous
people of New Zealand – and above all a person of outstanding human qualities.
The lecturers are selected as people who are pre-eminent in some field of work associated with the conservation or appreciation of silent cinema.
THE JONATHAN DENNIS MEMORIAL LECTURE 2010
La conferenza in ricordo di Jonathan Dennis viene tenuta quest’anno da Sir Jeremy Isaacs. Fra le grandi personalità pubbliche, egli è colui che ha dato una
spinta determinante al movimento che ha riportato in vita il cinema muto, originando fenomeni come le stesse Giornate.
Solo il suo entusiasmo e la sua energia hanno reso possibile un programma rivelatore come Hollywood di Kevin Brownlow e David Gill, che a sua volta ha
portato alla storica proiezione di Napoléon all’Empire Theatre di Londra, dove per la prima volta dagli anni ’20 un film muto veniva proposto con un grande
accompagnamento orchestrale. Quest’anno segna il trentesimo anniversario di quell’evento chiave nella riscoperta e rinascita dei silents.
Il contributo dato da Sir Jeremy al cinema muto non è che una piccola parte di quanto egli fa da sempre per la cultura britannica. In mezzo secolo di
televisione – dalla Granada degli anni ’50 alla CNN di Turner fino a Sky di Murdoch – egli non ha mai rinnegato la sua convinzione (affatto convenzionale) che
la televisione possa essere intelligente, possa svolgere un servizio pubblico e possa credere nel proprio pubblico e rispettarlo. Gli anni che lo hanno visto alla
guida di Channel 4 da lui fondata (1981-1987) sono ora considerati l’epoca d’oro della televisione britannica. La Gran Bretagna sarebbe stata diversa se nel
1987 la BBC non avesse perso l’opportunità di nominarlo direttore generale: egli andò invece a dirigere la Royal Opera House di Covent Garden, dove rimase
fino al 1996.
Kevin Brownlow rievoca qui di seguito la sua esperienza di lavoro con Sir Jeremy.
Essendo il classico filmmaker pieno di pregiudizi nei confronti della televisione, nei primi anni ’70, quando iniziò The World at War, non possedevo nemmeno
un apparecchio televisivo. Mia moglie ed io fummo costretti ad approfittare degli amici per vedere ogni episodio – 26 in tutto. Così, quando la serie venne
replicata, comperai un piccolo portatile in modo da poterla rivedere. Rimasi ancor più colpito e scrissi una lettera a colui che aveva ideato e prodotto la serie,
Jeremy Isaacs. Egli, che era intanto diventato resposabile della programmazione della Thames TV, mi invitò nel suo ufficio. Venne fuori che al momento di
accommiatarsi dai membri della troupe, aveva regalato loro una copia del mio libro The Parade’s Gone By… “Secondo me, lì dentro c’è una bella serie”, mi
disse. Non fa per me, pensai. Ma mia moglie mi persuase ad accettare quell’incredibile opportunità.
Jeremy aveva in mente una storia di Hollywood dagli esordi fino al presente, ma aveva fatto i conti senza la Fox, che in California, qualche settimana dopo
annunciò una serie analoga. Allora si decise di puntare sul muto. Mi fu chiesto se volevo produrre la serie, e non sapendo nulla di televisione, e ancor meno
di produzione, risposi di no. Come partner mi venne dato David Gill, e fu una scelta ispirata. Era il nipote del grande artista, scultore e tipografo Eric Gill.
Inoltre, a scuola, durante la guerra, David era stato incaricato di proiettare film muti e di scegliere la musica con cui accompagnarli. Un perfetto addestramento
per Hollywood.
David ed io convincemmo Jeremy a farci da consulente creativo, così ogni mese veniva in sala montaggio a ispezionare i nostri montaggi provvisori. Senza le
sue visite credo che saremmo ancora a rimontare. Era talmente entusiasta! Alzava il morale a tutti noi. Ed era anche deciso. “Quello non vi serve, quella
sequenza è impagabile, pensavate veramente che avrebbe funzionato?” Jeremy strappò la prima stesura del mio commento e mi insegnò il valore della brevità.
Da allora ogni volta che scrivo un testo, sento una voce scozzese che protesta: “No, no, no, veramente troppo lungo! Taglia, taglia, taglia.”
Egli incaricò di lavorare con noi uno degli elementi più preziosi di The World at War, l’autore dell’indimenticabile tema musicale, Carl Davis. Che gioia quando
Carl abbassò la bacchetta e una grande orchestra si lanciò nell’esecuzione del suo tema per Ben-Hur.
Quando Hollywood fu completato, David e Carl pensarono che fosse una buona idea riportare in sala i film muti, con accompagnamento orchestrale dal vivo.
Il primo titolo suggerito fu Broken Blossoms (1919), ma il produttore della Thames lo bollò come “sentimentale”. Il secondo Napoléon (1927), fu presentato,
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nell’ambito del London Film Festival, all’Empire di Leicester Square con l’emozionante trittico proiettato su tre schermi. Mentre usciva dalla sala affollata,
Jeremy disse: “Se questo film non andrà su Channel 4, non ci sarà un Channel 4.”
David Gill ed io continuammo la nostra collaborazione e i nostri documentari sui film muti fino al 1990, quando la Thames chiuse e noi fondammo con Patrick
Stanbury la Photoplay Productions. Jeremy ci sostenne commissionandoci lavori per Channel 4. David purtroppo è morto nel 1997 – ma la sua società continua
nella stessa tradizione. La tradizione di Jeremy Isaacs. Ecco, ora sento un’autorevole voce scozzese che mi dice brontolando: “Taglia taglia taglia!”
This year’s Jonathan Dennis lecturer is Sir Jeremy Isaacs, probably the single most important public figure in giving the first possibility and impetus to the
movement to bring silent cinema back to life, which has resulted in phenomena like the Giornate itself.
Only his enthusiasm and energy made possible Kevin Brownlow and David Gill’s revelatory Hollywood series, which in turn led to the historic performance of
Napoléon at London’s Empire Theatre, the first great orchestral performance of a silent film since the 1920s. This year marks the 30th anniversary of that key
event in the rediscovery and resurrection of silent cinema.
Sir Jeremy’s contribution to silent cinema represents only one small facet of his life-long contribution to British culture. Throughout half a century in television
– from 1950s Granada to Turner’s CNN and Murdoch’s Sky – he has never compromised his (far from conventional) view that television can be intelligent,
can fulfil public service, and may trust and respect its audiences. His years as founding chief executive of Channel 4 (1981-1987) are now seen as British
television’s golden age. Britain would have been a different place if the BBC had not missed its chance to make him Director General in 1987: instead he
became General Director of the Royal Opera House, Covent Garden, a post he held until 1996.
Kevin Brownlow recalls the experience of working with Sir Jeremy:
Having the usual prejudice of the film-maker against television, I didn’t even own a TV set in the early 1970s when The World at War began. My wife and I
had to impose on friends in order to see each episode – 26 of them. So when the series was repeated, I invested in a small portable. A second viewing left
me even more impressed, and I wrote a letter to the man who had conceived and produced the series, Jeremy Isaacs. He was now Director of Programmes
at Thames TV and invited me to his office. It turned out that as a farewell gesture, he had given members of the crew a copy of my book The Parade’s Gone
By… “And I think there is a series in it,” he said. No chance, I thought. My wife persuaded me that this was an incredible opportunity.
Jeremy had in mind a history of Hollywood from the beginning to the present, but he reckoned without Fox, in California, who announced an identical series
a few weeks later. The emphasis then fell upon the silent era. I was asked if I wanted to produce the series, and knowing nothing about television, and even
less about producing, I said no. As my partner I was given David Gill, an inspired choice. He was the nephew of the great artist, sculptor, and typographer
Eric Gill. Furthermore, at his school during the war, David had had the job of projecting and selecting the music for the silent films that were regularly shown.
Perfect training for Hollywood.
David and I persuaded Jeremy to act as our creative consultant, and every month he came in to the cutting room to inspect our rough cuts. Without these
visits, I think we’d still be recutting them. He was so enthusiastic! He raised the morale of everyone working on the project. And he was so decisive. “You
don’t need that – that sequence is priceless – did you really think that would work?” Jeremy tore through my first attempt at a commentary and taught me
the value of brevity. For every commentary I have written since, I have heard a Scottish voice protesting: “No, no, no, far too long! Cut, cut, cut.”
Jeremy had assigned to us one of the jewels of The World at War – the man who had written its unforgettable theme, Carl Davis. Among the most exciting
moments of our production was when Carl lowered his baton and a large orchestra burst into his theme for Ben-Hur (1925).
When Hollywood was complete, David and Carl thought it would be a fine idea to put silent films back into the theatre, accompanied by live orchestra. Their
first choice was Broken Blossoms (1919), but the producer at Thames dismissed it as “corny”. Their next suggestion was Napoléon (1927). This was presented
with its three-screen climax as part of the London Film Festival at the Empire Leicester Square. As he emerged from the crowded auditorium, I remember
Jeremy saying, “If this film isn’t on Channel 4, there won’t be a Channel 4.”
David Gill and I continued our partnership and our documentaries on silent films until 1990, when Thames went out of business and we started Photoplay
Productions with Patrick Stanbury. Jeremy kept the company going with commissions for Channel 4. Alas, David died in 1997 – but his company continues
in the same tradition. The Jeremy Isaacs tradition.
I now hear an authoritative Scottish voice growling “Cut cut cut!”
Precedenti relatori/Previous Lecturers: Neil Brand (2002), Richard Williams (2003), Peter Lord (2004), Donald Richie (2005), Michael Eaton (2006), John Canemaker
(2007), Eileen Bowser (2008), Edith Kramer (2009).
9
Collegium 2 0 10
Giunto alla dodicesima edizione, il Collegium prosegue sui binari stabiliti, anche se speriamo che metodo e risultati evolvano spontaneamente ogni
anno. Ai 12 candidati ammessi si sono aggiunti svariati associates volontari. Gli obiettivi del Collegium rimangono immutati: avvicinare le nuove
generazioni alla scoperta del cinema muto e far sì che le nuove leve possano diventare parte di quella comunità unica nel suo genere che si è
formata in quasi tre decenni di Giornate. Si cerca soprattutto di trarre vantaggio dalle peculiari caratteristiche del festival: un evento concentrato
nell’arco di una settimana; la possibilità di vedere un’infinità di rare copie d’archivio; la presenza nello stesso luogo e nello stesso periodo di
molti (forse della maggior parte) tra i più qualificati esperti mondiali di storia del cinema – studiosi, storici, archivisti, collezionisti, critici,
docenti universitari e semplici appassionati. Scartato il tradizionale approccio da “scuola estiva” con un programma di insegnamento formale, si
è preferito tornare ad un concetto fondamentalmente classico dello studio, in cui l’impulso è dato dalla curiosità e dalla volontà di sapere degli
studenti. Le sessioni giornaliere non si presentano quindi come lezioni formali o gruppi di studio, ma piuttosto come “dialoghi” nel senso
platonico, con i collegians che siedono accanto a esperti di diverse discipline. I dialoghi mirano non soltanto a stimolare lo scambio di
informazioni e conoscenze, ma anche a favorire i contatti interpersonali, cosicché le “reclute” non siano intimidite dagli “habitués”, ma possano
agevolmente accostarli per ulteriori approfondimenti e discussioni.
Per focalizzare la propria ricerca, i membri del Collegium collaborano alla produzione di una serie di testi su temi emersi o innescati
dall’esperienza della settimana. Ognuno dei partecipanti si impegna a scrivere un saggio la cui fonte principale dev’essere costituita dal
programma delle Giornate o da interviste e conversazioni con gli studiosi e gli esperti presenti al festival. Deve insomma trattarsi di un
elaborato che non si sarebbe potuto redigere senza partecipare alle Giornate.
In its 12th edition, the Collegium follows its established plan, though we hope that every year brings some natural evolution in method
and results. The 12 invited “scholarship” collegians are now augmented by an undefined number of voluntary associate collegians. The
Collegium’s aims remain unchanged: to attract new, young generations to the discovery of silent cinema, and to infiltrate these newcomers
into the very special community that has evolved around the Giornate during its nearly three decades. It is designed to take advantage of
the unique conditions of the Giornate – a highly concentrated one-week event; the possibility to see an extensive collection of rare
archival films; the presence in one place and at one time of many (perhaps most) of the world’s best qualified experts in film history –
scholars, historians, archivists, collectors, critics, academics, and just plain enthusiasts. Rejecting the conventional “summer school” style
of a formal teaching programme, the Collegium returns to a fundamental, classical concept of study, in which the impetus is the students’
curiosity and inquiry. Instead of formal lectures and panels, the daily sessions are designed as “Dialogues”, in the Platonic sense, when
the collegians sit down with groups of experts in various disciplines. The Dialogues are designed not just to elicit information and
instruction, but to allow the collegians to make direct personal and social connection with the Giornate habitués and to discover them as
peers whom they can readily approach, in the course of the week, for supplementary discussion.
To focus their inquiry, the members of the Collegium collaborate on the production of a collection of papers on themes emerging from or
inspired by the experience of the week. Each collegian is required to contribute an essay, and the criterion is that the principal source
must be the Giornate programme, or conversation and interviews with the scholars and experts to whom the week facilitates access. It
has to be, in short, a work that could not have been produced without the Giornate experience.
Il programma dei dialoghi 2010 è il seguente / The programme for the 2010 Collegium Dialogues is:
Sabato/ Saturday 2
17:30 - Sessione speciale per i soli collegiali / Special session open only to Collegians – Introduzione al Collegium: le
“regole del gioco” / Introduction to the Collegium: The Rules of the Game
Domenica/ Sunday 3
I tre maestri della Shochiku / The Three Masters of Shochiku
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Lunedì/ Monday 4
Percezione o suggestione? Contributi a un mini-dizionario del restauro cinematografico: 1. Grana fotografica e pixel
Perception or Suggestion? Towards a Concise Dictionary of Film Preservation: 1. Grains and Pixels
Martedì/ Tuesday 5
Le prime commedie francesi: fra personaggi e maschere comiche / Early French Comedies: Clowns and Characters
Mercoledì/ Wednesday 6
Contare i fotogrammi: le velocità di proiezione dei film muti / Counting Frames: Running Speed for Silents
Giovedì/ Thursday 7
I film non sono mai stati muti: come cambia la sfida dell’accompagnamento musicale
Films Were Never Silent: The Changing Musical Challenge
Venerdì/ Friday 8
Carriere stroncate: Kalatozov e Push / Suppressed Careers: Kalatozov and Push
Sabato/ Saturday 9
Sessione speciale per i soli collegiali / Special session open only to Collegians
Uno sguardo retrospettivo su Pordenone, sessione conclusiva del collegium: per un piano d’azione.
Pordenone Retrospect and Collegium Wrap-Up Session: An Action Plan.
I DIALOGHI SI TENGONO OGNI GIORNO DALLA DOMENICA AL VENERDÌ, ALLE ORE 13:00, NELLA SALETTA INCONTRI CONVENTO DI SAN FRANCESCO.
TUTTI GLI OSPITI DEL FESTIVAL POSSONO PRENDERVI PARTE. / THE DIALOGUES WILL BE HELD DAILY AT 13:00, FROM SUNDAY TO FRIDAY, AND ARE
OPEN TO ALL FESTIVAL GUESTS. ALL SESSIONS WILL TAKE PLACE IN THE SALETTA INCONTRI CONVENTO DI SAN FRANCESCO.
11
The 2 0 10 Pordenone Masterclasses
Giunte all’ottava edizione, le Masterclasses per l’accompagnamento dei film muti hanno acquisito una reputazione internazionale per il contributo davvero
unico dato a un campo musicale molto specialistico e già ci sono dei progetti per sviluppare l’idea in altri centri. Le lezioni sono aperte agli ospiti del
festival, per cui costituiscono uno dei pezzi forti del programma. In particolare aprono nuovi orizzonti all’interpretazione filmica. Un musicista di cinema
esige e sviluppa una capacità di penetrare il contenuto, la psicologia, la struttura di un film molto più acuta degli altri, ed è questo che i nostri pianisti
cercano di trasmettere nel corso delle lezioni, risultando illuminanti anche per gli studiosi più sofisticati.
Il primo obiettivo delle Masterclasses è quello di raffinare e sviluppare la tecnica dei giovani artisti che vogliono cimentarsi con il cinema muto e per
questo siamo alla costante ricerca di candidati idonei.
I musicisti invitati quest’anno sono l’irlandese Elaine Brennan, dotata accompagnatrice e improvvisatrice, che si è però avvicinata al cinema solo in
quest’ultimo anno; Judith Rosenberg, ammirata accompagnatrice di musica da danza e con una lunga esperienza nel campo del cinema muto, eppure
desiderosa di condividere e sviluppare la propria tecnica in un contesto come le Masterclasses; Yvo Verschoor, la cui attività nella natia Olanda poggia
su una vasta conoscenza del cinema, della musica per film e della preistoria cinematografica.
Donazione Otto Plaschkes I costi del soggiorno a Pordenone dei candidati prescelti per le Masterclasses sono sostenuti con la donazione Otto
Plaschkes. Quando questo creativo produttore del cinema britannico di origine austriaca morì nel 2005, un gruppo di amici costituì un fondo da versare
alle Giornate in suo ricordo. Visto che la passione più grande di Otto era la musica e che egli era rimasto affascinato dall’attività svolta dal festival in
campo musicale, la donazione Otto Plaschkes è stata destinata alle Masterclasses con l’entusiastica approvazione della vedova, Louise Stein.
Now in their eighth year, the Pordenone Masterclasses in silent film accompaniment have today a world-wide reputation for their unique contribution to
this very specialized field of music, and there are already plans to extend the idea to other centres. They are open to festival guests, who are discovering
that the Masterclasses provide one of the best shows in town. In particular they offer new insights into film interpretation. The best film musicians, as
we discover, require and develop a much deeper insight into the film’s content, psychology, and structure than the rest of us, and our musicians
collaborate to impart something of this, in the course of the masterclass sessions, in a way that is illuminating even to the most sophisticated film
scholars.
The first aim of the masterclasses is to refine and develop the technique of young artists embarking on film accompaniment, and we are always in search
of likely candidates.
This year’s Masterclass guests are Elaine Brennan, from Ireland, a gifted accompanist and improviser who has nevertheless only turned to film
accompaniment in the past year; Judith Rosenberg, one of America’s most admired dance accompanists and with long experience in film
accompaniment, who nevertheless wishes to share and develop her technique in the masterclass situation; and Yvo Verschoor, whose work in his native
Holland is underpinned by scholarship in film, film music, and cinema prehistory.
The Otto Plaschkes Gift The residence of the Masterclass participants in Pordenone is supported by the Otto Plaschkes Gift. When the Austrian-born
Otto Plaschkes, one of Britain’s most imaginative film producers, died in 2005, a group of his friends contributed to a fund to be donated to the Giornate
in his memory. Otto’s passion – after film – was music, and he was particularly fascinated by the musical work of the Giornate, so it seemed appropriate
to dedicate the Otto Plaschkes Gift to sustaining the Masterclasses, with the enthusiastic collaboration of Otto’s widow, Louise Stein.
N EI L B RAN D , D AVI D R O BI NSO N
Le Masterclasses si terranno ogni giorno da lunedì a venerdì presso l’Auditorium della Regione. L’accesso è libero per tutti gli accreditati.
The Masterclasses will be held daily from Monday to Friday, in the Auditorium della Regione (Via Roma, 2), and are open to all guests.
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Daigaku no wakadanna, Hiroshi Shimizu, 1933. (National Film Center, Tokyo)
Buster Keaton in The Navigator, 1924.
Se ra t a i na u g ur a le / Op e ni ng N igh t
P r ima mo nd i a le / Wo rl d Pr em ie r e
CIRCUS DRAWINGS (Richard Williams, GB 2010)
Regia/dir., anim: Richard Williams; prod: Imogen Sutton; mont./ed:
Don Fairservice; f./ph: Charles Pithers, Graham Orrin; anim. camera:
John Leatherbarrow; mus: Richard Rodney Bennett, diretta
da/conducted by John Carewe; 35mm, 796 ft., 8'51" (24 fps); fonte
copia/print source: Richard Williams.
Didascalie in inglese / English intertitles.
lo sfilarsi di un vestito – sono un esempio di tradizionale
animazione manuale, quale forse non vedremo mai più; ma chi è
sensibile alla poesia e alla magia non può chiedere di meglio.
Circus Drawings verrà distribuito in versione sonora, con la
partitura composta da Richard Rodney Bennett nel 1965. Solo per
quest’occasione, tuttavia, Richard Williams ha voluto che fosse
proiettato come un “film muto” e ha chiesto a Maud Nelissen di
accompagnarlo al pianoforte dal vivo. – DAVID ROBINSON
One of our most faithful and distinguished regular guests, the multiOscar-winning animator Richard Williams, with his producer
Imogen Sutton, has honoured this year’s Giornate by giving us the
world premiere screening of his most recently completed film.
He has always insisted that the silent cinema is a profound influence
on the animator’s work, and it is gratifying to think that the
Giornate experience may in some small degree have stirred his
decision to return to Circus Drawings.
Circus Drawings has an unusual production history – hence the
phrase “most recently completed film”. As the opening intertitles
explain:
“In 1953 I was a young artist of twenty, living in Spain near a village
circus, where I drew the acrobats, clowns and onlookers.
“Twelve years later I filmed my drawings to an original score but
didn’t complete the film.
“Now that I’m 77, I’ve finished the film by animating my original
drawings.”
The result is an extraordinary adventure in time. The artist
encounters his young, adventuring self. The circus artists of more
than half a century ago – where can they be now? – are brought
back to life, athletic or absurd, luminous.
The film begins with a montage of the 1953 drawings, revealing that
the quality of draughtmanship that distinguishes Williams from
other animators was already intact from the beginning. A camera
could not read these strangers’ eyes as the drawings do, as timeless
and unpretentious as Old Masters.
Halfway, the film turns to colour, and now the older artist takes
over, bringing decades’ seniority of experience, and the legacy of
working with the Disney masters. These glimpses, the sketches
animated – a bird taking flight, acrobats, athletes, and clowns, a
rope-walker momentarily faltering, trousers falling, a baby
embraced, a dress pulled over the shoulders – represent traditional,
hand-crafted animation the like of which we may not see again. For
those with an eye for poetry and magic, this is it.
On release, the film will be shown with sound, with Richard Rodney
Bennett’s 1965 score. However, uniquely for this performance,
Richard Williams wishes to screen the film as a “silent”, with live
piano accompaniment by Maud Nelissen. – DAVID ROBINSON
Accompagnamento/Musical accompaniment: Maude Nelissen (piano).
Uno dei nostri ospiti più fedeli e prestigiosi, Richard Williams,
plurivincitore di premi Oscar per il cinema di animazione, d’intesa
con la sua produttrice Imogen Sutton, ha concesso alle Giornate
2010 l’onore della prima proiezione mondiale dell’ultimo film da lui
completato.
Egli ha sempre affermato che il cinema muto esercita una profonda
influenza sul lavoro dell’animatore ed è confortante pensare che
l’esperienza delle Giornate possa averlo in qualche modo stimolato
a riprendere in mano Circus Drawings.
È questo un film che ha un’insolita storia produttiva, per questo
sono ricorso qui sopra alla definizione di “ultimo film da lui
completato”.
Si legge nelle didascalie iniziali:
“Nel 1953 ero un giovane artista ventenne, vivevo in Spagna nei
pressi del circo di un paese e ne disegnavo gli acrobati, i clown e gli
spettatori.
Dodici anni più tardi filmai i miei disegni con un accompagnamento
musicale originale, ma non portai a termine il lavoro.
Ora, a 77 anni, ho completato il film animando i miei disegni
originali.”
Il risultato è una straordinaria avventura nel tempo. L’artista
incontra un se stesso giovane e avventuroso; gli artisti del circo di
oltre mezzo secolo fa – dove saranno ora? – ritornano in vita
atletici o assurdi, luminosi.
Il film comincia con un montaggio dei disegni del 1953, da cui
emerge come la qualità del disegno che distingue Williams dagli
altri animatori fosse presente fin dall’inizio. Una cinepresa non
potrebbe leggere in questi occhi stranieri con l’efficacia dei disegni,
che hanno la semplicità senza tempo degli antichi maestri. A metà
pellicola il film passa al colore e a questo punto l’artista,
invecchiato, prende la guida, recando con sé l’esperienza di parecchi
decenni e il retaggio della collaborazione con i maestri della Disney.
Questi brevi scorci di scenette animate – un uccello che prende il
volo, acrobati, atleti e clown, un equilibrista che vacilla per un
attimo sulla fune, pantaloni che cascano, l’abbraccio a un bambino,
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EVENTI SPECIALI
SPECIAL EVENTS
Eventi speciali / Special Events
passo o ricordarne la sequenza. Allo stesso tempo, è tutto
organizzato con abilità drammatica totale e il personaggio di Rollo è
sviluppato in modo logico e completo.
A livello tecnico e meccanico, The Navigator è una delle pellicole di
Keaton più elaborate. In The Parade’s Gone By di Kevin Brownlow,
egli descrive la difficoltà di realizzare le scene subacquee, girate sul
lago Tahoe dopo che era stata distrutta una piscina e che il mare
dell’isola di Catalina era risultato nebbioso per via dell
accoppiamento dei pesci. Mentre recitava, Keaton doveva anche
maneggiare il contenitore della macchina da presa per due persone
che stava sott’acqua e che veniva raffreddato all’interno con del
ghiaccio per impedire l’appannamento dei vetri. “Potevo stare là
sotto solo per una trentina di minuti perché l’acqua fredda ti entra
nelle reni. Dopo mezz’ora cominci a intirizzirti e ti viene voglia di
risalire e uscire da lì. Ci ho messo un mese a girare quella scena.”
Lo scafandro da palombaro si rivelò un accessorio di eccezionale
convenienza. Mai per un momento si dubita su chi si muove lì dentro,
su gambette corte e scattanti e rigide braccia che sporgono a fare
mille cose. Christopher Bishop ha messo in evidenza la straordinaria
capacità che ha Keaton di farci vedere lo scafandro di Rollo – che pure
già conosciamo – con lo stesso stupore dei cannibali.
Di tutte le eroine di Keaton, Kathryn McGuire in The Navigator e
Marion Mack in The General hanno i ruoli più positivi. L’intreccio
richiede loro una maggior partecipazione, visto che si trovano sole
con il protagonista, e in ogni caso le due ragazze sono insolitamente
affascinanti e divertenti. Kathryn McGuire ha lo stesso dolce
stordimento di Marion Mack: quando i naufraghi vogliono attirare
l’attenzione di una nave di passaggio, lei alza la bandiera più carina che
riesce a vedere e che risulta essere il segnale per la quarantena.
L’accompagnamento musicale è a cura degli European Silent Screen
Virtuosi, un gruppo di improvvisatori che si sono messi insieme per
la prima volta al Bristol Slapstick Festival del 2010. – DAVID ROBINSON
Se ra ta in a ug u r al e / Op en in g Ni ght
Eve n to mu si ca l e / M u si cal Ev e nt
THE NAVIGATOR (Metro Pictures Corp./Buster Keaton
Productions, US 1924)
Regia/dir: Buster Keaton, Donald Crisp; prod: Joseph M. Schenck;
scen: Clyde Bruckman, Joseph Mitchell, Jean Havez; f./ph: Byron
Houck, Elgin Lessley; dir. tecn./tech. dir: Fred Gabourie; elettricista/
electrician: Denver Harmon; cast: Buster Keaton (Rollo Treadway),
Kathryn McGuire (Betsy O’Brien), Frederick Vroom (John O’Brien),
Clarence Burton, H.N. Clugston (spie/spies), Noble Johnson (capo
cannibale/Cannibal Chief); riprese/filmed: SS Buford (Avalon Bay),
Lake Tahoe; data uscita/released: 13.10.1924; lg. or./orig. l: 5,600 ft.;
DigiBeta, 60'; Park Circus, Glasgow.
Didascalie in inglese / English intertitles.
Accompagnamento musicale / Live musical accompaniment:
European Silent Screen Virtuosi (Günter A. Buchwald: direttore/
leader, piano, violino, voce/vocal; Frank Bockius: batteria/drums; Lee
Mottram: clarinetto/clarinet; Richard Williams: cornetta/cornet;
Romano Todesco: contrabbasso/double-bass).
Il secondo film girato da Keaton nel 1924, The Navigator, trovò
ispirazione in un unico oggetto, anche se di grandi dimensioni.
Mentre stava cercando vecchie golette a quattro alberi per The Sea
Hawk di Frank Lloyd, il prodigioso tecnico di Keaton, Fred Gabourie,
si imbatté in una nave passeggeri di 500 piedi pronta per la
rottamazione, che venne affittata a 25.000 dollari. “Beh,
cominciammo bene. Con un colpo di fortuna…” Il piroscafo Buford
aveva un passato sinistro: era stato utilizzato nel 1919 per deportare
Emma Goldman e altri 250 residenti stranieri in uno dei più
famigerati “raid Palmer” contro i “rossi”. Ma di quest’oscuro passato
non c’è traccia nel soggetto di Jean Havez. Due giovani ricchi, che
non hanno mai dovuto imparare a badare alle proprie necessità, si
ritrovano insieme alla deriva su una nave passeggeri deserta, dove le
normali difficoltà dell’esistenza sono accentuate dal fatto che i servizi
non sono intesi per uso individuale, bensì per provvedere a
cinquecento persone. Il giovane milionario incarnato da Buster
(“Rollo Treadway – erede del patrimonio dei Treadway – prova
vivente che ogni albero genealogico ha la sua linfa*”) è una variazione
dei personaggi di Bertie in The Saphead e Alfred Butler in Battling
Butler. Laddove Bertie appartiene alla tradizione dell’idiota comico
che alla fine la spunta per fortuna e per miracolo, comunque, sia
Rollo sia Alfred sono ampliati dalle circostanze in cui la storia li
colloca. Partono effeminati, incapaci e totalmente dipendenti dai
servitori (Rollo addirittura prende la macchina e l’autista quando vuol
attraversare la strada), ma trovano in se stessi risorse d’energia ed
ingegnosità. I miracoli hanno solo un ruolo minore.
L’intera gamma comica di Keaton viene sfruttata. La battaglia con i
cannibali contiene alcune delle sue più belle cadute. Le gag sono così
fitte e così strettamente intrecciate che è spesso difficile tenere il
*Gioco di parole basato sul doppio significato di sap: “linfa” ma anche “imbecille”.
La musica A volte – non molto spesso – il film offre un indizio di
quale scelta musicale fosse nelle intenzioni del regista. Per esempio,
in Blind Husbands di Stroheim si individua una piccola scritta su un
folcloristico pannello di legno, “Auf der Alm do gibt’s koa Sünd”
(“Non esiste peccato su nell’alpeggio”), che è – mia madre lo sapeva
a memoria – uno vecchio canto popolare alpino. A volte si può
leggere l’etichetta di un disco suonato con il grammofono (sullo
schermo). The Navigator ci offre un momento simile, quando dopo
aver letto sul disco le parole “Asleep in the Deep” (Addormentati
sul fondo), su vedono Buster e la sua ragazza sprofondati nelle loro
sedie a sdraio. E questo motivo offre il punto di partenza per
riflessioni musicali e costituirà il tema musicale principale. Lo
ascolterete certamente in molte varianti: nella ouverture, prima del
film; con richiami a un’aria operistica in stile veneziano; o anche in
stile Dixieland. Non ci sono limitazioni musicali per esprimere lo
stato d’animo appropriato.
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At the technical and mechanical level The Navigator is one of
Keaton’s most elaborate films. He describes, in Kevin Brownlow’s
The Parade’s Gone By, the difficulties of filming the underwater
scenes, shot in Lake Tahoe after a swimming pool had been
destroyed and the sea at Catalina proved to be fogged on account
of the fishes’ mating habits. At the same time as he was performing,
Keaton himself had to manipulate the sunken two-man camera-box,
cooled inside with ice to prevent the windows fogging. “1 could
only stay down there about thirty minutes because the cold water
goes through into your kidneys. After about a half hour you begin
to go numb. You want to get up and get out of there. I was one
month shooting that scene.”
The diving-suit proved an exceptionally fruitful prop. There is never
a moment’s doubt as to who it is moving about in it, on short, jerky
little legs and with stiff, busy arms sticking out slightly at an angle.
Christopher Bishop has pointed out Keaton’s remarkable power of
visualization in making us – even though we are already familiar with
Rollo’s diving-suit – see it with the same fresh shock that the
primitive tribesmen experience.
Of all Keaton’s heroines, Kathryn McGuire in The Navigator and
Marion Mack in The General have the most positive roles. The
stories demand from them a greater participation, in that hero and
heroine are thrown together in isolation; and in any case the two
girls are unusually charming and funny. Kathryn McGuire has the
same sweet dizziness as Marion Mack: when the castaways want to
attract the attention of a passing ship, she runs up the prettiest flag
she can see, which happens to be the quarantine signal.
The musical accompaniment is by the European Silent Screen
Virtuosi, an improvisational group which first came together at the
2010 Bristol Slapstick Festival. – DAVID ROBINSON
Keaton’s second 1924 film, The Navigator, was inspired by a single
prop – though a large one. While looking for old four-masted
schooners for Frank Lloyd’s The Sea Hawk, Keaton’s technical
wizard Fred Gabourie came across a 500-foot passenger liner, due
for scrapping. It was leased for $25,000. “Well, we got our start.
Our start was a pip…” The S.S. Buford had a sinister recent history:
it was used in1919 to deport Emma Goldman and some 250 other
resident aliens in one of the most notorious incidents of the antileftist “Palmer Raids”.
Jean Havez’s story reflects none of this dark past. A rich young
couple, who have never had to learn to look after their own needs,
find themselves adrift together on a deserted liner, where the
ordinary difficulties of existence are magnified by the fact that all the
amenities are intended not for individual use, but to cater for five
hundred people. Buster’s character of the young millionaire (“Rollo
Treadway – heir to the Treadway fortune – a living proof that every
family tree must have its sap”) is a variation of the characters of
Bertie in The Saphead and Alfred Butler in Battling Butler. While
Bertie belongs in the tradition of the comic idiot who wins through
in the end by luck and miracle, however, both Rollo and Alfred are
extended by the circumstances into which the story puts them.
From being effete, ineffectual, and totally reliant on servants (Rollo
even takes his car and chauffeur when he wants to cross the road),
they develop out of themselves resources of energy and ingenuity.
Miracles only play a minor role.
The whole range of Keaton’s talents is on display. The battle with
the cannibals contains some of his finest comic falls. The gags are so
densely packed and so tightly interwoven that it is often hard to
keep up with them or to recall their sequence. At the same time it
is all organized with total dramatic skill, and the character of Rollo
is developed with logic and integrity.
The music Sometimes – not very often – the film offers a clue to
what musical choice the film director may have intended. For
example, in Stroheim’s Blind Husbands you spot a little inscription
on a folkloric wooden panel, “Auf der Alm do gibt’s koa Sünd”
(“There is no sin on the mountain pasture”), which is – my mother
knew it by heart – an old folksong from the Alps. Sometimes you
can read the label on a record played on the (onscreen)
gramophone turntable. The Navigator offers us such a moment,
where the action follows the words on the record: “Asleep in the
Deep”… Buster and his girlfriend are sunk into their deck chairs.
And this tune offers the starting point for musical reflections, and
will be the main musical theme. You will certainly hear it in many
variations: as an overture, before the film; with reminders of an
opera aria in the Venetian style; in Dixieland style – there are no
musical limitations on expressing the appropriate mood.
A little about the European Silent Screen Virtuosi, born this year at
the Bristol Slapstick Festival. It is a musical consortium which is
unique: bringing together an experienced silent film pianist and
violinist (myself) and two British friends whose curricula vitae could
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EVENTI SPECIALI
SPECIAL EVENTS
A proposito degli European Silent Screen Virtuosi, nati quest’anno al
Bristol Slapstick Festival: si tratta di un consorzio musicale unico.
Riunisce un pianista esperto del cinema muto e violinista (il
sottoscritto) e due amici inglesi i cui curricula non potrebbero essere
più diversi: uno è un clarinettista molto giovane che ci ha incantati
l’anno scorso con la sua virtuosa interpretazione del Golem, e che, ne
sono certo, è destinato a ricevere in futuro molti premi: Lee Mottram.
Il secondo ha già vinto premi che non occorre qui citare. Ma quello
che dovete sapere è che non è un maestro solo nel campo del cinema
di animazione ma anche alla tromba – e precisamente nello stile che
Buster Keaton richiede. Questo trombettista è Richard Williams.
Per la base di tutte le melodie, prendete uno squisito bassista (e
fisarmonicista), il cui orecchio musicale è in grado di seguire e
anticipare azione e armonie: Romano Todesco. Last but not least,
Frank Bockius, che ha suonato con me per 15 anni, si è esibito più
volte alle Giornate, ed è decisamente uno dei migliori percussionisti
al mondo per l'accompagnamento musicale dei film muti. Asleep in
the Deep, svegli e pimpanti in buca . – GüNTER A. BUCHWALD
not be more different: one is a very young clarinet player who
enchanted us last year with his virtuoso interpretation of The
Golem, and who, I know, will make his way to many awards in
future musical competitions: Lee Mottram. The second is already
honoured with awards we do not need to mention. But you should
know that it is not only in the field of film animation that he is a
master, but also on the trumpet – and precisely in the style that
Buster Keaton demands. This trumpet player is Richard Williams.
For the base of all melodies, take an exquisite bass player (and
accordionist) whose ears can follow and anticipate action and
harmonies: Romano Todesco. Last but not least, Frank Bockius,
who has played with me for 15 years, has performed several times
at the Giornate, and is definitely one of the world’s best
percussionists for the musical accompaniment of silent films. Asleep
in the Deep – fresh and alive in the pit. – GüNTER A. BUCHWALD

episodi, sarà il motivo principale di The Diabolic Itching” (Ermanno
Giacomel).
La scuola media Centro Storico si cimenta invece nella musicazione
di There It Is di Charles R. Bowers (1928), una curiosa comica che
mescola sapientemente scene reali e personaggi realizzati in
animazione mossi con la tecnica della stopmotion.
“Repetita iuvant, ma pure stufant! amava ripetere la mia insegnante
di latino. Ecco perché ho deciso di ‘tradire’ l’amato Buster Keaton
con l’ineffabile Charles Bowers. La scelta, in verità, mi è stata
suggerita dall’amico Gabriel Thibaudeau che, l’anno scorso,
ascoltando le mie perplessità nella scelta del nuovo film da musicare
ha esclamato: ‘Dopo tanti anni, Bowers riesce sempre a divertirmi.’
E, allora, ho pensato: ok! Abbiamo scelto There It Is perché ha
entusiasmato i ragazzi. E le musiche? Ho pensato di intrecciare due
melodie popolari scozzesi con altri temi tratti dallo splendido
Album per la gioventù del mio compositore prediletto Robert
Schumann” (Maria Luisa Sogaro). – SILVIA MORAS
A co lp i d i n ote / Stri k in g a N ew No te 2 01 0
“A colpi di note” è uno speciale laboratorio che mira a valorizzare
l’indissolubile legame tra musica e cinema attraverso il recupero
storico delle origini del cinema. Un obiettivo audace che ha richiesto
una parte teorica di avvicinamento al cinema del passato e ai principali
fondamenti dell’accompagnamento; è poi seguita una fase pratica,
durante la quale è stata fatta un’analisi visiva delle due opere da
musicare. Sono così state elaborate due partiture che impiegano tutti
gli strumenti suonati dai ragazzi e nel contempo evidenziano le
suggestioni provenienti dai film stessi. Siamo giunti ormai alla quarta
edizione: nuove leve sono gli studenti della Scuola Media “BallianaNievo” di Sacile coordinati dai professori Ermanno Giacomel, Gianni
Della Libera, Lucia Pizzutel, Mario Zanette, Giuliano Pavan e in
collaborazione con Jean Pierre Zanette; veri e propri veterani sono
invece i ragazzi della Scuola Media Centro Storico di Pordenone,
seguiti dalla prof. Maria Luisa Sogaro, prima ispiratrice di questo
originalissimo laboratorio.
I primi danno “voce” ai materiali di “Pathé di risate”, una serie di
comiche di inizio Novecento della celebre casa di produzione
francese. “Dovendo rimusicare un film composto da sei sketch
diversi si è cercato di differenziare le scelte musicali riferite ai singoli
episodi e allo stesso tempo di creare un fil-rouge che li collegasse.
Abbiamo quindi affidato Lo sbadiglio alle sonorità morbide
dell’ensemble di chitarre e sottolineato le sofferenze della Pauvre
jaquette con un brano pieno di dissonanze. Un carattere lezioso
distingue l’accompagnamento di Le trophée de Rigadin, in accordo
con i modi quasi effeminati del protagonista e un più tradizionale
ragtime ci è sembrata la scelta migliore da accostare ai due ubriaconi
di Je vais chercher du pain. Molto ritmo e qualche suono
onomatopeico per scandire La corsa degli agenti dell’ordine e infine,
il tema che apre la proiezione e che si ripresenta ogni volta variato
per accompagnare le schermate di testo che precedono i vari
“Striking a New Note” is a special laboratory which aims to develop
the indissoluble links between music and cinema through the
historical rediscovery of the origins of cinema. A bold objective
which demands a theoretical stage of approaching the cinema of the
past and the fundamental principles of accompaniment; and then a
successive practical phase, of visual analysis of two works to set to
music. In this way two scores have been created which employ all
the instruments played by the children and at the same time
highlight suggestions coming from the film itself. We have arrived at
the fourth edition: we have new blood with the students of the
Scuola Media “Balliana-Nievo” of Sacile, co-ordinated by Professors
Ermanno Giacomel, Gianni Della Libera, Lucia Pizzutel, Mario
Zanette, Giuliano Pavan, and, in collaboration, Jean Pierre Zanette;
on the other side are the tried and true veterans of Pordenone’s
Scuola Media Centro Storico, disciples of Professor Maria Luisa
Sogaro, the first inspiration of this very original laboratory.
The Sacile pupils give “voice” to “Pathé for Laughs”, a series of comic
films from the beginning of the 20th century, issued by the famous
French production company. “Having to make music for a film
composed of six different sketches, the aim was to differentiate the
musical choices for each separate episode and at the same time to
create a common thread to link the whole. So we entrusted the gentle
sound of the guitar ensemble to The Yawner and underlined the
suffering of The Poor Coat with a piece full of dissonances. An affected
style characterizes the accompaniment of Whiffles Wins a Beauty
Prize, to suit the almost effeminate manner of the protagonist, and a
more traditional ragtime seemed the better choice to suit the two
inebriates of I Fetch the Bread. Strong rhythm and some onomatopoeic
sounds accompany The Policemen’s Little Run; and finally, the theme
which opens the show and which recurs, always with variations, to
accompany the titles which introduce the various episodes will provide
the principal motif for The Diabolic Itching.” (Ermanno Giacomel)
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Prog. 2: Charley Bowers
THERE IT IS (Bowers Comedies/Educational Pictures, US 1928)
Regia/dir., f./ph: H. L. Muller; cast: Charley Bowers, Kathryn McGuire,
Melbourne MacDowell, Buster Brodie, Edgar Blue; DVD, 20'; fonte
copia/source: Cinemazero, Pordenone.
Didascalie in inglese / English intertitles.
Accompagnamento musicale/Musical accompaniment
Orchestra della Scuola Media Centro Storico di Pordenone
Insegnanti/Teachers: Maria Luisa Sogaro
Clarinetti e flauti/Clarinets and flutes: Alessio Mazzeo
Flauti soprani, contralti e tenori/Piccolos, alto and tenor flutes:
Beatrice Bove, Chiara D’Onofrio, Matteo Magris, Flavio Todesco
Glockenspiel: Eugenio Spuria
Xilofoni/Xylophones: Augusto Del Zotto, Ali Lezgin Karinca
Fisarmonica/Accordion: Antonina Oliynyk
Violoncello: Alice Calabretto
Pianoforte: Andrea Del Zotto
Rumoristi/Sound effects: Emanuela Arapi, Deborah Castoro, Maria
Grazia Castoro, Teresa Mutuale, Ludovica Tajariol, Emylia Pasychnyk
Prog. 1: Pathé di risate / Pathé for Laughs
LE BÂILLEUR (Lo sbadiglio / The Yawner) (Pathé, FR 1907)
Regia/dir: Segundo de Chomón; 3'
PAUVRE JAQUETTE (The Poor Coat) (Pathé, FR 1907)
Regia/dir: ?; 2'
LE TROPHÉE DE RIGADIN (Whiffles Wins a Beauty Prize) (Pathé,
FR 1915)
Regia/dir: ?’; 5'
JE VAIS CHERCHER DU PAIN (I Fetch the Bread) (Pathé, FR 1906)
Regia/dir: ?’; 4'
LA COURSE DES SERGENTS DE VILLE (La corsa degli agenti
dell’ordine / The Policemen’s Little Run) (Pathé, FR 1907)
Regia/dir: Ferdinand Zecca; 3'
THE DIABOLIC ITCHING (Pathé, FR 1908)
Regia/dir: ?’; 5'
DVD (da/from 16mm); fonte copia/source: La Cineteca del Friuli,
Gemona.
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Il c a no ne ri vis ita t o / Th e Can on Re vi si te d
LE MIRACLE DES LOUPS (Il miracolo dei lupi / Miracle of the
Wolves) (Société des Films Historiques, FR 1924)
Regia/dir: Raymond Bernard; scen: André-Paul Antoine, dal romanzo
di/from the novel by Henri Dupuy-Mazuel; cast: Vanni Marcoux
(Charles le Téméraire [Charles the Bold]), Charles Dullin (Louis XI),
Romuald Joubé (Robert Cottereau), Yvonne Sergyl (Jeanne Fouquet),
Gaston Modot (Comte du Lau); 35mm, 3017 m., 131' (20 fps), col.
(imbibito/tinted); fonte copia/print source: Archives françaises du film
(CNC), Bois d’Arcy.
Didascalie in francese / French intertitles.
Accompagnamento musicale/Musical accompaniment:
Orchestra della Scuola Media “Balliana-Nievo” di Sacile
Insegnanti/Teachers: Ermanno Giacomel, Gianni Della Libera, Lucia
Pizzutel, Mario Zanette, Giuliano Pavan, in collaborazione con/in
collaboration with Jean Pierre Zanette
Flauti/Flutes: Mariano Biasotto, Eleonora Buosi, Samuele Cadel,
Ronaldo Elmazi, Giulia Gallo, Elena Marazzato, Laura Nieddu,
Margherita Pegolo, Luca Sanson, Marianna Tomasella, Giorgia Zanette,
Mariachiara Zanuttini
Clarinetti/Clarinets: Massimo Ortolan, Simona Paccone
Saxofoni/ Saxophones: Bruno Cadelli, Moro Samuele
Violini/Violins: Sairis Benzant, Coral Da Ros, Erica Kalefi, Giulia
Salvador, Shengjie Shi
Pianoforte/Piano: Sabrina Anzil, Christian Berardi, Noah Da Ros,
Federica Falzarano, Teresa Margarita, Riccardo Pasqual, Giovanni
Romor, Elena Santin, Martina Villani
Partitura originale/Original score: Henri Rabaud; trascrizione per
pianoforte/piano transcription: Noël Gallon; esegue/performed by:
Touve R. Ratovondrahety.
Scheda completa del film nella sezione “Il canone rivisitato”. / Full
credits and programme notes in the section “The Canon Revisited”.
La composizione originale è per orchestra e coro maschile, ma la
trascrizione per piano di Noël Gallon, il maestro di musica dei figli di
Henri Rabaud (1873-1949), non sminuisce affatto la potenza
espressiva prevista dal compositore. La partitura, di impronta
wagneriana, si basa sullo sviluppo dei leitmotiv, 4 dei quali sono
esposti già nelle prime 19 battute. Il tema successivo che accompagna
i cacciatori è anche il tema principale dell’intera composizione, quello
più facilmente orecchiabile che si fischietta uscendo dalla proiezione.
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EVENTI SPECIALI
SPECIAL EVENTS
The Scuola Media Centro Storico for their part have taken on the
“musicalization” of There It Is (1928), made by Charles R. Bowers, a
curious comedian who ingeniously mixed real scenes with animated
characters created by stop-motion.
“My Latin teacher liked to say, ‘Repetition is gratifying, but also
boring!’ That is why I have decided to ‘cheat on’ the adored Buster
Keaton with the ineffable Charles Bowers. The choice, in truth, was
suggested to me last year by my friend Gabriel Thibaudeau, who, on
hearing my perplexity about the choice of a new film to which to
make music, exclaimed, “After all these years, Bowers always makes
me laugh”. So I thought: OK! We chose There It Is because it
excited the children. And the music? I thought of interweaving two
popular Scottish melodies with other themes taken from the
splendid Album für die Jugend by my favourite composer, Robert
Schumann.” (Maria Luisa Sogaro) – SILVIA MORAS
Durante una pausa nelle riprese de La meccanica del cervello a
Pudovkin fu chiesto di girare una commedia di attualità sul torneo
internazionale di scacchi che si svolgeva nel novembre 1925 all’Hôtel
Metropol di Mosca. Il guaio era che non si poteva chiedere ai
contendenti e men che meno a José Capablanca di recitare in una
commedia. Allora un operatore, col pretesto di riprendere una
cineattualità, girò delle inquadrature di Capablanca; in moviola,
unendole ad inquadrature di mani di attori e di altri oggetti, secondo
il metodo di Kulesciov, si creò un personaggio secondario che
avrebbe assai sorpreso Capablanca se mai l’avesse visto, cosa
improbabile poiché il film non circolò fuori dell’Unione Sovietica e fu
portato all’estero solo quando la cineteca del Museum of Modern
Art lo acquistò a Mosca nel 1937.
Il film è spiritoso e bonariamente satirico. L’estrema concentrazione
del protagonista sugli scacchi e la crescente esasperazione dell’eroina
(interpretata dalla moglie di Pudovkin, Anna Zemtsova) non possono
essere immaginate scisse dall’ingegnoso metodo di montaggio di
Kulesciov. Sebbene fosse il primo film di Pudovkin (co-regìa di Nikolaj
Scpikovskij) che veniva distribuito, nulla distingue La febbre degli
scacchi da études e film di Kulesciov: è il sorridente congedo di
Pudovkin dal suo maestro. – JAY LEYDA, Storia del cinema russo e
sovietico (1964)
Questa musica in puro stile francese del XX secolo resta
rigorosamente elegante pur osando spingere all’estremo il
cromatismo, la scala tonale, con quinte diminuite e accordi aumentati
e la politonalità. Una modernità che a tratti viene deliberatamente
spezzata da alcune sequenze schiettamente medievali. Nondimeno, il
tema finale, già introdotto discretamente nella prima pagina,
completa sontuosamente questo monumento in uno stile corale
stranamente protestante. – TOUVE R. RATOVONDRAHETY
The original of this work is for orchestra and male voice choir, yet
this piano transcription by Noël Gallon, who was music teacher to
Henri Rabaud’s children, does not in any way diminish the force of
the composer’s intentions.
Following the Wagnerian school, it functions through the
development of leitmotifs, four of which are already stated in the
first 19 bars.The subsequent theme which accompanies the hunters
is a principal theme of the work, so easily remembered that you are
still whistling it when you leave the film.
This music in the pure French 20th century style remains rigorously
elegant, while at the same time pushing to extremes chromatism,
extended tonality, series of diminished fifths and augmented chords,
and polytonality. A modernism which is at moments deliberately
broken by sequences which are purely medieval. Moreover, the final
theme, already discreetly presented in the first page of the score,
regally ends this monument in a choral style that is strangely
Protestant. – TOUVE R. RATOVONDRAHETY
La musica La prima esecuzione pubblica dello score di Günter A.
Buchwald per Šachmatnaja gorjačka – una partitura per orchestra
d’archi, tromba percussioni e trombone – è avvenuta il mese scorso
al festival del cinema muto di Tromsø, in Norvegia. Scrive il musicista:
“Un’impressione molto personale: in un giardino pubblico di Friburgo,
un quindicenne guardava ammirato i giocatori di scacchi manovrare
pezzi della grandezza di un bambino su una enorme scacchiera di 4
iarde per 4. Quando poi giocò la sua prima partita con il padrone
dell’unica gelateria italiana di Friburgo, ebbe uno schock udendo il
kibitzer seduto lì vicino gridare parola “scaccomatto” dopo appena 6
mosse. Ma la mossa era mia. Così, nella mia testa cominciai a
muovere ogni pezzo… e dopo un bel po’ di tempo trovai la mossa
vincente. Quando lo raccontai a mio zio, lui fece tanto d’occhi e mi
raccontò che negli anni ’30 aveva giocato una partita amichevole con
Efim Bogoljubof in occasione di un torneo mondiale di scacchi. E
Bogoljubof ci porta direttamente a Šachmatnaja gorjačka, dato che fu
lui il vincitore del torneo moscovita del 1925.
A posteriori, sappiamo che quel torneo ebbe un valore storico in
quanto stabilì la lunga supremazia russa (sovietica) negli scacchi. Il
campione del mondo José Raúl Capablanca (1921-27) si piazzò al
terzo posto, dietro al precedente detentore del titolo, il tedesco
Emanuel Lasker (1894-1921). Capablanca doveva avere una spiccata
vocazione turistica, dato che – in concomitanza con il torneo di
Mosca – trovò il modo di giocare anche nei tornei che si tennero in
altre città. Il che significa che giocò tra le 50 e le 100 partite anche
con avversari dilettanti. Nel 1925, egli era un’importante, esotica
vedette. Basta guardarlo in questo film. Non è forse un simpatico,

SHAKHMATNAYA GORYACHKA [La febbre degli scacchi / Chess
Fever] (Mezhrabpom-Rus, USSR, 1925)
Regia/dir: Vsevolod Pudovkin, Nikolai Shpikovsky; scen: Nikolai
Shpikovsky; f./ph: Anatoli Golovnya; mont./ed: Vsevolod Pudovkin;
cast: Boris Barnet (ladro/thief), José Raúl Capablanca (campione del
mondo/ The World Champion), Vladimir Fogel (eroe/The Hero),
Anna Zemtsova (eroina/The Heroine), Sergei Komarov (nonno/
Grandfather), Ivan Koval-Samborsky (poliziotto/policeman), Anatoli
Ktorov (passeggero/tram passenger), Yakov Protazanov (farmacista/
chemist), Yuli Raisman (assistente/chemist’s assistant), Mikhail Zarov
(imbianchino/ house painter), Fedor Otsep (spettatore/game
spectator), Natalya Glan, Zakhar Darevsky, Konstantin Eggert, F.
Ivanov; e i veri scacchisti / and the real-life chess stars, Ernst Grunfeld,
Frank Marshall, Richard Reti, Rudolph Spielmann, Carlos Torre, F.D.
Yates; 35mm, 545 m., 26' (18 fps); fonte copia/print source: Filmmuseum im Münchner Stadtmuseum.
Didascalie in russo / Russian intertitles.
Accompagnamento musicale di/Music score by Günter A. Buchwald,
eseguito da/performed by Günter A. Buchwald (piano, violino), Frank
Bockius (batteria/drums), Romano Todesco (contrabbasso/doublebass).
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During a pause in the filming of Mechanics of the Brain, Pudovkin
was asked to make a topical comedy on the International Chess
Tournament being held during November 1925, at Moscow’s Hotel
Metropol. The catch was that one could not ask the competitors,
least of all José Capablanca, to act in a comedy. Shots of Capablanca,
taken by a cameraman pretending to be taking newsreel shots, were
brought to the cutting-table with shots of other actors’ hands and
of objects, and a minor role was thus created by the Kuleshov
method that must have surprised Capablanca exceedingly if he ever
saw it – which is unlikely as the film was never shown abroad until
the Museum of Modern Art Film Library acquired it from Moscow
in 1937.
The film has a fund of simple satire and movie wit. The hero’s
extreme preoccupation with chess and the growing exasperation of
the heroine (played by Pudovkin’s wife, Anna Zemtsova) cannot be
imagined apart from Kuleshov’s ingenious cutting method. Although
it was the first film by Pudovkin (co-directed with Nikolai
Shpikovsky) to be released, there is nothing to distinguish Chess
Fever from the Kuleshov études and films; this is Pudovkin’s smiling
farewell, a salute to his master. – JAY LEYDA, Kino (1960)
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Incontro con / An Audience with Jean Darling
Stanno diventando una piacevole tradizione delle Giornate questi
incontri annuali con Jean Darling nel corso dei quali lei rievoca la sua
infanzia negli ultimi giorni del cinema muto e nella fase di passaggio
al sonoro, e anche, una volta cresciuta, la sua attività a Broadway
quale interprete di Carrie nel Carousel allestito da Rouben
Mamoulian, nonché la sua vita attuale in Irlanda, dove è impegnata a
scrivere, a fare trasmissioni radiofoniche e a cantare.
Quest’anno Ron Magliozzi del Museum of Modern Art ha trovato
alcune nuove canzoni per il suo repertorio: tra queste, lei ha scelto
di eseguire “Sono stanca di essere sullo schermo” (1924), “Voglio
essere amata come le ragazze del cinema” (1915), “Vanno tutti al
cinema” (1915) e “Voglio un uomo delle caverne” (1919).
Se sarà in vena di sfide, potrebbe anche riproporre “La Regina del
Picture Palace”, un difficilissimo numero del musical del 1914 The
Star Cinema. – DAVID ROBINSON
The Music Günter A. Buchwald’s Chess Fever score for string
orchestra, trumpet, drums, and trombone was premiered last month
at the Tromsø Silent Film Festival, Norway. He writes:
“A very personal impression: In a Freiburg Public Garden, a 15-yearold boy admired all the chess players handling the child-sized pieces
on a huge 4x4-yard chess field. When he started to play his first game
against the owner of the only Italian ice cream shop in Freiburg, he
was shocked to hear the word “Checkmate” after just 6 moves,
called out by the kibitzer sitting around the square. But it was my
move. So, in my head I started to move every piece… and after a long
while I found the winning move. Relating this to my uncle, his eyes
grew large as he told me how in the 1930s he played a draw against
Efim Bogoljubov during a simultaneous chess event. And Bogoljubov
is a link to our Chess Fever, since he was the winner of that 1925
Moscow chess tournament. In retrospect, we know that this
tournament had historical dimensions in cementing the long Russian
(Soviet) dominance in chess.
“World champion José Raúl Capablanca (1921-27) came in in third
One of the pleasant recently established traditions of the Giornate is
the annual audience with Jean Darling, in which she recalls further
memories of her life as a child in the last days of silent cinema and the
changeover to sound; later, as an adult on Broadway, as Carrie in
Rouben Mamoulian’s first production of Carousel; and her life today
in Ireland, writing, broadcasting, and still singing.
This year Ron Magliozzi of the Museum of Modern Art has found some
new songs for her repertoire, and from these she plans to sing “I’m
Tired Of Being On The Screen” (1924), “I Want To Be Loved Liked
The Girls On The Film” (1915), “They’re All Going To The Movies”
(1915), and “I Want A Cave Man” (1919).
If challenged, she may also do a reprise of the supremely difficult
number from the 1914 stage musical The Cinema Star, “The Picture
Palace Queen”. – DAVID ROBINSON
21
EVENTI SPECIALI
SPECIAL EVENTS
place, just behind his championship predecessor Emanuel Lasker
(1894-1921) from Germany. Capablanca seemed to have a touristic
attitude, as he played – during the tournament – simultaneous
matches in other towns. This meant that he played between 50 and
100 matches against chess amateurs at the same time.
“In 1925 Capablanca was a major exotic public attraction. You only
need to watch this film. Isn’t he a nice, good-looking, smart,
handsome playboy? Not a good actor, but the montage which gives
us the illusion that he is acting is just genius, a typical Russian skill.
“Interesting what you do not see: Efim Bogoljubov, the real winner of
the tournament, never appears in our film. Was he already a victim of
censorship, since he was to leave Russia after the 1925 event, to
settle in Berlin and become (unofficial) world champion? But chess,
which can evoke fever just like soccer, became part of a national
soviet educational programme aimed to raise the intellectual level of
the whole Russian population.”
avvenente, brillante, esperto playboy? Non certo un bravo attore,
ma il montaggio ci dà l’illusione che la sua recitazione sia geniale. Ma
è interessante anche ciò che non si vede: Efim Bogoljubov, il vero
vincitore del torneo, non appare mai nel nostro film. Che fosse già
una vittima della censura, visto che abbandonò la Russia subito dopo
il il 1925, per stabilirsi a Berlino e diventare il campione (non
ufficiale) del mondo? Nondimeno, gli scacchi, che possono suscitare
la febbre al pari del calcio, divennero parte integrante del
programma sovietico che si proponeva di innalzare il livello
intellettuale del popolo russo.”
certain modesty, because it is a film which does not pretend to be the
masterpiece of the century. This film about a place, about a particular
city, Paris, with its monuments, its lanes, its “little people”, its
adventures, is also a remarkable film about time, about the sense of
the passage of time. As its title indicates, the central subject of this
film is time itself: nothing but the hours. – ANTONIO RODRIGUES, ALAIN
MARCHAND (Giornate del Cinema Muto catalogue 1997)
RIEN QUE LES HEURES (Néo-Films, FR 1926)
Regia/dir., mont./ed: Alberto Cavalcanti; prod: Pierre Braunberger;
scen: Alberto Cavalcanti, André Cerf; f./ph: James Rogers; scg./des:
Mirowitch; aiuto regia/asst. dir: André Cerf; cast: Blanche Bernis, Nina
Chouvalowa, Philippe Hériat, Clifford McLagen, André Cerf;
riprese/filmed: estate/Summer 1926; data uscita/released: 22.10.1926
(Studio des Ursulines, Paris); 35mm, 957 m., 46' (18 fps), col.
(imbibito/tinted); fonte copia/print source: EYE Film Institute
Netherlands, Amsterdam.
Didascalie in olandese / Dutch intertitles.
The music As far as I know relatively few original music scores exist
for silent film and piano trio (violin/cello/piano). The music for
Cavalcanti’s Rien que les heures by Yves de la Casinière is a charming
example of good and effective film music. A mixture of different styles
which “belong” to the different hours of day and night in the city, it
warmly enriches Rien que les heures and makes the film complete.
MAUD NELISSEN
Partitura originale di /Original score by Yves de la Casinière eseguita
dal vivo da/performed live by Lucio Degani (violino), Francesco
Ferrarini (violoncello), Maud Nelissen (piano).
Appartenente alla categoria che diventerà tanto di moda delle
“sinfonie metropolitane”, realizzato prima di Berlin, die Symphonie
einer Grosstadt di Ruttmann e di Moskva di Mikhail Kaufman, questo
film è stato, secondo Cavalcanti, “il primo a dare una prospettiva
sociologica al documentario. Fino a quel momento, si giravano
documentari sui tramonti nel Pacifico. Non era mai venuta l’idea di
mostrare ciò che accadeva intorno a noi. Rien que les heures è stato
il primo a farlo”. È questo il film più “sperimentale” e “d’avanguardia”
di tutti i film di Cavalcanti e, tra quelli girati in questo periodo, il titolo
che ha meglio resistito al tempo, senza dubbio per lo humour che lo
pervade e per una certa sua modestia, non presentandosi come il
capolavoro del secolo. Quest’opera sullo spazio, su una città precisa,
Parigi, con i suoi monumenti, i suoi vicoli, la sua gente comune, le sue
avventure, è anche un bel film sul tempo, sulla coscienza del tempo
che passa. Come indica lo stesso titolo, il soggetto principale è
proprio il tempo: nient’altro che le ore. – ANTONIO RODRIGUES, ALAIN
MARCHAND (Giornate del Cinema Muto, catalogo 1997)
LA FOLIE DES VAILLANTS (Cinégraphistes Français, FR 1926)
Regia/dir., scen: Germaine Dulac; dal racconto/based on the short
story “Makar Tchoudra” di/by Maxim Gorki; f./ph: Paul Parguel,
Maurice Forster; cast: Raphaël Liévin (Loïko Sodar), Lia Loo (Radda),
Castelluci (Lenka); riprese/filmed: autunno/Autumn 1925;
presentazione alla stampa/press screening: 17.12.1925; première:
2.4.1926 (Théâtre du Colisée, Paris); dist. orig: Mappemonde Film; lg.
or./orig. l: 1250 m.; incompleto/incomplete, 35mm, 844 m., 41' (18
fps), col. (imbibito/tinted); fonte copia/print source: Archives
françaises du film du CNC, Bois d’Arcy.
Didascalie in francese / French intertitles.
Film restaurato in 1989 dagli Archives françaises du film (CNC)
nell’ambito del piano del Ministero della Cultura francese per la
salvaguardia del patrimonio cinematografico. / Restored in 1989 by
the Archives françaises du film (CNC), under the auspices of the
Ministry of Culture’s film preservation plan.
La musica A quanto mi risulta, esistono relativamente poche
partiture originali per film muto e trio per pianoforte (violino,
violoncello, piano). La musica di Yves de la Casinière per Rien que
les heures ne è un riuscito esempio. Mélange di stili diversi che
“appartengono” alle diverse ore del giorno e della notte, è un lavoro
che arricchisce e completa il film. – MAUD NELISSEN
Accompagnamento musicale di / Musical accompaniment by Maud
Nelissen, eseguito dal vivo da / performed live by Lucio Degani
(violino), Francesco Ferrarini (violoncello/cello), Maud Nelissen (piano).
Quest’accattivante ritratto simbolista di un amore appassionato tra
due zingari è uno dei più singolari e trascurati capolavori della pioniera
del cinema d’avanguardia francese degli anni ’20 Germaine Dulac
(1882-1942), femminista e socialista. Nel corso della sua carriera
(1915-1942) la Dulac ha diretto più di trenta film di finzione (19151930), molti dei quali hanno contrassegnato nuove tendenze
cinematografiche, dall’impressionista all’astratto. La nostra
conoscenza dell’opera della Dulac è stata a lungo circoscritta a due o
tre di questi film, nella fattispecie La Fête espagnole (1919), La
Souriante Madame Beudet (1923) e La Coquille et le Clergyman
(1928), considerati rispettivamente il primo film impressionista,
Belonging to the category of city symphonies, which would have a
great vogue, and made before Ruttmann’s Berlin, die Symphonie einer
Grosstadt and Mikhail Kaufman’s Moscow, his film was, according to
Cavalcanti himself, “the first to give a sociological perspective to
documentary. Until then, all documentaries were about sunsets in the
Pacific. No one had had the idea of showing what happens around us.
Rien que les heures was the first to do so.” It is the most
“experimental” and the most “avant-gardist” of all his films, and one
of the films from this period which has best survived the test of time,
no doubt because of the humour which runs through it and also a
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La musica La Folie des vaillants è uno dei film meno noti di
Germaine Dulac, ma è in sé un vero “gioiello” artistico. La pellicola
rivela la grande maestria e musicalità della regista. Trattandosi di una
“sinfonia visiva”, ho provato ad ascoltare, e ad ascoltare solo con gli
occhi (“On entend avec les yeux…”, Germaine Dulac). La musica è
ispirata a – e in parte basata su – un tema del compositore spagnolo
Federico Mompou ed è questa la prima volta che viene eseguita per
trio di pianoforte. – MAUD NELISSEN
The music (premiere for piano trio) La Folie des vaillants is one of
Germaine Dulac’s lesser-known films, but it’s a true artistic “jewel” in
itself. The film reveals the director’s great artistry and musicality.
Being a “visual symphony”, I tried to listen, and listen only with my
eyes (“On entend avec les yeux…” – Germaine Dulac). The music is
inspired by, and partly based upon, a theme of the Spanish composer
Federico Mompou. – MAUD NELISSEN
This captivating symbolist portrait of a passionate love between two
gypsies is one of the most unique and overlooked masterworks of
feminist, socialist, and 1920s French avant-garde film pioneer
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EVENTI SPECIALI
SPECIAL EVENTS
Germaine Dulac (1882-1942). Throughout her film career (19151942), Dulac directed more than 30 fiction films (1915-1930), many
marking new cinematic tendencies, from impressionist to abstract.
Our knowledge of Dulac’s oeuvre was long limited to two or three of
these, notably La Fête espagnole (1919), La Souriante Madame Beudet
(1923), and La Coquille et le Clergyman (1928), respectively
considered the first impressionist, feminist, and surrealist films. Thanks
to the restoration of so many of her films by the AFF in particular, as
well as a proliferation of international retrospectives, Dulac’s rich and
diverse filmography – of which La Folie des vaillants is a dazzling gem
– is now benefitting from a legitimate rediscovery. According to her
longtime companion Marie-Anne Malleville, Dulac considered La Folie
des vaillants to be her film roi (“king film”). For Dulac, who officially
joined the S.F.I.O. (French Socialist Party) in 1925, the year she made
this film – and for whom social equality had always been fundamental
– Gorki’s tale of two gypsies (ideal socialists, rebellious, hence naturally
radical and anti-capitalist) provided an apt framework in which to
consider an alternative construction of gender roles.
By reversing the terms of contemporary marital power relationships,
La Folie des vaillants would have had special resonance for those with
feminist ideals in France of the mid-1920s. In 1925, feminists had
launched a proposal to revise the Napoleonic Code, which severely
curbed women’s access to their own finances, institutionalized
spousal inequality, and restricted parental authority. Dulac’s film cast
into sharp relief the injustice of those provisions which so
constrained women’s freedoms.
Despite the film’s shoestring budget, a contract clause granted Dulac
“complete artistic freedom.” Still, she was forced to negotiate the
issue of moral conservativism and “public taste” for the sake of
commercial distribution. With customary artistic audacity and
commercial prowess, she prepared multiple endings, the more radical
ending here, and another, more commercial one which theater
owners could order on demand.
Above all, Dulac saw in this film an unprecedented opportunity to
realize her conception of cinema as a “visual symphony,” made of
“life,” “movement,” and “rhythm.” By maximizing the rhythmic
association between the images and by minimizing the importance of
acting, photography, plot, and décor, for Dulac and her feminist
“cinema of suggestion,” La Folie des vaillants was “one step towards
habituating the public to the visual symphony, where so-called
‘theatrical’ action would be nothing, and sensibility… everything.”
TAMI M. WILLIAMS
femminista e surrealista. Grazie al restauro di tante delle sue pellicole,
specie a cura degli Archives françaises du film, oltre ad un proliferare
di retrospettive internazionali, la ricca e varia filmografia della Dulac –
di cui La Folie des vaillants è una gemma abbagliante – gode ora di una
legittima riscoperta.
Secondo la sua compagna di una vita, Marie-Anne Malleville, la Dulac
considerava La Folie des vaillants come il suo film roi (“film re”). Per
la Dulac, che si iscrisse ufficialmente all’S.F.I.O. (Partito Socialista
Francese) nel 1925, l’anno in cui girò questo film – e per la quale
l’uguaglianza sociale era sempre stata fondamentale - il racconto di
Gorkij su due zingari (socialisti idealisti, ribelli, quindi naturalmente
radicali ed anticapitalisti) offriva una cornice adeguata entro cui
considerare una costruzione alternativa dei ruoli di genere.
Ribaltando i termini delle relazioni contemporanee, in cui era il marito
ad avere il potere, La Folie des vaillants avrebbe avuto un richiamo
speciale per chi aveva ideali femministi nella Francia di metà anni ’20.
Nel 1925 le femministe avevano lanciato una proposta per rivedere il
Codice Napoleonico, che limitava severamente l’accesso delle donne ai
loro stessi patrimoni, istituzionalizzava la disuguaglianza tra coniugi e
restringeva l’autorità genitoriale. Il film della Dulac mise in netto rilievo
l’ingiustizia di quei provvedimenti così limitativi della libertà femminile.
Nonostante il budget ridotto del film, una clausola del contratto
concedeva alla Dulac “completa libertà artistica”. Nondimeno, fu
costretta a negoziare sul tema del conservatorismo morale e del
“gusto pubblico” per motivi connessi alla distribuzione commerciale.
Con l’abituale audacia artistica e abilità commerciale, preparò diversi
finali, questo, più radicale, ed un altro, più commerciale, che i
proprietari delle sale potevano ordinare su richiesta.
Soprattutto, la Dulac vide in questo film un’opportunità senza
precedenti per attuare il suo concetto di cinema come “sinfonia
visiva”, fatto di “vita”, “movimento” e “ritmo”. Massimizzando
l’associazione ritmica tra le immagini e minimizzando l’importanza
della recitazione, della fotografia, della trama e delle scenografie,
secondo la Dulac e il suo “cinema della suggestione” femminista, La
Folie des vaillants fu “un passo verso l’assuefazione del pubblico alla
sinfonia visiva, dove la cosiddetta azione ‘teatrale’ non sarebbe stata
nulla e la sensibilità… sarebbe stata tutto.” – TAMI M. WILLIAMS
La u ra M i ni ci Z otti : S pe tta co lo d ’ a d di o/ F are we l l Sho w
LA GRANDE ARTE DELLA LUCE E DELL’OMBRA: RAPPRESENTAZIONE CON LANTERNA MAGICA / THE GREAT ART OF
LIGHT AND SHADOW: MAGIC LANTERN SHOW
Lanternista/Lanternist: Laura Minici Zotti
Voce recitante/Reciter: Paolo Caporello
Musica/Music: Günter A. Buchwald
Effetti speciali/Special effects: Frank Bockius
sua missione di svelare ai nostri occhi la ricchezza di immagini dei
vari precursori del cinema. E, di certo, questo spettacolo finale
rimarrà impresso vividamente nella memoria di quanti avranno il
privilegio di assistervi, proprio come il ricordo della
rappresentazione alla Mostra di Venezia del 1985 è ancora vivo in
me. Magia è la parola esatta, e l’unica. – DAVID ROBINSON
I first saw the Magic Lantern show of Laura Minici Zotti 25 years
ago. It was in August 1985, at the 42nd Mostra del Cinema of the
Venice Biennale. This was the only time in its history that the
world’s oldest film festival had paid tribute to the magic lantern, the
most ancient and distinguished progenitor of cinema; since then
Laura has spent a lot of her life taking the lantern to other places it
has never been before, be it the Quirinale or the Louvre.
At that momentous Venice show, hardened festival-goers were
enchanted, like children, by images from another time. Even for us
aficionados of the lantern, here was something different. Across the
world there were at that time few enough lanternists. In Italy, so far
as we had known, none. But here was not only an Italian, but (to the
best of my knowledge) the world’s only solo woman lanternist. And
the show itself already had that special quality which characterizes
her in person and in everything she undertakes, whether the
performances or her exquisite Museum in Padua – the gift of
supreme elegance.
We were instant friends, of course; and I learned how it had all
come about. One day in the attic of the family house in Venice she
had discovered the lantern and a rich collection of slides – some of
which have remained in the show ever since, and will be seen again,
for the last time, at this performance. She had amused herself with
this intriguing toy … then given little private shows for her friends
… and the trajectory was unstoppable. Since then we have met
regularly at lantern events across the world, and at auctions, where
Laura, with her connoisseur’s eye, has rarely failed to enrich the
collection and the show.
Laura was always renewing the show, breaking new ground, telling
new stories. In that enchanted attic there was also a special
collection of slides intended for, let us say, gentlemen’s smoking
concerts. Best forgotten? But Laura is a historian and researcher
and scholar, and from time to time felt obliged to show them. It was
an extraordinary tribute to that unique quality of elegance and style
that these shady images too were elevated to poetry and touching
charm.
The idea of a Farewell Performance naturally evokes nostalgia and
regret – but not in Laura’s case. Her personal place in the history
of the magic lantern is important and secure. In the Museum, her
mission to open our eyes to the rich imagery of the various
precursors of cinema will continue. And for sure this final show will
live vividly in the memories of everyone privileged to see it, just as
the 1985 Venice show still stays with me. Magic is the exact and
only word. – DAVID ROBINSON
Ho visto lo spettacolo con lanterna magica di Laura Minici Zotti per
la prima volta 25 anni fa. Fu nell'agosto 1985, alla 42a Mostra
Internazioanle del Cinema della Biennale di Venezia. Fu questa
l’unica volta in cui il festival più antico del mondo rendeva omaggio
alla lanterna magica, la progenitrice più antica ed illustre del cinema.
Da allora, Laura ha passato molto tempo nella sua vita portando la
lanterna in luoghi dove non era mai stata prima, dal Quirinale al
Louvre.
In occasione di quel memorabile spettacolo veneziano, incalliti
festivalieri erano incantati come bambini dalle immagini di un altro
tempo. Anche per noi aficionados della lanterna stava accadendo
qualcosa di nuovo. A quel tempo nel mondo i lanternisti erano
abbastanza pochi. In Italia, per quanto ne sapessimo, nessuno. Ma
ecco apparire sulla scena non solo un italiano, ma (a mia
conoscenza) l’unica lanternista donna al mondo. E il suo spettacolo
aveva già quella speciale caratteristica propria di Laura
personalmente e di tutto ciò in cui lei si impegna, dalle esibizioni in
pubblico al suo raffinato Museo di Padova: il dono della suprema
eleganza.
Diventammo subito amici, naturalmente, e appresi come aveva
cominciato. Un giorno, nella soffitta della casa di famiglia a Venezia,
aveva scoperto la lanterna e una ricca collezione di vetri – alcuni dei
quali sono rimasti nello spettacolo da allora e saranno rivisti, per
l'ultima volta, nel corso di questa rappresentazione. Si era divertita
con questo giocattolo così intrigante… poi aveva dato alcuni
spettacoli privati per i suoi amici… insomma fu una progressione
inarrestabile. Da allora ci siamo incontrati regolarmente in
occasione di eventi con lanterna in tutto il mondo e alle aste dove
lei, con il suo occhio esperto, ha raramente mancato di arricchire la
propria collezione e il proprio spettacolo.
Spettacolo che ha sempre rinnovato, aprendo nuove vie,
raccontando nuove storie. In quella soffitta incantata c’era anche
una speciale collezione di vetri destinati, diciamo così, a circoli per
gentiluomini. Meglio dimenticarli? Ma Laura è una storica, una
ricercatrice e una studiosa e ogni tanto si sentiva obbligata a
mostrarli. Era un omaggio straordinario a quella qualità unica di
eleganza e di stile far sì che pure queste immagini ambigue fossero
elevate a poesia e fascino toccante.
L’idea di una rappresentazione di addio evoca naturalmente nostalgia
e rammarico, ma non nel caso di Laura. Il suo posto nella storia della
lanterna magica è importante e assicurato. Nel Museo continuerà la
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EVENTI SPECIALI
SPECIAL EVENTS
To all my dear friends of the Giornate
I would like to inform you that on the evening of 7 October, at the
Teatro Verdi, I shall end my role as “lanternista”, to dedicate myself
exclusively to the Museum.
A difficult decision, but necessary because, apart from the personal
stress, inevitable at my “venerable age”, there is the risk of breaking
the fragile slides, through the frequent travels and the ever more
restrictive limitations of air transport. “The Farewell Performance”
will take place at the 29th edition of the Giornate del Cinema Muto,
which has always supported my enthusiasm, conferring on me the
prestigious recognition of the Jean Mitry Prize at the 2008 edition.
I have chosen for the occasion a performance with the magic lantern
and the most beautiful slides of the collection, inspired by the
programme of Charles Hellemberg of Antwerp. In 1884 this famous
lanternist showed “moving astronomical slides, masterpieces of
plastic art, a tour of the world and other marvelous effects”,
fascinating to the public of the time, as I also will endeavour to excite
today’s spectators.
In a career of more than 40 years, I have travelled a good part of the
world; I have been applauded by heads of state, ambassadors,
directors of festivals and museums. From the Quirinale in Rome, to
Paris – the Louvre, the Musée d’Orsay, and the Cinémathèque
française – and then London, Madrid, the Library of Congress in
Washington, Osaka, even Singapore; the list would be too long to
recount in its entirety.
In “my” Venice, on the occasion of the famous Carnival, I projected
The Life of Giacomo Casanova at the Teatro Goldoni; this
performance is commemorated on DVD.
Already some time ago, I anticipated not showing the precious handpainted slides from the18th and 19th century any more, but to
dedicate myself exclusively to running the Museum of PRECINEMA
of Padua. Twelve years after its opening, the volume of work has
markedly increased: donations, research, education, and the
travelling exhibitions dedicated to the Stereoscope, the Silhouette,
and the shadow theatre of the Chat Noir, all demand constant
dedication.
One day, which I hope is still a long way off, it will be for my son
Alberto to take over and continue the study and diffusion of
everything that concerns Precinema, having remained fascinated,
since he was a child, by the Magic Lantern.
Now there remains to me the memory of a past lived with
enthusiasm, with the consciousness of having dedicated myself with
passion to the diffusion of the Magic Lantern spectacle in the 20th
century, employing lanterns, slides, and original programmes when
they can inspire the modern visionary.
It is to Laurent Mannoni that I ideally pass on the task of continuing
the journey which I undertook more than 40 years ago – certain,
after having seen his spectacle with the magic lantern, that he has the
skill capable of making him the “best lanternist of all time”.
LAURA MINICI ZOTTI
A tutti i miei cari amici delle Giornate
Desidero comunicarvi che nella serata del 7 ottobre alle ore 20.30 al
Teatro Verdi, concluderò il mio ruolo di “lanternista”, per dedicarmi
esclusivamente al Museo.
Una decisione difficile, ma necessaria perché, oltre allo stress,
inevitabile alla mia “veneranda età”, c’è il rischio di rottura dei fragili
vetri, dovuta ai frequenti viaggi, e alle limitazioni dei trasporti aerei
sempre più restrittive.
“L’addio alle scene” avverrà alla XXIX edizione delle Giornate del
Cinema Muto, che sempre hanno appoggiato il mio entusiasmo,
conferendomi il prestigioso riconoscimento del Premio Jean Mitry
nell’edizione del 2008.
Per l’occasione ho scelto una rappresentazione con la Lanterna
Magica e i vetri più belli della collezione, ispirata al programma di
Charles Hellemberg di Anversa. Nel 1884 il celebre lanternista
mostrava “vetri astronomici in movimento, i capolavori dell’arte
plastica, il giro del mondo e altri mirabili effetti”, affascinando il
pubblico dell’epoca, cosa che farò anch’io nell’intento di emozionare
gli spettatori di oggi.
In più di quarant’anni di carriera, ho girato buona parte del Mondo; mi
hanno applaudita Capi di Stato, Ambasciatori, Direttori di Festival e
Musei.
Partendo dal Quirinale a Roma, poi a Parigi dal Museo del Louvre al
Museo d’Orsay per finire alla Cinémathèque Française, a Londra, a
Madrid, alla Library of Congress di Washington, a Osaka, ma anche a
Singapore; l’elenco sarebbe troppo lungo da riportare interamente.
Nella “mia” Venezia ho proiettato, in occasione del famoso Carnevale,
La Vita di Giacomo Casanova al Teatro Goldoni e proprio di questa
rappresentazione ho lasciato una testimonianza in DVD.
Già da qualche tempo, prevedevo di non mostrare più a lungo i
preziosi vetri dipinti a mano del XVIII e XIX secolo, per dedicarmi
esclusivamente alla gestione del Museo del PRECINEMA a Padova. A
dodici anni dalla sua apertura, la mole di lavoro è notevolmente
aumentata, donazioni, ricerche, studi e le mostre itineranti dedicate
alla Stereoscopia, alle Silhouette e al Teatro d’Ombre dello Chat Noir,
richiedono una costante dedizione.
Un giorno, che spero lontano, sarà mio figlio Alberto, a proseguire
nello studio e nella diffusione per quanto riguarda il Precinema,
essendo rimasto affascinato, fin da bambino, dall’interesse per la
Lanterna Magica.
Ora mi resta il ricordo di un passato vissuto con entusiasmo, con la
coscienza di essermi dedicata con passione, alla diffusione dello
Spettacolo con la Lanterna Magica nel XX secolo, impiegando
lanterna, vetri e programmi originali quando si ponevano le basi del
moderno uomo visionario.
È a Laurent Mannoni che consegno idealmente l’incarico di continuare
il percorso che avevo intrapreso oltre 40 anni fa, sicura, dopo aver
visto il suo spettacolo con la Lanterna Magica, che ha le capacità
adatte a diventare il “migliore lanternista di tutti i tempi”.
LAURA MINICI ZOTTI
Se ra ta f in a le / Cl os in g E ve nt
WINGS (Paramount Famous Lasky Corp., US 1927)
Regia/dir: William A. Wellman; pres: Adolph Zukor, Jesse Lasky; prod:
Lucien Hubbard; prod. assoc./assoc. prod: B. P. Schulberg; story: John
Monk Saunders; scen: Hope Loring, Louis D. Lighton; consulente/
story consultant: Robert Nichols; scen. editor: E. Lloyd Sheldon;
mont./ed: Merrill White, Tommy Scott; didascalie/titles: Julian
Johnson; f./ph: Harry Perry; effetti fotografici/ph. effects: Paul Perry; f.
aggiuntiva/addl. ph: Burton Steene, Horace D. Ashton, Cliff Blackston,
Russell Harlan, Bert Baldridge, Frank Cotner, Faxon M. Dean, Ray
Hubbard, Ray Olsen, L. Guy Wilky, Herman Schoop, Al Lane, William
Clothier, Ernest Laszlo, Alfred Williams, L. B. Abbott, Eddie Adams,
Al Myers, Gene O’Donnell; aiuto regia/asst. dir: Dick Johnson,
Charles Barton; dir. prod./prod. mgr: Frank Blount; effetti
tecnici/engineering effects: Roy Pomeroy (Magnascope & effetti
sonori/sound effects); gag man & anim: Norman Z. McLeod; cast:
Clara Bow (Mary Preston), Charles “Buddy” Rogers (Jack Powell),
Richard Arlen (David Armstrong), Jobyna Ralston (Sylvia Lewis), Gary
Cooper (cadetto/Cadet White), Arlette Marchal (Celeste), El Brendel
(Patrick O’Brien), Gunboat Smith (sergente/The Sergeant), Richard
Tucker (comandante/Air commander), Julia Swayne Gordon (Mrs.
Armstrong), Henry B. Walthall (Mr. Armstrong), George Irving (Mr.
Powell), Hedda Hopper (Mrs. Powell), Margery Chapin [Wellman]
(contadina/Peasant mother), Gloria Wellman (contadinella/Peasant
child), Charles Barton (soldato investito dall’ambulanza/Soldier hit by
ambulance), William Wellman (fante morente nell’avanzata finale/
Dying doughboy in final advance), Roscoe Karns (Lt. Cameron), Frank
Clarke (il capitano/Kapitan Kellerman), Dick Grace, Rod Rogers, Bill
Taylor, Paul Mantz, Hoyt Vandenburg, Hal George, Frank Andrews,
Clarence Irvine, Earl E. Partridge, S.R. Stribling (piloti/pilots);
première: 12.8.1927 (Criterion, New York City); 35mm, 12,493 ft.,
139' (24 fps); fonte copia/print source: Photoplay Productions,
London.
Didascalie in inglese / English intertitles.
momento opportuno i piloti sparivano dalla vista e gli attori
azionavano cineprese comandate a distanza: come ricordò poi Buddy
Rogers, “ero il regista, l’operatore, facevo tutto io… per poco più di
cento metri, naturalmente.”
Harry Perry, il direttore della fotografia, aveva ai propri ordini una
folta squadra di operatori. Le riprese dall’alto delle scene di battaglia
vennero girate dalla cima di una torre di oltre trenta metri, mentre in
basso il terreno era sconvolto dal fuoco dell’artiglieria; la Seconda
Divisione dell’esercito degli Stati Uniti, che aveva partecipato alle
originali azioni di guerra, fu utilizzata per le riprese della grande
offensiva, girate in esterni presso San Antonio, in Texas. Parecchi dei
piloti che presero parte al film sarebbero poi diventati generali nel
corso della Seconda Guerra Mondiale.
Un pilota rimase ucciso. “Pensavamo che questo avrebbe fermato
definitivamente il film”, ricorda Lucien Hubbard, “ma l’ufficiale
incaricato di dirigere le operazioni si limitò a dire ‘Per noi è normale.
Qualcuno si ammazza sempre durante l’addestramento…’ ”
Wellman, l’unico regista della Paramount che avesse combattuto
come pilota in guerra, si trovò a dover combattere con la produzione
per assicurarsi effetti visivi indispensabili, come le nuvole nelle scene
di battaglia aerea: “Se non c’è niente sullo sfondo, non c’è senso della
velocità; per questo ci vogliono le nuvole; con il cielo azzurro gli aerei
sembrano uno sciame di mosche!” Le settimane spese ad aspettare le
nuvole costarono un patrimonio alla Paramount, ma il film fu un
successo sensazionale.
“Quando il regista non lavorava al film”, riferiva il Motion Picture
Magazine del settembre 1927, “era impegnato, insieme al produttore,
a superare le divergenze politiche dei militari, a placare le gelosie che
opponevano le varie sezioni del servizio, a pacificare la truppa
scalpitante con barili di birra e spettacoli cinematografici, a offrire
cene e balli agli aviatori, a conciliarsi ufficiali furibondi con uno
sfoggio di abilità diplomatica che sarebbe bastato a scongiurare la
Grande Guerra.” A completare il quadro, giunse in città la troupe che
stava girando per la Paramount The Rough Riders, l’epico film di
Victor Fleming, con ogni uomo che sperava in un appuntamento con
Clara Bow.
Wings migliora invecchiando, e scene che in passato potevano
apparire ingenue ed eccessivamente sentimentali ora sembrano parte
integrante della loro epoca. Clara Bow interpreta Mary, la ragazza
della porta accanto innamorata di Jack e dell’automobile che lui si è
costruito in casa. Durante l’addestramento, Jack si scontra con Dick,
che però diventerà in seguito il suo migliore amico (in una scena i due
recitano insieme a Gary Cooper). Jack e Dick giungono in Francia;
anche Mary, che si è arruolata volontaria, si trova al fronte come
conducente di ambulanza. I due ragazzi, decorati, ottengono una
licenza: Parigi, finalmente! Mary arriva a sua volta a Parigi, dove trova
Jack, ubriaco, tra le braccia di un’altra ragazza; riesce a strapparlo alla
rivale, ma viene arrestata e spedita a casa dalla polizia militare. Giunge
l’ordine di tornare alla base per la grande offensiva. Dick, abbattuto,
viene preso prigioniero; fugge su aeroplano tedesco e Jack lo abbatte
Partitura di/Score by Carl Davis; esegue/performed by Orchestra
Mitteleuropea; dirige/conducted by Mark Fitz-Gerald.
Partitura commissionata da/Score commissioned by Photoplay
Productions per/for Channel Four; esecuzione gentilmente
autorizzata da/performed by arrangement with Faber Music London
Ltd. per conto di/on behalf of Carl Davis.
Scritto da un pilota d’aereo e diretto da un altro pilota, Wings colse
il momento culminante dell’ondata di entusiasmo popolare per
l’aviazione: nel maggio 1927 Lindbergh aveva compiuto la sua
trasvolata atlantica. Wellman riuscì a infondere alle scene di aerei in
volo un afflato di grandezza epica; rifiutò di girarle nel sicuro ambiente
dello studio, e spedì gli attori in aria, affidandoli a piloti esperti.
(Richard Arlen aveva volato con il Royal Canadian Flying Corps, ma
Buddy Rogers non sapeva assolutamente nulla di aeroplani.) Al
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Written by one pilot and directed by another, Wings caught the
excitement over aviation at its peak – Lindbergh had flown the
Atlantic in May 1927. Wellman gave the flying scenes an epic grandeur
– he refused to stage them in the safety of the studio, and sent his
actors up in charge of experienced pilots. (Richard Arlen had flown
with the Royal Canadian Flying Corps, but Buddy Rogers knew
nothing about planes.) When conditions were right, the pilots ducked
out of sight, the actors triggered remote-control cameras, and, as
Buddy Rogers put it, “I was director, cameraman – everything…for
four hundred feet, that is.”
Harry Perry was director of photography, commanding a vast crew of
cameramen. High angles for battle scenes were taken from a hundredfoot tower, and the ground was churned up by artillery fire. The U.S.
Army’s 2nd Division, which had taken part in the original drive, was
used for the Big Push at the location outside San Antonio, Texas.
Several of the pilots became generals in World War II.
One pilot was killed. “We thought that would stop the picture,” said
Lucien Hubbard, “but the operation officer said, ‘We don’t think
anything of it. Guys are always killed in training…’ ”
Wellman, the only Paramount director who had fought as a pilot in
the war, also fought the front office for such essential visual effects as
clouds for the dogfights – “You get no sense of speed because there’s
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EVENTI SPECIALI
SPECIAL EVENTS
nothing that’s parallel. The clouds give you that, but against a blue sky,
it’s like a lot of goddam flies!” The weeks he spent waiting for clouds
cost Paramount a fortune. But the picture was a smash hit.
“When the director was not working on the picture,” reported
Motion Picture Magazine (September 1927), “he and the producer
were settling the differences that arose because of army politics,
soothing over jealousies between different branches of the service,
pacifying the impatient troops with barrels of beer and motion
picture entertainments, giving the aviators dinners and dances and
conciliating fuming officers with a diplomacy that would have avoided
the World War.” On top of which, the crew making Victor Fleming’s
Paramount epic, The Rough Riders, hit town – every man hoping for
a date with Clara Bow.
Wings gets better the older it becomes. Scenes that once seemed
naïve and overly sentimental now seem an integral part of their time.
Clara Bow plays Mary, the girl next door who loves Jack and his
home-made car. At training school, Jack fights with Dick, soon to be
his closest comrade. (They play in a scene with Gary Cooper.) They
go to France. Mary has volunteered and is also at the front as an
ambulance driver. The two boys are decorated and are given leave. At
last – Paris! Mary, also in Paris, finds Jack, intoxicated, in the arms of
another girl. She wins him back, only to be arrested and sent home
by the military police. Orders come to return to base. The Big Push.
Dick is shot down and captured. He escapes in a German plane and
Jack shoots him down. Jack lands in front of a military cemetery and
steps out of his plane in front of thousands of white crosses, unaware
that his closest friend lies dying.
Apart from this pacifist touch, it is “the road to glory” and “the
bravest of the brave” that figure in the titles. Wellman hurls his
camera around the vast battlefield with exhilarating abandon. Even by
today’s standards, his setups seem remarkably bold. His epic handling
of the Battle of St.-Mihiel is overwhelming, and the superimposition
of thousands of men marching into a horizon where their destruction
is pictured in split-screen, is a moment worthy of Abel Gance’s
J’accuse (1919).
Apart from regular tinting (which we reproduced in our new copy in
accordance with a surviving continuity), in original prints when planes
caught fire, you saw red flames, and for the big scenes the screen
expanded to the full size of the proscenium, thanks to Magnascope.
In 1928, the film was equipped with the sound effects of airplane
motors and machine-gun fire.
Wings may have won the the Academy’s first award for “outstanding
production” (pre-dating the “Best Picture” category), but the War
Department was furious at how much their co-operation had cost. “A
good brisk war,” they said, “would be preferable to another movie.”
Producer Howard Hughes watched Wings continually before making
the next aviation epic, Hell’s Angels (1930). – KEVIN BROWNLOW
nuovamente. Jack atterra di fronte a un cimitero militare e smonta
dall’aereo davanti a una distesa di migliaia di croci bianche, senza
sapere che il suo amico giace morente.
A parte questo tocco pacifista, le didascalie insistono piuttosto su
concetti come “la strada verso la gloria” e “i più valorosi tra i valorosi”.
Wellman fa giostrare la cinepresa nel vasto campo di battaglia con
entusiasmante fluidità. Anche per gli standard odierni, le soluzioni
sceniche da lui proposte sembrano particolarmente audaci; e la
sovrimpressione della colonna di migliaia di uomini in marcia verso un
orizzonte in cui viene raffigurato in split-screen il loro annientamento,
è un momento degno del J’accuse di Abel Gance (1919).
A parte la normale imbibizione (riprodotta nella copia Photoplay
seguendo le indicazioni di un copione d’epoca), nelle copie originali,
quando gli aeroplani si incendiavano si vedevano fiamme scarlatte, e
nelle scene clou lo schermo si allargava, grazie al Magnascope,
all’intero proscenio. Nel 1928 la pellicola fu integrata con effetti
sonori (il rombo dei motori degli aerei e le raffiche delle mitragliatrici)
Wings vinse il primo Oscar per gli “eccezionali meriti produttivi”, ma
ciò non impedì al ministero della Guerra di infuriarsi per l’enorme
costo della cooperazione che aveva offerto. “Una bella guerra”
dissero al ministero “sarebbe stata preferibile a un altro film.”
Il produttore Howard Hughes guardò ripetutamente Wings prima di
realizzare il successivo film epico dedicato all’aviazione, Hell’s Angels
(1930). – KEVIN BROWNLOW
Reijin, Yasujiro Shimazu, 1930. (National Film Center, Tokyo)
Ginga, Hiroshi Shimizu, 1931. (National Film Center, Tokyo)
La retrospettiva che quest’anno, per la terza volta nella storia delle Giornate, Pordenone dedica al cinema muto giapponese concentra la sua attenzione
su tre eminenti cineasti che nell’epoca del muto operarono presso una delle più prestigiose case di produzione del Giappone, la Shochiku: Yasujiro
Shimazu, Hiroshi Shimizu e Kiyohiko Ushihara. Shimizu ha acquisito una certa notorietà all’estero grazie ai film per bambini da lui girati nell’epoca del
sonoro – e in Occidente gli sono state dedicate anche alcune retrospettive – ma la maggior parte dei suoi film muti è ancora pressoché ignota al di fuori
del Giappone. Shimazu e Ushihara, benché abbiano svolto un ruolo essenziale nella definizione dello stile della Shochiku e dell’intero cinema giapponese,
sono ancor oggi nomi praticamente sconosciuti per quasi tutti gli spettatori occidentali. L’odierna retrospettiva ci offre l’opportunità di individuare i film
muti ancora esistenti di questi tre registi e di esplorare lo stile Shochiku nel suo complesso.
Fondata nel 1895 come compagnia teatrale kabuki , la Shochiku esordisce nella produzione cinematografica nel 1920, prefiggendosi di realizzare film di
stile moderno, tenendo presenti le tecniche del cinema occidentale. Un tipico esempio di questa tendenza è la notevole pellicola di Minoru Murata Rojo
no reikon (Anime sulla strada; 1921), ispirato alla prosa di Maxim Gorky e al cinema di D.W. Griffith. Il contributo più vitale offerto dalla Shochiku al
cinema giapponese sta però in un’originalissima fusione di influenze occidentali e tradizioni locali. Il grande terremoto di Kanto del 1923, che riduce Tokyo
in rovine, provoca un momentaneo esodo di talenti verso Kyoto, ove ha sede l’altro studio della Shochiku, il quale presto si specializza in film in costume.
Alla fine degli anni Venti, tuttavia, gli studi Shochiku di Tokyo, siti nel sobborgo di Kamata, hanno già sviluppato un proprio stile ben definito. Il cosiddetto
“modernismo di Kamata” unisce una descrizione spesso realistica della vita urbana giapponese dell’epoca a moduli narrativi melodrammatici e a un
elaborato stile visivo influenzato da modelli sia hollywoodiani che europei. Grazie a tale intreccio, le produzioni di Kamata espongono con vivacità
drammatica tensioni e contraddizioni di un paese lacerato dal contrasto fra tradizione e modernità, fra usi locali e influenze straniere.
I film proiettati in questa retrospettiva risalgono in gran parte ai primi anni Trenta, cioè a un’epoca in cui, in quasi tutto il mondo occidentale, il cinema
muto aveva ceduto il passo al sonoro. Quindi, oltre a costituire la preziosa testimonianza superstite di un cinema nazionale i cui archivi prebellici sono
stati tragicamente devastati dalla guerra, dalle calamità naturali e dalla mera indifferenza degli uomini, queste opere ci offrono un’opportunità
praticamente senza uguali di esplorare il persistente potenziale espressivo dell’arte del cinema muto, quando nel resto del mondo essa era già scomparsa.
Questa retrospettiva è stata organizzata in collaborazione con il National Film Center, The National Museum of Modern Art, Tokyo, e con la Shochiku Co.,
Ltd. Al National Film Center ringraziamo nella maniera più sentita Hisashi Okajima, Akira Tochigi e Fumiaki Itakura; alla Shochiku, Kiwamu Sato, Junko
Kawaguchi, Atsushi Naruge e Kan Odagiri. Un grazie anche a Kae Ishihara della Film Preservation Society di Tokyo. Per i dati forniti e le traduzioni dal
giapponese siamo grati a Hiroshi Komatsu e Keiko Sumiyoshi. Desideriamo esprimere la nostra riconoscenza alla Shochiku Co. Ltd., proprietaria dei master
originali, per la generosità dimostrata nell’autorizzare questa retrospettiva e per l’assistenza che ci ha prestato. – A LEXANDER J ACOBY, J OHAN N ORDSTRÖM
This year’s retrospective of Japanese silent cinema, the third at Pordenone, focuses on three outstanding filmmakers active at one of Japan’s most
distinguished studios, Shochiku, during the silent era: Yasujiro Shimazu, Hiroshi Shimizu, and Kiyohiko Ushihara. While Shimizu has achieved some notice
abroad for his children’s films of the sound era, and has enjoyed retrospectives in the West, the bulk of his silent films are still barely known outside
Japan. Shimazu and Ushihara, despite their vital role in establishing the Shochiku style and that of the Japanese cinema as a whole, still remain
practically unknown quantities to most Western viewers. This retrospective offers us the opportunity to chart the surviving silent films of each of the
three directors, and to explore the Shochiku style as a whole.
Originally a kabuki production company, established in 1895, Shochiku entered film production in 1920, aiming to realize films in a modern mode
influenced by the techniques of Western cinema. This aim was typified by Minoru Murata’s remarkable Souls on the Road ( Rojo no reikon , 1921), which
was inspired by the prose of Maxim Gorky and the cinema of D.W. Griffith. But Shochiku’s vital contribution to the Japanese cinema would lie in a unique
fusion of Western influences with indigenous traditions. The Great Kanto Earthquake of 1923, which left Tokyo in ruins, triggered a temporary exodus of
talent to Shochiku’s other studio in Kyoto, which soon came to specialize in period films. By the late 1920s, however, a distinctive style had emerged at
Shochiku’s Tokyo studios, based in the suburb of Kamata. The so-called “Kamata modernism” combined an often realistic record of Japanese urban life
at this period with melodramatic narratives and florid visuals influenced by both Hollywood and European models. Through this combination, the Kamata
films dramatized the tensions and contradictions of a country torn between tradition and modernity, the native and the foreign.
The bulk of the films shown in this retrospective date from the early 1930s, when silent cinema had given way to sound in most of the Western world.
29
SHOCHIKU
Tre maestri della Shochiku / Three Shochiku Masters
Yasujiro Shimazu, Hiroshi Shimizu, Kiyohiko Ushihara
Thus, in addition to being precious survivors of a national cinema of which the pre-war archive has been tragically depleted by war, natural disasters, and
plain indifference, they provide a near-unique insight into the continuing expressive potential of the art of the silent film after its disappearance elsewhere.
This retrospective has been organized with the support of the National Film Center, The National Museum of Modern Art, Tokyo, and of Shochiku Co., Ltd. At the
National Film Center, we would like to express our profound gratitude to Hisashi Okajima, Akira Tochigi, and Fumiaki Itakura. At Shochiku, we must thank Kiwamu
Sato, Junko Kawaguchi, Atsushi Naruge, and Kan Odagiri. We also thank Kae Ishihara at the Film Preservation Society, Tokyo. For assistance with factual content
and transliteration from Japanese, we would like to thank Hiroshi Komatsu and Keiko Sumiyoshi. We would like to acknowledge the generosity of Shochiku Co.
Ltd., the owner of the original master materials, in granting permission for and assisting with this retrospective. – A LEXANDER J ACOBY, J OHAN N ORDSTRÖM
1941), interpretato da Takako Irie. Il suo ultimo film è Nichijo no
tatakai (La battaglia quotidiana; 1944). Muore per un tumore allo
stomaco un mese dopo la fine della guerra, il 18 settembre 1945.
Alcuni degli ultimi film di Shimazu risentono degli inevitabili orpelli
propagandistici, ma le opere migliori da lui firmate negli anni Trenta
destano ancor oggi ammirazione. Anche la sua influenza è stata
vastissima: futuri registi di vaglia come Heinosuke Gosho, Yuzo
Kawashima, Keisuke Kinoshita, Senkichi Taniguchi, Shiro Toyoda e
Kozaburo Yoshimura lavorano tutti come suoi assistenti, ed egli si può
considerare una figura chiave nello sviluppo di una delle più
caratteristiche tradizioni dell’arte cinematografica giapponese.
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Yasujiro Shimazu was born on 3 June 1897 in Tokyo’s Kanda district,
and studied at an English-language school in that neighbourhood. On
graduation, he worked in his father’s business before entering
Shochiku, where he worked as an assistant on Minoru Murata’s
seminal Souls on the Road (Rojo no reikon, 1921). His own directorial
debut, Lonely People (Sabishiki hitobito, 1921), was made the same
year. He went on to achieve notice with The Crossing Watchman of
the Mountains (Yama no senroban, 1923), a naturalistic version of a
Gerhart Hauptmann play. After the Great Kanto Earthquake, which
levelled Tokyo and Yokohama on 1 September 1923, many of
Shochiku’s directors relocated to Kyoto, but Shimazu remained in the
capital and at the Kamata studio, where, encouraged by studio head
Shiro Kido, he began to realize light comedies with contemporary
settings, among them Father (Chichi, 1923) and Sunday (Nichiyobi,
1924). These films prefigured the shomin-geki, the drama of the
lower middle classes, which was to become Shochiku’s speciality.
By the late 1920s, Shimazu was one of Shochiku’s leading directors,
and a logical choice to handle the big-budget epic Love, Be with
Humanity (Ai yo jinrui to tomo ni are, 1931), which marked the
homecoming to Japan of the Hollywood star Sojin Kamiyama. That
same year, Shimazu directed the notable proletarian film, Lifeline ABC
(Seikatsusen ABC). In 1932, he made his first talkie, First Steps
Ashore (Joriku Daiippo), a reworking of Josef von Sternberg’s classic
silent The Docks of New York (1928).
Shimazu’s best sound films achieved a dramatic subtlety and
naturalistic detail that, along with the work of Yasujiro Ozu and
Hiroshi Shimizu, exemplifies the Shochiku style of the mid- to late1930s. Arguably his finest achievements during this period were Our
Yasujiro Shimazu (1897-1945)
Nato il 3 giugno 1897 a Kanda, un distretto di Tokyo, Yasujiro Shimazu
compie gli studi presso una scuola di lingua inglese della zona. Dopo il
diploma, lavora nella ditta paterna per poi fare ingresso alla Shochiku,
dove è l’assistente di Minoru Murata nel pionieristico Rojo no reikon
(Anime sulla strada; 1921). Il suo esordio registico personale, Sabishiki
hitobito (Persone sole; 1921), risale allo stesso anno, ma non ha
diffusione; la notorietà gli arride però con Yama no senroban (Il
guardiano errante delle montagne; 1923), versione naturalistica di un
lavoro teatrale di Gerhart Hauptmann. Dopo il grande terremoto di
Kanto, che il 1° settembre 1923 rade al suolo Tokyo e Yokohama, molti
registi della Shochiku si trasferiscono a Kyoto, ma Shimazu rimane nella
capitale presso lo studio di Kamata dove, incoraggiato dal capo dello
studio, Shiro Kido, inizia a realizzare alcune commedie leggere di
ambientazione contemporanea tra cui Chichi (Padre; 1923) e Nichiyobi
(Domenica; 1924). Questi film anticipano lo shomin-geki, il genere
dedicato alla vita delle classi sociali medio-basse, destinato in seguito a
diventare la specialità della Shochiku. Alla fine degli anni Venti Shimazu
è ormai uno dei più importanti registi della Shochiku, e sembra quindi
logico affidare a lui la direzione di un film di grande impegno
spettacolare e finanziario come Ai yo jinrui to tomo ni are (L’amore sia
con gli uomini; 1931), che segna il ritorno in Giappone della star
hollywoodiana Sojin Kamiyama. Nel medesimo anno, Shimazu firma
una notevole pellicola di ambientazione proletaria, Seikatsusen ABC
(Fune di salvataggio ABC); nel 1932 dirige il suo primo film sonoro
Joriku Daiippo (I primi passi sulla riva), rifacimento di un classico muto
di Josef von Sternberg, The Docks of New York (1928).
I più riusciti film sonori di Shimazu hanno una raffinatezza drammatica
e un’attenzione per il dettaglio naturalistico che ben esemplificano –
insieme alle opere di Yasujiro Ozu e Hiroshi Shimizu – lo stile
Shochiku della seconda metà degli anni Trenta. Probabilmente tra i
suoi più brillanti risultati di questo periodo possiamo annoverare
Tonari no Yae-chan (La nostra vicina, la signorina Yae; 1934) e Ani to
sono imoto (Fratello maggiore e sorella minore; 1939), due
commoventi schizzi di vita familiare, ricchi di dimessa umanità. Egli è
anche autore del melodrammatico film in costume Okoto to Sasuke
(Okoto e Sasuke; 1935), tratto dal romanzo di Junichiro Tanizaki, oltre
che di una serie di film commerciali più convenzionali, interpretati dai
principali attori della Shochiku. Nel 1939 lascia la Shochiku per la
Toho, ove ottiene un grande successo con Shirasagi (L’airone bianco;
30
giapponese, la tradizione delle storie canine si è protratta nel
ventunesimo secolo grazie a film come Sayonara Kuro di Joji
Matsuoka (2003) e Quill di Yoichi Sai (2004).
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Ashita tenki ni naare received first prize in a competition for
educational film scenarios sponsored by the education department of
Tokyo city. The story concerns two boys, Katsuhiko and Yoshikazu,
who find two newborn puppies that have been abandoned. The family
of Katsuhiko, who is the son of a wealthy academic, take to the dog
and treat it kindly, naming it Jack. By contrast, Yoshikazu’s father, a
carpenter, is worried about the money it will cost to take care of the
other dog, but Yoshikazu agrees to use his own pocket money to
look after it. He names it Oro. However, Jack and Oro are actually
the puppies of a dog owned by a young girl. They had been thrown
out by her father after their birth, but the sad girl wants them back.
This sentimental story is in a long tradition of Japanese stories about
the relationship between human beings and dogs, typified most
famously by the tale of Hachiko, the Greyfriars Bobby of Japan, whose
statue stands outside Shibuya Station in Tokyo, and whose story has
been retold on film both in Japan and in a recent Hollywood version
starring Richard Gere (Hachi: A Dog’s Story, 2009). Within the
Japanese cinema, the tradition of stories about dogs has continued
into the 21st century, including films such as Joji Matsuoka’s Sayonara
Kuro (2003) and Yoichi Sai’s Quill (2004).
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(Questo film era stato originariamente commissionato dal Ministero
dell’Istruzione che conservò per decenni i materiali sopravvissuti,
affidandoli poi al National Film Center, ex ente statale./This film was
originally commissioned by the Ministry of Education, which kept the
only surviving element for decades, and then entrusted its ownership
to the previously state-run National Film Center.)
ASHITA TENKI NI NAARE [Domani sarà un bel giorno / May
Tomorrow Be Fine] (Shochiku, JP 1929)
Regia/dir: Yasujiro Shimazu, Yoshio Nishio; scen: Tatsuo Imai; f./ph:
Shinichi Nagai; cast: Shoichi Kofujita (Yoshikazu-kun), Jun Arai (suo
padre/his father), Choko Iida (sua madre/his mother), Hidemaru Handa
(Katsuhiko-kun), Mitsuko Takao (la sorella maggiore/his older sister),
Reikichi Kawamura (suo padre/his father), Chitose Hayashi (sua madre/his
mother), Yoko Kozakura (la signorina/the young miss), Kenichi Miyajima
(il padre di lei/her father), Mitsuko Yoshikawa (la amdre di lei/her
mother), Ryuji Nishiyama (domestico/the houseboy); 35mm, 1261 m., 61'
(18 fps); fonte copia/print source: National Film Center, Tokyo.
Didascalie in inglese / English intertitles.
Ashita tenki ni naare ottenne il primo premio in un concorso per
sceneggiature cinematografiche educative patrocinato dal dipartimento
dell’istruzione della città di Tokyo. Il film narra la vicenda di due ragazzi,
Katsuhiko e Yoshikazu, che trovano due cuccioli abbandonati subito
dopo la nascita. La famiglia di Katsuhiko, figlio di un facoltoso
accademico, accoglie e alleva amorosamente il cagnolino, che viene
chiamato Jack. Il padre di Yoshikazu, che è un falegname, è al contrario
preoccupato per il denaro che occorrerà spendere per allevare l’altro
cane, ma Yoshikazu accetta di usare la propria paghetta per prendersi
cura del cucciolo, che chiama Oro. Ma la madre di Jack e Oro è di
proprietà di una bambina. Il padre di quest’ultima si è liberato dei
cuccioli non appena nati e adesso la triste ragazzina vorrebbe riaverli.
Questa sentimentale vicenda si colloca entro una lunga tradizione di
racconti giapponesi dedicati al rapporto tra esseri umani e cani:
l’esempio più famoso è quello di Hachiko, il Greyfriars Bobby del
Giappone, cui è stata eretta una statua davanti alla stazione Shibuya a
Tokyo e la cui storia è stata portata sullo schermo sia in Giappone sia
a Hollywood nel film del 2009 con Richard Gere Hachi: A Dog’s
Story, ovvero Hachicko: il tuo migliore amico. Nell’ambito del cinema
REIJIN [La bella / The Belle] (Shochiku, JP 1930)
Regia/dir: Yasujiro Shimazu; scen: Tokusaburo Murakami, f./ph: Takashi
Kuwabara; scg./des: Yoneichi Wakita; cast: Sumiko Kurishima
(Tomoko Mizuhara), Yukichi Iwata (Shichiro Mizuhara, suo fratello
maggiore/Tomoko’s elder brother), Kaoru Futaba (Osaki), Hideko
Takamine (Iwao, figlio di Tomoko/Tomoko’s child), Shinyo Nara
(Masaki Asano), Hikaru Yamauchi (Kosaka), Hideo Fujino (Senzo
Kurotsu), Utako Suzuki (Shihoko, madre di Yuriko/Yuriko’s mother),
Emiko Yagumo (Yuriko), Kikuko Hanaoka (Momoko, la sorella
maggiore/ Yuriko’s younger sister), Ayako Okamura (Torako
Hayashi), Eiko Higashi (Otama, la domestica/the maid), Kenichi
Miyajima (Matsubara), Tokuji Kobayashi (Satomi), Jun Arai
(insegnante/the teacher); 35mm, 3242 m., 158' (18 fps); fonte
copia/print source: National Film Center, Tokyo.
Didascalie in inglese / English intertitles.
Tratto da un libro di Koroku Sato, Reijin è ispirato a un episodio
accaduto realmente nel villaggio di Irima, nella prefettura di Saitama. Il
film, girato in esterni in quel medesimo villaggio, racconta la vita di una
31
SHOCHIKU
Neighbour, Miss Yae (Tonari no Yae-chan, 1934) and An Older
Brother and His Younger Sister (Ani to sono imoto, 1939), both
understated, humane, and touching studies of family life. He also
made the period melodrama Okoto and Sasuke (Okoto to Sasuke,
1935), based on a Junichiro Tanizaki novel, and a number of more
conventional commercial films starring leading Shochiku performers.
In 1939, he left Shochiku for Toho, where he achieved a hit with The
White Egret (Shirasagi, 1941), starring Takako Irie. His last film was
The Daily Battle (Nichijo no tatakai, 1944); he died of stomach cancer
just a month after the end of the war, on 18 September 1945. Some
of Shimazu’s later films were inevitably marred by their propagandistic
elements, but his best work of the 1930s remains admirable. His
influence has also been enormous: such distinguished future directors
as Heinosuke Gosho, Yuzo Kawashima, Keisuke Kinoshita, Senkichi
Taniguchi, Shiro Toyoda, and Kozaburo Yoshimura all served as his
assistants, and he was a key figure in the development of one of the
most characteristic traditions of Japanese film art.
ALEXANDER JACOBY & JOHAN NORDSTRöM
AI YO JINRUI TO TOMO NI ARE [L’amore sia con gli uomini / Love,
Be with Humanity] (Shochiku, JP 1931)
Regia/dir: Yasujiro Shimazu; aiuto regia/asst. dir: Shiro Toyoda, Fumio
Suzuki, Katsuji Arai, Kozaburo Yoshimura, Katsuji Kuroyanagi; scen:
Tokusaburo Murakami; f./ph: Takashi Kuwabara, Shinichi Nagai;
scg./des: Yoneichi Wakita, Takashi Kono; cast: Sojin Kamiyama
(Kokichi Yamaguchi), Tokihiko Okada (Osamu, il figlio maggiore/his
eldest son), Kimiko Hikari (Fujiko, sua moglie/his wife), Reikichi
Kawamura (Yoichi Matsuyama), Mitsuko Yoshikawa (Misao, Kokichi’s
elder daughter and Matsuyama’s wife), Hideko Takamine (Yasuo, figlio
di Matsuyama/ Matsuyama’s son), Shinyo Nara (Kentaro Sekitani),
Shizue Tatsuta (la moglie/the wife Sakura, Kokichi’s younger
daughter), Kinuyo Tanaka (Mayumi, Yu’s mistress), Denmei Suzuki
(Yu, il figlio più piccolo/the younger son), Hideo Fujino (Okada, il
direttore della fabbrica/factory manager); 35mm, 4990 m., 241' (18
fps); fonte copia/print source: National Film Center, Tokyo.
Didascalie in inglese / English intertitles.
Ai yo jinrui to tomo ni are venne realizzato dalla Shochiku per
celebrare il ritorno in Giappone di Sojin Kamiyama, attore che, col
nome d’arte di Sojin, aveva mietuto notevole successo nella sua
carriera a Hollywood, ove aveva recitato in film quali The Thief of
Bagdad (1924), The Sea Beast (adattamento del 1926 di Moby Dick) e
The Chinese Parrot di Paul Leni (1927), in cui interpretava Charlie
Chan. Ed in effetti le riprese del film di Shimazu subirono un ritardo
quando Kamiyama dovette rientrare per un breve periodo negli Stati
Uniti per completare un ultimo film alla Universal; in quest’intervallo
Shimazu girò altri due film. La realizzazione di Ai you jinrui to tomo ni
are si protrasse dall’ottobre 1930 all’aprile 1931 e richiese i servigi di
tutti gli attori, tecnici e maestranze che la Shochiku riuscì a mobilitare.
La lavorazione di questo film ad alto budget fu un’impresa veramente
epica: vennero utilizzati più di sessanta differenti set e le riprese in
esterni furono effettuate a Nikko, Akita, Aomori e nella zona del
monte Fuji. Secondo i calcoli fatti all’epoca, le distanze percorse in
totale per passare da una location all’altra equivalevano al giro del
mondo. Il film fu proiettato nei cinema giapponesi per un mese intero,
e la fama di cui Kamiyama godeva all’estero fece sperare in una
distribuzione internazionale, ma non si sa con precisione se il film sia
mai uscito all’estero.
La vicenda narrata è quella di quattro ragazzi, figli dello stesso padre
ma di madri diverse; il più giovane – interpretato da Denmei Suzuki –
è una testa calda che si ribella all’autorità paterna. La sceneggiatura
originale si deve a Tokusaburo Murakami, uno dei più importanti
sceneggiatori operanti a Kamata, ed è stata paragonata a Re Lear,
anche se in realtà l’influenza più diretta è probabilmente quella del
pionieristico film giapponese del 1921 Rojo no reikon (Anime sulla
strada) di Minoru Murata (anche in quest’opera Denmei Suzuki
interpretava il ruolo di un figlio in contrasto con il padre). Murakami
si sarebbe poi unito a Suzuki quando quest’ultimo abbandonò la
Shochiku per iniziare un’attività indipendente.
ALEXANDER JACOBY & JOHAN NORDSTRöM
liceale, Tomoko, sedotta e abbandonata dal fidanzato di una sua
compagna di classe di estrazione borghese; rimasta incinta, ella tronca
gli studi e dopo aver lasciato il suo bambino in campagna col fratello,
va a lavorare in un locale notturno, ove incontra nuovamente il suo
seduttore. Questi, divenuto presidente di una grande impresa, intende
acquistare dei terreni proprio nel villaggio dove vive il fratello di
Tomoko con il piccolo…
Realizzato nello stesso anno di Nani ga kanojo o so saseta ka (Cosa
l’ha indotta a fare questo?; 1930) di Shigeyoshi Suzuki, Reijin è uno
dei molti esempi del genere dei “film di tendenza” (keiko-eiga),
politicamente orientati a sinistra, e come questi critica il sistema
sociale descrivendo le ingiustizie patite da una donna. Tadao Sato
osserva che “in questo film i capitalisti, causa di tutti i mali, vengono
dipinti come individui meschini e spregevoli, contrapposti alla gente
comune, gente mite e onesta la cui ira è giustificata”. L’eroina è
interpretata dalla grande attrice Sumiko Kurishima, che compare
anche in Yogoto no yume (Sogni di una notte] 1933) di Mikio
Naruse. Il critico di Kinema Junpo, Hisao Murakami, giudicò disuguale
la regia di Shimazu e criticò la sceneggiatura di Tokusaburo Murakami
la cui eccessiva fedeltà al libro di Sato aveva portato a didascalie
troppo complesse; elogiò invece il lavoro dell’operatore Takashi
Kuwabara e la notevole scena notturna nella fabbrica, che era
“autentico cinema, e non una copia carbone del libro”. Reijin, a suo
parere, era “un film che avrebbe fatto parlare di sé”.
ALEXANDER JACOBY & JOHAN NORDSTRöM
Based on a book by Koroku Sato, Reijin was inspired by a true
incident which took place in the village of Irima in Saitama Prefecture.
The film was shot on location in the same village. It tells the life story
of a high-school girl, Tomoko, who is seduced and then abandoned by
her bourgeois classmate’s fiancé. Pregnant, she leaves school, and
after leaving her child in the country with her brother, goes to work
in a nightclub. There, she meets the man who seduced her, now a
company president seeking to buy land in the village where Tomoko’s
brother lives with her child…
Made in the same year as Shigeyoshi Suzuki’s What Made Her Do It?
(Nani ga kanojo o so saseta ka, 1930), Reijin is another example of
the left-leaning keiko-eiga, or “tendency-film” genre, and similarly
advances social criticism through the unjust experiences of a woman.
Tadao Sato comments that “in this film the capitalists, the root of all
evil, are portrayed as despicable, mean people, juxtaposed against
good, honest common folk, whose anger is justified”. The heroine
was played by the outstanding actress Sumiko Kurishima, who also
appeared in Mikio Naruse’s Nightly Dreams (Yogoto no yume, 1933).
The Kinema Junpo reviewer, Hisao Murakami, found Shimazu’s
direction uneven, and criticized Tokusaburo Murakami’s screenplay
for staying too close to Sato’s book, resulting in excessively complex
intertitles, but praised Takashi Kuwabara’s camerawork and the
remarkable night scene at the factory, which was “cinematic, not a
carbon copy of the book”. Reijin, he predicted, was “a film that will
be talked about”. – ALEXANDER JACOBY & JOHAN NORDSTRöM
32
al porto; 1933), e Kinkanshoku (Eclissi; 1934). Questi film, ricchi della
raffinatezza visiva e dell’energia tipiche dell’ultima fase del cinema
muto, oggi costituiscono pure la notevole testimonianza di una
cultura in bilico fra la tradizione locale e l’influenza dell’Occidente.
Shimizu gira il suo primo film parlato nel 1933, ma continua a dirigere
film muti (dotati talvolta di una colonna sonora con musica ed effetti)
fino al 1935. Nell’epoca del sonoro la sua opera si ingentilisce, benché
Koi mo wasurete (Dimentica l’amore per ora; 1937) mostri ancora la
vena melodrammatica dei suoi film muti e sia ambientato a Yokohama
come Minato no Nihon musume (Ragazze giapponesi al porto). In
generale Shimizu tende verso un dimesso realismo, con una
predilezione per le riprese in esterni, un tranquillo andamento narrativo
e un accattivante intreccio di umorismo e malinconia. Arigato-san (Il
signor “grazie”; 1936), picaresco racconto di un viaggio in corriera
attraverso i paesaggi rurali della penisola di Izu, è l’archetipo di questo
stile, sviluppato ulteriormente nelle agrodolci storie d’amore di Anma
to onna (I massaggiatori e la donna; 1938) e Kanzashi (La forcina
ornamentale; 1941). Shimizu deve però la sua fama soprattutto ai film
sui bambini, come per esempio Kaze no naka no kodomo (Bambini nel
vento; 1937) e Kodomo no shiki (Quattro stagioni di bambini; 1939).
Dopo la guerra, il regista diviene un pioniere della produzione
indipendente e con Hachi no su no kodomotachi (I bambini
dell’alveare; 1948), storia di un soldato smobilitato che guida un
gruppo di orfani attraverso le regioni del Giappone occidentale,
realizza un capolavoro del neorealismo. I film da lui diretti negli anni
Cinquanta sono in genere meno rilevanti delle sue opere mute e
sonore d’anteguerra, ma egli firma ancora lavori toccanti e per nulla
pretenziosi come Bojo (Amore materno; 1950) e Jiro monogatari (La
storia di Jiro; 1955). Gira il suo ultimo film nel 1959 e si ritira poi a
Kyoto, dove muore per un attacco cardiaco il 23 giugno 1966.
ALEXANDER JACOBY & JOHAN NORDSTRöM
Known internationally as the master of the Japanese children’s film,
Shimizu’s work actually spanned a broader range of genres and
concerns, as the silent films screening in this retrospective confirm.
Born in Shizuoka Prefecture in central Japan on 28 March 1903 (nine
months before the birth of his Shochiku contemporary, Yasujiro
Ozu), he entered Shochiku as an assistant and made his directorial
debut, Beyond the Mountain Pass (Toge no kanata, 1924), at the
young age of 21. During the 1920s he worked prolifically at
Shochiku’s Kamata studios, and by the early 1930s, he was known
as a specialist in melodrama, whose films exemplified the tone and
style of “Kamata modernism”. This style, which concentrated on
the Westernized urban middle class, was exemplified by Eternal
Heart (Fue no shiratama, 1929), shown at the Giornate in 2005, and
the films that will be screened in this retrospective, including Seven
Seas (Nanatsu no umi, 1931-32), Japanese Girls at the Harbor
(Minato no Nihon musume, 1933), and Eclipse (Kinkanshoku, 1934).
These films, which display all the visual flair and energy typical of late
silent cinema, now also serve as remarkable records of a culture
poised between native tradition and the West.
Hiroshi Shimizu (1903-1966)
Conosciuto a livello internazionale come il maestro del cinema
giapponese per l’infanzia, Shimizu si cimentò in realtà con un ventaglio
ben più ampio di generi e temi, come testimoniano i film muti
proiettati in questa retrospettiva. Nato nella Prefettura di Shizuoka,
nel Giappone centrale, il 28 marzo 1903 (nove mesi prima del suo
coetaneo collega alla Shochiku, Yasujiro Ozu), fa il suo ingresso alla
Shochiku come assistente ed esordisce alla regia con Toge no kanata
(Oltre il passo montano; 1924), all’età di appena 21 anni. Nel corso
degli anni Venti il suo lavoro agli studi Shochiku di Kamata è
estremamente prolifico, e all’inizio degli anni Trenta Shimizu è ormai
un riconosciuto specialista del genere melodrammatico, i cui film sono
l’esempio più tipico dei toni e dello stile del “modernismo di Kamata”.
Tra le opere più rappresentative di questo stile – con al centro i ceti
medi urbani occidentalizzati – si segnalano Fue no shiratama (Un
cuore eterno; 1929), proiettato alle Giornate nel 2005, e i film che
verranno presentati in questa retrospettiva, tra cui Nanatsu no umi
(Sette mari; 1931-32), Minato no Nihon musume (Ragazze giapponesi
33
SHOCHIKU
Ai yo jinrui to tomo ni are was made by Shochiku to celebrate the
return to Japan of Sojin Kamiyama, an actor who had enjoyed a
successful career in Hollywood under the name of Sojin, appearing in
films such as The Thief of Bagdad (1924), the 1926 Moby Dick
adaptation The Sea Beast, and Paul Leni’s The Chinese Parrot (1927),
in which he played Charlie Chan. Indeed, the shooting of Shimazu’s
film was delayed when Kamiyama had to go back briefly to America
to complete one more film at Universal, during which time Shimazu
himself realized two other movies. The shooting of Ai yo jinrui to
tomo ni are itself stretched from October 1930 to April 1931, and
drew on the services of all the actors, technicians, and staff that
Shochiku’s Kamata studios could muster.
This big-budget film was a truly epic undertaking, using more than 60
sets and also incorporating location shooting in Nikko, Akita,
Aomori, and the area around Mount Fuji. It was said that if all the
distances travelled to shoot the film were totalled, they would be
equivalent to a trip around the world. The film enjoyed a month-long
run in Japanese cinemas. Doubtless because of Kamiyama’s fame
abroad, it was hoped that it would be shown internationally, although
it is unclear if this was ever achieved.
The film tells the story of four children who share the same father
but have different mothers; the youngest son, played by Denmei
Suzuki, is a troublemaker, who revolts against his father’s authority.
The original script was written by Tokusaburo Murakami, a leading
scriptwriter at Kamata, and has elicited comparisons with King Lear,
although a more direct influence may have been Minoru Murata’s
seminal 1921 Japanese film Souls on the Road (Rojo no reikon), in
which Denmei Suzuki again played a son at odds with his father.
Murakami was later to join Suzuki when the latter left Shochiku to
work independently. – ALEXANDER JACOBY & JOHAN NORDSTRöM
Shimizu made his first talkie in 1933, but continued to direct silent films
(sometimes with soundtracks containing music and effects) until 1935.
In the sound era, his work grew gentler, though Forget Love for Now
(Koi mo wasurete, 1937) still displays the melodramatic mood of his
silent work, and revisits the Yokohama setting of Japanese Girls at the
Harbor. In general, however, he gravitated towards an understated
realism, with a penchant for location shooting, a relaxed mode of
storytelling, and an engaging blend of humour and melancholy. Mr.
Thank You (Arigato-san, 1936), a picaresque story of a bus journey
through the rural Izu Peninsula, was the archetype of this style, which
was also sustained in the bittersweet romances The Masseurs and a
Woman (Anma to onna, 1938) and Ornamental Hairpin (Kanzashi,
1941). However, Shimizu was most fêted for his films about children,
such as Children in the Wind (Kaze no naka no kodomo, 1937) and
Four Seasons of Children (Kodomo no shiki, 1939).
After the war, Shimizu became a pioneer of independent production,
and realized a masterpiece of Neo-realism in Children of the Beehive
(Hachi no su no kodomotachi, 1948), the story of a demobilized
soldier leading a group of orphan children across Western Japan. The
director’s films of the 1950s were in general less distinguished than
his pre-war work, silent and sound, but he continued to produce
touching and understated films such as A Mother’s Love (Bojo, 1950)
and The Tale of Jiro (Jiro monogatari, 1955). He made his last film in
1959, and retired to Kyoto, where he died of a heart attack on 23
June 1966. – ALEXANDER JACOBY & JOHAN NORDSTRöM
costretti a star su tutta la notte per portarlo a termine. Il critico
Matsuo Kishi scrisse che “quando Shimizu lavora in fretta, vien fuori
qualcosa di buono”. Pare che altri due registi della Shochiku, Yasujiro
Ozu e Mikio Naruse, abbiano collaborato alla sequenza della corsa
con gli sci. Il fatto che il film sia tratto da un’opera di consumo spiega
la caratteristica miscela di melodramma e coscienza proletaria,
ricollegabile al genere dei “film di tendenza” (keiko-eiga),
politicamente orientato a sinistra e assai in voga tra la fine degli anni
Venti e l’inizio degli anni Trenta.
Shimizu, da parte sua, era assai più interessato al contenuto emotivo
dell’opera. “Tralasciando per il momento la lotta di classe,”
commentò, “sono profondamente persuaso che coloro che si amano
possono anche ferirsi a vicenda. Il cosiddetto ‘amore’ può facilmente
trasformarsi in odio, poiché l’odio stesso è una forma d’amore …
Provare un odio intenso può essere un’emozione giustificabile se le
circostanze non permettono al nostro amore di fluire naturalmente e
liberamente. Ma anche così, che tragedia nel destino umano.”
ALEXANDER JACOBY & JOHAN NORDSTRöM
Never to our knowledge previously screened in the West, Ginga is
an adaptation of a novel, originally published as a newspaper serial, by
the fashionable author Takeo Kato. It tells the story of Michiko, the
daughter of a businessman, Terao, who is loved by Eisaku Nagashima.
After Soichi, the son of her former wet nurse, forces himself upon
her, she becomes pregnant, and marries Nagashima, whom she does
not love, to avoid social disapproval. Nagashima takes over the Asahi
steelworks, while Soichi, who has become a labour union organizer,
leads the workers in their dispute with the Asahi management. Then,
he meets Michiko again…
This 15-reel, two-part film was shot in a mere 20 days, with the cast
and crew apparently sometimes staying up all night to complete it.
Critic Matsuo Kishi wrote of Shimizu that “when he rushes his work,
something good is made”. Fellow Shochiku directors Yasujiro Ozu
and Mikio Naruse apparently helped out with the skiing sequence.
The film’s basis in a mass-market novel accounts for its blend of
melodrama and proletarian consciousness, which can be related to
the left-leaning keiko-eiga (“tendency film”) genre fashionable in the
late 1920s and early 1930s.
Shimizu himself, however, was most concerned with the film’s
emotional content. “Putting class struggle aside for a while,” he
commented, “I keenly felt that people who love each other could also
harm each other. So-called ‘love’ can easily turn into hatred, because
hatred is a form of love. […] Having deep hatred may be an excusable
emotion if the situation doesn’t permit our love to flow out naturally
and straightforwardly. Yet even so, how tragic is the human fate.”
ALEXANDER JACOBY & JOHAN NORDSTRöM
GINGA [La via lattea / The Milky Way] (Shochiku, JP 1931)
Regia/dir: Hiroshi Shimizu; scen: Tokusaburo Murakami; f./ph: Taro
Sasaki; cast: Minoru Takada (Soichi Minegishi), Emiko Yagumo
(Michiko, Terao’s daughter), Teruo Mori (Takuya, Michiko’s brother),
Hideo Fujino (Kennosuke Terao, Michiko’s father, a businessman),
Mitsuko Yoshikawa (Yoriko, Terao’s second wife), Hiroko Kawasaki
(Terue, Soichi’s sister), Shinyo Nara (Eisaku Nagashima, secretary),
Shinichi Himori (Kensuke Seki, painter), Tatsuo Saito (Shigeru Sakai,
man of letters), Naoyo Yamagata (Kimiko, a hostess), Ryokichi Ishida
(Shinji Kuroda, Soichi’s comrade); 35mm, 3868 m., 188' (18 fps); fonte
copia/print source: National Film Center, Tokyo.
Didascalie in inglese / English intertitles.
Mai proiettato prima d’ora in Occidente, almeno per quanto ci è dato
sapere, Ginga è l’adattamento di un romanzo del popolare scrittore
Takeo Kato, originariamente pubblicato a puntate su un quotidiano.
Narra la storia di Michiko, figlia dell’uomo d’affari Terao, amata da
Eisaku Nagashima. Ella rimane incinta in seguito alla violenza subita da
Soichi, figlio dell’antica balia di lei, e sposa Nagashima (che non ama)
per sfuggire al biasimo sociale. Nagashima diviene proprietario delle
acciaierie Asahi, dove Soichi, divenuto ora un leader sindacale, guida i
lavoratori nella lotta contro la direzione dell’azienda. Egli incontra
così nuovamente Michiko…
Questo film in 15 rulli, diviso in due parti, fu girato in 20 giorni
appena; a quanto sembra, attori e maestranze furono talvolta
NANATSU NO UMI [Sette mari / Seven Seas] (Shochiku, JP, 1931-32)
Regia/dir: Hiroshi Shimizu; aiuto regia/asst. dir: Takeshi Sato, Isao
Numanami, Tai Ogiwara, Eijiro Nagatomi; scen: Kogo Noda; f./ph:
Taro Sasaki; cast: Yukichi Iwata (Shingo Sone), Kinuko Wakamizu
34
l’attrice che da adulta ci avrebbe regalato eccezionali interpretazioni
nei film di Mikio Naruse e Keisuke Kinoshita.
ALEXANDER JACOBY & JOHAN NORDSTRöM
Nanatsu no umi, originally released in two episodes in December
1931 and February 1932, was one of the first films produced at
Shochiku after the exodus of talent led by Kiyohiko Ushihara’s
discontented former star, Denmei Suzuki. It was notable for its
remarkably strong characterization of the heroine, played by Hiroko
Kawasaki, as well as its trenchant social critique incorporating
concerns of Westernization, modernity, and class struggle. William
M. Drew comments that “Shimizu’s film is […] closely related to the
leftist Japanese ‘social tendency’ films of the time, denouncing the
inequities of a rapidly industrializing, urbanized capitalist system in
which the wealthy class exploited the struggling middle class and
proletariat.”
The film was based on a novel by Itsuma Maki (real name Kaitaro
Hasegawa), a popular novelist of the early Showa period who
authored stories of modern Tokyo life under that pen name, and
also wrote historical stories under the pseudonym Fubo Hayashi,
creating the popular folk hero Sazen Tange. The novel was adapted
by Kogo Noda, who was already occasionally writing scripts for
Yasujiro Ozu, and would become his regular screenwriter in the
post-war years. In contrast to his simple scenarios for Ozu, the
script for Nanatsu no umi is elaborate and melodramatic, telling the
story of a woman, Yumie, who is engaged to be married to Yuzuru
Yagibashi, the son of a wealthy family. At a garden party hosted by
the Yagibashi family, she meets Yuzuru’s brother Takehiko, who
falls for her and later rapes her – an action which precipitates the
death of Yumie’s father and the madness of her sister. Yumie
marries her rapist, hoping to avenge her disgrace.
Noda displays an extraordinary skill in developing a narrative
containing numerous characters and many unexpected developments.
His script is brilliantly dramatized by Shimizu’s direction, which
displays the flair and intensity characteristic of his work during the
silent era and of the Kamata style as a whole. The actors give
excellent, full-blooded yet understated performances. The Kinema
Junpo reviewer, Matsuo Kishi, pointed to Shimizu’s interest in the
“modern girl” figure played by Sachiko Murase, but devotees of
Japanese sound film will be especially glad to see a 7-year-old Hideko
Takamine, who would give outstanding performances for Mikio
Naruse and Keisuke Kinoshita in adult life.
ALEXANDER JACOBY & JOHAN NORDSTRöM
DAIGAKU NO WAKADANNA [Il giovane padrone all’università /
Young Master at University] (Shochiku, JP 1933)
Regia/dir: Hiroshi Shimizu; aiuto regia/asst. dir: Takeshi Sato, Isao
Numanami, Yasushi Sasaki, Masaru Kashiwabara; scen: Masao Arata;
f./ph: Isamu Aoki, Taro Sasaki; scg./des: Yoneichi Wakita; cast: Mitsugu
Fujii (Minoru Fujii), Haruo Takeda (Gohei, his father), Yoshiko
Tsubouchi (Minako, his younger sister), Sumiko Mizukubo (Miyako, his
35
SHOCHIKU
(Miwako Sone), Hiroko Kawasaki (Yumie Sone), Hideko Takamine
(Momoyo Sone), Haruo Takeda (Yunosuke Yagibashi), Utako Suzuki
(Yoriko, sua moglie/Yagibashi’s wife), Joji Oka (Takehiko Yagibashi, il
fratello maggiore/the elder brother), Ureo Egawa (Yuzuru Yagibashi, il
fraello minore/the younger brother), Hiroko Izumi (Hisako, la sorella
maggiore/the younger sister), Kenichi Miyajima (Kurakichi Ohira),
Eiko Takamatsu (Oetsu, sua moglie/Ohira’s wife), Sachiko Murase
(Ayako Kirihara), Jun Arai (Yamaman), Satoko Date (Yoko Takasugi);
35mm, 3475 m., 152' (in due parti/two parts, 71' + 81') (20 fps); fonte
copia/print source: National Film Center, Tokyo.
Didascalie in inglese / English intertitles.
Nanatsu no umi, distribuito originariamente in due episodi nel
dicembre 1931 e nel febbraio 1932, è uno dei primi film prodotti
presso la Shochiku dopo l’esodo di talenti guidato da Denmei Suzuki,
divo insoddisfatto precedentemente legato a Kiyohiko Ushihara. I suoi
aspetti più notevoli sono la spiccatissima caratterizzazione dell’eroina,
interpretata da Hiroko Kawasaki, e la tagliente critica sociale, estesa
ai problemi dell’occidentalizzazione, della modernità e della lotta di
classe. William M. Drew osserva che “la pellicola di Shimizu è …
strettamente legata ai film di ‘tendenza sociale’ di sinistra, tipici del
cinema giapponese di questo periodo, tesi a denunciare le iniquità
della rapida industrializzazione e dell’urbanizzazione imposte da un
sistema capitalistico in cui i ricchi sfruttano il proletariato e il ceto
medio in fermento.”
Il film è tratto da un romanzo di Itsuma Maki (pseudonimo di Kaitaro
Hasegawa), popolare scrittore del primo periodo Showa, autore di
opere ambientate nella Tokyo contemporanea ma anche (con l’altro
pseudonimo di Fubo Hayashi) di racconti storici per i quali creò la
figura dell’eroe popolare Sazen Tange. Il romanzo fu adattato per lo
schermo da Kogo Noda, già saltuariamente autore di alcune
sceneggiature per Yasujiro Ozu, di cui nel dopoguerra sarebbe
divenuto l’abituale sceneggiatore. A differenza delle sue semplici
sceneggiature per Ozu, quella di Nanatsu no umi è elaborata e
melodrammatica. Racconta la storia di Yumie, fidanzata di Yuzuru
Yagibashi, rampollo di una facoltosa famiglia. A un ricevimento offerto
dalla famiglia Yagibashi, ella incontra il fratello di Yuzuru, Takehiko, che
si invaghisce di lei e poi le usa violenza; il misfatto provoca la morte
del padre di Yumie e la follia della sorella di lei. Yumie sposa il
violentatore, nella speranza di vendicare l’onta subita.
Noda articola con straordinaria abilità una trama folta di personaggi
e ricca di sviluppi inattesi. La sua sceneggiatura è brillantemente
valorizzata dalla regia di Shimizu, il quale dà prova ancora una volta
di tutta la raffinata intensità che aveva caratterizzato il suo lavoro
nell’epoca del muto – e che del resto era propria in generale dello
stile di Kamata. Gli attori offrono tutti interpretazioni eccellenti,
sobrie e vitalissime insieme. Il critico di Kinema Junpo, Matsuo Kishi,
sottolinea l’interesse con cui Shimizu tratteggia la figura della
“ragazza moderna” interpretata da Sachiko Murase, ma gli
appassionati del cinema sonoro giapponese saranno particolarmente
lieti di ammirare una Hideko Takamine di sette anni di età – proprio
younger sister), Takeshi Sakamoto (Kimura, his uncle), Tatsuo Saito
(Wakahara, Minako’s husband), Shin Tokudaiji (Chuichi, the head
clerk), Kyoko Mitsukawa (Hoshichiyo, apprentice geisha), Kinuko
Wakamizu (Ofuna, geisha), Kenji Oyama (Horibe, cheering squad
captain), Shinichi Himori (Miyake, rugby player), Isamu Yamaguchi
(Ogawara, rugby player), Hideo Mitsui (Kitamura, rugby player and
Fujii’s kohai [junior at college]); 35mm, 2330 m., 85' (24 fps),
sonoro/sound; fonte copia/print source: National Film Center, Tokyo.
Didascalie in inglese / English intertitles.
Film muto con partitura d’epoca sincronizzata / Silent film with
contemporary synchronized score.
Daigaku no wakadanna è il primo di una serie di popolari film di
ambientazione universitaria girati da Shimizu e interpretati da
Mitsugu Fujii; purtroppo, è anche l’unico che sia giunto fino a noi.
Come si legge nella scheda del National Film Center, la pellicola
“innesta sul personaggio del giovanotto sciocco tipico del rakugo
[forma di intrattenimento comico giapponese] la figura del giocatore
americano di rugby, creando così quel che si potrebbe definire ‘un
college film alla giapponese’ ”. Benché sia evidente l’influenza delle
commedie americane ambientate nei college, come per esempio The
Freshman (Viva lo sport!) di Harold Lloyd (1925), l’intreccio fra
l’ambientazione universitaria e la vita tradizionale dello shitamachi (il
quartiere più povero e antico della capitale) conferisce al film quel
sapore di originalità che ha destato l’ammirazione del critico di
Kinema Junpo, Shinbi Iida.
Protagonista del film è Fujii, capitano della squadra universitaria di
rugby, il quale è costretto a ritirarsi dalla squadra stessa per aver
invitato un’apprendista geisha, Hoshichiyo, a visitare il campo da
gioco; egli inizia allora a disertare le lezioni, dandosi ai piaceri.
Hoshichiyo, da parte sua, è innamorata di Chuichi, capoufficio della
ditta del padre di Fujii, che però è fidanzato con Miyako, sorella di
Fujii. Fujii, nel frattempo, si invaghisce della sorella di un compagno di
studi più giovane, Kitamura. Riuscirà Fujii a risolvere tutti questi
pasticci sentimentali prima della grande partita?
Benché per molti aspetti uno Shimizu atipico, si tratta di un lavoro
notevole, che rivela una sorprendente intensità emotiva. Ebbe grande
successo e ha esercitato una vasta influenza. Oltre ad aver dato
origine alle succitate commedie universitarie, prefigura con il suo stile
la serie Wakadaisho, creata negli anni Sessanta dalla Toho per l’attore
Yuzo Kayama. – ALEXANDER JACOBY & JOHAN NORDSTRöM
Daigaku no wakadanna was the first in a popular series of college films
directed by Shimizu and starring Mitsugu Fujii, of which this is
regrettably the only example to survive. The National Film Center’s
note on the film comments that the film “blends the foolish young
master character from the world of rakugo [Japanese comic
storytelling] with the American rugby [sic] player to create something
that might be called a ‘Japanese-style college film’ ”. Although the
influence of American college comedies such as Harold Lloyd’s The
Freshman (1925) is apparent, the combination of the university
setting with the traditional life of the shitamachi (the poorer and
more traditional area of the capital) gave the film the original flavour
that was praised by its Kinema Junpo reviewer, Shinbi Iida.
The film concerns Fujii, captain of the university rugby club, who is
obliged to drop out of the team after he takes an apprentice geisha,
Hoshichiyo, to see the rugby ground. He soon begins to cut classes
and devotes himself to pleasure. Hoshichiyo is herself in love with
Chuichi, the head clerk of Fujii’s father’s business, who is however
betrothed to Fujii’s sister Miyako. Meanwhile, Fujii himself falls for the
sister of a younger fellow student, Kitamura. Will Fujii resolve these
romantic complications in time for the big match?
Shimizu’s film, though in many ways atypical for the director, is a
remarkable work which displays a surprising emotional intensity. It
was both popular and influential. In addition to the series of comedies
that it initiated at the time, its style also prefigured Toho’s
Wakadaisho series, created for actor Yuzo Kayama in the 1960s.
ALEXANDER JACOBY & JOHAN NORDSTRöM
MINATO NO NIHON MUSUME [Ragazze giapponesi al porto /
Japanese Girls at the Harbor] (Shochiku, JP 1933)
Regia/dir: Hiroshi Shimizu; aiuto regia/asst. dir: Takeshi Sato, Isao
Numanami, Tai Ogiwara, Yasushi Sasaki; scen: Mitsuru Suyama; f./ph:
Taro Sasaki; scg./des: Takashi Kanasu; cast: Michiko Oikawa (Sunako
Kurokawa), Yukiko Inoue (Dora Kennel), Ureo Egawa (Henry), Ranko
Sawa (Yoko Sheridan), Yumeko Aizome (Masumi, a barwoman),
Tatsuo Saito (Miura, a painter), Yasuo Nanjo (Harada, a gentleman);
35mm, 1956 m., 78' (22 fps); fonte copia/print source: National Film
Center, Tokyo.
Didascalie in inglese / English intertitles.
Non a caso il film più famoso della produzione muta di Shimizu, Minato
no Nihon musume, con il suo fasto visivo e la creativa fusione di temi,
stili e tecniche giapponesi e occidentali rappresenta uno dei capolavori
dello stile Kamata della Shochiku. Il talento di Shimizu come regista di
vitalità melodrammatica raggiunge il suo apice in questa vicenda di
gelosia, violenza e trasgressione sessuale, in cui la potenza emotiva
della trama di fondo è resa ancor più intensa dalla fantasia espressiva
della regia. Il buon esito della costruzione drammatica dipende in larga
misura dalla maestria con cui Shimizu padroneggia la composizione e il
montaggio, oltre che dal suo notevole gusto per la sperimentazione
formale; ma il film trae vantaggio anche dalle splendide interpretazioni
di Michiko Oikawa, Yukiko Inoue e Ureo Egawa, nonché di Tatsuo
Saito (uno degli attori preferiti di Ozu). Quando il film uscì, il critico
Fuyuhiko Kitagawa scrisse che i ruoli interpretati da Oikawa e Saito
(rispettivamente la signora della notte e il pittore) “dimostrano
l’impareggiabile sensibilità di Shimizu”.
Il film, tratto da un racconto di Toma Kitabayashi, si svolge in gran
parte nel porto cosmopolita di Yokohama e si concentra sulla vita di
due donne, Sunako e Dora. La prima è innamorata di Henry, ma
questi si unisce a una banda di criminali e viene sedotto da Yoko
Sheridan; Sunako, spinta dalla gelosia, spara alla rivale e deve fuggire
da Yokohama, per darsi poi alla prostituzione. Henry intanto sposa
36
KINKANSHOKU [Eclissi / Eclipse] (Shochiku, JP 1934)
Regia/dir: Hiroshi Shimizu; aiuto regia/asst. dir: Isao Numanami, Tai
Ogiwara, Minoru Matsui, Yasushi Sasaki; scen: Masao Arata; f./ph: Taro
Sasaki; scg./des: Yoneichi Wakita; cast: Mitsugu Fujii (Shukichi Osaki),
Hiroko Kawasaki (Kinue Nishimura), Michiko Kuwano (Tomone
Iwaki), Shiro Kanemitsu (Seiji Kanda), Isamu Yamaguchi (Matsumura,
the chauffeur), Hideo Fujino (Keinosuke Iwaki, Tomone’s father and a
company president), Akio Nomura (Tomoto’s younger brother),
Yoshiko Tsubouchi (Kayo, the younger sister), Shigeru Ogura
(Muraki), Ryoko Kuhara (Ofuji, Muraki’s lover), Toshiaki Konoe
(Yamashita), Shinyo Nara (Saida), Reikichi Kawamura (Osaki’s father),
Mitsuko Yoshikawa (Osaki’s mother), Tokkan-kozo (Shigeru, Osaki’s
younger brother); 35mm, 2655 m., 97' (24 fps), sonoro/sound; fonte
copia/print source: National Film Center, Tokyo.
Didascalie in inglese / English intertitles.
Film muto con partitura sincronizzata / Silent film with synchronized
score.
Adattamento di un popolare romanzo di Masao Kume, il film doveva
essere diretto da Hotei Nomura, uno dei principali registi di mélo
della Shochiku. Quando questi morì prematuramente nell’agosto
1934, all’età di 53 anni, il progetto fu affidato a Shimizu, che nello
studio era considerato un possibile erede di Nomura.
Il film narra la storia di due cugini, Shukichi Osaki e Kinue Nishimura.
I due ragazzi si amano, ma per Kinue è previsto un matrimonio con
l’avvocato Seiji Kanda. Shukichi parte per Tokyo dove diventa tutore
di un rampollo della ricca famiglia Iwaki. Disperata, anche Kinue si
reca nella capitale, dove trova lavoro come entraîneuse.
Masao Arata, autore dell’adattamento cinematografico, spiegò di non
aver rispettato la trama originale, preferendo trascurare alcuni nodi
particolarmente complessi dal punto di vista narrativo per creare
piuttosto “un flusso armonioso limitato ai punti più importanti”.
37
SHOCHIKU
interrupted for a time, during which Shimizu realized his first sound
film, Crying Woman in Spring (Nakinureta haru no onna yo, 1933).
Mitsuyo Wada-Marciano has written that the film “deploys the
contrasts of fallen and married women, Japanese and Eurasian
bodies, and Yokohama streets and domestic spaces”. To achieve
authenticity, Shimizu toured Yokohama’s red-light district in the
company of author Kitabayashi. Shooting both in the studio and on
location, he revels in the atmosphere of a multicultural city
characterized by ocean liners, Christian churches, Western-style
painting, and mixed-race characters. Yukiko Inoue, who played Dora,
was herself half-Dutch, and Ureo Egawa, playing Henry, was partly of
German descent. Michiko Oikawa, the actress who plays Sunako,
was a Christian. Nevertheless, as William M. Drew writes, “For all
the film’s incorporation of Westernized elements, it remains
profoundly Japanese in much of its poetic imagery as well as its
prevailing ethos.” It is one of the outstanding works of Shimizu’s
career, and of the Japanese silent cinema as a whole.
ALEXANDER JACOBY & JOHAN NORDSTRöM
Dora e inizia una vita stabile e regolare. Ma quando Sunako ritorna a
Yokohama, i destini delle due donne si incrociano nuovamente…
La lavorazione del film durò quattro mesi e mezzo, periodo di
insolita lunghezza per Shimizu, che aveva fama di regista veloce. A
causa di altri impegni di lavoro dell’attrice Michiko Oikawa, le
riprese subirono un’interruzione durante la quale Shimizu realizzò il
suo primo film sonoro, Nakinureta haru no onna yo (Donna che
piange a primavera; 1933).
Mitsuyo Wada-Marciano ha scritto che il film “mette in scena i
contrasti fra donne perdute e donne sposate, corpi giapponesi e corpi
eurasiatici, spazi domestici e strade di Yokohama”. Per ottenere una
maggiore autenticità, Shimizu perlustrò il quartiere a luci rosse di
Yokohama insieme all’autore Kitabayashi. Nelle riprese in studio come
in quelle in esterni, egli ama sottolineare l’atmosfera di una città
multiculturale con transatlantici, chiese cristiane, dipinti di gusto
occidentale e personaggi di sangue misto. Yukiko Inoue, che
interpreta Dora, era a metà olandese, mentre Ureo Egawa (Henry)
era in parte di origine tedesca. Michiko Oikawa (Sunako), era
cristiana. Tuttavia, come osserva William M. Drew, “nonostante la
presenza di tanti elementi di derivazione occidentale, il film rimane
profondamente giapponese sia per quanto riguarda la gran parte del
suo poetico linguaggio figurativo sia nell’etica prevalente”. Siamo di
fronte a una delle opere più importanti della carriera di Shimizu e
dell’intero cinema muto giapponese.
ALEXANDER JACOBY & JOHAN NORDSTRöM
Justifiably Shimizu’s best-known silent film, Minato no Nihon musume
is one of the masterpieces of Shochiku’s Kamata style, with its visual
flamboyance and creative fusion of Japanese and Western themes,
styles, and techniques. Shimizu’s talents as a director of full-blooded
melodrama are seen at their height in this story of jealousy, violence,
and sexual transgression, and the emotional power of the basic
plotline is intensified by the director’s expressive imagery. His
mastery of composition and montage and his remarkable formal
experimentation all contribute to the impact of the drama, and the
film also benefits from superb performances by Michiko Oikawa,
Yukiko Inoue, Ureo Egawa, and Ozu’s regular actor Tatsuo Saito.
Writing at the time of release, critic Fuyuhiko Kitagawa commented
that Oikawa and Saito’s roles as lady of the night and painter
respectively “show Shimizu’s unique sensibility”.
The film, based on a story by Toma Kitabayashi, unfolds mainly in the
cosmopolitan port of Yokohama, and focuses on the lives of two
women, Sunako and Dora. The former is in love with Henry, but
after he falls in with a group of gangsters, he is seduced by Yoko
Sheridan, who is shot by the jealous Sunako. Sunako flees Yokohama
and becomes a prostitute, while Henry marries Dora and settles
down to a stable life. But after Sunako returns to Yokohama, the
paths of the two women cross again…
The shoot took four and a half months, an unusually long time for
Shimizu, who had achieved a reputation as a fast worker. Due to
Michiko Oikawa’s other acting commitments, filming was
Since Ureo Egawa had now left Kamata, the male lead was played by
Mitsugu Fujii. But in terms of casting the film is most significant for
the debut of Michiko Kuwano, who had been discovered while
working at the “Florida” dance hall. Notable for her modern persona,
she was to become Shimizu’s leading actress in films such as A Hero
of Tokyo (Tokyo no eiyu, 1935), also showing in this retrospective,
and, in the sound era, Mr. Thank You (Arigato-san, 1936) and Forget
Love for Now (Koi mo wasurete, 1937). She died prematurely in
1946, while shooting Kenji Mizoguchi’s Victory of Women (Josei no
shori). – ALEXANDER JACOBY & JOHAN NORDSTRöM
L’eleganza della trama è attribuita all’influenza dell’opera di Sadao
Yamanaka, grande regista a Kyoto di film in costume, in cui “il ritmo
era valorizzato al massimo”.
Nel film abbondano le immagini care a Shimizu, come le passeggiate
lungo il fiume, e situazioni tipiche come i viaggi in automobile, le
lunghe camminate e il contrasto fra città e campagna; prevale
l’intonazione tragica tipica dei suoi muti soprattutto verso la metà
degli anni Trenta. Come osserva William M. Drew, “il titolo sembra
alludere non solo al precipitare delle fortune del protagonista ma
anche all’eclissi dei valori umani e spirituali del Giappone, oscurati da
una nuova cultura dedita solo alla ricchezza e fin troppo disposta a
sacrificare amore e rapporti personali sull’altare del prestigio sociale”.
Avendo Ureo Egawa ormai lasciato Kamata, il principale ruolo
maschile fu affidato a Mitsugu Fujii. Ma in fatto di casting, il film è da
ricordare soprattutto per l’esordio di Michiko Kuwano, che era stata
notata mentre lavorava alla sala da ballo Florida. Figura di notevole
modernità, ella avrebbe avuto il ruolo di protagonista in film di
Shimizu come Tokyo no eiyu (Un eroe di Tokyo; 1935), pure incluso
in questo programma, e nei sonori Arigato-san (Il signor Grazie;
1936) e Koi mo wasurete (Dimentica l’amore per ora; 1937). Morì
prematuramente nel 1946, durante le riprese di Josei no shori
(Vittoria di donne) di Kenji Mizoguchi.
ALEXANDER JACOBY & JOHAN NORDSTRöM
This adaptation of a mass-market novel by Masao Kume was to have
been directed by Hotei Nomura, one of the leading directors of
melodrama at Shochiku. However, following his death at the
relatively young age of 53, in August 1934, Shimizu, seen as Nomura’s
likely heir at the studio, took over the project.
The film concerns the experiences of two cousins, Shukichi Osaki and
Kinue Nishimura. They are in love with each other, but Kinue is
expected to marry the lawyer Seiji Kanda. In consequence, Shukichi
leaves for Tokyo, where he becomes tutor to the son of the rich
Iwaki family. The heartbroken Kinue also makes her way to the
capital, where she becomes a bar hostess.
Masao Arata, who adapted the novel for the film, commented that he
had not respected the original story, abandoning some of its narrative
complexities to create “a harmonious flow of the most important
points”. The elegance of the film’s plotting is thought have been
influenced by the work of the great Kyoto-based period-film director,
Sadao Yamanaka, who created films that “treasured rhythm”.
The film is rich in Shimizu’s characteristic imagery, such as people
walking by the river, and typical motifs such as driving, hiking, and the
contrast between the country and the city. In tone, the film displays
the tragic leanings that were also typical of Shimizu’s work in the
silent era, especially by the mid-1930s. As William M. Drew
comments, “The ‘eclipse’ in the film’s title would seem to refer not
only to the downturn in several of the protagonists’ fortunes, but to
the eclipse of Japanese spiritual and human values by a new culture of
wealth all too willing to sacrifice love and personal relations to the
pursuit of status.”
TOKYO NO EIYU [Un eroe di Tokyo / A Hero of Tokyo] (Shochiku,
JP 1935)
Regia/dir: Hiroshi Shimizu; aiuto regia/asst. dir: Isao Numanami, Tai
Ogiwara, Minoru Matsui, Hideo Oba; scen: Masao Arata; f./ph: Hiroshi
Nomura; scg./des: Yoneichi Wakita; cast: Yukichi Iwata (Kaichi
Nemoto), Mitsuko Yoshikawa (Haruko Nemoto), Mitsugu Fujii
(Kanichi Nemoto), Michiko Kuwano (Kayoko Nemoto), Hideo Mitsui
(Hideo Nemoto), Tokkan-kozo (Kanichi as a boy), Mitsuko Ichimura
(Kayoko as a girl), Jun Yokoyama (Hideo as a boy); 35mm, 1750 m.,
64' (24 fps), sonoro/sound; fonte copia/print source: National Film
Center, Tokyo.
Didascalie in inglese / English intertitles.
Film muto con partitura sincronizzata / Silent film with synchronized
score.
Per sintesi narrativa e intensità di emozioni, questo tardo film di poco
più di un’ora si può annoverare fra i gioielli dimenticati del cinema
giapponese degli anni Trenta. La vicenda si impernia su Nemoto,
vedovo e sedicente uomo d’affari, il cui unico figlio, Kanichi, è l’eroe
del titolo. Nemoto si risposa; la nuova moglie è una vedova che ha già
un figlio e una figlia. Si scopre però che gli affari di Nemoto sono
null’altro che loschi imbrogli ed egli si dilegua, lasciando la moglie da
sola con i tre bambini. Per mantenere la famiglia ella è costretta a
lavorare come entraîneuse; cela ai ragazzi la disonorevole natura della
sua occupazione, ma la verità emerge alcuni anni più tardi, quando la
figlia viene respinta dalla famiglia del marito, che ha indagato sul suo
passato.
Il film ci offre le vigorose prove di Mitsugu Fujii, che conclude con
questo film la sua lunga e costante collaborazione con Shimizu, e
Mitsuko Yoshikawa, specialista del genere haha-mono (“film sulle
madri”). I critici coevi rilevarono la cupa atmosfera che
contraddistingue i film di Shimizu di questo periodo: in effetti il regista
descrive la famiglia giapponese con severità inesorabile, criticando in
maniera sferzante i pregiudizi sociali che la assalgono dall’esterno e la
minano dall’interno. Il film ha però un significato politico più ampio e
William M. Drew ha richiamato l’attenzione sulla critica metaforica
che esso rivolge all’imperialismo del governo militare dell’epoca. Per
Drew, Tokyo no eiyu è “il film di Shimizu di maggior carica emotiva,
spietato nella descrizione della tragedia umana e portatore di una
visione che è probabilmente più fosca e disperata che in tutti gli altri”.
38
Kiyohiko Ushihara (1897-1985)
Nato il 22 agosto 1897, nella prefettura di Kumamoto nel Giappone
meridionale, Ushihara si laurea presso la facoltà di Lettere
dell’Università di Tokyo nel 1920 e fa il suo ingresso alla Shochiku –
che proprio in quell’anno aveva avviato la produzione cinematografica
– come assistente di Kaoru Osanai e Zanmu Kako. Osanai e Ushihara
lasciano presto gli studi Shochiku di Kamata per fondare lo Shochiku
Kinema Kenkyujo (Istituto cinematografico Shochiku) presso il quale
Ushihara scrive la sceneggiatura del primo capolavoro ancora
esistente del cinema di stile occidentale del periodo Taisho, Rojo no
reikon (Anime sulla strada; 1921). Questo film è diretto da Minoru
Murata, con cui Ushihara collabora in seguito come codirettore
dell’importante rivista tecnica Eiga Kagaku Kenkyu (Studio scientifico
del cinema). Ushihara esordisce alla regia con la seconda produzione
del Kenkyujo, Yama kururu (Le montagne si oscurano; 1921), ma
l’istituto chiude i battenti dopo aver prodotto un solo altro film, e
Ushihara fa ritorno a Kamata. Tra le pellicole più notevoli da lui
firmate ricordiamo il primo episodio di Aa Mujo (Ah, spietato; 1923),
39
SHOCHIKU
una versione dei Miserabili ambientata nell’antica Cina, con Masao
Inoue nel ruolo di Jean Valjean.
L’interesse di Ushihara per l’Occidente culmina con il viaggio che
egli compie a Hollywood tra il gennaio e il settembre del 1926, nel
corso del quale ha l’opportunità di visitare gli studi di Charlie
Chaplin durante la lavorazione di The Circus – esperienza che non
dimenticherà mai e non permetterà a nessun altro di dimenticare.
Tornato in Giappone, Ushihara coglie un enorme successo
commerciale con il melodrammatico Junange (1926), tratto da un
romanzo di Kan Kikuchi, prima di cimentarsi in una serie di film
interpretati dall’attore ed ex atleta universitario Denmei Suzuki, che
aveva diretto per la prima volta nel 1925 in Koi no senshu (L’atleta
dell’amore). Questi film, ammirati per l’umorismo, il ritmo e l’abile
assimilazione dei metodi hollywoodiani, rientrano tra le opere più
popolari e rappresentative prodotte dagli studi Shochiku di Kamata,
e fruttarono al regista il soprannome di “Ushihara il sentimentale”.
La giovane Kinuyo Tanaka, che sarebbe divenuta famosa in seguito
per i film girati con Kenji Mizoguchi, fa coppia con Suzuki in una
decina di queste pellicole, per quali Ushihara prese evidentemente a
modello i film muti della Fox interpretati da Charles Farrell e Janet
Gaynor. La Tanaka e Suzuki compaiono assieme in film giovanili,
melodrammi e nell’epopea bellica Shingun (In marcia; 1930). Dopo
Wakamono yo naze naku ka (Perché piangete, ragazzi?; 1930),
sempre interpretato dalla succitata coppia, Ushihara lascia
repentinamente la Shochiku, probabilmente a causa di uno scontro
con il temibile capo dello studio, Shiro Kido, benché la ragione
ufficiale sia un altro viaggio in Occidente, motivato dalla volontà di
apprendere le tecniche del cinema sonoro. Ed in effetti, una volta
andatosene dalla Shochiku, Ushihara visita Francia, Gran Bretagna e
Stati Uniti.
Quando egli fa ritorno in patria nel 1933, il cinema sonoro ha ormai
fatto grandi passi anche in Giappone. Ushihara lavora presso vari
studi, ma i suoi film sonori non riescono a uguagliare la fama dei suoi
muti, anche se Kaibyo nazo no shamisen (Il gatto fantasma e lo
shamisen misterioso; 1938), definito da William M. Drew
“un’esplorazione nel soprannaturale con qualche tocco surreale”,
gode di una certa considerazione in alcuni ambienti. Nel dopoguerra
il suo interesse per l’Occidente è ancora evidente; con Machi no
ninkimono (Un uomo popolare in città; 1946) realizza un rifacimento
del film di Frank Capra Meet John Doe (1941) mentre Itsu itsu made
mo (Fino all’eternità; 1952) è frutto della collaborazione col regista
americano Paul Sloane. Lasciata l’attività registica, insegna
all’Università Nippon e viene chiamato a far parte delle giurie di
numerosi festival cinematografici esteri. Muore il 20 maggio 1985, una
settimana dopo del suo divo preferito, Denmei Suzuki.
ALEXANDER JACOBY & JOHAN NORDSTRöM
Born on 22 August 1897, in Kumamoto Prefecture in Southern
Japan, Ushihara graduated from the Faculty of Literature at Tokyo
University in 1920, and entered Shochiku, which had just begun to
make films that year, serving as assistant to Kaoru Osanai and
Data la carica sovversiva della pellicola, forse sorprenderà sapere che
essa riscosse un lusinghiero successo di critica e di pubblico.
ALEXANDER JACOBY & JOHAN NORDSTRöM
This late silent film is little more than an hour long, and achieves a
narrative concentration and emotional intensity which place it among
the neglected gems of the Japanese cinema of the 1930s. The story
focuses on the widower Nemoto, ostensibly a businessman, who has
one son, Kanichi, the hero of the title. Nemoto remarries; his new
wife is a widow with a son and daughter of her own. However,
Nemoto’s business turns out to be out a shady scam, and he
disappears, leaving his wife to raise the three children alone. In order
to support the family, she is obliged to become a bar hostess. She
conceals this shameful employment from the children, but the truth
comes out years later, after her daughter is rejected by her husband’s
family when they investigate her background.
The film contains powerful performances from Mitsugu Fujii, here
making the last of his regular appearances for Shimizu, and Mitsuko
Yoshikawa, a specialist in the haha-mono (“mother-film”) genre.
Contemporary critics commented on the darkness of Shimizu’s work
at this period, and indeed the director is unsparing in his depiction of
the Japanese family, and trenchant in his criticism of the social
assumptions that destroy it from outside and from within. Moreover,
the film also has a broader political application: William M. Drew has
drawn attention to the film’s metaphorical critique of the imperialist
activities of the military government of the time. He calls Tokyo no
eiyu Shimizu’s “most emotionally overwhelming film, unsparing in its
depiction of human tragedy, with its vision probably the bleakest of
all his works”. Perhaps surprisingly given its subversive elements, the
film was both a critical and a commercial success.
ALEXANDER JACOBY & JOHAN NORDSTRöM
Zanmu Kako. Osanai and Ushihara soon left Shochiku’s Kamata
studios to establish the Shochiku Cinema Institute (Shochiku
Kinema Kenkyujo), where Ushihara scripted the still-extant early
masterpiece of Taisho Period Western-style cinema, Souls on the
Road (Rojo no reikon, 1921). This film was directed by Minoru
Murata, with whom Ushihara was later to work as co-editor on the
important technical journal Eiga Kagaku Kenkyu [Scientific Study of
Cinema]. Ushihara himself made his directorial debut with the
Kenkyujo’s second production, The Mountains Grow Dark (Yama
kururu, 1921), but the unit closed down after producing one more
film, and Ushihara returned to Kamata. Among his notable films
there was the first episode of Ah, Merciless (Aa Mujo, 1923), a
version of Les Misérables, relocated to Ancient China, with Masao
Inoue as Jean Valjean.
Ushihara’s interest in the West culminated in his trip to Hollywood
between January and September 1926, where he had the
opportunity to spend time in the Charlie Chaplin Studios during
production of The Circus – an experience which he never forgot
(nor allowed anyone else to forget). Returning to Japan, Ushihara
achieved a huge commercial hit with the melodrama Suffering
Women ( Junange, 1926), based on a Kan Kikuchi novel, before
embarking on a series of films starring actor and former college
athlete Denmei Suzuki, whom he had first directed in 1925 in Love’s
Athlete (Koi no senshu). These films, which were admired for their
wit, pacing, and skilled assimilation of Hollywood modes, were to
prove among the most successful and representative films produced
by Shochiku’s Kamata studios, earning their director the nickname
of “Sentimental Ushihara”. The young Kinuyo Tanaka, later to
achieve fame in her films for Kenji Mizoguchi, starred opposite
Suzuki in some ten of these collaborations, which Ushihara
apparently modelled on the Fox silents co-starring Charles Farrell
and Janet Gaynor. Their pairings included youth films, melodramas,
and the war epic Marching On (Shingun, 1930). After the final
collaboration in the series, Why Do You Cry, Youngsters?
(Wakamono yo naze naku ka, 1930), Ushihara abruptly left
Shochiku, apparently as a result of a dispute with the formidable
studio head, Shiro Kido, although the ostensible motive was
another trip to the West in order to learn about sound film
technique. After his departure from Shochiku, Ushihara did indeed
visit France, Britain, and the United States.
By the time he returned to his own country in 1933, the sound film
had made significant inroads in Japan too. In the sound era, Ushihara
worked at various studios, but his sound films did not achieve the
fame of his silents, although The Ghost Cat and the Mysterious
Shamisen (Kaibyo nazo no shamisen, 1938), described by William M.
Drew as “an exploration into the supernatural with surreal
touches”, enjoys a reputation in some quarters. In the post-war era,
his interest in the West was still apparent; he directed a reworking
of Frank Capra’s Meet John Doe (1941) in A Popular Man in Town
(Machi no ninkimono, 1946), and Until Forever (Itsu itsu made mo,
1952) was made in collaboration with an American director, Paul
Sloane. After retiring from direction, he taught at Nippon University
and served on juries at film festivals abroad. He died on 20 May
1985, just a week after his regular star, Denmei Suzuki.
ALEXANDER JACOBY & JOHAN NORDSTRöM
KAIHIN NO JOO [Una regina sulla spiaggia/Queen on the Shore]
(Shochiku, JP 1927)
Regia/dir: Kiyohiko Ushihara; scen: Tadashi Kobayashi; f./ph: Bunjiro
Mizutani; cast: Denmei Suzuki (Toshio Ishikawa), ? [punto di domanda
sulla copia/actual credit on print] (Kinue Ishikawa), Haruo Takeda
(Masayoshi Imada), Yoshie Kashiwa (Mihoko Imada), Atsushi
Watanabe (Sangoro Yamaguchi), Dekao Yoko (il coraggioso/the brave
Yokichi), Shoichi Kofujita (il ragazzo che sta per annegare/drowning
boy); frammento/fragment, versione ridotta/condensed version,
35mm, 298 m., 14' (18 fps); fonte copia/print source: National Film
Center, Tokyo.
Didascalie in inglese / English intertitles.
Questa riduzione è tutto ciò che ci rimane di quella che era una
commedia di lungometraggio diretta da Ushihara. Ma è un
frammento vivace e avvincente. Gli affascinanti esterni girati a
Kamakura e dintorni rendono bene il Giappone degli anni Venti e il
talento registico di Ushihara emerge nelle eleganti carrellate sulla
spiaggia e nella città. Il film è degno di nota anche per la presenza di
Denmei Suzuki travestito. Pur ritendo che Ushihara sprecasse il suo
talento dirigendo una commedia così leggera, Fuyuhiko Kitagawa,
recensore di Kinema Junpo, riconosce che “come commedia
d’azione, è indubbiamente gradevole”.
This condensation is all that remains of what was once a featurelength Ushihara comedy. The extant print is nevertheless fresh and
engaging. Fascinating location shooting in and around Kamakura
captures the look of 1920s Japan, and Ushihara’s directorial talent is
shown in the stylish tracking shots along the beach and through the
city streets. The film is also notable for the appearance of Denmei
Suzuki in drag. Although he felt that Ushihara’s talent was
somewhat wasted on directing so lightweight a film, Kinema Junpo
reviewer Fuyuhiko Kitagawa declared that “as a comedy action
picture, it is unquestionably entertaining”.
ALEXANDER JACOBY & JOHAN NORDSTRöM
(Il film è stato restaurato nel 2006 dalla Film Preservation Society di
Tokyo, con il sostegno della Kamakura Arts Foundation, a partire
dall’unico elemento sopravvissuto, una versione Shochiku Graph
16mm, ridotta e rimontata. Successivamente, l’internegativo 35mm
è stato donato dalla Film Preservation Society al National Film
Center. / Queen on the Shore was restored in 2006 from the only
surviving element, a 16mm shortened and re-edited Shochiku Graph
version, by the Film Preservation Society, Tokyo, with the support of
the Kamakura Arts Foundation. The Film Preservation Society later
donated the 35mm internegative to the National Film Center.)
40
SHINGUN [In marcia / Marching On] (Shochiku, JP 1930)
Regia/dir: Kiyohiko Ushihara; prod: Shiro Kido, Tomojiro Tsutsumi,
Osamu Rokusha; aiuto regia/asst. dir: Hiromasa Nomura, Kazuo
Ishikawa, Tokiro Miyata, Akihiko Kitamura, Eijiro Nagatomi; scen:
Koga Noda; f./ph: Bunjiro Mizutani; fotografia aerea/aerial
cinematography: Kenji Ochi, Isamu Aoki, Iyokichi Takahashi, Kinya
Ogura; consulente/aerial cinematography art advisor: Shigeyoshi
Suzuki, Rin Masutani; scg./des: Yoneichi Wakita; cast: Denmei Suzuki
(Koichi Shinohara), Hideo Fujino (Shosaku, Koichi’s father), Utako
Suzuki (Otoki, Koichi’s mother), Kinuyo Tanaka (Toshiko Yamamoto),
Haruo Takeda (Hiroyuki, Toshiko’s father), Minoru Takada (Shiro,
Toshiko’s brother), Eiji Oshimoto (Owada, the pilot), Tokuji
Kobayashi (Chui Kobayashi), Dekao Yoko (Kumakichi Kushiki), Mariko
Aoyama (Oshima-chan), Eiran Kikawa (chauffeur), Shoichi Kofujita
(boy in the village), Hisao Yoshitani (postman), Takeshi Sakamoto
(Soldier A), Atsushi Watanabe (Soldier B); 35mm, 3253 m., 142' (20
fps); fonte copia/print source: National Film Center, Tokyo.
Didascalie in inglese / English intertitles.
Shingun è senza dubbio il film più prestigioso cui abbia posto mano
Ushihara, oltre che il più famoso frutto della sua collaborazione con
gli attori Denmei Suzuki e Kinuyo Tanaka. Girato per celebrare il
decimo anniversario dell’esordio della Shochiku nella produzione
cinematografica, quest’epico film di amore e guerra costò
l’equivalente di parecchi miliardi di yen odierni, e per portarlo a
termine fu necessario più di un anno.
La pellicola racconta la storia di Koichi Shinohara, il cui più grande
desiderio è quello di diventare aviatore ed è innamorato di Toshiko,
sorella del pilota militare Shiro. Ushihara intreccia con eleganza i
travagli amorosi dell’eroe che cerca di conquistare la sua bella ai suoi
sforzi per riuscire a padroneggiare l’arte aviatoria. Alla fine scoppia la
guerra con un paese imprecisato, e Shiro, Koichi e il suo rivale in
amore Kobayashi si dirigono tutti al fronte, ove l’azione del film giunge
al suo culmine spettacolare.
Benché chiaramente ispirato a due classici del cinema di guerra
hollywoodiano, The Big Parade (La grande parata; 1925) di King Vidor
e Wings (Ali; 1927) di William Wellman, Shingun segna un nuovo
punto di partenza per il cinema muto giapponese. Le ambiziose scene
di battaglia su vasta scala della seconda parte del film non hanno, a
quanto risulta, alcun precedente nella storia del cinema giapponese.
Esse furono rese possibili grazie alla cooperazione dell’esercito
imperiale giapponese, che mobilitò aerei e carri armati per consentire
la realizzazione delle scene al fronte. La Shochiku sfruttò le
competenze di tutti gli operatori dello studio di Kamata per produrre
quella che è considerata la prima ripresa aerea del cinema giapponese.
Benché il materiale dal vero sia stato interpolato con inquadrature
effettuate con modellini, il film rappresenta comunque un importante
contributo all’evoluzione tecnica del cinema giapponese. Shigechika
Ikeda, critico di Kinema Junpo, nella sua recensione pubblicata il 1°
aprile 1930 scrisse che “il contenuto, il colore, la tecnica, ecc., sono
tratti unici connotanti il cinema di Ushihara.”
41
SHOCHIKU
KANGEKI JIDAI [L’età dell’emozione / Age of Emotion] (Shochiku, JP
1928)
Regia/dir: Kiyohiko Ushihara; scen: Hyakusuke Yoshida; f./ph: Bunjiro
Mizutani; cast: Denmei Suzuki (Ishikura), Kinuyo Tanaka (Mihoko), Eiji
Mita (Kashiwagi), Chieko Matsui (Junko), Dekao Yoko (studente
A/Student A), Tokuji Kobayashi (studente B/Student B), Tatsuo Saito
(insegnante/the teacher); 35mm (dal/from 9.5mm), 383 m., 19' (18
fps); fonte copia/print source: National Film Center, Tokyo.
Didascalie in inglese / English intertitles.
Questo notevole film, che narra la storia di un giovane lacerato dal
conflitto fra amore e amicizia, è ritenuto il miglior esempio delle
pellicole di ambientazione universitaria girate da Ushihara dopo il
suo ritorno dal soggiorno a Hollywood presso gli studi di Charlie
Chaplin. Riproponendo l’abbinamento fra Denmei Suzuki e Kinuyo
Tanaka, che avevano già recitato insieme in una precedente opera di
Ushihara, Kindai musha shugyo (L’allenamento dei guerrieri
moderni; 1928), esso contribuì a innalzare al rango di star Tanaka,
attrice allora adolescente. Il film ottenne il vivo consenso della
critica contemporanea: su Kinema Junpo, Juzaburo Suzuki lodò il
trucco, la recitazione di Denmei Suzuki e la regia di Ushihara che, a
suo avviso, collocava il film tra i migliori risultati fino ad allora
conseguiti dal cinema giapponese. “Chi finora ha criticato il lavoro
di Ushihara”, scrisse, “ora metterà probabilmente da parte le sue
riserve e vorrà stringergli la mano.” Purtroppo, di quest’opera tanto
importante sopravvive solo una copia frammentaria, che basta però
a documentare la fresca vitalità della regia di Ushihara.
ALEXANDER JACOBY & JOHAN NORDSTRöM
This significant film, about a young man torn between love and
friendship, is thought have to been the finest of the college stories
that Ushihara directed after returning from his time in Hollywood
at the Chaplin Studio. It continued the pairing of Denmei Suzuki and
Kinuyo Tanaka, who had already starred together in Ushihara’s
earlier film Modern Warriors’ Training (Kindai musha shugyo, 1928),
and helped to cement the stardom of the then teenaged actress
Tanaka. The film was highly praised by contemporary critics: the
Kinema Junpo reviewer, Juzaburo Suzuki, admired the makeup,
Denmei Suzuki’s acting, and Ushihara’s direction, which, he
asserted, placed the film among the finest achievements to date of
Japanese cinema. “I think it likely,” he wrote, “that people who have
previously criticized Ushihara’s work will cast their reservations
aside and want to shake his hand.” Sadly, only a fragmentary copy
survives of this important work, but it still displays the freshness
and vitality of Ushihara’s direction.
ALEXANDER JACOBY & JOHAN NORDSTRöM
(Il National Film Center ha restaurato questo film nel 1998 a partire
dall’unico elemento rimasto, un Pathé-Baby 9.5 ridotto e rimontato
e donato da un collezionista privato. / The National Film Center
restored this film in 1998 from the only extant element, a 9.5mm
Pathé-Baby shortened and re-edited version donated by a private
collector.)
Shingun, Kiyohiko Ushihara, 1930. (National Film Center, Tokyo)
scenes, it remains ultimately a humane and touching piece of
cinema. – ALEXANDER JACOBY & JOHAN NORDSTRöM
(Il National Film Center ha restaurato questo film nel 1967,
ottenendo un internegativo 35mm da una copia nitrato restituita al
Giappone dalla Library of Congress di Washington. / The National
Film Center restored and made the 35mm internegative in 1967 from
a nitrate print which had been returned to Japan from the Library of
Congress in Washington, D.C.)
WAKAMONO YO NAZE NAKU KA [Perché piangete, ragazzi? /
Why Do You Cry, Youngsters?] (Shochiku, JP 1930)
Regia/dir: Kiyohiko Ushihara; aiuto regia/asst. dir: Kazuo Ishikawa,
Eijiro Nagatomi, Tokiro Miyata; scen: Tokusaburo Murakami; f./ph:
Bunjiro Mizutani; cast: Hideo Fujino (Kiichi Uesugi), Denmei Suzuki
(Shigeru Uesugi), Yukiko Tsukuba (Futaba Uesugi), Kinuyo Tanaka
(Kozue Uesugi), Mitsuko Yoshikawa (Utako Uesugi), Shoichi Nodera
(Uesugi’s servant), Ichiro Oguni (Uesugi’s secretary), Kaoru Futaba
(Osawa), Jun Arai (Juzo Yamakawa), Togo Yamamoto (Kiyoto Omiya),
Tatsuko Tanizaki (Motoko Omiya), Kenichi Miyajima (Omiya’s
secretary), Kazuji Sakai (Omiya’s chauffeur), Reikichi Kawamura
(Karoku Ohara), Tokuji Kobayashi (Heikichi Ohara), Hiroko Kawasaki
(Yumiko Ohara), Tokihiko Okada (Tosuke Kojima), Utako Suzuki (una
madre/a mother), Hikaru Yamauchi (Shuzo Katori), Takeshi Sakamoto
(Akazawa), Choko Iida (Keiko Tachibana), Sotaro Okada (Ichiro
Kano), Haruo Takeda (avvocato/barrister), Atsushi Watanabe
(merciaio/haberdasher); 35mm, 4416 m., 193' (20 fps); fonte
copia/print source: National Film Center, Tokyo.
Didascalie in inglese / English intertitles.
Wakamono yo naze naku ka (Perchè piangete, ragazzi?) è l’ultimo
della popolare serie di film che vedono il regista Ushihara collaborare
con la coppia di divi formata da Denmei Suzuki e Kinuyo Tanaka.
Dopo aver portato a termine la pellicola nel settembre del 1930,
Ushihara lascia la Shochiku per recarsi in Europa, ufficialmente allo
scopo di studiare le nuove tecniche del cinema sonoro, anche se il
motivo reale del divorzio sembra risiedere nel contrasto con il capo
dello studio, Shiro Kido. Denmei Suzuki lascia a sua volta lo studio
l’anno seguente e contribuisce alla fondazione di una casa di
produzione indipendente, la Fuji, destinata a produrre film notevoli
come Eikan namida ari (Lacrime dietro la vittoria; 1931) di Shigeyoshi
Suzuki e Kuma no deru kaikonchi (La terra bonificata dove vivono gli
orsi; 1932), entrambi proiettati alle Giornate nel 2001.
In quest’episodio finale, Suzuki e la Tanaka sono fratello e sorella,
due dei tre figli del vedovo Kiichi Uesugi. Uesugi si risposa con
l’arrogante “ragazza moderna” Utako, provocando contrasti in
famiglia tra le sue due figlie: la maggiore, Futaba, è anche lei una
“ragazza moderna” e simpatizza con la matrigna, mentre la minore e
più tradizionalista Kozue, interpretata dalla Tanaka, la detesta. Il
contegno egoistico di cui dà prova Utako quando Uesugi si ammala
convince il figlio di lui, Shigeru (Suzuki), delle buone ragioni di
Kozue; i due lasciano quindi la casa paterna per trasferirsi in un
43
SHOCHIKU
Shingun anticipa i temi dei film di guerra girati negli anni del
militarismo, e l’imprecisato paese nemico è normalmente inteso come
la Cina. Tuttavia, il fatto che sia stato girato prima dell’incidente della
Manciuria gli consente di dar voce a un’etica umanistica che in seguito
sarebbe diventata insostenibile. Come osserva Peter High, Shingun
“evita di conformarsi a quei modelli che si sarebbero rapidamente
cristallizzati nei cliché della pletora di film militari sfornati all’epoca
degli incidenti in Manciuria e poi in Cina”. Nonostante la
magniloquenza visiva delle scene di battaglia, questo film resta in
ultima analisi un’opera cinematografica ricca di commovente umanità.
ALEXANDER JACOBY & JOHAN NORDSTRöM
Shingun, known variously in English as The March, Marching On, and
The Army Advances, is unquestionably the most prestigious film on
which Ushihara worked, as well as the most famous of his
collaborations with the actors Denmei Suzuki and Kinuyo Tanaka.
Made to commemorate the tenth anniversary of Shochiku’s entry
into film production, this epic war movie and romance took more
than a year to film, and cost the equivalent of several billion yen in
today’s money.
The film tells the story of Koichi Shinohara, who has set his heart on
becoming an aviator, and of his romance with Toshiko, whose
brother Shiro is a military pilot. Ushihara elegantly dovetails the
hero’s romantic travails as he seeks to win his girl with his efforts to
master the skills of aviation. Ultimately, war breaks out with an
unnamed country, and Shiro, Koichi, and his romantic rival Kobayashi
all head to the front for the film’s spectacular action climax.
The inspiration of two classics of the Hollywood war film, King
Vidor’s The Big Parade (1925) and William Wellman’s Wings (1927),
is apparent, but the film marked a new departure for the Japanese
silent cinema. The ambitious large-scale battlefield scenes of the
film’s second half seem to have been unprecedented in Japanese film
history. They were made possible by the co-operation of the
Imperial Japanese Army, which mobilized aircraft and tanks in order
to allow the scenes at the front to be staged. Shochiku drew on the
skills of all the cameramen of its Kamata studio, who created what
is considered the first-ever aerial footage in Japanese film. Although
this genuine footage was intercut with model shots, the film
nevertheless made a significant contribution to the evolution of
Japanese film technique. Kinema Junpo’s critic Shigechika Ikeda,
reviewing the film on 1 April 1930, wrote that “the content, the
colour, the technique, etc., are unique traits typifying the style of
Ushihara’s cinema.”
Shingun prefigures the subject matter of the war movies of the
militarist years, and the unnamed enemy country is widely assumed
to be China. But the film’s production in the years before the
Manchurian Incident allowed it to sustain a humanist ethos which
would later become untenable. As Peter High writes, Shingun “fails
to conform to the patterns that would quickly fossilize into clichés
in the host of military features produced during the Manchurian and
then the China Incidents”. Despite the visual grandeur of its battle
Behind Victory (Eikan namida ari, 1931) and The Reclaimed Land
Where Bears Live (Kuma no deru kaikonchi, 1932), both shown at the
Giornate in 2001.
In this final entry in the series, Suzuki and Tanaka play brother and
sister, acting the parts of two of three children of the widowed Kiichi
Uesugi. Uesugi’s remarriage, to the arrogant “modern girl” Utako,
causes divisions in the family between his two daughters; the elder,
Futaba, is herself a “modern girl” and sympathizes with her
stepmother, while the traditional younger daughter Kozue, played by
Tanaka, dislikes her. Utako’s selfish behaviour after Uesugi falls ill
convinces his son, Shigeru (Suzuki), that Kozue is right, and the two
siblings leave their father’s house to live in a suburban district. The
story of this family is interwoven with the story of Shigeru’s old
university friend Katori, a weak-spirited man who has abandoned his
education and become associated with the modern set of which
Utako is also a member.
Wakamono yo nake naku ka fascinatingly uses these personal dramas
to explore what Mitsuyo Wada-Marciano has termed “the anxieties
and disturbances of modernity in interwar Japan”. The characters
personify the conflicts between the modern and the traditional, the
indigenous and the foreign, making the film fascinating as a record and
a critique of Japanese society in 1930. In addition, it contains excellent
performances from Suzuki, Tanaka, and supporting actor Tokihiko
Okada (playing left-wing journalist Kojima), and is imaginatively staged
throughout by Ushihara. The film took second place in the domestic
gendai-geki (films set in the present day) section of the Kinema Junpo
critics’ poll for 1930. – ALEXANDER JACOBY & JOHAN NORDSTRöM
distretto suburbano. La storia di questa famiglia si intreccia alle
vicende di Katori – vecchio compagno di università di Shigeru –, un
pusillanime che ha abbandonato gli studi per unirsi al gruppo di
moderni di cui fa parte anche Utako.
Wakamono yo nake naku ka fa un affascinante uso di questi drammi
personali per esplorare quelle che Mitsuyo Wada-Marciano ha
definito “ansie e inquietudini della modernità nel Giappone tra le due
guerre”. I personaggi incarnano i conflitti che oppongono modernità
e tradizione, mentalità locale e influenze straniere, e fanno del film
un’interessante testimonianza critica della società giapponese del
1930. A questo bisogna aggiungere le ottime interpretazioni di
Suzuki, della Tanaka e dell’attore non protagonista Tokihiko Okada
(nel ruolo del giornalista di sinistra Kojima), nonché l’inventiva
messinscena di Ushihara. Il film si classificò al secondo posto nella
sezione gendai-geki (film di ambientazione contemporanea) del
sondaggio per i migliori film del 1930, organizzato tra i critici da
Kinema Junpo. – ALEXANDER JACOBY & JOHAN NORDSTRöM
Wakamono yo naze naku ka (Why Do You Cry, Youngsters?) was the
last in the popular series of collaborations between director Ushihara
and the star pairing of Denmei Suzuki and Kinuyo Tanaka. After
completing the film in September 1930, Ushihara left Shochiku and
went to Europe, ostensibly to study the new medium of sound film –
although his departure seems really to have been motivated by
conflict with studio head Shiro Kido. Denmei Suzuki too was to leave
the studio the following year, and would help to found an
independent production company, Fuji Film Productions, which was
to produce such distinguished films as Shigeyoshi Suzuki’s Tears
44
Il talento creativo non fu un atout privo di svantaggi nell’Unione Sovietica di Stalin. E le alterne fortune dell’ebreo lituano Abram Room e del georgiano
Mikhail Kalatozishvili (meglio conosciuto come Kalatozov) ne rappresentano i due rovesci della medaglia.
Malgrado una produzione muta che si era distinta per originalità e forte impatto visivo, Kalatozov fu bersaglio costante di accuse politico ideologiche e
di drastiche censure. La sua carriera s’interruppe, e il regista fu destinato ad impieghi amministrativi fino agli anni ’40, quando le contingenze della
seconda guerra mondiale gli offrirono l’opportunità di riprendere il suo lavoro creativo. Nel 1957, quasi a fine carriera, con Letjat žuravli ( Quando volano
le cicogne ) vinse la Palma d’oro al Festival di Cannes, raggiungendo notorietà internazionale e accreditandosi come il principale ispiratore del nuovo corso
cinematografico sovietico che si sarebbe sviluppato negli anni ’60.
Neanche Room fu immune da censure ideologiche, anche se il corpus delle sue opere mute gli aveva assicurato una posizione di grande prestigio tra i
cineasti sovietici dell’epoca. Un suo film sonoro del 1934, Strogij junoša (Un giovanotto severo), che pare mantenesse il vigore delle sue opere mute, fu
però tolto definitivamente dalla circolazione; e il rimanente della sua lunga carriera si svolse all’insegna di un innocuo conformismo. Alla fine dei suoi
giorni, vittima della depressione e della “malattia professionale” dell’alcolismo, si lamentava, pare, di non aver mai avuto una carriera.
La riscoperta di Kalatozov porta alla luce un altro talento georgiano il cui nome era stato praticamente cancellato dalla storia del cinema. Grazie alla
nuova ricerca di Sergei Kapterev, oggi siamo in grado di conoscere alcuni dettagli certi sulla sua carriera. Lev Fedorovi Push nacque a San Pietroburgo
nel 1892. Negli anni 1912-1914 proseguì i suoi studi a Nancy e nel biennio 1914-1916 fu richiamato alle armi – probabilmente nelle file dello sfortunato
corpo di spedizione russo inviato sul fronte francese. Nel 1916 era già attivo a Tiflis/Tiblisi, dove lavorò fino al 1922 per una società privata di distribuzione
(e produzione?). A partire dal 1925, fu montatore presso il Goskinprom, dove lavorò in due film della serie Krasnye d’javoljata (I diavoletti rossi) di
Perestjani. (È interessante notare che i credits di Krasnye d’javoljata riportano Fedor Push come scenografo, mentre nelle sue memorie Perestjani cita il
suo capo-elettricista col nome di Alexander Push.)
Push debuttò nella regia con Gjulli , co-diretto con un altro esordiente, Nicoloz Shengelaya. Sia in Gjulli che nella sua prima regia individuale, Boshuri
siskhli , la fotografia di Kalatozov fu di fondamentale importanza, anche se Push rivelava già una forte personalità come regista – e montatore. Dopo
altri due lungometraggi, Mzago da Gela e Gantsirulni (Predestinati), realizzati entrambi nel 1930, anche se il primo dei due fu distribuito solo nel 1934,
Push non avrebbe più girato un altro film di finzione. Nel 1931, lasciò il Goskinprom per il Belgoskino, gli studi bielorussi con sede a Leningrado. Nel
1941-42, fece occasionalmente ritorno negli studi di Tblisi come attore e combatté nel secondo conflitto mondiale. Le ultime notizie certe di cui
disponiamo lo vedono impegnato, nel 1947, come regista di documentari e filmati scientifici divulgativi presso uno studio di cinegiornali di Irkutsk. Sui
motivi che confinarono la sua promettente carriera a quella modesta attività in Siberia si possono solo fare congetture. Forse, aveva giocato contro
Push il suo passato da “straniero”, o forse, l’infausto destino del corpo di spedizione russo dopo la Rivoluzione – il soggetto di Gantsirulni – si era
rivelato un argomento troppo delicato e pericoloso. Sergei Kapterev pone l’accento sulle memorie di un veterano degli studi di Irkutsk, Edgar
Briukhanenko, secondo il quale i cineasti della Russia europea confinati a Irkutsk perché “politicamente inaffidabili” contribuirono a trasformare gli
studi in un centro dagli elevati standard qualitativi le cui attività coprivano il vasto territorio della Siberia orientale. Sicuramente Push fu uno dei
principali artefici di tale trasformazione.
Questo programma è dedicato al centenario della nascita di Jay Leyda (1910-1988), cineasta d’avanguardia; insuperato storico del cinema russo e cinese;
allievo, amico e traduttore di Sergej M. Ejzenštejn. – D AVID R OBINSON
Creative talent was a very mixed blessing in Stalin’s Soviet Union. The careers of Abram Room, a Lithuanian Jew, and the Georgian Mikhail Kalatozishvili
(known as Kalatozov), represent converse trajectories.
Kalatozov’s work in silent films, characterized by its originality and visual force, was persistently dogged by political and ideological disapproval and
suppression. His career was interrupted and he was consigned to administrative jobs until the demands of the Second World War gave him the opportunity
to resume creative work in the 1940s. Late in his career, however, The Cranes Are Flying (1957) won the Cannes Golden Palm and international acclaim,
and is widely credited as a major inspiration for the new generation of Soviet directors who achieved renascence in the 1960s.
The young Room did not escape ideological criticism, but a body of silent films established him securely as one of the outstanding Soviet film-makers
of the era. One sound film, Strogii Yunosha ( A Stern Youth , 1934) is said to have maintained the vigour of his silent work, but was definitively suppressed;
45
CINEMA SOVIETICO
THREE SOVIET CAREERS
Cinema sovietico: le alterne fortune di Room, Kalatozov e Push
Shifting Fortunes: Three Soviet Careers
and the rest of his long career seemed dedicated to safe, conformist themes. At the end of his life, a depressed victim of the occupational hazard of
alcohol, he is said to have mourned that he had had no career.
The search for Kalatozov brings to light another Georgian talent, whose name has been virtually suppressed by history. Thanks to new research by Sergei
Kapterev we are able to establish a few facts about his career. Lev Fedorovich Push was born in St. Petersburg in 1892. In 1912-1914 he was pursuing
his education in Nancy, and went on to serve in the war from 1914-1916 – perhaps with the ill-fated Russian Expeditionary Corps in France. In 1916 he
was already in Tiflis/Tbilisi, where he worked until 1922 for a private film distribution (and production?) company. By 1925 he was established at
Goskinprom as an editor, and worked on two of Perestiani’s Little Red Devils series. (It is intriguing that the designer of Little Red Devils was Fedor
Push, while Perestiani’s memoirs name his chief electrician as Alexander Push).
Push embarked on direction with Giuli , in partnership with another debutant director, Nikoloz Shengelaya. In this and in his first solo work, Gypsy Blood ,
the camerawork of Kalatozov makes a fundamental contribution, but there is no doubt of an individual directorial – and editorial – presence. After two
more feature films, Mzago and Gela and Doomed ( The Russians in France ) – both made in 1930, though the former was not released until 1934 – Push
was never to direct another fiction film. In 1931, he left Goskinprom for Belgoskino, the Belorussian Studios, based in Leningrad. In 1941-42 he returned
briefly to the Tbilisi studios as an actor, and saw war service. The last that is known of him is that from 1947 he was working as a director at the Irkutsk
Newsreel Studios, making documentary and popular science films. We can only speculate why this promising career ended so humbly in Siberia. Perhaps
Push’s “foreign” past was against him, or the fate of the Russian Expeditionary Corps after the Revolution – the subject of Doomed – had proved too
delicate and dangerous a subject. Sergei Kapterev notes that Edgar Briukhanenko, an Irkutsk Studios veteran, recalls in his memoirs that film-makers
sent from the European USSR to Irkutsk as “political unreliables” helped to transform the Studios into a high-quality enterprise whose activities covered
the huge territory of Eastern Siberia. No doubt Push was a major contributor to this transformation.
This programme is offered in homage to the centenary of Jay Leyda (1910-1988), avant-garde filmmaker; unsurpassed historian of Russian and Chinese
cinema; student, friend, and translator of Sergei M. Eisenstein. – D AVID R OBINSON
Abram Room
All’interno del gruppo di cineasti sovietici che conobbero una
straordinaria fama internazionale nei tardi anni ’20, Kuleshov,
Eisenstein, Pudovkin, Vertov e Dovzhenko godono tuttora di una
stima generalizzata. Ma all’epoca anche Abram Room figurava tra i
‘cinque grandi’ originali, addirittura al primo posto secondo un
sondaggio indetto nel 1927 tra i lettori della rivista moscovita Kino
(Cinema), dopo l’enorme successo popolare di Tret’ja Meščanskaja
(Terza Meshchanskaya / Letto e divano / Un amore a tre). La sua
ultima regia cinematografica è datata 1971, pertanto Room ebbe una
carriera più longeva di quasi tutti i suoi contemporanei, pur se uno di
loro, Leonid Trauberg, mi raccontò di come lui fosse solito lamentarsi
spesso di “non aver mai avuto una carriera”. Laddove avere una
carriera, nel cinema sovietico, perfino una pesantemente condizionata
dalla politica, comportava anche un riconoscimento in ambito extra
nazionale, cosa che Room peraltro non ebbe mai.
Per quali motivi un regista del suo indubitabile talento e coraggio non
è riuscito ad assicurarsi un posto permanente nel canone? Le origini
e le tappe della sua carriera da regista furono simili a quelle dei suoi
(oggi) più famosi contemporanei. Abram Matveevich Room, nato nel
1894 a Vilnius, capitale della Lituania (all’epoca, la polacca Wilno),
intraprese studi di medicina, prima presso l’Istituto psico-neurologico
di Bekhterev a Pietrogrado (1914-17), dove gli studenti ebrei erano
bene accetti e dove studiò anche Vertov, e poi all’Università di
Saratov. E proprio a Saratov, dopo aver prestato servizio medico
durante la guerra civile, ebbe modo di sviluppare il suo primo
interesse per il teatro diventando il direttore del Teatro della
Gioventù. Nel 1923, grazie all’interessamento personale dell’influente
Anatoli Lunacharsky, Ministro della Cultura e difensore delle
avanguardie, Room riuscì a trasferirsi a Mosca, dove entrò
nell’organico del prestigioso Teatro della Rivoluzione di Meyerhold,
che Eisenstein aveva appena lasciato.
Fu la montatrice Esther Shub a favorire l’esordio cinematografico di
Room e di Eisenstein nel 1924, e Room diresse subito due
cortometraggi di propaganda per la Goskino, Chto govorit "Mos", sey
otgadayte vopros (Indovinate cosa dice “Mos”) e Gonka za
samogonkoy (Caccia alla vodka clandestina), nessuno dei quali
incontrò i favori dello studio. Ciò non impedì tuttavia a Room di
girare il suo primo lungometraggio, Buchta smerti (La baia della
morte), un dramma sulla guerra civile pieno d’azione, al quale poco
dopo seguì Predatel’ (Il traditore) la cui azione è divisa tra un “prima”
e un “dopo” la Rivoluzione. Nessuno dei due lasciava però presagire
l’audacia provocatoria del suo Tret’ja Meščanskaja, distribuito nella
primavera del 1927 suscitando un vespaio di polemiche. Con Potholes
(1928) Room proseguì nella stessa vena di realismo domestico, per
poi passare alla stilizzata ambientazione latino-americana di Prividenie,
kotoroe ne vozvraščtsja (Il fantasma che non ritorna) (1930), basato
su un romanzo di Henri Barbuse. Dopo aver girato Plan velikich rabot
(Il piano dei grandi lavori), uno dei primi film “dimostrativi” del
sonoro, Room fu investito nuovamente dalle polemiche quando uscì
un suo secondo studio sulla moralità contemporanea Strogij junoša
(Un giovanotto severo), 1935, che fu bandito dalla censura con severe
reprimende per i suoi realizzatori.
Fin dagli inizi della sua carriera, Room aveva sempre rifiutato sia
46
BUKHTA SMERTI [La baia della morte / Death Bay] (Goskino, USSR
1926)
Regia/dir: Abram Room; scen: Boris Leonidov, da un racconto
di/based on a story by Alexei Novikov-Priboi; didascalie/titles: Viktor
Shklovsky; f./ph: Yevgeni Slavinsky; scg./des: Vasili Rakhals, Dmitri
Kolupayev; aiuto regia/asst. dir: Y. Kuzis; cast: Nikolai Saltykov (il
ferroviere Surkov, il bolscievico/railroad worker Surkov, the
Bolshevik), Leonid Yurenev (la fuochista Masloboev, la spia/fireman
Masloboev, the spy), Nikolai Okhlopkov (il marinaio/the sailor),
Andrei A. Fait (Alibekov, il capo di servizio del controspionaggio/head
of the counter-espionage service), V. Yaroslavtsev, Y. Kartashchova, A.
Ravitch, A. Matsevich, Vasya Liubinsky, A. Kharlamov, A. Ai-Artian, O.
Golnieva, B. Zagorsky, Yura Zimin, A. Karpov; 35mm, 1860 m., 90' (18
fps); fonte copia/print source: Gosfilmofond of Russia.
Didascalie in russo / Russian intertitles.
Basato sul romanzo di Aleksei Novikov-Priboi, un popolare scrittore
di storie di mare che era sopravvissuto a un naufragio durante la
guerra russo-giapponese, il film che segnò il debutto di Room è una
47
CINEMA SOVIETICO
THREE SOVIET CAREERS
Room survived to make his first full-length film, Death Bay, an actionpacked Civil War drama, quickly followed by The Traitor, set
immediately before and after the Revolution. Neither suggested that
he would then produce the highly provocative Tretya Meshchanskaya,
released in the Spring of 1927 amid a storm of controversy. Potholes
(1928) continued in the same vein of domestic realism, before Room
turned to a stylized Latin American setting for The Ghost That Never
Returns (1930), based on a story by Henri Barbusse. After making
one of the first sound “demonstration” films, Plan for Great Works
(1930), controversy would strike Room a second time, when another
searching study of contemporary morality, A Stern Youth (1934), was
banned and its makers severely reprimanded.
At the beginning of his career, Room rejected false theatricality and
the “grand scale” of filming then becoming fashionable, arguing instead
for a principle of “aesthetic economy”, which would have been
encouraged by his early collaborator Viktor Shklovsky. In a pithy
phrase from Room’s 1925 manifesto “Cinema and Theatre”
(Sovietskii ekran, 19 May 1925): “Theatre is ‘seeming’, whereas
cinema is ‘being’.” Although initially more highly regarded than Boris
Barnet, Room would suffer the same fate of being considered
“naturalistic” or merely conventional, when Soviet filmmakers were
expected to have a signature style. Like the still underestimated
Friedrich Ermler, he was not afraid to tackle controversial subjects in
imaginative and sometimes shocking ways. Above all, his early career
is emblematic of the New Economic Policy (NEP) period, roughly
between 1923-28, when different groups and traditions mingled
eclectically to produce a vibrant if short-lived Soviet culture.
Although perhaps ultimately concerned with bytopisatelstvo, or the
portrayal of everyday life, Room’s choice of actors is nonetheless
consistently interesting, while his handling of both natural and highly
constructed space is surely exceptional. – IAN CHRISTIE
l’artificiosità teatrale che la ‘grandeur’ cinematografica allora di moda,
battendosi invece per una ‘economia estetica’ i cui principi avrebbero
trovato il sostegno di uno dei suoi primi collaboratori, Viktor
Shklovsky. In una significativa frase del manifesto di Room su Cinema
e Teatro (Sovietskii ekran, 19 maggio 1925) si legge: “il teatro è
‘l’apparire’, mentre il cinema è ‘l’essere’”. Sebbene agli inizi Room
avesse goduto di maggior considerazione di Boris Barnet, condivise
poi lo stesso destino di essere considerato ‘naturalistico’ o
meramente convenzionale, laddove dai cineasti sovietici ci si aspettava
un’impronta stilistica riconoscibile. Al pari del tuttora sottostimato
Friedrich Ermler, Room non aveva affatto paura ad affrontare soggetti
controversi con modalità formali geniali e spesso scioccanti. La sua
carriera iniziale è emblematica del periodo della Nuova Politica
Economica (NEP), risalente grossomodo agli anni 1923-28, quando
gruppi di provenienza e di tradizioni diverse si mischiarono
ecletticamente per produrre una vivace quanto precaria cultura
sovietica. La scelta degli attori di Room rimane decisamente
interessante, per quanto, forse, in definitiva fosse solo legata alla sfera
del “bytopisatelstvo”, ovvero alla descrizione della vita di ogni giorno,
mentre la sua costante abilità nel gestire gli spazi naturali come quelli
estremamente elaborati è davvero eccezionale. – IAN CHRISTIE
Among the group of Soviet filmmakers who achieved extraordinary
worldwide fame in the late 1920s, Kuleshov, Eisenstein, Pudovkin,
Vertov, and Dovzhenko remain widely respected today. But Abram
Room was also one of the original “big five”, and even came top in a
readers’ poll conducted by the Moscow magazine Kino [Cinema] in
1927, after the huge popular impact of Tretya Meshchanskaya [Bed and
Sofa]. With his last film appearing as late as 1971, Room outlasted
almost all his contemporaries, although one of these, Leonid Trauberg,
told me that he would often complain “he had no career”. To have a
career in Soviet cinema, even a politically blighted one, meant
recognition both at home and abroad, which Room indeed lacked.
Why should such an obviously talented and courageous director have
failed to secure a permanent place in the canon? Abram Matveevich
Room’s origins and route towards filmmaking were similar to those
of his (now) more famous contemporaries. Born in 1894 in the
Lithuanian capital Vilnius (then Polish, as Wilno), he set out to study
medicine, first at Bekhterev’s Psychoneurological Institute in
Petrograd (1914-17), which welcomed Jews and where Vertov also
was a student, and then at the University of Saratov. It was here, after
medical service during the Civil War, that he was able to follow his
early interest in theatre and become director of the Saratov Youth
Theatre. In 1923, no less a figure than Anatoli Lunacharsky,
Commissar for Culture and defender of the avant-garde, arranged for
him to come to Moscow and join Meyerhold’s prestigious Theatre of
the Revolution, which Eisenstein had just left.
The editor Esther Shub helped both Room and Eisenstein enter
filmmaking in 1924, and Room directed two propaganda shorts for
the First Goskino Factory, Guess What MOS Says? and The Search
for Home-Brew, neither of which found favour with the studio. But
shooting gave the film strong scenic values, which impressed the
novelist Bryher, writing in Film Problems of Soviet Russia in1929 (in
which Room is one of only four directors given a separate chapter).
An excellent cast reflected Room’s extensive theatre contacts
(including the director Nikolai Okhlopkov in a superb cameo as a
card-playing sailor), but it was their restraint that impressed a
contemporary Russian reviewer in Kino, indicating that Room had
succeeded in following his own maxims, published a year earlier in
Sovietskii ekran: “Cinema is pre-eminently realism, life, the everyday,
properly motivated behaviour, rational gesture.”
Contemporary critics generally considered the acting and staging
better than the script, although the film benefited from Viktor
Shklovsky’s crisp titles. The final volume of Shklovsky’s memoirs
appeared in the same year, and its title, Third Factory, refers to what
had become his main work in the “film factory”. Shklovsky was also
supporting the Serapion Brotherhood, a group of realist writers who
shared his admiration for adventure narratives, and it does not seem
fanciful to detect a hint of their beloved Robert Louis Stevenson in
Death Bay. But for all these qualities, the film’s misfortune was to
appear shortly after Battleship Potemkin. “A good film,” judged P.
Neznamov (Kino no. 7), “but unlucky in that Eisenstein’s Potemkin
had upstaged its hero, the ship, and set an impossibly high standard in
the struggle to make an impression.” “A good film instead of being
great,” echoed Bryher, before wondering if she was being overcritical, “for much of it is excellent, particularly the treatment of the
landscape, the lonely sheepskin figure watching the sea, the fugitives
scattered about the lighthouse wall, or the sensation of sunlight in the
engineer’s garden.” – IAN CHRISTIE
avventurosa storia di propaganda ambientata in un porto sul Mar
Nero durante la guerra civile. Il maggiore dei due figli di un apolitico
ingegnere navale appartiene al gruppo dei “rossi” che si batte al fianco
dei marinai della nave da guerra Lebed in rivolta contro le forze
‘bianche’ del porto. Impadronitisi della nave, i “bianchi” tengono in
ostaggio l’ingegnere per coinvolgerlo nella loro impresa. Intanto,
l’altro figlio viene incaricato di fare da staffetta coi rivoluzionari… la
vicenda culminerà in un confronto risolutivo di singolare violenza. Le
spettacolari riprese in esterni del film colpirono favorevolmente la
romanziera Bryher, che ne scrisse in un suo saggio del 1929 dal titolo
Film Problems of Soviet Russia (dove Room è uno degli unici quattro
registi cui venga dedicato un intero capitolo). L’eccellente cast
rispecchia le lunghe frequentazioni teatrali di Room, ivi compreso il
regista Nikolai Okhlopkov (qui in un magnifico cammeo nelle vesti di
un marinaio che gioca a carte), ma a colpire in modo particolare il
recensore contemporaneo della rivista Kino fu la recitazione
misurata, che indicava la coerenza di Room nel seguire con efficacia le
proprie massime, pubblicate un anno prima su Sovietskii ekran: “Il
cinema è preminentemente realismo, vita, quotidianità, comportamento adeguatamente motivato e gestualità razionale.”
La critica dell’epoca fu piuttosto unanime nel giudicare la recitazione
e la mise en scène migliori dello script, malgrado il film si avvalesse
delle vivaci didascalie di Viktor Shklovsky. L’ultimo volume delle
memorie di Shklovsky uscì nello stesso anno e il suo titolo, Third
Factory, fa riferimento a quello che era stato il suo lavoro più
importante nella “film factory”. Shklovsky era stato anche un attivo
sostenitore della “Fratellanza Serapion” un gruppo di scrittori realisti
che condivideva la sua ammirazione per i libri d’avventura, e non è
certo un mero esercizio di fantasia se in Bukhta smerti si scoprono
tracce del loro amato Robert Louis Stevenson. Malgrado le molte
qualità, il film ebbe la sfortuna di uscire dopo Bronenosec Potëmkin
(La corazzata Potëmkin). “È un buon film,” scrisse P. Neznamov (Kino
n. 7) “peccato però che la Potëmkin di Eisenstein abbia rubato la
scena alla protagonista della storia, la nave, e stabilito uno standard
di eccellenza insuperabile per poter competere in impatto
spettacolare”. “Un buon film, ma non un grande film”, fece eco la
Bryher, prima di chiedersi se lei non fosse stata ipercritica, “più che
buono per molti aspetti, in particolare nella descrizione del
paesaggio: la figura solitaria che guarda il mare, i fuggitivi sparpagliati
attorno al muro del faro o l’effetto del tramonto nel giardino
dell’ingegnere”. – IAN CHRISTIE
Based on a novel by a popular writer of sea stories, Aleksei NovikovPriboi, who had survived shipwreck during the Russo-Japanese war,
Room’s debut feature is a propagandist adventure story set in a Black
Sea port during the Civil War. An apolitical ship’s engineer has two
sons, one of whom belongs to the Red group that is working with the
sailors of the warship Lebed to overthrow the port’s White forces.
After the Whites take over the ship, they hold the engineer hostage
to help with their assault, while his other son manages to bring news
to the revolutionaries before the unusually violent climax. Location
PREDATEL’ [Il traditore / The Traitor] (Goskino, USSR 1926)
Regia/dir: Abram Room; scen: Lev Nikulin, Viktor Shklovsky, da un
racconto di/from a story by Lev Nikulin; f./ph: Yevgeni Slavinsky;
scg./des: Vasili Rakhals, Sergei Yutkevich; aiuto regia/asst. dir: Sergei
Yutkevich, Y. Kuzis; cast: Nikolai Panov (Parchevski, l’ufficiale di
rota/course official), Yevgenia Khovanskaia (Madame Guillot, la
padrone della casa di tolleranza/madame of the brothel), Nikolai Dits
(il capo di polizia segreta/chief of the secret police), Nikolai
Okhlopkov (il marinaio sconosciuto/the unknown sailor), P. Korizno,
M. Parshina, N. Radin, T. Oganezova, David Gutman, Naum Rogozhin,
Leonid Yurenev, K. Davidovsky, V. Podlubny, T. Adelheim, A. AiArtian, O. Golnieva, K. Efimov; lg. or./orig. l: 2100 m.; incompleto/
incomplete [r. 1, 3, 5], 35mm, 650 m., 30' (19 fps); fonte copia/print
source: Gosfilmofond of Russia.
Didascalie in russo / Russian intertitles.
Lev Nikulin era stato ambasciatore sovietico in Afghanistan prima che
il suo breve racconto Il silenzio del pescatore fosse scelto da Room e
Shklovsky per la loro prima collaborazione completa tra regista e
sceneggiatore, dopo che Shklovsky aveva già scritto le didascalie per
Bukhta smerti. Il film (preservato solo parzialmente) è uno dei primi
esempi di “prima e dopo”, una struttura narrativa che divenne
48
TRETYA MESHCHANSKAYA (Liubov Btroem) [Terza Meshchanskaya/
Letto e divano / Un amore a tre / Third Meshchanskaya / Bed and
Sofa / Three in a Basement / Ménage à trois] (Sovkino (Moscow),
USSR 1927)
Regia/dir: Abram Room; scen: Viktor Shklovsky, Abram Room; f./ph:
Grigori Ghiber; scg./des: Vasili Rakhals, Sergei Yutkevich; aiuto
regia/asst. dir: Sergei Yutkevich, Y. Kuzis; cast: Vladimir Fogel (Volodia,
l’amico di casa/friend of the household), Nikolai Batalov (Kolya, il
marito/the husband), Ludmila Semenova (Liuda, la moglie/the wife),
Leonid Yurenev, E. Sokolova; 35mm, 1982 m., 91' (19 fps); fonte
copia/print source: Gosfilmofond of Russia.
Didascalie in russo / Russian intertitles.
“Raccomandiamo caldamente a tutti coloro che abbiano modo di
vederlo, di non lasciarselo assolutamente scappare. È uno dei più
importanti contributi al progresso del cinema finora mai raggiunti”.
Così scriveva Close Up nel dicembre 1927, anche se sarebbe
trascorso un anno prima che il film fosse presentato a Londra, con
qualche taglio, dalla Film Society. Di sicuro, la grande fama del film, o
forse la sua cattiva fama, era da attribuirsi al suo soggetto tabù, i
rapporti di “libero amore” fuori dalle convenzioni del matrimonio, pur
49
CINEMA SOVIETICO
THREE SOVIET CAREERS
The Traitor consists largely of interiors, with the pre-Revolutionary
section centred on a lavishly over-decorated brothel, followed by a
Soviet-era apartment, which is almost equally ornate – and was
criticized by a contemporary critic (Khersonsky, in Sovietskoe Kino
9-10, 1926): “In the guise of everyday life, the film shows superficial
picnics, large ‘chic’ apartments, recherché knick-knacks, and elegant
ladies’ pyjamas.”
This is quoted by Emma Widdis in a valuable recent article on early
Soviet film design, which explores different interpretations of faktura
(literally, “surface”) in the NEP period (“Faktura: depth and surface in
early Soviet set design”, Studies in Russian and Soviet Cinema, v.3
no.1, March 2009). Clearly Room and his designers had no inhibitions
in portraying pre-1917 decadence through décor: Yutkevich referred
to “a parody of the over-padded style of a Russian Watteau”. But as
Widdis observes, the post-Revolutionary sets have the same “excess
of surface decoration”, albeit in a different style, which led
Khersonsky to charge Room with a “pure experiment in formalism”
– a verdict that was not yet as lethal as it would become. Widdis also
notes the parallels between Art Deco elements in The Traitor and
the Modernist décor that was a feature of the émigré Russian
Albatros productions in Paris inspired by Robert Mallet-Stevens,
although only one film by L’Herbier had been distributed in Russia.
Room and his collaborators were not alone in wanting to explore
filmic forms of signification as Soviet film production gained
confidence, approaching its peak output; and the densely textured
interiors of The Traitor, providing settings for emblematic female
characters, the courtesan Wanda and the “new woman” Natalia,
were an important step towards their masterpiece, Tretya
Meshchanskaya. – IAN CHRISTIE
popolare nel periodo della NEP e che restò in auge fino agli anni ’30.
Un agente provocatore al soldo della polizia zarista riesce a tradire un
gruppo di marinai rivoluzionari, ma “dopo” la Rivoluzione, viene a sua
volta rintracciato e smascherato. Questa struttura forniva
l’opportunità di descrivere il vivo contrasto tra il vecchio e il nuovo
mondo, opportunità che Room e i suoi scenografi, l’esperto Vasili
Rakhals e il giovane Sergei Yutkevich colsero con entusiasmo. Dopo i
paesaggi costieri di Bukhta smerti, Predatel’ fu infatti girato per lo più
in interni. La parte pre-rivoluzionaria è ambientata nelle stanze
cariche di orpelli di un sontuoso bordello, poi l’azione del film si
sposta in un appartamento dell’era sovietica, quasi altrettanto
riccamente decorato – e biasimato da un critico contemporaneo
(Khersonsky, in Sovietskoe Kino 9-10, 1926): “Con la pretesa di
offrire scene di vita quotidiana, il film mostra superficiali pic-nic,
appartamenti spaziosi e chic, ricercato bric-à-brac ed eleganti pigiama
per signora”. Questa citazione è riportata in un recente e interessante
articolo di Emma Widdis sul set-design nei primi film sovietici, che
analizza le varie interpretazioni della “faktura” (letteralmente,
“superficie”) nel periodo della NEP (Faktura: depth and surface in
early Soviet set design, Studies in Russian and Soviet Cinema, v. 3 n.
1, marzo 2009). Chiaramente, Room e i suoi scenografi non ebbero
inibizioni nel ritrarre la decadenza pre-1917 attraverso il décor:
Yutkevich lo definì “una parodia dello stile ridondante di un Watteau
russo”. Ma, come osserva la Widdis, i set post-rivoluzionari hanno lo
stesso “eccesso di decorazione superficiale”, seppure in un altro stile,
cosa che spinse Khersonsky ad accusare Room di “mera sperimentazione di formalismo” – un verdetto non ancora così letale come
sarebbe divenuto in seguito. La Widdis traccia anche dei paralleli tra
gli elementi Art déco di Predatel’ e il décor modernista che caratterizzava le produzioni parigine della emigrée russa Albatros ideate da
Robert Mallet-Stevens, anche se, fino ad allora, in Russia era stato
distribuito un solo film di L’Herbier. Room e i suoi collaboratori non
furono gli unici a sperimentare nuove forme espressive man mano che
la cinematografia sovietica prendeva sempre maggiore sicurezza,
raggiungendo al contempo il suo picco produttivo; e la complessa
orditura del set design di Predatel’, ideata in funzione di personaggi
femminili emblematici, la cortigiana Wanda e la “donna nuova” Natalia,
spianerà la via al loro capolavoro, Tret’ja Meščanskaja. – IAN CHRISTIE
Lev Nikulin had been a Soviet diplomat in Afghanistan, before his
short story “The Sailors’ Silence” was selected by Room and
Shklovsky for their first full collaboration as scenarist and director,
after the latter had written titles for Death Bay. The film (only partly
preserved) is an early example of a “before and after” structure that
became popular in the NEP period and continued into the 1930s. A
provocateur working for the Tsarist police succeeds in betraying a
group of revolutionary sailors, but after the Revolution he is tracked
down and exposed. This structure offered scope to draw a vivid
contrast between the old and the new world, which Room and his
designers, the experienced Vasili Rakhals and the young Sergei
Yutkevich eagerly seized. After the coastal landscapes of Death Bay,
Liuda (Ludmila Semenova). Kolya lascia la città per un viaggio di lavoro
e tra Volodia e Liuda nasce una tresca amorosa, che spinge Kolya ad
andarsene di casa. Quando poi vi farà ritorno, il marito di Liuda dovrà
sistemarsi a dormire sul divano... Tranne alcune riprese in esterni che
ci mostrano la Mosca dell’epoca – Kolya è impegnato in riparazioni del
Teatro Bolshoi – e una veduta aerea della città quando Volodia
accompagna Liuda a uno spettacolo aereo – la maggior parte del film
si svolge nell’appartamento al seminterrato, il cui (vero) indirizzo ha
una risonanza particolare per chi parli russo. Julian Graffy, nella sua
preziosa guida cinematografica (Bed and Sofa: The Film Companion,
Tauris, 2001) spiega come “meshchanstvo” sia finito col diventare
sinonimo di “petit-bourgeois” o perfino di “filisteo”, cosa che
indubbiamente dette un coloritura politica al modo di intendere la
coabitazione mostrato nel film.
Alla vigilia della sua uscita, nei primi mesi del 1927, l’associazione dei
cineasti rivoluzionari (ARK), di cui Room era un importante
esponente, lodò il film per la buona qualità e per l’economicità della
produzione, ma soprattutto, per aver dimostrato che la vita sovietica
di tutti i giorni era ‘cinematograficamente interessante’. Ma poco dopo
sorse anche la dura opposizione di alcuni gruppi ostili sia all’ARK che
alla produzione Sovkino, come ha ben documentato Denise
Youngblood (Film and History 19.3, 1989). All’eroina di Room venne
rimproverato lo stile di vita ozioso e l’improbabile ripensamento
sentimentale in extremis; il décor dell’appartamento, meticolosamente disegnato da Rakhals e Yutkevich, venne considerato antiproletario; e il film fu dileggiato e attaccato ideologicamente con
giudizi che vanno da “commedia lacrimevole” a “apologia
dell’adulterio”. Forse, gran parte della polemica nasceva da una
diatriba politica tutta interna alla NEP nella sua fase conclusiva e
mentre si annunciava già la ‘rivoluzione culturale’ di Stalin; nondimeno,
tutto questo contribuì a far sì che il ritratto più vivo della vita
sovietica contemporanea reggesse il cartellone nei cinema moscoviti
solo per una settimana o poco più nel marzo del 1927.
Anche all’estero, il film sollevò molte polemiche, non tanto per
ragioni politiche quanto per la sua franchezza morale e perché
introduceva il tema tabù dell’aborto. Grande successo di pubblico in
Germania e in Francia, Tret’ja Meščanskaja ebbe invece una diffusione
molto limitata e in una versione tagliata in Inghilterra, e in America
non fu mai distribuito nel circuito commerciale. Per il giovane Paul
Rotha (The Film Till Now, 1930), che lo vide alla Film Society,
rappresentò un antidoto alla retorica sovietica “di sinistra” ma anche
un “incomparabile esempio di genuina indagine psicologica e intima
rappresentazione cinematografica del carattere umano”.
IAN CHRISTIE
“Our advice to everyone who can see it is to see it at all costs. It is
one of the most momentous contributions to film progress yet
achieved.” So wrote Close Up in December 1927, although it would
be over a year before the film was screened, with cuts, at the Film
Society in London. Unquestionably, much of the film’s fame, or
notoriety, was due to its taboo subject, “free” sexual relations outside
Tretya Meshchanskaya, Abram Room, 1927. (Gosfilmofond of Russia)
se il tema del ménage à trois veniva affrontato con evidente
leggerezza di tocco. L’idea, a quanto pare, fu di Viktor Shklovsky, che
aveva letto un articolo sul caso di due uomini che credevano entrambi
di essere il padre del bambino appena nato dalla donna con cui
abitavano. Le problematiche di questo tipo venivano comunemente
affrontate nell’ambito dell’organizzazione della gioventù sovietica, il
Komsomol, e il caso di cui aveva letto Shklovsky era apparso proprio
sulla Komsomolskaya Pravda. Agli inizi del 1928, le regole morali del
Komsomol forniranno il soggetto al film di Ermler Parižskij sapožnik
(Il calzolaio di Parigi), ma il quesito sottostante, ovvero: la monogamia
tradizionale deve o no essere incoraggiata sotto il comunismo?, era
già stato sollevato in precedenza da una rappresentante dei ‘vecchi
bolscevichi’ pre-1917, Alexandra Kollontai, la quale aveva affermato
che “la sessualità è un istinto naturale come la fame o la sete”,
auspicando al contempo un futuro indebolimento della famiglia
nucleare. Nel 1923, la Kollontai fu emarginata dalla gerarchia
bolscevica e praticamente esiliata come ambasciatrice in Norvegia. Lo
script che Shklovsky e Room svilupparono nell’estate del 1926,
durante le riprese in Crimea di Yevrei na zemle (Ebrei sulla terra),
riflette il loro comune convincimento che il cinema avrebbe dovuto
abbandonare la frammentarietà dei temi epici per diventare
“concentrato e compresso” e “puntare tutto sulla recitazione… e
sull’inventiva di sceneggiatore, regista e cameraman”. Ma forse deve
qualcosa anche al celebre ménage à trois Vladimir Mayakovsky / Lili e
Osip Brik, due dei quali erano presenti in Crimea. I personaggi del film
sono solo tre, tutti con il nome proprio degli attori che li
interpretano, come a volerne sottolineare la tipicità. Volodia (Vladimir
Fogel) è un tipografo appena sbarcato a Mosca, che viene ospitato su
un divano in casa dell’amico Kolya (Nikolai Batalov), sposato con
50
this may have been political sparring at the end of the NEP period,
with Stalin’s “cultural revolution” imminent, but it meant that one of
the most vivid portrayals of contemporary Soviet life played for little
more than a week in Moscow cinemas in March 1927.
Abroad, the film would provoke equal controversy, less for its politics
than its moral frankness, and broaching the taboo subject of abortion.
A major success in Germany and France, it had only limited
screenings in a cut version in Britain, and was never shown
commercially in the USA. For the young Paul Rotha (The Film Till
Now, 1930), who saw it at the Film Society, it represented an
antidote to Soviet “left wing” rhetoric as an “unequalled instance of
pure psychological, intimate, cinematic representation of human
character”. – IAN CHRISTIE
YEVREI NA ZEMLE [Ebrei sulla terra / Jews on the Land] (VUFKU,
USSR 1927)
Regia/dir: Abram Room; scen: Viktor Shklovsky; didascalie/titles:
Viktor Shklovsky [+ Vladimir Mayakovsky]; f./ph: Albert Kyun; prod.
asst: Lili Brik; 35mm, 512 m., 25' (18 fps); fonte copia/print source:
Pacific Film Archive, Berkeley.
Didascalie in russo / Russian intertitles.
Realizzato mentre Room e Shklovsky lavoravano allo script di Tret’ja
Meščanskaja, combinando le due cose con un soggiorno estivo in
Crimea come da tradizione russa, Yevrei na zemle adotta un tono
lieve che contraddice le tensioni etniche e politiche del periodo. Fin
dai tempi della rivoluzione, l’Ucraina era sempre stata sospettata di
nutrire ambizioni separatiste, e sotto Stalin questo sospetto si andò
rafforzando. E altrettanto accadde nei confronti della numerosa
popolazione ebrea dell’URSS, cui sarebbe stata garantita nel 1934 una
“patria” nella Regione Autonoma Ebrea attorno alla città di
Birobidzhan. Nel 1926, tuttavia, era stata varata la politica di
concentrare l’insediamento della comunità ebraica in fattorie
collettive della Crimea, e proprio questo è il tema di cui tratta il
cortometraggio documentario prodotto dal consorzio di produzione
ucraino VUFKU. Lili Brik e Mayakovsky, amanti da oltre un decennio,
approfittarono delle riprese del film per incontrarsi; e Mayakovsky, le
cui personali ambizioni cinematografiche erano state tarpate fin dal
1918, è accreditato come l’autore delle brillanti didascalie. Room e
Shklovsky, entrambi ebrei, combinano una garbata ironia con una
visione progressista del programma sui nuovi insediamenti. La scena
desolata del mercato “shtetel” viene confrontata con il gigantesco
bazar moscovita GUM, prima che gli sforzi dei coloni mostrino i loro
frutti sullo sfondo di case nuove e di campi irrigati. Un bimbo appena
nato, viene chiamato “Scorda le tue pene”, e gli “ora produttivizzati
Ebrei” (come riporta J. Hoberman nel suo libro Bridge of Light) ci
vengono mostrati anche mentre rinunziano alla secolare tradizione di
non allevare maiali. – IAN CHRISTIE
Made while Room and Shklovsky were collaborating on the script of
Tretya Meshchanskaya, in the Russian tradition of combining this with
a summer trip to the Crimea, Yevrei na zemle adopts a light-hearted
51
CINEMA SOVIETICO
THREE SOVIET CAREERS
of conventional marriage, even if its treatment of a ménage à trois was
distinctly understated. The idea apparently came from Viktor
Shklovsky, who had read about a case of two men both believing they
might be the father of a baby born to a woman who lived with them.
Discussion of such matters tended to revolve around the Communist
youth organization, the Komsomol, and the case Shklovsky had read
about was reported in Komsomolskaya Pravda. Komsomol morality
would be the subject of Ermler’s film The Parisian Cobbler in early
1928, but the underlying issue of whether traditional monogamy
should be encouraged under Communism had been raised much
earlier by one of the pre-1917 “Old Bolsheviks”, Alexandra Kollontai,
who maintained that “sexuality is an instinct as natural as hunger or
thirst”, while looking forward to some future withering away of the
nuclear family. In 1923, she was sidelined from the Bolshevik hierarchy
and effectively exiled as ambassador to Norway.
The script that Shklovsky and Room developed while in the Crimea
in the summer of 1926, shooting Yevrei na zemle [Jews on the Land],
reflects their common belief that Soviet cinema should turn away
from fragmented epic themes to become “compressed and
concentrated” and “stake everything on the acting... and the
inventiveness of the scriptwriter, the director, and the cameraman”.
It may also owe something to the celebrity ménage à trois of Vladimir
Mayakovsky and Lili and Osip Brik, two of whom were present in the
Crimea. There are just three characters, all taking the names of the
actors playing the parts, as if to underline their typicality. Vladimir
Fogel is Volodia, a printer newly arrived in Moscow, who borrows a
sofa from his friend Kolya, played by Nikolai Batalov, married to
Ludmila Semenova’s Liuda. When Kolya leaves town on a work
assignment, an affair starts between Volodia and Liuda, whereupon
Kolya initially moves out, but then returns to sleep on the sofa.
Despite exterior scenes showing contemporary Moscow – Kolya is
working on repairing the Bolshoi Theatre and we see an aerial view
of the city when Volodia takes Liuda to an air show – much of the
film takes place in the basement apartment, whose (real) address has
a particular resonance for Russian speakers. Julian Graffy explains in
his invaluable guide to the film (Bed and Sofa: The Film Companion,
Tauris, 2001) how meshchanstvo came to mean petit-bourgeois or
even “philistine”, which certainly coloured attitudes towards the
household shown in the film.
On the eve of its release, early in 1927, the Association of
Revolutionary Cinematography (ARK), in which Room was prominent,
praised the film for its skilful and economical production, and above all
for proving that everyday Soviet life was filmically interesting. But
opposition soon mounted from groups hostile both to ARK and to the
producers Sovkino, as Denise Youngblood has documented (Film and
History 19.3, 1989). Room’s heroine was challenged for her idle
lifestyle and improbable last-minute change of heart; the apartment’s
décor, meticulously designed by Rakhals and Yutkevich, was
considered unproletarian; and ideologically the film was scorned as,
variously, a “tearful comedy” or an “apology for adultery”. Much of
tone that belies the ethnic and political tensions of the period. Ever
since the Revolution, the Ukraine had been suspected of harbouring
separatist ambitions, and this suspicion would harden under Stalin. So
too would attitudes towards the USSR’s large Jewish population, who
would eventually be granted a “homeland” in 1934 in the Jewish
Autonomous Region around Birobidzhan. But in 1926, a policy was
launched to concentrate Jewish resettlement on collective farms in
the Crimea, which is the subject of this short documentary produced
by the Ukrainian production trust VUFKU. Lili Brik and Mayakovsky,
lovers for over a decade, took advantage of the setting to meet, and
Mayakovsky, whose own film ambitions had been thwarted since
1918, is credited with the witty intertitles. Room and Shklovsky, both
Jewish, combine gentle irony with a progressive view of the
settlement programme. The desolate scene in the shtetl’s market is
compared with the giant Moscow bazaar GUM, before the settlers’
efforts are shown bearing fruit in new houses and irrigated fields. A
newly born baby, we learn, is named “Forget-Your-Sorrows”, while
the “now productivized Jews” (as J. Hoberman notes in his book
Bridge of Light) are shown forsaking tradition to rear pigs.
IAN CHRISTIE
ambientato in un imprecisato Paese sudamericano ricco di petrolio.
Un operaio rivoluzionario, José Real, è stato condannato alla prigione
a vita. I prigionieri politici come lui hanno tuttavia diritto a un giorno
di libertà ogni dieci anni – da cui peraltro nessuno è mai tornato vivo.
José è spronato dalle autorità ad accettare l’insidiosa possibilità di una
visita ai familiari e intraprende il suo lungo viaggio, seguito come
un’ombra da un sinistro agente di polizia. I compagni di Josè
organizzano uno sciopero operaio dei pozzi petroliferi ispirato dal suo
ritorno; e così il piano ordito si ritorce drammaticamente contro le
stesse autorità.
Tutti coloro che avevano contribuito ad associare Room al realismo
psicologico, Leyda in primis, dopo Privideniye decretarono la sua
caduta in disgrazia, e da quel momento Room sarà tacciato di bizzarria
stilistica, nello spirito del cosiddetto “eccentrismo” sovietico (per
esempio da Raymond Borde in Midi-Minuit Fantastique). Si offrono
tuttavia altre chiavi di lettura per capire gli obiettivi che si
prefiggevano Room e il suo nuovo gruppo di collaboratori in questo
ultimo anno di relativa libertà di sperimentazione nel cinema muto
sovietico. Lo sceneggiatore del film, Valentin Turkin, aveva teorizzato
da tempo la necessità di affrancare la recitazione cinematografica dalla
danza per farne “una sorta di contemporaneo … analitico o
biomeccanico balletto. (The Cinema Actor, 1925, citato da Mikhail
Yampolsky, Kuleshov’s Experiments and the New Anthropology of
the Actor, in Inside the Film Factory di Richard Taylor e Ian Christie,
1994). E il macilento protagonista del film, Boris Ferdinandov, era
conosciuto soprattutto come fondatore del Teatro Eroico
Sperimentale, che incorporava i ritmi della musica e della poesia per
creare un approccio completamente “metrico” al teatro.
Room aveva sempre mantenuto i contatti con le sue radici teatrali
d’avant-garde, e le visioni che ossessionano José nella notte che
precede il suo rilascio, così come le interpretazioni stilizzate di Daniil
Vvedensky, lo scimmiesco governatore della prigione e di Maxim
Straukh, il poliziotto ombra, sono espressione di quel retaggio. Le
scenografie ideate da Viktor Aden si distinguono sia per l’impatto
spettacolare che per la loro varietà. La scena iniziale si svolge in una
vasta prigione all’aperto, disegnata come un panottico di Bentham,
con un podio rotante da cui i guardiani sorvegliano le celle perimetrali
simili a gabbie. Il viaggio di José inizia con immagini rigidamente
geometriche, per poi entrare in un fantastico deserto riarso che
richiama la fascinazione di Eisenstein per le distese sconfinate in
Staroe i novo (Il vecchio e il nuovo) e in ¡Que viva Mexico! (che il film
sorprendentemente anticipa). Le sequenze finali in casa di José e poi
nel saloon in cui rovescia tavoli sul suo aspirante assassino,
suggeriscono l’evidente piacere provato nel mettere in scena un
“soviet-western”. Al contrario di gran parte dei film d’avanguardia del
1929, Prividenie non fu spazzato via dalle nuove priorità di attivismo
del Piano Quinquennale, ma fu dotato di una colonna sonora per la
sua riedizione del 1933. – IAN CHRISTIE
Room and his group quickly followed Tretya Meshchanskaya with
another bold contemporary drama, Ukhaby [Potholes], about the
PRIVIDENIYE, KOTOROYE NE VOZVRASHCHAYETSYA [Il
fantasma che non ritorna / The Ghost That Never Returns] (Sovkino,
USSR 1930)
Regia/dir: Abram Room; scen: Valentin Turkin, dal racconto/based on
the story “Le rendez-vous qui n’a pas eu lieu” di/by Henri Barbusse;
f./ph: Dmitri Feldman; scg./des: Viktor Aden; cast: Boris Ferdinandov
(José Real), Olga Zhizneva (Clemence, sua moglie/his wife), Daniil
Vvedensky (il capo della prigione/prison warden), Maxim Straukh
(l’agente di polizia/police officer), D. Kara-Dmitriev, Leonid Yurenev,
K. Gurnyak, G. Terekhov; 35mm, 2150 m., 99' (19 fps); fonte
copia/print source: Gosfilmofond of Russia.
Didascalie in russo / Russian intertitles.
Room e il suo gruppo fecero seguire a breve distanza da Tret’ja
Meščanskaja un altro ardito dramma contemporaneo, Ukhaby
(Fossati), sull’impatto che ha su un matrimonio l’arrivo di un bambino,
distribuito nel gennaio del 1929 (e oggi perduto). A partire dal 1928
si andava sviluppando tra i cineasti sovietici un intenso dibattito su fini
e priorità del cinema, nel quale Room ebbe una partecipazione molto
attiva, e che sfociò nella prima Conferenza di Partito sul cinema.
Qualcuno intravide una scelta tra i film reazionari ma popolari e le
produzioni “rivoluzionarie” più ambiziose, altri misero in guardia
contro il facile richiamo dell’esotismo – di cui il “film messicano” di
Room fu subito citato come esempio, insieme con Potomok ČingizChana (Tempeste sull’Asia) di Pudovkin e Novyj Vavilon (Nuova
Babilonia) di Kozincev e Trauberg. Benché realizzato nel 1928-29,
Privideniye non raggiunse gli schermi prima del marzo 1930, subito
dopo il primo film sonoro di Room, Plan velikich rabot (Il piano dei
grandi lavori). Basato su una storia del romanziere francese Henri
Barbuse, simpatizzante sovietico e fautore del pacifismo, il film è
52
Privideniye, Abram Room, 1930. (Gosfilmofond of Russia)
impact of a children on a marriage, which was released in January
1928 (and is now lost). But 1928 would see intense political debate
among Soviet filmmakers about goals and priorities, in which Room
was heavily involved, leading up to the first Party Conference on
cinema. Some saw a choice between reactionary popular fare and
more ambitious “revolutionary” films, others warned against the lure
of the exotic – with Room’s “Mexican film” already cited as an
example, alongside Pudovkin’s Potomok Chingis-khana (Storm over
Asia) and Kozintsev and Trauberg’s Novyi Vavilon (New Babylon).
Although made in 1928-29, Privideniye did not appear until March
1930, shortly after Room’s first sound film, Plan velikikh rabot [Plan
of Great Works].
Based on a story by the French novelist, Soviet sympathiser, and
peace campaigner Henri Barbusse, the setting is an unnamed South
American country rich in oil. A revolutionary has been imprisoned for
life, although inmates have the right to a day’s freedom every ten
years – from which none has ever returned. José Real is goaded into
accepting his chance to visit his family, and is followed on his long
journey by a sinister police agent. But José’s old comrades are
planning an oil workers’ strike, which his return can help inspire, and
so the authorities’ plan dramatically backfires.
For those determined to cast Room as a psychological realist, such as
Leyda, Privideniye marked his fall from grace, and it since been
championed for its stylized strangeness, in the spirit of Soviet
“eccentrism” (for instance, by Raymond Borde in Midi-Minuit
Fantastique). But there are other ways of understanding what Room
and a new group of collaborators were attempting in this last year of
Soviet silent cinema’s relative freedom to experiment. The film’s
writer, Valentin Turkin, had long been a theorist of the need for film
Mikhail Kalatozov
La prima retrospettiva mondiale dei film fotografati e diretti da Michail
Kalatozov nella nativa Georgia all’epoca del muto offre un quadro
molto più completo sull’importanza della figura di Kalatozov nella
storia del cinema delle origini. Kalatozov (versione russificata del nome
georgiano Kalatozišvili) iniziò la sua gavetta nell’industria
cinematografica nel 1923, presso gli studi georgiani del Goskimprom;
dove svolse mansioni di autista, proiezionista, assistente di laboratorio,
giuntatore di pellicole, montatore e assistente operatore, acquisendo
una conoscenza diretta su tutte le fasi della lavorazione di un film.
Kalatozov contribuì al progresso del cinema georgiano insieme con il
poeta Nikolai Shengelaya, l’artista Michail Chiaureli, il poeta Leo
Esakia e altri giovani membri dell’avanguardia georgiana; e cooperando
con insigni esponenti della cultura sovietica quali i cineasti Lev Kulešov
e Esfir Šub; e gli scrittori Sergej Tretjakov (futuro collaboratore di
Kalatozov nel mai distribuito dramma etnografico Usinatlo (La cieca),
1930, e nel suo celebre “spin-off” Džim Šuante / Sol’ Svanetij) e
Viktor Šlovskij, che fecero tutti una sosta a Tbilisi durante la
permanenza di Kalatozov negli studi del Goskinprom.
Nel 1926, sotto la direzione di Kulešov – e in compagnia di Aleksandr
Rodzenko, altro insigne esponente dell’avanguardia, di Roman
Karmen, futuro luminare del documentarismo sovietico e di Sergej
Tretjakov – Kalatozov esordì come cameraman in Locomotiva a
vapore B-1000, un progetto abortito di cinema “storico53
CINEMA SOVIETICO
THREE SOVIET CAREERS
acting to draw from dance and become “a sort of contemporary ...
analytical or biomechanical ballet” (The Cinema Actor, 1925, quoted
by Mikhail Yampolsky, “Kuleshov’s Experiments and the New
Anthropology of the Actor”, in Richard Taylor and Ian Christie, Inside
the Film Factory, 1994). And the gaunt lead actor, Boris Ferdinandov,
was better known as founder of the Experimental Heroic Theatre,
incorporating the rhythms of music and poetry to create a wholly
“metric” approach to theatre.
Room had clearly maintained contact with his avant-garde theatre
roots, and the visions that haunt José on the night before his release,
as well as the stylized performances by Daniil Vvedensky as the simian
prison governor and Maxim Straukh as the police shadow, draw on
this legacy. The film’s design, by Viktor Aden, is equally striking and
varied. The opening scenes take place in a vast open-air prison,
designed like a Benthamite Panopticon, with hutch-like cells surveyed
from a rotating guard’s podium. José’s journey begins with stark
geometric images, before entering a fantastic parched desert that
recalls Eisenstein’s fascination with landscape in both The Old and the
New and Que Viva Mexico! (which this eerily anticipates). The final
sequences, in José’s home and in a saloon where he turns the tables
on his would-be assassin, suggest the pleasure that must have been
had in staging a Soviet Western. And unlike many of the avant-garde
films of 1929, Privideniye was not swept away by the brisk new
priorities of the Five Year Plan, but had a music track added for rerelease in 1933. – IAN CHRISTIE
rivoluzionario”, di cui rimangono solo svariate dozzine di fotografie di
scena preservate dagli archivi. All’incirca nello stesso periodo,
realizzava filmati per cinegiornali e brevi documentari. In seguito,
Kulešov ebbe a lodare la “brillante” fotografia del lavoro
documentario di Kalatozov e la sua abilità nel trarre una valenza
estetica anche dal meno fotogenico degli oggetti; e Kalatozov, a sua
volta, si considerò sempre un discepolo di Kulešov.
La recente riscoperta di due rulli del film che segnò il debutto nel
lungometraggio di Kalatozov, Ich carstvo (1928) forniscono un quadro
interessante sulla sua metodologia nelle riprese documentarie.
Questa compilazione di materiali d’attualità, co-diretta con Nutsa
Gogoberidze, dimostra la propensione di Kalatozov per le immagini
ad effetto, ma anche la sua padronanza delle potenzialità creative del
sistema di montaggio sviluppato dalla Šub e centrato su quella che lei
stessa definì “una brusca giustapposizione [di immagini] mirata a
suscitare reazioni immediate”.
Nel 1928, Kalatozov pubblicò un manifesto che presentava la sua idea
di cinema basata su un innovativo e sperimentale approccio
costruttivista con i materiali fotografati e con la realtà in generale.
Questo credo di “regista-cameraman” – dal sintetico credit di
Kalatozov nei titoli di Sol’ Svanetij – spronava i cineasti a usare gli
strumenti stilistici più idonei allo “sviluppo del potenziale emotivo dei
materiali filmati”. Il lavoro di cameraman di Kalatozov nei film di altri
registi, tra cui Gjulli (1927) di Nikolaj Shengelaya e Lev Push, e Boshuri
siskhli (1928) del solo Push, rivelavano questo approccio tramite una
sapiente combinazione di sensibilità pittorica, meticolosità
professionale e lampi di audacia sperimentale – combinazione che
avrebbe portato a piena maturità nelle sue due principali prove mute
da regista: l’etnografico tour de force di Sol’ Svanetij e il proibito – e
pertanto molto meno conosciuto – dramma didattico Gvozd’ v
sapoge (Il chiodo nella scarpa) del 1931. L’aspro paesaggio dei picchi
caucasici e i rigidi rituali della Georgia nord-occidentale di Sol’ Svanetij
fornirono la materia su cui costruire un finale in cui i mutamenti
naturali e sociali fossero affidati alle forze trionfanti del socialismo in
conformità con uno dei principali diktat estetici dell’allora emergente
“realismo socialista”. Se ne escludiamo il messaggio ideologico, Sol’
Svanetij non si discosta poi molto dalle esplorazioni di culture
“primitive” dei film di Robert Flaherty o perfino dai “Bergfilme” di
Arnold Fanck, basati sulla mistica della natura e l’attivismo
individualista, cui nel film di Kalazotov si sostituisce peraltro un
entusiasta ed epico collettivismo.
Analogamente, in Gvozd’ v sapoge, al didattismo agitprop coesiste il
cinetico ed elementare immaginario di una battaglia che ricorda in
modo sorprendente un dipinto del 1915 di Gino Severini intitolato
Treno blindato, un esempio classico della fascinazione dei Futuristi
per l’energia e la tecnologia della guerra. Questa ipotesi comparativa
trova una sua conferma storica nei legami che intercorsero tra
l’avanguardia georgiana e i suoi precursori futuristi: nella rilassata
atmosfera meridionale di Tbilisi, la tradizione futurista si preservò
nella sua forma più pura rispetto al resto dell’URSS.
Le opere mute di Michail Kalatozov (Kalatozov diresse il suo primo
film sonoro solo nei tardi anni ’30 – come Sergej Ejzenštejn, suo
antagonista nella querelle del 1933 sui principi fondamentali del
cinema) sono caratterizzate da una ricerca costante di quello che il
suo manifesto del 1928 definiva come “cinema emozionale e
organizzato”. Kalatozov rimase sempre fedele alla propria visione,
malgrado tutte le ostilità politiche e le limitazioni creative dell’epoca
sovietica, tornando alle sue radici di avanguardista georgiano nei film
prodotti – seppure nel contesto del cinema russo – nella situazione
culturale di relativa libertà del “disgelo” post-staliniano.
SERGEI KAPTEREV
The first-ever retrospective of the extant films photographed and
directed by Mikhail Kalatozov in the silent period in his native
Georgia produces a much fuller picture of Kalatozov’s place in the
early history of cinema. Kalatozov (the Russianized version of the
Georgian name “Kalatozishvili”) started his career in the film industry
in 1923, at the Tbilisi-based film trust Goskinprom. He worked as
driver, film projectionist, laboratory assistant, film splicer, editor,
actor, and assistant cameraman, getting hands-on knowledge of
virtually all aspects of studio work.
Kalatozov contributed to the progress of Georgian cinema alongside
poet Nikolai Shengelaya, artist Mikhail Chiaureli, poet Leo Esakia, and
other young members of the Georgian avant-garde; and in
cooperation with such contributors to Soviet film culture as
filmmakers Lev Kuleshov and Esther Schub, and writers Sergei
Tretyakov (Kalatozov’s future collaborator on the unreleased
ethnographic drama The Blind Woman, 1930, and its famous spin-off
Salt for Svanetia, 1930) and Viktor Shklovsky, all of whom visited
Tbilisi during Kalatozov’s residence at the Goskinprom Studios.
In 1926, under Kuleshov’s direction – and in the company of
Aleksandr Rodchenko, another prominent avant-gardist; Roman
Karmen, who was to become a luminary of Soviet documentary
cinema; and Sergei Tretyakov – Kalatozov started work as
cameraman on Steam Engine B-1000, an aborted “historicrevolutionary” project, remnants of which are preserved in several
dozens of archival photographs. Around the same time, he also
produced newsreels and documentary shorts. Later, Kuleshov
praised Kalatozov for the “brilliant” cinematography of his
documentary work and his ability to bring out aesthetic value even in
the least photogenic objects; in his turn, Kalatozov regarded himself
as Kuleshov’s disciple.
The two recently rediscovered reels of Kalatozov’s feature debut,
Their Kingdom (1928), provide a glimpse into his methodology of
documentary filmmaking. This compilation documentary, co-directed
with Nutsa Gogoberidze, demonstrates Kalatozov’s accentuated use
of striking images, as well as creative mastering of the system of
editing developed by Schub and centered on what she herself defined
as “sharp juxtaposition [of images] aimed at immediate reactions.”
In 1928, Kalatozov published a manifesto which presented his vision of
cinema based on the Constructivist – innovative, experimental –
54
Tsutsunava (la matrigna di Giuli/Giuli’s stepmother), Aleksandr
Imedashvili (Ali), Kokhta Karalashvili (Kerbalai, figlio di Ali/Ali’s son),
Aleksandr Takaishvili (Ovanes, il venditore di formaggio/the cheese
vendor), G. Meliava, D. Kipiani; 35mm, 1980 m., 78'44" (22 fps); fonte
copia/print source: Gosfilmofond of Russia.
Didascalie in russo / Russian intertitles.
(Il titolo va pronunciato con la “g” dura / Note that the title is
pronounced with a hard “G”.)
L’importanza storica di Gjulli nell’ambito del cinema georgiano è stata
sempre sottovalutata: probabilmente per la ‘semplicità’ del suo
messaggio estetico e per le evidenti affinità con le precedenti –
melodrammatiche ed esotiche – produzioni degli studi georgiani.
Nondimeno, Gjulli segnò il debutto nella regia di Nikolai Shengelaya,
una delle personalità più originali e influenti del cinema muto
georgiano, e del molto meno noto Lev Push, la cui solidità di mestiere
e padronanza del genere melodrammatico meriterebbero maggiore
attenzione. Attivo membro dell’avant-garde georgiana, Shengelaya era
stato aiuto regista di Kote Mardzhanishvili, grande innovatore teatrale
e uno dei fondatori della scuola georgiana del cinema sovietico.
Nativo di San Pietroburgo, Push era attivo nel cinema georgiano dal
1916; dal 1922 come montatore.
Gjulli fu anche il banco di prova per Mikhail Kalatozov al suo esordio
come direttore della fotografia nel cinema narrativo. Qui il suo
penchant per il ‘sublime naturale’ trova espressione nelle vedute
montane del Caucaso; quello per il dinamismo e il simbolismo nella
vivacità dei movimenti di macchina e nelle riprese di dettagli
‘pregnanti’ che sollevarono un coro unanime di lodi all’epoca in cui il
film uscì. Inoltre, si è tentati dal ravvisare tracce di Gjulli in Letjat
žuravli (Quando volano le cicogne, 1957), titolo canonico del
Kalatozov regista, laddove entrambi i film narrano le vicende di giovani
donne che sfidano il rigore delle norme morali. Ma in primis Gjulli si
configura soprattutto come un lavoro di transizione tra
l’‛orientalismo’ dei primi film georgiani e la grande novità
rappresentata da un altro dramma d’amore interconfessionale di
Schengelaya, Eliso (1928), e anche dagli esperimenti di altri cineasti
georgiani della fine degli anni ’30. – SERGEI KAPTEREV
The historical importance of Giuli for Georgian cinema is clearly
underestimated: probably due to its “modest” aesthetic message and
resemblance to the earlier – melodramatic and exotic – productions
of the Georgian Studios. However, Guili marked the directorial debut
of Nikolai Shengelaya, one of the most original and influential
personalities in Georgian silent cinema, and the much less known Lev
Push, whose convincing professionalism and expertise in the
melodramatic genre deserve greater attention. Shengelaya, an active
member of the Georgian avant-garde, had been assistant director
with Kote Mardzhanishvili, a theatrical innovator and one of the
founders of the Soviet Georgian cinematic school. St. Petersburgborn Push had worked in Georgian cinema since 1916; since 1922, as
editing director.
Giuli also became a testing ground for Mikhail Kalatozov’s
GIULI (Giulli) (Sakhkinmretstvi/Goskinprom Gruzii, Georgia SSR,
1927)
Regia/dir: Lev Push, Nikolai [Nikoloz] Shengelaya; scen: Nikolai
Shengelaya, Lev Push, Mikhail Kalatozishvili [Kalatozov]; dal racconto
di/based on the story by Shio Aragvispirelli; f./ph: Mikhail Kalatozishvili
[Kalatozov]; scg./des: Valerian Sidamon-Eristov; cast: Nato Vachnadze
(Giuli), M. Vardashvili (Kuchuk, suo padre/her father), Tsetsilia
55
CINEMA SOVIETICO
THREE SOVIET CAREERS
approach to photographed materials and to reality in general. This
creed of “director-cameraman” – the synthetic title Kalatozov would
hold in the credits for Salt for Svanetia – called upon filmmakers to
employ stylistic devices for “the processing of the material for
emotional effect.” Kalatozov’s camerawork in other directors’ films,
Nikolai Shengelaya and Lev Push’s Giuli (1927) and Push’s Gypsy Blood
(1928), revealed this approach through combination of pictorial
sensitivity, professional meticulousness, and flashes of experimental
boldness – a combination which was to be brought to full maturity in
his two most important directorial works of the silent era, the
ethnographic tour-de-force Salt for Svanetia and the banned and
therefore much less known didactic drama The Nail in the Boot (1931).
The rough mountainous landscapes and harsh rituals of northwestern Georgia in Salt for Svanetia provided material for the buildup to a finale in which natural and social processes were mastered
by the triumphant forces of socialism in accordance with one of the
most significant idioms of the emergent “Socialist Realist”
aesthetics. However, it may be argued that in spite of its ideological
message, Salt for Svanetia is also comparable to Robert Flaherty’s
explorations of “primitive” cultures or even to Arnold Fanck’s
bergfilme, with their mystique of the elemental and their activist
individualism, albeit with the latter substituted in Kalatozov’s film by
enthusiastic, epic collectivism.
Similarly, agitprop didacticism coexists in The Nail in the Boot with
the kinetic, elemental imagery of the battlefield, which bears a
striking resemblance to Gino Severini’s 1915 painting Armored
Train in Action, a classic instance of the Futurists’ fascination with
the energy and technology of war. This hypothetical comparison
points to a real historical link between the Georgian avant-garde
and its Futurist precursors: in the Southern atmosphere of Tbilisi,
the Futurist tradition preserved itself in purer form than in the lessrelaxed Soviet center.
Mikhail Kalatozov’s contribution to the silent period (Kalatozov
directed his first sound film only in the late 1930s – like Sergei
Eisenstein, his opponent in the 1933 discussion about the principles
of cinema) is characterized by a consistent pursuit of what his 1928
manifesto defined as “emotional and organized cinema.” Kalatozov
upheld this vision despite all the political odds and creative
restrictions of the Soviet era, returning to his Georgian avant-garde
roots in the films produced – this time, in the context of Russian
cinema – in the relatively liberal cultural situation of the post-Stalin
“thaw.” – SERGEI KAPTEREV
letterari americani del cinema muto sovietico – e uno dei due film di
quel tipo che furono prodotti in Georgia. Nella fattispecie, l’autore
adattato fu Konrad Berkovici (noto soprattutto per The Volga
Boatman), il cui racconto breve The Law of the Lawless aveva già
ispirato un film di Victor Fleming del 1923, che con il titolo Stolen
Bride/Gypsy Justice era circolato in Unione Sovietica nel corso del
triennio 1925-28. La versione di Push di questa vicenda di amori
contrastati e faide di sangue tra zingari romeni deluse inevitabilmente
le aspettative dell’avanguardia georgiana dell’epoca che qui, senza
l’apporto più radicalmente innovativo di Shengelaya, vide soltanto un
ampliamento degli elementi melodrammatici già presenti nel suo
primo film da regista, Gjulli.
Gli sviluppi drammatici di Boshuri siskhli fornirono un ricco materiale
sia al talento fotografico del più tradizionale Aleksandr Gal’perin,
maestro di una composizione molto accurata per equilibrio e
atmosfere; sia allo stile più dirompente di Mikhail Kalatozov, che
aggiunse il suo tocco a una produzione peraltro sostanzialmente
mainstream.
L’amore per il movimento e la velocità dell’ex autista dello studio ha
subito modo di esprimersi nel dinamico prologo del film,
ulteriormente ‘accelerato’ dal rapido montaggio e dalle didascalie di
gusto futurista. Kalatozov e Gal’perin furono accreditati entrambi
delle riprese in esterni, ma il solo Gal’perin di quelle effettuate in
studio. È tuttavia molto probabile che la collaborazione di Kalatozov
non si sia limitata agli esterni – come d’altronde emerge abbastanza
chiaramente da alcuni close-up. Malgrado le loro differenze stilistiche,
le preferenze personali dei due direttori della fotografia raggiungono
una felice sintesi nella sequenza chiave del film, l’episodio finale della
danza gitana, dove l’abile contrasto luce-ombra e la sensibilità
pittorica di Gal’perin si fondono nel più suggestivo dei modi col
dinamico modernismo di Kalatozov. – SERGEI KAPTEREV
Lev Push’s Gypsy Blood was one of the several screen adaptations of
American literary fiction in Soviet silent cinema – and one of the two
such adaptations produced in Georgia. In this case, the adapted
author was Konrad Berkovici (of The Volga Boatman fame), whose
short story “The Law of the Lawless” had also inspired a 1923 film by
Victor Fleming, which under the title Stolen Bride/Gypsy Justice
played in the Soviet Union from 1925 to 1928. A passionate story of
blood feud and forbidden love among Romanian Gypsies, Lev Push’s
version stood very far from the contemporary concerns of the
Georgian cinematic avant-garde, and, in the absence of Push’s radical
collaborator Shengelaya, extended the melodramatic elements of his
previous directorial effort, Giuli.
The dramatics of Gypsy Blood provided rich material both for the
more traditional cinematographic talent of Aleksandr Gal’perin, a
master of precise, balanced, and atmospheric compositions; and that
of Mikhail Kalatozov, who added a radical touch to the otherwise
mainstream production. Thus, the former studio driver’s love for
movement and speed was vividly expressed already in the film’s
prologue, further “speeded up” by rapid editing and futurist-looking
Giuli, Lev Push, Nikolai Shengelaya, 1927. (Gosfilmofond of Russia)
cinematography in narrative cinema. His feeling for the sublime in
nature demonstrated itself in the landscapes of the Caucasus
Mountains; and for the dynamic and the symbolic, in expressive
flashes of movement and shots of “meaningful” details much lauded at
the time of the film’s release. Moreover, one is tempted to see a
remembrance of Giuli in Kalatozov’s canonic directorial work, The
Cranes Are Flying (1957), as both films tell the stories of young
women challenging rigorous moral norms.
Giuli should be first and foremost regarded as a transitional work, as
a link between the “orientalism” of early Georgian films and the
groundbreaking novelty of another drama of inter-confessional love,
Shengelaya’s Eliso (1928), as well as other cinematic experiments
undertaken by Georgian filmmakers at the turn of the 1930s.
SERGEI KAPTEREV
BOSHURI SISKHLI (Tsiganskaia Krov’ / Zakon, ne znayushchii
zakona) [Sangue zingaro / La legge dei fuorilegge; Gypsy Blood / The
Law of theakhkinmretstvi/Goskinprom Gruzii, Georgia SSR, 1928)
Regia/dir: Lev Push; scen: Petr Morskoi, Aleksandr Takaishvili, Mikhail
Kalatozishvili [Kalatozov]; dal racconto/based on the story “The Law
of the Lawless” di/by Konrad Berkovici; f./ph: Aleksandr Gal’perin,
Mikhail Kalatozishvili [Kalatozov] (esterni/exteriors); scg./des: Mikhail
Shavishvili; aiuto regia/asst. dir: S. Khomeriki; cast: Maria Shirai (Anika,
e la sua figlia/and her daughter Miora), Aleksandr Takaishvili (Murdo),
Zaal Terishvili [Teriev] (Vlad), Kote Mikaberidze, Y. Zarukeli; 35mm,
1610 m., 70'25" (20 fps); fonte copia/print source: Gosfilmofond of
Russia.
Didascalie in russo / Russian intertitles.
Boshuri siskhli di Lev Push fu uno dei numerosi adattamenti da testi
56
Boshuri siskhli, Lev Push, 1928. (Gosfilmofond of Russia)
intertitles. Kalatozov shared with Gal’perin the credit for location
shooting, while Gal’perin alone was credited as responsible for
shooting in the studio; however, Kalatozov’s work is, most probably,
not limited to locations – for instance, it is evident in some close-ups.
In spite of their stylistic differences, the two cinematographers’
personal preferences reach synthesis in the film’s ultimate set-piece,
the episode of the gypsy dance, where Gal’perin’s mastery of lightand-shadow and sense of the picturesque merge with Kalatozov’s
dynamic modernism in a most effective manner. – SERGEI KAPTEREV
MATI SAMEPO (Ich carstvo / Ikh tsarstvo) [Il loro impero / Their
Kingdom / A Page from a Biography] (Goskinprom Gruzii, Georgia
SSR, 1928)
Regia/dir., mont./ed: Mikhail Kalatozishvili [Kalatozov], Nutsa
Gogoberidze; f./ph: Mikhail Kalatozishvili [Kalatozov]; frammenti/
fragments, 35mm, 449 m., 22' (18 fps); fonte copia/print source:
Gosfilmofond of Russia.
Didascalie in russo / Russian intertitles.
Il documentario Ich carstvo (Il loro impero), co-diretto nel 1928 da
Nutsa Gogoberidze e Mikhail Kalatozishvili (Kalatozov) per conto del
consorzio cinematografico sovietico della Georgia, è stato
considerato perduto fino al 2008, quando è emersa la possibilità che
questo importante film – il primo lungometraggio documentario della
Georgia ed esordio cinematografico di Kalatozov – non fosse perduto
del tutto. Due rulli con il titolo Una pagina da una biografia preservati
negli archivi del Gosfilmofond, contenevano tracce indicanti che
fossero parte integrante dei 5 rulli del film perduto.
Nel corso delle ricerche d’archivio, si stabilì con certezza che Una
pagina da una biografia, una compilazione di materiali tratti da brani di
57
CINEMA SOVIETICO
THREE SOVIET CAREERS
cinegiornali realizzati nella repubblica georgiana pre-sovietica e da altri
materiali documentaristici – intramezzati da riprese (in seguito
ricondotte per le loro caratteristiche allo stile di Kalatozov) dotate di
didascalie con citazioni politiche e montate con effetto satirico
(chiaramente ispirato al lavoro di Esther Shub) – appartenevano
proprio a Ich carstvo, un film la cui attualità trascende il momento
storico in cui fu distribuito serbando una singolare attinenza ai
problemi politici dei giorni nostri.
La struttura di Ich carstvo è basata sul contrasto tra l’inefficienza e il
cinismo della borghesia georgiana e i progressi raggiunti in Georgia
sotto il regime sovietico. I 2 rulli ritrovati descrivono le relazioni tra
gli esponenti dell’estromesso governo ‘borghese’ georgiano e le
potenze occidentali – una relazione costruita, secondo il film, sulla
volontà dei primi di trarre profitto dalle mire dei secondi sulla
posizione strategica e le risorse naturali della Georgia.
Una possibile spiegazione del titolo alternativo della porzione di film
preservata (che alla lettera suona come “una pagina dalla storia di una
nazione”) risiede nel fatto che il segmento ‘moderno’ di Ich carstvo fu
censurato per il suo eccessivo formalismo; laddove tutte le varianti
dagli intenti propagandistico-pedagogici del soviet sul ‘genere
kulturfilm’ (cui il film apparteneva) venivano prontamente tacciate di
scarso riguardo per il pubblico – e pertanto controproducenti – per
la loro pretesa lunghezza. Forse fu la combinazione di questi due
fattori che portò alla distribuzione di una versione del film più
convenientemente breve. – SERGEI KAPTEREV
The documentary Their Kingdom, co-directed in 1928 by Nutsa
Gogoberidze and Mikhail Kalatozishvili (Kalatozov) for Soviet
Georgia’s Cinema Trust, was considered lost until 2008, when there
appeared a possibility that this important film – Georgia’s first
documentary feature and Kalatozov’s directorial debut – had not
disappeared irretrievably. Two reels titled A Page from a Biography,
preserved by Russia’s Gosfilmofond archive, contained clues
indicating they were part of the long-lost 5-reel feature.
In the course of archival research, it was conclusively established
that A Page from a Biography, a compilation of fragments from
newsreels produced in the pre-Soviet Democratic Republic of
Georgia and from other documentary materials – interspersed with
shots bearing stylistic touches later to be associated with Kalatozov,
intertitled with political quotes and edited to satirical effect under
the influence of Esther Shub’s work – belonged to Their Kingdom,
a film whose topicality is not limited to the historical moment of its
release, but retains a fascinating relevance to the issues of our own
time.
Their Kingdom’s structure was based on the contrast between the
inefficiency and cynicism of the Georgian bourgeoisie and the
progress made by Georgia under the Soviet regime. The rediscovered
reels review the relationship between Georgia’s ousted “bourgeois”
government and Western powers – a relationship built, according to
the film, upon the former’s willingness to exploit the latter’s interest
in Georgia’s strategic position and natural resources.
A possible explanation for the preserved portion’s alternative title
(which should be read as “a page from the history of a nation”) lies in
the fact that the “modern” segment of Their Kingdom was
condemned by the censors for its formalistic excesses; while the
Soviet propagandist-educational variations on the kulturfilm genre (to
which the film belonged) were actively criticized for their viewerunfriendly – and therefore counter-productive – lengths. The
combination of these two factors probably led to the appearance of
a more acceptable shorter version of the film. – SERGEI KAPTEREV
JIM SHUANTE (Marili svanets / Sol Svanetii) [Džim Suante (Il sale
della Svanetia) / Salt for Svanetia] (Sakhkinmretsvi, Georgia SSR, 1930)
Regia/dir: Mikhail Kalatozishvili [Kalatozov]; scen: Sergei Tretyakov;
f./ph: Mikhail Kalatozishvili [Kalatozov], Shalva Ghegelashvili; scg./des:
Davit Kakabadze; aiuto regia/asst .dir: Siko Palavandishvili; 35mm,
1387 m., 64' (19 fps); fonte copia/print source: Gosfilmofond of
Russia.
Didascalie in russo / Russian intertitles.
Mikhail Kalatozov (1903-1973; nato Mikheil Kalatozishvili a Tbilisi,
Georgia) studiò economia, ma trovò presto la sua strada presso lo
studio Sakhkinmretsvi di Tbilisi, dapprima come autista e poi come
proiezionista. A 22 anni apparve come attore in Delo Tariela
Mklavadze (L’affare Tariel Mklavadze) di Ivan Perestjani. Riuscì quindi
ad affermarsi rapidamente come operatore e sceneggiatore, e sul
finire degli anni ’20, dopo aver girato brevi documentari, si vide
spianare la strada verso la regia. Ma la sua carriera fu contrastata da
molti ostacoli, frustrazioni e contraddizioni.
Il suo primo progetto di lungometraggio fu Usinatlo (La cieca), basato
su una sceneggiatura dell’illustre scrittore costruttivista (e in
precedenza futurista) Sergei Tretyakov (nato nel 1892 e condannato
a morte nel 1937 come “spia”). Tretyakov seguì la troupe di Kalatozov
nelle remote regioni montagnose della Svanezia, insieme con il pittore
d’avanguardia Davit Kakabadze (1889-1952), il cui contributo non si
limitò alla sola art direction dato che i suoi interessi per il mezzo
cinematografico lo avevano portato nel 1923 a costruire una
cinepresa in grado di produrre effetti tridimensionali.
Usinatlo (La cieca), fu completato, e ne era già stata pubblicizzata
l’imminente uscita, quando la censura del Soviet proibì il film per il suo
“formalismo” – a partire dagli anni ’30 la più temibile accusa nel
dogma culturale sovietico, e tale da determinare la fine della carriera
di molti cineasti. In questo caso, tuttavia, non fu solo la voce ufficiale
del partito a disapprovare il film: secondo Pera Atasheva (1900?1965), all’epoca giornalista e futura moglie di Eisenstein, i seguaci della
rivista letteraria progressista LEF consigliarono a Kalatozov di
rimontare il film. Jay Leyda, nel suo libro Kino, fa riferimento al
resoconto della Atasheva sulla genesi successiva di Džim Suante:
“Kalatozov portò il suo primo film [Usinatlo (La cieca] a Mosca l’anno
in cui Harry [Alan Potamkin] era qui, e lo mostrò alla Atasheva e a
pochi amici, i quali non ci videro nulla di meraviglioso. Allora accennò
al fatto di avere con sé una quantità di materiale raccolto durante un
Jim Shuante, Mikhail Kalatozov, 1930. (Gosfilmofond of Russia)
paio di mesi trascorsi nella Svanezia, dove era andato con una
macchina da presa su consiglio di Tretyakov. La Atasheva domandò di
vederlo insieme a Harry. Così furono proiettate dieci bobine di
materiale non montato col risultato che Pera A. e Harry saltarono
addosso a Kalatozov insistendo perché con quel materiale mettesse
quel grande film che era possibile intravedere.” Le loro speranze
apparvero pienamente giustificate dal film che ne risultò e che
incorporava anche materiale dell’altro lavoro, “La cieca”. Il grande
critico radicale Harry Alan Potamkin (1900-1933), che aveva proposto
il titolo inglese Salt for Svanetia, lo descrisse in termini entusiastici su
Close-Up (marzo 1931): “Kalatozov stabilisce subito il proprio punto
di vista attraverso l’audacia delle sue immagini e l’ampiezza della sua
visione prospettica … Il suo film è implacabile nel denunciare la vita
terribile degli abitanti della Svanezia, sfruttati e senza speranza,
imprigionati dalle montagne. Il funerale della vittima della tubercolosi
è straziante, nella sua terribile disperazione. La vedova che lascia
gocciolare il suo latte nella tomba, condanna la collusione tra
paganesimo e cristianesimo che cospira contro la felicità umana. ‘Noi
non daremo il nostro latte alle tombe’, gridano le donne in rivolta. Il
film lancia un appello e noi rispondiamo: ‘Questa gente va salvata –
strade e sale!’. L’epilogo, con questo slogan così esplicitamente urlato,
è un’aggiunta un po’ fiacca – l’intero film lo grida già con sufficiente
convinzione”.
Džim Suante appartiene al genere del kulturfilm. E pur descrivendo in
apparenza la vita quotidiana degli abitanti della regione chiamata
Svanezia, non è né un film etnografico né un documentario nello stile
approvato dalla ufficialità della Georgia o dell’Unione Sovietica in
generale. Kalatozov non si propone di mostrare la realtà nella maniera
documentaristica canonica, né si cura dell’accuratezza dei fatti narrati.
Per esempio, non era una consuetudine locale far uscire di casa le
donne incinte al momento del parto, anche se tale usanza era un
58
internazionale vincendo la Palma d’oro al Festival di Cannes del 1957
con Letjat žuravli. Cionondimeno sono occorsi altri tre decenni,
prima che si potesse finalmente rivedere il film.
NINO DZANDZAVA & DAVID ROBINSON
Mikhail Kalatozov (1903-1973; born Mikheil Kalatozishvili in Tbilisi,
Georgia) studied economics, but soon found his way into the
Sakhkinmretsvi studio in Tbilisi, initially as a driver and then
projectionist. At 22 he appeared as an actor in Ivan Perestiani’s The
Case of Tariel Mklavadze. Very rapidly however he established himself
as a cinematographer and writer, and by the end of the 1920s had
directed short documentaries, and was given his chance to embark as
a feature film director. But his career was to be dogged with
obstacles, frustrations, and contradictions.
His first feature project was Usinatlo [The Blind Woman], from a
scenario by the prominent constructivist (and previously futurist)
writer Sergei Tretyakov (born 1892, executed on charges of
“espionage” in 1937). Tretyakov accompanied Kalatozov’s crew to the
remote mountainous region of Svanetia, as did the avant-garde painter
Davit Kakabadze (1889-1952), who was not only able to contribute as
art director, but whose interest in kinetic form had led him in 1923 to
construct a film camera to produce three-dimensional effects.
The Blind Woman was completed, and was already advertised for
release when the Soviet censors banned the film for “formalism” –
from the beginning of the 1930s the most dangerous accusation in
Soviet cultural dogma, and one which was to wreck the careers of
many filmmakers. However, it was not only the Party officials who
disapproved the film: according to Pera Atasheva (1900?-1965), then
a journalist and the future wife of Eisenstein, the adherents of the
progressive literary journal LEF recommended that Kalatozov recut
his film. Jay Leyda, in his book Kino, records Atasheva’s account of
the subsequent genesis of Jim Shuante:
“Kalatozov brought [The Blind Woman] to Moscow the year that
Harry [Alan Potamkin] was here, and showed it to Atasheva and a
few friends who saw nothing amazing in it. He mentioned at the time
that he had brought a lot of material with him from a couple of
months he had spent in Svanetia, going there with a camera on the
advice of Tretyakov. Atasheva asked to see it and asked if Harry […]
could come too. So about ten reels of unedited material were
screened, with the result that Pera A. and Harry jumped on to
Kalatozov and insisted that he make the great film of this material
that they saw in it …”
They felt their hopes entirely justified by the film that resulted, which
also incorporated material from The Blind Woman. The great radical
critic Harry Alan Potamkin (1900-1933), who had formulated the
English title Salt for Svanetia, described it enthusiastically in Close-Up
(March 1931):
“Kalatozov has established his point-of-view at once in the bold image
and stern grand angles … It is unrelenting in its exposure of the dread
life of the Swans, exploited and hopeless, incarcerated by the
mountains. The funeral of the tuberculosis victim is excruciating in its
59
CINEMA SOVIETICO
THREE SOVIET CAREERS
tempo ampiamente diffusa in un’altra regione della Georgia, il
Khevsureti. Né, d’altro canto, riflette la realtà l’episodio che mostra
l’entusiasmo muscolare dei sovietici arrivati per costruire una strada
in grado di collegare la regione col resto del mondo: passeranno
infatti parecchi anni prima che il problema delle strade della Svanezia
venga anche in minima parte risolto. Allo stesso tempo, Kalatozov è
interessato a descrivere e a ricreare attraverso le immagini la vita di
un popolo che soffre per la durezza delle condizioni naturali, per la
penuria di sale e per il forzato isolamento derivante dalla mancanza di
strade.
Mentre Dziga Vertov idealizza la realtà in sé e per sé, Kalatozov è
interessato alla generalizzazione e trasformazione della realtà in
immagini. Preferisce infatti esprimersi attraverso immagini artistiche e
poetiche, per dimostrare che anche nei film o nei documentari
ambientati in luoghi dove la vita è spietatamente disumana, c’è sempre
un margine per la poesia. In ogni stadio del loro processo creativo si
evidenzia la concezione eminentemente visiva dei film di Kalatozov,
che ideava la forma e inseriva la trama nella composizione visiva del
film. Nello stesso periodo, Kalatozov aspirava anche a raggiungere un
effetto tridimensionale usando luci molto intense ed enfatizzando le
modalità ottiche e il rilievo.
Con l’aiuto del suo operatore abituale, Shalva Ghegelashvili,
Kalatozov ebbe modo di sviluppare con successo le sue innovative
idee sul linguaggio cinematografico. Come nella maggior parte dei suoi
film, la cinepresa è estremamente espressiva ed aggressiva. Il regista è
affascinato dai continui movimenti di macchina, destinati a suscitare
nello spettatore uno stato di tensione costante. Egli fu inoltre il primo
cineasta georgiano ad usare le riprese in soggettiva, come nella
sequenza del rovesciamento delle torri di Svan per suggerire l’idea di
una persona in preda alle vertigini. Molti anni dopo riuserà lo stesso
effetto in Letjat žuravli (Quando volano le cicogne, 1957), in una
scena in cui il punto di vista di un soldato morente è mostrato
attraverso il turbinio delle betulle sovrastanti.
In contrasto con l’entusiasmo espresso da Potamkin e da quei cineasti
georgiani, russi e cinesi che ebbero l’occasione di vederlo, il film non
fu accolto con benevolenza in patria. Leyda riferisce che “25 eminenti
cittadini della Svanezia hanno negato che le singolari usanze descritte
nel film fossero mai esistite, sostenendo che sarebbe stato più
importate per un film mostrare la modernizzazione della Svanezia
piuttosto che i suoi vecchi costumi”. In realtà, malgrado il deferente e
menzognero conformismo ideologico della sequenza conclusiva (i
lavoratori sovietici costruiscono la strada e il problema dell’isolamento è risolto), il film venne duramente criticato dal comitato
artistico-politico dello studio Sakhkinmretsvi. L’accusa fu di eccessiva
aspirazione formale. I censori del Partito, per nulla ammorbiditi
dall’apparizione dei trattori sovietici nella scena finale, lamentarono
che l’aspetto visivo del film non serviva adeguatamente la funzione
ideologica. In modo formale o informale, i censori sovietici riuscirono
comunque a sopprimere Džim Suante, tanto che anche il titolo fu di
fatto cassato finché il suo regista non assurse a improvvisa notorietà
film. At that time also he was aiming to achieve a three-dimensional
effect through the use of intensive light and emphasizing optical
methods and relief.
Aided by his fellow cinematographer Shalva Ghegelashvili, Kalatozov
succeeds in exploring his ideas for developing film language. As in
most of his films, the camera is very expressive and aggressive. The
director is fascinated with restless camera movement, aimed to keep
the spectator in a state of permanent tension. He was the first in the
Georgian cinema to make use of subjective images, like the shot of
the overturning Svan towers to convey the impression of a dizzy
person. Years later he was to use the same effect in The Cranes Are
Flying (1957), in a scene in which the dying soldier’s point of vision is
shown by the whirling of birch trees overhead.
In contrast to the enthusiasm of Potamkin and those Georgian and
Russian cineastes who were able to see it, the film was not well
received officially at home. Leyda tells us that “Twenty-five leading
citizens of Svanetia denied that the peculiar customs shown in the
film had ever existed, and claimed that it was more important for a
film to show the modernization of Svantetia than old customs”.
More seriously, despite the dutifully mendacious ideological
conformity of the last sequence (Soviet workers build the road and
the problem of isolation is solved), the film was rigorously criticized
by the artistic-political council of the Sakhkinmretsvi Studio. The
charge was again excessive aspiration for form. The Party censors
were not mollified by the appearance of Socialist tractors in the final
scene, and complained that the visual aspect of the film did not
adequately serve the ideological purpose. Whether formally or
informally, Soviet censorship succeeded in suppressing Jim Shuante
so that even the title was virtually erased until its director achieved
sudden international prominence when The Cranes Are Flying won
the Golden Palm at the 1958 Cannes Film Festival. Even then, it was
to be a further three decades before the film itself could finally be
seen. – NINO DZANDZAVA & DAVID ROBINSON
Jim Shuante, Mikhail Kalatozov, 1930. (Gosfilmofond of Russia)
dire grief. The widow, dripping her milk into the grave, condemns the
collusion of paganism and Christianity conspiring against human
happiness. ‘We will not give our milk to the grave,’ the women cry in
revolt. The film calls and we respond: ‘These people must be saved –
roads and salt!’ The last part shouting this slogan directly is a weak
addendum – the entire film cries that convincingly enough.”
Jim Shuante belongs to the kulturfilm genre. While apparently
describing the everyday life of the Svans (inhabitants of the Svanetia
region), it is neither an ethnographic nor a documentary film in the
style recognized in Georgia and the Soviet Union in general.
Kalatozov does not set out to depict the truth in a categorical
documentary manner, and disregards factual accuracy. For example,
the Svans were not accustomed to turn pregnant women out of the
house to give birth, though the custom was once widespread in
another Georgian region, Khevsureti. Neither, at the other extreme,
does the episode showing enthusiastic and muscular Socialists arriving
to build a road to connect the region with the rest of the world
reflect reality – it was to be much later before the problem of
Svanetia’s roads was even marginally resolved. At the same time
Kalatozov is concerned to depict and create visual images of the life
of people suffering from severe natural conditions, salt shortages, and
isolation caused by the lack of roads.
While Dziga Vertov idealizes fact for its own sake, Kalatozov is
concerned with the generalization and transformation of fact into
image. He prefers to express himself in artistic and poetic images,
showing that even in feature or documentary films set in places
where life is merciless, there is still a place for poetry. At every stage
of his creative work, Kalatozov’s films show that he thinks visually,
shaping a form and fitting the plot in the visual composition of the
LURSMANI CHEQMASHI (Samshoblo saprtkheshia / Gvozd v
sapoge) [Il chiodo nella scarpa / The Nail in the Boot / The Homeland
Is in Danger] (Sakhkinmretsvi, Georgia SSR, 1931)
Regia/dir: Mikheil Kalatozishvili [Mikhail Kalatozov]; scen: Leonid
Perelman; f./ph: Shalva Apakidze; scg./des: Serapion Vatsadze; cast:
Alexandre Zhaliashvili, Siko Palavandishvili, Akaki Khorava, Arkadi
Khintibidze; 35mm, 1505 m., 54'2" (24 fps); fonte copia/print source:
Gosfilmofond of Russia.
Didascalie in russo / Russian intertitles.
Il congresso dei commissari del popolo impose all’industria
cinematografica sovietica di aumentare la quota di produzione di film
politici e pedagogici. Due anni dopo, il partito comunista dell’URSS
adottò una risoluzione sulla trasformazione delle organizzazioni
letterarie ed artistiche, che nel 1934 avrebbe assunto la definizione
di ‘realismo socialista’, il dogma ideologico destinato a dominare ogni
futura esperienza artistica, ivi incluso il cinema. La propaganda era
60
col protagonista, che quindi sarebbe apparso come la vittima di un
sopruso. Il realismo socialista pretendeva un’esposizione dei fatti
chiara ed inequivocabile.
L’indignato Kalatozov rispose a Katinov sulle pagine di Proletarskoe
Kino: “Lursmani cheqmashi può essere letto in modi diversi, come un
film antisovietico o come una produzione utile per la nostra operosa
classe lavoratrice”. Credendoci o meno, Kalatozov tentò una difesa
ideologica citando Lenin, come avevano fatto i suoi accusatori. Non
gli servì a nulla: Lursmani cheqmashi fu bandito.
Oggi, a quasi 80 anni di distanza, si può pensare che il partito
comunista fosse in parte giustificato nel rimproverare a Kalatozov di
non aver applicato i criteri ideologici richiesti. La prima istanza di
Kalatozov è quella di definire l’impianto formale del film, e solo dopo
si chiede cosa si aspetti da lui, in quanto artista sovietico, lo Stato. Ma
Lursmani cheqmashi, invece di incitare alla mobilitazione contro un
nemico convenzionale, ispira simpatia per un uomo leale che rischia
di subire un sopruso. Kalatozov descrive i sentimenti con sottigliezza
cinematografica e un uso brillante del potenziale tecnico di cui poté
disporre nel primo periodo della sua vita creativa. Pur se fece fiasco
al suo esame con il partito comunista, Kalatozov esce vittorioso dal
ben più importante esame del tempo e della Storia.
NINO DZANDZAVA
In 1930 the Council of Soviet People’s Commissars ruled that the film
industry should increase production of political and educational films.
Two years later the All-Union Communist Party adopted a resolution
on the transformation of literary and artistic organizations, which was
to lead in 1934 to the definition of “Socialist Realism”, the ideological
dogma which was henceforth to dominate all fields of art, including
the cinema. Propaganda had always been implicit in Soviet art, but
from the 1930s the message had to be unequivocal, with no possibility
of variant interpretation. Censorship hardened. By the time Mikhail
Kalatozov made The Nail in the Boot, the era of experiment was
over, displaced by the symbolism of Soviet totalitarianism. His film
was to be one of many Georgian productions suppressed or
destroyed during this period.
The Nail in the Boot was to be the last film made in Georgia by the
future author of The Cranes Are Flying and Soy Cuba (I Am Cuba): it
was to be eight years before he was able to direct another film. Made
for the “Samkhedrofilmi” (Military Film) studio, it was intended as a
so-called defensive-military and agitation-propaganda (agitprop) film,
with the message that slipshod workers are saboteurs causing damage
to national defence, and with the aim of ideologically educating the
audience to oppose future enemies. The film had an alternative title,
The Homeland Is in Danger.
As its main title indicates, the plot is inspired by the universal folk
anecdote “All for the sake of a horseshoe nail”. The first part of the
film takes place on a battlefield. A soldier is dispatched to notify
divisional headquarters that the armoured train is faced with
destruction and urgently needs aid. On the way, his foot is injured by
a nail sticking out of the sole of his boot, and he fails to reach
61
CINEMA SOVIETICO
THREE SOVIET CAREERS
sempre stata più o meno implicita nell’arte sovietica, ma, a partire
dagli anni ’30, il messaggio doveva essere inequivocabile, senza alcuna
possibilità di altre interpretazioni. La censura divenne più dura. Nel
periodo in cui Mikhail Kalatozov realizzò Lursmani cheqmashi
l’epoca della sperimentazione era ormai finita, soppiantata dal
simbolismo del totalitarismo sovietico. Il suo film fu una delle molte
produzione georgiane mai distribuite o distrutte durante quel
periodo.
Lursmani cheqmashi sarebbe stato anche l’ultimo film realizzato in
Georgia dal futuro regista di Letjat žuravli (Quando volano le cicogne,
1957) e Soy Cuba (Io, Cuba, 1964), e trascorsero ben otto anni prima
che potesse girarne un altro.
Prodotto dallo studio Samkhedrofilmi (lett.: del film militare),
Lursmani cheqmashi rientrava nel filone del cinema cosiddetto di
propaganda difensiva e di agit-prop (“agitazione” e propaganda). Il film
doveva trasmettere il messaggio che i lavoratori sciatti sono dei
pericolosi sabotatori della sicurezza nazionale, e, al contempo, doveva
preparare ideologicamente gli spettatori ad affrontare i nemici futuri.
Il titolo alternativo del film suonava infatti come “La patria è in
pericolo’”.
La trama del film, come ci indica la didascalia iniziale, è ispirata
all’aneddoto popolare “Tutto per colpa d’uno stivale”. La prima parte
si svolge su un campo di battaglia. Un soldato viene inviato nelle
retrovie ad avvertire il quartier generale che è stato attaccato il treno
blindato e che urgono rinforzi. Cammin facendo, si ferisce al piede con
un chiodo sbucato dalla suola dello stivale e non raggiunge in tempo
il quartier generale. Il treno è perduto. La seconda parte del film si
svolge nell’aula in cui ha luogo l’inchiesta penale sulla condotta del
protagonista, durante la quale emergono altri aspetti della vicenda.
La più bonaria delle critiche rivolte a Kalatozov sosteneva che questa
trama confondesse lo spettatore. Le altre colpirono più a fondo e
l’effetto fu devastante. Kalatozov fu accusato di essersi lasciato
trasportare da ricerche formalistiche e di aver distrutto ogni logica
narrativa con errori ideologici di varia natura. Quello del formalismo
era ormai uno stigma permanente su di lui. V. Katinov, in Proletarskoe
Kino (1932, n. 5), rincarò la dose: “Nel realizzare Lursmani cheqmashi
Kalatozov non ha applicato al tema del film il metodo rivoluzionario
del materialismo dialettico, ma ha perseguito il suo formalismo
estetizzante.”
In sintonia con il resto della stampa, Katinov si appigliò a dettagli
insignificanti: i soldati non potevano essere gasati poiché indossavano
le maschere antigas; nessuno cammina sui talloni; non era plausibile
che il chiodo bucasse il calcagno del soldato; i termini militari e tattici
erano sprecisi così come erano evidenti le incongruenze tra la vita
reale e quella raffigurata sullo schermo. La colpa peggiore del regista
fu però di aver sminuito l’Armata Rossa (pur se appare evidente che
i militari del film non rappresentano affatto l’Armata Rossa, ma sono
invece dei calzolai volontari).
La scena nel tribunale fu accusata di confondere gli spettatori. I critici
di Kalatozov deplorarono che il pubblico fosse indotto a simpatizzare
headquarters in time. The train is lost. The second part of the film is
a courtroom enquiry into the action of the protagonist, at which
different aspects of the story emerge.
The least of the criticisms leveled against Kalatozov was that this plot
was confusing for the audience. The main attack was more
fundamental and crushing. Kalatozov was accused of being carried
away by formalistic pursuits and of destroying the logical narrative by
ideological and other errors. Formalism was now a permanent stigma
upon him. V. Katinov, in Proletarskoe Kino (1932, issue 5), charged:
“When making The Nail Kalatozov did not apply the revolutionary
method of dialectical materialism to his theme, but proceeded from
formalistic aestheticism.”
Along with the rest of the press, Katinov picked on trifles: the
soldiers could not have been gassed while wearing gas-masks; nobody
walks on his heels; it was illogical that the nail should pierce the
soldier’s heel; there were inaccuracies in military and tactical terms,
and inconsistencies between screen and real life. The major fault of
the director was to belittle the Red Army (even though the military
in the film are clearly not representing the Red Army, but are
shoemakers).
The court scene was particularly attacked for confusing the audience.
Kalatozov’s critics complained that the audience would sympathize
with the leading character and then see that he was treated in an
unfair way. Socialist Realism liked its issues clear and unequivocal.
Kalatozov responded indignantly to Katinov in Proletarskoe Kino:
“The problem of Nail can be perceived in different ways, as an antiSoviet film or a useful production for our constructive labour.”
Sincerely or not, he cited Lenin, as his critic had done, in ideological
defence. It did not help: The Nail in the Boot was banned.
Today, almost 80 years later, we may feel that the Communist Party
was to some extent justified in complaining that Kalatozov had not
met the required ideological criteria. His first concern is seeking the
visual concept of the film, and only then what the State requires from
him as a Soviet artist. The Nail in the Boot, rather than calling for
mobilization and battle with the conventional enemy, inspires
sympathy with a loyal man who risks being subjected to oppression.
The sentiments are expressed by subtle cinematic means and brilliant
use of the potential of the materials available to Kalatozov in the early
days of his creative life. If he failed the Communist Party’s exam, he
triumphs in the higher exam of time and history. – NINO DZANDZAVA
62
Tra il 1907 e il 1914 il cinema francese conosce una magica fioritura della commedia, che offre un sostanziale contributo all’egemonia da esso esercitata
in quegli anni a livello mondiale. La caratteristica più importante di questo fenomeno settennale – ma anche il segreto del suo immenso successo
economico – sta nella strategia produttiva della serie, ciascuna chiamata col nome del protagonista. La prima di tali serie è quella di “Boireau”, prodotta
dalla Pathé e interpretata dal grottesco, stralunato, infantile e universalmente amato André Deed. Quando, nel 1909, Deed passa all’Itala, la Pathé ha già
pronta un’altra star comica: Max Linder, che si dimostrerà non solo un divo, ma un genio impareggiabile dell’invenzione comica. L’anno seguente la Pathé
lancia il suo terzo comico, quello dalla parabola più duratura: “Rigadin”, creato da Charles Prince. Da questo momento in poi, di comici ne sarebbero
apparsi a bizzeffe, alcuni destinati a una carriera effimera, altri a lunga vita cinematografica.
Léon Gaumont prende atto con preoccupazione dei successi comici della Pathé e nel 1908 scrive da New York a Louis Feuillade: “Non possiamo perdere
il primato nel settore … Anche noi dobbiamo avere artisti bravi e ben preparati”. Gaumont, poi, comprende con grande lucidità che questi film sono
particolarmente adatti al mercato americano.
L’uomo destinato a varare il programma della Gaumont lavora già nello studio: Roméo Bosetti, artista di circo e music hall sin dall’infanzia, diviene nel
1908 il protagonista della prima serie comica della casa. Ben presto, però, egli cede alle lusinghe della Pathé, che gli affida la direzione dei nuovi studi
di Nizza riservati ai film comici. Alla Gaumont gli succede Jean Durand, che reca al cinema comico degli albori un notevole contributo: l’idea di una
squadra di comici che agisce in gruppo, prefigurando i Keystone Kops. “Les Pouics”, creati da Durand, portano la propria opera di distruzione universale
a vette artistiche di frenetico surrealismo. Sotto la guida di Durand emerge anche l’inquietante figura di Onésime, le cui pellicole migliori si segnalano
per un’irreale atmosfera di sogno che fa di lui un autore prediletto dai surrealisti. Feuillade stesso, da parte sua, dirige due tra le serie più affascinanti
e raffinate, interpretate dai divi bambini Bébé e Bout de Zan. L’ultima grande star delle serie comiche Gaumont, però, guarda già a uno stile differente
e a una differente epoca. Léonce Perret, nei panni di “Léonce”, non cade mai dalle scale, né inciampa nelle manichette dei pompieri: egli inaugura una
commedia di costume e di avventure erotiche.
Perret continuerà la sua carriera fino a diventare un importante regista di lungometraggi; ma l’età d’oro delle serie comiche con lo stesso protagonista
si conclude bruscamente con la prima guerra mondiale. Molti dei giovani interpreti vengono chiamati alle armi; alcuni muoiono. I primi film di Charlie
Chaplin arrivano a Parigi. Il regno delle comiche francesi è al tramonto.
Questa rassegna “dalla A alla Z” – ma tutt’altro che completa, in quanto le serie comiche erano più di 80 ed alcune sono scomparse senza lasciare traccia
– viene presentata contemporaneamente a una monografia curata da Laurent Le Forestier e Laurent Guido e pubblicata dall’Association française de
recherche sur l’histoire du cinéma (AFRHC) come numero speciale di 1895 . Le pellicole, tutte conservate presso gli Archives françaises du film (CNC)
di Bois d’Arcy, sono state selezionate da Eric Le Roy e Fereidoun Mahboubi, i quali ci hanno fornito credits e sinossi di ognuna. È stato per me un piacere
preparare le voci biografiche e ringrazio Eric per le notizie in più che mi ha fornito. – D AVID R OBINSON
From 1907 to 1914 the French cinema witnessed an enchanted seven-year flowering of comedy, which greatly contributed to its world dominance
in those years. The characteristic of this phenomenon – and a secret of its huge economic success – was the strategy of producing films in series,
each featuring a name comedian. The first such series was Pathé’s “Boireau” series, starring the grotesque, manic, infantine and universally loved
André Deed. When Deed defected to the Itala Company in 1909, Pathé had another comic star already waiting – Max Linder, who was to prove not
just a star, but a unique genius of comic invention. The following year Pathé introduced its third and most durable comedian, “Rigadin”, the
creation of Charles Prince. From this time the clowns were to appear in scores – some short-lived, but some surviving through long series.
Léon Gaumont watched Pathé’s comedy successes with anxiety, and in 1908 wrote from New York to Louis Feuillade, “See that we don’t lose our
lead in this field … We too must have some good artists, well trained.” Gaumont also clearly recognized the particular appeal of these films to
the American market.
The man who would launch Gaumont’s programme was already working in the studio: Roméo Bosetti had been a circus and music hall performer
since childhood, and as “Roméo” was to star in the company’s first comedy series in 1908. Bosetti however was swiftly poached by Pathé, who
put him in charge of the new comedy studios in Nice. He was succeeded at Gaumont by Jean Durand, whose notable contribution to early comedy
was the concept of a whole comic troupe, prefiguring the Keystone Kops. Durand’s “Les Pouics” carried their destruction of everything in sight to
a frenzied and surreal art. Under Durand’s supervision, too, emerged the haunting figure of Onésime, whose best films possess a dream-like
unreality that endeared him to the Surrealists. Feuillade himself directed two of the most polished and charming series, featuring the child stars
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COMICI FRANCESI
FRENCH CLOWNS
Comici francesi / French Clowns 19 07-19 14, A-Z
Bébé and Bout de Zan. Gaumont’s last great series comedy star, however, already looked forward to a different style and different times. Léonce
Perret, as “Léonce”, never tumbled downstairs or got in the way of a fire hose: he introduced a comedy of manners and erotic adventure.
Perret went on, becoming a major feature director; but the golden age of the personality clown series came to a precipitate end with the First
World War. Many of the youngsters who played comedy were called up to fight: some died. The first Chaplin films were arriving in Paris. The reign
of the French Comics was over.
This A-Z – far from complete, since there are more than 80 recorded series, some of which have left no visible trace – is presented to coincide
with a special issue of 1895 , edited by Laurent Le Forestier et Laurent Guido, published by the Association française de recherche sur l’histoire
du cinéma (AFRHC). The films have been selected exclusively from the holdings of the Archives françaises du film (CNC) at Bois d'Arcy. Eric Le
Roy and Fereidoun Mahboub have curated the programme and provided credits and synopses for each comedy. I enjoyed preparing the biographical
notes and I am grateful to Eric for the extra information he gave me. – D AVI D R O BI NSO N
a specialist in travel films and had made films about big game hunting.
Boucot (sometimes Boucaud) enjoyed a long career in films, in sound
as well as silents. He also appeared in another comedy series as
Penard.
Prog. 1 (c. 97')
An a tol e Attore non identificato. / Actor unidentified.
LE TRUC D’ANATOLE (Gaumont, FR 1911)
Regia/dir: ?; cast: ? (Anatole); 35mm, 170 m., 8' (18 fps),
imbibito/tinted.
Didascalie in italiano; titolo di testa mancante. / Italian intertitles;
missing main title.
Approfittando del sonno della moglie, un uomo lascia il letto nuziale
per recarsi al bar. Scoperta la sua assenza, la donna decide di lasciarlo.
Rientrando, il marito scopre con grande sconcerto un cuscino
cilindrico al posto della moglie. In preda alla disperazione, cerca di
suicidarsi.
While his wife is sleeping, a husband leaves the conjugal bed to go to
the café. Discovering his absence, the wife decides to leave him. The
returning husband is crestfallen to find a pillow in the place of his wife.
Desperate, he tries to kill himself.
BABYLAS VIENT D’HÉRITER D’UNE PANTHÈRE (Babylas a hérité
d’une panthère / The Runaway Leopard) (Pathé Comica, FR 1911)
Regia/dir: Alfred Machin; cast: Louis Boucot (Babylas), Louise Pager,
Mimir (la pantera/the panther); f./ph: Paul Sablon, Maurice-André
Maître; Pathé cat. no. 4207; lg. or./orig. l: 160m.; 35mm, 82 m., 3' (18
fps). Restauro da una copia Pathé-Kok 28mm/Restored using a 28mm
Pathé-Kok print.
Senza didascalie / No intertitles.
Babylas eredita una magnifica pantera, appena giunta dalla savana
africana e non ancora domata. Non sentendosi proprio tranquillo, il
nuovo padrone lascia scappare la belva che sparge il terrore per
l’intero casamento. Nell’atelier di un pittore, sedotta dai colori
brillanti di un quadro, la belva lecca la pittura ancora fresca e ingaggia
un match di boxe in piena regola con un coniglio cui contende il
possesso delle opere. Dopo un inseguimento, attraverso il lucernario,
sui tetti, si cala giù da un caminetto che immette nella camera di una
coppia di borghesi tranquillamente addormentati. La pantera balza su
di loro. I dormienti, svegliati di soprassalto, fuggono via col nemico
alle costole. Per loro fortuna, la belva abbandona la caccia saltando su
una palma che le ricorda la patria lontana. Seminato poi lo scompiglio
in un atelier di moda, dove mette in fuga le sartine, e da lì
proseguendo le sue prodezze per la strada, il grazioso felino s’imbatte
infine nel suo domatore, che lo accoglie con gioia.
Babylas inherits a superb panther, recently arrived from the forests of
Africa and still untamed. His new master allows the beast to escape.
It spreads terror from top to bottom of the house. In a painter’s
studio, seduced by the bright colours of a painting, he licks the stillwet paint and starts to fight with a rabbit, whom he pursues through
the skylight onto the rooftops, and then chases down a chimney,
bursting into a bedroom where peaceful bourgeois are asleep. The
panther leaps on them, and the wakened sleepers flee desperately.
Happily, he abandons them to leap up a palm tree, which recalls his
Babylas (Louis-Jacques Boucot)
Quando Roméo Bosetti lascia gli studi Comica di Nizza per fare
ritorno a Parigi e curare la produzione di comiche della Lux Film,
Alfred Machin (1877-1929) assume la guida dello studio di Nizza e
inaugura la serie di Babylas. A quanto risulta, il personaggio di Babylas
viene interpretato sia da Louis-Jacques Boucot (1882-1949) che da
Sablon, ma le autentiche stelle della serie sono gli animali, e in
particolare Mimir, il leopardo ammaestrato di Machin, che era uno
specialista di film di viaggio e ne aveva realizzati altri sulla caccia
grossa. Boucot (talora Boucaud) lavorò a lungo nel cinema, sia muto
che sonoro. Lo troviamo anche in un’altra serie di comiche con il
nome di Penard.
When Roméo Bosetti left the Comica Studios to return to Paris and
take over comedy production at Lux Film, Alfred Machin (1877-1929)
took command of the Nice studio, and inaugurated the Babylas series.
Babylas himself seems variously to have been played by Louis-Jacques
Boucot (1882-1949) and Sablon, but the real stars of the series were
animals, and in particular Mimir, the pet panther of Machin, who was
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Discovered at the age of 5 by Louis Feuillade, Bébé (sometimes
“Bébé Abélard”: he was the son of the café-concert artist Abélard)
achieved huge popularity in the 74 films of the Bébé series made
between December 1910 and January 1913. Bébé was always
depicted as the child of well-off bourgeois parents (played by Renée
Carl and Paul Manson) with a patient maid (Mme. Saint-Bonnet)
whom he persistently tormented. Turning out the films at a rhythm
of three each month, Feuillade cast the little boy in the repertory of
comedy situations that regularly served the adult clowns, though it
seems that sometimes he simply instructed the child to do all the
things that were not allowed at home.
Problems with Bébé’s parents – no doubt due to their demands for
higher payment – began to smoulder in Autumn 1912, and Feuillade
fore-armed himself by introducing a new child comic, 4-year-old
René Poyen (the publicists preferred to call him “3”), whom Bébé
himself seems to have nicknamed “Bout de Zan”. The two briefly
and charmingly acted together; but in October 1912 the programme
of the Gaumont-Palace ominously announced, side by side, Bébé se
noie (Baby drowns himself) and “Bout de Zan, âgé de 3 ans – le plus
jeune comique du monde”. Bébé, after a brief flirtation with Pathé,
was retired at the age of 7, having made 80 films in three years. He
reappeared on the screen 21 years later, under a new name, René
Dary, and was to enjoy a busy career in films until his death.
MADAME BABYLAS AIME LES ANIMAUX (Mrs. Pussy Loves
Animals) (Pathé Comica, FR 1911)
Regia/dir: Alfred Machin; f./ph: Paul Sablon; cast: Louis Boucot
(Babylas), ? (Madame Babylas), Mimir (la pantera/the panther); Pathé
cat. no. 4538; 35mm, 169 m., 8' (18 fps).
Didascalie in francese / French intertitles.
Madame Babylas si sente la mamma di tutti gli animali privi d’affetto.
Volatili, gatti, scimmie le invadono salotto e poltrone, col rischio di
suscitare l’esasperazione di Monsieur. I nervi di lui saltano del tutto
quando la consorte aggiunge al serraglio un maiale che ha appena
portato a casa in carrozza. Babylas va a procurarsi una pantera in uno
zoo e la sguinzaglia nell’appartamento.
For want of conjugal affection, Madame Babylas feels herself the
mother of all animals. Birds, cats, and monkeys overrun the drawingroom and the chairs, driving Monsieur to distraction. His nerves
break when his wife introduces the pig which she has just brought
home in a cab. Babylas buys a panther from a menagerie and lets it
loose in the apartment.
B é bé (Anatole Antoine Clément Mary, 1905-1974)
Scoperto all’età di cinque anni da Louis Feuillade, Bébé (o talvolta
“Bébé Abélard”: era figlio dell’artista di caffè concerto Abélard)
raggiunge una popolarità immensa con i 74 film della serie “Bébé”,
girati fra il dicembre 1910 e il gennaio 1913. Bébé viene sempre
presentato come il figlioletto di un’agiata coppia borghese
(interpretata da Renée Carl e Paul Manson), accudito da una paziente
bambinaia (Mme. Saint-Bonnet) che deve subire da lui ogni sorta di
angherie. Feuillade sforna questi film a un ritmo di tre al mese, e
propone il ragazzino in un repertorio di situazioni comiche
normalmente riservate ai clown adulti, anche se pare che talvolta egli
si limitasse a dire al bambino di fare tutto quello che a casa gli era
proibito.
I problemi con i genitori di Bébé iniziano a farsi scottanti
nell’autunno 1912 – senza dubbio a causa della loro richiesta di una
retribuzione più generosa – e Feuillade si premunisce presentando un
nuovo mini-comico, il piccolo René Poyen di quattro anni (gli addetti
alla pubblicità preferscono dire che ha tre anni), che lo stesso Bébé,
pare, soprannomina “Bout de Zan”. Per un breve periodo i due
recitano insieme e sono un vero incanto; ma nell’ottobre 1912 il
programma della Gaumont-Palace annuncia sinistramente, fianco a
fianco, Bébé se noie (Bébé annega) e “Bout de Zan, âgé de 3 ans – le
plus jeune comique du monde”. Dopo un breve flirt con la Pathé,
Bébé viene mandato in pensione all’età di sette anni, con 80 film fatti
in tre anni; riappare sugli schermi 21 anni più tardi, col nuovo nome
di René Dary, per iniziare un’intensa carriera cinematografica che
durerà tutta la vita.
BÉBÉ PÊCHEUR (Jimmie the Sportsman) (Gaumont, FR 1910)
Regia/dir: Louis Feuillade; cast: Clément Mary (Bébé), Paul Manson
(father), Renée Carl (mother), Alphonsine Mary (Fonfon, little sister),
Jeanne Saint-Bonnet (Julie); Gaumont cat. no. 3199; 35mm, 115 m., 5'
(18 fps), pochoir/stencil-colouring.
Didascalie in francese / French intertitles.
Bébé si munisce di canna da pesca e suscita la gelosia di un pescatore
professionista. /Bébé arms himself with a fishing rod and makes a
professional fisherman jealous.
BÉBÉ TIRE À LA CIBLE (Jimmie Pulls the Trigger) (Gaumont, FR
1910)
Regia/dir: Louis Feuillade; cast: Clément Mary (Bébé), Paul Manson
(father), Renée Carl (mother), Jeanne Saint-Bonnet (Julie); 35mm, 146
m., 7' (18 fps), imbibito/tinted.
Didascalie in francese / French intertitles.
Tra le strenne di fine d’anno Bébé ha ricevuto da suo zio un fucile.
Onde evitare una catastrofe, suo padre gli confisca le munizioni, che
lui s’affretta a recuperare di nascosto. Approfittando dell’assenza degli
adulti, Bébé si esercita al tiro a bersaglio in salotto e distrugge il
lampadario. Suo padre decide allora di attaccare dei bersagli di
cartone in giardino. Ma Julie, la cameriera va a sedersi
inavvertitamente su uno di questi e, affaccendandosi in cucina, riceve
una scarica di piombo nel posteriore. Evento che scatena l’ilarità di
Bébé e genitori.
Bébé’s uncle gives him a rifle as a present. To prevent a catastrophe,
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COMICI FRANCESI
FRENCH CLOWNS
native land. Then he ravages a dress shop, putting the shopgirls to
flight. After further exploits in the street, the pretty puss is finally
reunited with his trainer, who joyfully welcomes him back.
his father confiscates the bullets, which Bébé slily hurries to retrieve.
Taking advantage of the absence of the grown-ups, he practices
shooting in the drawing-room, and demolishes the chandelier. Father
thereupon decides to paste up cardboard targets in the garden. But
Julie the maid accidentally sits on one of them, and, while busy in the
kitchen, receives a load of lead in the behind. This greatly amuses
Bébé and his parents.
helmet and sword and parades into the drawing-room in front of his
astonished parents…
BÉBÉ VEUT PAYER SES DETTES (Gaumont, FR 1912)
Regia/dir: Louis Feuillade; cast: Clément Mary (Bébé), René Navarre
(il droghiere/the grocer), Paul Manson, Renée Carl (Bébé’s parents),
Alphonsine Mary (Bébé’s little sister); Gaumont cat. no. 3884; 35mm,
140 m., 6' (18 fps), imbibito/tinted; film incompleto (manca l’inizio)/
incomplete (beginning of film missing).
Didascalie in francese / French intertitles.
Sollecitato dal droghiere, libro dei conti alla mano, a pagare i debiti
accumulati comprando dolciumi e polvere pruriginosa, Bébé ricorre a
uno stratagemma. Si fa passare per cieco all’angolo di una strada. A
una passante e a una coppia compassionevole fa seguito un uomo che,
subodorando la frode, lo denuncia a un paio di guardie. Ricondotto a
casa, Bébé rivela le circostanze che lo hanno spinto a quegli estremi.
I suoi genitori ridono di cuore davanti a tanta abilità nel trarsi
d’impiccio, e il babbo lo gratifica di una moneta.
Ordered by the grocer, account book in hand, to pay off debts
accumulated for the purchase of candies and itching powder, Bébé
has recourse to a trick. He pretends to be blind, posting himself at
the street corner. A passer-by and a compassionate couple are
followed by a man who, scenting the deception, reports him to two
policemen. Taken to his home, Bébé explains the circumstances
which have led to this extremity. His parents laugh heartily at such
resourcefulness, and his father rewards him with a coin.
BÉBÉ MARCHAND DES QUATRE SAISONS (Gaumont, FR 1911)
Regia/dir: Louis Feuillade; cast: Clément Mary (Bébé); Gaumont cat.
no. 3375; 35mm, 205 m., 11' (18 fps); film incompleto (manca il finale)/
incomplete (missing ending).
Didascalie mancanti / Missing intertitles.
Bébé flirta con una piccola venditrice ambulante di frutta che gli regala
una mela. Una macchina investe la ragazzina. Bébé corre in suo
soccorso. I passanti la portano all’ospedale. Bébé rimpiazza con
successo la sua amichetta e le consegna in ospedale l’incasso della
giornata. L’indomani, Bébé incontra per strada la macchina che ha
investito la bambina e denuncia l’autista al suo padrone, un anziano e
rispettabile medico che s’interessa della vicenda. Bébé conduce il
medico e sua moglie all’ospedale. L’anziano signore prodiga le sue
cure alla piccola malata e assume i due amichetti nel suo studio.
Bébé flirts with a little costermonger girl, who gives him an apple. The
little girl is knocked down by a motor-car. Bébé rushes to her aid.
The passers-by take her to hospital. Bébé takes his friend’s place with
success, and gives the day’s takings to the hospitalized girl. The next
day he recognizes the car which knocked the little girl down, and
reports the driver to his boss, a respectable old doctor, who takes an
interest in the story. Bébé takes the doctor and his wife to the
hospital. The old doctor takes over the sick girl’s case, and employs
the two young friends in his office.
BÉBÉ N’AIME PAS SA CONCIERGE (Cosmopolitan Films, FR 1912)
Regia/dir: ?; cast: Clément Mary (Bébé), Madeleine Guitty; Pathé cat.
no. 5710; 35mm, 182 m., 8' (18 fps).
Didascalie in francese / French intertitles (restaurate a partire a
materiale della/restored using material in the Bibliothèque nationale
de France).
Bébé visita il Salon d’Automne in compagnia della famiglia. Davanti alle
manifestazioni artistiche del cubismo, del futurismo e delle altre
correnti, viene travolto da una irresistibile vocazione per l’arte
pittorica. E vi si cimenta con successo tracciando delle linee parallele
sul cane della portinaia. Per Bébé si apre una carriera di pittore
animalista. / Bébé visits the Salon d’Automne with his family. Faced
with the artistic manifestations of Cubism, Futurism, and other
modern styles, he at once feels an irresistible vocation for pictorial art.
He manages to trace parallel lines on the concierge’s dog, transforming
him into a sort of zebra. The concierge does not approve.
BÉBÉ FAIT CHANTER SA BONNE (Gaumont, FR 1911)
Regia/dir: Louis Feuillade; cast: Clément Mary (Bébé); Gaumont cat.
no. 3384; 35mm, 131 m., 6' (18 fps).
Didascalie in tedesco; titolo di testa mancante. / German intertitles;
missing main title.
Bébé guarda un catalogo di panoplie militari, va in cucina e rovescia
del cioccolato nella catinella. La cameriera lo riporta in camera sua e
gli consegna dei vestiti puliti. Ma Bébé vorrebbe vestirsi da soldato e
non ha gli accessori per farsi una panoplia. Nel frattempo la cameriera
riceve un militare – che in seguito si rivelerà essere suo fratello – e lo
nasconde nella cucina. Bébé prende l’elmetto e la spada del militare,
entra nel salotto e sfila in parata davanti ai genitori allibiti.
Bébé is studying a catalogue of costume accessories, and goes into
the kitchen, where he spills a bowl of chocolate. The maid takes him
to his room and gives him clean clothes; Bébé however wants to
dress up as a soldier, but doesn’t have the necessary accessories.
Meanwhile the maid entertains a soldier – who later claims to be her
brother – and hides him in the kitchen. Bébé takes the soldier’s
LE SUICIDE DE BÉBÉ (Bébé se suicide) (Éclectic Films, FR 1913)
Regia/dir: ?; cast: Clément Mary (Bébé); Pathé cat. no. 5750; 35mm,
147 m., 7' (18 fps). Film restaurato a partire da una copia Pathé-Kok
28mm/Restored using a 28mm Pathé-Kok print.
Didascalie in francese / French intertitles.
Dopo una lite tra i suoi genitori, Bébé ricorre a uno stratagemma
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film, prima di essere mobilitato nel 1914. Nel giugno del 1915 fu
dichiarato disperso sul fronte. / Lantini was known as a circus acrobat
and juggler when he was recruited to the Comica Studios in Nice. He
seems to have become Bosetti’s right-hand man, even taking a hand
in direction. He appeared in some 40 films before he was mobilized
in 1914. In June 1915 he was reported missing at the front.
LE PORTRAIT DE BÉBÉ (Het Portret van’t Zoontje) (Éclectic Films,
FR 1913)
Regia/dir: Henri Gambard; cast: Clément Mary (Bébé [Zoontje]);
Pathé cat. no. 5917; 35mm, 145 m., 7' (18 fps). Restaurato a partire
da un Pathé-Kok 28mm / Restored using a 28mm Pathé-Kok print.
Didascalie in olandese / Dutch main title and intertitles.
In compagnia del padre, Bébé si reca nell’atelier di un pittore che gli
deve fare il ritratto. Durante la posa, Bébé si agita senza requie.
Sbadiglia, starnutisce, si soffia il naso, si gratta il capo … Esasperato,
l’artista se ne lamenta col padre. La seduta deve essere interrotta.
Tornati a casa, la madre, delusa, trova infine il modo di ottenere ciò
che vuole: porta il figlio da un fotografo. Alla fine, nel salotto, babbo
e mamma sono fieri di presentare il ritratto di Bébé.
Accompanied by his father, Bébé goes to an artist’s studio to have his
portrait painted. While posing, Bébé will not keep still. He yawns,
sneezes, blows his nose, scratches his head… The exasperated artist
complains to the father. The sitting must be interrupted. Back home,
mother, disappointed, finally finds a means to obtain what she wants:
she takes her son to a photographer. Finally, in the drawing-room,
both parents are proud to present Bébé’s portrait.
BIGORNO COUVREUR (Pathé Comica, FR 1914)
Regia/dir: Roméo Bosetti; scen: Louis Z. Rollini; cast: René Lantini
(Bigorno); Pathé cat. no. 6546; 35mm, 162 m., 7' (18 fps).
Didascalie in francese / French intertitles.
Una leggera perdita d’acqua proveniente dal soffitto annaffia Bigorno
mentre è a letto. Egli apre allora un ombrello, cosa da non farsi
assolutamente tra quattro mura, per non rischiare di attirare la
sfortuna. E infatti la perdita diventa una cateratta. Bigorno corre dal
portiere che corre da un artigiano, che a sua volta corre a casa di
Bigorno spingendo una carretta carica di attrezzi. Forando il tetto,
Bigorno provoca una cateratta in casa di un inquilino che sale anch’egli
sul tetto. Bagarre generale. Intervento della polizia. Crollo del tetto.
A slight leak from the ceiling falls on Bigorno in his bed. He puts up
an umbrella – always sure to bring bad luck when done indoors. The
trickle becomes a cataract. Bigorno runs to the concierge, who runs
to the plumber, who runs to Bigorno’s apartment pushing a cart full
of gear. Making a hole in the roof, Bigorno provokes a cataract in
the apartment of a lodger, who also emerges onto the roof. General
fracas. Police intervention. Collapse of the roof.
BIGORNO FUME L’OPIUM (Pathé Comica, FR 1914)
Regia/dir: Roméo Bosetti; scen: Louis Z. Rollini; cast: René Lantini
(Bigorno); Pathé cat. no. 6855; 35mm, 157 m., 7' (18 fps).
Didascalie mancanti / Missing intertitles.
Bigorno riceve un membro della sua famiglia di ritorno da un viaggio
in Oriente. L’ospite gli fa dono di svariati souvenir esotici e gli
propone una fumata d’oppio. Sotto l’influenza delle allucinazioni da
oppio, Bigorno si ritrova in un mondo meraviglioso, circondato da
graziose fanciulle in abiti succinti. Ma il sogno si trasforma in incubo e
il risveglio è doloroso: mal di testa, febbre, ecc.
Bigorno is visited by a relative returning from a voyage in the East,
who presents him with exotic souvenirs and proposes that he should
smoke opium. Hallucinated by the opium, Bigorno finds himself in a
marvellous world, surrounded by scantily clad beauties. But the
dream turns to nightmare, and the awakening is painful, with
headache, fever, etc.
BÉBÉ ET JEANNE D’ARC (Bébé y Juana de Arco) (Éclectic Films, FR
1913)
Regia/dir: ?; cast: Clément Mary (Bébé); Pathé cat. no. 5983; 35mm,
161 m., 7' (18 fps).
Didascalie in spagnolo / Spanish main title and intertitles.
lI padre di Bébé, immobilizzato a casa, ha appena vinto alla lotteria un
quadro raffigurante Giovanna D’Arco. Bébé propone di andarlo a
ritirare. In strada, mentre sosta su una panchina, se lo fa rubare. Dopo
un breve inseguimento, il ladro viene condotto al commissariato.
Davanti alla sua faccia tosta e all’esitazione del commissario, Bébé
descrive il contenuto dell’oggetto impacchettato e il ladro viene
smascherato.
Bébé’s father wins a painting of Joan of Arc in the lottery. Bébé offers
to collect the prize. It is stolen from him as he is sitting on a bench.
After a chase, the thief is taken to the police station. Confronted by
the thief’s self-confidence and the hesitation of the police inspector,
Bébé describes the wrapped-up object. The thief is exposed.
Prog. 2 (c. 107')
B ig o rn o (René Lantini)
Lantini era un acrobata e giocoliere quando venne ingaggiato presso
gli studi Comica di Nizza. Sembra fosse diventato il braccio destro di
Bosetti, dando una mano anche come regista. Fece una quarantina di
B o i r e a u (André Deed, 1879?-1940?, nato/born Henri André
Augustin Chapais)
Dopo aver lavorato nel music hall e (probabilmente) in alcuni film
67
COMICI FRANCESI
FRENCH CLOWNS
per impedire il loro divorzio. Simulando il suicidio, riesce infatti a
farli sentire in colpa, e, quando ritorna in vita, li induce alla
riconciliazione. / Following a quarrel between his parents, Bébé
employs a stratagem to prevent their divorce. Simulating suicide, he
succeeds in making them feel guilty, and, when he returns to life,
effects their reconciliation.
girati allo studio Méliès, nel 1906 Deed viene assunto dalla Pathé e,
nelle vesti di Boireau, ottiene rapidamente una vasta popolarità
internazionale, lanciando definitivamente le serie comica con questo
protagonista. Nel gennaio 1909 Deed passa alla Itala di Torino e viene
ribattezzato Cretinetti (noto in Francia come Gribouille). Ritornato
alla Pathé nel 1911 riprende l’antico nome d’arte.
Nel marzo-luglio del 1914, Gribouillette (Valentina Frascaroli, 18901955), moglie e partner di Deed, compare in una propria breve serie
di cinque film fatti per la Pathé.
Having worked in music hall and (probably) in films at the Méliès
studio, Deed was engaged in 1906 by Pathé, and, as “Boireau”,
achieved rapid international popularity, definitively inaugurating the
personality series comedy. In January 1909 Deed defected to the Itala
company of Turin and was renamed Cretinetti (known in France as
Gribouille). Returning to Pathé in 1911 he resumed his old name.
Deed’s wife and partner Gribouillette (Valentina Frascaroli, 18901955) starred in her own brief series of five films made for Pathé
between March and July 1914.
subissati dalle fatture. Costretto a pagare, il padre punisce
severamente Boireau.
Boireau takes advantage of his parents’ absence to put on his father’s
clothes and go out on the town. He invites two young ladies to dine
in a private room and orders champagne. Soon drunk, Boireau
creates scandal and destruction. He leaves the waiter the card of his
known and respected father so that the man can be recompensed.
Then Boireau takes his two ladies for a trip in a motor-car, again at
his father’s expense. He hits a pedestrian and attracts a crowd, but
extricates himself by showing his father’s card to the policeman on
the spot. Still staggering, he meets two characters whom he invites
home for a drink; they imprison the servant in the chimney and strip
the house while Boireau lies collapsed on his bed. When his parents
return home they not only have to face the burglary but find
themselves assailed with bills. Obliged to pay, the father severely
corrects his son.
UNE DOUZAINE D’ŒUFS FRAIS (Pathé Frères, FR 1908)
Regia/dir: ?; cast: André Deed (Boireau); Pathé cat. no. 2365; 35mm,
170 m., 8' (18 fps).
Senza didascalie / No intertitles.
Una donna manda il marito a comprare una dozzina di uova. Lui si fa
prima qualche sosta nei bistrot. Poi si ricorda di dover comprare le
uova. Ma, dopo ogni acquisto, un intoppo gli impedisce di riportale a
casa intatte. / A lady sends her husband to get a dozen eggs. On the
way he makes quite a few stops in bistros. He remembers that he has
to buy eggs. But after each stop, some mishap prevents him from
bringing back the eggs safe and sound.
LES APPRENTISSAGES DE BOIREAU (Jim’s Apprenticeship / Jim as
Pastrycook) (Pathé Frères, FR 1907)
Regia/dir: Albert Capellani; cast: André Deed (Boireau [Jim]), Aurèle
Sidney; Pathé cat. no. 1730; lg. or./orig. l: 205m.; incompleto/
incomplete, 35mm, 105 m., 5' (18 fps), imbibito/tinted.
Didascalie in inglese / English main title and intertitles.
Boireau è una peste. Furibondi, i genitori lo mandano a fare
l’apprendista: da un cappellaio, da un droghiere, e infine da un
parrucchiere. Ma il ragazzo dà immancabilmente prova d’inettitudine
e goffaggine, facendosi licenziare.
Boireau is a dunce. His angry parents send him to be an apprentice to
a hatter, a grocer, and finally a hairdresser. But every time the boy
proves his ineptitude and clumsiness and is sacked.
BOIREAU ET LA DEMI-MONDAINE (Pathé Frères, FR 1912)
Regia/dir: ?; cast: André Deed (Boireau), Valentina Frascaroli; Pathé
cat. no. 5126; 35mm, 237 m., 11' (18 fps).
Senza didascalie / No intertitles.
Boireau padre ha deciso di accasare il figlio, il giovane Boireau,
speranza della famiglia. Ma Boireau junior non asseconda gli schemi
paterni, avendo già optato da un pezzo per l’amabile persona di
Valentina, giovane beltà poco austera che acconsentirà, tramite il
matrimonio, a fare la felicità del suo amico.
Boireau’s father has decided to marry off his son, the pride of the
family. But Young Boireau is not in accord with the paternal view,
having already made his choice in the amiable person of Valentine, a
young beauty who will consent to make her friend happy through
marriage.
BOIREAU FAIT LA NOCE (Pathé Frères, FR 1908)
Regia/dir: ?; cast: André Deed (Boireau), Aurèle Sidney; Pathé cat. no.
2246; 35mm, 188 m., 9' (18 fps).
Senza didascalie / No intertitles.
Boireau, approfittando dell’assenza dei suoi, indossa l’abito del padre
ed esce, deciso a divertirsi. Invita a cena due giovani donne in un
locale esclusivo e ordina champagne. Ubriacatosi in fretta, suscita
scandalo e provoca danni. Lascia quindi al cameriere un biglietto da
visita del padre, persona conosciuta e stimata, a cui rivolgersi per
l’indennizzo. Poi Boireau trascina le sue invitate a fare un giro in
automobile, sempre a spese del padre. Urta contro un passante e
provoca un assembramento. Riesce a trarsi d’impaccio mostrando al
poliziotto presente sul posto un altro biglietto del padre. Sempre
barcollante, Boireau fa la conoscenza di due tizi che invita a far
bisboccia in casa sua. E mentre lui giace incosciente sul letto, i due
rinchiudono il cameriere nel caminetto e svaligiano la casa. Al loro
rientro, i genitori non solo scoprono il furto, ma si trovano anche
BOIREAU ET LA GIGOLETTE (Pathé Frères, FR 1912)
Regia/dir: ?; cast: André Deed (Boireau), Valentina Frascaroli; Pathé
cat. no. 5195; 35mm, 301 m., 14' (18 fps).
Senza didascalie / No intertitles.
Boireau viene attirato da un’insolita serie di spari. Sono alcuni
“apaches” che si disputano la supremazia nel cuore di una bruna
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BOIREAU AU HAREM (Pathé Frères, FR 1912)
Regia/dir: ?; cast: André Deed (Boireau), Cherifeh Hanem; Pathé cat.
no. 5423; 35mm, 320 m., 15' (18 fps).
Senza didascalie / No intertitles.
Boireau, attirato dal fascino e dalla dolcezza dell’Oriente, si è
trasferito a Istanbul, dove riceve l’ordine di andare a fotografare S.A.
il Pascià Maboul Humid. L’incontro si rivela dei più cordiali, e, per
ricompensare il suo ospite, il Pascià gli permette di entrare nella sala
del Trono, dove sono riunite le sue danzatrici.
Boireau, drawn by the charm and sweetness of the East, has settled
in Constantinople, where he is commanded to photograph His
Highness Pasha Maboul Humid. The interview is extremely cordial,
and, to reward his guest, the Pasha permits him to enter the throneroom, where there are his dancers.
LA FÊTE DE BOIREAU (Pathé Frères, FR 1912)
Regia/dir: ?; cast: André Deed (Boireau), Valentina Frascaroli
(Valentine); Pathé cat. no. 5336; 35mm, 207 m., 10' (18 fps).
Senza didascalie / No intertitles.
Per la festa di Boireau giunge la sua amichetta Valentine, coi genitori,
recando in omaggio un gran mazzo di fiori. Boireau, che una vestizione
complicata ha messo di cattivo umore, manda all’aria i fiori e le
promesse. La fanciulla piange e scalpita, ma infine i due si riconciliano
per fare mille sciocchezze.
For his name-day, Boireau’s girlfriend Valentine comes with her
parents to present him with a big bouquet. Boireau, in a bad temper
after his complicated preparatory toilette, brushes aside the flowers
and good wishes. The poor girl weeps and stamps her foot, but finally
the couple are reconciled with a thousand inanities.
BOIREAU EN MISSION SCIENTIFIQUE (Pathé Frères, FR 1912)
Regia/dir: ?; cast: André Deed (Boireau); Pathé cat. no. 5447; 35mm,
319 m., 15' (18 fps).
Senza didascalie / No intertitles.
Boireau, delegato dalla dotta società di cui è presidente, parte per una
missione scientifica. Si tratta di andare a cercare, in fondo all’oceano,
la famosa spugna da asciugamani. Dopo aver navigato per giorni e per
notti, il nostro esploratore è vittima di un grave incidente. Il suo
battello, urtato da un iceberg, s’inabissa in fondo al mare. Boireau si
salva su una zattera e naviga, di conserva col suo baule.
Boireau, appointed by the scientific society of which he is President,
departs on a scientific mission. His quest is to find, at the bottom of
the ocean, the famous sponge out of which towels can be made. After
sailing for days and nights, our explorer is the victim of a grave
catastrophe. His ship, hit by an iceberg, is destroyed at the bottom of
the sea. Boireau saves himself on a raft, along with his trunk.
BOIREAU SE VENGE (Pathé Frères, FR 1912)
Regia/dir: ?; cast: André Deed (Boireau), Valentina Frascaroli (Jane);
Pathé cat. no. 5370; 35mm, 226 m., 10' (18 fps).
Senza didascalie / No intertitles.
Boireau chiede la mano di Mlle. Jane Ronchonot, figlia di un colonnello
in pensione. Jane ama Boireau, ma il padre vorrebbe imporle un altro
partito. Opponendosi alla sua volontà, Jane e Boireau si accordano
per ridicolizzare il pretendente del colonnello.
Boireau asks for the hand of Miss Jane Ronchonot, the daughter of a
retired colonel. Jane loves Boireau, but her father wants to impose
another match on her. To defeat the paternal willl, Jane and Boireau
get together to ridicule the Colonel’s candidate.
BOIREAU FILLE DE FERME (Pathé Frères, FR 1912)
Regia/dir: ?; cast: André Deed (Boireau), Valentina Frascaroli
(Gribouillette); Pathé cat. no. 5412; 35mm, 221 m., 10' (18 fps).
Senza didascalie / No intertitles.
Gribouillette, figlia di un ricco fattore normanno, ha quattro
pretendenti: un pompiere, un fattore, un apprendista notaio e
Boireau, garzone di fattoria. Ma questi solamente è riuscito a
conquistare il suo cuore. Tuttavia, il padre di Gribouillette, aspirando
a un partito migliore per la sua figliola, non intende ragioni. Sono
infatti gli altri tre pretendenti ad avere la sua approvazione. Ma sarà
Boireau, travestito da campagnola, a farsi passare per Gribouillette e
a ricevere i pretendenti.
Gribouillette, the daughter of a fat Normandy farmer, has four
suitors: a fireman, a farmer, a lawyer’s clerk, and Boireau the farm
boy. Only Boireau has been able to conquer her heart. But
Prog. 3 (c. 94')
BOIREAU ET LA FILLE DU VOISIN (Pathé Frères, FR 1912)
Regia/dir: ?; cast: André Deed (Boireau), Valentina Frascaroli
(Gribouillette); Pathé cat. no. 5484; 35mm, 222 m., 10' (18 fps).
Senza didascalie / No intertitles.
Boireau è innamorato di Gribouillette, la figlia del vicino. Ma il padre
della bella non lo vede di buon occhio. I due innamorati, per ottenere
il suo consenso, simulano il suicidio.
Boireau is in love with Gribouillette, the neighbour’s daughter. But
the beauty’s father keeps stern watch. The two lovers, to gain
paternal consent, pretend to commit suicide.
69
COMICI FRANCESI
FRENCH CLOWNS
Gribouillette’s father, who dreams of a good match for his daughter,
turns a deaf ear. The other three combine their votes. Boireau,
dressed up as a farm girl, pretends to be Gribouillette and receives
the candidates.
gigolette. Boireau s’avventura in una bettola, dove, incontrando la
gigolette, riaccende la gelosia dei rivali. / Boireau is attracted by some
unusual explosions. It is a group of Apaches who are quarreling over
their standing in the affections of a dark-haired moll. Boireau ventures
into a sleazy bar where he discovers the moll herself, thereby fanning
the flames of jealousy in his rivals.
BOIREAU SAUVETEUR (Pathé Frères, FR 1913)
Regia/dir: ?; cast: André Deed (Boireau); Pathé cat. no. 5664; 35mm,
166 m., 8' (18 fps).
Senza didascalie / No intertitles.
Boireau, trasformato in vecchio lupo di mare, scorge un uomo che si
agita nell’acqua e sprofonda tra i flutti. Boireau si precipita a salvare
l’uomo in difficoltà travolgendo una decina di persone e mette in mare
una barca, perché non sa nuotare. / Boireau, metamorphosed into an
old sea wolf, sees a man struggling in the water and sinking in the
waves. Boireau knocks down ten people as he rushes to save the man
in distress and puts a boat into the water, because he cannot swim.
cade nello stesso sogno, scopre il progetto del suo sposo e, nascosta
sotto svariati travestimenti, lo perseguita come un rimorso vivente.
Boireau marries. How, having embarked for Cythera, does he
happen to embark for America? On the wedding night, his wife
Gribouillette finds in one of his pockets a photograph that appears
to be of a Miss Muguette, a former friend of Boireau. In a fury,
Gribouillette sulks in her chair, while Boireau, vexed, lies on his bed,
where he falls asleep and dreams of leaving for Canada. But
Gribouillette, who by an effect of telepathy has fallen into the same
dream, discovers her husband’s plan and, concealed under different
disguises, pursues him like a living guilt.
BOIREAU EN VOYAGE (Pathé Frères, FR 1913)
Regia/dir: ?; cast: André Deed (Boireau); Pathé cat. no. 5708; 35mm,
133 m., 6' (18 fps).
Senza didascalie / No intertitles.
Piombato senza preavviso in casa di due innamorati, il povero Boireau,
viene gettato a capo all’ingiù dalle scale. Nel suo capitombolo,
travolge il fattorino dell’albergo, rimbalza in strada, passa di mano in
mano e ruzzola di caduta in caduta, finché non approda in un lavatoio,
dove le lavandaie lo accolgono a colpi di mestola.
By accident disturbing lovers, poor Boireau, thrown head-first
downstairs, falls on the hotel doorman, bounces into the street, is
passed and repassed from hand to hand, and rolls from fall to fall, until
he lands in a laundry, where the washerwomen receive him with
blows from their beaters.
UNE EXTRAORDINAIRE AVENTURE DE BOIREAU (Pathé Frères,
FR 1914)
Regia/dir: ?; cast: André Deed (Boireau), Valentina Frascaroli; Pathé
cat. no. 6522; 35mm, 304 m., 14' (18 fps).
Senza didascalie / No intertitles.
Passando insieme sotto a un’impalcatura, il conte Boireau e l’apache
detto “La terreur des bat’” si beccano sul groppone un’enorme pietra
da taglio. Liberati dall’ingombro con l’uso di un cric, ci si accorge che
la violenza del colpo li ha saldati l’un l’altro. Fratelli siamesi loro
malgrado, i due pretenderebbero farsi ciascuno gli affari propri.
Finiscono col trovare un’intesa: l’uno accompagnerà l’altro dove vorrà
andare per due ore e viceversa.
Passing under some scaffolding, Count Boireau and an Apache called
The Terror are hit on the back by an enormous falling stone. They
are extricated with a jack, but the violence of the shock has welded
them together. Unwilling Siamese twins, each of the two men wants
to go about his business. They agree that one will accompany the
other wherever he wishes to go for two hours, and vice versa.
BOIREAU CHERCHE SA FEMME (Pathé Frères, FR 1913)
Regia/dir: ?; cast: André Deed (Boireau); Pathé cat. no. 5773; 35mm,
172 m., 8' (18 fps).
Senza didascalie / No intertitles.
Per consolarsi di aver smarrito la moglie, Boireau va a fare un bagno.
Cammin facendo, incrocia una giovane donna in accappatoio, e,
trovandola deliziosa, si dirige verso l’onda salmastra sulla scia della
giovane bellezza. / To console himself for having mislaid his wife,
Boireau goes to take a bath. On the way he encounters a young
woman in a bathrobe whom he finds delicious, and makes his way
towards the briny ocean in the wake of the young beauty.
B o ut d e Z a n (René Poyen, 1908-1968)
Bout de Zan – il cui costume prediletto è composto da pantaloni
troppo grandi, soprabito e bombetta – sostituisce Bébé alla Gaumont
e, benché sia di tre anni più giovane, si afferma rapidamente per la sua
maggiore versatilità. A suo agio nella parte abituale di Bébé – il
bambino pestifero di una ricca famiglia borghese – può calarsi con
altrettanta disinvoltura nei panni del ragazzo di strada. La sua gamma
interpretativa si arricchisce ulteriormente allorché la produzione si
sposta sulla Costa Azzurra e la guerra propone nuovi spunti: Bout de
Zan si arruola, cattura una spia e incontra i “Boche”. La serie continua
fino al 1916, e questo piccolo attore pieno di risorse si ritaglia parti
di rilevo anche nei grandi serial di Feuillade: Les Vampires, Judex, e La
Nouvelle Mission de Judex. Ritiratosi all’età di nove anni, ritorna alla
Gaumont per realizzare sette lungometraggi con Feuillade, in due dei
quali – sedicenne – fa coppia con l’incantevole piccola star Bouboule
(ospite delle Giornate nel 2000). La morte di Feuillade mette però
fine alla carriera cinematografica di Poyen e, se si esclude una breve
apparizione – nelle vesti di Bout de Zan – in Le Bidon d’or, il film
d’esordio di Christian-Jaque (1932), egli scompare dalle scene,
BOIREAU S’EXPATRIE (Pathé Frères, FR 1913)
Regia/dir: ?; cast: André Deed (Boireau), Valentina Frascaroli
(Gribouillette); Pathé cat. no. 6186; 35mm, 175 m., 8' (18 fps).
Senza didascalie / No intertitles.
Boireau si sposa. Com’è però che dall’imbarco per Citera si trova ad
imbarcarsi per l’America? La notte delle nozze, sua moglie
Gribouillette scopre in una delle sue tasche la foto suggestiva di una
signorina Muguette, una ex fiamma di Boireau. Crisi di collera.
Gribouillette tiene il broncio seduta su una sedia, mentre Boireau,
indispettito, va a sdraiarsi sul letto. Lì si addormenta e sogna di
imbarcarsi per il Canada. Gribouillette, che per un effetto di telepatia
70
Ca li no (Clément Mégé)
Poco si sa di quest’attore, Clément Mégé, proveniente forse dal music
hall e dal circo, che propone un personaggio plebeo la cui ilare
stoltezza provoca la rovina generale. Creata da Bosetti per la
Gaumont, la serie di Calino dura dal 1909 al 1913, poi Mégé scompare
nel nulla. Paul Bertho (v. Gavroche) sembra aver interpretato lo
stesso personaggio in vari film del 1911. Ai film con Calino si
attribuisce il merito di aver lanciato “Les Pouics”, una troupe comica
anticipatrice dei Keystone Kops di Mack Sennett, capace di realizzare
una raffinata, ancorché frenetica, forma d’arte dal caos più insensato
e surreale. Tra i membri abituali dei Pouics si segnala l’ottimo attore
Gaston Modot (1887-1970): in epoca successiva egli raggiungerà la
fama lavorando con Renoir, Clair e Buñuel (in L’Âge d’or), ma
sorprendentemente non gli viene mai affidata quella serie personale
che pure avrebbe ampiamente meritato.
Little is known of this actor, who seems to have come from music
hall and circus, bringing a cheerful, idiotic, plebeian character able to
promote massive destruction. Originated at Gaumont by Bosetti, the
Calino series lasted from 1909 until 1913, after which Mégé leaves no
trace. Paul Bertho (see Gavroche) appears to have played the
character in several films of 1911. The Calino films are credited with
introducing “Les Pouics”, a comic troupe who prefigured Sennett’s
Keystone Kops, making a fine if frenzied art out of mindless, surreal
destruction. One of the regular Pouics was the fine actor Gaston
Modot (1887-1970) – later known for his work with Renoir, Clair,
and (in L’Âge d’or) Buñuel – who, surprisingly, was never given his
own well-deserved series.
BOUT DE ZAN FAIT LES COMMISSIONS (Gaumont, FR 1913)
Regia/dir: Louis Feuillade; cast: René Poyen (Bout de Zan), Marguerite
Lavigne (mother), Edmond Bréon (father); Gaumont cat. no. 4349;
35mm, 84 m., 4' (18 fps), imbibito/tinted. Film incompleto (finale
mancante) / Incomplete (missing ending).
Didascalie in francese / French intertitles.
Dopo una lite tra i suoi genitori, Bout de Zan viene incaricato di far
da paciere. Volano parole forti e Bout de Zan non ne è risparmiato.
La sua scaltrezza addolcirà la violenza dei colpi più duri.
Following a quarrel between his parents, Bout de Zan is charged with
acting as intermediary. Harsh words erupt, and Bout de Zan is not
spared. His ruse will soften the violence of certain blows.
LES CERISES DE BOUT DE ZAN (Tom Pouce et les cerises)
(Gaumont, FR 1913)
Regia/dir: Louis Feuillade; cast: René Poyen (Bout de Zan); Gaumont
cat. no. 4359; 35mm, 180 m., 8' (18 fps), imbibito/tinted.
Didascalie in francese / French intertitles.
Bout de Zan vive in una roulotte coi genitori. Essendo digiuno, decide
di sfamarsi con le ciliegie che trova nei giardini privati.
Malauguratamente, un padrone spiana il suo fucile. Bout de Zan,
scappando, resta impigliato nel cancello del giardino e si lacera i
calzoni. Una volta libero, si dirige verso casa, ma i suoi genitori
infuriati lo mettono nuovamente in fuga. Seminati gli inseguitori, si
trova in un campo dove recupera gli abiti di uno spaventapasseri. Sul
ciglio della strada, ritrova i genitori e, davanti al loro sguardo allibito,
sfoggia i suoi nuovi calzoni.
Bout de Zan lives in a caravan with his parents. Not having eaten, he
decides to feed himself with cherries which he finds in bourgeois
gardens. Unfortunately, one of the owners gets out his rifle. Bout de
CALINO AVOCAT (Gaumont, FR 1910)
Regia/dir: Roméo Bosetti; cast: Clément Mégé (Calino); 35mm, 91 m.,
3' (18 fps).
Senza didascalie / No intertitles.
Calino fa un’arringa talmente noiosa che magistrati e pubblico
s’addormentano. Il suo cliente ne approfitta per tagliare la corda. /
The lawyer Calino makes a defence plea so boring that the
magistrates and the public fall asleep. His client takes the opportunity
to escape.
CALINO PASSAGER DE MARQUE (Gaumont, FR 1910)
Regia/dir: Roméo Bosetti; cast: Clément Mégé (Calino); 35mm, 222
m., 8' (24 fps), mascherino sonoro/sound framing; copia incompleta
(finale mancante)/incomplete (missing ending).
Didascalie in francese / French intertitles.
A bordo di un piroscafo, Calino si fa passare per un principe. La sua
71
COMICI FRANCESI
FRENCH CLOWNS
Zan flees, but gets caught on the garden fence and tears his trousers.
Once freed, he goes home, but his angry parents chase him. He gives
them the slip and finds himself in a field, where he retrieves the
clothes of a scarecrow. Beside the road he meets his parents again
and, under their astonished gaze, shows them his new trousers.
terminando i suoi giorni come proprietario di un’autofficina in
provincia. / Bout de Zan, with his frequent and favourite costume of
oversize pants, overcoat, and bowler hat, replaced Bébé at Gaumont,
and though three years younger, quickly established himself as a more
versatile performer. While he could slip comfortably into Bébé’s usual
role as the mischievous child of a well-off bourgeois home, he could
as easily transform himself into a wretched street boy. His range was
further broadened when production moved to the Côte d’Azur, and
the war brought new subjects, as Bout de Zan joined up, caught a spy,
and met the Boche. The series continued until 1916, and the
resourceful little actor also had good roles in the great Feuillade
serials, Les Vampires, Judex, and La Nouvelle Mission de Judex.
Retired at the age of 9, he returned to Gaumont to make seven
features with Feuillade, in two of which, as a 16-year-old, he teamed
with the enchanting child star Bouboule (guest of the Giornate in
2000). With Feuillade’s death however, Poyen’s screen career came
to an end, and apart from a brief appearance – as Bout de Zan – in
Christian-Jaque’s debut film Le Bidon d’or (1932), he disappeared
from view, to end his days as a provincial garage proprietor.
abituale goffaggine turberà non poco la dolcezza del viaggio. Durante
una passeggiata sul ponte con il comandante, Calino, sempre pronto
a rendersi utile, dà ai mozzi una lezione di ramazza. Ma al suo arrivo
in Inghilterra, troverà due poliziotti pronti ad arrestarlo.
Calino masquerades as a Prince during a cruise on a liner. His habitual
clumsiness somewhat troubles the calm of the voyage. Always ready
to be of service, Calino, during a promenade on the bridge with the
captain, explains to the ship’s apprentices how to swab the deck. But
on his arrival in England, two bobbies are awaiting him…
trasferirsi all’Éclair ove, sotto la guida di Roméo Bosetti, crea Casimir
(1913-1916). Riprende una normale carriera di attore negli anni Venti,
comparendo fra l’altro in Le Miracle des loups e in La Coquille et le
clergyman. / Bataille embodied Zigoto for Gaumont in 1911-1912,
before moving to Éclair, where he created Casimir (1913-1916)
under Roméo Bosetti’s guidance. He resumed film work as a regular
actor in the 1920s, appearing inter alia in Le Miracle des loups and La
Coquille et le clergyman.
CASIMIR, PÉTRONILLE ET L’ENTENTE CORDIALE (Éclair, FR 1914)
Regia/dir: Roméo Bosetti; cast: Lucien Bataille (Casimir), Sarah Duhamel
(Pétronille); incompleto/incomplete, 35mm, 119 m., 6' (18 fps).
Didascalie in francese / French intertitles.
Casimir e Petronille vogliono assistere ai festeggiamenti organizzati
per la visita di un principe. Malgrado le loro ardite acrobazie per
riuscire a vedere qualcosa, mancano in rapida successione la sfilata di
Vincennes e quella del Bois de Boulogne. Né hanno miglior fortuna
con il lancio di un dirigibile in onore degli invitati o con le corse ad
Auteuil. Infine, pur avendo prezzolato un domestico del Ministero
degli Esteri, mancano di nuovo la parata. Nel frattempo, però, un
secondo domestico ha notato i loro maneggi e li segnala come due
pericolosi anarchici ai poliziotti, che li sbattono fuori in malo modo.
(La copia presentata contiene materiale d’attualità.)
Casimir and Pétronille want to see the festivities organized for a
visiting prince. Despite perilous acrobatic manœuvres to see
something, they successively miss the procession at Vincennes and at
the Bois de Boulogne. They have scarcely more luck at the launch of
a dirigible in honour of the guests, nor at the races at Auteuil. Finally
they bribe a servant in the Ministry of Foreign Affairs, but still miss
the review. However, another valet has spotted their game and
reports them as dangerous anarchists to the police, who energetically
throw them out. (Note: This film contains actuality footage.)
CALINO ARROSEUR PUBLIC (Gaumont, FR 1910)
Regia/dir: Roméo Bosetti; cast: Clément Mégé (Calino); 35mm, 188
m., 6' (24 fps), mascherino sonoro/sound framing.
Senza didascalie / No intertitles.
Calino s’addormenta su un marciapiede ai piedi di una fontanella
pubblica e due giovani burloni ce lo legano saldamente … Risvegliato
da un passante, si rialza, e la fontanella, restando strettamente legata
al suo torso, annaffia tutti quanti con un potente getto d’acqua.
Calino falls asleep on the pavement at the foot of a public fountain,
and two young pranksters tie him to it. When he gets up, the
fountain, remaining tightly affixed to his torso, waters all the passersby with a powerful jet of water.
CALINO FAIT L’OMELETTE (Calino’s Omelette) (Gaumont, FR 1911)
Regia/dir: Jean Durand; cast: Clément Mégé (Calino), Gaston Modot,
Ernest Bourbon; Gaumont cat. no. 3732; 35mm, 125 m., 5' (18 fps).
Didascalie in inglese / English intertitles.
Calino ha invitato tre amici a pranzo. Ma dato che Madame si rifiuta
di cucinare, Calino decide di fare da solo la frittata, provocando
inevitabilmente qualche disastro. / Calino invites three friends to
lunch. But as Madame refuses to prepare the meal, Calino decides to
make the omelette himself. This does not fail to cause several
catastrophes.
Ci ss y (Cissy de Stamir)
CALINO CHEF DE GARE (Gaumont, FR 1912)
Regia/dir: Jean Durand; cast: Clément Mégé (Calino), Gaston Modot,
Berthe Dagmar, Marie Dorly, Eugène Bréon; Gaumont cat. no. 3966;
35mm, 142 m., 6' (18 fps), imbibito/tinted.
Didascalie in francese / French intertitles.
Calino è stato nominato capostazione. Ma la sua incompetenza
provoca catastrofi d’ogni sorta e alla fine una locomotiva attraversa la
stazione. / Calino has been appointed station-master. But his
incompetence results in all kinds of catastrophes, culminating in a
locomotive crossing the station.
CISSY SPIRITE (Thalie, FR 1914)
Regia/dir: Henri Gambard; cast: Cissy de Stamir (Cissy), Paul Guidé
(Freddy); dist: L’Étoile Film; Pathé cat. no. 6497; 35mm, 218 m., 10'
(18 fps), b&n e imbibito / b&w and tinted.
Didascalie in francese / French intertitles.
Al prossimo convegno spiritista, Biglove deve presentare l’imperatore
Napoleone. Con dei sotterfugi, sua nipote Cissy gli fa credere a
un’apparizione di Napoleone. Grazie a questo travestimento, Cissy
consegna a Biglove un messaggio dell’imperatore che autorizza le sue
nozze con il fidanzato Freddy.
At the next spiritualist congress, Biglove must present the Emperor
Napoleon. His niece Cissy uses tricks to make him believe in the
apparition of Napoleon. Thanks to this disguise, she delivers a word
from the Emperor to Biglove to consent to the marriage of Cissy and
her fiancé Freddy.
Prog. 4 (c.93')
Ca si mi r (Lucien Bataille, 1877-1953)
Bataille impersona Zigoto per la Gaumont nel 1911-1912, prima di
72
m’sieurs, dames (1902), directed by Alice Guy, and at Pathé, where he
was mostly directed by Ferdinand Zecca. After 1928 and the coming
of sound, he was much in demand for films on account of the
popularity of his songs. He does not rate so much as a series comic,
as a celebrated stage comic recording his songs and acts for film.
Cu né g o nd e
Nome e reale identità dell’attrice che ha creato Cunégonde sono
ancora avvolti nel mistero. Il suo ruolo è sempre quello della
domestica, piena di buone intenzioni e insieme di micidiale stupidità,
i cui migliori sforzi provocano spesso la completa distruzione della
splendida magione borghese dei suoi datori di lavoro.
The private identity and name of the actress who created Cunégonde
remains for the moment a mystery. Her role was always that of the
servant, entirely well-intentioned but stupid, whose best efforts
frequently resulted in the complete destruction of her employers’
beautiful bourgeois home.
CUNÉGONDE MEMBRE DE LA S.P.A. (Lux, FR 1912)
Regia/dir: ?; cast: ? (Cunégonde); 35mm, 54 m., 2' (18 fps).
Senza didascalie / No intertitles.
Cunegonda raccoglie un cavallo, un pesce, un pappagallo in gabbia, una
lepre e un cane e allestisce uno zoo nel proprio salotto. (La SPA del
titolo si riferisce alla Società per la Protezione degli Animali.)
Cunégonde collects a horse, a fish, a parakeet in a cage, a hare, and a
dog, and installs them in her drawing-room.
(The S.P.A. of the title is the Société Protectrice des Animaux, the
French equivalent of the British RSPCA and American ASPCA.)
Fo ui na r d (Georges Vinter, 1879-1945, nato/born Paul Pinvert)
Georges Vinter – talvolta Geroges Winter – è noto essenzialmente
come creatore, alla Pathé, del personaggio del detective Nick Winter,
che impersonò in maniera continuativa dal 1910 al 1921. In
precedenza, era comparso in Le Tour du monde d’un policier. Nel
1911-12 interpretò, in una serie di dieci film, un personaggio assai
differente: quello di Fouinard, barbone nemico dell’igiene, assai
somigliante ai vagabondi delle prime comiche e dei fumetti americani.
Questi film vennero girati agli studi Nizza, nella stessa città, sotto la
supervisione e spesso per la regia di Alfred Machin.
Georges Vinter – sometimes known as Georges Winter – was
principally known as the creator of Pathé’s detective character Nick
Winter, whom he continued to play from 1910 to 1921. Before this
he had appeared in Le Tour du monde d’un policier. In a series of 10
films made in 1911-12, however, he appeared in the very different
character of the insalubrious clochard Fouinard, who closely
resembles the tramps of American comics and early comedies. The
films were made at the Nizza Studios in Nice, under the supervision
and often direction of Alfred Machin.
D ra n e m (Armand Ménard, 1869-1935)
Adottando come nome d’arte un anagramma del proprio cognome,
Dranem lascia la carriera di apprendista gioielliere ed esordisce sul
palcoscenico nel 1894. L’anno seguente, insieme ai coetanei Félix
Mayol e Max Dearly, coglie il successo al “Concert Parisien”, per
passare poi, nel 1899, all’Eldorado, dove compare regolarmente nei
venti anni successivi. Utilizza i proventi della sua vasta popolarità per
istituire la Fondation Dranem, casa di riposo per artisti anziani sita
nello Château de Ris, che sopravvive fino al 2000 allorché viene
assorbita da una struttura pubblica. Tra il 1901 e il 1913 gira un certo
numero di film alla Gaumont – tra cui Bonsoir, m’sieurs, dames
(1902), diretto da Alice Guy – e alla Pathé, ove il suo regista abituale
è Ferdinand Zecca. Dopo il 1928 e l’avvento del sonoro, è molto
ricercato dal cinema grazie alla popolarità delle sue canzoni. Più che
per le sue serie comiche, egli è ricordato come celebre comico
teatrale che ha affidato al cinema le sue canzoni e i suoi numeri
scenici.
Adopting a stage name that was an anagram of his original family name,
Dranem abandoned a career as an apprentice jeweler and made his
stage debut in 1894. The following year, alongside contemporaries
Félix Mayol and Max Dearly, he enjoyed success at the “Concert
Parisien”, which carried him on, in 1899, to the Eldorado, where he
was regularly to appear for the next 20 years. He used the profits from
his great popularity to establish the Fondation Dranem, a home for
retired performers in the Château de Ris, which survived until 2000
when it was taken over as a government home. He made a score of
films between 1901 and 1913, both at Gaumont, including Bonsoir,
COMMENT FOUINARD DEVINT CHAMPION (Nizza, FR 1911)
Regia/dir: Alfred Machin? Henri Gambard?; cast: Georges Vinter
(Fouinard); Pathé cat. no. 4633; lg. or./orig. l: 200m.;
incompleto/incomplete, 35mm, 116 m., 5' (18 fps).
Senza didascalie / No intertitles.
Mentre ciondola in un negozio, il vagabondo Fouinard nota una giacca.
Sfacciatamente, la cambia col suo vestito di stracci che posa sul
manichino. Due commessi, accortisi della frode, lo inseguono.
Fouinard si mette a correre, saltando ostacoli, finché non si mischia,
senza accorgersene, a una corsa podistica. Fuori di sé, supera tutti i
corridori e taglia per primo il traguardo. Scambiato per il vincitore,
due “belle donne” gli assegnano il trofeo: un maiale. Ma i due
commessi, tenaci, l’acciuffano e gli tolgono la giacca.
A tramp (Fouinard), strolling through a shop, notices a jacket.
Shamelessly he exchanges it for his rags, which he puts on the
73
COMICI FRANCESI
FRENCH CLOWNS
LE RÊVE DE DRANEM (Un rêve de Dranem) (Pathé Frères, FR 1905)
Regia/dir: Ferdinand Zecca; cast: Dranem (se stesso/himself); Pathé
cat. no. 1173; 35mm, 26 m., 1' (16 fps).
Senza didascalie / No intertitles.
Dranem va a letto e sogna una bella donna che cambia di colore e che
diventa nera non appena la bacia. / Dranem goes to bed. He dreams
of a beautiful woman, who changes colour and becomes black as soon
as he kisses her.
mannequin. The two salesmen notice the deception and pursue him.
Fouinard starts to run, clearing obstacles, before getting mixed up in
a running race. Panicked, he overtakes all the runners and is first past
the winning post. Taking him for the winner, two “beautiful ladies”
award him the trophy: a pig. But the two tenacious salesmen
apprehend him and take off the jacket.
elegantly dressed Gavroche finds himself face to face with a burglar,
who forces him to exchange clothes. The police, on the trail of the
thief, occupy the house, while its occupants, alerted and scared,
barricade themselves in one room. A little game of hide-and-seek
between the various protagonists follows. Gavroche is captured and
taken to the police station. His future father-in-law recognizes him at
the same moment as the burglar in Sunday-best is unmasked in the
street by another policeman. Gavroche at last succeeds in convincing
everyone of his good faith, and is reunited with his sweetheart.
PARFUM TROUBLANT (Nizza, FR 1911)
Regia/dir: Alfred Machin? Henri Gambard?; cast: Georges Vinter
(Fouinard); Pathé cat. no. 4667; 35mm, 95 m., 4' (18 fps).
Senza didascalie / No intertitles.
In piena calura estiva, Fouinard, giulivo e senza un soldo, fa la lucertola
al sole sulla panchina di un giardino pubblico. I perturbanti effluvi che
emanano dalle sue suole surriscaldate, mettono celermente in fuga i
vicini, e il nostro vagabondo, dopo essersi goduto il suo riposo
solitario, porta a spasso altrove il suo olezzo primaverile.
In the powerful summer heat, Fouinard, happy and penniless, soaks up
the sun on a park bench. Troubling emanations which flow from his
over-heated boots quickly make his neighbours retreat, and our
vagabond, having enjoyed his solitary repose, moves on to spread his
springtime scent in other places.
Ga vr oc he (Paul Bertho)
Bertho è un chiaro esempio del sistema in base al quale l’identità dei
personaggi comici apparteneva alla casa cinematografica, piuttosto che
agli attori che li avevano creati. Alla Gaumont, pare che egli abbia
recitato in parecchi film della serie Calino, prima di passare alla Eclipse,
ove divenne Cri-Cri. All’Éclair creò il personaggio di Gavroche, per
incarnare infine Patouillard alla Lux. / Bertho exemplifies the system by
which the comic characters’ identities belonged to the company rather
than to the actors who created them. He appears to have starred in
several Calino films at Gaumont, before moving to Eclipse, where he
became Cri-Cri. At Éclair he created the character of Gavroche, and
finally, at Lux, became Patouillard.
GAVROCHE SCULPTEUR POUR RIRE (Éclair, FR 1913)
Regia/dir: Paul Bertho; cast: Paul Bertho (Gavroche);
incompleto/incomplete, 35mm, 126 m., 6' (18 fps).
Didascalie in tedesco / German intertitles; main title missing.
Gavroche e i suoi amici sono senza un soldo. Per ovviare al problema,
Gavroche informa suo zio, un artista, che sta per esporre al Salon due
statue di sua creazione: un Pigmalione e un eroe romano, incarnati in
realtà da due dei suoi complici. Chiede quindi allo zio di aiutarlo
finanziariamente per il loro trasporto. L’uomo, colpito dal talento del
nipote, esaudisce la sua richiesta e gli propone uno spuntino. Ma,
alzandosi, si accorge che le statue si sono mosse. Incuriosito, finge di
allontanarsi, e ricompare proprio mentre l’allegra brigata sta
festeggiando la riuscita del piano. Lo zio si affretta a riprendersi i suoi
soldi, non senza risparmaire a Gavroche una bella paternale.
Gavroche and his friends are penniless. To remedy their problem,
Gavroche informs his uncle, an artist, that he is exhibiting two statues
of his own creation at the Salon: a Pygmalion and a Roman hero, in
reality incarnated by two of his accomplices. He then asks his uncle
to assist him financially in order to transport them. Uncle, enchanted
by his nephew’s talent, accedes to his request and proposes a little
supper. But, rising from the table, he realizes that the statues have
moved. Intrigued, he pretends to leave, and reappears as the joyful
troupe celebrate the success of their plan. Uncle hurries to take back
his money, while lecturing Gavroche.
GAVROCHE CAMBRIOLEUR MALGRÉ LUI (Éclair, FR 1913)
Regia/dir: Paul Bertho; cast: Paul Bertho (Gavroche); 35mm, 169 m.,
8' (18 fps).
Didascalie in francese / French intertitles.
Giunto a casa dell’amata per chiedere la sua mano, Gavroche,
elegante e azzimato, si trova faccia a faccia con uno svaligiatore, che
lo costringe a scambiarsi d’abito. La polizia, all’inseguimento del ladro,
fa irruzione nella casa, mentre i suoi occupanti, agitati e impauriti, si
barricano in una stanza. Tra i vari protagonisti si scatena quindi un
gioco di nascondigli e inseguimenti. Gavroche viene catturato e
condotto al commissariato. Il suo futuro suocero lo riconosce
proprio mentre lo svaligiatore vestito a festa viene smascherato per
strada da un altro poliziotto. Gavroche riesce infine a convincerli della
sua buona fede e ritrova la sua beneamata.
Arriving at the home of his sweetheart to propose marriage, the
Go n tra n (René Gréhan)
Gontran apparve per la prima volta alla Pathé nel 1907, anticipando in
qualche misura lo stile dandy di Linder. Dopo pochi episodi Gréhan
cedette alle lusinghe della Éclair. Solo pochi dei suoi film sono
sopravvissuti. Secondo la pubblicità Éclair dell’epoca, in precendenza
egli era stato molto impegnto a teatro egli aveva avuto un’intensa
attività teatrale (Ambigu, Gymnase, Châtelet, Molière, Porte SaintMartin, Moderne, e Grand Guigno) ed era anche stato in tournée con
Coquelin il giovane. / Gontran first appeared at Pathé in 1907, to
some extent anticipating Linder’s dandy style. After a few episodes
Gréhan was lured to the Éclair company. Few of his films survive.
Éclair’s publicity of the period credits him with a long and busy
previous theatrical career at the Ambigu, Gymnase, Châtelet,
Molière, Porte Saint-Martin, Moderne, and Grand Guignol, as well as
tours with Coquelin the younger.
74
LÉONTINE GARDE LA MAISON (Dolly Stays at Home) (Nizza, FR
1912)
Regia/dir: Roméo Bosetti; cast: ? (Léontine); Pathé cat. no. 4849; lg.
or./orig. l: 155m.; incompleto/incomplete, 35mm, 96 m., 3' (24 fps),
mascherino sonoro/sound framing.
Senza didascalie / No intertitles.
I genitori di Léontine, bambina terribile, le affidano la custodia della
casa. Il fratellino e il grosso cane saranno le prime vittime: presa dai
suoi giochi, trascura entrambi e ben presto li perde. Allora mette un
annuncio sui giornali, sezione oggetti smarriti, in cui chiede la
restituzione di bambino e cane.
The parents of the enfant terrible Léontine entrust her to guard the
family home. Her little brother and the big dog will be the first
victims, since love of playing makes her neglect both baby and animal;
she soon loses them. She puts an advertisement in the newspapers
asking for the return of a baby and a dog.
J oh n (John Walter, nato/born Léon Haller)
Lil y
Quest’attrice non identificata offre un raro esempio di un
personaggio comico affidato a una bambina. / This unidentified actress
offers a rare instance of a female child comic.
LE QUADRUPLE ASSASSINAT DE JOHN (Monofilm, FR 1914)
Regia/dir: ?; cast: John Walter (John); 35mm, 112 m., 5' (18 fps), b&n
e imbibito / b&w and tinted.
Didascalie in francese / French intertitles.
John trova una lettera della moglie che gli comunica la sua assenza da
casa. Tutto arrabbiato va a dormire e nel sonno, sogna la donna che
si trucca per uscire. Lui cerca più volte di ucciderla, ma lei se la
scampa sempre. Quando si sveglia, John vede Madame rientrare con
un regalo per la sua festa ed è tutto felice di ritrovare la graziosa
consorte sana e salva.
John finds a letter from his wife informing him of her absence from
the house. Angry, John goes to sleep and dreams of his wife making
herself up to go out. He makes several attempts to kill her, but each
time she escapes unharmed. He wakes to see Madame John coming
in and offering him a gift for his name-day. John is happy to see his
sweet wife safe and sound.
LA JOURNÉE DE LILY (Éclair, FR 1913)
Regia/dir: ?; cast: ? (Lily); incompleto/incomplete, 35mm, 95 m., 5' (16
fps), b&n, imbibito, pochoir / b&w, tinted, and stencil-coloured.
Didascalie in francese / French intertitles.
La piccola Lily imita i gesti di una donna: si alza, si trastulla nel suo
bagno, si trucca, coglie un mazzo di fiori in giardino, beve champagne,
mangia e recita una preghiera prima di coricarsi. / Little Lily adopts the
mannerisms of a lady: she gets up, plays in her bath, makes up her
face, gathers a bouquet of flowers from the garden, drinks
champagne, eats, and says her prayers before going to bed.
Littl e M o ri tz (Moritz Schwartz)
Little Moritz è uno dei personaggi creati agli studi Pathé di Nizza sotto
la guida di Roméo Bosetti. Mingherlino e vivacissimo, dotato di un
nasone enorme e di un ghigno diabolico, è spesso impegnato in
schermaglie amorose o contrasti coniugali con la temibile Rosalie
(Sarah Duhamel). È difficile stabilire i dati biografici di quest’attore, che
viene costantemente confuso (persino dall’IMDb) con Maurice
Schwartz, attore yiddish di origine ucraina e regista tra l’altro di Tevya
Lé o nti ne
Il personaggio di Léontine compare negli studi di Nizza nel 1909, per
opera di Roméo Bosetti, ma purtroppo il nome dell’attrice che
interpretò uno dei primi personaggi femminili protagonisti di una
propria serie rimane ignoto. La serie iniziò con Léontine devient
75
COMICI FRANCESI
FRENCH CLOWNS
trottin, e nel 1912 annoverava ormai 21 titoli; Léontine garde la
maison è uno degli ultimi.
The character of Léontine was introduced by Roméo Bosetti at the
Nizza studios in 1909, but sadly the name of the actress who played
one of the first female characters to have her own series remains
unknown. The series began with Léontine devient trottin, and by
1912 had extended to 21 titles, of which Léontine garde la maison
was one of the last.
GONTRAN ET LE BILLET GRATUIT (Gontran et le billet de faveur)
(Éclair, FR 1913)
Regia/dir: Lucien Nonguet; cast: René Gréhan (Gontran), Léon
Mathot; 35mm, 113 m., 5' (18 fps), b&n e imbibito / b&w and tinted.
Didascalie in francese / French intertitles.
Gontran riceve dall’amico Napoléon Barbe un biglietto gratuito per il
teatro. Entusiasti, lui e la moglie vi si recano in tassì. Lì giunti, devono
però accontentarsi di essere sistemati nel loggione, dove il pubblico
non gli riserva la migliore accoglienza. Qualcuno propone loro un
palco frontale, ma anche lì, Gontran deve subire pressanti richieste di
soldi: guardaroba, mance, dolciumi … Alla fine, la coppia è costretta
ad andarsene. A conti fatti, la serata è costata piuttosto cara a
Gontran, che, l’indomani deve anche dare alla cameriera i soldi per la
spesa. Per di più l’amico Barbe viene a chiedergli un prestito. Gontran
giura che d’ora in poi pagherà sempre il proprio posto a teatro.
Gontran’s friend Napoléon Barbe gives him a free ticket for the
theatre. Delighted, he and his wife take a taxi to go there. Arriving,
they are placed in the gallery, where the audience does not give them
the kindest welcome. They are then offered a box, but there too
Gontran is solicited on all sides: cloakrooms, tips, candies… Finally
the couple are obliged to leave. In the end, the evening has cost
Gontran a lot, and the next day he still has to pay the maid for the
shopping. Added to this, his friend Barbe wants to borrow money.
Gontran promises himself that in future he will always pay for his seat
at the theatre.
travolgono il suo personaggio. Entente cordiale è un esempio
particolarmente suggestivo, in cui Max interagisce con una delle grandi
figure del music hall inglese e francese, Harry Fragson (1869-1913)./ A
light comedian in the theatre, he was recruited by Pathé in 1905, and
had already played in numerous comedies and established his style by
1909, when he took over from the departing André Deed. The Max
series confirmed him as the first great comedian of the screen,
inexhaustible in invention and impeccable in style and technique.
Unlike his contemporaries, who generally exploited their own
grotesque eccentricity, Max understood the comedy of the contrast
between his own elegance and the grotesque adventures that beset
him. Entente Cordiale is exceptionally fascinating as showing Max
interacting with one of the great figures of English and French music
hall, Harry Fragson (1869-1913).
(Tevye il lattaio, 1939). Pare comunque che abbia lavorato anche come
fantino, acrobata, mimo, ballerino e cantnate di music-hall. In due film
di Bosetti interpreta Chabichou, un personaggio che ebbe una vita
assai breve. / Little Moritz was one of the characters created at Pathé’s
Nice Studios under the direction of Roméo Bosetti. Diminutive,
quicksilver, with a huge nose and demonic grin, he was often in
amorous pursuit or conjugal battle with the stalwart Rosalie (Sarah
Duhamel). Biographical information on the actor is hard to establish,
because of the persistent confusion (notably including the IMDb) with
Maurice Schwartz, the Ukrainian-born Yiddish actor and director
(inter alia) of Tevya (Tevye the Milkman, 1939). He is said however to
have been jockey, acrobat, mime, dancer, and music-hall singer; and in
two Bosetti films appeared as the short-lived character Chabichou.
LITTLE MORITZ CHASSE LES GRANDS FAUVES (Pathé Comica, FR
1911)
Regia/dir: Alfred Machin; f./ph: Paul Sablon; cast: Moritz Schwartz
(Little Moritz), Mimir (il gattopardo/the leopard); Pathé cat. no. 4706;
35mm, 268 m., 13' (18 fps).
Didascalie in francese / French intertitles.
Little Moritz è partito per la caccia grossa in Africa. Con alcuni
indigeni, s’avventura nella giungla, dove si trova faccia a faccia
rispettivamente con una iena, un boa e un leopardo. Spaventato, trova
la salvezza nella fuga e si consola con la cattura di un inoffensivo
coniglio. Ma quando si tratta di affrontare un rinoceronte, Little
Moritz decide di levare le tende. Per non perder la faccia, acquista
alcuni animali selvaggi e li riporta con sé al villaggio, dove viene
accolto come un eroe. Mentre fa il racconto delle sue prodezze, un
leopardo scappa dalla gabbia e divora lo sfortunato cacciatore.
Little Moritz has gone to Africa to hunt big game. With some natives,
he ventures into the jungle, and finds himelf successively face to face
with a hyena, a boa constrictor, and a leopard. Frightened, he finally
decides on flight, and contents himself with the capture of a harmless
rabbit. Confronted by a rhinoceros, he decides this time to break
camp. So as not to lose face, he buys some wild animals, and takes
them back to his village, where he is greeted as a hero. While he is
relating the story of his exploits, a leopard escapes from its cage and
devours the unfortunate hunter.
TROP AIMÉE (Pathé Frères, FR 1910)
Regia/dir: ?; cast: Max Linder (Max); Pathé cat. no. 3821; lg. or./orig. l:
180 m.; 35mm, 77 m., 3' (18 fps). Versione ridotta per 28mm/
Complete condensed version from a 28mm print.
Didascalie in francese / French intertitles.
Max legge sugli annunci economici che una giovane milionaria
americana è in cerca di un marito. Impegnandosi nella conquista, Max
scatena la gelosia dei numerosi grossi cani di compagnia della giovane
americana. Il giorno delle nozze, i cani riescono a fuggire dal canile e
inseguono Max fin sul tetto di un edificio. Minacciato dai molossi, lo
sconfortato Max affida a uno dei cani una lettera di rottura: preferisce
rinunciare alla giovane donna piuttosto che essere, parole sue,
“divorato dai suoi amici”.
Max learns from the “personal” ads in a newspaper that a young
American millionairess is looking for a husband. Embarking on the
conquest of the young lady, Max provokes the jealousy of her
numerous big pet dogs. On the wedding day, the dogs succeed in
escaping from the kennel, and chase Max onto the roof of a building.
Menaced by the canines, the discouraged Max entrusts a dog with a
break-up letter: he prefers to renounce the young lady rather than
be, as he writes, “devoured by her friends”.
LES DÉBUTS DE MAX AU CINÉMATOGRAPHE (Max fait du
cinéma) (Pathé Frères, FR 1910)
Regia/dir: Louis J. Gasnier?, Lucien Nonguet?; cast: Max Linder (Max),
Charles Pathé; Pathé cat. no. 3895; lg. or./orig. l: 185m.; 35mm, 158
m., 7' (18 fps).
Didascalie mancanti / Missing intertitles.
Con una lettera d’introduzione, Max si presenta a M. Charles Pathé.
Deve poi passare da una persona all’altra finché non si trova di fronte
a un regista che lo sottopone ad alcune prove: cantare, ballare,
eseguire una capriola, ricevere uno schiaffo. Di lì a breve, lo si convoca
per un provino. Ma quando il regista gli chiede di fare le boccacce
davanti alla cinepresa, Max si rivolta indignato contro i suoi
tormentatori.
M a x (Max Linder, 1883-1925, nato/born Gabriel-Maximilien
Leuvielle)
Attore teatrale di commedie leggere, è ingaggiato dalla Pathé nel 1905;
entro il 1909 ha già recitato in numerose comiche e ormai definito il
proprio stile, e appunto in quell’anno raccoglie il testimone di André
Deed, che lascia la casa di produzione. La serie di Max conferma il suo
rango di primo grande comico dello schermo, per l’inesauribile
fantasia inventiva, lo stile cristallino e la tecnica impeccabile. A
differenza dei suoi contemporanei, solitamente usi sfruttare la loro
stessa grottesca eccentricità, Max comprende il potenziale comico del
contrasto fra la propria eleganza e le grottesche avventure che
76
un gioielliere manda a fare la consegna il suo impiegato Robert, di cui
ha piena fiducia. Malgrado le proteste dell’impiegato, Moustache, il
cane del padrone, si ostina a seguirlo. Cammin facendo, alcuni cattivi
incontri sviano Robert dal suo percorso. Egli si lascia infatti trascinare
in una bettola, dove ben presto i fumi dell’alcol gli ottenebrano la
mente. Poi, rimessosi in cammino con passo malfermo, perde la
preziosa borsa che gli è stata affidata. Il cane Moustache cerca invano
di richiamarlo al senso del dovere. Robert, stufo dell’insistenza del
cane, estrae il revolver e lo scarica a bruciapelo sulla povera bestia.
Moustache, ferito e barcollante, trova ancora la forza di trascinarsi
fino alla borsa, che copre col proprio corpo. Tornato dal gioielliere,
l’impiegato, improvvisamente sobrio, prende coscienza dell’errore
commesso. Sconvolto, torna sulle tracce del cane in compagnia del
suo padrone e ritrova la borsa intatta. Ma il buon cane non riesce a
sopravvivere alle ferite e muore nelle braccia del suo padrone.
A jeweller, receiving an order for a valuable pearl necklace, sends his
trusted employee Robert to deliver it. Despite his master’s
confidence in Robert, the boss’s dog Moustache insists on following
him. On the way, bad encounters divert Robert from his mission. He
lets himself be lured to a cabaret, and is soon befuddled by drink,
losing the precious bag entrusted to him. The dog Moustache tries
vainly to remind him of his duty. Tired of the dog’s insistence, Robert
draws his revolver and fires it point blank at the poor animal.
Moustache, wounded, falling at every step, still finds the strength to
drag himself to the satchel, which he covers with his body. Returning
to his master, Robert, suddenly sober, realizes the wrong that he has
done. Distraught, he returns on the trail of the dog together with his
boss, and finds the satchel intact. But the faithful dog cannot survive
his wounds, and dies in the arms of his master.
ENTENTE CORDIALE (Max et l’entente cordiale) (Pathé Frères, FR
1912)
Regia/dir: Max Linder; cast: Max Linder, Harry Fragson (se
stessi/themselves), Jane Renouardt (la servetta/the maid); Pathé cat.
no. 5402; lg. or./orig. l: 380 m.; incompleto/incomplete, 35mm, 225
m., 10' (18 fps).
Didascalie in francese / French intertitles.
L’umorista Fragson traversa la Manica per passare un mese a Parigi a
casa del suo collega Max Linder, il re della risata. Per ospitare l’amico,
Max assume una servetta bionda e carina, che infiamma i cuori dei due
scapoli. I due uomini diventano i cavalier serventi della servetta
troppo carina, cui altro non resta da fare che sognare il principe
azzurro, che le si palesa con i tratti del seducente Max.
The British comic singer Fragson crosses the Channel to spend a
month in Paris with his colleague Max Linder, the King of Laughter.
To welcome his friend, Max engages a pretty little blonde maid, who
inflames the hearts of the two bachelors. They both become the
faithful squires of the ravishingly pretty maid-servant, who henceforth
only has to dream of her Prince Charming, who appears to her with
the features of the seductive Max.
Prog. 5 (c.72')
Oné s im e (Ernest Bourbon, 1886-1954).
Non sorprende che Onésime – con le sue fantastiche visioni di
carrozze ferroviarie di prima classe e salotti alla moda popolati da
mucche e cammelli – sia stato il comico più amato dai surrealisti; la
più strana e inquietante delle sue invenzioni rimane comunque
Onésime contre Onésime. “Avevo creato e perfezionato questo
personaggio nel music hall prima di esordire nel cinema; è un jeune
premier comico, preoccupato solo della propria eleganza – giacca,
bombetta grigia, ghette bianche e guanti immacolati –, un po’ scemo,
ma all’occorrenza più astuto degli altri.” La serie “Onésime” dura dal
1912 al 1914, mentre la carriera cinematografica di Bourbon si
protrae ancora per qualche anno: in età più avanzata egli dirige una
scuola di acrobati a Belleville.
Not surprisingly, Onésime was the best-loved comedian of the
Surrealists, with his fantasies of cows and camels in fashionable salons
and first-class railway carriages, though Onésime contre Onésime
remains the most strange and haunting of all his inventions. “I had
created and polished this character in the music hall before I came to
the cinema. He was a comic jeune premier, concerned to be elegant
– jacket, grey bowler, white spats, and clean gloves – a bit of an idiot,
M ou sta c he (Barnum)
Stimolata senza dubbio dal successo dei divi a quattro zampe della
serie Babylas, la Pathé riserva serie di breve durata a due cani, Médor
e Barnum, che assume il nome d’arte di Moustache. Addestrato dal
suo padrone, Roméo Bosetti in persona, Barnum dispone di un
talento versatile che, come dimostra Fidèle à la mort, può tratteggiare
con zampa felice i toni dell’eroismo e della tragedia. / No doubt
inspired by the success of the animal stars in the Babylas series, Pathé
allotted short-lived series to two dogs, Médor and Barnum, who
adopted the nom d’art of Moustache. Barnum – trained by his owner,
Roméo Bosetti himself – was versatile and as he shows in Fidèle à la
mort, could, when need arose, turn his paw to heroic tragedy.
FIDÈLE JUSQU’À LA MORT (Faithful unto Death) (Nizza, FR 1911)
Regia/dir: Roméo Bosetti; cast: Barnum (Moustache [nella versione
inglese/English print: Caesar]); Pathé cat. no. 4358; lg. or./orig. l:
185m.; 35mm, 166 m., 8' (18 fps).
Didascalie in inglese / English main title and intertitles.
Avendo ricevuta l’ordinazione di una collana di perle di grande valore,
77
COMICI FRANCESI
FRENCH CLOWNS
Max presents himself with a letter of introduction to Mr. Charles
Pathé. He is then passed from hand to hand, to find himself
confronted by a director who has him make several tests: sing, dance,
do a cabriole, take a slap. A little while later he is recalled for a tryout. When the director asks him to pull a face in front of the camera,
Max revolts, and rounds on his torments.
but on occasion more cunning than the rest.” The Onésime series
lasted from 1912 to 1914: Bourbon’s film career lasted a few years
more, and in later life he ran a school of acrobatics in Belleville.
OSCAR AU BAIN (Gaumont, FR 1913)
Regia/dir: Léon Lorin; cast: Léon Lorin (Oscar), Angèle Lérida
(Violette), Marie Dorly; Gaumont cat. no. 4276; 35mm, 234 m., 11'
(18 fps), imbibito/tinted.
Didascalie in francese / French intertitles.
Oscar incontra una giovane donna, Violette, che subissa di continue
attenzioni fino a diventare importuno. Di buon mattino, si reca in
visita alla sua nuova conquista, che fa svegliare. Violette, adirata,
rimanda la cameriera a dirgli: che vada a farsi un bagno! Prendendo il
messaggio alla lettera, Oscar si installa nella vasca da bagno.
Oscar meets a young woman, Violette, whom he pursues with an
assiduity verging on importunate. Very early one morning he visits his
new conquest, whom he awakens. Annoyed, Violette sends her maid
to tell him “Go take a bath!” Taking the message literally, Oscar
installs himself in the bathtub.
ONÉSIME CONTRE ONÉSIME (Gaumont, FR 1912)
Regia/dir: Jean Durand; cast: Ernest Boubon (Onésime), Gaston
Modot (cliente nel ristorante/customer in restaurant); scg./des:
Robert-Jules Garnier; Gaumont cat. no. 4054; 35mm, 228 m., 8' (24
fps), mascherino sonoro/sound framing.
Didascalie in francese / French intertitles.
Allegoria. Il buon Onésime e il cattivo Onésime si affrontano. Quello
buono corteggia la cuoca e le fa un baciamano, poi va in cucina a lavare
i piatti. Il cattivo le si avvicina e si comporta male, ma è il buono a
prendere lo schiaffo. Una sera, però, il buon Onésime si arrabbia e
abbandona il cattivo. Questi ne approfitta per comportarsi ancora
peggio. Al ristorante, siedono uno di fronte all’altro e litigano. Una volta
usciti, ingaggiano una gara a nascondino dietro una fila di tronchi, finché
non si ritrovano entrambi dietro lo stesso albero. L’inseguimento
continua: il primo, arrivato su un ponte, si butta in acqua e il secondo
lo segue facendo una capriola. Non riuscendo ad aver ragione
dell’avversario, il buon Onésime lo fa a pezzi e se lo mangia. In un
salotto, Onésime s’addormenta sul divano, l’altro si avvicina minaccioso
e lo scuote: un braccio vola via, poi l’altro braccio, poi il busto…
Allegory. The good and the bad Onésime are in conflict. The kind
Onésime courts the cook and kisses her hand, then does the washingup. The bad one approaches her and behaves badly, but the good one
gets slapped. One night the good Onésime gets mad and leaves the
bad one, who profits from this to behave even worse. In a restaurant
they sit face-to-face at a table and quarrel. On leaving, they begin a
game of hide-and-seek behind rows of tree trunks, then both find
themselves behind the same tree. The chase continues; the first to
arrive at a bridge jumps into the water, then the second does
likewise, performing a somersault. As he cannot overcome his
adversary, the good Onésime takes him to pieces and eats him. In a
drawing-room, Onésime falls asleep on a sofa, and the other
approaches threateningly and shakes him: an arm flies, then a second,
then the bust…
P a p il lo n (Cauroy)
A quanto risulta, fra il 1913 e il 1914 Cauroy appare in parecchi film
della serie “Papillon”. È interessante notare come l’unica altra sua
interpretazione conosciuta sia quella di Asile de nuit (1929), di cui è
co-regista Maurice Champreux, ex operatore e montatore di
Feuillade. (Intorno al 1900, un attore con questo cogname risulta
lavorare con le compagnie teatrali della Bernhardt e di Coquelin.)
Cauroy is recorded as featuring in several Papillon films in 1913-1914.
Interestingly, his only other known performance was in Asile de nuit
(1929), co-directed by Feuillade’s former cameraman and editor
Maurice Champreux. (A supporting actor with this family name was
credited in the Bernhardt and Coquelin theatre companies in the
years around 1900.)
PAPILLON PREND LA MOUCHE (Monsieur Papillon prend la
mouche) (Eclipse, FR 1913)
Regia/dir: ?; cast: Cauroy (Papillon); 35mm, 240 m., 11' (18 fps).
Didascalie in francese / French intertitles.
In barba alle canzonature degli amici, M. Papillon si accinge a sposare
Virginie. Durante la cerimonia, una mosca va a posarsi sulla guancia
della fidanzata, che lui schiaffeggia per scacciare l’insetto. Costretto ad
allontanarsi in fretta, prende per errore il soprabito di Auguste
Durayon, il cugino di Virginie. Tornato a casa, se la piglia con una
mosca che gli vola attorno. Poi scopre per caso, nelle tasche del
soprabito, una lettera d’amore che Virginie ha mandato ad Auguste.
Papillon prova eterna riconoscenza per quell’insetto che gli ha
impedito di sposarsi e lo circonda di premure.
Mr. Papillon prepares to marry Virginie, despite the teasing of his
friends. But during the marriage ceremony a fly settles on the cheek
of his fiancée, whom he slaps to get rid of the insect. Obliged to leave
the wedding in a hurry, he mistakenly takes the overcoat of Auguste
Durayon, Virginie’s cousin. Returning home, he is bothered by a fly
buzzing around him. Then by chance he discovers in the pocket of the
overcoat a love letter from Virginie to Auguste. Henceforth, Papillon
Osc a r (Léon Lorin)
Sembra che Lorin abbia interpretato circa una dozzina di film Gaumont
della serie “Oscar”, per lo più con la regia di Louis Feuillade. Lo
troviamo anche con questo personaggio in alcuni film fatti alla Pathé
nel 1912 e alla Cosmograph nel 1914. Continua a lavorare nel cinema
fino agli anni Trenta, e il suo ultimo ruolo è quello del vecchio signore
sordo in À nous la liberté di René Clair (1932). / Lorin seems to have
made a dozen or so Oscar films at Gaumont, mostly directed by Louis
Feuillade. He also appears in the character however in a few films
made at Pathé in 1912 and at Cosmograph in 1914. Lorin continued
to work in films through the 1930s, his final appearance being as the
deaf old gentleman in René Clair’s À nous la liberté (1932).
78
ingaggiarlo nel 1908. Recita per due anni in serie comiche, dirette per
lo più da Georges Monca, prima di iniziare una carriera autonoma nei
panni di Rigadin. Questa serie, la più longeva di tutte, dura oltre dieci
anni: in questo archi di tempo Rigadin dichiarerà di aver girato in
totale 582 film, in media di uno alla settimana. Attore comico di buon
livello, Prince crea un personaggio di piccolo borghese compiaciuto,
aggrappato alle convenzioni e alla rispettabilità, derivante in larga
misura dal vaudeville. / Prince was already a considerable comedy star
in vaudeville and legitimate comedy when Pathé’s affiliate S.C.A.G.L.
succeeded in recruiting him in 1908. He worked in comedies, mostly
directed by Georges Monca, for two years before embarking on his
own career as Rigadin. The series was the most durable of all, lasting
for more than ten years, during which Rigadin, averaging a film a
week, claimed to have made a total of 582. A good comic actor,
Prince’s character of a beaming petit-bourgeois, clinging to
respectability and convention, was much derived from vaudeville.
P a to ui ll a rd (Paul Bertho) → G a vro ch e
PATOUILLARD ET L’OURS POLICIER (Bill and the Bear) (Lux, FR
1911)
Regia/dir: ?; cast: Paul Bertho (Patouillard); 35mm, 162 m., 7' (18 fps),
imbibito/tinted.
Didascalie in inglese / English main title and intertitles.
Il capo della polizia ricorre all’aiuto di Patouillard e del suo orso
ammaestrato per arrestare dei criminali. Affiancati da due agenti
paurosi, Patouillard e il suo compagno riescono a fermare due
borseggiatori. Poi si lanciano all’inseguimento di alcuni scassinatori.
L’orso li raggiunge mentre tentano di fuggire in barca, riportandoli a
riva uno ad uno. Poi, al commissariato, si festeggia il suo successo.
The police chief calls on Patouillard and his talented bear to arrest
criminals. Assisted by two fearful policemen, Patouillard and his
companion manage to overcome two armed robbers. Then they set
off in pursuit of burglars. The animal traps them as they try to flee in
a boat, and brings them back one by one to the bank. Afterwards his
success is celebrated at the police station.
RIGADIN AMOUREUX D’UNE ÉTOILE (S.C.A.G.L., FR 1910)
Regia/dir: Georges Monca; cast: Charles Prince (Rigadin), André
Simon, Régina Sandri; Pathé cat. no. 3799; lg. or./orig. l: 170 m.;
35mm, 150 m., 7' (18 fps).
Senza didascalie / No intertitles.
Rigadin è innamorato di una ballerina e, per avvicinarla, decide di
trasformarsi in parrucchiere. Lei ha già attirato nella sua rete un
barone. Rigadin, un pomeriggio, si sostituisce alla ballerina. L’anormale
taglia dei piedi che sbuca sotto l’orlo di una vaporosa veste da
pomeriggio disincanta il povero barone, che si dilegua all’istante.
Qualche ora più tardi, la ballerina riceve un regalo sotto forma d’un
paio di calzature enormi. Si consolerà con il suo fedele parrucchiere.
Rigadin is in love with a dancer, and to get close to her becomes a
hairdresser. The dancer has also caught a Baron in her net. One
afternoon Rigadin takes the dancer’s place. The unusual size of the feet
which protrude from under the hem of a filmy afternoon dress
disillusions the poor Baron, who hurries to escape. Some hours later,
the dancer receives a parting gift in the form of a pair of enormous
shoes. However, she consoles herself with her faithful hairdresser.
P é tro n ill e (Sarah Duhamel) → R os a li e
P ol yc a rp e (Charles Servaës)
Presso l’Eclipse, Servaës crea i personaggi comici di Polycarpe e
Séraphin. Suo fratello Ernest diresse tre film della serie con Polycarpe,
ma con un altro attore, Edouard Pinto. / At Eclipse, Servaës created
the comic series characters Polycarpe and Séraphin. His brother
Ernest Servaës also directed three Polycarpe films, also at Eclipse,
with a different actor, Edouard Pinto.
LA CHEMISE DE POLYCARPE (Eclipse, FR 1914)
Regia/dir: Ernest Servaës; cast: Charles Servaës (Polycarpe); 35mm, 61
m., 2' (18 fps), imbibito/tinted.
Didascalie in francese / French intertitles.
Per fare uno scherzo a Polycarpe, le lavandaie gli restituiscono una
camicia talmente inamidata da risultare rigida. Dapprima seccato da
questa “armatura” che gli nasconde la testa, lui ci si adatta e ne
approfitta per giocare dei tiri mancini alle persone che incontra.
To play a joke on Polycarpe, the washerwomen starch his shirt so
much that it is rigid. At first embarrassed by this “armour” which
hides his head, he gets used to it, and makes use of it to play tricks
on people he meets.
Rom é o (Roméo Bosetti, 1879-1948, nato/born Romulus Joseph
Bosetti)
Artista di circo e music hall di origine italiana, Roméo Bosetti giunge
alla Pathé nel 1906 insieme ad André Deed, ma viene presto portato
via dalla Gaumont, che riconosce la supremazia della Pathé nel campo
delle comiche. Nel 1908 egli avvia la sua serie personale, “Roméo”, –
ma successivamente giunge a dirigere l’intera produzione comica della
casa, lanciando personaggi come Calino. In seguito ritorna alla Pathé
per assumere la direzione degli studi nicesi Comica e Nizza, dove può
annoverare fra le sue star Little Moritz, Sarah Duhamel (Rosalie) e
Léontine. / An Italian-born circus and music hall performer, Roméo
Bosetti joined Pathé in 1906, along with André Deed, but was soon
poached by Gaumont, who recognized Pathé’s lead in star comic
Ri g a d in (Charles Prince, 1872-1933, nato/born Charles Ernest René
Petitdemange)
Prince è già un’affermata star comica del vaudeville e del teatro vero
e proprio quando la S.C.A.G.L., affiliata della Pathé, riesce a
79
COMICI FRANCESI
FRENCH CLOWNS
feels himself eternally grateful to the insect for having prevented his
marriage, and lavishes attention on it.
series. In 1908 he embarked on his own Roméo series, though
subsequently he took charge of the company’s comic production,
launching such comedians as Calino. In time he returned to Pathé to
take charge of the Comica and Nizza Studios in Nice, where his stars
included Little Moritz, Sarah Duhamel (Rosalie), and Léontine.
made her stage debut at the age of 3, and had a very successful career
as a child actress in theatres that included the Odéon and Théâtre
Libre – both around the appropriate period directed by Antoine.
Duhamel was reported as being especially enthusiastic about the
possibilities of cinema and was praised (in Cinéma et l’Écho du
Cinéma réunis, 13 June 1913) “for bringing to the cinema the
combination of her precious talent and her courage in every
challenge”. The Rosalie series of 11 films ran from November 1912 to
April 1915, after which she made the Pétronille series for Éclair. She
frequently partnered Little Moritz and Casimir. With the end of the
Pétronille series in 1916 she only made one further appearance in
films, in Les Mystères de Paris (1922), directed (significantly?) by the
son of Antoine. In April 1915 she married the actor Edouard Louis
Schmit, who worked under the name of Darmène.
ROMÉO CHASSE LE PAPILLON (Roméo collectionne les papillons)
(Pathé Comica, FR 1913)
Regia/dir: Roméo Bosetti; cast: Roméo Bosetti (Roméo); Pathé cat.
no. 5961; lg. or./orig. l: 125 m.; 35mm, 81 m., 3' (20 fps). Film
resaturato a partire da una copia Pathé-KOk 28mm. / Restored using
a 28mm Pathé-Kok print.
Didascalie in francese / French intertitles.
Roméo, allettato dalla ricca ricompensa offerta da un collezionista per
la cattura della “farfalla dal manto rosso”, va in campagna. Sale su un
palo del telegrafo e, dall’alto del suo osservatorio, scopre la rarissima
farfalla che, da quel momento, diventa oggetto di un accanito
inseguimento. Dopo aver messo a soqquadro un picnic e mandato a
gambe all’aria alcuni convitati, essersi arrampicatosi sugli altri, aver
ridotto in frantumi una vetrina, ecc. ecc., Roméo s’appresta a saltare
sul lepidottero nel bel mezzo di un gruppo di avventori seduti sulla
terrazza di un caffè. Questi però, più svelti di lui, catturano il fragile
insetto e lo schiacciano!
Roméo, tempted by the superb prize offered by a collector for the
capture of the “Redskin Butterfly”, takes off for the country. He
climbs a telegraph pole, and from the height of his observatory spots
the very rare butterfly, which thereupon becomes the object of an
unremitting pursuit. He wrecks a picnic, overturning the guests,
climbs over the others, pulverizes a glass shop’s window display, etc.
Roméo finally prepares to leap on his lepidoptera, in the midst of
diners on the terrace of a café. But they, faster than he, seize the
fragile insect and squash it!
ROSALIE N’A PAS LE CHOLÉRA (The New Cook) (Pathé Comica,
FR 1911)
Regia/dir: ?; cast: Sarah Duhamel (Rosalie); Pathé cat. no. 4743; lg.
or./orig. l: 175 m.; 35mm, 162 m., 7' (18 fps), imbibito/tinted.
Titolo di testa e didascalie in inglese / English main title and intertitles.
Monsieur e Madame Pepitas sono in cerca di una cameriera. Si
rivolgono quindi a un ufficio di collocamento e sdegnando una lunga
sfilza di “cordon-bleu”, scelgono Rosalie, una servetta vispa,
risplendente di forza e d’allegria. Furibonde, le cuoche snobbate si
vendicano della compagna inviando ai suoi nuovi padroni un biglietto
così concepito: “State attenti, la vostra cameriera ha il colera.” La loro
cattiveria porta i suoi frutti e la povera Rosalie, messa in quarantena,
subisce le cure più severe al fine di scongiurare la terribile malattia.
Isolata in un cantina, sottoposta a docce, bagni di vapore, inondata di
antisettici, la povera ragazza, mezzo morta, riesce infine a farsi
ascoltare e a convincere i suoi padroni di non aver mai avuto il colera.
Monsieur and Madame Pepitas are looking for a maid. They go to an
employment agency, and, disdaining a long line of cordons bleus,
settle on Rosalie, a simple skivvy but radiant with strength and gaiety.
The furious rejected cooks revenge themselves on their comrade by
writing a letter to her new employers: “Beware, your maid has
cholera”. Their spite bears fruit, and poor Rosalie, put in quarantine,
undergoes the most rigorous treatments to ward off the terrible
sickness. Isolated in a cellar, showered, put in a steam-oven, flooded
with antiseptics, the poor girl, half-dead, finally succeeds in making
herself understood, and convinces her employers that she has never
had cholera.
Ro sa li e (Marie-Marguerite Sarah Duhamel, 1873-?)
Si sa ben poco di quest’attrice: nata a Rouen, esordisce sul
palcoscenico a tre anni e può vantare una carriera di grande successo,
come attrice bambina, in teatri come l’Odéon e il Théâtre Libre – in
entrambi i casi nel periodo della direzione di Antoine. A quanto
sembra, Duhamel nutriva un entusiasmo particolare per le possibilità
del cinema e si guadagnò anzi un caldo elogio (in Cinéma et l’Écho du
Cinéma réunis, 13 giugno 1913) “per aver donato al cinema il suo
prezioso talento, arricchito dal coraggio con cui affronta qualsiasi sfida”.
La serie “Rosalie” si dipana dal 1911 al 1913 per complessivi 11 film,
quindi Sarah realizza la serie “Pétronille” per l’Éclair. Tra i suoi partner
più frequenti vi sono Little Moritz e Casimir. Dopo la conclusione della
serie “Pétronille” nel 1916, ella compare una sola volta sullo schermo,
Les Mystères de Paris (1922), diretto (significativamente?) dal figlio di
Antoine. Nell’aprile del 1915 si sposa con l’attore Edouard Louis
Schmit, che lavorava col nome di Darmène.
Little is known of this actress except that she was born in Rouen,
LES ARAIGNÉES DE ROSALIE (Pathé Comica, FR 1913)
Regia/dir: Roméo Bosetti; cast: Sarah Duhamel (Rosalie); Pathé cat.
no. 5485; lg. or./orig. l: 165 m.; 35mm, 70 m., 3' (16 fps). Film
incompleto (finale mancante)/ Incomplete (missing ending).
Didascalie in francese / French intertitles.
Rosalie, domestica presso una famiglia, è superstiziosa e non esita a
sacrificare gli oggetti che le capitano sottomano per uccidere i ragni
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TARTINETTE RÊVE AUX EXPLOITS DE BADIGEON (Tartinette’s
Dream) (Le Film Parisien, FR 1914)
Regia/dir: ?; cast: Jeanne Bloch (Tartinette), Fernand Frey (Badigeon);
35mm, 171 m., 8' (18 fps), b&n e imbibito/ b&w and tinted.
Titolo di testa e didascalie in francese e inglese / French and English
main title and intertitles.
Tartinette legge il giornale e scopre che Badigeon ha ucciso un altro
leone. Volendo vedere il suo eroe da vicino, parte per Marsiglia.
Durante lo sbarco, si addormenta e sogna di trovarsi nella savana con
Badigeon, che la proclama imperatrice del deserto e le fa indossare
una pelle d’animale. Badigeon cerca Tartinette che si è persa nella
foresta, la scambia per una tigre e s’arrampica veloce su un albero. Lei
lo prende in giro. Al suo risveglio, l’immagine idealizzata che aveva di
Badigeon si è dissolta.
Tartinette reads in the newspaper that Badigeon has just killed a lion.
She wants to see this hero, and sets off for Marseille. On the way she
falls asleep and dreams. She imagines herself in the brush with
Badigeon, who declares her empress of the desert and dresses her in
an animal skin. Tartinette gets lost in the forest, and Badigeon
searches for her. Mistaking her for a tigress, he climbs up a tree. She
teases him. Waking, her former ideal image of Badigeon is destroyed.
Séraphin (Charles Servaës) → P o ly ca rp e
LE CHIEN DE SÉRAPHIN (Eclipse, FR 1914)
Regia/dir: Émile Pierre; cast: Charles Servaës (Séraphin); 35mm, 107
m., 5' (18 fps), imbibito/tinted. Film incompleto (finale mancante)/
Incomplete (missing ending).
Didascalie in francese / French intertitles.
Séraphin se n’è andato di casa dopo una lite coniugale. Manda quindi
il suo cane a riprendergli il cappello che ha dimenticato. Il caso vuole
però che la moglie, prima di partire a sua volta, abbia ceduto le sue
cose a un venditore ambulante. Bredouille, il cane, riporta al padrone
un cappello troppo grande, rubato a un cieco. L’animale ne ruba un
altro dalla vetrina di un cappellaio, che si lancia all’inseguimento di
Séraphin e del suo cane.
Séraphin has left home after a marital dispute. He sends his dog to
find his hat, which he has left behind. But, out of spite, his wife has
sold his things to a peddler before leaving in her turn. Bredouille the
dog brings his master a hat that is too large, stolen from a blind man.
The animal thereupon steals another from the display of a hatter,
who launches a chase after Séraphin and his dog.
Titi
Allo studio Comica della Pathé, Roméo Bosetti cercava
evidentemente un comico bambino da contrapporre a Bébé e Bout de
Zan della Gaumont e a Willy della Éclair. L’identità di questo piccolo
discolo ci è purtroppo ignota. Lo scherzo con la colla in La Colle forte
de Titi è assai verosimilmente ispirato a Klebolin klebt alles (1909),
interpretato da un Curt Bois di otto anni.
At Pathé’s Comica Studio, Roméo Bosetti evidently sought a child
comic in response to Gaumont’s Bébé and Bout de Zan and Éclair’s
Willy. Unfortunately the identity of this naughty child is not known.
The glue joke in La Colle forte de Titi looks very much as if it might
have been borrowed from Klebolin klebt alles (1909), starring the 8year-old Curt Bois.
Prog. 6 (c.67')
Ta r tin e tte (Jeanne Bloch, 1858-1916)
Dal 1872, per più di 40 anni, Jeanne Bloch è stata una delle principali
vedette dei caffè-concerto parigini, inclusi Alcazar d’hiver, Scala e
Parisiana. Era nota come “la colossale chanteuse”, essendo supposta
essere di un metro e sessanta – in tutte le direzioni. Paulus, suo
contemporaneo, così la ricordava nelle sue memorie: “Jeanne Bloch, l
riso, gaiezza, salute, gioia di vivere! Ha il pubblico in pugno. La sua
straordinaria mobilità facciale, la sua acuta sensibilità scenica le
peremttono di impersoanre qualsiasi ruolo, bambina, cocotte,
ingénue, lavoratrice, donna di mondo, portinaia. Farà una brillante
carriera. Al momento è ancora la cocca del pubblico bonaccione cui
piacciono i grandi effetti e una comicità facile.”
LA COLLE FORTE DE TITI (Pathé Comica, FR 1913)
Regia/dir: ?; cast: ? (Titi); Pathé cat. no. 5810; lg. or./orig. l: 160 m.;
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COMICI FRANCESI
FRENCH CLOWNS
For more than 40 years, from 1872, Jeanne Bloch was a major star of
the Paris café-concerts, including notably the Alcazar d’hiver, the
Scala, and the Parisiana. She was known as “La colossale chanteuse”,
reckoned to be one metre sixty – in all directions. Her contemporary
Paulus recalled in his memoirs, “Jeanne Bloch, she is laughter, gaiety,
health, joie de vivre! She has the public in the palm of her hand! An
extraordinary facial mobility, an intelligent understanding of the stage
allows her to undertake any role, child, cocotte, ingénue, working
woman, woman of the world, a concierge. Her career will be brilliant.
At this moment Jeanne Bloch is still the darling of the goodhumoured public which likes big effects and in-your-face comedy.”
in cui s’imbatte. Un giorno, mentre serve il pranzo, lascia cadere la
zuppiera per precipitarsi su un ragno nascosto nel lampadario. I suoi
padroni, esasperati, la licenziano. La sera, mentre fa la valigia, Rosalie
scopre un terzo ragno. Quello stesso giorno la sua padrona vince la
lotteria. Per non dover smentire il detto popolare, i signori si
riprendono Rosalie. / Rosalie the maid is superstitious. But she does
not hesitate to sacrifice anything she has in her hand to kill any
spiders that she encounters. One day, serving the meal, she drops the
soup tureen, and throws herself on a spider hidden in the ceiling light.
Her exasperated employers dismiss her. That evening Rosalie packs
her bag, and discovers yet another spider. The same day, her boss
wins the lottery. So as not to contradict the old saying [that spiders
are good luck], the bourgeois family take Rosalie back.
35mm, 98 m., 4' (18 fps), copia incompleta (inizio e fine mancanti)/
incomplete (missing beginning and ending).
Didascalie in francese / French intertitles.
Per un bambino turbolento come Titi, ogni occasione è buona per
combinare qualche marachella. Dispettoso, egli si prende beffa degli
adulti, che mette in situazioni bislacche grazie al suo barattolo di colla
forte. Ma, come l’annaffiatore annaffiato, cade anch’egli nel suo
barattolo di colla, venendo così punito per le sue birichinate.
For a child as wild as Titi, any opportunity for stupid tricks will do. The
malicious Titi teases grown-ups, putting them in crazy situations which
he provokes with his pot of powerful glue. But, like the arroseur
arrosé, he falls into his glue-pot, and so is punished for his tricks.
trarsi d’impaccio. / In a shop, Tommy buys a hunting horn from a
strange merchant. As soon as he begins to play he provokes real
catastrophes, because his instrument is bewitched. People and objects
fly in the air, houses collapse, all to Tommy’s great amusement.
Everyone joins in a frenzied pursuit to prevent him from playing, but
in vain. Thanks to his instrument he always gets away with it.
T oto (1) Attore non identificato. / Unidentified actor.
LES FARCES DE TOTO GÂTE-SAUCE (Pathé Frères, FR 1905)
Regia/dir: Georges Hatot; cast: ? (Toto); Pathé cat. no. 1303; 35mm,
87 m., 4' (18 fps), b&n e imbibito / b&w and tinted.
Didascalie in francese / French intertitles.
Un giovane apprendista pasticcere commette una lunga serie di
corbellerie. Le sue vittime vogliono impartirgli una lezione, ma la
piccola peste le rinchiude in un pollaio. / A young apprentice pastrycook commits non-stop pranks. His victims want to give him a good
lesson, but the scamp shuts them in the hen-coop.
To mmy (Tommy Footit, 1884-1927)
Tommy Footit era il figlio maggiore del famoso “clown bianco” di
origine britannica George Footit (vero nome Tudor Hall, 1864-1921).
Nel 1886 Footit padre si era unito a Raphaël Padilla per formare
Footit et Chocolat, celebre numero comico del circo francese durato
quasi un quarto di secolo e immortalato da Toulouse-Lautrec. Nel
1910 Footit si separa da Chocolat per lavorare insieme ai propri figli,
ma senza successo: per qualche tempo egli dirige un circo di sua
proprietà, finendo i suoi giorni come proprietario di un bar. Nel 1911
Tommy Footit fece per l’Éclair sette film. Nel dopoguerra si sposò
con Adrienne Lamy, figlia del proprietario del circo Lamy, ma ebbe a
soffrire di disturbi nervosi e si tolse la vita a 43 anni. Erano artisti
circensi anche i figli della coppia, Victor e George.
Tommy Footit was the eldest son of the famous British-born “white
clown” George Footit (born Tudor Hall, 1864-1921). In 1886 the
older Footit had teamed with Raphaël Padilla to become Footit et
Chocolat, a star comedy act of the French circus for almost a quarter
of a century and immortalized by Toulouse-Lautrec. In 1910 Footit
split from Chocolat in order to work with his sons, but his career did
not recover: for a while he ran his own circus, but ended as a barowner. Tommy Footit made seven films for Éclair in 1911. After the
war he married Adrienne Lamy, daughter of the proprietor of the
Cirque Lamy, but later became mentally disturbed and took his own
life at the age of 43. Their sons Victor and George were also circus
performers.
T oto (2)
Tentativo della Pathé di lanciare un comico bambino per fare
concorrenza alla Gaumont e all’Éclair. L’attore non è stato
identificato. / An attempt by Pathé to launch a child star to compete
with Gaumont and Éclair. The actor is unidentified.
TOTO NE BOIRA PLUS D’APÉRITIF (Toto no tomara mas
aperitivos) (Pathé Frères, FR 1911)
Regia/dir: ?; cast: ? (Toto); Pathé cat. no. 4525; lg. or./orig. l: 100 m.;
35mm, 81 m., 4' (16 fps); copia incompleto (finale mancante)/
incomplete (missing ending). Preservazione da una copia di
distribuzione messicana/Preserved from a Mexican distribution print.
Titolo di testa in spagnolo; una didascalia in spagnolo. / Main title in
Spanish; one intertitle, in Spanish.
Toto, che ha sei anni, accompagna suo padre al caffè e approfitta della
sua disattenzione per fumare una sigaretta e prepararsi un assenzio.
Di lì a breve, il bambino, ubriaco, si mette a ballare coi camerieri. Poi,
preso da una violenta nausea, si rifugia nelle braccia dell’allibito padre
e promette che non fumerà e non berrà mai più dell’assenzio.
Six-year-old Toto takes advantage of his father’s inattention in a café
to smoke a cigarette and get himself an absinthe. A little later the
child, now drunk, dances with the waiters. Suddenly, seized by
violent feelings of nausea, he takes refuge in his astounded father’s
arms, and promises not to smoke or drink absinthe ever again.
TOMMY ÉTRENNE SON COR DE CHASSE (Éclair, FR 1911)
Regia/dir: ?; cast: Tommy Footit (Tommy); 35mm, 91 m., 4' (18 fps),
b&n e imbibito/b&w and tinted; copia incompleta (finale mancante)/
incomplete (missing ending).
Didascalie in francese / French intertitles.
Nella bottega di un bizzarro mercante, Tommy compra un corno da
caccia. Ma ogni volta che si mette a suonarlo, provoca delle vere
catastrofi perché lo strumento è stregato. Le persone e le cose
prendono il volo, le case crollano, con grande divertimento di Tommy.
Tutti si lanciano in un inseguimento indiavolato per impedirgli di
suonare, ma invano. Grazie al suo strumento, Tommy riesce sempre a
Wi ll y (Willy Sanders, 1906-1990).
Nato a Liverpool, William Sanders riscuote un notevole successo con
il suo primo film, The Man to Beat Jack Johnson, realizzato nel 1910
dalla British Tyler Company. L’Éclair lo porta immediatamente a Parigi,
vedendo in lui una possibile risposta a Bébé e Bout de Zan, i bambini
terribili della Gaumont. Nel 1916, alla fine della sua carriera
82
designato, dichiara il suo ardente amore a Solange. L’incontro di boxe
ha luogo nel giardino, ma interviene la ragazzina. Questa corre ad
avvertire le madri dei due contendenti, che giungono a separarli.
Dopo le spiegazioni, Solange chiede ai due ragazzini di stringersi la
mano e i due la baciano ciascuno su una gota.
A big children’s party has been organized for Willy’s name-day. Willy
pays court to Solange, a little girl of his own age. At table, Bob, a rival,
plays footsie with her. Willy realizes this when his rival touches his
foot by mistake. Angry, Willy challenges him to a duel. Before the
confrontation, fixed for the following Thursday, Willy practices by
fighting his toys. He makes his will and, on the day, declares his
passion to his loved one. The boxing match takes place in the garden,
but the little girl quickly runs to alert the boys’ mothers, who come
and separate them. After explanations, Solange asks them to shake
hands, and the two little boys kiss on the cheek.
LA RUSE DE WILLY (Éclair, FR 1913)
Regia/dir: Joseph Faivre; cast: Willy Sanders (Willy); 35mm, 179 m., 8'
(18 fps).
Didascalie in francese / French intertitles.
M. e Mme. Plouff si accorgono con stupore che qualcuno va rubando
le provviste nella loro dispensa. M. Plouff convoca tutti i domestici per
interrogarli. Ma nessuno ne sa nulla e allora lui decide di tendere una
trappola al ladro. Spande quindi della farina sul pavimento per rilevare
le impronte del colpevole. A notte fonda, Willy, il figlio dei Plouff, si
alza senza farsi sentire e scopre la trappola. Infilata una scarpa del
padre e una della madre, entra nella cucina. Il ragazzo si riempie la
pancia e quindi torna a dormire. L’indomani, davanti alle impronte
nella farina, M. e Mme. Plouff si accusano a vicenda di essere i
colpevoli del furtarello. Poi capiscono di essere rimasti vittime di un
raggiro. La notte successiva, M. Plouff riempie le scarpe di colla extra
forte. Il figlio recidiva, e, dopo essersi rimpinzato, si accorge di non
poter più uscire dalle scarpe. Non sarà affatto agevole dormire con
due grosse calzature che fuoriescono dal letto!
Mr. and Mrs. Plouff are shocked to learn that someone is stealing food
from their larder. Mr. Plouff questions all the servants, but no one
knows anything. Mr. Plouff sets a trap, spreading flour on the floor to
track the thief’s footprints. That night the Plouffs’ son Willy secretly
gets up and discovers the trap. The scamp pulls on one of his father’s
shoes and one of his mother’s, and creeps into the kitchen, where he
fills his belly, and then goes back to bed. The next day, faced with the
incriminating footprints in the flour, Mr. and Mrs. Plouff accuse each
other of the theft, but finish by realizing that someone has played a
trick on them. The following night Mr. Plouff fills the shoes with extrastrong glue. Willy repeats his naughty escapade, and, after having eaten
well, realizes that he cannot take off the shoes. He is astonished in his
sleep by the two big shoes protruding from his bed.
Zi g oto (Lucien Bataille) → Ca si mi r
ZIGOTO ET L’AFFAIRE DU COLLIER (Zigoto et le collier / La
trouvaille de Zigoto) (Gaumont, FR 1911)
Regia/dir: Jean Durand; cast: Lucien Bataille (Zigoto), Berthe Dagmar
(l’artista/the actress), Gaston Modot (impiegato del teatro/a theatre
employee); 35mm, 197 m., 9' (18 fps). Restauro effettuato nel 2003
da un negativo nitrato originale; didascale ricostruite in base a un
copione originale depositato alla Bibliothèque nationale de France./
Restored in 2003 by Gaumont and the Archives françaises du film
(CNC) from an original nitrate negative; intertitles reconstructed
using an original scenario deposited at the Bibliothèque nationale de
France.
Didascalie in francese / French intertitles.
Il visconte di Vieillenoix regala una collana di perle a una sciantosa cui
fa la corte. L’indomani, però, il prezioso regalo scompare. Nella
speranza di ritrovarlo, la sciantosa si reca in un’agenzia di
investigazioni. Il direttore dell’agenzia incarica dell’affare due
detective, Stout e Zigoto, che hanno metodi alquanto diversi. Stout si
piazza davanti al teatro per osservare chi entra e chi esce,
sorseggiando del porto. Zigoto, invece, indaga maldestramente,
lasciando le proprie impronte sul luogo del supposto furto e
seminando il caos durante una serata di gala. Malgrado le molteplici
peripezie, Zigoto non approda a nulla. Poi incrocia per caso il
visconte, che possiede una collana del tutto simile all’altra. Per lui non
c’è dubbio: il ladro e il visconte sono la stessa persona. Detto fatto,
gli salta addosso e lo arresta. Nel frattempo, Stout si è addormentato
davanti al teatro. Una servetta, facendo le pulizie nel camerino della
sciantosa, lascia cadere la collana dalla finestra, direttamente nel
cappello di Stout. I due detective rivali si recano dalla sciantosa con le
loro refurtive. Stout trionfa; Zigoto, sconfitto, è ridicolizzato. Quanto
alla fortunata artista, ora possiede due collane.
The Viscount de Vieillenoix offers a pearl necklace to an actress he is
wooing. But the following day the precious gift has vanished. The
LE 1er DUEL DE WILLY (Éclair, FR 1914)
Regia/dir: Joseph Faivre; cast: Willy Sanders (Willy); 35mm, 162 m., 7'
(18 fps).
Didascalie in francese / French intertitles.
Una grande merenda affollata di bambini è stata organizzata per la
festa di Willy, il quale fa la corte a Solange, una ragazzina della sua età.
A tavola, Bob, un concorrente, fa piedino alla sua bella. Willy se ne
rende conto quando il rivale gli tocca il piede per sbaglio. Infuriato, lo
sfida a duello. Prima dello scontro, previsto per il giovedì seguente,
Willy fa pratica sui suoi giocattoli. Poi fa testamento e, il giorno
83
COMICI FRANCESI
FRENCH CLOWNS
cinematografica, ha al suo attivo 65 film, in genere diretti da Joseph
Faivre. / The Liverpool-born William Sanders had a considerable
success with his first film, The Man to Beat Jack Johnson, made by the
British Tyler Company in 1910, and was immediately taken to Paris by
the Éclair company, which saw him as a competitor to Gaumont’s
mischievous infants, Bébé and Bout de Zan. By 1916, when his film
career ended, he had made 65 films, generally directed by Joseph Faivre.
actress goes to a private detective agency. The chief of the agency
assigns two detectives to the case, Stout and Zigoto, who have very
different methods. Stout posts himself in front of the theatre to
watch the comings and goings while sipping port. Zigoto however
investigates very clumsily, leaving his own fingerprints at the site of
the supposed theft and disturbing a gala show. Zigoto discovers
nothing, until he finds the Viscount in possession of an identical
necklace. For him there is no doubt of the thief’s identity; he leaps on
the Viscount and arrests him. Meanwhile, Stout has fallen asleep in
front of the theatre, where the maid drops the necklace out of the
actress’s dressing-room window, straight into Stout’s hat. The two
rival detectives arrive with their finds at the actress’s house. Stout
triumphs; the defeated Zigoto is ridiculed. As for the happy actress,
she now has two necklaces.
detached from the world, receive plates and chairs on their heads
without even noticing. Fire breaks out in the kitchen, and two firemen
arrive and break down the walls with pickaxes rather than extinguish
the flames. The couple, still inseparable on their sofa, are soaked by
jets of water. The ceiling collapses, and our young lovers continue to
exchange kisses in the cellar into which they are precipitated.
ZIGOTO À LA FÊTE (Zigoto esta de fiesta) (Comica, FR 1912)
Regia/dir: Roméo Bosetti; cast: Lucien Bataille (Zigoto), Gaston
Modot; Pathé cat. no. 4989; 35mm, 117 m., 6' (16 fps).
Senza didascalie. / Main title in Spanish; no intertitles.
Zigoto osserva col cannocchiale un parco di divertimenti. Preso
dall’entusiasmo, decide di recarsi al padiglione del tiro a segno. Lì
però, provando un revolver, si cava un occhio. Per fortuna, gliene
rimane uno. Al tiro al fantoccio, preso dallo slancio, tramortisce un
poliziotto. Per nulla scoraggiato, continua il suo giro visitando il
museo delle cere. Qui stuzzica un soldato, ma questi, che non è di
cera, si difende, e la visita si trasforma in una rissa generale. Poco più
in là, risponde alla sfida di un giocatore di catch, che non ci mette
molto a farlo volare per aria come una volgare bambola di pezza.
Questa volta è davvero troppo; Zigoto ritorna a casa, ridotto in
stracci e pieno di ecchimosi.
Through his binoculars, Zigoto sees a funfair. Very enthusiastic, he
decides to go to the shooting gallery. But he blinds one eye trying a
pistol. Happily he still has one eye left. At the “Aunt Sally” (U.S.:
cocoanut shy) stall he knocks out a policeman. No way discouraged,
he continues his tour and visits the wax museum. Zigoto tickles a
soldier, but the latter, all too real, defends himself, and the visit ends
in general scrimmage. A little further on, he responds to the challenge
of a wrestler, who quickly sends him waltzing in the air like a common
rag doll. This time it is too much: Zigoto returns home, in rags and
covered in bruises.
ZIGOTO, POLICIER, TROUVE UNE CORDE (Gaumont, FR 1912)
Regia/dir: Jean Durand; cast: Lucien Bataille (Zigoto), Gaston Modot;
Gaumont cat. no. 3679; 35mm, 88 m., 4' (18 fps).
Didascalie in francese / French intertitles.
Zigoto trova in cima a una corda un toro che si lancia in una corrida
improvvisata con un agente di polizia. Il bovino incrocia un corteo in
cui si riconosce Onésime. Alla fine, Zigoto, colto da pazzia, si crede
un toro e carica i clienti seduti sulla terrazza di un bar. / Zigoto finds
a bull on the end of a rope, which throws him into an improvised
corrida with a policeman. The little bovine passes a procession in
which we recognize Onésime. Finally Zigoto goes crazy: he believes
he is a bull, and charges at people seated outside a café.
ZIGOTO EN PLEINE LUNE DE MIEL (La Lune de miel de Zigoto)
(Gaumont, FR 1912)
Regia/dir: Jean Durand; cast: Lucien Bataille (Zigoto), Berthe Dagmar
(Berthe); 35mm, 118 m., 5' (18 fps), b&n e imbibito / b&w and tinted.
Didascalie mancanti/Intertitles missing.
Su un divano, Zigoto e Berthe, la sua giovane moglie, si scambiano
dolci effusioni. Sopraggiungono tre amici, ma la coppia non dimostra
il minimo interesse per loro e continua a baciarsi. I tre iniziano una
partita a carte che degenera in rissa e i nostri due innamorati soli al
mondo ricevono piatti e sedie in testa senza scomporsi. In cucina
scoppia un incendio, giungono due pompieri che invece di spegnere le
fiamme spaccano i muri a colpi di piccone. La coppia, pur inzuppata
dai getti d’acqua, resta inseparabile sul divano del salotto. Crolla il
soffitto e i due sposi continuano a scambiarsi baci nella cantina in cui
sono atterrati.
Zigoto cuddles with his new young wife Berthe on a sofa. Three
friends arrive without the young couple showing the least interest,
but continuing to hug and kiss on the sofa. The three men embark on
a game of cards which degenerates into a brawl, and our two lovers,
ZIZI (Zinel)
Ha interpretato anche il personaggio di “Snob”, ma null’altro si sa di
quest’attore. / Also played the character “Snob”, though nothing
more is known of the actor.
ZIZI FAIT DES COURSES (Lux, FR 1913)
Regia/dir: ?; cast: Zinel (Zizi); 35mm, 91 m., 4' (18 fps).
Didascalie in francese / French intertitles.
Commesso in un negozio, Zizi deve consegnare una cappelliera. Per
strada, incontra la fidanzata e subisce una serie di disavventure. Il
cappello arriverà alla cliente in condizioni pietose. / Zizi, a shop
assistant, has to deliver a hat in a hat-box. On the way he meets his
fiancée, and experiences various misdventures. The hat arrives in a
pitiable state.
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Gli archivi del film di Londra e New York - 75 / 75 Years of Film Archives
75 Y e ars o f F il m Ar ch ive s - 1 - Gr e at B r itai n
This year we celebrate the 75th anniversary of the formation of the
world’s first two great film archives. The Film Department of the
Museum of Modern Art in New York was established in May 1935;
Britain’s National Film Library only two months later. Over the years
the British archive has undergone a series of name changes: National
Film Archive, National Film and Television Archive, and now the
British Film Institute National Archive. Announcing its foundation, in
July 1935, the first curator, Ernest Lindgren, defined its purpose
simply: it was “to undertake the preservation of films of national and
historical value in an organized manner”. In this very first statement
he firmly defined standards of conservation and the sacrosanct status
of the preservation copy: “if a film exists only in the vaults of the
National Film Library it will be necessary to make a second copy
before the film can be shown”. He deplored that films like Caligari,
Metropolis, and The Covered Wagon could no longer be seen; but
with at that time justifiable enthusiasm speculated that “there are a
large number of films of considerable value lying idle in the possession
of junk merchants, … whose commercial value is exhausted, the
owners of which would be willing to give them to a trustworthy
organization for permanent preservation”. One of the very first films
accepted by the Library was The Great Train Robbery, then thought
to be the only surviving print.
A fundamental early donation was the collection of the original Film
Society, founded just 10 years before the National Film Library, and
certainly the major stimulus that made the Library possible. The Film
Society, primarily initiated by Ivor Montagu and Adrian Brunel, with
the support of Iris Barry and Sidney Bernstein, brought film culture to
Britain. Their publicized and often scandalous Sunday afternoon shows
initiated a cosmopolitan approach to cinema, and stimulated serious
writing about films. They brought Eisenstein, Vertov, Pudovkin, and
Richter to Britain, for Sunday afternoon tea discussions but also for
teaching seminars. They parented the young British documentary
movement. Their travelling shows on the European continent initiated
the film festival idea. And they promoted the archival idea by their
revivals and demonstrations that old films – pre-war Griffiths and
Keystones – could be as vital as any new works. Most of those first
involved in the concept and foundation of the National Film Library
85
BFI & MOMA 75
1929, programma che comprendeva la “prima” mondiale di Drifters di
John Grierson e la “prima” inglese del Potëmkin.
La copia del Potëmkin presentata qui alle Giornate è quella integrale
restaurata nel 2005 da Enno Patalas e Anna Bohn per conto della
Deutsche Kinemathek. I molteplici tagli imposti dalla censura tedesca
sono stati reintegrati, soprattutto grazie alla copia comprata dalla Film
Society tramite la delegazione commerciale sovietica a Berlino nel
1929 e successivamente acquisita dal BFI. – DAVID ROBINSON
I 7 5 a n ni d e l l’ a rch iv io c in e ma tog r a f ic o in g le s e
Quest’anno si celebra il 75° anniversario della fondazione di due dei
maggiori archivi cinematografici internazionali. Il Film Department del
Museum of Modern Art di New York nacque infatti nel maggio del
1935; la Britain’s National Film Library solo due mesi dopo. Nel corso
degli anni, l’archivio britannico ha cambiato più volte nome: National
Film Archive, National Film and Television Archive e infine British Film
Institute National Archive. Annunciandone l’istituzione, nel luglio del
1935, il primo curatore, Ernest Lindgren, disse semplicemente che le
sue finalità erano quelle di assicurare “la preservazione dei film di
interesse nazionale e storico in maniera organica”. In questa sua prima
dichiarazione Lindgren sancì anche i criteri conservativi e la sacrosanta
priorità delle copie di preservazione: “Se di un film esiste un’unica
copia nei sotterranei della National Film Library sarà indispensabile
trarne subito una seconda copia per poterne assicurare la visione.”
Lindgren deplorava che film come Caligari, Metropolis e The Covered
Wagon non potessero essere più visti; e, con un entusiasmo a quei
tempi ancora giustificabile, diceva: “Ci sono moltissimi film di grande
qualità che giacciono inerti nei magazzini dei robivecchi … il loro
valore commerciale si è esaurito e i possessori sarebbero di sicuro
disposti a cederli a un’organizzazione affidabile che ne garantisse la
preservazione permanente.” Uno dei primi film acquisiti dalla Library
fu The Great Train Robbery, di cui all’epoca si riteneva che fosse
sopravvissuta una sola copia.
Tra le prime donazioni fu fondamentale la collezione della alquanto
originale Film Society (fondata 10 anni prima della National Film
Library), che costituì il principale incentivo alla creazione della
Library stessa. La Film Society, avviata da Ivor Montagu e Adrian
Brunel, con il concorso di Iris Barry e Sidney Bernstein, introdusse la
cultura cinematografica in Inghilterra. I loro ben pubblicizzati e non
di rado scandalosi “pomeriggi domenicali” favorirono un approccio
cosmopolita al cinema e stimolarono una seria saggistica
cinematografica. Portarono in Inghilterra Eisenstein, Vertov,
Pudovkin e Richter, per i consueti dibattiti domenicali all’ora del tè o
per veri e propri seminari di cinema. Furono anche i primi sostenitori
del giovane movimento documentario inglese. E il concetto stesso di
festival cinematografico nacque dai loro show itineranti sul
continente europeo. Le loro rassegne promossero la diffusione degli
archivi in quanto dimostravano che i vecchi film – tra cui i Griffith e
i Keystone del periodo pre-bellico – potevano essere vitali al pari di
qualsiasi altra nuova produzione. Molti di coloro che parteciparono
all’ideazione e alla fondazione della National Film Library erano
veterani della Film Society. Iris Barry, che elaborò il modello del Film
Department del MoMA, era stata una figura centrale della Society.
Molto appropriatamente, dunque, il British Film Institute ha scelto di
celebrare il suo 75o anno di attività presentando i film più importanti
dello storico 33o programma della Film Society del 10 novembre
were paid-up Film Society members. Iris Barry, who shaped MoMA’s
Film Department, was a central figure in the Society.
Appropriately, then, the British Film Institute has chosen to celebrate
its 75-year history by reproducing the principal films of the historic
33rd Film Society show of 10 November 1929, which put together
the world premiere of John Grierson’s Drifters, and the British
premiere of The Battleship Potemkin.
The print for this screening of Potemkin is the restoration completed
in 2005 by Enno Patalas and Anna Bohn for the Deutsche
Kinemathek. The extensive cuts by the German censorship have been
replaced, thanks mainly to the print purchased by the Film Society in
1929 from the Soviet Trade Delegation in Berlin, subsequently
acquired by the BFI. – DAVID ROBINSON
The Battleship ‘Potemkin’ 1925
Regia/Direction … S. M. Eisenstein
Assistente alla regia/Assistant Direction … G. V. Alexandrov
Fotografia/Photography … Eduard Tissé
Direttore di produzione/Production Manager … Y. M. Bliokh
Assistenti/Assistants … A. Antonov, M. Gomorov, A. Levskin, M. Straukh
Casa di produzione/Producing Firm … 1st Studio, Goskino
Annotazioni personali Fino ad oggi, i signori Eisenstein, Alexandrov
e Tissé hanno quasi sempre lavorato fianco a fianco. Il loro primo film,
peraltro non molto fortunato, è stato Sciopero; il secondo La
corazzata Potëmkin; il terzo Ottobre; e il quarto, La linea generale, è
stato ultimato da poco. Sergei Mikhailovitch Eisenstein (o, più
correttamente traslitterato, Eizenshtein) ha circa 31 anni ed è nativo
di Riga; e oltre alla sua attività di cineasta, ha tenuto corsi presso
l’Istituto di specializzazione cinematografica di Mosca e ha pubblicato
alcuni saggi sul teatro giapponese. Tissé ha la sua stessa età e viene
anch’egli da Riga. Gregor Alexandrov, già assistente alla regia di
Eisenstein, e ora suo co-regista, ha 25 anni e viene dagli Urali; ha
recitato nei teatri del Proletkul’t di Mosca e ha girato alcuni film di
produzione indipendente. Pagando lo scotto del titolo di campione
sovietico di tuffi vinto nel 1924, Alexandrov si è dovuto prestare a
rivestire i panni di parecchi degli ufficiali che vengono buttati a mare
in questo film. Nessuna delle persone che compaiono nel Potemkin è
un attore professionista. Alla stesura delle didascalie russe, qui
fedelmente tradotte, ha dato il proprio contributo il poeta Nikolai
Aseev.
La genesi del film La corazzata Potëmkin, girato e montato in tre
mesi, originariamente era stato concepito come singolo episodio di
un più ampio affresco storico intitolato 1905, basato su una
sceneggiatura di N. F. Agadjanova-Shutka. 1905 venne poi accantonato
e l’episodio, opportunamente sviluppato in un lungometraggio
dall’équipe dei suoi realizzatori, riscosse un notevole successo sia in
patria che all’estero. Il suo successo in Germania, malgrado le molte
polemiche suscitate e gli interventi censori delle autorità locali,
contribuì a spargerne ulteriormente la fama. Il film ricevette un’ottima
accoglienza anche negli Usa. In Inghilterra, ne fu importata una copia
dalla filiale inglese della F. B. O., che la sottopose al vaglio del comitato
di censura nazionale, del consiglio comunale di Londra e del
Middlesex. Ma le diverse autorità consultate negarono il loro visto, a
quanto pare appellandosi ai numerosi dettagli di barbara violenza
presenti nel film, in particolare a quelli contenuti nella scena “della
scalinata”. Molto probabilmente, le suddette scene si potevano
semplicemente tagliare, e tuttavia non si fece il minimo sforzo per
intervenire sul film in modo da consentirne la visione, per le ragioni
su cui si è già dibattuto altrove. Per assecondare le esigenze dei vari
paesi, il negativo ha subito tanti di quei rimaneggiamenti da rendere
oggi impossibile la stampa di un positivo perfettamente rispondente
all’originale, e anche la presente copia non è del tutto esente da
pecche. La sua presentazione avviene per gentile concessione della
Il programma originale della Film Society
The original Film Society programme
Drifters 1929
Regia/Direction … John Grierson (Great Britain)
Fotografia/Photography … Basil Emmottå
Questo film, risultato della generosa collaborazione delle autorità
preposte, descrive la pesca delle aringhe in tutte le sue fasi.
Grierson era un sociologo di Glasgow e in America, dopo essere
stato in contatto con la Paramount e con l’International Film Arts
Guild di New York, ha collaborato alla preparazione dell’edizione
per gli Stati Uniti di Potemkin. L’influenza dei suoi studi si vede sia
nella concezione generale e nella costruzione di Drifters sia
nell’eloquenza e intelligenza del montaggio. Dopo essere rientrato
in patria, e prima della realizzazione di questo film (presentato per
gentile concessione della New Era Films), ha attivamente operato
per interessare alla cinematografia le varie autorità di questo Paese.
L’accompagnamento musicale è stato preparato tenendo conto dei
suoi suggerimenti.
This film portrays, as a result of generous collaboration by the
authorities concerned, the herring fishery in all its stages. Mr.
Grierson was a sociologist in Glasgow and, in America, after being
associated with Messrs. Paramount and the International Film Arts
Guild of New York, he was associated with the preparation of
‘Potemkin’ for U.S.A. The influence of his studies is seen no less in
the general conception and construction of Drifters than in the
eloquence and intelligence of its cutting. Since returning to this
country, and before the production of this film (which is shown by
courtesy of Messrs. New Era Films) he has been materially active in
promoting an interest in cinematography on the part of various
authorities in this country. The musical accompaniment has been
arranged in consonance with his suggestions.
(Per questo film, si veda anche la sezione “Il canone rivisitato” / For
full credits and programme notes for Drifters, see the “Canon
Revisited” section.)
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Personal Notes Messrs. Eisenstein, Alexandrov and Tissé have been
associated in nearly all their film work. Their first production, Strike,
was not altogether successful; The Battleship Potemkin was the
second, October, the third, and the fourth The General Line has just
been concluded. Mr. Sergei Mikhailovitch Eisenstein (or, more exactly
transliterated, Eizenshtein) is about 31 years old, born in Riga; in
addition to his film production work he has lectured in the
Cinematograph College in Moscow and published works on the
87
BFI & MOMA 75
Japanese Theatre. Mr. Tissé is of the same age, also from Riga. Mr.
Gregor Alexandrov, formerly Mr. Eisenstein’s assistant director, now
his co-director, is twenty-five years old, from the Urals; he has acted
in Prolet-Theatres in Moscow, and also made films independently;
further, he won the high-diving championship of the Soviet Union in
1924, as penalty for which achievement he is made to represent
several of the officers dejected from shipboard in this film. None of
the persons taking part in this film is a professional actor. The poet,
Nikolai Aseev, collaborated in the production of the Russian titles,
here closely rendered.
History of the Film The Battleship ‘Potemkin’, which was
photographed and cut in three months, was originally planned as a
section only of a larger film 1905, scenario by Miss N. F. AgadjanovaShutka. 1905 was later abandoned and the section, as worked out by
the production group, had a marked success in its country of origin
and abroad. Its success in Germany, together with several
controversies and revisions by censorship in that country, spread its
fame very generally. It was also extremely well received in U.S.A. A
copy was imported into this country by Messrs. F.B.O. (England) and
submitted by that firm to the British Board of Film Censors, the
London County Council and the Middlesex County Council. It was
rejected by these various authorities on account, it is understood, of
the several details of barbaric violence, contained particularly in the
‘flight of steps’ scene. These scenes are probably easily excisable, but
no further effort was made to re-arrange the film, or secure its
exhibition, for reasons which have been discussed elsewhere. The
negative has so often been cut and matched to meet the
requirements of various countries that it is now difficult to draw a
perfect positive and the present print is not entirely satisfactory. It is
shown by courtesy of the U.S.S.R. Trade delegation in Berlin and
Messrs. Brunel and Montagu Ltd, and, unlike any other copy
previously shown outside Russia, is complete; following, in
arrangement and colour, the original nearly exactly.
General Notes The story shown in the film differs very materially
from the historical incident. The opening, the feeling of unrest, the
cause and course of the mutiny are exact. Following the exposure of
the slain sailor on the Mole at Odessa, and the angry speeches
attending it, there occurred, however, riots in the town culminating
at night in the arson of a part of the dockyard. The massacre on the
flight of steps, which appears in the film as entirely wanton, was
subsequent to the burning of the dockyard. The final climax of the
film, of course, is also treated freely. The reluctance of the Admiral’s
fleet to engage battle, which enabled the ‘Potemkin’ to escape and
take refuge in a Roumanian port, is probably to be ascribed less to
fraternity than to timidity. It should be recalled that, at that time the
‘Potemkin’ was the latest, and by far the largest, ship in the Black Sea.
In viewing this film it must be recalled that ‘Potemkin’ was the first
Russian film in which those remarkable methods of expression – the
use of non-acting material and the incitement to hysteria by means of
rhythmic cutting – were attempted. It is with the experience of the
delegazione commerciale dell’URSS a Berlino e della Brunel and
Montagu Ltd., e al contrario di tutte le altre copie presentate in
precedenza fuori della Russia, è completa, e praticamente conforme
all’originale sia nel montaggio che nel colore.
Note generali La vicenda narrata nel film si discosta in modo
sostanziale dalla realtà storica. La fase iniziale della rivolta, il
sentimento d’inquietudine, la causa e lo sviluppo dell’ammutinamento
sono fedeli ai fatti. Dopo l’esposizione del marinaio trucidato sul molo
di Odessa e la veemente reazione della folla, tuttavia, erano seguiti dei
violenti disordini cittadini che nottetempo sfociarono nell’incendio di
una parte dell’arsenale. Il massacro sulla scalinata, che nel film appare
completamente gratuito, era stato provocato dall’incendio
dell’arsenale. Anche l’emozionante finale del film è senza meno una
libera ricostruzione. Il rifiuto della flotta ammiraglia di aprire il fuoco
sui marinai ammutinati, che consentì alla Potemkin di fuggire e trovare
rifugio in un porto rumeno, fu probabilmente dettato più da timore
che da spirito di fratellanza. Va infatti ricordato che la Potemkin era
all’epoca la nave più moderna e più imponente per stazza di tutto il
Mar Nero.
Prima della sua visione, è opportuno ricordare che Potëmkin è stato
il primo film in cui gli straordinari mezzi espressivi della cinematografia
russa – l’uso di materiale non recitato e l’eccitazione isterica indotta
dal ritmo del montaggio – venivano messi in pratica. Furono le
innovazioni sperimentate in questo film a consentire la successiva
realizzazione dei grandi successi di Pudovkin e degli stessi Eisenstein
e Alexandrov. È importante sottolineare che l’opera di Eisenstein e di
Alexandrov, al contrario di quella di Pudovkin, presenta di rado delle
singole sequenze dotate di autonomia espressiva, dato che il loro
effetto dipende quasi unicamente dal ritmo della tecnica visiva. Per
questo motivo, i film di Eisenstein e di Alexandrov raggiungono la
massima potenza espressiva quando il loro ritmo visivo è enfatizzato
dal ritmo uditivo. Alla musica di Mr. Edmund Meisel, composta
appositamente per il film, e da lui personalmente diretta durante la
proiezione organizzata dalla Society, viene attribuita buona parte del
successo del Potëmkin fuori dell’URSS. In realtà, va ricordato che a
Stoccarda, pur se il film ebbe libera circolazione in terra tedesca, la
musica fu proibita perché ritenuta staatsgefährlich [pericolosa per lo
Stato]!
Nota: Il ricco programma della Film Society includeva The Fall of the
House of Usher di Webber e Watson (1928) e il cartoon di Walt
Disney The Barn Dance (1929).
innovations in this film that the subsequent successes of Pudovkin,
and of Eisenstein and Alexandrov themselves, have been achieved. It
is important to note that the work of Eisenstein and Alexandrov,
unlike that of Pudovkin, contains rarely any content effective in itself,
its effect depends nearly entirely on the technical visual rhythm. For
this reason the pictures of Eisenstein and Alexandrov are most
effective only when this visual rhythm is emphasised by aural rhythm.
To the music of Mr. Edmund Meisel, composed specially for the film,
and which will be conducted by him at the Society’s performance, is
attributed much of the success of ‘Potemkin’ outside U.S.S.R. Indeed
it is recorded that at Stuttgart, though the film itself was permitted,
the music was forbidden as staatsgefährlich!
Note: The lengthy Film Society programme also included Webber
and Watson’s The Fall of the House of Usher (1928) and Walt
Disney’s The Barn Dance (1929).
accantonata. Senza alcuna apparente strategia di pre-produzione, la
troupe del film si trasferì a Odessa. E lì, dopo aver visto la scalinata
Primorsky, Eisenstein si accinse immediatamente a riscrivere lo script,
concentrando l’azione su Odessa e sulla vicenda della Potëmkin,
includendo la scena clou del massacro sulla scalinata. Fu in questa fase
che Eduard Tissé, il cui contributo si sarebbe rivelato di capitale
importanza per il film, subentrò al cameraman Levitsky.
Le riprese durarono 54 giorni. Eisenstein tornò a Mosca circa tre
settimane prima della prestigiosa première al teatro Bolshoi. Ormai
era decisamente tardi per poter pensare di girare le scene di San
Pietroburgo: il titolo Il 1905 fu cambiato in La corazzata Potëmkin. Il
montaggio richiese tre settimane (il girato raggiungeva i 4500 metri;
la copia finale risultò di 1820 metri); Eisenstein stava ancora
montando gli ultimi rulli quando la proiezione nella sala del Bolshoi
era già cominciata. L’intero film, tra riprese e montaggio, era stato
completato in poco più di 10 settimane, da un regista ventisettenne
con alle spalle alcune brillanti esperienze di teatro d’avanguardia e un
solo lungometraggio sperimentale. All’inizio, le reazioni in URSS non
furono unanimi, ma l’entusiasmo sollevato da Potëmkin in ambito
internazionale ebbe una risonanza senza precedenti. Numerosi
cineasti di varie parti del mondo riconobbero l’assoluta novità del
montaggio di Eisenstein, non più concepito solo come strumento
narrativo ma anche come medium di un’emozione intellettuale senza
soluzione di continuità. La struttura in cinque atti distinti da un titolo
proprio, ciascuno dei quali, per citare le parole di Richard Taylor
“stimola l’induzione da un atteggiamento passivo a uno attivo”
elevando la narrazione di un singolo evento storico ad una dimensione
epica e, nella definizione di Eisenstein, di “una tragedia classica”. Il
motivo ricorrente dell’eroe collettivo e la tipizzazione dei caratteri
suscitarono molte polemiche, né furono esenti da critiche alcuni
travisamenti storici, ma, come ebbe a dire giustamente Jay Leyda,
Potëmkin “sacrificava i fatti storici minori per l’essenza drammatica
della Storia”.
All’estero, il film fu spesso visto dalle autorità locali come un
pericoloso incitamento alla rivolta. In Germania, la sua distribuzione
fu concessa con riluttanza, e solo dopo sostanziosi tagli. In Inghilterra
non ottenne il visto di censura fino al 1954. (La Film Society ne fu
dispensata per il suo status di club privato, ma la proiezione del 1929
non mancò di scatenare violenti attacchi sulla stampa e in
Parlamento.) Solo negli Usa, dove personalità antitetiche quali Chaplin
e Selznick lo definirono il più grande film mai realizzato, Potëmkin
poté circolare liberamente e con successo.
Lo stesso Eisenstein presagiva lunga vita al suo film, e affermò che gli
sarebbe piaciuto rinnovarne la musica ogni dieci anni, per mantenere
vivo l’interesse delle nuove generazioni. Un progetto iniziale di
riportare Prokofiev in URSS per affidargli lo score musicale per L’anno
1905 rimase lettera morta, e la “prima” del film avvenne con
l’accompagnamento di un pot-pourri di musica classica. In Germania,
Edmund Meisel compose una partitura brillantemente
complementare al montaggio di Eisenstein. Otto decenni dopo,
BRONENOSETS POTEMKIN (La corazzata Potëmkin / The
Battleship Potemkin) (Goskino, USSR, 1925)
Regia/dir., mont./ed: Sergei M. Eisenstein; scen: Sergei M. Eisenstein,
from an idea by Nina F. Agadzhanova-Shutko; aiuto regia/asst. dir:
Grigori V. Alexandrov; f./ph: Eduard K. Tisse; aiuto f./asst. ph: Vladimir
Popov; scg./des: Vasili A. Rakhals; asst. [Eisenstein’s “Iron Five”]:
Grigori V. Alexandrov, Alexander P. Antonov, Mikhail Gomorov,
Alexander I. Levshin, Maxim M. Straukh; didascalie/intertitles: Nikolai
N. Aseev, Sergei M. Tretyakov; cast: Alexander P. Antonov, Vladimir
G. Barsky, Grigori V. Alexandrov, Alexander I. Levshin, Mikhail
Gomorov, Nikolai Levchenko, Konstantin Feldman, Marusov, Ivan
Bobrov, Andrei A. Fait, Beatrice Vitoldi, N. Poltavtseva, Repnikova,
Iulia Eisenstein, membri della Marina rossa, cittadini di Odessa,
membri del Proletkult di Mosca / sailors of the Red Navy, citizens of
Odessa, members of Proletkult Theatre, Moscow; m.; 35mm, 1338
m., 70' (18 fps); fonte copia/print source: Deutsche Kinemathek,
Berlin. Restauro/Restored 2005.
Didascalie in tedesco / German intertitles.
La corazzata Potëmkin è l’unico titolo a figurare ininterrottamente al
primo posto nella classifica dei migliori film del cinema mondiale
segnalati dai critici, con scadenza decennale a partire dal 1952, sulla
rivista Sight and Sound. Una preminenza storica che sarebbe stato
arduo prevedere qualora si considerino le circostanze che portarono
alla realizzazione del film. Il progetto nacque su decreto di una
commissione governativa tardivamente costituitasi (marzo 1925) per
commemorare il ventesimo anniversario della rivoluzione del 1905. La
scrittrice Nina Agadzhanova-Shutko inizialmente aveva pensato a un
grande affresco storico sull’intera rivoluzione, ma questo schema
grandioso si ridusse ben presto di proporzioni quando, di comune
accordo con Eisenstein, si ritenne opportuno concentrare l’azione
sullo sciopero di San Pietroburgo del 1905, con un breve prologo
sull’ammutinamento della Potëmkin. Il titolo era Il 1905. Le riprese
iniziarono a Leningrado nell’agosto, ma furono sospese per la pioggia,
e anche la prospettiva di girare sul Baltico e sul Mar Nero venne
88
Battleship Potemkin is the only film which, since they began in 1952,
has featured in every one of Sight and Sound’s decennial polls of
critics to nominate the world’s best films. Such historical preeminence could hardly have been anticipated from the circumstances
of the film’s conception. It was made to the order of a government
commission belatedly (March 1925) set up to commemorate the 20th
anniversary of the 1905 revolution. The writer Nina AgadzhanovaShutko initially planned a great panoramic history of the entire
revolution, but this grandiose scheme rapidly dwindled, and she and
Eisenstein settled on a script that concentrated on the 1905 St.
Petersburg strike, with a brief prologue about the Potemkin mutiny.
The title remained The Year 1905.
Production began in August, but they were rained off in Leningrad,
and plans to shoot in the Baltic and the Black Sea were also
abandoned. Without much evident pre-planning, the unit moved on
to Odessa. There Eisenstein saw the Primorsky Stairs (the Odessa
Steps) and instantly set about re-writing the script, focusing the
action on Odessa and the Potemkin story, with the massacre on the
steps as the climactic sequence. At this stage Eduard Tisse, who was
to be a vital contributor to the film, took over from the cameraman
Levitsky.
89
BFI & MOMA 75
The main shooting took 54 days. Eisenstein returned to Moscow less
than a month before the prestigious premiere in the Bolshoi Theatre.
It was too late to think about the St. Petersburg scenes: the title was
changed from The Year 1905 to Battleship Potemkin. The editing was
accomplished in 3 weeks (4,500 metres were shot; the final length
was 1820 m.); Eisenstein was still cutting the final reels when the
Bolshoi performance had already begun. The entire shooting and
editing had been completed in little more than 10 weeks, by a 27year-old director with a previous background of some lively avantgarde theatre experience and a single experimental feature film.
The initial response in the USSR was mixed, but Potemkin’s
international impact was unprecedented. Film-makers everywhere
recognized something completely new in Eisenstein’s concept of
montage not as a narrative tool but as a means of continuous
intellectual excitation. The structure in five distinct and individually
titled acts, each of which, in Richard Taylor’s phrase, “moves from
passive to active mood”, elevating the apparent narrative of a single
historical event to epic scale and, for Eisenstein, “a classical tragedy”.
Eisenstein’s insistence on the collective hero and the use of types
remained controversial, and his distortion of history was criticized,
but, as Jay Leyda explained, “Potemkin…sacrificed the lesser
historical facts for the dramatic essence of history”.
Abroad, the film was widely viewed by the authorities as incitement
to insurrection. In Germany, its release was reluctantly allowed,
though with extensive cuts. In Britain it was not passed by the censor
until 1954. (The Film Society had dispensation as a private club,
though the 1929 screening was fiercely attacked in press and
Parliament). Only in the United States, where people as varied as
Chaplin and Selznick called it the greatest film ever, did Potemkin
enjoy trouble-free and successful circulation.
Eisenstein clearly sensed Potemkin’s durability, and said that he would
like new music for it every 10 years, to keep it alive for successive
generations. An initial project to bring Prokofiev back to the USSR to
write a score for The Year 1905 was aborted, and the premiere was
accompanied by a classical pot-pourri. In Germany, Edmund Meisel
wrote a score brilliantly complementary to Eisenstein’s montage.
Eight decades later, Neil Tennant wrote of the Pet Shop Boys’ 2004
score, “I hope our version makes the film feel like it belongs to the
world today rather than to one particular period of history. We want
our music to free it from its Soviet past and help reveal it as the great
modernist, timeless work of art that it is.”
Not everyone today shares this excitement in a film that to some
degree changed the manner of intellectual perception. There has
been no significant academic writing on Potemkin this century, since
Richard Taylor’s 2000 monograph. The Pudovkin-Eisenstein
confrontations on montage have lost their excitement: Pudovkin’s
narrative editing is the cinematic norm, while Eisenstein’s dynamics
have been cheerfully vulgarized and hijacked by pop video. At another
level, it requires too great a romantic leap for most of us today to
identify with that sincere idealist belief in the brave new world of
presentando lo score del 2004 dei Pet Shop Boys, Neil Tennant
scrisse: “Spero che la nostra versione faccia sembrare il film più legato
alla contemporaneità che a un particolare periodo storico. Ci
auguriamo che la nostra musica possa affrancarlo dal suo retaggio
sovietico per restituirlo alla sua essenza di capolavoro modernista
senza tempo.”
Non tutti, ai giorni nostri, condividono lo stesso entusiasmo per un film
che in qualche misura aveva rivoluzionato le modalità della percezione
intellettuale. Questo inizio di secolo, se si esclude la monografia di
Richard Taylor del 2000, non ha visto apparire alcun significativo testo
accademico sul Potëmkin. La querelle Pudovkin-Eisenstein sul
montaggio non appassiona più: il montaggio narrativo di Pudovkin è la
norma cinematografica, mentre il dinamismo di Eisenstein è stato
allegramente volgarizzato e saccheggiato dai video pop. D’altro canto, a
molti di noi occorrerebbe un cospicuo surplus di slancio romantico per
poterci identificare ancora con la sincera fede idealista nel mondo
nuovo comunista che in quei brevi, eroici anni riuscì a ispirare perfino
un cinico e sofisticato individualista come Eisenstein. Il più avveduto dei
critici, Roger Ebert, ha scritto: “Se oggi il film ci appare come una sorta
di tecnicamente brillante ma semplicistico “cartoon” (dalla definizione
che ne dette Pauline Kael in una sua recensione peraltro favorevole),
può dipendere dal fatto che ormai il Potëmkin ha esaurito tutti i suoi
elementi di sorpresa – e, proprio come il Salmo 23 o la Quinta di
Beethoven, ci è diventato talmente familiare che non riusciamo più a
coglierne il valore oggettivo.”
Nondimeno, nel 2010 Bronenosec Potëmkin figura ancora al terzo
posto nella lista dei “100 migliori film della storia del cinema”
compilata dal popolare mensile inglese Empire. – DAVID ROBINSON
Communism that in those brief heroic years could inspire even such
a cynical sophisticate as Eisenstein.
The wisest of critics, Roger Ebert, has written, “If today it seems
more like a technically brilliant but simplistic ‘cartoon’ (Pauline Kael’s
description in a favorable review), that may be because it has worn
out its element of surprise – that, like the 23rd Psalm or Beethoven’s
Fifth, it has become so familiar we cannot perceive it for what it is.”
Yet, cheeringly, in 2010 Battleship Potemkin was ranked in third place
in the populist Empire magazine’s “100 Best Films of World Cinema”.
DAVID ROBINSON
Londra, Henri Langlois della Cinémathèque Française di Parigi e Frank
Hensel del Berlin Reichsfilmarchiv, un’organizzazione che all’inizio
funzionò come una confederazione di collezionisti che cercavano un
accesso privilegiato ai film, l’uno nelle collezioni istituzionali dell’altro;
l’assunzione di uno staff selezionato con punti di forza ed interessi
differenziati. William Jamison proveniva dai laboratori cinematografici
della Edison e dal 1935 al 1949 ebbe la qualifica di “detective dei film”
del dipartimento: fu lui a condurre le trattive che nel giugno 1935
portarono alla prima grande acquisizione filmica del MoMA, la
collezione Jean LeRoy, comprendente film della Biograph come A
(W)ringing Good Joke (1903), della Edison come Fatima (1897) e dei
fratelli Lumière come l’Arrivée d’un train (1895). Dal 1935 al 1940,
lavorò al Museo Theodore Huff, patito di cinema e collezionista di
foto di scena e pellicole a 16mm; d al 1936 al 1940, Jay Leyda, studioso
del cinema sovietico; dal 1939 al 1949, il vice-conservatore Arthur
Rosenheimer Jr., che prese il nome di Arthur Knight quando lasciò
New York con il progetto di fondare un museo del cinema a
Hollywood. Dal 1940 al 1942 operò come aiuto conservatore anche
Richard Griffith, che in seguito, nel 1951, successe alla Barry come
conservatore capo del Dipartimento Film.
Al Museo la necessità di collegare la preservazione con i programmi
di presentazione al pubblico e la circolazione delle pellicole poneva
particolare pressione allo staff dell’archivio. Con le dotazioni della
Cineteca furono approntati oltre 80 programmi di film storici tra il
1935 e le prime grandi retrospettive basate sulle raccolte del Museo,
dedicate cinque anni più tardi a Douglas Fairbanks e D.W. Griffith,
con monografie d’accompagnamento (quella di Griffith a cura di Iris
Barry; quella di Fairbanks a cura di Alistair Cooke). I film di Fairbanks
arrivarono a New York nel 1938, provenienti dalla collezione
personale dell’attore, e furono presentati nel cinema del Museo,
nell’ambito del programma “The Films of Douglas Fairbanks” dal
maggio al luglio 1940, meno di 5 mesi dopo la sua morte, avvenuta il
12 dicembre 1939. Robin Hood (1922) fu presentato la prima volta
al’interno di un programma intitolato “The Cavalier”. Negli anni
seguenti c’è stato un notevole lavoro di preservazione del film, ma la
nuova copia del MoMA che verrà proiettata alle Giornate, realizzata
lo scorso anno, include finalmente la colorazione originale.
RON MAGLIOZZI
I 75 a n ni d e l Di pa r ti me nto F il m d e l M oM A d i Ne w Yo rk
Alla fine del periodo del cinema muto, nell’estate del 1929, il
fondatore del Museum of Modern Art, Alfred Barr, descrisse il mezzo
cinematografico come “l’unica grande arte tipica del ventesimo
secolo” e propose che l’architettura, i film, il teatro, le arti decorative,
il design industriale e la fotografia venissero inclusi nel suo nuovo
museo insieme con la pittura, la scultura e le arti grafiche. Tra i
cineasti che descrisse come “maestri” moderni in alcuni appunti del
1932 c’erano Abel Gance, René Clair, E.A. Dupont, Vsevolod
Pudovkin, Jacques Feyder, Charles Chaplin, Sergej Eisenstein, Man Ray,
Fernand Léger, Moholy-Nagy, Walter Ruttmann, Ralph Steiner e Luis
Buñuel. Il suo entusiasmo lo portò in seguito alla fondazione della
Cineteca del Museo, con la sua dichiarazione d’intenti del 1935: “per
rintracciare, catalogare, assemblare, preservare, presentare e far
circolare” i film.
Discutendo anche di preservazione dei film, nel 1932 Barr affermò
che “una delle condizioni più allarmanti dell’arte contemporanea è il
fatto che ci si è presi così poca cura … dei grandi film dell’ultimo
quarto di secolo”. Nell’estate del 1933, quando portò Iris Barry al
Museo come prima bibliotecaria di quell’istituzione (senza formale
preparazione), dietro le quinte ebbe inizio l’organizzazione di un
dipartimento di cinema. L’esperienza della Barry con la London Film
Society e i suoi legami con la cultura delle belle arti in Europa, grazie
al rapporto personale con il pittore britannico Wyndham Lewis, le
diedero le credenziali ideali per gestire la divisione cinema di un
museo d’arte. La sua prima serie di pellicole al Museo fu organizzata
per un test “fuori città” tenutosi al Wadsworth Atheneum di
Hartford, nel Connecticut, dall’ottobre al dicembre del 1934. Quando
la Cineteca fu ufficialmente fondata nel 1935, venne orgogliosamente
dichiarato il suo impegno “a rintracciare, proteggere e preservare i
film importanti, sia americani che stranieri, di ogni periodo a partire
dal 1889”.
Agli inizi, gli sforzi della Barry per raggiungere tali obiettivi sfociarono
in tre iniziative degne di nota: viaggi a Hollywood, in Gran Bretagna,
Finlandia, Francia, Germania, Polonia, Unione Sovietica e Svezia in
cerca di pellicole, tra l’agosto del 1935 e l’autunno del 1937; la
costituzione della FIAF (la Federazione Internazionale degli Archivi di
Cinema) nel 1938, con Olwen Vaughan del British Film Institute di
75 Years of Film Archives – II – The Museum of Modern Art, New York
At the end of silent film period in the summer of 1929, the Museum
of Modern Art’s founding director Alfred Barr described the film
medium as “the only great art peculiar to the twentieth century” and
proposed that architecture, movies, theatre, decorative arts,
industrial design, and photography be included with painting,
sculpture, and graphic arts in his new museum. Among the filmmakers
he described as modern “masters” in some 1932 notes were Abel
Gance, René Clair, E.A. Dupont, Vsevolod Pudovkin, Jacques Feyder,
Charles Chaplin, Sergei Eisenstein, Man Ray, Fernand Léger, MoholyNagy, Walter Ruttmann, Ralph Steiner, and Luis Buñuel. His
90
enthusiasm eventually led to the establishment of the Museum’s Film
Library, with its 1935 statement of purpose “to trace, catalog,
assemble, preserve, exhibit and circulate” films.
Arguing as well for film preservation, in 1932 Barr asserted, “one of
the most alarming conditions in contemporary art is the fact that so
little care has been taken of the…great films of the past quarter
century.” In the Spring of 1933, when he brought Iris Barry to the
Museum as the institution’s first librarian (with no formal training),
the process of organizing a department of film began behind the
scenes. Barry’s experience with the London Film Society and her
connection to the culture of fine arts in Europe through her intimate
relationship with British painter Wyndham Lewis gave her the ideal
credentials to head a film division in a museum of art. Her first
Museum film series was organized for an “out of town” test run at
the Wadsworth Atheneum in Hartford, Connecticut, from October
to December 1934. When the Film Library was officially founded in
1935, its commitment “to trace, secure and preserve the important
films, both American and foreign, of each period since 1889” was
proudly declared.
In the early years, Barry’s efforts to achieve these goals resulted in
three notable initiatives: trips to Hollywood, Britain, Finland, France,
Germany, Poland, the Soviet Union, and Sweden in search of films
between August 1935 and the fall of 1937; the formation of FIAF (the
International Federation of Film Archives) in 1938, with Olwen
Vaughan of the British Film Institute in London, Henri Langlois of the
Cinémathèque francaise in Paris, and Frank Hensel of the Berlin
Reichsfilmarchiv, an organization that at first occasionally acted as a
confederation of collectors seeking privileged access to the films in
each other’s institutional collections; and the employment of a handpicked staff with varying strengths and interests. William Jamison
came from the Edison film labs, and from 1935 to 1949 served as the
department’s “film detective,” responsible for negotiating the Film
Library’s first major acquisition, the Jean LeRoy Collection in June
1935, containing films by Biograph (A (W)ringing Good Joke, 1903),
Edison (Fatima, 1897) and the Lumières (Arrivée d’un train, 1895);
Theodore Huff, from 1935 to 1940, a film buff and collector of film
stills and 16mm prints; Jay Leyda, from 1936 to 1940, a scholar of
Soviet film; and curatorial assistants Arthur Rosenheimer, Jr., from
1939 to 1949, who took the professional name Arthur Knight when
he left New York with plans to found a film museum in Hollywood,
and Richard Griffith, from 1940 to 1942, who later succeeded Barry
at the museum as the film department’s chief curator in 1951.
At the Museum, the need to link preservation to public exhibition
programs and film circulation placed particular pressure on the
archive staff. Over 80 historical film programs were organized from
the Library’s holdings between 1935 and the Museum’s first major,
collection-based career retrospectives on Douglas Fairbanks and
D.W. Griffith five years later, with accompanying monographs
(Griffith by Iris Barry; Fairbanks by Alistair Cooke). The Fairbanks
films arrived in New York in 1938 from Fairbanks’ personal
ROBIN HOOD (Douglas Fairbanks Picture Corporation, per/for
United Artists, US 1922)
Regia/dir: Allan Dwan; story: Elton Thomas [Douglas Fairbanks]; scen.
ed: Lotta Woods; consulente letterario/literary consultant: Arthur
Knoblock; f./ph: Arthur Edeson; scg./des: Wilfred Buckland, Irvin J.
Martin, Edward M. Langley; cost: Mitchell Leisen; ricerche/research:
Dr. Arthur Woods; dir. tecn./tech. dir: Robert Fairbanks; cast:
Douglas Fairbanks (Il conte di/The Earl of Huntingdon / Robin Hood),
Wallace Beery (re Riccardo/King Richard), Sam De Grasse (Principe
Giovanni/Prince John), Enid Bennett (Lady Marian Fitzwalter), Paul
Dickey (Sir Guy of Gisbourne), William Lowery (lo sceriffo di/Sheriff
of Nottingham), Alan Hale (Little John), Willard Louis (frate/Friar
Tuck), Lloyd Talman (Alan-a-Dale), Maine Geary (Will Scarlett);
35mm, 10,960 ft., 133 (22 fps), col. (imbibito/tinted); fonte copia/print
source: The Museum of Modern Art, New York. Restauro/Restored
2009. Preserved by The Museum of Modern Art with support from
The Celeste Bartos Film Preservation Fund.
Didascalie in inglese / English intertitles.
Robin Hood colpì il pubblico dell’epoca per le sue atmosfere
romantiche alla Maxfield Parrish, le grandiose scenografie e le torme
di comparse in costume. In pochi parvero però notare che Fairbanks
passava in sottotono rispetto a tutto questo, o se non altro se ne
scordarono nell’ultima parte del film, quando, recuperato il suo
vecchio smalto, “Doug” riaccendeva il loro entusiasmo e chiudeva in
bellezza il film. Rivisto oggi, Robin Hood risulta sicuramente meno
divertente e ben congegnato del suo magistrale predecessore, The
Three Musketeers.
La trama era una rivisitazione di Fairbanks della leggenda di Robin
Hood (l’“Elton Thomas” citato nei credits del film è lui”) mischiata
con un po’ di storia e con la leggenda personale dello stesso
Fairbanks. Che nella prima parte del film impersona il conte di
Huntingdon, il più forte e coraggioso dei cavalieri di corte, nominato
comandante in seconda delle crociate da Riccardo Cuor di Leone; in
seguito, vittima di intrighi e ingiustamente sospettato dal re, diventa
Robin Hood, il fuorilegge dalla fama leggendaria. Nel ruolo del conte,
Fairbanks è visibilmente impacciato dalla sontuosità della mise-enscène. La distanza tra cinepresa e luogo dell’azione è in genere molto
accentuata, spesso le riprese sono effettuate in campo lunghissimo
per includere i grandiosi interni ed esterni del castello medievale, e i
personaggi ne escono inevitabilmente rimpiccioliti. Questo uso
alquanto bizzarro di set grandiosi e dispendiosi rende inevitabile il
paragone con il mirabile uso che aveva fatto solo pochi anni prima
91
BFI & MOMA 75
collection, and went on exhibition in the Museum’s theater as “The
Films of Douglas Fairbanks,” from May to July 1940, less than 5
months after his death on 12 December 1939. Robin Hood (1922)
was first presented as a program titled “The Cavalier.” There has
been extensive preservation work on the film over the ensuing years,
but the new MoMA print to be screened at the Giornate, made last
year, finally incorporates the original tinting. – RON MAGLIOZZI
D.W. Griffith delle gigantesche mura di Babilonia in Intolerance, la
varietà e la mobilità dei suoi punti macchina e l’efficace contrasto tra
i dettagli intimi e le imponenti vedute d’assieme. Nondimeno, la
sequenza d’apertura di Robin Hood è di grande suggestione: il ponte
levatoio cala verso la macchina da presa, quasi riempiendo lo schermo,
coinvolgendo cinesteticamente lo spettatore.
La prima metà di Robin Hood è molto più fiacca di quanto ci si
aspetterebbe da un film di Fairbanks. Sebbene ravvivato da sporadici
tocchi di humour, basati sulla timidezza del conte verso le donne, il
film non sfrutta a fondo la grazia atletica di Fairbanks, e la ridondanza
degli intrighi e del décor pare soffocarlo. Solo quando Robin Hood va
a rintanarsi nella foresta di Sherwood, riaffiora il Fairbanks smargiasso,
e il film comincia a prendere ritmo. Se nei film precedenti restava
qualche dubbio sull’effettivo impegno personale di Fairbanks nell’uso
creativo del mezzo filmico, qui il suo diretto intervento è molto
evidente, mentre la regia di Allan Dwan risulta nel complesso
abbastanza ordinaria. Le scene in cui Fairbanks esegue le sue
acrobazie – il salto dagli alberi sull’uomo a cavallo, l’inseguimento nelle
stanze del castello che culmina con una scivolata da un tendaggio
smisurato, i salti nel vuoto da parete a parete, l’arrampicata sulla
catena del ponte levatoio in ascesa – potevano essere dirette solo da
chi le aveva ideate e interpretate. Ed è proprio in questi momenti che
il film prende finalmente vita, esprimendo una qualità di eccitamento
visivo impossibile per qualsiasi altro medium.
Non meno degna di nota è l’interpretazione di Wallace Beery nei
panni di Riccardo: questo personaggio storico è reso dall’attore più
come un irruento e grossolano buontempone che come un
aristocratico, il che conferisce una nota di realismo al film e destò
grande ammirazione anche all’epoca. – EILEEN BOWSER (Film Notes,
The Museum of Modern Art, 1969)
“Elton Thomas” listed in the film’s credits), mixed with a little history
and the Fairbanks legend itself. In the first half of the film, he plays the
Earl of Huntingdon, strongest and bravest of the knights at court,
named second in command of the Crusades by Richard-the-LionHearted; later, victim of intrigue, unjustly suspected by the King, he
becomes Robin Hood, the outlaw of fairy-tale fame. In the role of the
Earl, Fairbanks is hampered by the gorgeous mise-en-scène. The
camera is held back, often to extreme long shot, in order to include
the huge exteriors and interiors of the medieval castle, and the
characters are dwarfed by them. This somewhat awkward use of the
large, expensive sets calls to mind comparisons with D.W. Griffith’s
masterful use of the towering walls of Babylon in Intolerance a few
years earlier, his camera positions, movements, and contrasts of
intimate details with panoramic views. Nevertheless, the opening
shot of Robin Hood is a very impressive one: the drawbridge
descends toward the camera, almost filling the screen, kinesthetically
drawing in the spectator.
The first half of the film moves much more slowly than we expect of
a Fairbanks film; though it is enlivened with occasional touches of
humor, based on the Earl’s shyness with women, the film shows little
of Fairbanks’ athletic grace, and the amount of intrigue as well as
décor seem to have a strangling effect on him. Once Robin Hood is
established in Sherwood Forest, the swashbuckling Fairbanks
emerges, and the picture begins to move. If it was not clear from
earlier films that Fairbanks was himself responsible for the creative
use of the medium, it is surely evident here, where Allan Dwan’s
direction is on the whole rather pedestrian. However, the sequences
in which Fairbanks performs his stunts – the leap from the trees to
the man on horseback, the chase through the castle climaxed by his
slide down the great drapery, the jump across space from one wall to
another, the climb up the chain of the rising drawbridge – could only
have been staged by the man who devised them and performed them.
And it is precisely here that the production comes to vivid life,
expressing visual excitement of a kind not possible to any other
medium.
Worth noting, too, is Wallace Beery’s performance as Richard: his
portrayal of the historical figure as a rude-mannered, boisterous, jolly
fellow rather than as an aristocrat lends a note of realism, and was
much admired at the time. – EILEEN BOWSER (Film Notes, The
Museum of Modern Art, 1969)
Robin Hood greatly impressed audiences of its day with its Maxfield
Parrish-style romantic atmosphere, its enormous sets, and its horde
of costumed extras. Few seemed to notice that Fairbanks was a little
subdued by it all, or at least forgot his subdued demeanor when, in
the last part of the picture, he returned to his old dashing self, and
the excitement he generated carried the film through to its smashing
climax. Today, Robin Hood appears less entertaining and less well
constructed than its masterful predecessor, The Three Musketeers.
This was Fairbanks’ own version of the Robin Hood legend (he is the
92
Poche retrospettive delle Giornate del Cinema Muto sono state accolte da un entusiasmo e da un dibattito pari a quelli sollevati dal progetto pluriennale
di riesamina dei “classici” del cinema muto inaugurato lo scorso anno a Pordenone. Per gli spettatori più giovani questa era la prima occasione di
conoscere opere celebri che non avevano mai incontrato sul grande schermo; per gli altri era un bel modo di mettere alla prova opinioni assodate, o
perfino di scoprire film di cui avevano sempre sentito parlare ma che per un motivo o per l’altro non erano mai riusciti a vedere.
Alcuni fra i titoli nel programma dello scorso anno erano in effetti poco noti a una consistente fetta di pubblico; non sorprende, quindi, che la discussione
durante e dopo il festival si sia concentrata sul metodo adottato per la selezione annuale e sulla deliberata scelta di proiettare film spesso magnifici ma
tutt’altro che celebri. Né devono sorprendere le domande ricorrenti: “Che splendido film! Perché non ne sapevo niente?”; oppure: “Mai sentito nominare;
che cos’ha di ‘canonico’?”. Speravamo di sentirci rivolgere quesiti del genere, perché ci consentono di meglio approfondire le idee alla base della
retrospettiva.
Mettiamo le carte in tavola: il progetto non è dedicato soltanto a quelli che sono considerati i “migliori” film muti per consenso unanime (se così fosse,
la retrospettiva sarebbe bell’e finita in capo a due o tre anni), ma non è nemmeno il frutto di pura soggettività. David Robinson, direttore delle Giornate,
ha compilato una preziosa tabella ricavata dai referendum sui migliori film nella storia del cinema (fra le votazioni più celebri c’è quella indetta ogni
dieci anni dalla rivista britannica Sight & Sound ): 193 titoli del periodo muto, 82 dei quali già presentati almeno una volta dalle Giornate a partire dal
1982. È una mappa rivelatrice. Molti fra i titoli citati sono in effetti “canonici”. Sono gli unici ad esserlo? Niente affatto. Ci sono almeno altre cinque tipi
di “canone” da tenere in considerazione:
• Il Canone “nazionale”, comprendente film riconosciuti come “classici” in un determinato territorio. Chiedete a qualsiasi storico italiano di cinema quali
siano i dieci film muti italiani più importanti: è probabile che Il fuoco (1915) sia incluso nella lista.
• Il Canone “autoriale”, derivante dalla reputazione di cineasti famosi. Questi film sono “canonici” in virtù del nome di chi li ha fatti: qualsiasi pellicola
diretta da John Ford o da Fritz Lang è oggetto di speciali attenzioni.
• Il Canone “coevo”, che include i film più acclamati negli anni immediatamente successivi alla loro uscita. Shadows (Tom Forman, 1922) era considerato
uno fra i grandi film americani del periodo. Il film esiste ancora, ma è oggi (ingiustamente?) dimenticato.
• Il Canone dei “pionieri” nella storiografia e nella critica del cinema. Moana ( L’ultimo Eden , 1926) è oggi meno applaudito di Nanuk l’eschimese (1922),
ma una quantità di storici lo ha segnalato – e lo segnala tuttora – come una prova di altissimo livello.
• Il Canone “specializzato”, frutto dei più recenti sviluppi negli studi accademici sul cinema. Nessun film di Evgenij Bauer, Franz Hofer o Georg af Klercker
ha mai vinto un referendum, eppure molti esperti parlano di loro come personalità di spicco nell’arte del cinema muto.
Possiamo essere d’accordo o meno con questi criteri, ma ciascuno di essi riflette il modo in cui alcuni film sono stati giudicati più memorabili di altri e
sono perciò diventati “canonici” in diversi contesti cronologici e culturali. “Il Canone rivisitato” si occupa di questi film oltre che dei 193 titoli nella lista
redatta da David Robinson. Non escludiamo l’aggiunta di una categoria ulteriore, quella dei tanti film di inestimabile valore che ancora attendono di essere
guardati con occhi nuovi: un’altra opportunità di ampliare i nostri orizzonti e di trasformare la rivisitazione del Canone in un’avventura alla scoperta del
grande cinema. – PAOLO C HERCHI U SAI
Very few programs of the Pordenone Film Festival have been greeted with as much excitement and lively debate as the multi-year project on the classics
of silent cinema inaugurated at last year’s Giornate. For the younger generations of viewers, this was a first chance to encounter great or important films
they had never experienced on the big screen; for many others, it was a welcome opportunity to reassess their opinions, or even to discover films they
had heard about but never seen despite their longtime acquaintance with the field.
Because some of the titles selected in 2009 were not known to a substantial portion of the audience, much of the discussion revolved upon the rationale
of the selection and the deliberate inclusion of unfamiliar works in the series. “What a great movie! Why haven’t I heard of it before?”, or “I couldn’t
find this title in any textbook, so what’s canonical about it?” were the most frequently asked questions. We have picked the title “Canon Revisited”
precisely because we hoped that these questions would be put on the table. They deserve an answer.
First, it may be useful to set the record straight: this series is not just about the universally acclaimed “best of” silent cinema (if that were the case,
the project would be over in a few years); however, it is also not the expression of subjective choices. Our festival director, David Robinson, has drafted
a comparative chart of all the silent films nominated in various polls from 1930 to 2004 – including the “Top Ten” lists compiled every ten years by the
British magazine Sight & Sound – coming up with a total of 193 titles, 82 of which have been screened at the Giornate since its beginnings in 1982. The
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CANONE RIVISITATO
CANON REVISITED
Il canone rivisitato / The Canon Revisited
checklist is a true eye-opener. Many of these titles are widely acknowledged as “canonical”, but are they the only ones? Not at all. We believe that there
are at least five more types of Canon to consider:
• The “national” canon, including films recognized as classics within a specific territorial community. Ask any Italian film historian about the ten most
important silents produced in Italy: Il fuoco (1915) is very likely to make it in the list.
• The “auteurist” canon, stemming from the reputation of individual directors. Their films are “canonical” by proxy, because of the names attached to
them. In this respect, any film by John Ford or Fritz Lang is the object of special attention.
• The “temporary” canon, comprised of films acclaimed in the years immediately following their release. Tom Forman’s Shadows (1922) was hailed as
one of the great American films of the period. The film is apparently extant, but is now forgotten.
• The “pioneers” canon, compiled by the founding fathers of film history and criticism. Moana of the South Seas (1926) is currently not enjoying the
same status accorded to Nanook of the North (1922) ; nevertheless, many past and present critics have singled it out as a major achievement.
• The “scholarly” canon, evolving with the most recent development in film studies. No film by Yevgenii Bauer, Franz Hofer, or Georg af Klercker was
ever voted in a public referendum; however, many specialists treat their works as remarkable examples of the art of silent cinema.
We may or may not embrace some of these criteria, but they represent ways in which people have treated some films as more memorable than others,
thus making them “canonical” in their own chronological and cultural context. The “Canon Revisited” series is dedicated to all of them, as well as to the
193 titles in David’s inventory. We are also not ruling out an extra category, the many cinematic works still waiting to be seen with fresh eyes: that will
be our chance to expand our own horizons, and make the Canon Revisited a journey of true discovery. – P AOLO C HERCHI U SAI
confrontarsi in qualche modo con questo film. Nanook riesce ancora
a suscitare difese appassionate, attacchi vigorosi, parodie e omaggi.
Drifters è stato semplicemente ignorato.
In breve, è giunta l’ora di una sua riesumazione. Come interpretare il
suo grandioso impatto iniziale, la sua eclissi e la fitta trama di
associazioni cui ha dato origine?
Drifters uscì sugli schermi settant’anni fa, il 10 novembre 1929,
abilmente annunciato come un evento artistico d’eccezione dalla
Film Society, che lo programmò al Tivoli Palace di Londra insieme
con altre produzioni di grande prestigio: il Potemkin di Ejzenštejn,
film a lungo proibito e finalmente approdato alla sua prima
londinese; The Fall of the House of Usher di Webber e Waston; e
The Barn Dance, uno dei primi cartoon di Mickey Mouse, anch’esso
al suo debutto internazionale. Il montaggio di Drifters si riallacciava
alle sue controparti sovietiche e tedesche (in particolare al
Potemkin e al Berlin di Ruttmann), il suo lirismo ai film
dell’avanguardia francese. Accompagnato da uno score che riuniva
Wagner e Rimsky-Korsakov con Mendelsshon e Fauré, Drifters fu
etichettato come “romantico”, ma poiché aveva come protagonisti
gli anonimi lavoratori di un villaggio e si concludeva al mercato con
la vendita e la spedizione di quanto da loro pescato, fu considerato
anche vagamente di sinistra.
L’avvento del sonoro precluse al film ogni possibilità di sfruttamento
a lungo termine. Quando Drifters raggiunse New York, perfino le
sale del circuito d’arte si erano attrezzate per il sonoro, pertanto il
film di Grierson fu programmato come una “curiosità per
intellettuali” assieme a film muti molto più vecchi, come Caligari o
Il carretto fantasma. Verso la metà degli anni ’30, con l’apparizione
dei primi studi sul cinema documentario, il film venne considerato
un primo passo, precoce e al tempo stesso arcaico, rispetto a quello
che era ormai ritenuto un genere prettamente sonoro.
DRIFTERS (New Era Films / Empire Marketing Board, GB 1929)
Regia/dir., mont./ed: John Grierson; prod: Stephen Tallents; f./ph: Basil
Emmott; des: John Skeaping; 35mm, 3641 ft., 49' (20 fps), b&n e
imbibito / b&w and tinted; fonte copia/print source: BFI National
Archive, London.
Didascalie in inglese / English intertitles.
È molto più importante creare un mito che fare un film. È il caso di
Drifters. Qualcuno è perfino riuscito a scriverne senza averlo mai
visto, il che ha sempre solleticato la mia fantasia propagandistica.
(Lettera di John Grierson a Iris Barry, 1945)
Drifters ha una curiosa collocazione all’interno del canone del
documentarismo cinematografico. Viene in genere considerato come
un mediometraggio seminale, il prototipo del documentario inglese, il
primo (e unico) film diretto (o almeno riconosciuto) dal celebrato
John Grierson e, al pari di Citizen Kane, Zéro de conduite e À bout
de souffle, un film di importanza capitale che ha ispirato cineasti di
rilievo quali Basil Wright, Paul Rotha, Humphrey Jennings, Harry Watt.
Come disse Alberto Cavalcanti, fu “un’immensa rivelazione per tutti
coloro che lo videro all’epoca”.
Eppure, il più delle volte, il film è stato messo ai margini ed ignorato
perfino dalla saggistica ultra-specializzata sul documentarismo muto.
Malgrado tutto quello che è stato scritto sulla scuola di Grierson,
Drifters è visto come un lavoro iconoclasta, un ibrido senza
originalità o anche, e in particolare presso la critica più recente, un
frammentario e antiquato esempio di cinematografia imperialista. In
breve, un orfano canonico. Se è un emblema, ha patito un destino
peggiore di quello di lungometraggi consimili come Nanook of the
North, Berlin, Symphonie einer Grosstadt o Grass: A Nation Battle
for Life. Nessun moderno documentarista ha ritenuto necessario
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Humphrey Jennings, and Harry Watt to become directors
themselves. Alberto Cavalcanti called it “an immense revelation to
everybody who saw it at the time.”
And yet, it has often as not been marginalized and ignored even in the
ultra-specialized studies of silent documentary. For all that has been
written about the Grierson school, it is treated as an iconoclastic
work, a derivative hybrid, or (especially among recent critics) a
flawed, outmoded example of Imperialist filmmaking. In short, a
canonical orphan. If it is a hallmark, it has suffered a fate worse than
feature-length counterparts like Nanook of the North, Berlin, or
Grass. No current documentary filmmaker has thought it necessary
to react in any way to the film. Nanook can still inspire rousing
defenses, spirited attacks, parodies, and homages. Drifters has simply
been ignored.
In short, a revival is long overdue. What to make of its powerful initial
impact, its eclipse, and the thick layers of associations that have
grown up around it?
Drifters opened 70 years ago, on 10 November 1929, as an art-house
sensation. Amid great fanfare, the Film Society screened it at the
Tivoli Palace in London along with other prestige items: Eisenstein’s
long banned Potemkin, at last having its British premiere, Webber and
Watson’s The Fall of the House of Usher, and The Barn Dance, one
of the first Mickey Mouse cartoons, also making its international
debut. The montage sequences were linked to its Soviet and German
counterparts (particularly Potemkin and Ruttmann’s Berlin), the
lyricism to French avant-garde films. Accompanied by a score that
pooled Wagner and Rimsky-Korsakov with Mendelssohn and Fauré,
Drifters was labeled Romantic, but because the protagonists were
anonymous working-class villagers and the film ended in the market
place where their fish were sold and shipped, Drifters was also
considered vaguely Leftist.
The arrival of sound doomed any chance that the film might have had
for a long life. By the time Drifters arrived in New York, even art
houses had been wired for sound, so Grierson’s film played as a
highbrow novelty with revivals of much older art-house silents,
notably Caligari and The Phantom Chariot. By the time the first
surveys of documentaries appeared in the mid-1930s, it was treated
as a stepping-stone, both precocious and archaic, to what was already
regarded as a sound film phenomenon.
Deliberate and slow paced, Drifters follows a trawler fishing for
herring in the North Sea. Filmed mainly on location on the rough
water from Lowestoft to Shetland, but with studio sets for a few
cabin scenes, the film mixes the hard labor of the fishermen with the
glistening mass movements of their prey. Seeing men quietly going
about dangerous work is famously the center of the film’s appeal. But
Grierson’s mastery of rhythm and tempo is just as hypnotic. He is
especially good at playing off the racing intensity of the trawler against
the ominous churning motion of the sea – the jolt of the engines, the
fuss with the streaming nets, the smoke of the funnels also playing off
the swooshing movements of the fish. Curiously, for all the
It is a lot more important to make a myth than to make a film. And
Drifters was one such. It even got to the point that people wrote
about it without ever having seen it, and that always tickled my
propagandist fancy. – John Grierson, 1945 letter to Iris Barry
Drifters occupies an oddly angled place in the canon of documentary
films. It is usually treated as a seminal featurette, the prototype of
British documentary, the first (and only) film directed (or at least
acknowledged) by the lionized John Grierson, and, like Citizen Kane,
Zéro de conduite, and Breathless, a film of towering influence that
inspired important filmmakers such as Basil Wright, Paul Rotha,
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CANONE RIVISITATO
CANON REVISITED
Con un ritmo volutamente lento, Drifters segue un motopeschereccio a pesca di aringhe nel Mare del Nord. Girato in
massima parte in esterni nell’agitato tratto di mare compreso tra
Lowestoft e le isole Shetland, salvo alcuni interni delle cabine che
furono ricostruiti in studio, il film coniuga il duro lavoro dei
pescatori con gli scintillanti movimenti di massa delle loro prede. La
tranquillità di questi uomini nell’affrontare un lavoro così pericoloso
ha sempre costituito uno degli elementi di maggiore fascino del film.
Ma anche la padronanza dei tempi e delle scansioni ritmiche da parte
di Grierson è altrettanto ipnotica. In particolare il modo in cui
riesce a rendere l’intenso contrasto tra la corsa del peschereccio e
il minaccioso ribollire del mare – le scosse del motore, l’attività
frenetica con le reti da pesca al traino, lo sbuffo dei fumaioli
contrapposto al movimento turbinoso dei pesci. Stranamente, però,
a dispetto dei molti paragoni con il Potemkin e il montaggio
sovietico, in Drifters c’è una sorprendente mancanza di ieraticità
nella descrizione dei lavoratori – pochi primi piani, niente
inquadrature dal basso, niente torsi maschili luccicanti. Gli operai
sono ripresi quasi sempre di spalle, o con le facce celate.
Le scene finali nel porto di Yarmouth, stranamente unite alle scene
di pesca, sono decisamente singolari. Il film si conclude nel mercato,
dove grandi quantitativi di pesci morti vengono sventrati, stipati nei
barili, venduti all’asta e avviati al trasporto sui treni (nella versione
standard accorciata, le ultime immagini mostrano delle navi).
Grierson sostenne che quella sequenza esprimeva una critica
sociale, denunciando lo sfruttamento capitalistico dei lavoratori (il
montaggio alternato tra le sequenze delle vendite all’asta nel
mercato e le immagini del peschereccio in mare era una
“espressione simbolica” del potere degradante del mercato sulla
manodopera). Alcuni esegeti del film hanno sottolineato il contrasto
tra la debolezza di molte interpretazioni critiche rispetto alla forza
propulsiva delle immagini stesse del mercato. La scena può essere
letta
convincentemente
anche
come
rappresentazione
dell’interdipendenza tra lavoro e capitale. È un finale appropriato,
che intreccia fili di forte impatto in un insieme non del tutto
equilibrato. – RUSSELL MERRITT
(Su questo film si veda anche la sezione precedente dedicata ai 75 anni
del BFI National Archive e del Film Department del MoMA.)
comparisons with Potemkin and Soviet montage, there’s a surprising
avoidance of heroic imagery applied to the workers – few close-ups,
no low angles, no gleaming male torsos. As often as not, workers are
caught with their backs to the camera, or with their faces obstructed.
The final scenes at Yarmouth Harbour, oddly joined to the fishing
scenes, are especially curious. The film ends in the marketplace,
where we see rivers of dead fish gutted, stuffed into barrels, and
auctioned off to be hauled away on trains (in the standard,
shortened version, the last images are of ships). Grierson claimed
the sequence was pointed social critique, exposing capital’s
exploitation of the workers (the point of intercutting views of
market auctioneering with the trawler at sea was a “symbolic
expression” of how market forces degrade labor). Critics of the film
have marked the contrast between the feebleness of the critique
with the jostling force of the marketplace images themselves. The
scene is as plausibly read to illustrate the interdependence of labor
and capital. It is a fitting ending that weaves powerful strands into
one not-quite-integrated whole. – RUSSELL MERRITT
(See also the section “75 Years of Film Archives”.)
Più propriamente, il suo piacere consiste nel balzare all’improvviso
sul suo topolino – il pittore –, giocare con lui e poi gettarlo via. Dopo
aver sapientemente orchestrato la creazione di un capolavoro
recante le proprie fattezze – un nudo alquanto audace e kitsch basato
su “La nascita di Venere” di Cabanel – non avrà più bisogno di lui.
In Tigre reale, girato da Pastrone l’anno seguente, emergerà un
modello più consueto. In quel film, Pina Menichelli è una morente,
tubercolotica femme fatale che vive al solo scopo di soffrire.
Ansimante per gli effetti di un farmaco che le accorcerà i giorni pur
concedendole di viverli condensati in un’ultima ora gloriosa, la
protagonista “muore”, resuscita, poi “muore” di nuovo,
contorcendosi in prolungate estasi di passione e di dolore. Il fuoco
è diverso. Pare chiedersi: quale tipo di diva non è tenuta a pagare il
prezzo della passione? Risposta: la diva che mette in chiaro le regole
del gioco e che poi gioca rispettandole. Con un’onestà
sorprendente per una femme fatale, la Menichelli spiega in anticipo
alla sua preda le regole del gioco: cosa preferisce il topolino, la
fiammella che brucia piano e dura a lungo, o la rossa vampa
(evidenziata sullo schermo da una fulgida imbibizione che pare
scaturire dal suo stesso corpo) che brucia con vivacità e diventa
rapidamente cenere? Come prevedibile, il topolino sceglie il grande
fuoco rosso, forse senza nemmeno capire bene che sarà lui, e non
lei, a finire in cenere. “Bruciami!” le grida, preferendo alla costanza
e alla rispettabilità borghese rappresentate da una madre affettuosa
l’abbagliante fulgore di lei. E il loro amore, in effetti, brucerà alla
svelta – giusto il tempo di dipingere il ritratto di lei e vederlo
riconoscere come un capolavoro.
Evitando la consueta esibizione della sofferenza femminile, ma anche
senza indulgere, come ci si potrebbe aspettare, in alcuna conseguente
forma di commiserazione per il maschio, Il fuoco propone il piacevole
spettacolo di una diva che ama unicamente se stessa. La poetessa si
autocompiace del proprio piacere sensuale. Pienamente soddisfatta di
sé malgrado il palese disprezzo per l’oggetto stesso del suo piacere,
impersona la forma più pura di narcisismo. Tutte le sue manovre di
seduzione sono originate da una controforza che respinge ciò che
deve al contempo fatalmente attrarre – non fosse altro che per
gettarlo via e esaltarsi solo di se stessa. Le dive italiane del muto sono
famose per la serpeggiante sinuosità delle loro movenze, ma vedere la
Menichelli ammaliare velocemente il suo giovane topolino e
altrettanto velocemente sbarazzarsi di lui, significa capire a fondo le
controforze di attrazione e di repulsione.
Con un magnifico tocco finale di realismo, l’artista, notandole un
neo sulla pelle, lo aggiunge al dipinto. Contrariata, la poetessa lo
cancella, “correggendo” di nuovo la sua arte, forse perché quel neo
deturpa la bellezza ideale del suo nudo ma forse anche perché la
renderebbe riconoscibile al pubblico. Una diva richiede al contempo
ammirazione e anonimato. E alla fine, l’unico accenno di rimpianto
che si concederà questa diva sarà comunque un altro gesto di
narcisismo: quello di sfiorare con la mano il neo sul suo seno
rimembrando una passione consumata dal fuoco. – LINDA WILLIAMS
IL FUOCO (Itala Film, IT 1915)
Regia/dir: Giovanni Pastrone [Piero Fosco]; sogg./story: Febo Mari;
f./ph: Segundo de Chomón; cast: Pina Menichelli (la poetessa/the
poetess), Febo Mari (il pittore/the painter Mario Alberti); data v.c./
censor date: 8.12.1915 (No. 10838); lg. or./orig. l: 1100 m.; prima
visione romana/Rome premiere: 29.4.1916; 35mm, 1035 m., 51' (18
fps), col. (imbibito e virato/tinted and toned); fonte copia/print
source: Museo Nazionale del Cinema, Torino.
Didascalie in italiano / Italian intertitles.
Restauro realizzato nel 1991 presso il laboratorio Bruno Favro, con
imbibizioni e viraggi; copia in proiezione colorata con metodo
Desmet, stampata presso il laboratorio L’Immagine Ritrovata di
Bologna nel 1998. / Restoration realized in 1991 at the laboratory
Bruno Favro, with tinting and toning. Screening copy coloured via the
Desmet method, printed at the laboratory L’Immagine Ritrovata in
Bologna in 1998.
In questo film di Pastrone la diva Pina Menichelli è la quintessenza
della femme fatale. Come gran parte delle dive del cinema italiano
dell’epoca, si muove sinuosa ed elegante, offrendosi più alla cinepresa
che all’uomo che deve sedurre. Contrariamente però a molte altre
dive, qui lei non è afflitta da morbi fatali, da apparizioni arcane e
neppure da una reputazione macchiata. Una volta tanto, la donna è
un’artista al pari dell’uomo. Mentre scrive versi ispirati dal tramonto,
spia un giovane pittore che sembra avvicinarsi per catturare (con il
suo aiuto) la giusta sfumatura di rosso e inizia la sua opera di
seduzione. La poetessa è una predatrice esperta: il cappello a testa
di gufo, i denti serrati e le labbra dischiuse rivelano un istinto
animalesco per la caccia ma non per il divoramento della sua preda.
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Pina Menichelli’s diva in Giovanni Pastrone’s Il Fuoco is pure,
unadulterated femme fatale. Like most dive of the Italian cinema of
this era, she moves sinuously and elegantly, giving herself more to
the camera than to the man she seduces. But unlike many of the
other dive, in this role she is untouched by fatal disease, uncanny
apparitions, or even by a blemished reputation. For once, the
woman is as much an artist as the man. When writing a poem
inspired by the sunset, she spies a young painter who seems to
come close to capturing (with her help) the right tinge of red, and
proceeds to initiate her seduction. She is a practiced predator. Her
owl headgear, clenched teeth, and parted lips reveal an animalistic
instinct to hunt but not to devour her prey. Rather, her pleasure is
to pounce on her little field mouse of a painter, toy with him, and
then toss him away. After she orchestrates his creation of a
masterpiece with her as its subject – a daring and kitsch nude
portrait modeled on Cabanel’s “The Birth of Venus” – she will have
no further use for him.
In Tigre reale, directed by Pastrone the following year, a more
familiar pattern would emerge. In that film, Pina Menichelli’s dying,
tubercular femme fatale lives only in order to suffer. Panting from
the effects of a medicine that will shorten her life but allow her to
live her last days condensed into one glorious hour, she “dies”,
revives, then “dies” again, convulsed in prolonged ecstasies of
passion and pain. Il Fuoco is different. It asks: what kind of diva need
not pay the price of passion?
The answer is the diva who can lucidly explain the rules of the game
and then play by them. Surprisingly ethical for a femme fatale,
Menichelli scrupulously explains the rules to her prey in advance:
does the field mouse prefer the flame that will burn slowly and last,
or does he prefer the big red one (enhanced by vivid tinting;
seemingly emerging from her very body) that will burn brightly and
then quickly turn to ashes? Predictably, the field mouse chooses the
big, fast, red fuoco, perhaps not realizing that it is he, not she, who
will end in ashes. “Bruciami!” he cries, rejecting the constancy and
middle-class respectability represented by his loving mother for the
dazzle of the diva’s spark. And this love does, indeed “burn” quickly
– in just the time it takes for him to paint her portrait and have it
quickly recognized as a masterpiece.
Bypassing the familiar spectacle of female suffering, but not, as might
be expected, by turning to any consequent pathos for the male, Il
Fuoco offers the pleasurable spectacle of a diva whose only love is
herself. Menichelli’s poet takes pleasure in her own taking of
pleasure. Pleasing herself despite a pronounced disdain for her
pleasure’s ostensible object, she performs a very pure kind of
narcissism. All her seductive movements are activated by a
counterforce that simultaneously pushes away what she must
nevertheless attract – if only in order to be able to throw it away
and exalt in herself alone. Italian silent dive are known for their
convoluted, tortuous gestures, but to watch Menichelli quickly
seduce her young field mouse and then just as quickly get rid of him
HÆVNENS NAT (Blind Justice) (Dansk Biografkompagni, DK 1916)
Regia/dir: Benjamin Christensen; cast: Karen Sandberg, Benjamin
Christensen, Peter Fjelstrup, Fritz Lamprecht, Jon Iversen; première:
25.9.1916 (Palads, København); 35mm, 1938 m., 106' (16 fps); fonte
copia/print source: Danish Film Institute, København.
Titolo di testa e didascalie in inglese / Original English main title and
intertitles.
Negli anni ’70, quando frequentavo un corso post laurea di storia del
cinema, Benjamin Christensen era conosciuto negli Stati Uniti
principalmente attraverso una copia incompleta del suo
semidocumentaristico Häxan (La strega). Benché in Danimarca i suoi
primi due film, Det hemmelighesdsfulde X (L’X misterioso) del 1913
e Hævnens nat (Notte di vendetta), fossero da tempo considerati dei
classici, fino a pochi anni fa erano pressoché invisibili da qualsiasi altra
parte. Nel 1976, quando vidi Hævnens nat al Danske Filminstitut, mi
sembrò una vera e propria scoperta.
Nei decenni successivi, l’esplorazione del poco conosciuto territorio
degli anni ’10 è notevolmente progredita, e continua tuttora a
restituire molti tesori. Grazie a festival quali Le Giornate del Cinema
Muto e al diligente lavoro di restauro degli archivi, sono emersi
importanti auteurs quali Georg af Klercker, Yevgenii Bauer, Albert
Capellani e Franz Hofer; mentre le carriere di grandissimi cineasti del
calibro di Cecil B. De Mille, Louis Feuillade e Victor Sjöström hanno
rivelato sempre maggiore spessore e varietà. Sulla scia di queste
riscoperte, si rivela meno anomala rispetto al periodo anche l’opera
di Christensen, il cui nome rientra a buon diritto nel novero dei
principali registi degli anni ’10 che seppero trasformare il cinema in
una forma d’arte.
Il primo dei tre segmenti che compongono Hævnens nat costituisce
una straordinaria prova di regia. La semplice situazione di una solitaria
casa di campagna minacciata da un presunto assassino nella notte di
capodanno è sostenuta con destrezza per quasi mezz’ora, dando
l’impressione di un’azione quasi continua. Sicuramente, nessun
cineasta dell’epoca aveva affrontato riprese di pari lunghezza ed
efficacia con così poche fonti di illuminazione. Soltanto un anno dopo
che De Mille aveva fatto sensazione per le poche sequenze a bassa
luminosità di The Cheat e di altri film, Christensen, con lo stesso tipo
di illuminazione, gira un intero segmento di quasi 30 minuti.
L’esplorazione della casa buia da parte del forzuto John richiede una
97
CANONE RIVISITATO
CANON REVISITED
is to truly understand the counterforces of attraction and repulsion.
In a wonderful final touch of realism, the artist notices a mole on
her breast and adds it to the painting. Displeased, Menichelli’s poet
rubs it out, once again “correcting” his art, perhaps because it mars
the ideal beauty of her nude but perhaps also because it would make
her recognizable to the public. She seeks both recognition and
anonymity. In the end, the only possible tinge of regret this diva will
show will be yet another gesture of narcissism: to touch this mole
on her breast in memory of a passion consumed by fire.
LINDA WILLIAMS
potente fonte di luce che illumini parecchie stanze dalla stessa
direzione attraverso porte e finestre. La sua discesa di una scala
mentre va in cerca di latte per il suo bambino evoca in modo assai
convincente l’impiego di una torcia elettrica. In tutto il suo film,
Christensen fa ampio uso delle “funzionali” attrezzature elettriche di
recente scoperta, laddove le luci ad arco camuffate da comuni
lampade da tavola possono illuminare un intero set.
Il racconto del primo segmento tende soprattutto a suscitare le
immediate simpatie del pubblico per John e per la giovane e idealista
Ann che decide di fidarsi di lui offrendogli il suo aiuto. Quando poi lo
zio costringe Ann a denunciare l’intruso, il minaccioso giuramento di
vendetta pronunciato da John contro Ann parrebbe costituire la vis
drammatica ideale per sostenere il resto dell’azione. Quasi
inevitabilmente, tuttavia, il film non riesce a mantenere la
straordinaria tensione delle sequenze iniziali.
Il secondo segmento consiste principalmente nell’esposizione di una
situazione completamente differente.
Trascorrono 15 anni, durante i quali la salute mentale e fisica di John
in prigione si deteriora al punto da fargli dimenticare il suo
giuramento e gli eventi che l’hanno provocato. Nel frattempo, Ann si
è sposata con un ricco medico. La coppia ha due bambini – uno dei
quali è il figlio di John, adottato poco dopo l’incarcerazione del padre.
La suspense rinasce soltanto nel terzo ed emozionante segmento
finale. John si unisce suo malgrado a una banda di ladri. La roba
trafugata dalla casa di città del medico risveglia in lui il ricordo
dell’apparente tradimento di Ann e il successivo giuramento. Nella
“notte della vendetta” del titolo, John si dirige alla volta della casa di
campagna per uccidere Ann…
La straordinaria cura dedicata da Christensen al design e
all’illuminazione dei vari set del film si situa decisamente al di sopra
degli standard dell’epoca. La loro funzione principale consiste nel
creare un parallelismo tra le scene di intrusione e minaccia presenti
in ambo i segmenti d’apertura e di chiusura. La drammatica luce
notturna dell’incipit, abbandonata nella parte centrale del film,
ricompare nell’emozionante episodio finale. La configurazione delle
stanze nella casa di campagna della coppia ricorda molto da vicino
gli ambienti della casa dello zio di Ann nella sequenza iniziale, al
punto che almeno un commentatore è arrivato a suggerire che le
due scene si svolgano nella stessa casa. (Christensen sottolinea
l’importanza della configurazione delle case aprendo il suo film con
un modellino rotante della casa dello zio di Ann, illuminata
dall’interno.) Altresì le scalinate a “elle” che appaiono sul lato
sinistro del fotogramma appaiono molto simili, pur se la prima delle
due è fiancheggiata da armi e armature appese, mentre la seconda è
cinta in parte da un’ampia serie di vetrate, onde accentuare la
vulnerabilità di Ann e del suo bambino, soli nella casa. Parimenti, la
stanza da letto della scena d’apertura, dove Ann chiudeva una porta
sul lato sinistro dell’inquadratura, è riecheggiata nei momenti
culminanti del finale, quando Ann compie più o meno la stessa
azione.
Rivedendo il film, sono rimasta colpita dal grande rilievo affidato alle
suggestioni sonore, in particolar modo nelle situazioni in cui i
personaggi ascoltano dei rumori fuori scena. Nella scena d’apertura,
i festeggianti sollevano i loro bicchieri di champagne e aspettano il
rintocco della mezzanotte. Lo stacco successivo su un orologio
all’esterno mantiene l’inquadratura abbastanza a lungo da
permettere all’accompagnamento musicale di scandire il battito dei
rintocchi, e perfino quando l’azione si sposta di nuovo all’interno, il
gruppo aspetta ancora immobile per qualche secondo prima di
brindare. Questo momento anticipa le molte scene successive di
personaggi che ascoltano dei rumori potenzialmente pericolosi e
atti a creare tensione. I dettagli visivi e le allusioni sonore creano un
parallelismo sistematico tra la notte d’apertura e quella finale. Nel
complesso, malgrado la perdita di tensione nella sua parte centrale,
il film ci rivela un regista di straordinaria sensibilità sia per le qualità
visive che per le suggestioni sonore della nuova forma d’arte.
KRISTIN THOMPSON
In the 1970s, when I was studying film in graduate school, Benjamin
Christensen was known in the U.S. primarily through an abridged
print of his 1922 quasi-documentary, Häxan. Although his first two
films, Det Hemmelighesdsfulde X (1913) and Hævnens Nat, have long
been considered classics in Denmark, until recently they have been
little seen elsewhere. In 1976, when I watched Hævnens Nat at Det
Danske Filminstitut, it felt like a genuine discovery.
In the decades since then, the exploration of the little-known
territory of the 1910s has progressed considerably, and it is still
yielding its treasures. Thanks to festivals like the Giornate del
Cinema Muto and the diligent work of archival restoration, such
figures as Georg af Klercker, Yevgenii Bauer, Albert Capellani, and
Franz Hofer have emerged as major auteurs, while the careers of
such towering filmmakers as Cecil B. DeMille, Louis Feuillade, and
Victor Sjöström have been revealed as deeper and more varied. In
the wake of such discoveries, Christensen’s work does not seem
quite so anomalous for the period, and he takes his place as one of
several major directors of the 1910s who were turning film into an
art form.
The first third of Hævnens Nat is an extraordinarily powerful
stretch of filmmaking. The simple situation of an isolated country
house invaded by an apparent murderer on New Year’s Eve is
sustained for nearly half an hour, giving an impression of nearly
continuous action. Surely no filmmaker of the era managed to shoot
so extensively and effectively in low light. Only a year after DeMille
created a stir with the few low-key shots in The Cheat and other
films, Christensen filled most of a nearly 30-minute segment with
such lighting. Strongman John’s exploration of the darkened house
involves several rooms lit strongly from one direction through
doors and windows. His descent of a stairway as he seeks milk for
his baby provides an unusually convincing depiction of a flashlight.
Throughout the film, Christensen draws extensively on newly
available “practical” lighting equipment, whereby arc lights disguised
98
Eve n to sp e ci a le / Spe c ial E ve nt
LE MIRACLE DES LOUPS (Il miracolo dei lupi / Miracle of the
Wolves) (Société des Films Historiques, FR 1924)
Regia/dir: Raymond Bernard; scen: André-Paul Antoine, dal romanzo
di/from the novel by Henri Dupuy-Mazuel; f./ph: Maurice Forster,
Marc Bujard, Robert Batton; scg./des: Robert Mallet-Stevens,
(disegni/designs executed by) Jean Perrier; cost: Job [Jacques Onfroy
de Bréville]; addestratore lupi/wolf wrangler: Louis Mac-Donald; cast:
Vanni Marcoux (Charles le Téméraire [Charles the Bold]), Charles
Dullin (Louis XI), Romuald Joubé (Robert Cottereau), Yvonne Sergyl
(Jeanne Fouquet), Gaston Modot (Comte du Lau), Fernand Mailly
(Philippe Le Bon [Philip the Good]), Ernest Maupain (Fouquet),
Armand Bernard (Bische), Philippe Hériat (Tristan l’Ermite);
riprese/filmed: 1.11.1923-30.9.1924 (Studio Levinsky-Joinville;
Carcassonne; Grenoble; Saint-Rémy-lès-Chevreuse; Château de
Pierrefonds); 35mm, 3017 m., 131' (20 fps), fonte copia/print source:
Archives françaises du film (CNC), Bois d’Arcy.
Didascalie in francese / French intertitles.
Partitura originale/Original score: Henri Rabaud; trascrizione per
pianoforte/piano transcription: Noël Gallon; esegue/performed by:
Touve R. Ratovondrahety.
Da tempo gli studiosi e gli appassionati di cinema francese degli anni
’20 auspicavano che Le miracle des loups emergesse dagli archivi per
poterne consentire la visione a un pubblico più vasto. Se era accaduto
con gli epici film in costume del 1927 quali Napoléon, Casanova e Le
joueur d’échecs, perché non poteva accadere con Le miracle des
loups, uno dei film francesi più grandiosi, prestigiosi e popolari del
genere? Fortunatamente, grazie a un lungo e laborioso intervento di
restauro ad opera della Gaumont e degli Archives françaises du
cinéma (CNC), quel momento “miracoloso” è arrivato.
Dopo aver realizzato una mezza dozzina di commedie e drammi
borghesi con il padre, il famoso drammaturgo Tristan Bernard, il
regista di Le miracle des loups, Raymond Bernard, che solo due anni
prima aveva rifiutato di dirigere un adattamento seriale da Les trois
mousquetaires per la Pathé, confessò di essersi spaventato per le
99
CANONE RIVISITATO
CANON REVISITED
Cinema sovietico / Shifting Fortunes: Three Soviet Careers
JIM SHUANTE (Marili svanets / Sol Svanetii) [Džim Suante (Il sale
della Svanetia) / Salt for Svanetia] (Sakhkinmretsvi, Georgia SSR, 1930)
Regia/dir: Mikhail Kalatozishvili [Kalatozov]; scen: Sergei Tretyakov;
f./ph: Mikhail Kalatozishvili [Kalatozov], Shalva Ghegelashvili; scg./des:
Davit Kakabadze; aiuto regia/asst .dir: Siko Palavandishvili; 35mm,
1387 m., 64' (19 fps); fonte copia/print source: Gosfilmofond of
Russia.
Didascalie in russo / Russian intertitles.
Si veda la scheda completa del film nella sezione “Cinema sovietico”.
For full credits and notes, see the main entry for this film in the
section “Shifting Fortunes: Three Soviet Careers”.
as ordinary-looking table lamps can illuminate an entire shot.
The drama of the opening third rapidly manages to establish
audience sympathy with both John and the youthful, idealistic Ann
as she decides to trust and help him. After her uncle forces Ann to
betray John, his vow of revenge against her seems to set up a strong
impetus for the remaining action. Almost inevitably, however, the
singular tension of the opening section cannot be sustained.
The film’s second portion consists mainly of exposition of a very
different situation.
A gap of 15 years occurs, during which John’s physical and mental
health deteriorate in prison, and he forgets his vow and the events
that led up to it. The same time lapse has seen Ann married to a
wealthy doctor. They have two children – including John’s son,
whom the couple adopted shortly after John’s imprisonment.
Not until the final, climactic third portion does the suspense builds
again. John unwittingly joins a gang of thieves, and their loot from
the doctor’s town house spurs John to remember Ann’s apparent
betrayal and his vow, and he sets out to the country house to
murder her during the “night of revenge” of the film’s title.
Throughout the film, Christensen’s attention to set design and
lighting is outstanding for the period. They function especially to
create parallels between the scenes of invasion and threat in the
opening and closing portions. The opening’s dramatic night lighting,
abandoned in the film’s central portion, returns in the climax. The
layout of rooms in the couple’s country home strongly recalls those
of the uncle’s estate in the opening, to the point where at least one
commentator has said that the two scenes take place in the same
house. (Christensen stresses the importance of the houses’ layout
by opening the film with a revolving model of the uncle’s home, lit
from within.) The L-shaped staircases leading to the upper left of
the frame are similar, though the first is lined with hangings of
armor and weapons, while the second is partially walled by a great
stretch of glass windows, stressing the vulnerability of Ann and her
child, alone in the house. Similarly, the bedroom of the opening
scene, where Ann had locked a door at the right of the frame, is
echoed in the climax, where she does much the same thing.
Watching the film again, I was struck by how much emphasis it puts
on implied sound, especially characters listening to offscreen sound.
In the opening scene, the revelers lift their champagne glasses and
await the stroke of midnight. A cut to a clock outdoors holds the
shot long enough for the musical accompaniment to marks the
tolling bell, and even after the cut back indoors, the group waits
unmoving for a few more seconds before drinking their toast. The
moment prepares the way for the many scenes when characters
listening to potentially threatening noises create tension. Visuals
and implied sound create systematic parallels between the opening
and closing nights. Overall, despite the loss of dramatic energy in
the central portion, the film displays a director with a tremendous
feel for both the visual and even the sonic qualities of the new art
form. – KRISTIN THOMPSON
dimensioni e il budget del film, primo di una impegnativa serie di
progetti della Société des Films Historiques (finanziata da esuli russi)
che mirava a “restituire per immagini l’intera storia di Francia”. Alla
première di Le miracle des loups, che fu anche la prima ad essere
ospitata all’Opéra de Paris, il 13 novembre 1924, seguirono poi tre
mesi di programmazione in esclusiva nella vicina Salle Marivaux e una
vasta distribuzione in tutta Europa. (Il film raggiunse perfino le sponde
americane.) I lettori di Cinéa-Ciné-pour-tous ne coronarono il
successo eleggendolo miglior film del 1925 (davanti a importazioni
americane quali The Thief of Bagdad di Fairbanks e The Ten
Commandments di DeMille).
La storia del film narra il decennale conflitto storico (1461-1472) tra
Luigi XI (un insolitamente passivo e meditativo Charles Dullin, che
nella dissolvenza finale ci viene mostrato mentre contempla una
scacchiera, quasi un’anticipazione del suo film successivo, Le joueur
d’échecs) e il suo avversario, Carlo il Temerario, duca di Borgogna,
che brama la corona di Luigi. Il loro conflitto trova un parallelo nella
rivalità tra due nobiluomini di Carlo, Robert Cottereau (Romuald
Joubé, “amoroso” di teatro e di cinema) e il conte Du Lau (un Gaston
Modot al meglio della sua “cattiveria”) entrambi innamorati di Jeanne
Fouquet, che si trova in debito con Luigi. Mentre Du Lau resta fedele
a Carlo (fin troppo), Robert, per amore di Jeanne, salva Luigi (e poi
anche l’amata) da morte sicura. Infine, riprendendo la leggenda
popolare, il conflitto si risolve prima con il “miracolo dei lupi” e poi
con l’eroico intervento di Jeanne che, indossata la corazza, sprona alla
resistenza i contadini e gli abitanti di Beauvais assediati dalle truppe di
Carlo. Ribattezzata “Jeanne Hachette” (Giovanna dell’Accetta) dai
suoi concittadini, l’eroica fanciulla mostra un’evidente affinità con
Jeanne d’Arc, incarnando lo spirito della Francia nel periodo in cui si
stava forgiando il sentimento francese di unità nazionale.
Grandiosa epopea storica, Le miracle des loups fa sfoggio di una
spettacolarità perfettamente funzionale alla narrazione. La battaglia
iniziale a Montlhéry ispirerà in seguito film che vanno da Napoléon di
Gance a Chimes at Midnight (Falstaff) di Welles: una serie di riprese
in rapida successione registra con vivida efficacia una dozzina di
diverse maniere in cui cavalieri corazzati e fanti vengono feriti ed
uccisi. Benché un po’ più dilatato, l’attacco dei lupi possiede un
analogo realismo nei dettagli: in alcune riprese molto ravvicinate,
vediamo le belve dilaniare le gole e le facce sanguinanti di Du Lau e
dei suoi uomini (tra i quali emerge il volto familiare di uno stuntman,
Albert Préjean, che pochi anni dopo vedremo a caccia d’un cappello
di paglia per René Clair…). Spettacolare pezzo di bravura, l’assedio al
castello di Beauvais fu girato nei dintorni della città fortificata di
Carcassonne con mezzi di tale grandiosità scenografica da rivaleggiare
con la sequenza babilonese di Intolerance di Griffith. Orchestrata con
chiarezza e vivacità, la sequenza presenta un’inconsueta varietà di
inquadrature e muta con estrema fluidità il centro dell’azione, dai
difensori sulle mura cittadine che osservano le orde di assalitori
sciamanti su una bassa collina, al primo piano di un cannone che sputa
fuoco, a una donna che protegge il suo bambino. Eliminando ogni
dettaglio superfluo, gli scenografi Robert Mallet-Stevens e Jean Perrier
(quest’ultimo all’inizio di una ventennale mirabile collaborazione col
regista) prima della fine creano nel torrione del castello di Beauvais
una sorta di emblema magico: una ripresa in campo lungo di due
cavalieri con indosso l’armatura immobili accanto a Jeanne ferita fra le
macerie di un salone dagli alti soffitti attraversato da sprazzi di luce.
E tuttavia, le scene più suggestive del film sono probabilmente quelle
che si sviluppano attorno alla elaborata mise en scène di una sacra
rappresentazione medioevale, “Il gioco di Adamo” (con reminiscenze
di una féerie di Méliès). Mentre sullla scena il serpente seduce Eva ed
Adamo con la mela, in una stanza contigua Carlo manda Du Lau a
prendere Jeanne. Mentre sul palco una schiera di agili diavoli saltellanti
spinge la coppia biblica nella bocca spalancata del drago infernale,
Carlo ordina a Jeanne di stare con Du Lau. Mentre lei cerca di liberarsi
dalle braccia di quest’ultimo, il film stacca sulla corona reale che rotola
a terra; compare, all’improvviso, Luigi (anch’egli spettatore della
recita) che entra nella stanza accanto. Dopo un breve, drammaticamente intenso scambio di sguardi, Luigi raccoglie la corona
prima che Carlo riesca ad afferrarla. Un uomo della sua scorta tira
una tenda, e la folla si alza per assistere al dramma che si sta svolgendo
da quella parte, facendo saltare la sacra rappresentazione. Luigi deride
apertamente il suo rivale: “Le corone sono come le donne.” E quando
Carlo si inchina con ossequio davanti a lui, Luigi fa maliziosamente
l’atto di porgli la corona sul capo per poi subito ritrarla. Con aria
meditabonda, strofina una delle gemme che la incastonano e ride: “È
incrinata!” Carlo ha lo sguardo fisso nel vuoto e tutti gli astanti ormai
sanno che la guerra è vicina. È un momento magnifico, degno dello
Shakeaspeare che riecheggia (Riccardo II, atto IV, scena I), ed è
emblematico del perché Le miracle des loups, a quasi un secolo di
distanza dalla prima, regga ancora benissimo la prova.
RICHARD ABEL
Scholars and cinéphiles of 1920s French cinema have long hoped that
Le Miracle des loups could be lured out of the archive into the light
for large public audiences. It happened to 1927 historical epics like
Napoléon, Casanova, and Le Joueur d’échecs, so why not Le Miracle
des loups, one of the biggest, most prestigious, most popular of the
French genre? Fortunately, that “miraculous” moment is here, thanks
to a long and complex restoration by Gaumont and the Archives
françaises du film (CNC).
After filming half a dozen comedies and bourgeois melodramas with
his famous dramatist father Tristan Bernard, the director of Le
Miracle des loups, Raymond Bernard, who only two years earlier had
turned down an offer to direct Pathé’s serial adaptation of The Three
Musketeers) confessed to being awed by the film’s scope and budget,
the first of several projects produced by the Société des Films
Historiques (with Russian émigré financing), whose aim was “to
render visually the whole history of France.” Le Miracle des loups
became the first film to premiere at the Paris Opéra, on 13
November 1924, followed by an exclusive three-month run at the
nearby Salle Marivaux and widespread distribution across Europe.
100
(It even reached American shores.) Cinéa-Ciné-pour-tous readers
capped its success by voting it the best film of 1925 (ahead of
American imports like Fairbanks’ The Thief of Bagdad and DeMille’s
The Ten Commandments).
The subject: the historic decade of conflict, 1461-1472, between
Louis XI (an unusually passive, meditative Charles Dullin, here seen in
the final fadeout contemplating a chessboard, as if anticipating his
next film, The Chess Player) and his adversary, Charles the Bold,
Duke of Burgundy, who lusts after Louis’ crown. This conflict has a
parallel in the rivalry of Charles’ noblemen, Robert Cottereau (stage
and screen romantic lead Romuald Joubé) and Count du Lau (Gaston
Modot at his most villainous), both in love with Jeanne Fouquet, who
becomes indebted to Louis. While du Lau remains loyal to Charles
(to a fault), Robert’s love for Jeanne leads him to save Louis (and later
his beloved) from death. Ultimately, according to legend, the conflict
is resolved first by “the miracle of the wolves” and then by Jeanne’s
heroic action rallying the peasants and townspeople of Beauvais to
resist a siege by Charles’ army. Here, dubbed “Jeanne Hachette”
(“Joan of the Hatchet”) by her fellow citizens, she bears a striking
resemblance to Jeanne d’Arc, incarnating the spirit of France at a time
when a sense of French national unity was being forged.
As a lavish historical epic, Le Miracle des loups showcases spectacle
yet integrates it effectively into the narrative. The initial battle of
Montlhéry anticipates later films from Gance’s Napoléon to Welles’
Chimes at Midnight: a quick succession of graphic shots catalogue a
dozen different ways that armored horsemen and foot soldiers are
wounded or killed. Although slightly extended, the wolves’ attack has
similar realistic detail: in close shots, the wolves tear at du Lau and his
men’s bloody necks and faces (one familiar visage is that of stuntman
Albert Préjean, still a few years away from chasing straw hats for
René Clair). A set-piece of spectacular action, the climactic siege of
Beauvais was shot on location around the fortified town of
Carcassonne and staged on a scale rivaling the Babylon sequence in
Griffith’s Intolerance. Clearly, vividly orchestrated, the sequence
deploys an unusual variety of shots and smoothly shifts narrative
focus, from defenders on the town walls watching massed attackers
swarming over a small hill to close shots of a cannon firing or a
woman protecting her child. Eliminating unnecessary details, set
designers Robert Mallet-Stevens and Jean Perrier (the latter at the
start of a superb two-decade collaboration with the director) create
in the Beauvais castle keep a magical emblem near the end: a long
shot of two armored knights poised over the wounded Jeanne in a
high-ceilinged, shimmering, debris-filled hall.
Perhaps the most intriguing sequence comes during an elaborately
staged medieval mystery play, “The Game of Adam” (reminiscent of
a Méliès féerie). As the stage serpent seduces Eve and Adam with the
apple, in a side room Charles sends du Lau outside to bring Jeanne to
him. Nimble, cavorting devils push the couple to the huge dragon
mouth of hell on stage, and Charles orders Jeanne to go with du Lau.
As she struggles to resist, the film cuts to the royal crown falling to
the floor, suddenly followed by Louis (he too is watching the play) as
he enters the side room. After an economical, dramatically charged
montage of glances, Louis seizes the crown before Charles can reach
it. One of his retinue pulls back a curtain, and the crowd rises to face
this side stage drama, displacing the mystery play. Pointedly, Louis
taunts his antagonist: “Crowns are like women.” As Charles kneels
obediently before him, Louis mischievously raises the crown to his
rival’s head, only to grab it back. Thoughtfully, he rubs one of its
jewels and laughs: “It’s cracked!” Charles stares, and everyone knows
war is at hand. It’s a marvelous moment, worthy of the Shakespeare
it echoes – Richard II (Act IV, Scene 1) – and suggests just how
effectively Le Miracle des loups works, nearly a century after its
premiere. – RICHARD ABEL
Questa versione del film non è attualmente disponibile in copie di
proiezione a 35mm / No 35mm print of this version of the film is
currently available for screening.
Robert Flaherty (1885-1951) realizzò Moana, il meno visto dei suoi
lungometraggi, a Samoa tra l’aprile 1923 e il dicembre 1924. Per la
prima volta, i familiari accompagnarono il regista per l’intera durata
delle riprese. La moglie Frances lavorò al suo fianco, mentre le loro
tre figlie, Monica (4 anni), Frances (7) e Barbara (9) trascorsero il
tempo imparando a conoscere le usanze e i canti samoani e
stringendo amicizie. Il legame con Samoa fu mantenuto vivo negli anni
dalle tre sorelle, che in particolare amavano cantare le canzoni
samoane, e avrebbe fornito le basi per la versione sonora di Moana
realizzata da Monica Flaherty svariati decenni dopo.
Distribuito nel 1926, Moana non fu un successo commerciale; e
malgrado l’accoglienza abbastanza favorevole ottenuta in Europa, la
distribuzione fu subito limitata a pochi luoghi specializzati quali il
MoMa di New York. Robert Flaherty restò sempre dell’opinione che
lo score musicale originale, che incorporava brani di musica classica,
fosse poco adatto e appesantisse il film e che il pubblico lo avrebbe
recepito meglio se avesse avuto una colonna sonora più appropriata.
Nei primi anni ’70, Monica Flaherty, allora poco più che cinquantenne,
subentrò nella gestione del lascito cinematografico di famiglia. Si
propose subito di verificare la possibilità di realizzare una versione
sonora di Moana. Ormai i registratori portatili e i sistemi di
montaggio flatbed rendevano molto più facile la registrazione e il
montaggio del suono.
101
CANONE RIVISITATO
CANON REVISITED
MOANA (L’ultimo Eden) (Famous Players-Lasky, US 1926) [1981
versione sonora / sound version]
Regia/dir: Robert Flaherty; cast: Ta’avale (Moana), Fa’angase, Tu’ugaita,
Pe’a; soundtrack dir: Monica Flaherty; DigiBeta (trascritto a 24 fps da
una copia positiva a 16mm/transferred at 24 fps from a 16mm positive
print), 96' (sonoro/sound); fonte copia/source: Monica Flaherty
Archive, Helsinki.
Didascalie in inglese / English intertitles.
allettante. A Monica fu comunque permesso di presentare Moana in
contesti non commerciali. Dopo quasi 10 anni di lavoro, la première
della versione sonora di Moana si tenne a Parigi, presso la
Cinémathèque française, il 17 giugno 1981. Il film ebbe un’ottima
accoglienza e fu presentato altre 49 volte in varie parti del mondo, tra
cui, nel 1985, Berlino e Cannes nel 1990: Monica assistette ad ogni
proiezione, introducendo personalmente il film. L’ultima proiezione di
Moana sonoro avvenne nel 1998, dopo di che Monica, che aveva 76
anni, non se la sentì più di accompagnare il film in giro per il mondo.
E dato che i diritti di distribuzione non le appartenevano, Moana
ridiventò un inerte classico cinematografico. Monica Flaherty è
scomparsa nel 2008, lasciando la colonna sonora e la relativa
documentazione d’archivio nelle mani dei suoi curatori testamentari.
Dopo la loro classificazione e catalogazione, i materiali saranno a
disposizione dei ricercatori presso i Central Art Archives della Finish
National Gallery di Helsinki. Le future proiezioni del Moana sonoro
dipenderanno dai diritti di proiezione e distribuzione, dall’interessamento dei curatori e dalla perseveranza di chi vorrà far sì che questo
magnifico film sia visto, e ascoltato, ancora. –SAMI VAN INGEN
Robert Flaherty (1885-1951) filmed Moana, his least-seen featurelength film, in Samoa between April 1923 and December 1924. It was
the first time his family accompanied him during the filmmaking
process. His wife Frances worked with him, while their three
daughters, Monica (4), Frances (7), and Barbara (9), spent their time
learning Samoan customs and songs and making friends. This
relationship to Samoa, particularly the singing of Samoan songs, was
kept up by the three sisters in the subsequent years, and was to form
the basis for Monica Flaherty’s sound version of Moana decades later.
Released in 1926 Moana was not a box-office success; despite being
relatively well received in Europe, its distribution was soon limited to
a few specialist outlets like MoMA in New York. Robert Flaherty
always believed that the original musical score, incorporating classical
motifs, was inappropriate and hampered the film, and that audiences
would understand Moana better if it had a more suitable soundtrack.
In the early 1970s Monica Flaherty, then in her early 50s, took over
the managing of the family’s film legacy. One of her first aims was to
figure out a way to make a sound version of Moana. By that time
portable tape recorders and flatbed editing systems made sound
recording and editing considerably easier.
From the start Monica’s intention was to create a “natural”
soundtrack, recording in the original locations, and most important,
working with people who had intimate knowledge of the making of the
film in 1924. She was able to find the surviving members of the original
Samoan cast: Pe’a, who played the little boy, and Ta’avale, who played
Moana, both still lived in the Safune village, while Fa’angase, the village
maiden, lived in Hawaii. Monica made several field trips to Hawaii to
show the film to the Samoan community and discuss ideas with
Fa’angase. In 1975 she travelled to Samoa with Richard Leacock and
Sarah Hudson, recording a wealth of sound material on location in
collaboration with Pe’a and Ta’avale and their families.
La sua idea era quella di creare una colonna sonora “naturale” da
registrare nei luoghi originali e, in primis, di lavorare con le persone
che nel 1924 avevano partecipato alla realizzazione del film. A Samoa
rintracciò i membri sopravvissuti del cast originale: Pe’a, che nel film
era il ruolo del bambino, e Ta’avale, l’interprete di Moana, abitavano
ancora a Safune, mentre Fa’angase, la fanciulla del villaggio, viveva alle
Hawaii. Monica si recò più volte alle Hawai per mostrare il film alla
comunità samoana e per discutere con Fa’angase. Nel 1975 ritornò a
Samoa in compagnia di Richard Leacock e Sarah Hudson, che con la
collaborazione di Pe’a, di Ta’avale e delle loro famiglie, registrarono sul
posto una gran quantità di materiali sonori.
La post-produzione avvenne nel Vermont, presso uno studio gestito
da Allan e Susan Seymour. In un’intervista raccolta all’inizio del 2010,
Allan ricordava quanto Monica ci tenesse alla perfezione e quanto
meticolosamente curasse il suono: “Era un soundtrack denso,
corposo – quasi come se si fosse trovata al fianco del padre con un
Nagra”. Per il suo progetto, Monica Flaherty consultò un numero
straordinario di persone: esperti di musica samoana, antropologi,
linguisti, diplomatici, finanzieri, personaggi celebri, tecnici e
conservatori di archivi cinematografici e registi, tra cui Jean Renoir.
Nei cinque anni impiegati per il montaggio del suono, Monica mostrò
più volte il film ai samoani delle Hawaii, registrando e analizzando le
loro reazioni per applicare ulteriori modifiche al suo soundtrack. Nel
1977 scrisse che la finalità del suo progetto sonoro era diretta alla
preservazione del film ma anche delle canzoni tradizionali samoane ad
esso associate. Grazie alla registrazione di interviste e alla
corrispondenza scambiata con le persone di Samoa direttamente
coinvolte nella lavorazione del film, Monica riuscì inoltre a raccogliere
un prezioso materiale di ricerca sulla realizzazione di Moana.
La Paramount non possedeva una sola copia di Moana (a quanto pare
avevano distrutto al contempo sia i negativi che le copie nitrato
originali, senza prendersi la briga di trarne dei controtipi di sicurezza).
Fortunatamente, in Svezia, negli anni ’20, il film aveva suscitato molto
interesse e Monica riuscì a trovare presso la Cineteca Svedese una
discreta copia nitrato originale a 35mm conservata, da cui si fece
ricavare un internegativo.
Un altro compito non facile fu quello di adattare la copia muta
originale alla nuova colonna sonora a 24 fotogrammi al secondo:
furono necessari numerosi test di stampa per poter ricavare, a partire
dall’originale a 18 fotogrammi, una copia a 24. Ben presto ci si rese
conto che svariate scene, e in particolare le sequenze della laguna,
andavano stampate a un passo diverso. I costi di laboratorio
lievitarono, ma la tenacia e il perfezionismo di Monica furono premiati.
Il buon risultato finale, compatibilmente con gli standard della
tecnologia analogica, ha mantenuto ogni singolo fotogramma del
Moana originale insieme con il movimento naturale di ogni sequenza.
La Paramount non mostrò mai grande interesse per la versione sonora
di Monica – per un grande studio, nei tardi anni ’70, molto prima della
nascita di “nuovi media” come i DVD e Internet, lavorare su un
classico poco redditizio non costituiva certo una prospettiva
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MUTTER KRAUSENS FAHRT INS GLüCK [Il viaggio di mamma
Krause verso la felicità / Mother Krause’s Journey to Happiness]
(Prometheus Film-Verleih und Vertrieb-GmbH, DE 1929)
Regia/dir., f./ph: Piel Jutzi; scen: Willy Döll, Jan Fethke; cast: Alexandra
Schmidt (Mutter Krause), Holmes Zimmermann (Paul Krause), Ilse
Trautschold (Erna Krause), Gerhard Bienert (inquilino/lodger), Vera
Sacharowa (Friede), Fee Wachsmuth (bambina/child), Friedrich Gnaß
(Max); 35mm, 2858 m., 118' (21 fps); fonte copia/print source:
Deutsche Kinemathek, Berlin.
Didascalie in tedesco / German intertitles.
Mutter Krausens Fahrt ins Glück, un classico del cinema proletarrivoluzionario e uno degli ultimi film muti dell’epoca di Weimar, uscì
a Berlino-Wedding il 30 dicembre 1929 e fu reclamizzato come un film
“alla Zille”, in omaggio a Heinrich Zille, popolare illustratore e
cronista dei quartieri operai morto cinque mesi prima dell’uscita del
film. Basato su temi e motivi ispirati alle storie e ai disegni di Zille,
Mutter Krausens è un melodramma sociale intrecciato con un film di
tipo documentaristico sull’indigenza del proletariato berlinese. Jutzi,
regista tedesco che verso la metà degli anni ’20 era passato dal cinema
commerciale ai documentari sulla classe operaia, diresse il film con la
collaborazione di due famosi pittori e attivisti politici dell’epoca,
Käthe Kollwitz e Otto Nagel, e del compositore Paul Dessau. Il film
fu prodotto con un risicato budget dalla Prometheus Film, un
collettivo impegnato nella diffusione in Germania dei film sovietici, tra
cui, nel 1926, La corazzata Potëmkin di Sergej Ejzenštejn.
Sulla scia di un “film su una città” come Berlin, Symphonie einer
Grosstadt (Sinfonia di una grande città; 1927) di Walter Ruttmann,
anche Jutzi si serve della cinepresa e del montaggio per cogliere la vita
in flagrante, ma, al contrario di Ruttmann, il cui film spazia sull’intero
tessuto urbano, lui si concentra sui quartieri proletari della periferia
di Berlino. Le veloci panoramiche diagonali delle sequenze
introduttive mostrano le condizioni di vita che determinano le azioni
individuali dei personaggi. Spesso la macchina da presa panoramica
dagli attori al loro squallido milieu, quasi a ribadire la dichiarazione di
Zille secondo cui “un uomo lo si può uccidere con un appartamento
altrettanto facilmente che con una scure”.
I membri del cast erano per lo più non-attori; i loro volti crudamente
illuminati e ripresi in primo piano e dal basso (secondo i dettami dello
stile “russo” di Ejzenštejn e Pudovkin), suggeriscono un interesse
documentaristico per il realismo e l’autenticità. Alla descrizione della
deriva di una famiglia operaia fa da contraltare il sorgere delle prime
organizzazioni politiche del proletariato giovanile. In una celebre scena,
la figlia di mamma Krause raggiunge il fidanzato politicizzato a una
marcia di protesta: sulle prime la ragazza è esitante, ma poco dopo
marcia spedita al passo con gli altri, al suono dell’“Internazionale”.
Puntando sui piedi che marciano, la cinepresa separa gli operai dalle
loro fisionomie individuali per evocare una comunanza di intenti che si
estende a tutti coloro che vogliono farne parte. La stessa scena viene
ripresa alla fine del film, stabilendo un’alternativa “agit prop” alla
melodrammatica conclusione della vicenda. L’azione collettiva e la
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CANONE RIVISITATO
CANON REVISITED
The post-production was done in Vermont, at a company run by
Allan and Susan Seymour. Interviewed in early 2010, Allan recalled
how Monica strove for perfection, and was very meticulous in her
sound design: “Her soundtrack was dense, it was full – it was like she
was standing beside her father with a Nagra.”
Monica Flaherty consulted an incredible number of people on her
sound project: experts in Samoan music, anthropologists, linguists,
diplomats, financers, celebrities, film technicians and preservationists,
and filmmakers who included Jean Renoir. During the 5 years of
sound editing, Monica showed the film to Samoans in Hawaii several
times and taped their feedback, analyzing their response and then
reworking her soundtrack. In 1977 she wrote that she was doing the
soundtrack both for the preservation of the film itself and of the
traditional Samoan songs associated with it. She also collected
invaluable research material about the making of Moana through
taped interviews and correspondence with people in Samoa who had
been involved in the making of the film.
Paramount had no print of Moana (allegedly they had destroyed the
nitrate negatives and prints, without bothering to make safety film
dupes). There had been much interest in the film in Sweden in the
1920s, however, and Monica finally found a decent original 35mm nitrate
print at the Swedish Film Archive, from which she made a dupe negative.
Another challenge for the project was to adapt the original silent print
to accommodate a soundtrack at 24 fps, and numerous tests were
done to step-print the original 18 fps to this standard. It was soon
discovered that different scenes, particularly the lagoon shots, had to
be printed at different step ratios. The lab costs steadily mounted, but
Monica’s persistence and perfectionism paid off. The end result was as
good as analog technology allows, keeping every frame of the original
Moana, and with natural-looking movement in each shot.
Paramount was never very interested in Monica’s soundtrack project;
for a big studio, work on a low-profit classic was not a viable business
venture in the late 1970s, long before the “new media” of DVDs and
the Internet. However, they permitted her to screen Moana in noncommercial limited venues. After nearly 10 years of work, Moana with
sound premiered at the Cinémathèque française in Paris on 17 June
1981. It was very well received, and was screened 49 times in various
venues around the world, including Berlin in 1985 and Cannes in 1990.
Monica accompanied the film and gave a talk at each screening.
The last screening of Moana with sound was in 1998, after which
Monica, then 76, felt too old to travel with it. As she did not have the
distribution rights, Moana once again became an inert film classic.
Monica Flaherty passed away in 2008, and left her soundtrack and its
related archive in the hands of her estate. After sorting and
cataloguing, the materials will be available for research at the Central
Art Archives of the Finnish National Gallery in Helsinki. Future
screenings of Moana with sound will depend on screening and
distribution rights, the interest of curators, and the perseverance of
people who want this beautiful film to be seen – and heard – again.
SAMI VAN INGEN
but, in contrast with Ruttmann’s cross-section of the urban
environment, he concentrates on Berlin’s proletarian districts. The
fast pan and tilt shots in the introductory scenes are meant to
display the living conditions that determine the individual actions of
the characters. Frequently the camera pans away from the actors to
their wretched milieu, as if to hit home Zille’s declaration that “one
can kill a man with an apartment as easily as with an axe.”
Most members of the cast were non-actors; their harshly lit faces,
filmed in close-up from a low angle (following Pudovkin and
Eisenstein’s “Russian style”), suggest a documentary interest in
realism and authenticity. The film’s depiction of a working-class
family’s demise is set against the rise of the organized proletariat of
young workers. In a famous scene, the daughter joins her politicized
boyfriend in a protest march, first stumbling, but soon in step with
the others, to the sound of “The Internationale”. By focusing on the
marching feet, the camera abstracts the workers from their
individual features and evokes a common purpose that extends to
all who want to join in. The film repeats this scene at the very end,
thus constructing an agit-prop alternative to the story’s
melodramatic ending. Collective action and solidarity among the
young and working-class are proposed as solutions to the fatalism
of individual suffering. Old Mother Krause lacks the classconsciousness of the protagonist in Pudovkin’s 1926 film Mat
(Mother). The brief final scene in Mutter Krausens Fahrt ins Glück
suggests an upbeat, utopian ending. (Its brevity is due to the
censor.) Rainer Werner Fassbinder’s 1975 adaptation of the film,
Mutter Küsters Fahrt zum Himmel (Mother Küsters Goes to
Heaven), is a caustic refutation of such an overly optimistic solution
from the perspective of the disillusioned New German Left.
Jutzi’s film was shot between September and November 1929 on
location in Berlin-Wedding, known as “Red Wedding” because of its
large Socialist and Communist working-class population. Mutter
Krausens Fahrt ins Glück responds to the social turmoil of that
year: the rising unemployment after the stock market crash – and
the deadly split within the working class between the unorganized
lumpenproletariat (which the film caricatures and defames with
images of mindless drinking and dancing) and the organized and
class-conscious members of the Communist Party (which the film
extols). Brecht’s agit-prop film Kuhle Wampe (1932, directed by
Slatan Dudow) betrays the same polarization. A few years later,
both films’ implicit yearning for collective action found its distorted
echo in Hitler’s mobilization of the masses. – ANTON KAES
solidarietà tra i giovani e la classe operaia vengono proposte come
antidoto al fatalismo della sofferenza individuale. L’anziana mamma
Krause non ha però la stessa coscienza di classe della protagonista di
Mat’ (La madre), il film di Pudovkin del 1926. La breve scena conclusiva
di Mutter Krausens suggerisce un utopistico lieto fine (la cui brevità è
dovuta peraltro a un intervento censorio). Mutter Küsters Fahrt zum
Himmel (Il viaggio in cielo di mamma Kusters), adattamento del 1975
di Mutter Krausens firmato da Rainer Werner Fassbinder, è una
caustica confutazione di questa troppo ottimistica soluzione dal punto
di vista disincantato della nuova sinistra tedesca.
Il film di Jutzi fu girato tra il settembre e il novembre del 1929 in
ambienti reali, a Berlin-Wedding, conosciuto anche come “Wedding
Rosso” per la preponderanza di socialisti e comunisti tra le famiglie
operaie del quartiere. Mutter Krausens rispecchia il fermento sociale
di quell’anno: la crescente disoccupazione dopo il crollo dei mercati
finanziari e la frattura insanabile all’interno della classe operaia tra un
lumpenproletariat disorganizzato (che il film ridicolizza e mette in
cattiva luce con immagini di danze e bevute insensate) e i membri di
un partito comunista organizzato e animato dalla coscienza di classe
(che il film esalta). Il film “agit-prop” di Brecht, Kuhle Wampe (1932,
regia di Slatan Dudow), tradisce la stessa polarizzazione. Alcuni anni
dopo, l’irresistibile propensione all’azione collettiva cui si fa
riferimento in entrambi i film troverà la sua eco distorta nella
mobilitazione hitleriana delle masse. – ANTON KAES
A classic of proletarian-revolutionary filmmaking, and one of the
last silent films of the Weimar era, Piel Jutzi’s Mutter Krausens
Fahrt ins Glück opened in Berlin-Wedding on 30 December 1929.
It was advertised as a so-called “Zille film,” in memory of Heinrich
Zille, the popular illustrator and chronicler of working-class life
who had died five months before the film’s premiere. Based on
motifs from Zille’s stories and drawings, Mutter Krausens Fahrt ins
Glück is a social melodrama intertwined with a documentary-style
film about Berlin’s destitute proletariat. Jutzi, the German-born
director who had gone from commercial movies to working-class
documentaries by the mid-1920s, directed the film in collaboration
with the well-known activist painters Käthe Kollwitz and Otto
Nagel, as well as the composer Paul Dessau. It was produced on a
shoestring by Prometheus Film, a company committed to
promoting Soviet films in Germany, including Sergei Eisenstein’s
Battleship Potemkin in 1926.
Reminiscent of Walter Ruttmann’s city film Berlin, Symphony of a
City (1927), Jutzi uses camera and editing to capture life unawares,
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R i s c o p e r t e e re s t a u r i / R e d i s c o v e r i e s a n d R e s t o r a t i o n s
I l si le n zi o d e ll e A ma z zo ni / Th e Si le n ce o f th e A maz on
La foresta pluviale amazzonica e i suoi abitanti nelle immagini dei
pionieri del cinema brasiliano / The Brazilian rainforest and its people
as seen by pioneer filmmakers
Pur avendo avuto i suoi momenti, la produzione brasiliana di
lungometraggi commerciali non conobbe mai uno sviluppo regolare
all’epoca del muto. La forma più continuativa della produzione
nazionale fu il documentario, con finanziatori sia pubblici che privati.
Questi documentari sono oggi di grande importanza per i brasiliani
perché offrono una testimonianza sulla nostra vita sociale, politica,
economica e culturale. Tra i documentaristi dell’epoca spiccano due
cineasti di vaglia: Luiz Thomas Reis e Silvino Santos.
Reis realizzò i suoi film su incarico delle agenzie governative che
organizzavano l’esplorazione geografica dell’entroterra brasiliano per
installare le comunicazioni via telegrafo e stabilire la demarcazione dei
vasti confini del Paese. Santos lavorò quasi sempre come cameraman
al seguito di un imprenditore che si era arricchito con il commercio
del caucciù amazzonico. Reis e Santos furono due ottimi fotografi, con
un occhio straordinario per la composizione, cui si univa sempre una
profonda identificazione con la vita e i costumi degli abitanti del
Brasile prima della comparsa dell’uomo bianco. Tutti e due
realizzarono film didattici sui territori nazionali, in particolare sulla
regione amazzonica, che agli inizi del XX secolo era in larga parte
ancora inesplorata. Questi film talvolta descrivono il primo contatto
della “civilizzazione” bianca con alcune tribù di indios oggi
praticamente estinte.
Il numero dei titoli sopravvissuti non raggiunge il 10 per cento di tutta
la produzione brasiliana del muto; e in massima parte si tratta di
documentari. È pertanto con grande soddisfazione ed orgoglio che
offriamo al pubblico delle Giornate la possibilità di vedere alcuni dei
film di questi due grandi cineasti. – CARLOS ROBERTO DE SOUZA
Though it had its brief moments, Brazilian commercial/feature film
production never got consistently under way in the silent period. The
most continuous form of domestic Brazilian film production was
documentary, officially or commercially sponsored. They are of great
importance for Brazilians today since they record our social life,
politics, economics, and culture. Among them is the work of two true
filmmakers, Luiz Thomaz Reis and Silvino Santos.
Reis made his films within government agencies charged with
exploring the Brazilian hinterland by establishing lines of
communication via the telegraph and demarcating the country’s vast
borders. Santos worked almost all his life as a cameraman for an
entrepreneur enriched by the Amazon rubber trade. Both were great
photographers endowed with a remarkable eye for composition, who
shared a deep identification with the life and customs of the
inhabitants of Brazil before the arrival of the white man. They made
Luiz Thomas Reis (1878-1940)
Nacque a Bahia, si diplomò alla scuola militare di Porto Alegre e nel
1910 fu reclutato come assistente disegnatore dalla “Commissione
strategica per l’installazione delle linee telegrafiche dal Mato Grosso
all’Amazzonia”, meglio nota come la “Commissione Rondon”, dal
nome del suo comandante, l’ingegnere militare Cândido Mariano da
Silva Rondon (1865-1958). Nel 1912 Reis fu incaricato di organizzare
la sezione fotografica e cinematografica della “commissione Rondon”,
e a tal scopo si recò in Europa per visitare i principali studi cinematografici francesi e per acquistare attrezzature e pellicola vergine. Reis
filmò praticamente tutte le spedizioni effettuate da Rondon e dalla sua
équipe per la mappatura di vaste regioni del Paese stabilendo i primi
contatti con molte tribù di indios che ignoravano l’esistenza
dell’uomo bianco.
La “commissione Rondon” organizzò delle proiezioni a pagamento
per raccogliere fondi per le sue attività, e, nel 1918, Rondon inviò Reis
a New York per tentare il lancio americano di una compilation dei
loro film. La cosa non andò a buon fine, ma Reis riuscì ugualmente a
organizzare una proiezione alla Carnegie Hall, preceduta da una
conferenza dell’ex presidente Theodore Roosvelt, che molti anni
prima aveva rischiato la vita per seguire una spedizione di Rondon
all’interno del Brasile. Dopo una pericolosa traversata di ritorno
sotto la minaccia costante dei sottomarini tedeschi, Reis descrisse in
un avvincente reportage il viaggio negli Stati Uniti e le sue impressioni
sul milieu cinematografico newyorchese. In seguito accompagnò
Rondon come ispettore incaricato di fissare i confini settentrionali e
occidentali del Brasile. Straordinario fotografo e cameraman, Reis
avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di catturare immagini interessanti
durante le sue spedizioni. – CARLOS ROBERTO DE SOUZA
Luiz Thomaz Reis (1878-1940) was born in Bahía, graduated from the
Military College in Porto Alegre, and in 1910 was appointed an
assistant draughtsman for the Commission of Strategic Telegraph
Lines from the Mato Grosso to the Amazon, popularly known as the
Rondon Commission, from the name of its commander, military
engineer Cândido Mariano da Silva Rondon (1865-1958). In 1912 Reis,
charged with setting up the Rondon Commission’s Photography and
Cinematography Section, travelled to Europe to visit the major film
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R & R
educational films about the nation’s territories, especially the Amazon
region, which was still largely unexplored in the early 20th century.
Some of their films depict the first contact of now virtually extinct
Indian tribes with white “civilization”.
Less than 10% of the total titles produced in Brazil during the silent
era have survived. The vast majority of these are documentaries. It is
with great satisfaction and pride that we offer the audiences of the
Giornate del Cinema Muto the possibility of seeing several works by
these two great filmmakers. – CARLOS ROBERTO DE SOUZA
studios in France and to purchase equipment and raw stock. Reis shot
virtually all the expeditions of Rondon and his team, who were
mapping vast unknown regions of the country and making the first
contact with several Indian tribes previously unaware of the existence
of the white man.
The Rondon Commission exhibited its films commercially to raise
funds for its work, and in 1918 Rondon sent Reis to New York in an
attempt to launch a compilation of these films in America. This goal
was unrealized, but Reis did manage to organize a screening at
Carnegie Hall, preceded by a lecture by former President Theodore
Roosevelt, who had almost died on an expedition with Rondon to the
interior of Brazil several years before. Reis described his journey to
the United States and his impressions of the New York film world in
a fascinating report written after his return to Brazil, on a dangerous
trip threatened by German submarine attacks.
Reis accompanied Rondon as the inspector charged with fixing the
north and west borders of Brazil. An extraordinary photographer and
cameraman, he would go to incredible lengths to capture interesting
images during his expeditions. – CARLOS ROBERTO DE SOUZA
civilized people to see an Indian dying. He ends his days in the mystery
of tribal rites, and only after being wrapped in straw is he exposed in
the yard of the village, to ward off evil spirits.
CARLOS ROBERTO DE SOUZA
PARIMÃ, FRONTEIRAS DO BRASIL [Parimã, Frontier of Brazil]
(Serviço de Proteção aos Índios, BR 1927)
Regia/dir., f./ph: Luiz Thomaz Reis; 35mm, 600m., 29' (18 fps); fonte
copia/print source: Cinemateca Brasileira, São Paulo / Museu do Índio,
Rio de Janeiro.
Didascalie in portoghese / Portuguese intertitles.
Questo filmato fu girato durante l’ispezione del confine brasiliano con
la Guaiana Francese. All’epoca, il sistema montagnoso del nord del
Brasile, dal Pico da Neblina (alla lettera, Picco della Nebbia), la
montagna più alta del Brasile, fino alla catena montagnosa del
Tumucumaque, era chiamato Parimã. Le immagini della spedizione
includono il fiume Oiapoque, gli indios Saramacá, i neri della Guaiana, la
città di Saint-Georges, e la colonia penale agricola di Clevelândia, creata
dagli americani. Il film mostra vedute di fiumi, foreste, animali, e rare
immagini della vita quotidiana degli indios. – CARLOS ROBERTO DE SOUZA
This film was made during the inspection of the Brazilian border with
French Guiana. At the time, the system of mountains in the north of
Brazil, from the Pico da Neblina (literally, Fog Peak), Brazil’s highest
mountain, to the Tumucumaque mountain range, was called Parimã.
Images of the tour include the Oiapoque river, Saramacá Indians,
Guyanese blacks, the city of Saint-Georges, and the Clevelândia
agricultural penal colony, created by the Americans. It features views
of the rivers, forests, animals, and the Indians and their daily lives.
CARLOS ROBERTO DE SOUZA
RITUAES E FESTAS BORÔRO [Rituals and Festivals of the Borôro]
(Conselho Nacional de Proteção aos Índios, BR 1916)
Regia/dir., f./ph: Luiz Thomaz Reis; 35mm, 542m., 30' (16 fps); fonte
copia/print source: Cinemateca Brasileira, São Paulo / Museu do Índio,
Rio de Janeiro.
Didascalie in portoghese / Portuguese intertitles.
Questo film, che è uno dei più importanti documentari brasiliani del
muto sopravvissuti, ci mostra i rituali indigeni nella loro primigenia
purezza. Le immagini includono la pesca con i “timbó” (piante con
effetti narcotici sui pesci), parte della “Jure” (festa della gioia), con i
preparativi per i festeggiamenti, le decorazioni di paglia e argilla, i riti
funebri accompagnati da danze e la cerimonia rituale di Marido e Aijê
(con rappresentazioni della caccia al giaguaro). Le cerimonie funebri
del Borôro, nella regione del Mato Grosso, si distinguono per la
varietà delle danze e delle pratiche simboliche. Tutta la tribù partecipa
a queste cerimonie; ma ai bianchi e alla gente civilizzata è vietato
assistere alla morte di un indio. L’indio chiude i suoi giorni nel mistero
dei riti tribali e solo dopo essere stato avvolto nella paglia, viene
esposto nel recinto del villaggio per tenere lontani gli spiriti maligni.
CARLOS ROBERTO DE SOUZA
This is one of the most important surviving Brazilian documentaries,
showing indigenous rituals in their purest state.
Images include fishing using timbó [plants with narcotic effects on
fishes], part of the Jure (feast of joy), with preparations for the
festival, decorations of straw and clay, the funeral rites with their
dances, and the ritual ceremony of Marido and Aijê (with
representations of the jaguar hunt).
The funeral ceremonies of the Borôro, in the Mato Grosso region,
are notable for the variety of dances and symbolic practices. All of the
tribe participate in these festivals; it is forbidden for whites or
VIAGEM AO ROROIMÃ [ Journey to Roroimã] (Ministério da
Guerra, BR 1927)
Regia/dir., f./ph: Luiz Thomaz Reis; cast: Cândido Rondon; 35mm,
580m., 28' (18 fps); fonte copia/print source: Cinemateca Brasileira,
São Paulo / Museu do Índio, Rio de Janeiro.
Didascalie in portoghese / Portuguese intertitles.
Realizzato durante l’ispezione del confine brasiliano con il Venezuela
e la Guaiana Britannica, il film descrive il Rio delle Amazzoni e il
traffico fluviale da svariati Paesi confinanti; le città di Santarém e
Manaus; e la spedizione che risale il corso del Rio Branco fino a Boa
Vista, dove si praticano l’agricoltura e l’allevamento. Alla frontiera con
il Venezuela, Cândido Rondon riceve la visita di alcuni capitribù locali.
Il film si conclude con una spedizione sul monte Roraimã, dove, a
2850 metri di altezza, viene posta una lapide recante la scritta:
“General Rondon – Viva o Brazil – 29 outubro 1927”.
CARLOS ROBERTO DE SOUZA
Made during the inspection of the Brazilian border with Venezuela
and British Guiana, this film depicts the Amazon River and the boat
traffic from several neighbouring countries, the cities of Santarém and
Manaus, and the expedition up the Rio Branco to Boa Vista, where
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l’ex-cameraman fu impiegato come supervisore della manifattura di
guarnizioni fatte di caucciù e banane disseccate.
Pur avendo lavorato sempre su commissione, Santos fu un grande
fotografo e cameraman, e il suo lavoro documentaristico occupa un
posto di rilievo nella storia del cinema brasiliano. Come Reis, che
scriveva reportage, anche Santos teneva dei taccuini su cui annotava
accuratamente il suo lavoro di cineasta. Malgrado la loro significativa
importanza per gli studi sul cinema brasiliano, questi documenti non
sono mai stati pubblicati. – CARLOS ROBERTO DE SOUZA
Silvino Santos (1886-1970) came to Brazil alone when he was only 13
years old, attracted by the mysteries of the Amazon region. From a
good Portuguese family, he originally settled in Belém do Pará, where
he began working in photography, later travelling the Xingu River and
documenting indigenous peoples. In 1910 he opened a photographic
studio in Manaus, then at the height of its splendour thanks to the
extraction and export of rubber.
Two years later he went to Iquitos, Peru, to do extensive photo
reportage about the Indians who worked for the powerful seringalista
(rubber baron) Julio Cesar Arana. Arana, who lived in Europe, liked
Santos’ photographic work, but thought his pictures would have
more impact if they were moving images. To this end, Arana
sponsored a visit to France for one season, to the Pathé studios and
the Lumière laboratories, where the trainee cameraman
experimented with developing a chemical formula to ensure the
resistance of film emulsion to the tropical climate.
Back in Brazil, Santos spent two months filming the Indians of
Putumaio, but all his negatives were lost when the ship carrying them
to Europe to be copied sank. Santos then began making the feature
film Amazonas, o maior rio do mundo (Amazon, the World’s Largest
River). This time, three years of work were lost when an adventurer
took the negatives to be copied in England, but sold them to tourist
agencies.
In 1920 an impoverished Silvino Santos was hired by the man who
would be his patron for most of the rest of his life, Joaquim Gonçalves
de Araújo, an Amazon merchant from Portugal. For the J.G. Araújo
Co. Santos made No paiz das amazonas (In the Country of the
Amazons), a feature film which won a gold medal at the International
Exposition celebrating the centenary of the independence of Brazil,
held in 1922 in Rio de Janeiro, and went on to be exhibited with
success throughout Brazil. During the Centenary Exposition Silvino
shot another feature in Rio, Terra encantada (Enchanted Land), only
fragments of which survive.
In 1924 Santos filmed the Hamilton Rice Expedition to the
headwaters of the Branco River, which was released in Brazil as No
rastro do Eldorado (In the Wake of Eldorado). In subsequent years
Santos was based in Portugal, filming trips of the Araújo family; this
footage, combined with other material shot by Santos, would
appear in the sound feature Terra portuguesa: o Minho (Portuguese
Land: the Minho), released in 1934. That year also marked the end
of Santos’ film activities: J.G. Araújo & Co. dismantled its film
Silvino Santos (1886-1970)
Giunse in Brasile da solo, all’età di 13 anni, attirato dai misteri della
regione amazzonica. Di buona famiglia portoghese, si stabilì dapprima
a Belém do Pará, dove cominciò a lavorare come fotografo, per poi
viaggiare lungo il Rio Xingu documentando la vita dei popoli indigeni.
Nel 1910 aprì uno studio fotografico a Manaus, all’epoca nel suo
massimo splendore grazie all’estrazione ed esportazione del caucciù.
Nel 1912 si recò ad Iquitos, nel Perù, dove realizzò numerosi
reportage fotografici sugli indios che lavoravano per il potente
“seringalista” (magnate del caucciù) Julio Cesar Arana. Arana, che
viveva in Europa, amava il lavoro fotografico di Santos, ma pensava
che le sue immagini avrebbero avuto un impatto maggiore se fossero
state colte in movimento. Pertanto Arana gli finanziò un soggiorno di
qualche mese in Francia, dove, grazie ai contatti con gli studi Pathé e
i laboratori Lumière, l’apprendista cameraman riuscì a sviluppare una
formula chimica che garantiva la resistenza dell’emulsione della
pellicola al clima tropicale. Tornato in Brasile, Santos tascorse due
mesi a filmare gli Indios del Putumaio, ma tutti i negativi del film
andarono perduti nel naufragio della nave che li trasportava in Europa
per essere stampati. Santos avviò allora le riprese di un
lungometraggio, Amazonas, o maior rio do mundo. (Rio delle
Amazzoni, il fiume più grande del mondo). Ma anche questa volta, tre
anni interi di lavoro andarono perduti quando affidò i negativi da far
stampare in Inghilterra a un avventuriero, che li rivendette alle
agenzie turistiche. Nel 1920, ormai quasi in miseria, Silvino Santos fu
reclutato da un mercante portoghese attivo in Amazzonia, Joaquim
Gonçalves de Araújo, che sarebbe diventato il suo mecenate
praticamente fino alla fine dei suoi giorni. Per la J.G. Araújo Co.
Santos realizzò No paiz das amazonas (Nel paese delle Amazzoni), un
lungometraggio premiato con una medaglia d’oro alla Esposizione
Internazionale che celebrava il centenario dell’indipendenza
nazionale, tenutasi a Rio de Janeiro nel 1922, e in seguito presentato
con grande successo in tutto il Brasile. Durante l’Esposizione del
centenario, Silvino girò a Rio un altro lungometraggio, Terra
encantada, di cui restano solo pochi frammenti. Nel 1924 Santos
filmò la spedizione di Hamilton Rice alle sorgenti del Rio Branco,
documentario che fu distribuito in Brasile col titolo No rastro do
Eldorado (Sulle tracce dell’Eldorado). Negli anni succesivi Santos si
trasferì in Portogallo per seguire con la sua cinepresa i viaggi della
famiglia Araújo; questi filmati, combinati con altri materiali girati da
Santos, compariranno poi nel lungometraggio sonoro Terra
portuguesa: o Minho (Terra portoghese, il Minho), distribuito nel
1934. Anno che segnò anche la fine delle attività cinematografiche di
Santos: la J.G. Araújo Co. smantellò il suo reparto cinematografico, e
107
R & R
farming is practiced. At the boundary with Venezuela, Cândido
Rondon receives a visit from the chiefs of the local tribes. The film
ends with an expedition up Mount Roraimã, where at 2850 metres a
stone is placed reading: “General Rondon - Viva o Brazil – 29
October 1927”. – CARLOS ROBERTO DE SOUZA
production unit, and the former cameraman was employed
supervising the manufacture of trimmings made of rubber and dried
bananas. Although he made movies on commission, Silvino Santos
was a great photographer and cameraman, and his documentary
work remains remarkable in the history of Brazilian cinema. Just as
Reis wrote reports, Santos kept field notebooks in which he
carefully noted his filming. These documents remain unpublished,
despite their importance for studies of Brazilian cinema.
CARLOS ROBERTO DE SOUZA
Santos fu affiancato nelle riprese dal Capitano Albert W. Stevens
dell’esercito Usa. Le attrezzature di provenienza americana
includevano macchine fotografiche aeree Fairchild e cineprese Bell &
Howell. L’idrovolante era pilotato dall’aviatore americano Walter
Hinton, protagonista della prima trasvolata atlantica a bordo di un
idrovolante Curtiss nel 1919.
Il film mostra vedute del Rio Negro e del Rio Branco; i voli di
ricognizione dell’idrovolante Eleanor III; i magnifici panorami di
Manaus vista dall’alto; le grandi cascate del Rio Branco e le
popolazioni di indios delle montagne del Parimã coi loro usi tribali.
Le sequenze più emozionanti riguardano la sfida costante
rappresentata dall’attraversamento delle rapide; ma il documentario
rivela soprattutto l’attenzione con cui il regista filmava gli indios
impegnati nelle loro attività quotidiane o anche mentre giocano
nell’acqua.
Nei suoi taccuini, Santos evidenzia le difficili ed estenuanti
condizioni in cui si svolsero le riprese della spedizione di Rice, al
punto da apparirgli quasi un miracolo che il materiale fosse arrivato
sano e salvo: “L’aereo poteva portare solo due passeggeri e un
piccolo carico. All’esterno dell’aereo era stata installata un’attrezzatura di ferro con dentro la cinepresa Bell & Howell. Nell’ultimo
tratto navigabile [del Rio Branco], con rapide fortissime, le canoe
che portavano la cinepresa si sono rovesciate e il pesante
apparecchio è colato a picco. Gli indios hanno contrassegnato con
un bastone quel punto del fiume e sono riusciti a recuperare la
cinepresa. Poi ci hanno raggiunti all’accampamento. Gli indios Serian
sono nomadi. Il Dr. Rice ha portato i negativi della spedizione in
America, ma ci ha consentito di farne delle copie in inglese e in
portoghese.” Rice non fece mai cenno ad interessi economici nel
suo libro Exploration in Brazilian Guiana, ma uno dei suoi scopi fu
quello di ottenere il via libera per la costruzione della ferrovia
Manaus-Boa Vista, che gli garantì il diritto di sfruttamento per 30
anni del legname e dei minerali compresi nel raggio di 500 metri su
ambo i lati del suo percorso.
(I negativi originali del film, sono stati preservati a Londra dal BFI
National Archive, senza didascalie). – CARLOS ROBERTO DE SOUZA
A noted American geographer and explorer, Alexander Hamilton
Rice, Jr. (1875-1956) taught geography at Harvard for over two
decades (1929-1952) and was the founder-director of the
university’s Institute of Geographical Exploration (IGE). On seven
expeditions into South America’s dense rainforests, Rice surveyed
and mapped hundreds of thousands of square miles of the Amazon
basin, as well as conducting research into tropical diseases. Rivers
were Rice’s specialty; it was famously said that “he knew
headwaters the way other society folk know headwaiters”. The
scion of a blue-blooded Boston family who traced their pedigree to
the Mayflower Pilgrims, in 1915 he married Eleanor Elkins Widener,
a fabulously wealthy survivor of the Titanic who not only bankrolled
his exploits but shared his passion for adventure, often leaving her
famous pearls, 65-room Newport mansion, and life of luxury behind
NO RASTRO DO ELDORADO (In the Wake of Eldorado) (J.G.
Araújo e Cia., BR 1925)
Regia/dir., f./ph., mont./ed: Silvino Santos; prod: J.G. de Araújo, A.
Hamilton Rice; cast: A. Hamilton Rice, Eleanor Elkins Widener Rice,
Walter Hinton; 35mm, 1620m., 78' (18 fps); fonte copia/print source:
BFI National Archive, London / Cinemateca Brasileira, São Paulo.
Senza didascalie / All intertitles missing.
Insigne geografo ed esploratore americano, Alexander Hamilton Rice
Jr. (1875-1956) insegnò geografia ad Harvard per oltre due decenni
(1929-1952) e fu fondatore e direttore dell’Institute of Geographical
Exploration (IGE) di quella università. Nel corso di sette spedizioni
all’interno delle folte foreste pluviali del Sud America, Rice ispezionò
il bacino del Rio delle Amazzoni, rilevandone la cartografia per migliaia
e migliaia di chilometri quadrati e svolgendo al contempo ricerche
sulle malattie tropicali. I fiumi erano la specialità di Rice, al punto che
di lui si disse che “conosceva le sorgenti dei fiumi come altri esponenti
del bel tempo conoscono i capocamerieri” (gioco di parole tra
headwaters e headwaiters). Rampollo di una famiglia dell’aristocrazia
bostoniana il cui pedegree risaliva ai pellegrini della Mayflower, nel
1915 sposò Eleanor Elkins Widener, una sopravvissuta del Titanic di
straordinaria ricchezza, che non solo finanziò le imprese di Rice ma
condivise con lui la passione per l’avventura, lasciando spesso dietro
di sé le sue famose perle, la dimora di Newport con 65 stanze e la
vita di lusso, per affrontare il caldo tropicale, le privazioni e gli agguati
dei cannibali.
Silvino Santos fu reclutato a Manaus da Rice per quella che si sarebbe
rivelata l’ultima e la più famosa delle sue spedizioni, alle sorgenti
dell’Orinoco e lungo il corso del Rio Branco fino alla confluenza col
Rio delle Amazzoni nei pressi di Manaus. Ma la spedizione di Rice del
1924-25 resterà negli annali dell’esplorazione geografica soprattutto
perché fu la prima ad impiegare due strumenti della tecnologia
moderna che di lì a breve sarebbero diventati di uso comune: la
fotografia aerea per uso cartografico (un idrovolante perlustrava il
territorio e scattava foto aeree che poi facilitavano il disegno delle
carte geografiche) e la comunicazione con la radio a onde corte. La
carta geografica che ne risultò fu la prima mappatura di un’area di
vaste dimensioni ad essere realizzata dall’alto. Sotto la pionieristica
direzione di Rice, l’IGE di Harvard divenne un centro di primaria
importanza per la scienza della fotogrammetria (la cartografia da
fotografie aeree).
108
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109
R & R
Il N e w Z e a la n d P r oj ec t / Th e N e w Z eal an d Pr oje c t
Un progetto di collaborazione tra il New Zealand Film Archive, la
comunità degli archivi americani e la National Film Preservation
Foundation / A Collaboration of the New Zealand Film Archive, the
American Archival Community, and the National Film Preservation
Foundation
La presentazione alle Giornate 2010 di Upstream, lungometraggio di
John Ford a lungo considerato perduto, è il primo frutto della
pionieristica, pluriennale collaborazione fra il New Zealand Film
Archive, la comunità degli archivi americani e la National Film
Preservation Foundation al fine di preservare e rendere disponibili i
film muti americani provenienti dai depositi del NZFA.
Sappiamo tutti quanto disastrose siano le perdite riguardanti il cinema
muto americano e quali sforzi si facciano per salvare ciò che rimane.
La nuova frontiera è quella della collaborazione internazionale: decine
di opere perdute negli Stati Uniti a causa del deperimento e
dell’abbandono sopravvivono in archivi di altri paesi. Come mai?
Negli anni Dieci e Venti, i film di Hollywood arrivavano in tutto il
mondo. I distributori internazionali si aspettavano che, terminato il
loro sfruttamento commerciale, le copie dei film venissero restituite
o distrutte ma, com’era inevitabile, alcuni titoli sono sfuggiti al
controllo. Nel corso degli anni si sono accumulate in Nuova Zelanda
– tappa finale del percorso distributivo – numerose pellicole
dimenticate dai distributori e salvate dai collezionisti.
All’inizio del 2010, su invito del New Zealand Film Archive, la
National Film Preservation Foundation ha mandato presso l’archivio i
propri consulenti per una valutazione dei materiali ivi raccolti. Da
questi materiali sono spuntati gioielli come la copia nitrato, completa
e imbibita, di Upstream; il trailer di Strong Boy (Voglio un marito
elegante; 1929), lungometraggio perduto di Ford; Mary of the Movies
(1923), il più vecchio film ancora esistente della Columbia Pictures;
parecchi lungometraggi prodotti dalla De Mille Pictures Corp.; decine
di opere sconosciute dirette da donne o prodotte da case regionali o
esemplificative di generi delle origini di cui ben poco era rimasto in
America. Settantacinque sono i titoli che si è deciso di preservare: in
oltre il 90 per cento dei casi, pare trattarsi di copie uniche; le altre
sono le migliori esistenti al mondo. Circa due terzi delle copie sono a
colori (imbibizione) e, particolare non secondario, nel 70 per cento
dei casi sono praticamente complete. Nel loro insieme, questi
materiali rappresentano una capsula del tempo dei film che sono stati
esportati all’estero tra gli anni Dieci e Venti e che hanno costruito un
pubblico internazionale per il cinema muto americano.
La collaborazione con la Nuova Zelanda ha assunto la forma di un
partenariato internazionale cui partecipano archivisti, studiosi e case di
produzione di Hollywood. 20th Century Fox, Sony Pictures
Entertainment e Paramount Pictures finanziano la preservazione dei
film che appartengono a rispettivi patrimoni. Un’équipe di studiosi ha
guidato il lavoro di selezione. L’iniziativa viene coordinata dalla NFPF,
che raccoglie i finanziamenti necessari, mentre il lavoro di
preservazione si svolge sotto il controllo dei cinque maggiori archivi
to brave tropical heat, hardship, and attacks by cannibals.
Silvino Santos was hired by Rice in Manaus to join what turned out
to be the explorer’s final and most celebrated expedition, to the
headwaters of the Orinoco and down the Rio Branco to the
Amazon at Manaus. Most importantly in the annals of exploration,
Rice’s 1924-25 expedition was the first to employ two items of
modern technology soon to become standard: aerial photography
for cartographic purposes (a seaplane scouted ahead and took aerial
photos to aid in mapping) and short-wave radio communication.
The map that resulted was the first map of a large area ever made
from the air. Under Rice’s pioneering directorship, the Harvard IGE
would become a center for the science of photogrammetry (mapmaking from aerial photography).
Besides Santos, in charge of the camerawork was Captain Albert W.
Stevens of the U.S. Army. The apparatus brought from the U.S.
included Fairchild aerial cameras and Bell & Howell motion picture
cameras. The seaplane was piloted by American aviator Walter
Hinton, who had made the first transatlantic crossing in a Curtiss
flying boat in 1919.
The footage features views of the Negro and Branco rivers; flights
of the seaplane Eleanor III; beautiful panoramas of Manaus from
above; the great waterfalls of the Rio Branco; and the Indian tribes
of the Parimã Mountains and their tribal customs. The most
impressive images are of the expedition’s constant battles to cross
the rapids, and the film demonstrates the care with which the
director shoots the daily activities of the Indians, as well as scenes
of them playing in the water.
Santos’ account of the Hamilton Rice expedition in his field
notebooks brings home the hardships of filming under gruelling
conditions, and the miracle that the footage made it back at all:
“The plane had places for only two passengers and little cargo. On
the outside of the plane was placed an iron device in which was
placed the Bell & Howell camera. At the last navigable point [of the
Branco River], with very strong rapids, the canoe which contained
the camera overturned and sank. The heavy apparatus sank to the
depths. The Indians stuck a stick marking the spot in the river and
managed to rescue the camera. Then they came to our camp. The
Serian Indians are nomads. Dr. Rice took the negatives of the
expedition to America, but he allowed us to make prints in English
and Portuguese.”
Although Rice makes no reference to his economic interests in his
book Exploration in Brazilian Guiana, one of his aims was to gain
approval to build the Manaus-Boa Vista railroad, including a 30-year
grant of exploitation rights for timber and minerals covering 500
metres on either side of the right-of-way.
(The original negatives of this film were preserved by the BFI
National Archive, London, with no intertitles.)
CARLOS ROBERTO DE SOUZA
che si occupano di cinema muto in USA: Academy Film Archive,
George Eastman House, Library of Congress, MoMA e UCLA Film &
Television Archive. Completate le operazioni di preservazione, queste
istituzioni avranno la custodia sia dei nitrati originali che delle nuove
stampe. La NFPF pubblicherà sul proprio sito i file di molti di questi
film (www.filmpreservation.org). Il New Zealand Film Archive, che ha
reso possibile il progetto, riceverà in copia i titoli preservati e si
guadagnerà la perenne gratitudine della comunità internazionale, mano
a mano che i film saranno resi disponibili su Internet e proiettati alle
Giornate. – ANNETTE MELVILLE, National Film Preservation Foundation
This screening of John Ford’s Upstream, a feature long thought to
have been lost, celebrates the first fruits of a ground-breaking multiyear collaboration of the New Zealand Film Archive, the American
archival community, and the National Film Preservation Foundation
to preserve and make available American silent films from the
NZFA’s vaults.
We all know about the catastrophic losses of American silent film and
the struggle to save what remains. International collaboration is the
new frontier. Scores of works lost in the United States through decay
and neglect survive in archives in other countries.
How did this happen? In the 1910s and 1920s, Hollywood circulated
prints of American films around the world. International distributors
expected that prints would be shipped back or destroyed at the end
of their commercial runs but a number of titles inevitably fell through
the cracks. Over the years, New Zealand, a final stop on the
exhibition route, amassed a considerable number of prints that had
been forgotten by distributors and saved by collectors.
At the invitation of the New Zealand Film Archive, the National Film
Preservation Foundation sent consultants to assess this material in
early 2010. The cache was found to include astonishing treasures,
including a complete tinted nitrate print of Upstream; a trailer for the
lost Ford feature Strong Boy (1929); Mary of the Movies (1923), the
first surviving film from Columbia Pictures; several features produced
by De Mille Pictures Corp.; and dozens of long unseen works
showcasing women filmmakers, regional production companies, and
early film types now poorly represented in America. Of the 75 titles
identified for preservation, more than 90% are thought to survive in
unique copies and the remainder represents the best surviving source
material. Nearly two-thirds carry color tinting. Remarkably, 70% are
virtually complete. Taken together, the materials represent a time
capsule of the export films that built a worldwide audience for
American silent films in the 1910s and 1920s.
It is important to emphasize that this collaboration is an international
partnership involving archivists, scholars, and Hollywood studios.
Twentieth Century Fox, Sony Pictures Entertainment, and Paramount
Pictures are underwriting the preservation of films that are part of
their corporate heritage. A team of scholars guided the selection. The
undertaking is being coordinated by the NFPF, which is raising funds
for the effort, and the preservation work is being supervised by the
five major American silent film archives – the Academy Film Archive,
George Eastman House, the Library of Congress, the Museum of
Modern Art, and the UCLA Film & Television Archive. At the end of
the preservation process, these institutions will take custody of the
nitrate source material, as well as the new preservation materials and
prints. The NFPF plans to post digital files for many titles on its
website, www.filmpreservation.org. The New Zealand Film Archive /
Ngā Kaitiaki O Ngā Taonga Whitiāhua, whose good stewardship made
the project possible, will receive prints and the ongoing thanks of the
international community as the new materials are made available on
the Internet and screened at the Giornate del Cinema Muto.
ANNETTE MELVILLE, National Film Preservation Foundation
110
Francis Ford(?); data uscita/released: 30.1.1927; 35mm, 5150 ft., 61'
(24 fps); col. (imbibito/tinted); fonte copia/print source: Academy Film
Archive, Los Angeles.
Didascalie in inglese / English intertitles.
La commedia drammatica Upstream (1927) si colloca in un momento
di transizione della carriera registica di John Ford. Girato all’inizio di un
periodo di lontananza, che si protrarrà per 13 anni, da quel genere
western cui aveva dedicato gran parte della sua opera precedente – dai
cortometraggi Universal degli anni Dieci interpretati da Harry Carey a
Three Bad Men (I tre birbanti; 1926) – e che sarebbe riemerso nella
fase successiva della sua carriera a partire da Ombre rosse (1939), è
anche uno degli ultimi lavori completamente muti di Ford. A partire da
Mother Machree (La canzone della mamma), girato nel 1926, anche se
uscirà nel 1928, i suoi film comprendono anche musica ed effetti
sonori registrati – aggiunta non particolarmente sorprendente per uno
studio all’avanguardia nel campo del sonoro come la Fox.
Tratto dal racconto di Wallace Smith “The Snake’s Wife” (1926),
Upstream rinuncia alla cupa introspezione che caratterizza la storia di
amore e tradimento narrata da Smith a favore di elementi
cinematograficamente più accattivanti come gli spettacoli di vaudeville,
la grandiosità della scena teatrale londinese, un mélo romantico e
sentimentale. Al centro abbiamo il triangolo amoroso formato da un
lanciatore di coltelli (Grant Withers), la sua “ragazza bersaglio” Gertie
(Nancy Nash) e l’egocentrico Brashingham (Earle Foxe), gigionesco
attore shakespeariano; una serie di “quadretti” che illustrano la
frenetica atmosfera del pensionato arricchiscono l’intreccio. Con
l’azione per lo più confinata nelle anguste stanzette della pensione, il
talento del regista per la precisa e vivace caratterizzazione dei
personaggi ha ampiamente modo di manifestarsi, in particolare in una
coppia di ballerini, nel duo costituito da due litigiose sorelle, nella
tollerante padrona di casa e nello stagionato attore shakespeariano.
Mentre nel suo film successivo, Four Sons (L’ultima gioia; 1928), Ford
è chiaramente influenzato dal suo nuovo collega alla Fox, F.W.
Murnau, di cui utilizza persino alcuni dei set per Sunrise (Aurora;
1927), Upstream è alquanto differente. Per la gran parte è
cinematograficamente convenzionale, e dal punto di vista della trama
e dello stile è più una commedia romantica che un esercizio
intellettuale. Benché si tratti di una storia tipicamente hollywoodiana,
ci sono nell’intero film tracce di quello stile espressionistico che
Upstream, John Ford, 1927. (National Film Preservation Foundation)
UPSTREAM (Fox Film Corporation, US 1927)
Regia/dir: John Ford; prod: William Fox, scen: Randall H. Faye; f./ph:
Charles G. Clarke; aiuto regia/asst. dir: Edward O’Fearna; cast: Nancy
Nash (Gertie Ryan), Earle Foxe (Eric Brashingham), Grant Withers
(Juan Rodriguez/John Rogers, lanciatore di coltelli/the knife thrower),
Lydia Yeamans Titus (padrona di casa/the landlady), Emile Chautard
(Campbell-Mandare), Raymond Hitchcock (pensionante/the star
boarder), Ted McNamara, Sammy Cohen (Callahan & Callahan), Jane
Winton (soubrette), Lillian Worth, Judy King (le due sorelle/the sister
team), Harry A. Bailey (Gus Hoffman), Ely Reynolds (Deerfoot),
111
R & R
Restauro/Restored by Twentieth Century Fox & Academy Film
Archive, 2010. Laboratorio/Laboratory services: Park Road Post
Production, Wellington, New Zealand. Preservazione da una copia
imbibita 35mm in collaborazione con il New Zealand Film Archive, gli
archivi statunitensi e la National Film Preservation Foundation. /
Preserved from a 35mm tinted nitrate print through a partnership of
the New Zealand Film Archive/Ngā Kaitiaki O Ngā Taonga
Whitiāhua, Wellington, the American archival community, and the
National Film Preservation Foundation.
With the action confined mainly to the boarding-house’s narrow
rooms, Ford’s skill at effectively defining and depicting characters
finds space to flourish, featuring among others a pair of dancers, a
squabbling sister-act, a long-suffering landlady, and an aging
Shakespearean actor long past his prime.
While his next film, Four Sons (1928), was heavily influenced by his
recently-signed Fox compatriot F.W. Murnau (even utilizing some of
the same sets as Murnau’s 1927 film Sunrise), Upstream is markedly
different. For the most part it’s cinematically conventional and in plot
and style more romantic comedy than intellectual exercise. Though
the story is pure Hollywood, throughout the picture there are hints
of the Expressionistic styling that would become a defining feature of
Ford’s work. The striking framing of the vain Brashingham in both the
dusty living room mirror and the light-ringed mirror of his London
dressing room, the eye-catching glint of light reflecting off the knifethrower’s blades, the separation between the boarding-house
residents and the departing actor emphasized by spacing and depth of
field – all hold glimmers of Ford’s developing artistry, which would
soon begin to crystallize under Murnau’s influence.
Ford’s legendary idiosyncratic and economical working style was in
full-force while shooting this picture. In recalling the production (his
first with Ford), acclaimed cinematographer Charles G. Clarke was
taken aback by the director’s methods: “I could see no relationship
between the different scenes we would be filming and often
wondered when we would settle down and start making the picture.
After about three weeks of this sort of casual filmmaking, the unit
manager announced, ‘The picture is finished’…The shock of this
floored me for I could see no rhyme or reason in what we had been
filming…To my amazement it all went together and was quite a good
picture. What I did not realize then was that John Ford edited his
picture as he directed it, and that his casual manner was only a cover
for the actual planning and thought that lay behind his direction all
along.” (Charles G. Clarke and Anthony Slide, Highlights and
Shadows: The Memoirs of a Hollywood Cameraman, 1989, p. 77)
And it is “quite a good picture” – the narrative is well-constructed
and the shots cleverly devised, the characters are memorable, and the
story quite charming – all in all a remarkable find that will satisfy not
only film scholars, but fans of silent cinema and John Ford alike.
LESLIE ANNE LEWIS
doveva caratterizzare l’opera di Ford. La memorabile inquadratura del
fatuo Brashingham, visto prima nel polveroso specchio del salotto e
poi nello specchio tutto incorniciato circondato da lampadine del suo
camerino di Londra; l’abbagliante lampo di luce che si riflette dalle
lame del lanciatore di coltelli; la separazione tra gli ospiti della
pensione e l’attore che sta per partire, accentuata dalla disposizione
nello spazio e dalla profondità di campo: in tutto questi particolari
brilla il magistero artistico di Ford, che è ancora in via di maturazione
e presto si cristallizzerà sotto l’influenza di Murnau.
Il leggendario metodo di lavoro di Ford, peculiare ed efficiente, si
dispiega in pieno durante la lavorazione di questo film. Rievocandone
le riprese (era la sua prima collaborazione con Ford), il prestigioso
operatore Charles G. Clarke ricorda di essere rimasto sconcertato
dal modo di lavorare del regista: “Non riuscivo a vedere nessun nesso
tra le diverse scene che dovevamo filmare e spesso mi chiedevo
quando avremmo cominciato a girare il film. Dopo tre settimane di
questo tipo di riprese casuali, l’ispettore di produzione annunciò ‘Il
film è finito’ … Rimasi sbalordito poiché le riprese fatte non mi
sembravano avere né capo né coda … Con mio stupore tutti i tasselli
andarono al loro posto e ne uscì veramente un gran bel film. Allora
non capivo che John Ford montava il film mentre lo dirigeva e che il
suo approccio casuale serviva solo a mascherare il preciso progetto e
pensiero che stavano sempre dietro la sua regia” (Charles G. Clarke
e Anthony Slide, Highlights and Shadows: The Memoirs of a
Hollywood Cameraman, 1989, p. 77). E Upstream è “veramente un
gran bel film”: l’intreccio è ben costruito e le inquadrature
sapientemente concepite, i personaggi sono memorabili, la storia
gustosa. Nel complesso, un ritrovamento considerevole, che farà la
gioia non solo degli studiosi di cinema, ma anche degli appassionati di
film muti e degli ammiratori di John Ford. – LESLIE ANNE LEWIS
The comedic melodrama Upstream (1927) came at a point of
transition for director John Ford. Filmed at the beginning of what
would become a 13-year break from the Western genre that had
defined many of his earlier works – from the 1910s Universal shorts
featuring Harry Carey to Three Bad Men (1926) – and that would
resurface later in his career starting with Stagecoach (1939), it is also
one of the last completely silent films Ford made. Starting later that
year with the then-unreleased Mother Machree (filmed in 1926,
released in 1928) his films began including recorded sound effects and
music – not a particularly surprising addition at the sound-pioneering
Fox Studios.
Based on Wallace Smith’s short story “The Snake’s Wife” (1926),
Upstream trades the dark, introspective elements of Smith’s tale of
love and betrayal for the cinematically appealing spectacle of
vaudeville performances, the grand setting of the London stage, and
sweet romantic melodrama. The central focus is a love triangle
between a knife-thrower (Grant Withers), his “target girl” Gertie
(Nancy Nash), and the egotistical Brashingham (Earle Foxe), a hammy
Shakespearean actor; a variety of vignettes depicting the hectic
atmosphere in their vaudeville boarding-house flesh out the storyline.
STRONG BOY (Voglio un marito elegante) (Fox Film Corporation,
US 1929) (trailer)
Regia/dir: John Ford; prod: William Fox, scen: James Kevin McGuiness,
Andrew Bennison, John McLain, Frederick Hazlitt Brennan; f./ph:
Joseph August; cast: Victor McLaglen (William “Strong Boy” Bloss),
Leatrice Joy (Mary McGregor), J. Farrell MacDonald (Angus
McGregor), Clyde Cook (Pete); 35mm, 52 ft., 34" (24 fps), col.
(imbibito/tinted); fonte copia/print source: Academy Film Archive, Los
Angeles.
Didascalie in inglese / English intertitles.
112
Dopo essersi laureata in storia presso la University of Wisconsin Madison nel 2002, Karin Carlson ha conseguito una laurea di secondo
livello in Scienze della Comunicazione presso la Governors State
University di Chicago (2006) e una in Storia Pubblica alla Duquesne
University di Pittsburg (2008). Ha lavorato come stagista presso il
Museum of the Moving Image di New York City e si è occupata di
videoproduzione alla Governors State University prima di iscriversi
alla L. Jeffrey Selznick School of Film Preservation. Il progetto su cui
si è concentrata durante il corso ha riguardato l’esame del fondo
Twentieth Century-Fox conservato presso la George Eastman House
con stesura di una lista prioritaria ai fini della preservazione dei titoli
Fox presenti nella collezione. – CAROLINE YEAGER
The Haghefilm Fellowship was established in 1997 to provide
additional professional training to outstanding graduates of The L.
Jeffrey Selznick School of Film Preservation at George Eastman
House. The Fellowship recipient is invited to Amsterdam for one
month to work alongside Haghefilm lab professionals to preserve a
short film from the George Eastman House collection, completing
each stage of their preservation project. The Fellow is then invited to
present the results of their work at the Giornate. The recipient of the
2010 Haghefilm Fellowship is Karin Carlson, from Lake Geneva,
Wisconsin.
Ms. Carlson holds a Bachelor of Arts degree in history from the
University of Wisconsin, Madison (2002), a Master of Arts degree in
Media Communications from Governors State University, Chicago
(2006), and a Master of Arts degree in Public History from Duquesne
University, Pittsburgh (2008). She interned at the Museum of the
Moving Image in New York City and worked in video production at
Governors State University in Chicago prior to her enrollment in The
L. Jeffrey Selznick School of Film Preservation. As her final project for
the Selznick School Ms. Carlson surveyed the Twentieth Century-Fox
Film holdings at George Eastman House and established a
preservation priority list of Fox films within the collection.
CAROLINE YEAGER
La commedia drammatica di John Ford Strong Boy risulta perduta.
Questo è il trailer recentemente ritrovato nella collezione del New
Zealand Film Archive: il nitrato originale, rispedito negli Stati Uniti nel
luglio 2010 per le operazioni di preservazione, è in ottime condizioni,
anche perché non sembra che all’epoca sia stato molto usato.
Victor McLaglen (in uno dei suoi primi film con Ford) interpreta
William “Strong Boy” Bloss, facchino alla stazione, che diventa un
eroe ma perde la ragazza di cui è innamorato (Leatrice Joy), fino a
quando non gli si presenta l’occasione di salvare il padre di lei; tutto
allora viene perdonato. Il trailer è muto, ma in realtà Strong Boy è uno
dei primi film sonori di Ford (contiene una partitura musicale ed
effetti sonori sincronizzati). Completamente imbibito, il trailer inizia e
si conclude con titoli animati e comprende le emozionanti sequenze
in cui McLaglen sventa la rapina a un treno. – LESLIE ANNE LEWIS
Though the film itself is believed to be lost, a trailer for John Ford’s
dramatic comedy Strong Boy was recently found in the collection of
the New Zealand Film Archive. Returned to the U.S. for preservation
in July 2010, the original nitrate is in excellent condition – partially
because it doesn’t appear to have gotten much use when first released.
Victor McLaglen (in one of his earliest films with Ford) stars as
William “Strong Boy” Bloss, a railroad station porter who becomes a
hero, but loses the girl (Leatrice Joy) – at least until he has the chance
to rescue her father and all is forgiven. Though the trailer is silent,
Strong Boy was one of Ford’s earliest sound films (containing a
synchronized musical score and sound effects track). Fully tinted, the
trailer begins and ends with animated titles and includes thrilling shots
of McLaglen thwarting a train hold-up. – LESLIE ANNE LEWIS
MULCAHY’S RAID (Essanay Film Mfg. Co., US 1910)
Regia/dir: ?; cast: Harry Todd, Augustus Carney; 35mm, 350 ft., 5' (18
fps); fonte copia/print source: George Eastman House, Rochester, NY.
Didascalie in inglese / English intertitles.
A COLLEGE CHICKEN (Essanay Film Mfg. Co., US 1910)
Regia/dir: ?; 35mm, 430 ft., 6'2" (19 fps); fonte copia/print source:
George Eastman House, Rochester, NY.
Didascalie in inglese / English intertitles.
Questi due esempi della prodigiosa produzione Essanay sono stati
considerati “perduti” fino a che lo staff dell’archivio della George
Eastman House non li ha riconosciuti come film di quella casa.
Distribuiti in origine a 550 e 448 piedi rispettivamente, i due diacetati
a 35mm erano giuntati insieme su una split reel Essanay. Il tempo e
l’usura avevano fatto la loro parte. Nel primo film della bobina,
Mulcahy’s Raid, c’erano delle lacune nel metraggio e mancava il titolo

Haghefilm/Selznick School Fellowship 2010
La borsa di studio Haghefilm è stata istituita nel 1997 per favorire la
formazione professionale dei diplomati più brillanti della L. Jeffrey
Selznick School of Film Preservation che si tiene presso la George
Eastman House. Il borsista trascorre un mese ad Amsterdam
lavorando a stretto contatto con i tecnici del laboratorio Haghefilm e
seguendo assieme a loro tutte le fasi del restauro di un film della
collezione della GEH. Viene quindi invitato a presentare i risultati
ottenuti alle Giornate dl Cinema Muto. La vincitrice dell’edizione
2010 della Fellowhip è la statunitense Karin Carlson di Lake Geneva,
Wisconsin.
113
R & R
Restauro/restored by Twentieth Century Fox & The Academy Film
Archive, 2010. Laboratorio/Laboratory services: Film Technology, Los
Angeles. Preservazione da una copia imbibita 35mm in collaborazione
con il New Zealand Film Archive, gli archivi statunitensi e la National
Film Preservation Foundation. /Preserved from a 35mm tinted nitrate
print through a partnership of the New Zealand Film Archive/Ngā
Kaitiaki O Ngā Taonga Whitiāhua, Wellington, the American archival
community, and the National Film Preservation Foundation.
originale: è stato comunque identificato dallo studioso della Essanay
David Kiehn, che ha pure riconosciuto due degli attori.
Mulcahy’s Raid vede protagonista un ufficiale di polizia che,
scambiando per colleghi un gruppo di attori impegnati nel ruolo di
poliziotti in un film, li chiama per fare un’irruzione durante un
combattimento di galli. Il secondo film della bobina, A College
Chicken, manca della didascalia finale originale, ma nell’insieme appare
abbastanza completo. Narra la storia di una gallina che viene rubata a
più riprese, seguendone le peripezie dalla stia fino a un convitto misto,
dove il pennuto rubato, cucinato dai ragazzi, diventa un delizioso
pasto per le ragazze. Una battaglia coi cuscini conclude la serata.
CAROLINE YEAGER
These two short films from the prodigious output of the Essanay
studios had been considered “lost” until they were recently
discovered by George Eastman House vault staff as products of
Essanay. Originally released at 550 ft. and 448 ft. respectively, the two
35mm diacetate films were spliced together on an Essanay split reel.
Time and wear had taken their toll, and the first film on the reel,
Mulcahy’s Raid, was missing some footage and its original title. This
film was subsequently identified by Essanay film historian David Kiehn,
who was also able to identify two of the actors. Mulcahy’s Raid
features a police officer who becomes entangled with a group of
actors playing policemen in a film and enlists them to assist him with
a raid on a cockfight. The second film on the reel, A College Chicken,
is missing its original end title, but seems to be fairly complete. It tells
the story of a chicken that is stolen multiple times, and follows the
fowl deed from hencoop to a girl-boy boarding school, where,
cooked by the boys, the purloined bird ends up as a delicious meal
for the girls. A pillow fight finishes off the evening. – CAROLINE YEAGER
sospetta che Margaret abbia un amante. Si tratta invece del di lei
fratello, Sir French, ritornato dall’India per rimproverare a Richard di
aver sposato la sorella senza amarla. Il frammento ritrovato parrebbe
riguardare la parte del film successiva al rientro di Sir French.
Diplomatosi nel 1906 alla Scuola di Arte Drammatica di Budapest,
Márton Garas (1885-1930) cominciò l’attività cinematografica nel
1915, a Kolozsvár (Cluj), con la Proja di Jenö Janovics.
Successivamente lavorò con la gran parte degli studi di Budapest ed è
oggi ricordato soprattutto per Karenina Anna (1918) e Twist Oliver
(1919), due adattamenti letterari entrambi, completamente o
parzialmente, preservati. Realizzò il suo ultimo film, Christoph
Columbus (1922), in Germania. Quindi sembra essersi dedicato al
teatro. – GYONGYI BALOGH
This tinted fragment was discovered by the Deutsche Kinemathek,
and donated to the Hungarian National Film Archive. The story of
Farsangi Mámor seems to have been of the faits divers style, set
among the English aristocracy. Sir Richard falls in love with Sir
Mortimer’s wife Mary, but when the couple are surprised, Sir Richard
saves Mary’s honour by saying he has come to propose to her
younger sister, Margaret. The unanticipated marriage ensues but is
inevitably unhappy. Richard nevertheless is jealous when he suspects
his wife has a lover, but the man turns out to be her brother,
returned from India to reproach Richard for marrying Margaret
without love. The extract appears to be from the later part of the
story, with the return of Margaret’s brother, Sir French.
Márton Garas (1885-1930), having graduated from the Budapest
School for Dramatic Arts in 1906, began his film career in 1915 with
Jenö Janovics’ Proja company in Kolozsvár (Cluj). Subsequently he
worked for most of the Budapest studios, and is best remembered
for his literary adaptations, Karenina Anna (1918) and Twist Oliver
(1919), both in whole or part preserved. His last film, Christoph
Columbus (1922), was made in Germany; subsequently he seems to
have devoted himself to theatre. – GYONGYI BALOGH

FARSANGI MÁMOR [Euforia carnevalesca / Carnival Dizziness]
(Corvin-Film, HU 1921)
Regia/dir: Márton Garas; scen: Antal Rado; f./ph: István Eiben; cast:
Oszkár Dénes (Sir Mortimer Talbot), Erzsi B. Marton (Mary, sua
moglie/his wife), Ica Lenkeffy (Margaret), Szvetiszlav Petrovich (Sir
Richard Dennis), Kálmán Zátony (Sir French), Cia Jatzkó;
frammento/fragment, 35mm, 63 m., 3'30" (16 fps), col.
(imbibito/tinted); fonte copia/print source: Magyar Nemzeti
Filmarchívum/Hungarian National Film Archive, Budapest.
Didascalie in tedesco / German intertitles.
Questo frammento imbibito è stato scoperto dalla Deutsche
Kinemathek ed è stato donato al Filmarchívum di Budapest. La storia,
che sembra ispirata a un fatto di cronaca, è ambientata nel mondo
dell’aristocrazia inglese. Sir Richard si innamora di Mary, moglie di Sir
Mortimer. Quando i due vengono sorpresi insieme, lui salva l’onore di
lei dicendo di essere venuto a chiedere la mano di Margaret, sorella
minore di Mary. Il matrimonio viene poi celebrato ed è
inevitabilmente infelice. Richard tuttavia si ingelosisce quando
KARUSELLEN (Svensk Filmindustri, SE 1923)
Regia/dir: Dimitri Buchowetzki; scen: Dimitri Buchowetzki, Alfred
Fekete; f./ph: Julius Jaenzon; scg./des: Hans Dreier; cast: Aud Egede
Nissen, Alfons Fryland, Walter Janssen, Waldemar Pottier, Jacob
Tiedtke; 35mm, 1736 m., 85' (18 fps); fonte copia/print source:
Filmarkivet vid Svenska Filminstitutet / Archival Film Collections of
the Swedish Film Institute, Stockholm.
Didascalie in svedese / Swedish intertitles.
Dimitri Buchowetzki (1885-1932) studiò scienze politiche prima di
diventare attore di cinema e teatro russi. Emigrato a Berlino dopo la
Rivoluzione, debuttò come regista nel 1919; e una serie di film basati
su capolavori della letteratura, tra cui Othello (Otello) e Danton (id.),
gli valsero le lodi dell’acuto critico Harry C. Carr, che lo definì “uno
dei migliori registi che il cinema abbia mai prodotto” (Los Angeles
Times, 10 febbraio 1924). Peter der Grosse ([Pietro il Grande],
1922], con Emil Jannings protagonista, convinse Jesse Lasky a
114
e facili costumi. A tutto ciò vanno aggiunte le attrazioni spettacolari:
quella intorno a cui ruota Karusellen è davvero memorabile e
drammaticamente sovraccarica.
Purtroppo, l’unica copia esistente del film è priva del rullo che
conteneva gran parte delle scene circensi. Ma Buchowetzki è
soprattutto interessato allo stile e a tratti usa i suoi personaggi come
marionette, avvolgendoli in una luce espressionista. Inventa ingegnosi
espedienti cinematografici che consentono allo spettatore di entrare
nelle menti dissolute dei protagonisti. Esaspera la sontuosità dei suoi
set, e, tramite un abile colpo di scena, chiude il film con un imprevisto
sviluppo che riporta il simbolico carosello al suo idilliaco punto di
partenza, non senza un malizioso ammiccamento al melodramma.
Il “rimpatrio” di questo film dalla Russia alla Svezia, indipendentemente dalla conclamata e liberatrice “alterità” dell’opera e il suo
modesto contributo sul piano creativo allo “stile nazionale” svedese,
potrebbe aprire nuovi orizzonti sul cinema svedese degli anni Venti.
Storicamente, il provinciale e il marginale sono stati celebrati
praticamente senza eccezioni come la vocazione più autentica della
cinematografia svedese. Karusellen offre una nuova chiave di lettura e
la riscoperta di una parallela corrente cosmopolita. La carriera di
Dimitri Buchowetzki si interruppe tragicamente con la sua prematura
morte a Los Angeles, mentre era impegnato a dirigere le versioni
internazionali dei talkies Paramount. – JAN OLSSON
Nel 2009, lo Svenska Filminstitutet acquistò un interpositivo di
Karusellen tratto da un internegativo con le didascalie in russo
preservato dal Gosfilmofond di Mosca ricavandone nel 2010 un nuovo
internegativo. Le didascalie in svedese sono state ricostruite in base
alla lista originale delle didascalie e usando il carattere e la grafica di
altri film dello Svenska Filminstitutet del periodo; queste furono poi
inserite nel nuovo negativo, dal quale è stata stampata questa copia.
Il materiale russo era mancante della V parte, pertanto sono state
inserite altre due didascalie descrittive per compensare i vuoti della
narrazione. Non essendo sopravvissuti né il manoscritto né la sinossi
sottoposti alla commissione di censura svedese, i testi esplicativi si
basano sulle informazioni attinte da un programma di sala originale,
sulle recensioni dell’epoca e sulle stesse didascalie del rullo mancante.
Come sottolineato nella scheda da Jan Olsson, Karusellen fu una
produzione internazionale, quasi interamente realizzata negli studi alla
periferia di Berlino. I luoghi in cui si ambienta la vicenda – la Borsa, il
circo e un lussuoso night-club – sebbene ricorrenti in molti altri film
del periodo, sono resi con una certa originalità, grazie soprattutto al
lavoro dello scenografo Hans Dreier (che poi seguirà il regista
Buchowetzki alla Paramount, dove lascerà un’impronta epocale coi
film di von Sternberg) e del direttore della fotografia Julius Jaenzon.
Una volta di più, si ha la conferma che la bravura di Jaenzon non si
limitava unicamente alla fotografia di spettacolari esterni: egli fece un
lavoro eccellente anche con i sontuosi décor e le sottili variazioni di
illuminazione degli interni. La qualità visiva del film continua a colpirci
e quasi si stenta a credere che la nuova copia sia ormai distante di
svariate generazioni dall’originale. – JON WENGSTRöM
115
R & R
scritturare Buchowetzki per la Paramount – in parte per dare nuovo
lustro al divismo un po’ appannato di Pola Negri, che era rimasta una
fervente ammiratrice di Buchowetzki da quando l’aveva diretta in
Sappho ([Saffo], 1921).
Prima di partire per Hollywood il regista dovette tuttavia portare a
termine un ultimo impegno europeo, Karusellen. Sebbene finanziato
dalla Svensk Filmindustri e con una troupe di tecnici svedesi diretti da
Julius Jaenzon, il progetto era nondimeno cosmopolita, con uno script
dello stesso Buchowetzki e dello scrittore e regista ungherese Alfred
Fekete. Il casting fu iniziato a Praga e a Budapest. Nel ruolo della
protagonista era stata annunciata l’attrice ceca Suzanne Marwille, ma
infine il triangolo amoroso fu interpretato dall’attrice norvegese
(berlinese d’adozione) Aud Egede Nissen, dal viennese Alfons Fryland
nel ruolo dell’amante, e dal tedesco Walter Janssen in quello del marito.
La stampa svedese riferì che l’esercito di comparse usate per le scene
del locale notturno era in larga parte composto da esuli russi abituati a
una vita pre-rivoluzionaria in frac. Le riprese principali del film si
svolsero a Berlino, alcuni esterni e le sequenze di circo a Stoccolma.
La storia prende impulso dall’infedeltà di Mrs. Benton, sottolineata
dalla scena iniziale in cui il marito e il figlio praticano il tiro al bersaglio
tra le pareti domestiche. Dopo che Mrs. Benton ha rischiato la morte,
il personaggio interpretato da Fryland viene invitato nella lussuosa
villa di campagna di famiglia. La conseguente relazione adulterina
induce il marito sconvolto a tornare alla vita del circo, dove egli mette
a rischio l’incolumità del figlio usandolo come suo partner in un
numero estremamente rischioso. Nel frattempo, la moglie e il suo
amante vengono travolti dal vorticoso turbinio della esuberante vita
mondana della Berlino postbellica, tra nightclub e spese folli,
sostenute con azzardate speculazioni in un mercato finanziario in crisi.
Le scene del nightclub sono altamente spettacolari per dimensioni e
décor e abbondano di tocchi registici di grande inventiva. Secondo
alcuni critici, l’abile evocazione di una disperata volontà di sfarzo
decadente e denaro facile situava il film al di sopra di Erotikon (Verso
la felicità) e di Foolish Wives (Femmine folli). Le scene più grandiose
furono girate vicino a Berlino nel gigantesco studio di Johannisthal, un
ex-hangar per Zeppelin – il che aggiunge una dimensione tutta
particolare a un film il cui tema portante è la modernità, il
cambiamento, e il senso di spiazzamento che ne deriva.
Gli elogi della critica svedese a Karusellen fecero del film un esempio
di rinnovamento per una società di produzione in crisi, con Sjöström
e presto anche Stiller ormai rivolti ad altre sponde. Le coproduzioni
internazionali con soggetti e cast cosmopoliti rappresentarono il
punto di forza della Svensk Filmindustri nei tardi anni ’20, fino a
quando l’avvento del sonoro non avrebbe offerto nuove occasioni di
mercato. Alcuni di questi film riscossero un notevole successo di
pubblico e di critica. Gli storici svedesi hanno per lo più valutato
negativamente tali strategie e i film che ne furono espressione.
Karusellen ritorna alle radici dei primi lungometraggi scandinavi e al
loro penchant per gli intrighi erotici di ambientazione aristocratica,
tenendo d’occhio la cultura popolare circense con artisti pittoreschi
Karusellen, Dimitri Buchowetzki, 1923. (Svenska Filminstitutet)
Dimitri Buchowetzki (1885-1932) studied political science before
becoming an actor in Russian theatre and cinema. Emigrating to Berlin
after the Revolution he made his debut as director in 1919, and a
series of films based on literary masterpieces, including Othello and
Danton, won him praise from the perceptive critic Harry C. Carr as
“one of the finest directors the cinema has ever produced” (Los
Angeles Times, 10 February 1924). Peter the Great (1922), starring
Emil Jannings, convinced Jesse Lasky to sign Buchowetzki for
Paramount – partly with the aim of reviving the somewhat eclipsed
stardom of Pola Negri, who had remained a fervent admirer since
Buchowetzki had directed her in Sappho (Mad Love, 1921).
Before departing for Hollywood, however he was to complete a last
European assignment, Karusellen. Financed by Svenski Filmindustri
and with a Swedish technical crew under Julius Jaenzon, the project
was nevertheless cosmopolitan, with a script by Buchowetzki and the
Hungarian writer-director Alfred Fekete. Casting began in Prague and
Budapest. Initially the Czech actress Suzanne Marwille was announced
for the main role, but eventually the love triangle was played by the
Berlin-based Norwegian actress Aud Egede Nissen, the Viennese
Alfons Fryland as the lover and the German Walter Janssen as her
husband. The Swedish press reported that the army of extras for the
nightclub scenes were largely Russian émigrés used to a prerevolutionary life in tailcoats. The film was mainly shot in Berlin, with
some exteriors and the circus sequences in Stockholm.
116
The impetus for the story is Mrs. Benton’s infidelity, following a
riveting opening scene with her husband and son at home practicing
target shooting. After the wife’s brush with death, the Fryland
character is invited to stay at the family’s plush country villa. Their
subsequent affair causes her devastated husband to return to circus
work, placing his son in an extremely precarious and dangerous
situation as the partner in his routine. Meanwhile, his wife and her
lover are sucked into the vortex of post-war Berlin’s whirlwind of
high-rolling nightclub life and spending sprees, supported by
treacherous transactions in a stock exchange gone sour. The
nightclub scenes are spectacular in scope and décor, with plenty of
inventive directorial touches. For some critics the dexterous
evocation of a desperate grasp at decadent splendour and quick
money placed the film above Erotikon and Foolish Wives. The big
scenes were shot in a gigantic studio at Johannisthal outside Berlin, in
what once was a zeppelin hangar, which adds yet another layer to a
film predicated on modernity’s rapid transactions and modes of
exchange and displacement.
The critical accolades in Sweden turned Karusellen into a template
for how to reconfigure a stagnant studio, as Sjöström and soon Stiller
were out of the production equation. International co-productions
featuring cosmopolitan casts and plotlines turned into a Svensk
Filmindustri mainstay in the late 1920s, until sound offered novel
market opportunities. Some, at least, of these films met with
considerable box-office success as well as critical acclaim. Swedish
film historians have largely written off the strategy and its resulting
films. Karusellen returns to the roots of early Scandinavian feature
films and their penchant for erotic intrigues in upper-class settings,
with an eye to popular culture in the form of circuses with colourful
artists and relaxed standards of interaction. Add to this spectacular
attractions: the one on which Karusellen’s intrigue pivots is indeed
memorable, and dramatically supercharged.
Unfortunately, the only extant copy lacks the reel containing most of
the circus scenes. However, Buchowetzki is primarily interested in
style, and at times deploys his characters as marionettes, wrapped in
a type of Expressionist lighting. He also invents clever cinematic
devices offering segues for the audience into the unruly minds of the
protagonists. He takes the settings to extremes in terms of
lavishness, and by way of a spectacular attraction rounds off the
story with a final spin that returns the symbolic carousel back to its
idyllic point of departure, and with a mischievous wink at
melodrama.
To have this film repatriated, irrespective of its blatant but liberating
“otherness” vis-à-vis the Swedish style of previous years and its
limited domestic contribution on the creative side, might inspire a
novel perspective on Swedish cinema from 1920s. Historically, the
provincial and the marginal have virtually without exception been
celebrated as the true Swedish screen mission. Karusellen is open to
a novel reading, and the reappraisal of a parallel, cosmopolitan track.
Dimitri Buchowetzki’s career was tragically cut short by his early
MARIZZA, GENANNT DIE SCHMUGGLER-MADONNA (Maritza)
(Helios Film, DE, 1921-22)
Regia/dir: F.W. Murnau; prod: Erwin Rosner; scen: Hans Janowitz,
from the unpublished story “Grüne Augen” by Wolfgang Geiger; f./ph:
Karl Freund; scg./des: Heinrich Richter; cast: Adele Sandrock, Harry
Frank, H.H. von Twardowski, Leonhard Haskel, Greta Schröder, Maria
Forescu, Tzwetta Tzatschewa, Albrecht Victor Blum, Max Nemetz,
Toni Zimmerer; riprese/filmed: 10.1920-1921, Jofa-Atelier,
Johannisthal, Berlin; première: 20.1.1922 (Johann Georg Lichtspiele
am Kurfürstendamm, Berlin); lg. or./orig. l: 1735 m.; frammento/
fragment, 35mm, 275.81 m. (14,342 fotogrammi/frames), 13'17" (18
fps); fonte copia/print source: Cineteca Nazionale – Centro
Sperimentale di Cinematografia, Roma.
Didascalie in italiano / Italian intertitles.
Questo frammento, originariamente in una collezione privata italiana,
è da considerarsi al momento tutto ciò che rimane del film che Murnau
realizzò tra Der Gang in die Nacht (1920) e Schloß Vogelöd (1921). I
critici dell’epoca lodarono lo sceneggiatore Janowitz per aver reso
comprensibile la trama altrimenti complicata di un romanzo di
Wolfgang Geiger riecheggiante la vicenda di Carmen. La bella Marizza
(interpretata dall’attrice di origine bulgara Tzwetta Tzatschewa) lavora
117
R & R
death in Los Angeles, at a time when he was primarily directing
international versions of Paramount talkies. – JAN OLSSON
In 2009 the Swedish Film Institute acquired an interpositive of
Karusellen made from a duplicate negative with Russian intertitles
preserved by Gosfilmofond in Moscow, and made a new duplicate
negative from it in 2010. The Swedish intertitles were recreated
based on an original list of intertitles and using the font and design of
other Svensk Filmindustri films of the period; these were then
inserted into the new negative, from which this print was struck. Act
5 was missing from the Russian material, so two explanatory titles
have been inserted to cover the missing narrative. As neither the
manuscript nor the synopsis submitted to the Swedish censorship
board survives, the explanatory titles are based on information from
an original programme and contemporary reviews, and from the
actual intertitles of the missing reel.
As Jan Olsson’s note points out, Karusellen was an international
production, primarily shot in studios outside Berlin. The story’s
milieux – the stock exchange, the circus, and a luxurious nightclub –
are familiar from many other films of the period, but they are all
rendered with some originality, not least thanks to the work of set
designer Hans Dreier (who would follow director Buchowetzki to
Paramount, where he eventually made history with von Sternberg)
and cinematographer Julius Jaenzon. Once again Jaenzon proves that
his mastery was not confined solely to spectacular location footage,
but that he also did excellent work with lavish décor and subtle shifts
in artificial studio lighting. The film’s many visual qualities are still
there to enjoy, and it is difficult at times to tell that the new print is
now several generations away from the original. – JON WENGSTRöM
Marizza, Friedrich Wilhelm Murnau, 1922. ( Cineteca Nazionale – Centro Sperimentale di Cinematografia)
nei campi di patate della vecchia Yelina, che si serve di lei per irretire il
gendarme Haslinger e distrarre così la sua attenzione dai
contrabbandieri locali. Per cambiare vita, Marizza va a lavorare da
Madame Avricolos (Adele Sandrock), ma la situazione si complica
quando i figli di Madame, Antonino e Christo, s’innamorano entrambi
di lei. Marizza e Antonino scappano insieme; ma col passare del tempo,
i due fuggitivi e il loro bambino, il cui vero padre è Christo, si riducono
all’accattonaggio. Marizza cade di nuovo nelle mani dei contrabbandieri.
Il drammatico epilogo include un omicidio, un incendio quasi fatale e il
salvataggio in extremis di Marizza grazie all’intervento del suo vero
amore, Christo. La fotografia di Karl Freund raccolse molte lodi dai
recensori dell’epoca, e in seguito anche Lotte Eisner, che ebbe modo
di vedere gli ingrandimenti fotografici dei fotogrammi, ne elogiò
“l’estrema cura del chiaroscuro e la profondità di campo”.
La versione italiana, lunga 1572 metri e intitolata Maritza, ottenne il
visto di censura il 2 aprile del 1923, con alcuni nomi dei protagonisti
cambiati (Christo in Leone, Scarzella in Mirtli e Antonino in Niko),
senza meno per evitare connotazioni religiose o etniche.
118
A THIEF CATCHER (His Regular Job) (Keystone Film Company, US
1914)
Regia/dir: Ford Sterling; prod: Mack Sennett; cast: Ford Sterling, Mack
Swain, Edgar Kennedy, Charles Chaplin, William Hauber, George
Jeske(?), Rube Miller; HD digital (da/from 16mm), 8'; fonte
copia/source: Paul Gierucki.
Didascalie in inglese / English intertitles.
In tarda età Charlie Chaplin riferì a un intervistatore di aver
interpretato ruoli secondari di poliziotto nei primi tempi in cui aveva
lavorato alla Keystone. Tale affermazione è rimasta priva di riscontri
concreti fino al 2010, quando il collezionista Paul Gierucki ha
scoperto, in un mercatino di antiquariato del Michigan, una copia di A
Thief Catcher. Tale copia – una riedizione a 16mm risalente forse al
1918, pubblicata dalla Tower Film Company, col titolo His Regular
Job, è stata ora riversata su formato digitale HD.
Uscito il 19 febbraio 1914, A Thief Catcher venne diretto da Ford
Sterling, l’indiscussa star comica della Keystone, che Chaplin avrebbe
in seguito sostituito. Nei suoi primi film da protagonista, Chaplin –
che qui appare solo in una particina – fu diretto da Henry Lehrman o
George Nichols, mentre Mabel Normand curava personalmente la
regia dei film della serie “Mabel”: questa è l’unica occasione in cui
Chaplin compare in una pellicola diretta da Sterling. Sterling stesso,
che è la star del film, interpreta, come si deduce dal distintivo, il ruolo
dello sceriffo di una località rurale, catturato e imprigionato in una
baracca da tre yeggmen (malviventi, secondo un termine dell’epoca) –
interpretati da Mack Swain, Edgar Kennedy e William Hauber. Circa al
sesto minuto di proiezione (la pellicola ne dura in tutto dieci), Chaplin
119
R & R
acquired it for the Museo Internazionale del Cinema e dello
Spettacolo (MICS), making a black-and-white screening print. In 2008
all materials were deposited in the Cineteca Nazionale – Centro
Sperimentale di Cinematografia.
In this fragment, corresponding to the first reel of the film, Murnau
portrays characters whose original ethnic richness recalls the border
zone where the story is set. He registers their behaviour, echoing
their nature in their animals, relating them (or putting them against
each other) in the compositions or via editing effects that make the
story progress very swiftly. So, we learn about the wild nature of
Marizza, who stands in sharp contrast with the local families,
entangled by relationships of money and power. As in Der Gang in die
Nacht or Phantom, the grotesque is highlighted, while restrained by
the excessive formality of the upper classes. But some unexpected
attitudes in these moments reveal major conflicts in history. Other
elements remind us especially of Nosferatu: the expressive use of
landscape, the mysterious connections created by editing, the
importance of money as the basic motivation of men, and a somewhat
vampiric predisposition in nature, embodied here by Marizza. The
film’s warm palette echoes the will for nature and spring desire. And
maybe because of the loss of the other reels, we feel it creates an
“edge of the world” utopic quality. – IRELA NúñEZ
Distribuito da società locali, ebbe scarsa circolazione. Negli anni ’70,
José Pantieri scoprì un rullo della versione italiana di Marizza e lo
acquistò per il Museo Internazionale del Cinema e dello Spettacolo
(MICS), provvedendo a stamparne una copia di sicurezza in bianco e
nero. Nel 2008, tutto il materiale fu depositato presso la Cineteca
Nazionale – Centro Sperimentale di Cinematografia.
In questo frammento, corrispondente al primo rullo del film, Murnau
presenta una serie di personaggi la cui variegata origine etnica
richiama la terra di confine in cui si svolge la vicenda. Ne registra i
comportamenti, la cui natura riecheggia quella dei loro animali,
mettendoli in relazione (o spingendoli gli uni contro gli altri) nelle
composizioni o tramite effetti di montaggio che vivacizzano il ritmo
della narrazione. Emerge così la natura selvaggia di Marizza, che è in
aspro contrasto con le famiglie locali, impegolate in relazioni di potere
e di denaro. Come in Der Gang in die Nacht o in Phantom, il
grottesco viene messo in risalto, seppure limitato dall’eccesso di
formalismo delle classi superiori. Ma gli atteggiamenti imprevedibili
assunti in questi momenti rivelano importanti elementi conflittuali
della vicenda. Altre componenti ricordano invece Nosferatu: l’uso
espressivo del paesaggio, le misteriose connessioni che si creano
attraverso il montaggio, l’importanza del denaro come motore
principe delle azioni umane e una certa predisposizione vampiresca
presente nella natura, incarnata incarnata qui da Marizza. Le tonalità
calde del film evocano una nostalgia ideale per la natura e la
primavera. E, forse per via della perdita degli altri rulli, Marizza sembra
creare una qualità utopica da “confini del mondo”. – IRELA NúñEZ
This extract, originating in an Italian private collection, is so far all that
is known to survive from the film that Murnau made between Der
Gang in die Nacht (1920) and Schloß Vogelöd (1921). Critics of the
time praised the writer Janowitz for making comprehensible
Wolfgang Geiger’s extremely complicated plot, with its echoes of
Carmen. The beautiful Marizza (played by the Bulgarian-born Tzwetta
Tzatschewa) works in the potato fields of old Yelina, who uses her to
charm the gendarme Haslinger, and thereby distract his attention
from the local smugglers. To escape this life Marizza goes to work for
Madame Avricolos (Adele Sandrock), but problems ensue when both
of Madame’s sons, Antonino and Christo, fall in love with her. She
flees with Antonino, but in time the couple, with her baby by Christo,
are reduced to begging. Marizza falls again into the hands of the
smugglers. The dramatic dénouement includes murder, a near-fatal
fire, and a last-minute rescue by Marizza’s true love, Christo. Karl
Freund’s camerawork received much praise in contemporary reviews,
and Lotte Eisner later recognized, from still photographs, “a great
care for chiaroscuro and depth of focus”.
The Italian version – 1572 metres long – entitled Maritza was
approved by the censors on 2 April 1923, changes being made to
some character names (Christo to Leone, Scarzella to Mirtli,
Antonino to Niko), perhaps to avoid religious or ethnic connotations.
Distributed by local companies, it had scarce circulation. In the 1970s
José Pantieri found a reel of the Italian version of Marizza and
Charlot) in Kid Auto Races. Between Showers, che sfrutta lo scenario
delle strade inondate, fu realizzato tra il 27 e il 31 gennaio. Dal
momento che egli sfoggia qui i caratteristici baffetti, sembra
improbabile che quest’apparizione sia precedente a Mabel’s Strange
Predicament, e ciò fa pensare che egli abbia girato la sua sequenza tra
il 25 e il 26 gennaio, prima di iniziare Between Showers. Hooman
Mehran propende tuttavia per una data anteriore (il 6 gennaio) dal
momento che gli esterni non recano alcuna traccia di piogge recenti.
Non è quindi possibile stabilire con certezza se questo sia il secondo
o il quarto film di Charlie Chaplin.
Il più importante “film disperso” tra quelli realizzati da Chaplin alla
Keystone rimane Her Friend the Bandit, uscito il 4 giugno 1914 e (per
complicare le cose) ridistribuito, secondo alcuni, con il titolo di The
Thief Catcher. – DAVID ROBINSON (informazioni fornite da Hooman
Mehran, Glenn Mitchel, Brent Walker)
Late in his life Chaplin told an interviewer that he had appeared in
small roles as a cop in his early days at Keystone. There has been no
concrete evidence of this until 2010 and the discovery in a Michigan
antique fair, by the collector Paul Gierucki, of a print of A Thief
Catcher. The print was a 16mm reissue of c.1918, by Tower Film
Company, under the title His Regular Job, and has now been
transferred to HD digital format.
Released on 19 February 1914, A Thief Catcher was directed by Ford
Sterling, Keystone’s reigning comedy star, whom Chaplin was destined
to replace. In his own earliest starring films, Chaplin – who here only
plays a cameo role – was directed by Henry Lehrman or George
Nichols, while Mabel Normand herself directed the “Mabel” pictures:
this was the only time he worked under Sterling. Sterling, as star of
the film, appears (from his badge) to be a rural sheriff, who is captured
and imprisoned in a shack by three “yeggmen” (a period word for
burglars) – played by Mack Swain, Edgar Kennedy, and William
Hauber. Around 6 minutes into the 10-minute film, Chaplin appears as
one of a pair of policemen, with a large uniform coat and flat hat,
wielding a club and already sporting the “Charlie” toothbrush
moustache. In the 2-minute cameo, along with the unidentified cop
and in conflict with Swain and Kennedy, Chaplin’s movements and
gestures are unmistakeable. The scene ends with his staggering out of
the picture after being hit on the head by Sterling. He does not appear
in an earlier scene with the full complement of Keystone Kops in the
station, which suggests that he joined the cast of A Thief Catcher only
for this scene. He reappears briefly, however, at the close of the film
for some knockabout with Ford Sterling, which is somewhat unclear
because of jump-cuts resulting from damage to the film.
A Thief Catcher was the fourth Chaplin film in order of release, but
releases did not always reflect the order of production. Brent
Walker’s exhaustive Keystone research reveals that the film, which
had the working title The Dogs, was filmed between 5-26 January
1914. This apparently exceptionally long shooting time for Keystone
(where a major one-reel production would normally be finished
within a week) resulted from torrential rains which continued from
Charles Chaplin in A Thief Catcher, 1914. (Paul Gierucki)
entra in scena nei panni di uno dei due componenti di una coppia di
poliziotti: indossa un’uniforme dall’ampia giacca e il cappello
d’ordinanza, impugna un manganello e ostenta già i baffetti di Charlot.
Nei due minuti di questo cameo – in cui si accapiglia con Swain e
Kennedy insieme al suo ignoto collega – movenze e gestualità di
Chaplin sono già inconfondibili. Alla fine della sequenza egli esce
barcollando di scena, colpito sulla zucca da Sterling. Chaplin non
compare in un’inquadratura precedente, che ci mostra la squadra dei
Keystone Kops schierata al completo alla stazione di polizia, e ciò fa
pensare che egli si sia unito al cast di A Thief Catcher solo per il citato
cameo. Riappare comunque velocemente con Ford Sterling nello
scatenato finale che risulta però scarsamente comprensibile per via
dei salti causati dalla pellicola rovinata.
A Thief Catcher è il quarto film di Chaplin in ordine di uscita, ma tale
ordine non corrisponde sempre a quello di produzione. L’esauriente
ricerca svolta da Brent Walker sulla Keystone dimostra che il film (il
cui titolo provvisorio era The Dogs) venne girato tra il 5 e il 26
gennaio 1914. Questo periodo di lavorazione, a prima vista eccezionalmente lungo per la Keystone (ove i film di maggiore impegno, da un
rullo intero, venivano di norma completati in una settimana) dipese
dalle piogge torrenziali che si protrassero dal 13 al 24 gennaio,
bloccando la produzione. Quindi, i giorni di lavorazione effettivi di A
Thief Catcher furono probabilmente dal 5 al 12 e 25-26 gennaio.
Il primo film di Chaplin per la Keystone, Making a Living, fu portato a
termine il 9 gennaio. Secondo la testimonianza dello stesso Chaplin, il
costume di Charlot fu ideato inizialmente per un’apparizione
improvvisata in Mabel’s Strange Predicament, girato fra il 6 e il 12
gennaio. Sabato 10 gennaio egli comparve (indossando il costume di
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conclude – ma non prima di averci fatto capire che l’abitudine
hollywoodiana di fabbricare illusioni si era precocemente radicata.
Il film è rimasto un mistero fino a cinque settimane prima della
proiezione alle Giornate, quando David Kiehn del Niles Essanay
Museum lo ha identificato, con il riscontro della recensione apparsa
sul Moving Picture World (14 ottobre 1911): “Si tratta di una parodia
un po’ snob del mondo dei film sui cowboy. Il personale della Nestor
si è spinto nel West per girare un vero ‘western,’ ma il produttore non
riesce a trovare nessun cowboy. È costretto a telefonare a casa per
farsi mandare comparse che interpretino il ruolo di mandriani. La
pellicola ci mostra proprio come viene girato il film e come viene
salvata Miss Violet. Il produttore è sempre presente sulla scena e lo
vediamo mentre se la prende con gli indiani. Un indiano viene colpito
con troppa forza e la scena si deve ripetere; a sera tutti si ripuliscono
e tornano a casa. Questo film sarà probabilmente un successone: se
lo merita.” Neppure un recensore così entusiasta avrebbe potuto
prevedere un revival a 99 anni di distanza. – DAVID ROBINSON
These 5 minutes of film represent no more than a fragment of a
century-old joke, yet they afford a unique and precious first-hand
impression of a revolution in the history of cinema – the foundation
of Hollywood. With proper serendipity, the film surfaced in the
Archive Film Agency’s collection just at the moment that Hollywood
is bracing itself for its centennial celebrations, and has been restored
by EYE Film Institute Netherlands.
The film tells how a unit of the Billiken Moving Picture Company
entrains from New York, with its English-made Moy camera, to
embark on production in California. They put up at the clapboard
hotel, optimistically named “Palace”, and enquire where they can find
the cowboys and Indians. “It’s no use, Mister,” says the proprietor of
the trackside bar, “they’ve all joined the moving pictures.” Producer
U.Know wires back to the New York Studio (itself a pretty rustic
place; presumably the whole film was shot in Bayonne, New Jersey):
“They herd cattle out here with automobiles. Send prop cowboys
quick.” The Eastern cowboys arrive; production begins; the pale-skin
“savage Indians” from the East are being made up … and the fragment
ends – but not too soon to let us know that Hollywood habits of
make-believe were established this early.
The film remained a mystery until 5 weeks before the Giornate
screening, when David Kiehn of the Niles Essanay Museum identified
it, with the confirmation of the review in Moving Picture World (14
October 1911): “This is a dandy burlesque on the moving picture
cowboy situation. The Nestor people went out west to take a real
‘Western,’ but the producer found no cowboys. He had to telegraph
home for the ‘prop’ cow punchers. The picture shows just how the
picture was taken and Miss Violet is rescued. The producer is always
present in the picture and we see him scolding the Indians. One Indian
got hit too hard and the scene had to be taken over. At night the party
washed up and went home. This picture is likely to be a thoroughgoing success. It is worthy of it.” Even this enthusiastic reviewer might
not have predicted a revival after 99 years. – DAVID ROBINSON
THOSE JERSEY COWPUNCHERS (Nestor, US 1911)
Regia/dir: ?; cast: Violet Mersereau, Clara [Claire] Mersereau, Milton
J. Fahrney (regista/director); frammento/fragment, 35mm, 107 m.,
5'16" (18 fps); fonte copia/print source: EYE Film Institute
Netherlands, Amsterdam (Archive Film Agency Collection).
Titolo di testa mancante; didascalie in inglese / Main title missing;
English intertitles.
Questi cinque minuti di pellicola rappresentano solo un frammento di
una storiella centenaria, eppure ci offrono un’inestimabile e unica
testimonianza di prima mano di quella che fu una rivoluzione nella
storia del cinema: la fondazione di Hollywood. Per una coincidenza
felicissima e quasi magica, il film è emerso dalla collezione della
Archive Film Agency proprio mentre Hollywood si prepara alle
celebrazioni del centenario, ed è stato restaurato dall’EYE Film
Institute Netherlands.
Il film narra le peripezie di una troupe della Billiken Moving Picture
Company, che parte in treno da New York, armata di una cinepresa
Moy di marca britannica, per avventurarsi nella lavorazione di un film
in California. I cineasti trovano alloggio in uno sgangherato albergo,
ottimisticamente denominato “Palace”, e chiedono dove sia possibile
trovare cowboy e indiani. “È inutile, capo”, risponde il proprietario del
bar, “ormai lavorano tutti nel cinema.” Il produttore U.Know telegrafa
allo studio di New York (che è a sua volta un luogo alquanto rustico
e spartano; probabilmente tutto il film fu girato a Bayonne, nel New
Jersey): “Qui ormai radunano il bestiame con le automobili. Mandate
subito comparse per ruolo cowboy.” I cowboy arrivano dall’est; la
lavorazione ha inizio; i pallidi “indiani selvaggi” provenienti anch’essi
dalla costa orientale si sottopongono al trucco… e il frammento si
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13-24 January, closing down production entirely. Hence the actual
shooting days on A Thief Catcher are likely to have been 5-12 and 2526 January.
Chaplin’s first Keystone film, Making a Living, was completed on 9
January. He himself said that the Tramp costume was first devised for
an initially improvised appearance in Mabel’s Strange Predicament,
shot between 6-12 January. On Saturday 10 January he appeared in
the Tramp costume in Kid Auto Races. Between Showers, which took
advantage of the storm-flooded roads, was filmed between 27-31
January. Since he is wearing the characteristic moustache, it seems
unlikely that this appearance preceded Mabel’s Strange Predicament,
suggesting that he shot his scene on 25-26 January, before starting
work on Between Showers. Hooman Mehran, however, favours an
earlier date, of 6 January, since the exteriors here show no sign of
recent rain. So the question remains open, whether this was Chapin’s
second or fourth film.
The most significant “supposed to be missing” Chaplin Keystone
remains Her Friend the Bandit, released on 4 June 1914, and,
confusingly, said to have been re-issued under the title The Thief
Catcher. – DAVID ROBINSON (from information provided by Hooman
Mehran, Glenn Mitchell, and Brent Walker)
THE TONIC (Angle Pictures Limited, GB 1928)
Regia/dir: Ivor Montagu; prod: Simon Rowson; scen., scg./des: Frank
Wells; story: H.G. Wells; f./ph: F.A. [Freddie] Young; primo asst.
operatore/first camera asst: Roy Kellino; dir. prod./prod. mgr: Lionel
Rich; continuity: Eileen Hellstern [Mrs. “Hell” Montagu]; make-up:
Walter Wichelow; assts: Sergei Nolbandov, Michael Hankinson, H.
Haslander; cast: Elsa Lanchester (Elsa), Renée de Vaux (zia/aunt
Louisa), Charles Laughton (il padre/Father), Marie Wright (la
madre/Mother), Lionel Rich(?) (figlio maggiore/elder son), Roy Kellino
(figlio minore/younger son), Walter Wichelow (cognato/brother-inlaw); 35mm (riversamento digitale da 16mm/digital transfer from
16mm), 508m., 22' (20 fps); fonte copia/print source: Deutsche
Kinemathek, Berlin.
Didascalie in tedesco / German intertitles.
La Angle Pictures fu fondata con il (non peregrino) intento di fare
della giovane attrice comica emergente Elsa Lanchester (1902-1986)
una Chaplin in gonnella. I promotori dell’iniziativa furono due giovani
cineasti, Ivor Montagu (1904-1984), il principale creatore di The Film
Society, e Frank Wells (1902-1982), uno dei membri più entusiasti di
detta associazione. Essi chiamarono a far parte del consiglio
d’amministrazione due produttori di maggiore esperienza, Simon
Rowson, la cui Ideal Films distribuì un po’ altruisticamente i film, e
Michael Balcon, che già era uno dei responsabili della Piccadilly e della
Gainsborough Pictures. H.G. Wells, padre di Frank, era amico di Elsa
Lanchester e scrisse i soggetti dei film: fu lui che all’inizio insistette
perché l’attrice fosse la protagonista di tutte le commedie Angle. Il
denaro per le prime tre – Bluebottles, Daydreams e The Tonic – fu
procurato da un anonimo “elegantone americano” socio di Rowson.
Montagu ricordava nelle sue memorie, With Eisenstein in Hollywood,
che erano costate tra le cinque e le seimila sterline. I tre altri film
previsti (The Oracle, Borrowed Splendour e The Prize) furono
accantonati e H.G. Wells disse alla Lanchester: “Non scriverò altre
storie per te. Non c’è futuro nel cinema sonoro, nessun futuro”. La
Angle Pictures fu messa in liquidazione nel marzo del 1930.
Nelle sue memorie Elsa Lanchester ricordava: “Le riprese iniziarono il
20 agosto e finirono tre settimane dopo. … Fu un bel periodo.
Eravamo tutti sotto i trent’anni, compreso il cameraman che era Fred
Young”. F.A. Young, la cui carriera di direttore della fotografia spazia
da 49th Parallel (Gli invasori – 49o parallelo) a Lawrence of Arabia
(Lawrence d’Arabia) a Dr. Zhivago (Il dottor Zivago), era all’epoca
ventiseienne. L’attrice riferisce anche che “Charles [Laughton] ebbe
un ruolo in tutte e tre le commedie. Per il suo lavoro fu pagato sei
scellini – a quel tempo non esistevano problemi di sindacato o altro”.
Altre particine furono affidate a membri della troupe.
The Tonic racconta di una famiglia che sogna di avere prima del
tempo l’eredità della ricca zia Louisa, un’ipocondriaca cronica che ha
appena licenziato l’ultima di una rapida successione di cameriere. La
famiglia decide così di mandarle la propria, terribile, domestica Elsa,
confidando che avrebbe rapidamente provveduto a ridurre i gironi di
vita della vecchia signora, magari facendo confusione con le sue
medicine. Avendo preso molto seriamente il nuovo lavoro, Elsa legge
nel prontuario medico di famiglia le virtù terapeutiche di uno shock
improvviso. Con grande scrupolo ne prepara uno di sicuro effetto per
la zia Louisa.
Rispetto alle altre due commedie della Angle, The Tonic punta meno
alle invenzioni surrealiste ispirate dall’entusiasmo della Film Society
per le avanguardie europee e sviluppa diligentemente la sua
stravagante vicenda, con caratterizzazioni nettamente caricaturali,
vivace slapstick e momenti paradossali come quando Elsa spoglia un
pappagallo delle sue penne per bruciarle sotto il naso della malata
svenuta. La comicità della Lanchester è irresistibile e per nulla datata:
l’attrice possiede infatti l’eccelso dono comico di non dare mai
l’impressione di pensare che ciò che sta facendo possa in qualche
modo far ridere.
Ivor Montagu ricordava di come l’anziana signora che aveva prestato il
proprio pappagallo calvo come controfigura per il film fosse
ingenuamente convinta che sarebbe stato usato per una serie di
fotografie scientifiche “Non ho mai dimenticato (e infatti rimane come
una macchia indelebile sulla mia coscienza) il suo sgomento quando
venne a sapere che, per la somma irrisoria che avevamo offerto
nell’annuncio, aveva tradito il suo beniamino perché si ridesse di lui”.
Pure offeso dal film fu lo scrittore Arnold Bennett. Charles Laughton
era all’epoca impegnato a teatro in una sua commedia, Mr Prohack,
nella quale il trucco da vecchio del suo personaggio era chiaramente
modellato sulla fisionomia del sessantunenne Bennett. Quando però
Laughton usò, senza previa autorizzazione, lo stesso trucco
caricaturale in The Tonic, Bennett si scocciò. Ha scritto Montagu di
aver sempre pensato che avesse ragione ed esserssi sentito in
imbarazzo.
La distribuzione in Inghilterra subì dei ritardi e i film uscirono, con
esito fallimentare, quando ormai era iniziata la nuova epoca del
cinema sonoro. Ebbero tuttavia un grandissimo successo in Germania,
dove furono distribuiti dalla Deutscher Werkfilm GmbH, la società di
Carl Koch, e si ventilò anche l’ipotesi, mai concretizzata, di aggiungere
alle tre pellicole colonne sonore sincronizzate.
Bluebottles e Daydreams sono stati proiettati alle Giornate del
Cinema Muto nel 1999 mentre The Tonic è sempre stato considerato
un film perduto. Ma una copia a 16mm della versione distribuita in
Germania è stata recentemente ritrovata dalla Deutsche Kinemathek
in una raccolta di home movies, ed è questa che, restaurata
digitalmente e “gonfiata” a 35mm, le Giornate hanno ora il privilegio
di presentare. – DAVID ROBINSON
Angle Pictures was set up with the (not unreasonable) intention of
making the rising young comedienne Elsa Lanchester (1902-1986) the
female Chaplin. The instigators were two budding young cineastes,
Ivor Montagu (1904-1984), the principal creator of The Film Society,
and Frank Wells (1902-1982), one of its most enthusiastic members.
They recruited to their board more established film executives,
Simon Rowson, whose Ideal Films somewhat altruistically distributed
the films, and Michael Balcon, already a director of Piccadilly and
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Gainsborough Pictures. H.G. Wells, Frank’s father, was a friend of
Elsa Lanchester, and provided the stories for the films: it was he who
initially insisted that Lanchester must be the star of all the company’s
comedies. The money for the first three – Bluebottles, Daydreams,
and The Tonic – was raised by an unnamed “dapper American”
associate of Rowson: Montagu recalled, in his memoir With
Eisenstein in Hollywood, that they cost between five and six thousand
pounds. Three further planned pictures (The Oracle, Borrowed
Splendour, and The Prize) were abandoned, and H.G. Wells told
Lanchester, “I am not going to write any more stories for you. No
future in talkies, no future at all”. Angle Pictures went into liquidation
in March 1930.
In her memoirs Elsa Lanchester recalled, “The filming began on
August 20th and took about three weeks to complete. … They were
good days. I guess we were all in our twenties, including the
cameraman who was Fred Young.” F.A. Young, whose career as
cinematographer was to embrace 49th Parallel, Lawrence of Arabia,
and Dr. Zhivago, was indeed 26 at this time. Lanchester also recalled
that “Charles [Laughton] played a part in each one. He was paid six
shillings for his work in the films – in those days there were no union
problems or anything”. Members of the production staff were cast in
bit parts.
The Tonic concerns a family who dream of their anticipated
inheritance from rich Aunt Louisa, a chronic hypochondriac who has
just fired the latest in a rapid succession of maids. This inspires the
family to send Aunt Louisa their own dreadful maid, confident that Elsa
will quickly shorten the old lady’s life, if only by mixing up her
medicines. Diligently embarking on her new job, Elsa reads in the
domestic medical dictionary the therapeutic virtues of a sudden shock.
She dutifully and effectively sets out to provide one for Aunt Louisa.
The Tonic relies less than the other two Angle comedies on surrealist
flights inspired by the Film Society’s enthusiasm for the European
avant-garde. The film diligently pursues its extravagant story, with
sharply caricatured characters, brisk slapstick, and absurdist moments
like Elsa’s denuding of a parrot, to get feathers to burn under the
fainted invalid’s nose. Lanchester’s comedy is enchanting and quite
undated: she possesses the supreme comic gift of never for a moment
appearing to think that anything she does is in the least funny.
Ivor Montagu recalled that the old lady who loaned the bald parrot
double had innocently believed that it was to be used for scientific
photographs: “I have never forgotten (it is an unhealed scar upon my
conscience) her distress when she learned that, for the trifling sum
that we had advertised, she had betrayed her heart’s companion to
be laughed at.”
Also offended by the film was the writer Arnold Bennett. Charles
Laughton was currently appearing in his play Mr. Prohack, in which his
make-up was openly modelled on the 61-year-old Bennett’s own
appearance. When he used the same caricatural make-up in The
Tonic, however, without approval, Bennett was annoyed. Montagu
wrote that he had “always felt he was right and been ashamed”.
DIE WAFFEN DER JUGEND. DIE ABENTEUER EINES KLEINEN
MÄDCHENS IN BERLIN. EIN HEITERES DRAMA. (Komet-Film, DE
1912)
Regia/dir., scen: Robert Wiene; f./ph: Charles Paulus; cast: Gertrud
Gräbner (May), Curt Maler (Cornelius), Hans Staufen (Peter), Conrad
Wiene (Hans); riprese/filmed: 12.1912; data uscita/released:
10.1.1913; 35mm, 615 m., 28' (19 fps), col. (imbibito/tinted); fonte
copia/print source: EYE Film Institute Netherlands, Amsterdam.
Didascalie in tedesco / German intertitles.
Questo film, per molto tempo ritenuto perduto, costituisce l’esordio
cinematografico di Robert Wiene (1873-1938), e precede di sette
anni il leggendario Das Cabinet des Dr Caligari. Per essere un’opera
prima, è girato con mano singolarmente sicura e disinvolta; si
distingue per la vivacità della narrazione e dei personaggi, per la
fantasia della messa in scena e per i suggestivi, seppure pochi, esterni
berlinesi.
L’eroina, May, spedita in lacrime in collegio, diviene ben presto l’allieva
più dinamica e sovversiva dell’istituto; punita, fugge e viene salvata
dalla strada da Hans e Peter, due mendicanti poco raccomandabili. Essi
la ospitano a casa loro e la trattano con rispetto esemplare; ella in
cambio li riporta sulla retta via e li convince a radersi, rammendarsi i
vestiti e spazzare il pavimento del loro tugurio. Il lieto fine è ambiguo:
i due spensierati reprobi meditano sul rischio di cadere vittime della
rispettabilità e mettersi a lavorare.
Figlio dell’attore teatrale Carl Wiene, Robert Wiene studia dapprima
giurisprudenza a Berlino, si dedica al teatro verso i trentacinque anni
di età e giunge infine all’arte cinematografica con questa incantevole
commedia. Tra questo film e Caligari gira una serie di pellicole
commerciali, che pur avendo riscosso un notevole successo sono
andate in gran parte perdute. Caligari gli conferisce statura
internazionale e la sua carriera prospera, nella costante fedeltà
all’espressionismo di film come Genuine, Raskolnikow e Orlacs
Hände.
All’ascesa del nazismo Wiene, ebreo, lascia la Germania e la sua
carriera subisce un colpo irreparabile. A Budapest gira Eine Nacht in
Venedig (1934); a Londra è il produttore, non citato nei titoli, di The
Robber Symphony, diretto da Friedrich Feher, che aveva interpretato
Francis in Caligari. A Parigi, il progetto di collaborare con Cocteau a
123
R & R
Distribution at home was delayed and the films appeared – and sank
– in the new era of talking pictures. Nevertheless, in Germany, where
they were distributed by Carl Koch’s company Deutscher Werkfilm
GmbH, they were extremely popular, and there was even a plan,
never fulfilled, to add synchronized soundtracks.
Bluebottles and Daydreams were shown at the Giornate del Cinema
Muto in 1999; but The Tonic has always been believed a lost film.
However, a 16mm print of the German release version was recently
discovered by the Deutsche Kinemathek in a collection of home
movies; and it is this, digitally restored and transferred to 35mm, that
the Giornate is now privileged to show. – DAVID ROBINSON
una versione sonora di Caligari rimane senza esito, ma nel 1938 il
regista inizia un film di spionaggio, Ultimatum. Muore però di cancro
dieci giorni prima della fine della lavorazione: la pellicola viene portata
a termine da Robert Siodmak.
Il fratello minore di Wiene, Conrad (o Konrad), nato nel 1878, che
nel film interpreta Hans, inizia – a quanto sembra – la propria
carriera come attore, anche se questa è la sua unica apparizione
documentata. Dal 1916 al 1932 si dà alla regia con lusinghiero
successo. All’ascesa del nazismo decide di emigrare in Austria, e in
seguito di lui si perde ogni traccia.
L’unica copia nota di Die Waffen der Jugend è stata ritrovata nel
2009, nel corso della ristrutturazione di una vecchia casa di
Rotterdam abitata all’inizio del ventesimo secolo da una famiglia che
gestiva una ditta di apparecchi fotografici; il film si trovava in un
contenitore insieme ad altre commedie e cinegiornali risalenti al
periodo 1913-1915. Nonostante le condizioni di partenza assai
precarie (prima di iniziare il lavoro è stato necessario staccare
pazientemente la pellicola appiccicata) il restauro, che ha riguardato
anche l’imbibizione originale, è stato completato con successo.
DAVID ROBINSON
This long-lost film was the debut in cinema of Robert Wiene (18731938), seven years before his mythical Das Cabinet des Dr Caligari.
For a first film it is admirably assured, with lively narrative and
characters, inventive mise-en-scène, and a few, but evocative Berlin
locations.
The heroine, May, is tearfully sent off to boarding school, where she
soon becomes a spirited and disruptive presence. Disciplined, she
runs away, and is rescued from the streets by Hans and Peter, two
disreputable mendicants. Taking her into their home, they treat her
with exemplary respect; in turn she reforms them, getting them to
shave, mend their clothes, and sweep the floor of their hovel. The
happy ending is equivocal: the carefree reprobates look at risk of
falling victim to respectability, and going to work.
The son of the stage actor Carl Wiene, Robert Wiene studied law in
Berlin before drifting to the stage in his mid-30s, finally encountering
film with this charming comedy. Between this and Caligari he made a
score of successful commercial pictures, now mostly lost. Caligari
gave him international status and his career prospered – with
lingering loyalty to Expressionism in Genuine, Raskolnikow, and
Orlacs Hände.
With the rise of Nazism the Jewish Wiene left Germany, and never
retrieved his career. In Budapest he made Eine Nacht in Venedig
(1934); in London he was uncredited producer on The Robber
Symphony, directed by Friedrich Feher, who had played Francis in
Caligari. In Paris, a plan to collaborate with Cocteau on a sound
version of Caligari came to nothing, but in 1938 Wiene embarked on
a spy film, Ultimatum. He died from cancer ten days before the end
of the production: the film was finished by Robert Siodmak.
Wiene’s younger brother Conrad (or Konrad), born in 1878, who
plays Hans in the film, appears to have begun his career as an actor,
though this is his only recorded performance. From 1916 to 1932
he enjoyed a successful career as a director. With the rise of
Fascism he chose to emigrate to Austria, after which all trace of him
seems lost.
The unique known copy of Die Waffen der Jugend was found in 2009
during the restoration of an old house in Rotterdam, which in the
early 20th century was occupied by a family with a photographic
equipment business; the film was in a container with other comedies
and news films of 1913-1915. Despite its perilous condition – the
adhering film had to be painstakingly separated before work on it
could begin – it has been successfully and completely restored, with
the original tinting. – DAVID ROBINSON
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Corrick Collection 4
La storia dei “Marvellous Corrick Family Entertainers” continua a
svilupparsi in ampiezza e in profondità. Uno dei vantaggi della
collezione è la quantità di materiale contestuale che sopravvive
insieme con i film utilizzati da questa compagnia di cantanti, ballerini
ed esperti strumentisti itineranti di inizio secolo. Tra gli elementi
conservati al National Film and Sound Archive australiano e al Queen
Victoria Museum di Launceston, in Tasmania, ci sono album ricchi di
ritagli stampa e fotografie personali, documentazioni d’affari,
corrispondenza e interviste registrate sia con Leonard Corrick
(l’“esperto di cinema”) che con suo figlio John, storico della famiglia e
donatore della collezione. Tra i documenti più illuminanti c’è la
corrispondenza personale tra i membri della famiglia Corrick e gli
amici in Nuova Zelanda. Sia che riguardino paesaggi esotici o la
tristezza della separazione dai famigliari in visita, questi messaggi
aiutano a portare in vita i Corrick, rivelando dettagli intimi delle vite
degli artisti ambulanti e degli esercenti all’inizio del XX secolo.
I brani che seguono sono tratti da una lettera scritta nel 1908 da un
membro ignoto della famiglia durante la tournée mondiale attraverso
il Pacifico del Sud, l’Asia sud-orientale, l’India e alcuni paesi europei.
Lunga sedici pagine, questa lettera contiene dettagli della vita in
tournée e si sofferma sulle difficoltà incontrate, le opportunità avute,
i momenti entusiasmanti e le questioni più terra terra.
L’accoglienza ricevuta: “Kuala Lumpur resterà per sempre un nostro
caro ricordo, visto che lì siamo stati trattati come membri della
famiglia reale. I piantatori erano contentissimi di vedere uno spettacolo
‘britannico’ e evidentemente ai loro occhi siamo andati bene, perché
per quattro interi giorni ci hanno ospitati come fossimo dei re.”
I posti visti: “Poi è stata la volta di Singapore che ha, forse, la
popolazione più cosmopolita a est di Londra … E se la città è cosmopolita, il porto lo è anche di più. Per tutto il giorno e anche per tutta
la notte, un infinito flusso di imbarcazioni di ogni tipo, misura e
nazionalità entra ed esce dal porto, e sono tutte alla pari. I tramonti
sullo Stretto sono stati una visione indimenticabile. Non avrei mai
creduto che il mare, il cielo e il sole potessero fondersi in immagini e
visioni di tale squisita bellezza, visioni che anche un poeta avrebbe
difficoltà a descrivere o un grande artista a riprodurre.”
Il pericolo: “Circa due settimane dopo ritornammo [a Peshawar] nel
bel mezzo dei problemi con gli Zakka Khel, e mentre lo spettacolo
era in corso arrivò un fuciliere della Regina con l’annuncio di un
attacco alla stazione ferroviaria. I numerosi militari presenti tra il
pubblico si alzarono come un sol uomo e in pochi minuti erano pronti
all’azione. Noi fummo mandati in albergo sotto scorta e all’alba i
ribelli erano ormai in fuga attraverso il passo del Khyber.”
La fatica: “Il caldo durante la seconda parte del nostro soggiorno [è
stato] spaventoso e quando ci siamo affrettati a partire per Calcutta
abbiamo dovuto lasciare uno dei nostri ragazzi ad Allahabad con il
vaiolo. Prima di far vela per la Birmania sono tornato indietro per
vedere che venisse presa cura di lui … Mai dimenticherò quella corsa
di mille miglia in un caldo tremendo. Una calura che ti sopraffaceva,
che spazzava le pianure indiane, inaridendo tutto sotto il suo attacco
folle e selvaggio e scolorando con una folata le lenzuola e gli
asciugamani bagnati che i passeggeri stremati appendevano ai finestrini
delle carrozze per vincere la paura del caldo. Solo una settimana più
tardi due inglesi morirono e molti altri, giunti a destinazione,
dovettero essere trasportati sulla banchina.”
Questa quarto programma pordenonese di film della collezione
Corrick comprende un funerale, una laurea, un inseguimento e una
parata. Ci sono trucchi con la corda, slapstick, battaglie a palle di
neve, ed anche un nobile soldato, un’ex-spogliarellista e una banda di
turbolenti cowboy. Più auto magiche, borsette magiche, statue
magiche e fiori magici – oh, e una scimmia in giacca e pantaloni che
fuma la pipa. – LESLIE ANNE LEWIS
The story of the “Marvellous Corrick Family Entertainers” continues
to develop in both breadth and depth. One of the advantages of the
Corrick Collection is the amount of contextual material that survives
along with the films used by this turn-of-the-century company of
itinerant singers, dancers, and expert instrumentalists. Among the
items held at Australia’s National Film and Sound Archive and the
Queen Victoria Museum in Launceston, Tasmania, are rich
scrapbooks of press clippings and personal photographs, business
records, correspondence, and taped interviews with both Leonard
Corrick (the family’s “Biograph expert”) and his son John, family
historian and the collections’ donor.
Among the most illuminating of these records is the personal
correspondence from members of the Corrick family to friends at
home in New Zealand. Whether the writers are relating their
impressions of exotic landscapes or describing the sadness of parting
from visiting family members, these notes and letters help to bring
the Corricks to life, revealing intimate details of the lives of itinerant
performers and motion picture exhibitors at the turn of the 20th
century.
The following passages are taken from a 1908 letter written by an
unknown family member while the family was in the midst of the
world tour that took them throughout the South Pacific, Southeast
Asia, India, and parts of Europe. Sixteen pages long, this letter relates
details of the family’s time on the road, the hardships and the
opportunities, the exciting and the mundane.
On their reception: “Kuala Lumpar will ever remain a cherished
memory of ours, being there treated like members of the Royal
Family. The planters were delighted to see a ‘British’ show & evidently
we were found good in their sight for they entertained us right royally
for four days solid…”
On the sights: “Next came Singapore with perhaps the most
125
ORIGINI
EARLY CINEMA
Cinema delle origini / Early Cinema
cosmopolitan population East of London itself…And if the city is
cosmopolitan, the harbour is even more so. All day long, and all night
too for that matter, an endless stream of boats of all sorts & sizes &
nationalities are entering & leaving [the] harbour and all are on equal
foot. Sunsets in the Straits were sights never to be forgotten. I never
believed that sea and sky and sun could blend themselves into designs
and visions of such exquisite beauty, visions of which would challenge
the poets to describe or master artist to portray.”
On the dangerous: “About two weeks later we returned [to
Peshawar] in the thick of the Zakka Khel trouble and whilst the show
was in full progress in rushed an orderly of the Queens Own Fusiliers
with intelligence of a raid on the Railway Station. The large military
audience rose as one man and in a few minutes were in line ready for
action. We were sent to the hotel under escort & by daylight the
rebels were flying back through the Khyber Pass.”
And the exhausting: “The heat during the latter part of our stay [was]
dreadful, one of our boys had to be left in Allahabad with smallpox
when we hurried on to Calcutta. Before sailing for Burma I ran back
to fix up about his attention…Never will I forget that 1000 mile run
in the awful heat. Heat which overpowered one; which swept across
the Indian plains, scorching everything in its mad wild rush and
bleached with one gust the wet sheets & towels weary passengers
hung in the windows of the carriages to break the terrors of the heat.
Only a week later two Englishmen died and crowds of others had to
be carried on to the platform at their destination.”
This fourth installment of Corrick Collection films presented at the
Giornate includes a funeral, a graduation, a pursuit, and a parade.
There are rope tricks, slapstick, and snowball fights, along with a
noble soldier, a former stripper, and a band of rowdy cowboys. There
will be magic cars, magic handbags, magic statues, and magic flowers
– oh, and a monkey in a suit smoking a pipe. – LESLIE ANNE LEWIS
figure, delineate vagamente tra le quinte, si uniscono a lui cantando
con una pienezza e una ricchezza che preannuncia una grossa chicca;
poi, i cantanti si ritirano e il cinematografo proietta le fasi finali di una
qualche funzione di stato collegata con qualche raduno universitario
… Ed ecco apparire la figura imponente del Re d’Inghilterra: cammina
stando un po’ in avanti rispetto alla Regina (vestita di nero) e si tocca
l’elmetto in risposta al saluto degli astanti … La carrozza si allontana
tra profondi inchini e sembra quasi di sentire gli urrà. È il pubblico che
applaude.” (The Ceylon Independent, 3 ottobre 1907)
Questa è una delle svariate pellicole sui sovrani britannici presenti nel
repertorio originale dei Corrick Family Entertainers, benché oggi ne
sopravvivano solo due. La località esatta dell’evento ripreso è incerta,
ma tra le possibilità suggerite dai recensori vi erano le università di
Oxford e di Dundee. – LESLIE ANNE LEWIS
The Corrick Family Entertainers’ flair for showmanship is seen in
their use of this film to open their 1 October 1907 program in
Ceylon, tying together their musical act, the cinematograph and a
keen understanding of their audience, many of whom were British
subjects living far from home:
“The Corricks know how to advertise, and how to boom their own
show, and, what is always the practical test, how to justify the high
expectations which have been formed of them… The first of
‘Leonard’s Beautiful Pictures’ – for once the adjective is justified –
represents the King and Queen, and before their Majesties can make
their appearance the accompanist plays the National Anthem and
weird and eerie figures dimly outlined in the wings join in singing the
National Anthem with a fullness and richness which speaks of an
ample treat in store, and then as the singers retire the cinematograph
flashes the closing incidents of some state function connected with
some University gathering…presently the portly figure of England’s
King appears walking a little in advance of the Queen (dressed in
black) and touches his helmet in answer to the salutation of the
spectators…the carriage drives off amidst profound bowing and one
can almost hear the hurrahing. It is the audience applauding.” (The
Ceylon Independent, 3 October 1907)
This is one of several films of the British monarchs originally in the
Corrick Family Entertainers’ repertoire, although only two films now
survive. The exact location of the filmed event is uncertain, but
Oxford and Dundee Universities were possibilities suggested by
reviewers. – LESLIE ANNE LEWIS
Prog. 1 (c.70')
[KING EDWARD VII AND QUEEN ALEXANDRA LEAVE A
UNIVERSITY GRADUATION CEREMONY] (?, GB, c.1907)
Regia/dir: ?; 35mm, 121 ft., 2' (16 fps); fonte copia/print source:
National Film and Sound Archive, Australia (Corrick Collection #28).
Senza didascalie / No intertitles.
Il senso dello spettacolo dei Corrick Family Entertainers è attestato
dall’impiego di questa pellicola come apertura del programma
presentato il 1o ottobre 1907 a Ceylon: essa lega infatti il loro
numero musicale al cinematografo e rivela una notevole attenzione
verso il pubblico, composto da molti sudditi britannici che vivevano
lontano da casa: “I Corrick sanno come promuovere e lanciare il loro
spettacolo e, soprattutto, come giustificare le alte aspettative che essi
sempre suscitano … La prima delle ‘Leonard’s Beautiful Pictures’ –
per una volta l’aggettivo è giustificato – mostra il Re e la Regina, e
prima che le Loro Maestà possano fare la loro comparsa
l’accompagnatore suona l’inno nazionale, mentre strane e bizzarre
LE SINGE ADAM II (The Celebrated Ape Adam II) (Pathé, FR 1909)
Regia/dir: ?; 35mm, 301 ft., 5' (16 fps), col. (imbibito/tinted); fonte
copia/print source: National Film and Sound Archive, Australia
(Corrick Collection #17).
Didascalie in inglese / English intertitles.
La consuetudine di riprendere numeri di vaudeville, da circo e
stranezze varie, iniziata con i film delle origini è più viva che mai in
questo vivido esempio di “scimmia che vede, scimmia che fa”. Il
professor Dubois presenta al pubblico Adam II, una scimmia che, sia
126
PAUVRES VIEUX (Poor Old Couple) (Pathé, FR 1907)
Regia/dir: ?; 35mm, 372 ft., 6'12" (16 fps), col. (imbibito/tinted); fonte
copia/print source: National Film and Sound Archive, Australia
(Corrick Collection #81).
Didascalie in inglese / English intertitles.
Per procurarsi la medicina necessaria a salvare il marito morente,
un’anziana donna cerca invano del denaro in prestito. Prova allora a
guadagnarsi i soldi vendendo fiori nel parco, ma un “Giovane
sconsiderato” glieli sgraffigna e li getta nel lago. Disperata, si mette a
elemosinare pur di riuscire ad avere la medicina salvavita, ma è troppo
tardi: il marito muore proprio mentre lei arriva a casa, così la donna,
singhiozzante, rimane sola con il suo dolore. – LESLIE ANNE LEWIS
Hoping to get the medication needed to save her dying husband, an
old woman tries to borrow money, only to be turned away. She
attempts to earn the money by selling flowers in the park, but a
“Thoughtless Youth” snatches them and throws them in a lake.
Desperate, she turns to charity to get the life-saving medicine, but it’s
too late: her husband dies just as she arrives home and the sobbing
woman is left alone with her grief. – LESLIE ANNE LEWIS
127
ORIGINI
EARLY CINEMA
SPORTS AT SEA ON THE S.S. RUNIC (Corrick, AU 1909)
Regia/dir: Leonard Corrick; cast: The Corrick Family Entertainers,
passeggeri/passengers, equipaggio/crew of the S.S. Runic; 35mm, 739
ft., 11' (18 fps); fonte copia/print source: National Film and Sound
Archive, Australia (Corrick Collection #48).
Didascalie in inglese / English intertitles.
I Corrick girarono Sports at Sea con la loro macchina da presa Edison
a bordo del piroscafo Runic della White Star Line, durante il viaggio
di ritorno in Australia dopo una tournée internazionale. Nel film li
vediamo assieme ad altri passeggeri mentre si godono i diversi
intrattenimenti di bordo, compresi pseudo incontri di lotta libera,
boxe bendato e una parata in costume – “Il corteo di padre Nettuno”
– in cui i vari membri della famiglia si esibiscono suonando. Se il
soggiorno in Inghilterra aveva costituito una piccola pausa, le
settimane di viaggio sull’oceano furono per i Corrick il periodo più
lungo – da quando nel 1901 avevano iniziato ad andare in tournée –
senza spettacoli serali. Questo giro intorno al mondo era stato per
loro assai fruttuoso: Alice e Ruby si erano formati presso rinomati
insegnanti di musica parigini e ora potevano vantare un nuovo numero
comico, nuove attrezzature e tante pellicole, per di più avevano
acquisito visibilità internazionale e ricevuto recensioni entusiastiche.
Ed infatti gli annunci pubblicitari strombazzeranno il loro “trionfante
ritorno ai lidi d’Australia”. Dopo aver attraccato a Perth nel giugno del
1909, la famiglia si rimise quasi subito in viaggio, continuando con gli
spettacoli ambulanti per i successivi cinque anni.
Benché abbia evidentemente fatto parte di qualche programma dei
Corrick, Sports at Sea non ebbe mai la stessa promozione degli altri
film. È un ritratto informale della famiglia colta in un momento di
relax, circostanza relativamente rara nella vita di questi sempre
indaffaratissimi professionisti. – LESLIE ANNE LEWIS
Using their Edison camera, the Corricks filmed Sports at Sea during
their return trip to Australia on the White Star Line’s S.S. Runic
following their international tour. The film features the family and
other passengers enjoying various on-board entertainments, including
staged wrestling matches, blind boxing, and a costume parade –
“Father Neptune’s Pageant” – which shows the family playing their
musical instruments. While their time in England provided a bit of a
break, the multiple-week ocean voyage was the longest period of
time since they began touring in 1901 that the family did not give
nightly performances, although likely as not they played for the
Runic’s other passengers at some point in the trip. The Corricks
achieved much on their world tour: Alice and Ruby received
specialized training from renowned music teachers in Paris, and they
picked up a new comedic act, new equipment, and a large number of
motion pictures, all the while gaining international exposure and
garnering rave reviews. Mention of these accomplishments was
quickly incorporated into advertisements trumpeting their
“Triumphant Return to Australian Shores.” After landing in Perth,
Western Australia, in June 1909 the family began touring again almost
immediately, and would continue to do so for the next five years.
per il nome che per le azioni, invita a riflettere su quanto gli umani
siano vicini ai loro antenati dal punto di vista evolutivo. Alternando
l’imitazione allo scherno del suo addestratore, Adam II dà
educatamente la mano e scimmiotta l’uso di attrezzi da umani, ruba e
fuma la pipa del professore. Questa attrazione per gli antenati
darwiniani dell’uomo si rivelò un popolare soggetto cinematografico,
cosa non sorprendente in un periodo in cui trovare l’“anello
mancante” tra le specie era diventato il nuovo Santo Graal della
Scienza. Per esempio, nel 1905 la Pathé produsse Le Singe “August”,
mentre quattro anni più tardi la Great Northern realizzò diverse
pubblicità a tutta pagina su Moving Picture World con uno scimpanzé
in giacca e pantaloni, cappello, catena da orologio e scarpe da
cerimonia, per promuovere il film The Human Ape, Or Darwin’s
Triumph (1909). – LESLIE ANNE LEWIS
The tradition of filming vaudeville, circus, and curiosity acts that began
with the very earliest films is alive and well in this graphic example of
“monkey see – monkey do”. Professor Dubois introduces the viewing
audience to Adam II, an ape who in both name and action invites
speculation as to just how closely humans and their evolutionary
ancestors are related. Adam II alternately imitates and taunts his
trainer, from politely shaking hands and mimicking the use of human
implements to stealing and smoking the professor’s pipe. This
fascination with man’s Darwinian ancestors proved a popular film
subject, not surprising in a period when finding the “missing link”
between the species had become Science’s new Holy Grail. For
example, in 1905 Pathé released Le Singe “August”, while four years
later, Great Northern ran several full-page ads in Moving Picture
World featuring a chimpanzee wearing a suit, hat, watch-chain, and
dress shoes to promote their film The Human Ape, Or Darwin’s
Triumph (1909). – LESLIE ANNE LEWIS
Although the film was evidently shown as part of some Corrick
programs, Sports at Sea never received the same level of promotion
as their other films. This more casual depiction of the family offers a
closer glimpse of the Corricks at play – a relatively rare occurrence
in the hard-working life of this family of professional entertainers.
LESLIE ANNE LEWIS
Questa serie di tableaux basata sulla vita di Luigi XIV di Francia
comprende “Il duello dei moschettieri”, “L’accampamento nelle
Fiandre”, “La sparizione della La Vallière”, “Luigi XIV e la maschera di
ferro”, “Intrattenimento a corte” e “Festa notturna a Versailles”, che
presenta scorci delle grandi fontane del palazzo. Come per altri film
di questo periodo, storici o ispirati alla letteratura (ad esempio MarieAntoinette, 1903, e Guillaume Tell, 1903), Le Règne si affida alla
conoscenza che gli spettatori avevano di vicende ben note per
spiegare i salti tra gli episodi (o presuppone la presenza di un
narratore), mentre l’organizzazione teatrale delle scene e le
inquadrature a figura intera hanno ancora molto in comune con le
tradizionali esibizioni in teatro.
Per sottolineare che alcune riprese erano state veramente effettuate
a Versailles, la Pathé fece uscire il film con una didascalia (non
presente nella copia Corrick) che descriveva le difficoltà incontrate
nell’ottenere l’accesso ai luoghi, in particolare nel convincere i
custodi del Palazzo a far funzionare le famose fontane appositamente
per la macchina da presa. I realizzatori hanno sfruttato al meglio
questa opportunità, girando un altro film incentrato sulle fontane ed
i giardini del palazzo, Les Grandes Eaux de Versailles (1904;
collezione Corrick #43, presentato alle Giornate del Cinema Muto
del 2008).
Rispetto alla sensazionale policromia applicata a mano di Les
Grandes Eaux de Versailles, le vedute delle fontane in Le Règne de
Louis XIV sono colorate in modo più tradizionale, con un solo colore
per volta. – LESLIE ANNE LEWIS
This series of tableaux-style vignettes taken from the much-storied
life of France’s Louis XIV includes “Musketeers Fight”, “The Camp at
Flanders”, “La Vallière’s Elopement”, “Louis XIV and the Iron Mask”,
“Entertainment of the Court”, and “Night Festival in Versailles”,
which features views of the palace’s Grand Fountains. As with other
historical and literature-based films in this period (such as MarieAntoinette,1903, and Guillaume Tell,1903), the film relies on viewers’
knowledge of well-known stories to make sense of the leaps between
episodes (or assumes a narrator will be present), and the stage-like
scene arrangement and single-shot structure still has much in
common with traditional live theatre performances.
In order to highlight the fact that some of the filming actually took
place at Versailles, Pathé released this film with an onscreen credit
(not present in the Corrick print) describing the difficulties of gaining
access to the sites, and in particular getting the Palace’s caretakers to
run the famous fountains especially for their filming. The filmmakers
took best advantage of this opportunity, producing another film
focused on the fountains and palace grounds, Les Grandes Eaux de
Versailles (1904; Corrick Collection #43, shown at the 2008
Pordenone Festival).
In contrast to the dramatic multi-hued hand-coloring of Les Grandes
Eaux de Versailles, views of the fountains in Le Règne de Louis XIV
are tinted more traditionally, a single color at a time.
LESLIE ANNE LEWIS
COME CRETINETTI PAGA I DEBITI (How Foolshead Pays His
Debts) (Itala Film, IT 1909)
Regia/dir: André Deed; cast: André Deed; 35mm, 380 ft., 6'20" (16
fps), col. (imbibito/tinted); fonte copia/print source: National Film and
Sound Archive, Australia (Corrick Collection #52).
Senza didascalie / No intertitles.
Come fa Cretinetti a pagare i suoi debiti? Non lo fa – decide invece di
sfuggire ai creditori usando un po’ di magia cinematografica. Il biancovestito e spettrale André Deed appare e scompare allegramente
attraverso una serie di doppie esposizioni e strategici fermo-macchina,
mentre la ripresa accelerata è usata per creare una divertente sequenza
in cui lui porta (o, più esattamente, trascina) in giro per la città i suoi
inseguitori. L’ultima inquadratura è un mezzo primo piano collocato
davanti ad un semplice sfondo nero, in cui due vittime tentano senza
successo di prendere a pugni un semi-trasparente Cretinetti, che,
semplicemente, sorride e soffia loro fumo in faccia. Collocata com’è
dopo la conclusione della narrazione, questa esibizione finale sembra
avere la funzione di ricavare il massimo dai divertenti effetti creati dalla
doppia esposizione della macchina da presa. Questo è il secondo dei
due film con Cretinetti presenti nella collezione Corrick, l’altro è
Cretinetti lottatore (1909). – LESLIE ANNE LEWIS
How does Cretinetti (or here, Foolshead) pay his debts? He doesn’t
– instead opting to evade his creditors by using a bit of cinematic
magic. The white-suited André Deed is ghost-like, gleefully appearing
and disappearing through a series of double exposures and strategic
camera stoppages, while fast-motion photography is used to create an
amusing sequence as he leads (or more accurately, drags) his pursuers
around the city. The final shot is a medium close-up set in front of a
plain black background as two victims fruitlessly try to punch a semitransparent Cretinetti, who simply smiles and blows smoke in their
faces. As it is set after the narrative’s conclusion, this final display is
apparently there to make the most of the amusing effects created by
the double-exposure camera trick. This is the second of two
Cretinetti films in the Corrick Collection, the other being Cretinetti
lottatore (1909). – LESLIE ANNE LEWIS
LE RÈGNE DE LOUIS XIV (Reign of Louis XIV) (Pathé, FR 1904)
Regia/dir: V. Lorant Heilbronn; cast: Vincent Denizot (Louis XIV),
Gabriel Moreau (Il prigioniero/the prisoner), Camille Bardou
(Cardinal Mazarin); 35mm, 796 ft., 13'16" (16 fps), col.
(imbibito/tinted); fonte copia/print source: National Film and Sound
Archive, Australia (Corrick Collection #94).
Didascalie in inglese / English intertitles.
128
FANTASIAS ARABES (Arabs’ Fantasia) (Pathé, FR 1902)
Regia/dir: ?; 35mm, 123 ft., 2' (16 fps), col. (imbibito/tinted); fonte
copia/print source: National Film and Sound Archive, Australia
(Corrick Collection #123).
Didascalie in inglese / English intertitles.
Nelle inserzioni pubblicitarie dei Corrick, Fantasias arabes, abbinato a
Du Caire aux pyramides (1905), risulta far parte del loro programma
principale, “Viaggio intorno al mondo”. In queste inserzioni, i film non
sono elencati per titolo ma semplicemente come una serie di vedute,
descritte con parole tratte dalle didascalie di pellicole più lunghe. Ad
esempio, uno dei programmi pubblicizzati comprendeva, tra gli altri,
“Gondola a Venezia”, “Roma antica e moderna”, “Il Vesuvio vicino a
Napoli” (tutti da Excursion en Italie, Pathé, 1904), “Il municipio e
l’area circostante”, “Nob Hill e resti di residenze milionarie” (dalla
serie Edison sul terremoto a San Francisco, 1906), “La Sfinge”, “Le
Piramidi”, “Sul Nilo” (da Du Caire aux pyramides) più “Fantasia
d’arabi”, il tutto messo assieme per far conoscere il mondo agli
spettatori senza che debbano allontanarsi da casa. L’azione in
Fantasias arabes è incentrata su una parata di uomini a cavallo che
scendono lungo una strada verso la macchina da presa.
LESLIE ANNE LEWIS
DU CAIRE AUX PYRAMIDES (From Cairo to the Pyramids) (Pathé,
FR 1905)
Regia/dir: ?; 35mm, 357 ft., 6' (16 fps), col. (imbibito/tinted); fonte
129
ORIGINI
EARLY CINEMA
copia/print source: National Film and Sound Archive, Australia
(Corrick Collection #123).
Didascalie in inglese / English intertitles.
Laddove La Vie indigène au Soudan égyptien del 1908 (collezione
Corrick n. 75, presentato alle Giornate 2008) si concentrava sulle vite
spesso invisibili dei nativi egiziani, Du Caire aux pyramides presenta le
tradizionali località dell’itinerario d’obbligo di ogni turista occidentale
che partecipava ai tour della Cook o si affidava alle guide Baedeker.
Questo proto-racconto di viaggio tramanda la concezione
ottocentesca dell’Egitto come un parco a tema per turisti ai cui occhi
la popolazione locale è ridotta a svolgere solo un ruolo di contorno.
Le attrazioni da vedere includono il ponte di Kassir-el-Nil, la Sfinge, le
Piramidi, a cui ci si avvicina in treno, e il Nilo. Benché la Pathé li avesse
fatti uscire separatamente, i Corrick proiettarono Du Caire e il
successivo titolo in programma, Fantasias arabes (1902), come un
unico film. – LESLIE ANNE LEWIS
While Pathé’s La Vie indigène au Soudan égyptien (1908) (Corrick
Collection #75, screened in 2008) focused on the often invisible lives
of the native Egyptians, Du Caire aux pyramides showcases the
traditional views on the checklists of every Western tourist who trod
the Cook’s Tours and Baedeker guidebook trails. This prototravelogue perpetuates the 19th-century view of Egypt as a theme
park for Western tourists, the local people playing only a supporting
role in the Westerners’ experience of this ancient land. Views include
the bridge of Kassir-el-Nil, the Sphinx, the Pyramids approached by
train, and the Nile. Though released by Pathé as two separate films,
the Corricks screened this title and Fantasias arabes (1902; see
below) as one film. – LESLIE ANNE LEWIS
THE ARRESTED TRICAR (GB?, c.1905)
Regia/dir: ?; 35mm, 399 ft., 6'39" (16 fps), col. (imbibito/tinted); fonte
copia/print source: National Film and Sound Archive, Australia
(Corrick Collection #14).
Senza didascalie / No intertitles.
Nell’agosto 1904 la rivista per appassionati di motori The Motor
dichiarò: “L’automobile a tre ruote ha raggiunto un tale livello di
affidabilità ed efficienza da costituire un ideale compromesso per
l’uomo di mezzi limitati che non può permettersi un’auto eppure
desidera qualcosa di più di una motocicletta. Come veicolo da
turismo è una vettura deliziosa, ed è stato dimostrato più volte che
riesce a sopportare gli sforzi intensi e prolungati.”
Nonostante il convinto entusiasmo per l’auto a tre ruote, è
improbabile che quelli di The Motor abbiano mai immaginato gli
estremi a cui i produttori di The Arrested Tricar avrebbero spinto le
capacità del veicolo in questo delizioso film a trucchi realizzato da un
produttore britannico o americano ancora non identificato e in cui gli
effetti speciali servono a far sì che dopo un incidente un’auto a tre
ruote si autoripari e vada a recuperare i proprietari rimasti incastrati.
La prima proiezione dei Corrick di cui si ha menzione fu nel luglio
1909, poco dopo il loro ritorno in Australia dal tour internazionale, il
che suggerirebbe che si fossero procurati la pellicola a Londra.
L’argomento del film indica che fu probabilmente prodotto dopo il
1903, l’anno in cui l’auto a tre ruote iniziò a crescere in popolarità,
divenendo così un bersaglio pronto per il cinema. – LESLIE ANNE LEWIS
In August 1904 motoring enthusiasts’ magazine The Motor declared:
“The tri-car has reached such a very high state of reliability and allround efficiency that to the man of limited means who cannot afford
a car and yet desires something beyond a motor-bicycle, it forms an
ideal compromise. As a touring vehicle it is a delightful conveyance,
and that it can stand the racket of severe and continuous strain has
been demonstrated again and again, both by private users and in
competitions.”
While definitely enthusiastic about the tri-car, it’s unlikely that those
at The Motor ever envisioned the extremes to which The Arrested
Tricar’s producers would push the vehicle’s abilities in this charming
trick film. In this film by an as yet unidentified British or American
producer, special effects are used to make a tri-car – a three-wheeled
motorized vehicle – repair itself after a wreck and journey to retrieve
its incarcerated owners.
The Corricks’ first reported screening of the film was in June 1909,
soon after they returned to Australia from their international tour,
suggesting they acquired it while in London. The film’s subject
suggests it was likely produced after 1903, the year the tri-car began
to gain in popularity, thus making it a ripe target for such cinematic
treatment. – LESLIE ANNE LEWIS
Corrick advertisements list this film being shown with Du Caire aux
pyramides (1905) as part of their staple “Trip Round the World”
program. In these ads the films are listed simply as a series of sights
rather than by release title, using descriptions taken straight from the
intertitles of the larger films. For example, one of the programs
detailed in their advertisements included (among others) “Gondola in
Venice”, “Modern and Ancient Rome”, “Vesuvius near Naples” (all
from Excursion en Italie, Pathé, 1904), “City Hall and Surroundings”,
“Nob Hill and Ruins of Millionaire Residences” (from Edison’s 1906
San Francisco earthquake series), “The Sphinx”, “The Pyramids”, “On
The Nile” (from Du Caire aux pyramides), and “Arabs’ Fantasia”,
together working to create a “round the world” viewing experience
for audience members right in their own backyard. The action in
Fantasias arabes centers on a parade of men on horseback moving
down a street towards the camera. – LESLIE ANNE LEWIS
Catalogue highlighted the practical nature of the color effect,
claiming, “the blue mono-tinting throughout the entire picture
completely obscures all defects due to wear ordinarily so prominent
in snow pictures, and greatly increases the life and value of the film.”
This, along with the novelty and beauty of the images, ensures that,
“This is a picture that will last and stand the test of time.” (Edison
Catalogue #6241) – LESLIE ANNE LEWIS
LE SCULPTEUR EXPRESS (Pathé, FR 1907)
Regia/dir: ?; cast: Les Yost; 35mm, 298 ft., 5' (16 fps); fonte copia/print
source: National Film and Sound Archive, Australia (Corrick
Collection #51).
Senza didascalie / No intertitles.
Dopo aver visto questo film durante uno spettacolo dei Corrick, un
critico rimase tanto colpito da descriverlo dettagliatamente in una
recensione apparsa nel 1910 circa su un quotidiano non identificato
della Tasmania: “Una delle esibizioni più splendide è stata quella che
mostrava uno ‘scultore lampo’ all’opera. L’artista prende un blocco
d’argilla, ci passa rapidamente sopra le mani due o tre volte e appare
la testa di un uomo, completa di tutti i lineamenti. Altre due o tre
rapide passate, e la faccia si trasforma in un’altra, completamente
diversa dalla prima, e così via; l’intera figura è ottenuta con tale
sorprendente velocità e destrezza che è impossibile seguire i
movimenti delle mani dell’autore. I pittori lampo sono comuni, ma
questa forma d’arte sembra adesso muoversi in una nuova direzione,
che di certo eclisserà ogni precedente esibizione di questo tipo.”
In questa copia, si intravede all’inizio un’insegna luccicante che
identifica il numero come quello di “Les Yost”. Yost era uno scultore
parigino che si era fatto un nome sulla scena della capitale creando
sculture con l’argilla colorata e si era poi esibito per anni negli altri
paesi europei e in Nordamerica. Lo accompagnava un’assistente in un
numero che è stato descritto come “originale, divertente e
sorprendente” (Deseret News, Salt Lake City, Utah, 30 settembre
1913), ma che dal vivo non era probabilmente così “magico” come
quando il duo poteva valorizzarlo avvalendosi degli effetti resi possibili
dalla tecnologia cinematografica. – LESLIE ANNE LEWIS
One Corrick critic appears to have been quite taken with Le
Sculpteur express, describing the film in detail in his postperformance review: “One of the most marvelous exhibitions was
the reproduction of a ‘lightning sculptor’ at work. The artist takes a
lump of clay, passes his hands over it rapidly two or three times, and
the head of a man, complete in all its features is presented. Two or
three more rapid passes, and the face is transformed into one entirely
distinct from the first, and so on, the whole being achieved with such
astonishing speed and dexterity that it is impossible to follow the
movements of the operator’s hands. Lightning picture painters are
common, but this seems to be a new departure to this line of art, and
it certainly eclipses all former performances of the kind.” (Unknown
newspaper, Tasmania, Australia, c.1910)
Glimpsed at the beginning of this print is a spangled sign identifying
A WINTER STRAW RIDE (Edison, US 1906)
Regia/dir: Wallace McCutcheon, Edwin S. Porter; f./ph: Edwin S.
Porter; 35mm, 409 ft., 6'49" (16 fps), col. (imbibito/tinted); fonte
copia/print source: National Film and Sound Archive, Australia
(Corrick Collection #132).
Senza didascalie / No intertitles.
Questa variante di tema invernale dell’Edison del 1905, Down on the
Farm (incluso fra i film Corrick proposti alle Giornate 2009), si apre
con inquadrature panoramiche innevate e un gruppo di donne
all’inizio di una movimentata corsa in bob. Nel tipico stile dei film a
inseguimento, due dozzine di donne rincorrono un gruppetto di
uomini attraverso il paesaggio invernale, oltre una staccionata, giù per
un’altura innevata, e così via. Ogni volta che ne prendono uno, lo
seppelliscono sotto un cumulo di neve e gliela sfregano sulla faccia
finché quello non “implora misericordia”, come recita il catalogo
Edison. Oltre ai “begli effetti del chiaro di luna sulla neve creati grazie
alla monocolorazione [imbibizione blu]”, il catalogo Edison
evidenziava la natura pratica dell’imbibizione, affermando che “per
tutto il film la monocolorazione blu oscura completamente tutti i
difetti dovuti al deterioramento della copia – di solito particolarmente
evidenti nelle pellicole ambientate sulla neve – e aumenta di molto la
durata e il valore del film”. Ciò, unito all’originalità e alla bellezza delle
immagini, garantisce che questo “film durerà a lungo, superando la
prova del tempo” (Catalogo Edison, n. 6241). – LESLIE ANNE LEWIS
This winter-themed variation on Edison’s Down on the Farm (1905;
screened as part of the 2009 Corrick program) begins with snowy
scenic shots as a group of women set off on what will prove to be an
eventful bobsleigh ride. In typical chase-film fashion, the two dozen
women pursue a handful of men through the winter landscape, over
a fence, down a snow bank, etc. Each time they catch one he is buried
in a drift and has snow rubbed in his face until, as the Edison catalogue
describes, “he cries for mercy”.
In addition to creating “the beautiful moonlight snow effects
produced by appropriate mono-tinting [blue toning]”, the Edison
130
comportava girare sospeso alla fiancata di una nave che attraversava
lo Stretto di Cook per catturare le immagini di un famoso delfino e
noleggiare un’imbarcazione per arrivare il più vicino possibile ad un
vulcano in eruzione. Negli anni ’10 e ’20 divenne regista di
lungometraggi in Australia per poi passare a gestire una serie di teatri
del Paese, compreso il famoso Capital Theatre di Canberra.
LESLIE ANNE LEWIS
Though they spent most of their careers in Australia, the Corricks
were New Zealanders, the children having been born and raised in
Christchurch before heading out on the road in 1901. When New
Zealand’s longest-serving prime minister, Richard John Seddon,
suddenly took ill and died during his voyage home from a diplomatic
trip to Australia, the country went into mourning. A national hero,
Seddon had presided over New Zealand’s decision not to join the
Australian Federation in 1901, was responsible for the institution of
old-age pensions, and was a champion of miners and the native Maori
people. Thousands lined the streets of Wellington for his funeral
cortège on 21 June 1906. Led by a brass band playing a specially
composed funeral march, the horse-drawn carriage was followed by
Seddon’s family, along with various dignitaries and government
officials, as it made its way through the capital to St. Paul’s Cathedral.
A sense of the occasion was communicated in the film of the
procession, screened by the Corricks not long after the event: “The
[biograph picture] of the late Premier of New Zealand’s funeral was
particularly good. What an impressive affair it must have been. The
New Zealand legislators looked quite a smart contingent all in their
high hats and frock coats. The Premier’s three sons, walking bareheaded behind the coffin, contributed a pathetic touch to the
picture.” (The Critic, Adelaide, 8 August 1906)
This film appears to have been shot by Franklyn Barrett, a British
cameraman, film exhibitor, and violinist who had moved to New
Zealand 10 years earlier. Barrett began making his own movies in
1901 (including a fake boxing match and a science-fiction story) and
by 1903 was taking scenic films of New Zealand for Charles Urban’s
company. In 1908 he joined Pathé’s New Zealand offices and
continued to film New Zealand scenics, becoming known as a daring
cameraman willing to take physical risks to get the best shot. This
included filming while suspended off the side of a ship crossing the
Cook Strait in order to capture images of a famous dolphin and
chartering a boat to take him as close as possible to an erupting
volcano. In the 1910s and 1920s he became a feature film director in
Australia and eventually managed a series of theatres there, including
Canberra’s famous Capital Theatre. – LESLIE ANNE LEWIS
Prog. 2 (c.73')
FUNERAL PROCESSION OF NEW ZEALAND PREMIER R.J.
SEDDON (?, NZ 1906)
Regia/dir: ?; f./ph: Franklyn Barrett; 35mm, 289 ft., 4'49" (16 fps); fonte
copia/print source: National Film and Sound Archive, Australia
(Corrick Collection #47).
Senza didascalie / No intertitles.
Benché avessero trascorso gran parte della loro attività professionale
in Australia, i Corrick erano neozelandesi ed avevano avuto e
cresciuto i loro figli a Christchurch prima di partire per la tournée del
1901. Quando, dopo un viaggio diplomatico in Australia, Richard John
Seddon, il primo ministro neozelandese rimasto più a lungo in carica,
si ammalò improvvisamente e morì durante il rientro in patria, il paese
piombò nel lutto. Eroe nazionale, nel 1901 Seddon aveva sostenuto la
scelta della Nuova Zelanda di non aderire alla Federazione australiana,
aveva voluto l’istituzione delle pensioni di vecchiaia ed era il paladino
dei minatori e della popolazione indigena dei Maori. Il 21 giugno 1906
migliaia di persone si assieparono lungo le strade di Wellington
percorse dal corteo funebre. Scortata da una banda di ottoni che
suonava una marcia appositamente composta, la carrozza a cavalli,
seguita dalla famiglia di Seddon, insieme con vari dignitari e funzionari
governativi, si aprì la strada attraverso la capitale fino alla cattedrale di
St. Paul. Il film realizzato allora e proiettato non molto tempo dopo
dai Corrick rendeva bene il senso dell’occasione: “Le riprese dei
funerali del defunto premier neozelandese sono risultate
particolarmente efficaci. Che cerimonia imponente dev’essere stata. I
legislatori neozelandesi erano tutti così eleganti con i loro cappelli a
cilindro e le redingote. I tre figli del premier, a piedi e a capo scoperto
dietro la bara, conferivano un tocco patetico alla pellicola” (The
Critic, Adelaide, 8 agosto 1906).
Sembra che questo “Corteo funebre” sia stato girato da Franklyn
Barrett, un operatore britannico, esercente e violinista che si era
trasferito in Nuova Zelanda dieci anni prima. Barrett aveva iniziato a
realizzare film in proprio nel 1901 (compresi un falso incontro di
pugilato e una storia di fantascienza); nel 1903 riprendeva in Nuova
Zelanda vedute per la società di Charles Urban. Nel 1908 passò agli
uffici neozelandesi della Pathé e continuò a riprendere scene
pittoresche, diventando famoso come operatore temerario disposto
a correre rischi pur di ottenere l’inquadratura migliore. Questo
BICYCLETTE PRÉSENTÉE EN LIBERTÉ (Riderless Bicycle) (Pathé,
FR 1906)
Regia/dir: Gaston Velle; 35mm, 188 ft., 3' (16 fps), col.
(imbibito/tinted); fonte copia/print source: National Film and Sound
Archive, Australia (Corrick Collection #91).
Senza didascalie / No intertitles.
131
ORIGINI
EARLY CINEMA
the act as “Les Yost.” Yost was a Parisian sculptor who made a name
for himself on the Parisian stage creating sculptures out of colored
clay before spending years touring Europe and North America. Joined
by his female assistant in an act described as “novel, amusing and
surprising” (Deseret News, Salt Lake City, Utah, 30 September 1913),
in person the performance was probably not as “magical” as when the
pair could take advantage of effects made possible through motion
picture technology to enhance their unusual vaudeville stage act.
LESLIE ANNE LEWIS
copia/print source: National Film and Sound Archive, Australia
(Corrick Collection #6).
Senza didascalie / No intertitles.
Questo dinamico film d’attualità documenta la caccia al cinghiale, dal
primo richiamo del corno alla distribuzione delle spoglie. I cacciatori
si radunano, poi partono a cavallo dall’accampamento, passando oltre
la macchina da presa circondati dai cani latranti, ansiosi di dar inizio
alla caccia.
L’azione si sposta sulla loro preda, con un primo piano dello
sfortunato cinghiale che razzola nella foresta prima che arrivino i cani
e abbia inizio la scaramuccia. Un campo lungo da sopra il sentiero
segue l’arrivo dei cacciatori sulla scena, dove alla fine uno di loro
interviene per finire la lotta. Tutto ciò che resta è ritornare
all’accampamento e festeggiare il buon esito di una giornata di caccia,
dando a uno degli uomini l’onore di ricevere la zampa destra del
cinghiale. – LESLIE ANNE LEWIS
This dynamic actuality film documents the hunting of a boar from the
first bugle call to the distribution of the spoils. The hunters
congregate, then depart their camp on horseback, streaming past the
camera surrounded by baying dogs eager to begin the chase. The
action cuts to their prey, with a close-up of the ill-fated boar
rummaging in the forest before the dogs arrive and the skirmish
begins. A long shot from above the path tracks the hunters’ arrival on
the scene, where eventually one steps in to end the fight. All that’s
left is to return to camp and celebrate a successful day of hunting,
presenting one man with the honor of receiving the boar’s right foot.
LESLIE ANNE LEWIS
Il maestro degli effetti speciali e della fantasy Pathé, Gaston Velle, è la
forza creatrice di questo piccolo film su una bicicletta animata, con
una sua testa. A differenza delle sontuose fantasie policrome tipo La
Peine du talion (1906), La Poule aux œufs d’or (1905), Les Fleurs
animées (1906) e Les Invisibles (1906), che Velle realizzò più o meno
nello stesso periodo, questa pellicola in bianco e nero si concentra
sull’esplorazione delle possibilità offerte dal soggetto, una vivace bici
che balza e saltella apparentemente da sola, con gran divertimento dei
due spettatori sullo schermo. – LESLIE ANNE LEWIS
Pathé’s fantasy and special effects master Gaston Velle is the force
behind this little film about an animated bicycle with a mind of its
own. Unlike the lavish, full-color fantasies such as La Peine du talion
(1906), La Poule aux œufs d’or (1905), Les Fleurs animées (1906), and
Les Invisibles (1906) which Velle made around the same time, this
black-and-white film focuses on exploring the possibilities of a single
premise, a lively bicycle that leaps and prances seemingly on its own,
much to the amusement of the two on-screen spectators.
LESLIE ANNE LEWIS
THE WAIF AND THE STATUE (Charles Urban Trading Co., GB
1907)
Regia/dir: Walter R. Booth; 35mm, 226 ft., 3'46" (16 fps), col.
(imbibito/tinted); fonte copia/print source: National Film and Sound
Archive, Australia (Corrick Collection #130).
Senza didascalie / No intertitles.
Benché sia forse più noto per gli effetti speciali e l’animazione, in
questo film Walter R. Booth limitò l’uso di tali tecniche, anteponendo
ai suoi tipici trucchi cinematografici lo sviluppo narrativo, con la statua
della Speranza che prende vita per trovar casa a un povero trovatello.
La collaborazione di Booth con Charles Urban diede vita a un certo
numero di pellicole note sia per le tecniche innovative che per la
reazione positiva del pubblico, compresi gli spettatori degli spettacoli
dati dai Corrick. The Waif and the Statue è decisamente diverso dagli
altri Urban acquistati dalla famiglia nello stesso periodo, in particolare
dalla serie di film navali girati quell’anno a Portsmouth e dalla comicità
fisica di The Short-Sighted Cyclist (1907). – LESLIE ANNE LEWIS
Though perhaps best known for his special effects and animation,
Walter R. Booth limited his use of such techniques in this film, instead
foregrounding the narrative over his trademark cinematic tricks as a
statue of Hope comes to life to find a home for a poor waif. Booth’s
collaboration with Charles Urban produced a number of films famous
both for their innovative techniques and the positive reaction of
audiences, the Corricks’ patrons included. The Waif and the Statue is
a striking contrast to the other films acquired by the family from
Urban’s company at the same time, namely the series of naval films
shot that year in Portsmouth and the broad physical comedy of The
Short-Sighted Cyclist (1907). – LESLIE ANNE LEWIS
DON QUICHOTTE (Don Quixote) (Pathé, FR 1904)
Regia/dir: Lucien Nonguet, Ferdinand Zecca; scg./des: V. Lorant
Heilbronn; 35mm, 802 ft., 13'22" (16 fps), col. (imbibito/tinted); fonte
copia/print source: National Film and Sound Archive, Australia
(Corrick Collection #26).
Didascalie in inglese / English intertitles.
Le più famose avventure di Don Chisciotte sono qui raccontate come
singole storie: questa struttura a episodi è sottolineata, di volta in
volta, da un’inquadratura che mostra un uomo mentre racconta a un
altro una storia. I trucchi ottenibili con la macchina da presa vengono
utilizzati per aumentare l’umorismo di scene come “Lotta contro gli
otri di vino”, la battaglia dell’eroe con i mulini a vento e il dramma dei
“Nemici immaginari”.
È questa la riedizione Pathé del 1904 del film Pathé del 1903
Aventures de Don Quichotte, ora ridotto di quasi 200 metri (da oltre
24 minuti alla più agevole durata di 14 minuti), stampato in bianco e
nero piuttosto che a colori (benché vi siano ancora le tipiche
didascalie rosse della Pathé) e senza quattro dei 15 segmenti originali.
Nella copia dei Corrick è anche notevole il cartello del titolo,
illustrato con i ritratti di Don Chisciotte e del suo compagno Sancho:
un “extra” disponibile su richiesta, come pubblicizzava il catalogo
Pathé. – LESLIE ANNE LEWIS
CHASSE AU SANGLIER (Boar Hunting) (Pathé, FR 1904)
Regia/dir: ?; 35mm, 308 ft., 5' (16 fps), col. (imbibito/tinted); fonte
132
The most famous of Don Quixote’s adventures are told here as a
series of individual stories, the film’s episodic structure highlighted as
each vignette is introduced by a shot of one man telling another a
story. Camera tricks are used to heighten the humor of scenes like
“Fight against Leather Wine Bottles”, the hero’s battle with the
windmills, and the drama of “Imaginary Enemies”.
This is Pathé’s 1904 re-release of their 1903 film Aventures de Don
Quichotte, now reduced by almost 200 metres (from over 24
minutes(!) down to a more manageable 14 minutes), printed in black
and white rather than full color (though still with the typical red Pathé
intertitles), and without four of the original 15 segments. The Corrick
print also includes a striking illustrated head title featuring portraits
of Don Quixote and his sidekick Sancho below the film’s title, a
feature which the Pathé Catalogue advertised was available upon
special request. – LESLIE ANNE LEWIS
LE DÎNER DU 9 (The Dinner of January 9th) (Pathé, FR 1909)
Regia/dir: ?; scen: Adrien Vély; cast: Charles Prince [“Mr. Prince of the
Variétés Theatre”], Paul Landrin [“Mr. Landrin of the Nouveautés
Theatre”], Albens [“Mr. Albens of the Gaieté Rochechouart”], Louise
Willy [“Miss Louise Willy of the Capucines Theatre”]; 35mm, 649 ft.,
10'49" (16 fps), col. (imbibito/tinted); fonte copia/print source:
National Film and Sound Archive, Australia (Corrick Collection #25).
Didascalie in inglese / English intertitles.
Una divertente storia su un appuntamento per cena dimenticato,
una coppia di amici un tantino crudeli e le sfortunate conseguenze
per un uomo benintenzionato costretto a mangiare tre pasti in una
sola sera. Adrien Vély, l’autore della storia, e gli attori sono citati nei
titoli di testa del film, identificati non solo per nome ma anche per
compagnia teatrale. Tra gli interpreti c’è Louise Willy, la donna cui
viene attribuito il primo spogliarello davanti alla macchina da presa,
in Le Coucher de la mariée (1896), qui in un ruolo molto più
tranquillo. Le Dîner du 9 è il secondo film attribuito a Paul Landrin,
che avrebbe poi continuato a dirigere e/o recitare in più di 50 film
per la Pathé nei successivi 7 anni. Questa è anche una delle prime
apparizioni per Charles Prince, che alle Giornate di quest’anno
compare anche nella serie di commedie francesi degli esordi.
LESLIE ANNE LEWIS
An amusing story of a forgotten dinner date, a pair of slightly cruel
friends, and the unfortunate consequences for one well-meaning man
forced to eat three meals in a single evening. Adrien Vély, the story’s
author, and the actors are credited in a title at the head of the film,
identified not only by name but also their theatre company. Among
the performers are Louise Willy, the woman credited with the first
on-camera striptease in Le Coucher de la mariée (1896), here in a
much more sedate role. Le Dîner du 9 is Paul Landrin’s second
credited film; he would go on to direct and/or act in more than 50
films for Pathé over the next 7 years. This is also an early appearance
for Charles Prince, who is also featured in the early French comedy
series at this year’s Giornate. – LESLIE ANNE LEWIS
[TRAVEL SCENES] (Charles Urban Trading Co., GB, c.1905)
Regia/dir: ?; 35mm, 73 ft., 1'13" (16 fps); fonte copia/print source:
National Film and Sound Archive, Australia (Corrick Collection
#106).
Senza didascalie / No intertitles.
Sappiamo che questo film e il prossimo sono della Charles Urban
Trading Company e possiamo ipotizzare l’anno di uscita, ma non
siamo stati in grado di identificarli concretamente nei cataloghi Urban.
Non è chiaro infatti se si tratta di due pellicole distribuite
separatamente, o di un unico titolo diviso in due dai Corrick nei loro
programmi originali o ancora se siano stati separati successivamente
da John Corrick, donatore della collezione al NFSA e figlio di Leonard,
il proiezionista della famiglia. / Though we know that this film and the
one that follows are from the Charles Urban Trading Company and
can estimate their years of release, we have been unable to concretely
identify them in the Urban catalogues. It is unclear if this and
[Procession of Boats on River, Burma] (see below) were two
separately released films, a single title divided by the Corricks in their
original programs, or separated at a later date by John Corrick, donor
of the Corrick Collection to the NFSA and son of Leonard, the
family’s projectionist. – LESLIE ANNE LEWIS
[PROCESSION OF BOATS ON RIVER, BURMA] (Charles Urban
Trading Co., GB, c.1905)
Regia/dir: ?; 35mm, 218 ft., 3'38" (16 fps); fonte copia/print source:
133
ORIGINI
EARLY CINEMA
DEUX BRAVES CŒURS (Kind Hearted Men) (Pathé, FR 1909)
Regia/dir: ?; 35mm, 295 ft., 5' (16 fps), col. (imbibito/tinted); fonte
copia/print source: National Film and Sound Archive, Australia
(Corrick Collection #65).
Didascalie in inglese / English intertitles.
Compassionevole storia su un dilemma morale, ambientata all’alba del
XIX secolo. Un francese si unisce alla Chouannerie – guerra controrivoluzionaria, capeggiata da un gruppo di insorti noti come Chouans
– per provvedere alla moglie e ai due figli. Mentre è di servizio viene
a sapere che il figlio più piccolo è gravemente ammalato, e così diserta
per tornarsene a casa. Viene condannato a morte come disertore, ma
sua moglie gli fa scudo con il proprio corpo contro la pallottola del
boia, che si rifiuta di giustiziare il pover’uomo, abbassando il fucile e
permettendo alla famiglia di salvarsi. – LESLIE ANNE LEWIS
A sympathetic story of a moral dilemma set at the turn of the 19th
century. A Frenchman joins the Chouannerie – a Royalist uprising in
opposition to the French Revolution, led by a group of guerrilla
warriors known as the Chouans – to provide for his wife and two
children. While on duty he receives word that his youngest son is
gravely ill, and so deserts his post to return home. He is condemned
to death as a deserter, but his wife uses her own body as a shield
against the executioner’s bullet. The executioner refuses to carry out
the poor man’s punishment, lowering his gun and allowing the family
to remain intact. – LESLIE ANNE LEWIS
di un gruppo di ‘novellini’ avventuratisi nel deserto” (Kalgoorlie Miner,
aprile 1907). Evidentemente la produzione aveva riconosciuto la
complessità narrativa del film, visto lo spazio – più di una pagina – che
gli dedica il catalogo: vi sono menzionati ben dodici diversi personaggi,
oltre a “una dozzina di cowboy”, “una banda di indiani”, “la famiglia
del proprietario del ranch” e una diligenza piena di passeggeri, e la
trama fornita è piena di dettagli – non tutti tradotti bene sullo
schermo.
In effetti, gran parte di Life of a Cowboy è messo in scena in modo
da rendere difficile seguire lo sviluppo della storia e distinguere i
personaggi, difficoltà accentuata dalla mancanza di didascalie. In
genere l’azione è passivamente seguita, a differenza di quanto
accadeva in The Great Train Robbery o in Life of an American
Fireman di Porter (1903), dove la collocazione stessa della macchina
da presa e il montaggio servono a guidare lo spettatore. Ciò
nonostante, il pubblico dei Corrick reagì favorevolmente al film, che
fu uno dei più citati e reclamizzati nei loro materiali promozionali: agli
spettatori veniva assicurato che Life of a Cowboy sarebbe stato
proiettato ogni sera, anche se il resto dei film in programma cambiava.
LESLIE ANNE LEWIS
Billed also as A Romance of the Prairie, Edison’s Life of a Cowboy is
in line with the producer’s use of Western themes as a staple since
his earliest pictures, from Buffalo Bill and Annie Oakley actualities to
Edwin S. Porter’s The Great Train Robbery (1903). The first part of
Life of a Cowboy is essentially a series of Wild West spectacles that
showcase riding and roping tricks and several amusing “taunt the
tourist” gags – including a “make the tenderfoot dance by shooting at
his feet” scene similar to that in Porter’s seminal film. Halfway
through, however, it transforms into a chase film, as a stagecoach is
held up by a band of Indians, the main character’s fiancée is
kidnapped, and the local cowboys rush to her rescue. One Corrick
reviewer wrote: “Quite a drama was enacted in the representation of
events in American backwoods existence. The tragic interest was
well maintained, whilst the spectators found something to engage
their attention to a series of rough practical jokes perpetrated at the
expense of a party of ‘tenderfoots’ who had ventured into the
wilderness.” (Kalgoorlie Miner, April 1907)
The producers evidently recognized the complexity of the film’s
narrative, as the catalogue provides an extremely detailed description
– over a full page – mentioning twelve different individual characters
(along with “a dozen cowboys”, “a band of Indians”, “the rancher’s
family”, and a stagecoach full of passengers) and a detailed-filled plot
– not all of which translated well to the screen. Indeed, much of Life
of a Cowboy is staged in a way that makes it difficult to follow the
storyline and tell the characters apart, a challenge accentuated by the
absence of intertitles. For the most part the action is passively
recorded – quite unlike The Great Train Robbery and Porter’s Life of
an American Fireman (1903), both of which use camera placement
and editing to guide the viewer. Despite these issues, Corrick
audiences responded favorably to the film.This was one of the most
National Film and Sound Archive, Australia (Corrick Collection #10).
Senza didascalie / No intertitles.
Nel secondo dei due film non identificati della Charles Urban Trading
Company, imbarcazioni riccamente decorate scendono lentamente
lungo un fiume allontanandosi dalla macchina da presa. Turisti (?)
occidentali, uomini e donne, appaiono a bordo mentre si godono il
panorama. In distanza si possono vedere, sulla riva del fiume, i
contorni di alcune strutture riccamente ornate. È stato suggerito che
possa trattarsi di Scenes on the River Jhelum dalla serie “India, Burma,
Cashmere” realizzata dalla Urban nel 1903, ma tale identificazione
rimane incerta. Questo film e il precedente erano probabilmente
parte del programma principale dei Corrick, “Viaggio intorno al
mondo”, dove materiale proveniente da una grande varietà di fonti
veniva giuntato insieme per far fare al pubblico in viaggio turistico “Da
Polo a Polo”. – LESLIE ANNE LEWIS
In the second of these two unidentified films from the Charles Urban
Trading Company, highly decorated boats float down a river away
from the camera. Male and female Western tourists(?) are shown on
board enjoying the view. In the distance the silhouettes of ornate
structures can be seen on the riverbank. It has been suggested that
this may be Scenes on the River Jhelum from Urban’s 1903 “India,
Burma, Cashmere” series, but that identification remains uncertain.
This film and [Travel Scenes] would have been shown as part of the
Corricks’ staple “Trip Round the World” program, where footage
from a wide variety of sources was spliced together into one series
aimed at taking the audience on a sight-seeing tour covering the
world “From Pole to Pole”. – LESLIE ANNE LEWIS
LIFE OF A COWBOY (Edison, US 1906)
Regia/dir., f./ph: Edwin S. Porter; 35mm, 952 ft., 16' (16 fps); fonte
copia/print source: National Film and Sound Archive, Australia
(Corrick Collection #64).
Senza didascalie / No intertitles.
Presentato anche come A Romance of the Prairie, questo film
conferma l’importanza data da Edison ai temi western, a partire dalle
sue prime pellicole, dalle attualità su Buffalo Bill e Annie Oakley a The
Great Train Robbery (1903) di Edwin S. Porter. La prima parte di Life
of a Cowboy è sostanzialmente una serie di scene da selvaggio West
che presentano esibizioni a cavallo e trucchi con la corda insieme a
divertenti gag “sbeffeggia turisti” – compresa una scena in cui si fa
“ballare il novellino sparandogli sui piedi”, simile a quella del
pionieristico film di Porter. A metà strada, però, si trasforma in un film
di inseguimenti, con una diligenza che viene bloccata da una banda di
indiani, la fidanzata del protagonista che viene rapita e i cowboy locali
che si precipitano a salvarla.
Dopo aver assistito a uno spettacolo dei Corrick, un recensore
scrisse: “Un vero dramma è stato descritto attraverso la messa in
scena di una serie di eventi ambientati nell’America rurale. L’elemento
tragico è stato ben sviluppato e nel contempo l’attenzione gli
spettatori è stata attirata da una serie di rozzi scherzi giocati ai danni
134
[MADAGASCAR 1898] (Louis Tinayre, FR 1898)
Regia/dir., f./ph: Louis Tinayre; 35mm, c.265 m., c.14' (16 fps); fonte
copia/print source: Cinémathèque française, Paris.
Didascalie in francese ricreate/Newly created French intertitles.
Louis Tinayre (1861-1941) era figlio di convinti comunardi. Il padre
probabilmente morì nella semaine sanglante del 1895. La madre,
Victoire Tinayre (1831-1895), un’insegnante che aveva fatto parte della
commissione per l’educazione della Comune, fuggì in Ungheria con i
figli, anche se Louis, il secondo, sembra aver preceduto gli altri insieme
con la sorella Caroline, nel 1873. Louis studiò pittura all’Accademia di
Budapest e ritornò in Francia in seguito all’amnistia generale del 1880.
Trovò rapidamente posto nella società artistica francese e divenne un
habitué del Cabaret du Chat Noir a Montmartre, con i suoi famosi e
raffinati spettacoli di ombre. Partecipò anche a incontri con gli
esponenti del Positivismo e fu così che conobbe Adèle Jacomet , sua
futura moglie e madre dei suoi cinque figli,.
Pioniere tra gli artisti-reporter, ebbe una lunga collaborazione con Le
Monde Illustré, per cui nel 1895 andò come corrispondente di guerra
in Madagascar, dove le forze armate francesi erano state inviate allo
scopo di soffocare l’opposzione al protettorato. Affascinato dal paese,
in sei mesi spedì in patria numerose illustrazioni, schizzi e fotografie,
e al suo ritorno in Francia realizzò una serie di otto giganteschi dipinti,
“diorami” di 5 x 4 metri ciascuno.
Nel 1898 ritornò in Madagascar con la moglie per preparare dei
bozzetti per il suo grande progetto di un panorama dipinto
raffigurante la resa di Antananarivo. Il panorama e i diorami furono
esibiti nel padiglione malgascio all’Esposizione Universale di Parigi del
1900. Probabilmente a causa del successo della mostra, Tinayre fu
assunto dal principe Alberto I di Monaco come pittore ufficiale delle
sue esplorazioni scientifiche nell’Atlantico e nel Mediterraneo e al
Polo Nord
Durante la sua visita in Madagascar del 1898, Tinayre aveva con sé un
Cinématographe Lumière. Non è chiaro come se lo fosse procurato
né perché cercasse immagini in movimento (presumibilmente) per
preparare il suo panorama.
Si sono conservate diciotto pellicole, donate alla Cinémathèque
française dal nipote di Tinayre, Alain, alla fine del 2009. Da allora sono
state restaurate digitalmente dai laboratori dell’Immagine Ritrovata di
Bologna.
I soggetti riguardano soprattutto la vita lavorativa del popolo
malgascio – la costruzione e la realizzazione di strade, l’agricoltura, il
lavoro nelle risaie, la raccolta di minerali, la lavorazione del ferro, i
giorni di mercato. La particolarità delle riprese di Tinayre sta nel suo
uso di inquadrature molto grandi, con ampi orizzonti e in genere
gruppi molto nutriti di persone – caratteristiche adeguate per un
gigantesco panorama dipinto.
Tredici di questi film sono presentati alle Giornate con soggetti così
identificati Cinémathèque française:
(1) Chantier de terrassement à Marorangotra [Costruzione di
terrazze a Marorangotra]
LES FLEURS ANIMÉES (Pathé, FR 1906)
Regia/dir: Gaston Velle; f./ph., eff. sp./spec. eff: Segundo de Chomón;
35mm, 359 ft., 6' (16 fps), col. (pochoir/stencil-colour); fonte
copia/print source: National Film and Sound Archive, Australia
(Corrick Collection #67).
Senza didascalie / No intertitles.
Descritto nelle pubblicità dei Corrick come “Il miglior film a colori
del XX secolo” (benché il secolo fosse solo a metà del suo primo
decennio), Les Fleurs animées è sorprendente nella sua dettagliata
colorazione a mano e nelle inquadrature di taglio teatrale. In questa
storia di fiori arrabbiati che vogliono vendicarsi di un uomo che ha
distrutto senza motivo il loro giardino, l’uso di semplici trucchi della
macchina da presa crea una magica fiaba. Come molti dei magistrali
lavori di Segundo de Chomón – quali La Poule aux œufs d’or (1905)
e La Peine du talion (1906) – l’obiettivo principale di alcune scene è
la colorata presentazione di un coro di donne eleganti che si
esibiscono davanti alla macchina da presa. È familiare anche la
disposizione di stampo teatrale, che qui va un passo oltre, con
l’utilizzo di una ghirlanda floreale o di travi a cui sono appese lanterne
di carta colorata per delineare i margini dell’inquadratura. Questi film
presentano un interessante contrasto tra forma e contenuto: mentre
l’ambientazione teatrale si rifà chiaramente a secoli di tradizione, gli
effetti presentati su questo “palco” si potevano ottenere solo con la
padronanza della più nuova tra le tecnologie, il cinema.
LESLIE ANNE LEWIS
Described in Corrick ads as “The finest ‘Color’ Film of the Twentieth
Century” (albeit a century only halfway through its first decade), Les
Fleurs animées is quite stunning in its detailed hand-coloring and
stage-like framing. In this story of angry flowers exacting revenge on
a man who wantonly destroyed their garden, the use of simple
camera tricks creates a magic fairy story. Like many of Segundo de
Chomón’s masterful works – such as La Poule aux œufs d’or (1905)
and La Peine du talion (1906) – the chief focus of several scenes is the
colorful display of a chorus of beautifully dressed women performing
for the camera. Also familiar is the stage-like set-up, which goes a
step further than most by using a floral garland or rafters hung with
colorful paper lanterns to mark the edges of the frame. These films
contain an interesting contrast between form and content: while the
stage-like setting clearly draws from centuries of tradition, the effects
presented on this “stage” could only be achieved through a mastery
of that newest of technologies, the motion picture.
LESLIE ANNE LEWIS
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135
ORIGINI
EARLY CINEMA
frequently mentioned and promoted films in Corrick Family
Entertainers’ advertisements and advance articles, and patrons were
assured that it would play each night, even as the rest of the films in
the program changed. – LESLIE ANNE LEWIS
(2) Femmes chargeés montant et descendant une colline [Donne con
carichi salgono e scendono da una collina]
(3) Environs de Tananarive. Marché à Alatsinainy [I dintorni di
Antananarivo, capitale del Madagascar. Mercato ad Alatsinainy]
(4) Labour de rizières par les bœufs [L’aratura delle risaie con i buoi]
(5) Chantier d’empierrement à la Marorangotra [Costruzione di una
strada a Marorangotra]
(6) Vallée [Valle]
(7) Forge malgache à Marorangotra [Fucina malgascia a Marorangotra]
(8) La route d’Ambohimanara. Un jour de marché à Tananarive [La
strada per Ambohimanara. Un giorno di mercato ad Antananarivo]
(9) Labour de rizières à l’Angady [L’aratura delle risaie ad Angady]
(10) L’artère principale du marché à Tananarive [La strada principale
del mercato ad Antananarivo]
(11) Jeunes garçons fabriquant des briques [Ragazzi che fabbricano
mattoni d’argilla]
(12) Femmes transportant panniers près d’un ruisseau [Donne che
trasportano cesti vicino ad un ruscello]
(13) Hommes travaillant sur un chantier [Uomini che lavorano ad una
costruzione]
I soggetti dei film non inclusi in questa selezione mostrano: due
uomini che lavorano nei campi; una valle, in cui l’azione non è
identificabile; donne che lavano minerale od oro (2 riprese); una
cerimonia con la bandiera francese ben evidente. – DAVID ROBINSON
(da un comunicato stampa della Cinémathèque française integrato
con informazioni fornite da Touve R. Ratovondrahety)
Probably as a consequence of the success of the exhibition, Tinayre
was engaged by Prince Albert I of Monaco as official painter to his
scientific explorations in the Atlantic and Mediterranean and to the
North Pole.
On his 1898 visit to Madagascar, Tinayre had with him a Lumière
Cinématographe. How he came by his camera, and why he sought
moving images for (presumably) the preparation of his panorama is
not clear.
Eighteen films survive, and were presented to the Cinémathèque
française by Tinayre’s grandson, Alain Tinayre, in late 2009. They have
since been digitally restored by the laboratories of L’Immagine
Ritrovata, Bologna.
The subjects are predominantly the working life of the Malagasy –
building and making roads, agriculture, work in the rice-fields,
collecting minerals, working iron, market days. The distinction of
Tinayre’s filming is his use of very wide shots, with large horizons and
generally very large groups of people – characteristics which would
be appropriate to planning a gigantic painted panorama.
Thirteen of the films are shown in this selection: the subjects, as
identified by the Cinémathèque française, are:
(1) Chantier de terrassement à Marorangotra [Construction of
terraces at Marorangotra]
(2) Femmes chargeés montant et descendant une colline [Laden
women going up and down a hill]
(3) Environs de Tananarive. Marché à Alatsinainy [Environs of
Antananarivo, capital of Madagascar. Market at Alatsinainy]
(4) Labour de rizières par les bœufs [Ploughing in the paddy fields
with oxen]
(5) Chantier d’empierrement à Marorangotra [Constructing a road at
Marorangotra]
(6) Vallée [Valley]
(7) Forge malgache à Marorangotra [Malagasy forge at Marorangotra]
(8) La route d’Ambohimanara. Un jour de marché à Tananarive [The
Ambohimanara road. A market day in Antananarivo]
(9) Labour de rizières à l’Angady [Ploughing the paddy fields at
Angady]
(10) L’artère principale du marché à Tananarive [The main road of the
market at Antananarivo]
(11) Jeunes garçons fabriquant des briques [Boys making clay bricks]
(12) Femmes transportant paniers près d’un ruisseau [Women
carrying baskets near a stream]
(13) Hommes travaillant sur un chantier [Men working on a
construction]
The subjects of the films not included in this selection are: Two men
working in the fields; Valley. Unidentifiable work activity; Women
washing ore or gold, 2 shots; Ceremony with French flag prominent.
– DAVID ROBINSON, with acknowledgement to a Cinémathèque
française press release and Touve R. Ratovondrahety
Louis Tinayre (1861-1941) was the son of deeply committed
Communards. His father probably died in the semaine sanglante of
1895. His mother Victoire Tinayre (1831-1895), a teacher who had
served on the education commission of the Commune, fled to
Hungary with her children, though Louis, her second son, with his
sister Caroline, seems to have preceded the others, in 1873. Louis
studied painting at the Budapest Academy and returned to France
following the general amnesty of 1880. He rapidly found a place in
French artistic society and was an habitué of the Cabaret du Chat
Noir in Montmartre, with its famous and exquisite shadow shows. He
attended meetings of the Positivists, where he met his future wife and
the mother of his five sons, Adèle Jacomet.
A pioneer artist-reporter, he had a long association with Le Monde
Illustré, for which in 1895 he went as a war correspondent to
Madagascar, where a French force had arrived to suppress resistance
to France’s protectorate. Fascinated by the country, in six months he
sent back numerous illustrations, sketches, and photographs, and on
his return to France embarked on a series of eight giant paintings,
“dioramas”, each 5 x 4 metres.
In 1898 he returned to Madagascar with his wife to prepare studies
for his great project for a painted panorama of the surrender of
Antananarivo. The panorama and dioramas were exhibited in the
Malagasy pavilion at the Paris Exposition Universelle of 1900.
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136
amatoriale. Elementi risultati di origine pressoché sconosciuta per gli
inizi (come i negativi sviluppati da Georges Mendel a Parigi o il
negativo “Atrax” prodotto dalla Tensi di Milano) o comuni per gli anni
Venti (Gevaert e Kodak per il negativo e Ferrania pre-imbibita o
imbibita per il positivo).
Il risultato è un insieme di materiali scomposti e frammentati di
difficile ricostruzione critica in sede editoriale e recupero in
laboratorio. La clinica e la semeiotica stanno alla medicina come la
storia archeologica, culturale e integrale del manufatto sta al lavoro
analitico che fa da preludio al restauro tout court. E la conseguente
terapia di restauro applicata alla collezione Neri 35mm è stata tanto
sperimentale quanto rigorosa nel metodo e felice nelle risultanze
finali.
Il restauro – finanziato e realizzato dai laboratori Haghefilm di
Amsterdam – è parte di un programma di training sponsorizzato dalla
Haghefilm Foundation, nel corso del quale ci si è resi conto delle
precarie condizioni materiali di gran parte della collezione. Le
soluzioni individuate per gestire la forte difformità e l’avanzato stato
di decadimento dei materiali hanno permesso il recupero della
collezione ben oltre le più rosee aspettative, garantendo la
salvaguardia delle sequenze complete e più rappresentative ma anche
di quelle più frammentate e compromesse.
La preservazione della collezione 16mm è attualmente in corso
presso i laboratori Haghefilm di Amsterdam, mentre ulteriori
lavorazioni digitali su altre sequenze 35mm saranno effettuate presso
il laboratorio La Camera Ottica dell’Università di Udine, Dams
Gorizia.
Questa è la prima proiezione pubblica della Collezione Vincenzo
Neri. I filmati sono mostrati nel loro presunto ordine cronologico, a
partire dall’esame critico dei materiali e suscettibile di aggiustamenti
e revisioni: 28 sequenze in tutto, numerate e separate tra loro da
tratti neutri di coda nera.
Il gruppo di ricerca su Vincenzo Neri è un team multidisciplinare
composto da Lorenzo Lorusso (Dipartimento di Neurologia, Chiari,
Brescia), Karianne Fiorini, Paolo Simoni, Mirco Santi (Home Movies –
Archivio Nazionale del Film, Bologna), Chiara Tartarini (Università
degli Studi di Bologna), Simone Venturini, Giulio Bursi, Claudio
Domini, Giulia Barini (Università degli Studi di Udine – Laboratori La
Camera Ottica e Crea, Udine/Gorizia), Alessandro Porro (Università
degli Studi di Brescia), e Virgilio Tosi, Roma. – SIMONE VENTURINI
Vincenzo Neri (1880-1961) was an early 20th-century clinician who
played a significant role in the history of neurological science. He was
a pupil of Giuseppe Dagnini (1866-1928) in Bologna and of Joseph
Babinski (1857-1932) in Paris. From his first formative years and later
as a clinician (first in Paris, from 1906-07, and then in Bologna as
neurological consultant at the Rizzoli Orthopaedic Institute and as
founder of the Villa Baruzziana clinic for nervous diseases) he
attached great importance to neurological semiotics, the observation
and study of the objective signs and manifestations of disease.
Alongside direct visual observation, Neri experimented with three
137
ORIGINI
EARLY CINEMA
[FILM MEDICI DI VINCENZO NERI / THE VINCENZO NERI
MEDICAL COLLECTION ] (IT, 1908-1928)
Regia/dir: Vincenzo Neri; 28 frammenti/fragments, 35mm, 437m., 24'
(16 fps); fonte copia/print source: Home Movies – Archivio Nazionale
del Film di Famiglia, Bologna / Università degli Studi di Udine – La
Camera Ottica, Gorizia. Restauro e stampa / Preserved and printed
in 2010.
Senza didascalie / No intertitles.
Vincenzo Neri (1880-1961) fu un clinico di inizio Novecento di cui si
sta mettendo in rilievo il ruolo nella storia delle scienze neurologiche.
Fu allievo di Giuseppe Dagnini (1866-1928) a Bologna e di Joseph
Babinski (1857-1932) a Parigi. Fin dai primi anni di formazione e come
clinico (prima a Parigi, dal 1906-07 circa, poi a Bologna come
consulente neurologo all’Istituto Ortopedico Rizzoli e come
fondatore della Clinica delle malattie nervose Villa Baruzziana) diede
importanza alla semeiotica (neurologica), osservazione e studio delle
manifestazioni obiettive, segni, delle malattie.
A fianco dell’osservazione visiva diretta, Neri sperimentò tre
principali metodi di analisi e di rappresentazione in grado di fissare,
imprimere, cogliere i “segni clinici” per distinguere malattie su base
funzionale e psichiatrica da quelle neurologiche: il metodo grafico
(impronte, disegni, diagrammi); il metodo crono-fotografico
(cinematografico), e il metodo fotografico.
Di questi “segni” Neri ha lasciato una collezione importante.
L’archivio ritrovato a Bologna nel 2008 presso gli eredi contiene
materiale scientifico (in cui compaiono riproduzioni fotografiche e di
fotogrammi di film), centinaia di negativi, stampe e lastre fotografiche,
anche stereoscopiche, riproduzioni dei tracciati delle impronte dei
piedi dei pazienti per la valutazione dei disturbi della deambulazione;
paper prints, registrazioni audio, decine di riprese in 35mm (databili
tra il 1908 e il 1928), in 16mm (collocabili tra l’immediato dopoguerra
e la meta degli anni Cinquanta) e tracce indirette (paper prints) di
riprese su formato 17.5 (probabilmente un derivato del Biokam,
risalente al 1909-10).
In particolare il metodo fotografico e crono-fotografico (la tecnica
cinematografica al servizio dell’analisi e non della sintesi del
movimento) accompagneranno tutto l’arco della vita professionale di
Neri, andando a costituire un archivio ampio e complesso.
Neri coniugò la semeiotica di Babinski con le pratiche di Etienne-Jules
Marey operando con rigore, costanza, grande intelligenza e originalità.
Il materiale cinematografico – esclusi due elementi editati e risalenti
alla fine degli anni Quaranta – è costituito da unità non montate,
scomposte, al servizio della registrazione analitica e della
“costruzione” scientifica di repertori.
La collezione cinematografica in 35mm (negativi e positivi, dal 1908 al
1928 circa) era conservata originariamente in 14 scatole e composta
da più di 70 unità archivistiche. All’ampiezza del periodo
corrispondono materiali difformi e differenti. Materiali, almeno nel
primo periodo, costituiti da supporti ed emulsioni prodotti ai margini
della nascente industria cinematografica e girati e lavorati in modo
principal approaches to the analysis and representation of
neurological disease: the graphic method (drawings, diagrams,
footprints); the chronophotographic method (cinema); and the
photographic method.
Neri left behind an important collection of these research tools. The
extensive archive located in Bologna in 2008 in the possession of his
heirs contains scientific material (notably photographic reproductions
and frame enlargements), hundreds of negatives, prints, and
photographic plates, as well as stereograms, reproductions of
sketches of the imprint of patients’ feet to assess problems of
walking; paper prints, audio recordings, dozens of shots in 35mm
(datable between 1908 and 1928), in16mm (placeable between the
immediate post-war period and the mid-1950s), and indirect evidence
(paper prints) of films in 17.5mm (probably from a Biokam and dating
back to 1909-10).
In particular, the photographic and chronophotographic method
(cinema technique applied to the analysis and not the synthesis of
movement) would accompany the whole trajectory of Neri’s
professional life, finally constituting a large and complex archive. Neri
combined the semiotics of Babinski with the practice of Étienne-Jules
Marey, working with rigour, constancy, great intelligence, and
originality. The film material – apart from two edited elements dating
from the end of the 1940s – is made up of unedited, separate units,
in the service of analytical record and of the scientific “structure” of
the collection.
The 35mm film collection (negative and positive, from 1908 to
c.1928) was originally conserved in 14 cans, and constituted 70
archival units. Corresponding to the span of the period, there are
materials in different forms and styles. The material, at least from the
earliest period, consists of film stocks and emulsions produced at the
margins of the nascent cinema industry and shot and processed in an
amateur fashion. The earliest elements are from almost unknown
origins (like the negative developed by Georges Mendel in Paris or the
“Atrax” negative produced by Tensi of Milan); from the 1920s they
are familiar (Gevaert and Kodak for the negative and tinted or pretinted Ferrania stock for the positive).
The result is a body of decomposing and fragmentary material, hard
to reconstruct from a purely editorial position and requiring careful
treatment in a film restoration laboratory. The clinic and the semiotic
are to medicine as the archaeological, cultural, and integral history of
the made object are to the analytical work which is the prelude to
restoration tout court. And the consequent therapy of restoration
applied to the 35mm Neri collection has been as experimental as
rigorous in method and rewarding in its final results.
The restoration – financed and carried out by the Haghefilm
Laboratory of Amsterdam – is part of a training programme
sponsored by the Haghefilm Foundation, in the course of which the
precarious material condition of a great part of the collection has
been taken into account. The solutions implemented to cope with
the pronounced shrinkage and advanced state of decomposition of
the materials have enabled the recuperation of the collection far
beyond our most optimistic expectations, guaranteeing the
safeguarding of the complete and most representative sequences, but
also of those more fragmented and compromised.
The preservation of the 16mm collection is currently in progress at
the Haghefilm Laboratory in Amsterdam, while subsequent digital
work on other 35mm sequences will be carried out at the Camera
Ottica Laboratory of the University of Udine, DAMS-Gorizia.
This is the first public screening of the Vincenzo Neri Collection. The
material is shown in its presumed chronological order of filming,
following critical examination of the material, subject to further
research and revisions: 28 sequences in all, numbered and separated
by black leader.
The research group for the Vincenzo Neri Collection is a multidisciplinary team composed of Lorenzo Lorusso (Department of
Neurology, Chiari, Brescia), Karianne Fiorini, Paolo Simoni, Mirco
Santi (Home Movies – Archivio Nazionale del Film, Bologna), Chiara
Tartarini (Università degli Studi di Bologna), Simone Venturini, Giulio
Bursi, Claudio Domini, Giulia Barini (Università degli Studi di Udine –
Laboratories La Camera Ottica and Crea, Udine/Gorizia), Alessandro
Porro (Università degli Studi di Brescia), and Virgilio Tosi, Rome.
SIMONE VENTURINI
138
Making Of…
Today, just about every new film production comes with its own “making-of” director, specially hired to shoot and edit a documentary featurette
or reportage taking the viewer “on the set.” Since its first appearance in the 1990s with the advent of the DVD the phenomenon has reached epic
proportions; makings-of are part of global marketing strategies and the “genre” even has its own annual festival in the central French city of
Romorantin-Lanthenay.
We can trace the “making-of” back to the silents. Though the first film previews, trailers, and “behind the scenes” attractions (such as the Screen
Snapshots series) seem to have been made in the U.S.A., it was the French who transformed this promotional form into an art film in the 1920s and
gave it a formal perfection under the enlightened sponsorship of Gance and L’Herbier. Indeed, Jean Dréville’s Autour de l’Argent and Pierre Chenal’s
Paris-Cinéma (especially in the climactic night shoot at the Gare de Lyon) evoke the aesthetic and formal rigor of the great “city symphony” films. It
is no surprise that Dréville and Chenal were two debutants seeking to show what they could do.
Taken together, the “autour de...” Abel Gance trilogy ( La Roue , Napoléon , La Fin du monde ) form one of the most exciting filmic documents ever made
about (the rise and the fall of) a great director. Sadly, the most sensational of the three, Autour de Napoléon , comes down to us only as an unedited
collection of fragments, though we are able to see much of this surviving material in Nelly Kaplan’s documentary Abel Gance et son Napoléon .
Unrestored or missing intertitles also impede our appreciation of the other “making of” items being shown this year at Pordenone. Apparently
uncompleted, the filmic “notes” on the making of Salammbô suggest a troubled film shoot. But Henri Diamant-Berger’s “prologues” for his serial
adaptations of The Three Musketeers and 20 Years After demonstrate an effective sense of showmanship and a genuine affection for Dumas’
much-filmed novels.
I would like to thank Rositza Alexandrova, Kevin Brownlow, Béatrice de Pastre and the staff of the Archives françaises du film (CNC) at Bois d’Arcy,
Valérie Scognamillo at the Cinémathèque française, and Agnès Bertola at the Gaumont Pathé Archives for their help on this programme. – L ENNY B ORGER
139
MAKING OF…
Oggi è ormai prassi comune che le riprese di un film siano quasi sempre seguite da un regista di “making of”, appositamente scritturato per
girare e montare un documentario/reportage di mediometraggio che conduca lo spettatore “dietro le quinte” del set. Dai primi esempi apparsi
negli anni ’90, con l’avvento del DVD il fenomeno ha raggiunto dimensioni epiche; il “making of” è diventato parte integrante delle strategie di
marketing globale e il “genere” ha perfino un proprio festival che si tiene ogni anno a Romorantin-Lanthenay nella Francia centrale.
Ma si trovano tracce di “making of” già all’epoca del muto. Sebbene la consuetudine delle anteprime promozionali, dei trailer e dei “dietro le
quinte” (come la serie degli Screen Snapshots ) sia indubbiamente di origine americana, è tuttavia nella Francia degli anni ’20 che questa
strategia pubblicitaria si trasforma in una forma di “film d’art” grazie all’eccellenza formale raggiunta sotto l’illuminato patrocinio di Gance e
L’Herbier. Autour de l’Argent di Jean Dréville e Paris-Cinéma di Pierre Chenal (in particolare la sequenza clou girata di notte alla Gare de Lyon)
evocano il rigore estetico e formale dei grandi film sulle “sinfonie di città”. E non a caso sia Dréville che Chénal erano due debuttanti ansiosi di
dimostrare le proprie capacità. Presa nel suo complesso, la serie di “autour de…” sulla trilogia di Abel Gance ( La roue , Napoléon , La fin du
monde ) costituisce uno dei più emozionanti documenti cinematografici mai realizzati sull’ascesa e caduta di un grande regista. Purtroppo, il più
sensazionale dei tre, Autour de Napoléon , ci è giunto solo sotto forma di frammenti non montati, la gran parte dei quali comunque potrà essere
vista nel documentario di Nelly Kaplan Abel Gance et son Napoléon.
Le didascalie non restaurate o mancanti impediscono una valutazione adeguata anche sugli altri “making of” presenti nel programma pordenonese
di quest’anno. Pur nella loro incompletezza, le “notes” cinematografiche sul “making of” di Salammbô suggeriscono una realizzazione piuttosto
contrastata. Mentre i “prologues” di Henri Diamant-Berger per il suo adattamento seriale dei Trois Mousquetaires e Vingt ans après dimostrano
la sua indubbia capacità di interessare il pubblico e un affetto genuino per i romanzi di Dumas, peraltro molto amati dal cinema di tutte le epoche.
Desidero ringraziare Rositza Alexandrova, Kevin Brownlow, Béatrice de Pastre e lo staff degli Archives françaises du film (CNC) di Bois d’Arcy,
Valérie Scognamillo della Cinémathèque française, e Agnès Bertola degli Archives Gaumont Pathé per il loro prezioso contributo nella realizzazione
di questo programma. – L EN NY B O RG ER
Nel febbraio del 1928 Autour de Napoléon, montato da Jean Arroy
che ne curò anche le didascalie, aprì il programma inaugurale dello
Studio 28 di Montmartre, insieme a due nuovi trittici, Cristaux e
Marines. Quello che non capisco è come mai la versione dello Studio
28 non si sia conservata, a differenza di tutti questi piccoli rulli.
La realizzazione di questo breve film, che oggi si definirebbe un
“Making of”, trasse grande giovamento dall’esistenza della Debrie
Sept, una piccola cinepresa costruita interamente in metallo, che
conteneva cinque metri di pellicola ed era ideale per l’utilizzo in
condizioni scomode e in spazi ristretti.
All’inizio degli anni Ottanta, quando mi venne chiesto di scrivere un
libro su Napoléon, fui presentato al direttore tecnico del film, Simon
Feldman. Egli era uno dei protagonisti di Autour de Napoléon, avendo
svolto un ruolo fondamentale nella realizzazione del film principale; il
suo compito era di raccogliere i suggerimenti spesso follemente
audaci di Gance e tradurli in pratica. Per esempio, la richiesta di
rendere visivamente un passo di Victor Hugo (“Essere un membro
della Convenzione era come essere un’onda dell’oceano”) spinse
Feldman ad assicurare la cinepresa a un trapezio, in modo che potesse
opportunamente salire e scendere oscillando al di sopra della
tumultuante folla dell’Assemblea.
Feldman e sua moglie amavano trascorrere le vacanze a
Bournemouth. Portai un proiettore presso il loro albergo, ed egli
identificò tutti i partecipanti al film che fu in grado di riconoscere,
rievocando gli straordinari episodi che ne costellarono la lavorazione.
Quando Gance iniziò la sua opera seguente, La Fin du monde, si
assicurò che rimanesse una testimonianza della lavorazione
(trattandosi di uno dei primi film sonori, fu utilizzata una gamma di
attrezzature estremamente vasta). L’incarico fu affidato a Eugène
[Yevgeni] Deslaw, un giovane ucraino giunto dalla Russia comunista
per realizzare una serie di cortometraggi sull’industria. (Deslaw
ingaggiò un giovanotto di nome Fred Zinnemann per realizzare le foto
di scena, ma purtroppo non per questo film.) Il risultato, Autour de
La Fin du monde, è un singolare ibrido. Benché si tratti di un film quasi
interamente muto, durante la lavorazione fu necessario tenere
costantemente accesa la lampada di eccitazione, poiché a intervalli vi
erano improvvisi passaggi sonori (di solito quando veniva inserita una
scena del film definitivo). Più degli altri due film dedicati alle opere di
Gance, Autour de La Fin du monde riesce a rendere l’idea della
terribile pressione che il grande cineasta doveva subire. La pellicola,
prodotta da due russi poco raccomandabili, si risolse in una catastrofe
finanziaria e artistica. Corre voce che Gance, per superare questa
durissima esperienza, abbia fatto ricorso a droghe pesanti, e una scena
lo vediamo chiaramente provato e sofferente. Nel più puro stile di
Von Stroheim, aveva riunito nell’immenso studio una folla di gaudenti
che celebravano la fine del mondo dando libero sfogo ai propri
desideri, mentre la cinepresa girava tutt’intorno e sopra di loro.
All’attrice Wanda Gréville, che interpreta Maria Maddalena nella
versione tedesca, quel giorno fu proibito di venire al lavoro. “Doveva
essere una cosa davvero forte”, ella commentò in seguito.
Autour d’Abel Gance
Nel 1967, venni incaricato di realizzare per la BBC un documentario
su Abel Gance. Mi recai a Parigi per filmare un’intervista con il
grand’uomo; credevo di aver già sentito tutto quello che Gance aveva
da dire su Napoléon, ma – quando ci stavamo già preparando ad
andarcene – egli mi suggerì di chiedere, non appena fossi ripassato alla
Cinémathèque française, il materiale filmato sulla lavorazione del film
che lui stesso vi aveva depositato. Pensai che fossero fantasie: non mi
era mai capitato di vedere materiale del genere per un film muto.
“Giravo sempre con almeno due operatori”, mi raccontò Gance “e
quando il secondo non aveva niente da fare, filmava la troupe
all’opera. A quell’epoca la pellicola costava pochissimo, e io sapevo
che un giorno qualcuno sarebbe venuto a chiedermi ‘Come sono
state realizzate queste scene?’ Insomma, pensavo al futuro.”
Quando riandai alla Cinémathèque, riferii le parole di Gance a Marie
Epstein che, ormai in pensione, era stata assunta da Henri Langlois.
Marie sembrò capire subito di cosa stessi parlando; mi portò una pila
di scatole arrugginite e poi andò a prenderne altre. Mentre era
assente, esaminai il contenuto delle scatole: dozzine di rulli,
strettamente avvolti, di positivi nitrati a 35mm su vari momenti della
lavorazione. Incredibile! Un’altra pionieristica intuizione di Gance,
pensai (in realtà, nel 1922, il suo assistente per La Roue, il poeta Blaise
Cendrars, aveva girato il film di un rullo Autour de La Roue per cui
aveva anche scritto le didascalie).
Sedetti alla moviola, stupefatto per la mia fortuna. Tutto quello che di
Gance avrei dovuto spiegare in un commento parlato era ora
suffragato da ciò che vedevo. Egli aveva per davvero accumulato
un’incredibile varietà apparecchiature: cineprese azionate a distanza,
cineprese montate su piattaforme mobili, cineprese appese a cavi
volanti.
Quando tornai alla Cinémathèque, scoprii che Mlle. Epstein aveva
assemblato il materiale girato. C’erano inquadrature di Gance a
Tolone con il generale Vincent (che aveva comandato le truppe
impiegate in J’accuse), e alcuni test dell’incendio della flotta. Questi
spezzoni si staccarono lasciando apparire un rullo più lungo.
Sbalordito, fissai le immagini sfocate di un gruppo di ragazzini che
lottavano sulla neve e mi resi conto che poteva trattarsi solo del
momento culminante – da tempo perduto – della battaglia a palle di
neve. Definita da Bardèche e Brasillach “un capolavoro del montaggio
rapido”, la battaglia a palle di neve mi era sempre sembrata tutt’altro
che vivace. Bastò la visione di questa sequenza a suscitare in me la
determinazione di riportare Napoléon il più vicino possibile allo
splendore del 1927.
Jean [Juan] Arroy era stato incaricato di realizzare Autour de
Napoléon, ma si trattò di un’operazione estemporanea: le sequenze
venivano girate quando l’attrezzatura era disponibile e qualcuno aveva
voglia di usarla. Oggi, questi frammenti hanno per noi valore
inestimabile, poiché ci consentono di capire esattamente in che modo
fu girata quest’opera storica. Provate a immaginare un film come
questo dedicato a Metropolis o alla Corazzata Potëmkin!
140
In 1967, I was given the go-ahead to make a documentary for the BBC
on Abel Gance. I went to Paris to interview the great man on film. I
thought I had heard everything he had to say about Napoléon, but just
as we were packing up to go, he told me that when I was next at the
Cinémathèque française I should ask for the footage he had given them
on the making of the film. I thought he was fantasizing. I had never
come across that sort of material on a silent film. “I always had at least
two cameramen,” said Gance, “and whenever the extra cameraman
had nothing to do, he would shoot the unit at work. Film was cheap
in those days, and I knew that one day I’d have someone sitting beside
me asking, ‘How was that done?’ I thought of the future.”
When I was next at the Cinémathèque, I passed his message to Marie
Epstein, who was employed in her retirement by Henri Langlois. She
seemed to know exactly what I was talking about. She brought in one
pile of rusty cans and then left for more. While she was out, I
examined the contents – dozens of tightly wound rolls of 35mm
nitrate positive showing various aspects of production. Incredible!
Yet another first for Gance, I thought. (But it turned out that his
assistant on La Roue, the poet Blaise Cendrars, had shot and titled a
one-reeler called Autour de La Roue in 1922.)
I sat in front of the viewing machine, stunned at my good fortune. All
the claims I would otherwise have to make in commentary were
substantiated here before my eyes. Gance had indeed amassed an
incredible range of equipment – cameras operated by remote control,
cameras mounted on mobile platforms, cameras suspended on
overhead cables.
When I next visited the Cinémathèque, I found that Mlle. Epstein had
assembled the footage. There were shots of Gance with General
Vincent at Toulon (he had commanded the troops for J’accuse). A
few sections of tests for the burning of the fleet. These odd pieces
fell away revealing a longer roll. With a shock I saw blurred shots of
small boys fighting in the snow and realized this could only be the
long-lost climax to the snowball fight. Referred to by Bardèche and
Brasillach as “a masterpiece of rapid cutting”, the snowball fight had
always seemed very tame to me. This one sequence made me
determined to restore Napoléon as near as possible to its 1927 glory.
Jean [Juan] Arroy was eventually given charge of Autour de Napoléon,
but it was a casually-made affair, shots being taken when the
equipment was available and somebody felt like using it. Now, of
course, these fragments are priceless, for they allow us to see exactly
how this historic production was filmed. Imagine if there had been
such a film made about Metropolis or Potemkin!
141
MAKING OF…
Autour de Napoléon, assembled and titled by Jean Arroy, was the
opening attraction in February 1928 at the Studio 28 in Montmartre,
along with a couple of new triptychs, Cristaux and Marines. What
puzzles me is why the Studio 28 version doesn’t survive, whereas all
these tiny rolls did.
The little film, which would now be referred to as a “Making Of”, was
greatly assisted by the existence of the Debrie Sept, a tiny all-metal
camera which took 5 metres of film and was ideal for cramped
conditions.
In the early 1980s, when I was asked to write a book on the film, I
was introduced to its technical director, Simon Feldman. He was one
of the stars of Autour de Napoléon, because he was such a vital
participant on the main film. He had to take Gance’s often wild
suggestions and make practical sense of them. Thus the request to
illustrate Victor Hugo’s line “To be a member of the Convention was
like being a wave on the ocean” led to Feldman lashing the camera to
a trapeze, to give it the appropriate rise and fall as it swung above the
rioting crowd in the Assembly.
Feldman and his wife used to take their holidays in Bournemouth. I
took a projector to their hotel and he identified as many of the
people in the film as he could, and recalled the extraordinary events
that happened while it was being made.
When Gance began his next production, La Fin du Monde, he ensured
there was a record of the production, which, as an early sound film,
was using an extraordinary range of equipment. The job went to
Eugène [Yevgeni] Deslaw, a young Ukrainian who had come from
Communist Russia with instructions to make a series of short films
about industry. (Deslaw paid a young man called Fred Zinnemann to
take still pictures, but not, alas, on this.) The result, Autour de La Fin
du Monde, was a strange hybrid. Most of it was silent, but it was
necessary to keep the exciter lamp switched on because every so
often it burst into sound (usually when a scene from the final film was
included). More than either of the other Gance-related films, it
conveyed the incredible pressure that he was under. The picture was
produced by a couple of crooked Russians, and turned into a financial
and artistic disaster. There is a rumour that Gance resorted to hard
drugs to get through the experience, and one scene shows him
evidently suffering from almost terminal exhaustion. He had gathered
a crowd of revellers in the massive studio to celebrate the end of the
world in true von Stroheim style – doing whatever they felt like
doing, while the camera prowled around and above them. Actress
Wanda Gréville, who played Mary Magdalene in the German version,
was forbidden to come to work that day. “It was supposed to be very
strong indeed,” she said.
Antonin Artaud was desperate for a role in the film, and the test
Gance shot with him is the most impressive moment in either the
feature or the short. Gance played Christ. Eisenstein visited him at
the studio, and kept the signed picture of Gance with crown of
thorns on the wall of his Moscow flat. (It must have startled his
Bolshevik visitors!) – KEVIN BROWNLOW
Antonin Artaud voleva a tutti i costi recitare nel film e il provino
girato da Gance con lui è il momento più impressionante sia del
lungometraggio che del cortometraggio. Gance interpreta il ruolo di
Cristo; Ejzenštejn gli fece visita allo studio e appese poi la foto
autografata di Gance incoronato di spine alla parete del suo
appartamento di Mosca: con grande stupore, possiamo supporre, dei
suoi visitatori bolscevichi! – KEVIN BROWNLOW
A proposito di / On Autour de La Roue
Dagli elenchi da me rinvenuti delle proiezioni del 1923 di questo
film, si evince che in origine esso fosse notevolmente più lungo della
versione in un solo rullo che è giunta fino a noi. Non posso
assolutamente dire quando o come il film sia stato accorciato a
meno di 20 minuti, ma a giudicare dall’elenco di 57 didascalie che ho
reperito presso gli archivi della Bibliothèque du Film, alla sua prima
uscita esso doveva essere ben più corposo (era diviso in due parti –
“Sinfonia in bianco” e “Sinfonia in nero” – corrispondenti al
materiale filmato nelle due località delle riprese in esterni).
Nell’annuncio pubblicitario che ho ritrovato si legge che Autour de
La Roue fu proiettato al Théâtre des Variétés da lunedì 8 a
domenica 14 ottobre 1923: “Autour de La Roue, prologo in 2 parti
alla tragedia moderna di Abel Gance, interpretato da Séverin-Mars”.
Queste proiezioni furono seguite, la settimana successiva, dalla
versione in quattro parti del film. Almeno in questa sala, sembra,
Autour fu proiettato come una specie di antipasto, prima dell’uscita
del vero e proprio La Roue… – PAUL CUFF, Università di Warwick
(lettera a K. Brownlow, agosto 2010)
I found listings for screenings of the film in 1923 that show it was
originally significantly longer than the one-reel version that survives.
I’ve no idea when or how the film was reduced to less than 20
minutes, but judging by the list of 57 intertitles that I found in the BiFi
archives it was much more substantial when first released (it was
divided into two parts – “Symphony in Black” and “Symphony in
White”, to match the footage of the film’s two locations). The ad I
found said that Autour de La Roue was shown at the Théâtre des
Variétés from Monday 8th to Sunday 14th October 1923: “Autour de
La Roue, prologue in 2 parts to the modern tragedy of Abel Gance,
interpreted by Séverin-Mars”. The four-part version of the film
followed it the next week – so, at least in this one cinema, Autour
seems to have been shown as a kind of taster for the release of La
Roue itself…– PAUL CUFF, University of Warwick (note to Kevin
Brownlow, August 2010)
Grenade, Wanda Vengen [Wanda Gréville], Samson Fainsilber;
35mm, 416 m., 15' (24 fps), sonoro/sound; fonte copia/print source:
Archives françaises du film (CNC), Bois d’Arcy.
Versione originale in francese / French dialogue and intertitles.
AUTOUR DE NAPOLÉON (Société Générale de Films, FR 1927-28)
Questo film, di cui esistono solo frammenti non montati, non è
incluso nella presente rassegna. Presentiamo tuttavia Abel Gance et
son Napoléon di Nelly Kaplan, che incorpora buona parte, forse
tutto, di quanto rimasto del lavoro originale del 1927-28 di Arroy.
Autour de Napoléon, which exists only in unassembled fragments, is
not included in this series: instead we are able to screen Nelly
Kaplan’s Abel Gance et son Napoléon, which incorporates most –
perhaps all – of the material surviving from Arroy’s original 1927-28
film.
ABEL GANCE ET SON NAPOLÉON (Cythère Films, FR 1983)
Regia/dir., scen., mont./ed: Nelly Kaplan; prod: Claude Makovski; f./ph:
Jean Monsigny; mus: Hubert Rostaing, Betty Willemetz; sd. rec: Guy
Villette; narr: Michel Drucker; studio: Billancourt; 35mm, 1592 m., 58'
(24 fps), col., sonoro/sound; fonte copia/print source: Cinémathèque
Suisse, Lausanne.
Versione originale in francese / French dialogue and narration.
Nata in Argentina da famiglia di origine russa, Nelly Kaplan giunge a
Parigi nel 1953, per rappresentare la Cineteca Argentina nel
congresso della FIAF, e vi rimane poi per lavorare come giornalista; nel
1954 incontra Abel Gance, che le affida un ruolo in La Tour de Nesle
(1955). Da questo momento in poi ella diviene (e resta) l’insostituibile
compagna e collaboratrice di Gance: collabora con lui in Magirama,
Austerlitz (in cui interpreta anche il ruolo di madame Récamier), e
Cyrano et d’Artagnan.
Parallelamente, Nelly intraprende una carriera autonoma di cineasta e
scrittrice. Con Gustave Moreau (1962) inizia una notevole serie di
documentari a soggetto artistico, e nel 1967 Le Regard Picasso riceve
al Festival del Cinema di Venezia il principale premio riservato ai
documentari. Il suo primo lungometraggio, La Fiancée du Pirate
(1969), ottiene a sua volta una medaglia d’oro a Venezia e – insieme
agli scritti erotici che ella pubblica con lo pseudonimo di “Belen” – fa
di lei una delle più carismatiche eroine del femminismo degli anni
Settanta. Fra le numerose pubblicazioni di Nelly ricordiamo il volume
della sua corrispondenza con Gance, Mon Cygne, mon Signe; da 22
anni ella è titolare di una rubrica di critica cinematografica su Magazine
Littéraire.
Nelly Kaplan ha girato due documentari sull’amico di una vita – Abel
Gance, hier et demain (1963), in cui il regista compare di persona, e
dopo la morte di lui Abel Gance et son Napoléon (1983), opera di
maggiore respiro che utilizza e valorizza Autour de Napoléon di Jean
Arroy (1927-28). Nella scheda ufficiale del film, curata da Nelly stessa,
si legge: “Da documenti unici e inediti appartenenti a Gance, l’autrice
ha tratto un film che ricostruisce la genesi del capolavoro… Sequenze
AUTOUR DE LA ROUE (Pathé Consortium Cinéma / Films Abel
Gance, FR 1923)
Regia/dir: Blaise Cendrars; mont./ed: Abel Gance(?); f./ph: LéonceHenri Burel, Marc Bujard, Albert Duverger, Gaston Brun; cast: Abel
Gance, Séverin-Mars, Ivy Close, Gabriel de Gravone, Léonce-Henri
Burel, Pierre Magnier, Charles Pathé; 35mm, 252 m., 12' (18 fps); fonte
copia/print source: Archives françaises du film (CNC), Bois d’Arcy.
Proiezione gentilmente autorizzara da Nelly Kaplan. / Shown with the
kind permission of Nelly Kaplan.
Senza didascalie / No intertitles.
AUTOUR DE LA FIN DU MONDE (L’Écran d’Art, FR 1931)
Regia/dir: Eugène Deslaw; prod: Vladimir Ivanoff; f./ph: Jules Kruger,
Nicolas Roudakoff, et al.; cast: Abel Gance, Jules Kruger, Nicolas
Roudakoff, Percy Day, Antonin Artaud, Colette Darfeuil, Sylvie
142
PROLOGUE – 20 ANS APRÈS (Pathé Consortium Cinéma / Films
Diamant, FR 1922)
Regia/dir., mont./ed: Henri Diamant-Berger; f./ph: Maurice Desfassiaux;
cast: Henri Diamant-Berger, Jean Yonnel, Henri Rollan, Pierre de
Guingand, Charles Martinelli; 35mm, 174 m., 9' (18 fps); data
uscita/released: 15.12.1922; fonte copia/print source: Archives
françaises du film (CNC), Bois d’Arcy.
Didascalie flash in francese / French flash intertitles.
L’adattamento seriale in 12 episodi da Les trois mousquetaires di
Alexandre Dumas (1921) fu il successo più travolgente del primo
dopoguerra e spianò la via a un fortunato decennio di spettacolari
produzioni francesi in costume. Il serial, che fu anche il più costoso
realizzato fino ad allora in Francia (2 milioni e mezzo di franchi, di cui
1 milione solo per le scenografie), dette grande notorietà ai suoi
protagonisti e stabilì definitivamente la prassi delle riprese sui luoghi
dell’azione. Per giunta, la popolarità del film e la sua magnificata
fedeltà a Dumas raggiunsero una tale risonanza da scoraggiare la
distribuzione francese della contemporanea produzione rivale di
Douglas Fairbanks.
Tutto ciò fornì abbondante acqua al mulino pubblicitario di Pathé, ivi
inclusa l’inedita strategia di presentare nelle sale francesi un
trailer/anteprima di un solo rullo (sopravvissuto con le didascalie flash
non restaurate). Per ironia della sorte, questa grande novità fu solo
un escamotage dell’ultimo minuto, o almeno così raccontò l’allora
ventiseienne scrittore, produttore e regista Henri Diamant-Berger, un
ex critico con alle spalle poca esperienza di regia ma dotato di
indubbia intraprendenza commerciale.
Per un sovraccarico di lavoro del suo laboratorio, Pathé non riuscì a
stampare in tempo le copie del primo episodio del serial in 12 parti la
cui uscita era stata programmata con largo anticipo per il 7 ottobre
1921 (e in ben 60 sale in contemporanea!). Diamant-Berger assemblò
in fretta un “prologue” di 10 minuti con alcuni spezzoni del serial, i
provini degli attori e una miscellanea di altri materiali documentari. Ai
trionfali annunci pubblicitari del serial apparsi a piena pagina per
settimane su riviste specializzate quali Cinémagazine si aggiunse
questo pomposo avertissement del trailer che apparve il giorno della
sua presentazione nelle sale: “Oggi, 7 ottobre, Prologue –
Annunciando l’imminente uscita dei Trois mousquetaires, ci è parso
utile familiarizzare il pubblico con gli artisti coinvolti nel nostro grande
progetto presentando i protagonisti del serial e una serie di brani
documentari le cui immagini pittoresche gli mostreranno il “dietro le
quinte” della sua realizzazione. Il film fornirà un quadro accurato del
grande sforzo necessario per far arrivare al pubblico un’opera di tale
importanza”.
Dopo aver mostrato il compassato Diamant-Berger mentre fuma la
pipa davanti al suo scrittoio, il film proseguiva con una visita informale
dietro le quinte degli studi Consortium Pathé di Vincennes, di cui si
potevano vedere e ammirare i vari reparti (scenografia, costumi,
parrucche, attrezzeria, comparse, ecc.). Venivano poi inframmezzate
alcune scene ambientate nel Louvre ricostruito in studio da Robert
PROLOGUE – LES TROIS MOUSQUETAIRES (Pathé Consortium
Cinéma / Films Diamant, FR 1921)
Regia/dir., mont./ed: Henri Diamant-Berger; f./ph: Maurice
Desfassiaux; cast: Henri Diamant-Berger, Aimé Simon-Girard, Henri
Rollan, Pierre de Guingand, Charles Martinelli; data uscita/released:
7.10.1921; 35mm, 93 m., 5' (18 fps); fonte copia/print source:
Archives françaises du film (CNC), Bois d’Arcy.
Senza didascalie / No intertitles
143
MAKING OF…
complete ci mostrano in che modo è stato girato Napoléon, … un
gran numero di rare fotografie di scena, il diario tenuto da Gance
durante le riprese, svariati manoscritti da cui emerge quando e come
il grande creatore abbia concepito l’idea dello schermo panoramico e
del Polyvision, e infine eccezionali documenti sonori inediti: per
esempio, la voce dello stesso Gance che legge il suo famoso “Appello”
ai tecnici degli studi di Billancourt nel primo giorno di riprese, per
suscitarne l’entusiasmo di fronte all’immensa impresa che li
attende…” – DAVID ROBINSON
Born in Argentina of Russian parentage, Nelly Kaplan arrived in Paris
in 1953, representing the Cineteca Argentina at that year’s FIAF
Congress. She stayed there working as a journalist, and in 1954 met
Abel Gance, who gave her a role in La Tour de Nesle (1955). From
this time she became and remained Gance’s indispensible companion
and collaborator, working with him on Magirama, Austerlitz (in which
she also played Madame Récamier), and Cyrano et d’Artagnan.
Meanwhile she pursued her own career as a film-maker and writer.
She began a notable series of documentaries on art with Gustave
Moreau (1962), and in 1967 Le Regard Picasso took the major prize
for documentary at the Venice Film Festival. Her first feature, La
Fiancée du Pirate (1969), was also awarded a gold medal at Venice,
and – along with her erotic writings under the pseudonym “Belen” –
launched her as a heroic and key figure of 70s feminism. Her many
publications include the recent volume of her correspondence with
Gance, Mon Cygne, mon Signe, and for 22 years she has maintained a
film column in Magazine Littéraire.
She was to make two documentaries about her life-long friend – Abel
Gance, hier et demain (1963), in which he appeared personally, and,
after his death, the longer Abel Gance et son Napoléon (1983), which
makes profitable use of Jean Arroy’s Autour de Napoléon (1927-28).
Her official synopsis of the film says: “From unique and unpublished
documents belonging to Gance, she has conceived a film which
relates the genesis of his masterpiece… Entire sequences showing
how Napoléon was filmed, … numerous and rare work photographs,
the diary which Gance kept during the shooting, different manuscripts
showing when and how the idea of the panoramic screen and
Polyvision came to the great creator, and exceptional and
unpublished sound documents – for example, the voice of Gance
himself reading his famous ‘Call’ to the technicians of Billancourt
Studios on the first day of shooting, to excite their enthusiasm in face
of the enormous task ahead of them…” – DAVID ROBINSON
Mallet-Stevens, una sequenza filmata in campo lungo con la fuga della
malvagia Milady dalla sua torre prigione (girata a Chenonceau, una
delle molte location fedeli al testo di Dumas) e una serie di
inseguimenti a cavallo (che comprende anche un “ciak sbagliato” di
d’Artagnan mentre scivola dal suo ronzino), ecc.
Se sulle prime l’eccessivo auto-incensamento sciorinato da Pathé quel
7 di Ottobre irritò non pochi tra spettatori e giornalisti, al contrario,
la successiva presentazione dei membri del cast in costume e in
“borghese”, li affascinò, soprattutto la “nuova scoperta” di DiamantBerger, il trentaduenne Aimé Simon-Girard, un artista d’operetta e di
rivista dallo charme giovanile, abile cavallerizzo, acrobata e
schermitore. Simon-Girard (d’Artagnan) e i suoi tre compères di
cappa e spada, Henri Rollan (Athos), Charles Martinelli (Porthos) e
Pierre de Guingand (Aramis) conobbero un’immediata popolarità.
Alcuni luminaires del teatro classico, tra cui Edouard de Max
(Richelieu), Maxime Desjardins (monsieur Treville) e Charles Dullin
(Père Joseph) aggiunsero un tocco di classe.
Come era prevedibile, a questo successo quasi planetario seguì un
Atto secondo: Vingt ans après, adattamento in 10 episodi del secondo
volume della saga sui moschettieri, che raggiunse le sale nel Natale del
1922, anch’esso preceduto da un intenso battage pubblicitario e da un
trailer/anteprima. Pathé, cui si prospettava un profitto a lungo termine
grazie al ricco filone (c’erano ancora da sfruttare i 5 volumi del
Vicomte de Bragelonne), ruppe tutti gli indugi. Diamant-Berger ebbe
carte blanche, un budget di 4 milioni di franchi, la riconferma di
Robert Mallet-Stevens per scene e costumi, migliaia di comparse e un
cast quasi identico, tranne un’unica, cruciale defezione: Simon-Girard.
Con scarsa lungimiranza, i Pathé gli rifiutarono un consistente
aumento di paga e Simon-Girard passò immediatamente alla
Gaumont, dove fu il protagonista del serial sui pirati di Louis Feuillade
Le fils du filibustier (che si contenderà gli incassi natalizi con Vingt ans
après). Simon-Girard fu rimpiazzato in fretta con un raffinato
“tragico” della Comédie Française, Jean Jonnel, ma molti fans non
erano disposti ad accettare sostituti di sorta; e a risentirne fu il box
office. Il coup de grace definitivo fu assestato però dalla rivoluzione
avvenuta ai vertici del Consortium Pathé, i cui nuovi dirigenti decisero
di tagliare drasticamente i costi di produzione. Il progetto del Vicomte
de Bragelonne fu accantonato per sempre.
Vingt ans après è un film più raffinato e girato meglio dei Trois
mousquetaires, e il suo trailer ne restituisce i punti di forza
enfatizzando l’imponente cast – che comprende ben 24 apparizioni
cammeo – e le suggestive ricostruzioni della cattedrale di Notre
Dame e della Whitehall della Londra del 1649 all’epoca della
decapitazione di Carlo I. I vari set delle strade furono ricostruiti in un
terreno nei pressi di Billancourt, dove Diamant-Berger stava
progettando di convertire un hangar di aeroplani abbandonato in un
moderno studio cinematografico – i famosi studi di Billancourt, che di
lì a breve ospiteranno il Napoléon di Gance.
Il momento più straordinario di questo film è tuttavia una breve
sequenza extra cinematografica: durante le riprese in esterni in
Bretagna, Diamant-Berger condusse i suoi attori – nei loro costumi di
scena – a far visita all’anziana e sofferente Sarah Bernhardt nella sua
casa di Belle-Île. Seduta sotto un parasole nel suo giardino, la grande
attrice accolse graziosamente i moschettieri. Un tributo che
commosse per la sua immediatezza umana e al contempo per la sua
dimensione allegorica. – LENNY BORGER
Pathé’s 12-part serial adaptation of Alexandre Dumas’ The Three
Musketeers (1921) was the blockbuster event of the immediate
post-war period and ushered in a rich decade of French period
spectacle films. It was the costliest French production to date (2.5
million francs, one million alone for the sets), made household
names of its lead players, and imposed location shooting as a norm.
Too, the film’s popularity and trumpeted fidelity to Dumas was such
that it kept Douglas Fairbanks’ contemporaneous, rival production
out of France.
All this was grist for Pathé’s publicity mill, which included,
apparently for the first time in French theatres, a one-reel film
trailer/preview (which has survived with unrestored flash titles).
Ironically, this innovation was the result of an 11th-hour emergency,
according to the then 26-year-old producer-writer-director Henri
Diamant-Berger, a former critic with little previous directing
experience but a good deal of entrepreneurial chutzpah.
Due to a backlog at its labs, Pathé could not meet the print demand
for the long-planned 7 October 1921 release for Episode One of
the 12-part serialization (booked into 60 theatres!). DiamantBerger hastily cobbled together a 10-minute “prologue” of
outtakes, screen tests, and miscellaneous documentary footage. The
triumphant full-page ads that had been appearing for weeks in such
film periodicals as Cinémagazine now included this pompous
avertissement on opening day:
“Today, 7 October, Prologue — It seemed useful, both to announce
the film ‘Les Trois mousquétaires’ to the Public and to familiarize it
with the artists who appear in it, to reunite in one film, to be shown
before the start of the action proper, presentations of the main
actors and a series of documentary exposition and picturesque
views that will show the behind-the-scenes of the production. The
film will provide an accurate idea of the great effort required to
bring to audiences a work of this importance.”
The film introduced audiences to a poker-faced, pipe-smoking
Diamant-Berger at his desk, before taking them on a summary tour
behind the scenes at Pathé Consortium’s Vincennes studios, where
they could see and admire the various shops (sets, costumes, wigs,
props, extras, etc.). Interspersed were moments from scenes in
Robert Mallet-Stevens’ studio recreations of the Louvre, long shots
of the villainous Milady’s escape from her tower prison (filmed at
Chenonceau, one of the film’s many authentic locations), pursuits
on horseback (with even a botched take of d’Artagnan’s horse
slipping under him), etc.
If Pathé’s self-aggrandizing display of conspicuous excess rankled
many cinemagoers and journalists that October 7th, the following
144
Henri Baudin, Rolla Norman, Pierre Marodon, Léonce-Henri Burel,
W. Percy Day; 35mm, 173 m., 8' (18 fps); fonte copia/print source:
Archives françaises du film (CNC), Bois d’Arcy.
Senza didascalie/ No intertitles.
Il materiale di questo filmato, assemblato dagli Archives françaises du
film con il titolo Carnet de notes autour de Salammbô de Pierre
Marodon, costituisce uno dei primi documenti francesi di quello che
oggi chiameremmo un “making of”, portandoci nel “dietro le quinte”
della lavorazione di un film degli anni ’20.
Il filmato originale, tre bobine di un nitrato negativo assemblato in
modo casuale, era stato depositato da un laboratorio, preservato nel
1995, e catalogato con il titolo Autour de Salammbô in sintonia con
il titolo del film reportage realizzato l’anno prima (1923) da Blaise
Cendrars sul set di La roue di Abel Gance. Il film è rimasto
probabilmente su uno scaffale fino a questa sua prima riesumazione,
avvenuta dopo il restauro del lungometraggio di Pierre Marodon.
Cogliendo l’occasione di una sua distribuzione in DVD, ne abbiamo
assemblato i vari spezzoni come sequenze organizzate, senza
prefiggerci altro scopo che quello di restituire la forza documentaria
e incidentale del materiale originale. Al titolo di lavorazione adottato
in precedenza, abbiamo preferito l’espressione “carnet de notes”
(taccuino d’appunti), che ci pareva rispecchiasse meglio la natura del
filmato originale.
Probabilmente girate da Léonce-Henri Burel, operatore capo di quella
impresa gigantesca (in precedenza era stato al fianco di Gance sul set
di La roue), le immagini del documentario ci introducono
nell’atmosfera confidenziale del set di Marodon: l’imitazione
clownesca del suo modo di dirigere improvvisata dalle due star
maschili del film (Henri Baudin e Rolla Norman), l’atteggiamento
reverenziale della troupe tecnica mentre si gira una scena nel
santuario del “velo di Tanit”… Il reportage ci mostra inoltre il sistema
di ripresa con tre cineprese azionate a mano, le infrastrutture
architettoniche dei ben attrezzati studi della Sascha Films e gli
stratagemmi usati per evocare un paesaggio nordafricano nei
sobborghi di Vienna. E contiene anche una rara apparizione di W.
Percy Day, il grande artista degli effetti visivi, che vediamo profilarsi
dietro uno dei suoi glass-shots, un dipinto trompe-lœil con la massa
irregolare delle terrazze di Cartagine. – BÉATRICE DE PASTRE
Salammbô, un adattamento dall’omonimo romanzo semistorico di
Gustave Flaubert ambientato nell’antica Cartagine, fu una delle
imprese più ambiziose della sua epoca. Il progetto del film era stato
accarezzato a lungo dal suo sceneggiatore e regista, Pierre Marodon,
un flamboyant ex cronista parlamentare diventato un popolare regista
di cinema e al contempo “homme de lettres” corredato di caramella
con la propensione a sfidare i suoi avversari in duelli d’onore all’arma
bianca. Il suo portamento aristocratico e la sua intransigenza fecero
indubbiamente colpo sui finanziatori di Salammbô, una coproduzione
franco-austriaca girata interamente negli studi viennesi della Sascha
Films. La tutt’altro che trionfale première organizzata all’Opéra di
[CARNET DE NOTES AUTOUR DE SALAMMBÔ DE PIERRE
MARODON] (Sascha Films, Wien / Ets. Louis Aubert, Paris, FR/AT,
1925)
Regia/dir., f./ph: Léonce-Henri Burel; prod: Arnold Pressburger; cast:
145
MAKING OF…
introduction of the cast members, in costume and out, charmed,
beginning with Diamant-Berger’s “discovery”: Aimé Simon-Girard, a
32-year-old operetta and revue artist with juvenile allure and riding,
duelling, and acrobatic skills. Simon-Girard became an overnight
sensation, along with his three swashbuckling compères, Henri
Rollan (Athos), Charles Martinelli (Porthos), and Pierre de
Guingand (Aramis). For an added touch of class, there were such
classical theatre luminaries as Edouard de Max (Richelieu), Maxime
Desjardins (Mr. Tréville), and Charles Dullin (Father Joseph).
Inevitably, there was a second act to this near-planetary success: 20
Years After, a 10-chapter adaptation of Dumas’ first follow-up to
the musketeer saga, which reached theatres at Christmas 1922,
preceded by a new publicity blitz and new preview trailer. With
Pathé potentially sitting on a long-running franchise (after all, there
was 5-volume The Viscount of Bragelonne to come), it pulled out
all stops. Diamant-Berger had carte blanche, a 4-million-franc
budget, Robert Mallet-Stevens again designing sets and costumes,
masses of extras, and a near-identical cast, with one crucial
abstention: Simon-Girard. In their wisdom, Pathé had refused him
an important pay increase – the actor immediately defected to
Gaumont, where he starred in Louis Feuillade’s pirate serial, Le Fils
du flibustier (which competed with 20 Years After for holiday
audiences). Simon-Girard was hurriedly replaced by the
distinguished Comédie Française tragedian Jean Yonnel, but many
faithful fans would accept no substitutes, and box office suffered as
a result. The coup de grâce came in the form of a boardroom
revolution at Pathé Consortium, which decided to cut back heavily
on production. Viscount of Bragelonne was still-born.
20 Years After is a more polished, better directed film than The
Three Musketeers, and the trailer evokes this well, with more
emphasis on the large cast – there are no less than 24 cameo
presentations – and the splendid evocations of Notre Dame
cathedral and London’s Whitehall in 1649 at the time of Charles I’s
beheading. The street sets were erected on a lot at Billancourt,
where Diamant-Berger was proceeding with plans to convert an
abandoned airplane hangar into a state-of-the-art film studio – the
famous Billancourt studios, which would soon house Abel Gance’s
Napoléon.
One brief sequence that stands out in this short document is extracinematic: during location shooting in Brittany, Diamant-Berger
took his troupe – in full costume! – to pay a call on the ageing, ailing
Sarah Bernhardt at her home on Belle-Île. Seated under a parasol in
her garden, she graciously welcomed the musketeers. It was a
tribute that was moving both because of its human immediacy and
allegorical dimension. – LENNY BORGER
AUTOUR DE L’ARGENT (Cinégraphic / Société des Cinéromans, FR
1928/1971)
Regia/dir., mont./ed., f./ph: Jean Dréville; prod: Marcel L’Herbier; cast:
Marcel L’Herbier, Mary Glory, Pierre Alcover, Jules Kruger; narr.
(versione sonora/sd. version): Jean Dréville; data uscita/released:
2.1929 (Cinéma des Agriculteurs, Paris); 35mm, 1137 m., 40' (24 fps),
sonoro/sound; fonte copia/print source: Archives françaises du film
(CNC), Bois d’Arcy.
Versione originale in francese / French narration.
Autour de l’Argent è al contempo una glorificazione dell’arte
cinematografica del muto e un reverenziale tributo al brillante
cameraman Jules Kruger (1891-1959). Irascibile ma di incomparabile
inventiva tecnica, l’alsaziano Kruger cominciò a crearsi la fama di
cameraman scavezzacollo nel 1921, quando si avventurò sulla
sommità del Vesuvio per effettuare alcune spettacolari riprese della
bocca di un vulcano per il melodramma di Luitz Morat La terre du
diable. L’anno seguente fu ingaggiato dalla nuova filiale europea della
Paramount per girare il dramma storico Les opprimés, che rese una
star la cantante Raquel Meller. Decisa a commissionare di persona i
propri “vehicles”, la Meller mise sotto contratto Roussel e Kruger per
realizzare Violettes impériales (1923), uno dei maggiori successi
commerciali del decennio. Oltre a illuminare magnificamente i set in
interni ed in esterni, Kruger introdusse alcune brevi sequenze
caratterizzate da ingegnosi movimenti di macchina che, ça va sans
dire, colpirono Abel Gance. Poco dopo, Kruger raggiunse la troupe di
Napoléon, per rimpiazzare Joseph-Louis Munwiller (anch’egli
alsaziano) come primo cameraman.
Perfino se non fosse sopravvissuto Autour de L’argent, avremmo
sempre il “making of” del capolavoro di Gance come testimonianza di
riprese cinematografiche spericolate. Poche altre immagini sul
temerario lavoro del cameraman sono della stessa forza iconografica
di quelle che ci mostrano Kruger mentre gira la “battaglia” a palle di
neve a Brienne o mentre manovra la sua cinepresa in sella ad un
cavallo durante l’inseguimento di Bonaparte in Corsica.
All’epoca in cui fu scritturato da l’Herbier per L’argent (1928), Kruger
era il cameraman meglio pagato del cinema francese, con un
compenso di 3500 franchi a settimana (più dello stesso Léonce-Henri
Burel). Come confermò in seguito Dréville, la maggior parte degli
avvolgenti, sinuosi, scorrevoli movimenti di macchina di L’argent – in
particolare durante la location di tre giorni nella Borsa di Parigi –
furono suggeriti e spesso eseguiti personalmente da Kruger. Nel film
di Dréville, lo si vede letteralmente fluttuare come un angelo custode
sul proprio universo-studio, appollaiato su una piattaforma aerea.
Kruger lavorò indefessamente anche negli anni 30. Della sua
collaborazione con Raymond Bernard si ricorda soprattutto il film del
1932 Les croix de bois (Le croci di legno) – le cui insuperabili
sequenze di guerra furono cannibalizzate da Darryl Zanuck che le
impiegò come “materiale di repertorio” nelle propri produzioni! – e
Les misérables (1934), dove Kruger introdusse l’uso del piano
inclinato. Nel 1934 rimpiazzò Armand Thirard diventando il
Parigi nell’ottobre del 1924 sancì la fine delle ambizioni artistiche di
Marodon. L’insuccesso di pubblico e di critica del film probabilmente
spiega anche perché non fosse rimasto molto di queste “notes”
assemblate in modo casuale. – LENNY BORGER
The footage assembled by the Archives françaises du film under the
title of Carnet de notes autour de Salammbô de Pierre Marodon,
constitutes one of the earliest French documents of what is now
called a “making-of”, taking us behind-the-scenes of a film in the
making in the 1920s.
The original material, three rolls of unassembled nitrate negative, was
deposited by a laboratory, preserved in 1995, and catalogued under
the title Autour de Salammbô, in keeping with the film made the
preceding year (1923) on the shooting of Abel Gance’s La Roue by
Blaise Cendrars. The footage probably sat on a shelf until this first
exhumation, which followed the restoration of Pierre Marodon’s
feature. Seizing the opportunity of a DVD release, we assembled
these rushes as organized sequences, with no other aim than to
restore the footage’s documentary and incidental force. Abandoning
the working title we had used previously, we instead preferred the
expression “carnet de notes” (notebook), which seemed to better
reflect the original nature of the filmic material.
Possibly shot by Léonce-Henri Burel, chief cameraman of this gigantic
undertaking (who had also flanked Gance on the shooting of La
Roue), these images afford a look into the confidentiality of a film set:
the clownish mimicry of Marodon’s directing manner by the film’s
male stars, Henri Baudin and Rolla Norman, the technical crew’s
reverence as they shoot a sequence in the sanctuary of the “veil of
Tanit”...
But they also document the shooting system of three hand-cranked
cameras, the architectural infrastructure of studio facilities provided
by Sascha Films, the stratagems used to evoke a northern African
landscape in the suburbs of Vienna. There is also a rare glimpse of W.
Percy Day, the great visual effects artist, looming up from behind one
of his glass-shots, a trompe-l’oeil painting of the sprawling terraces of
Carthage. – BÉATRICE DE PASTRE
Salammbô, an adaptation of Gustave Flaubert’s semi-historical novel
about ancient Carthage, was one of the period’s most ambitious
undertakings and a long-cherished project of its writer-director,
Pierre Marodon, a flamboyant ex-parliamentary journalist-turnedpopular filmmaker and ”homme de lettres” who sported a monocle
and was quick to challenge adversaries to duels of honor by rapier.
His autocratic bearing and intransigence no doubt impressed backers
of Salammbô, which was produced in 1924 as a Franco-Austrian coproduction, entirely shot at the studios of Sascha-Film in Vienna.
The film’s less than triumphant premiere at the Paris Opera in
October 1925 put paid to Marodon’s artistic ambitions. Its critical
and commercial failure probably explains why so little remains of
these casually assembled “notes”. – LENNY BORGER
146
cameraman fisso di Julien Duvivier, col quale lavorò anche in Pépé le
Moko [Il bandito della Casbah] e La belle équipe [La bella brigata,
1936]. Nel dopoguerra, la sua stella si offuscò. Artigiano che lavorava
d’istinto, rimase aggrappato ai suoi vecchi metodi e rifiutò di
confrontarsi con le novità, mostrando sempre sovrano disprezzo per
i giovani colleghi esposimetro-dipendenti. Non c’era più spazio per i
“colpi di genio” che l’avevano reso famoso. Kruger concluse la sua
carriera gestendo un piccolo negozio di fotografia nella periferia
parigina. Un po’ come Meliès nel suo negozio di giocattoli.
Il film di Dréville verrà presentato nella versione sonorizzata del 1971,
con la voce narrante del regista. La musica è la stessa delle
registrazioni fonografiche usate per la distribuzione del 1929.
LENNY BORGER
In addition to apotheosizing the art of silent moviemaking, Autour de
l’Argent is an awed tribute to its brilliant chief cameraman, Jules
Kruger (1891-1959). A short-tempered but incomparably imaginative
technician, the Alsatian-born Kruger began to earn his reputation as
a daredevil cameraman in 1921, when he ventured up the slopes of
Mt. Vesuvius for more dramatic footage of the volcano’s mouth in
Luitz-Morat’s melodrama, La Terre du diable.
The following year he was hired by Paramount’s new European
production affiliate to shoot Henry Roussell’s historical drama Les
Opprimés, which made a star of singer Raquel Meller. Eager to
commission her own vehicles, Meller put Roussell and Kruger under
contract to make Violettes impériales (1923), one of the decade’s
biggest blockbusters. Apart from providing its beautiful location and
studio lighting, Kruger introduced brief moments of mobile
camerawork which no doubt caught the eye of Abel Gance. Shortly
after, Kruger joined the production of Napoléon, only to replace
Joseph-Louis Mundwiller (a fellow Alsatian) as chief cameraman.
Even if Autour de l’Argent did not exist, we would still have the
“making of” Gance’s masterpiece as a record of adventurous
cinematography. There are few more iconic images of the heroic
motion picture cameraman than those of Kruger filming the snowball
fight at Brienne or operating a camera on horseback during
Bonaparte’s pursuit across Corsica.
By the time he was hired by L’Herbier to film L’Argent in 1928,
Kruger was the highest-paid cameraman in the French industry,
earning 3,500 francs a week (more even than Léonce-Henri Burel). As
Dréville subsequently confirmed, most of the twisting, turning, gliding
camerawork in L’Argent – notably during the three days of location
shooting at the Paris stock market – were suggestions made and
often engineered by Kruger. In Dréville’s film, he literally hovers over
his studio world like a guardian angel, perched on a flying platform.
Kruger worked with unabated energy into the 1930s. His
collaboration with Raymond Bernard notably produced the 1932 film
Les Croix de bois (Wooden Crosses) – whose unsurpassed combat
footage was cannibalized by Darryl Zanuck for use as “stock shots”
in his own productions! – and Les Misérables (1934), for which
Kruger introduced the tilt shot. In 1934 he replaced Armand Thirard
PARIS-CINÉMA (Beck, FR 1929)
Regia/dir., mont./ed: Pierre Chenal; asst: Jean Mitry; f./ph: Charles
Lemaire, Jean Goreaud, Robert Legeret; cast: Pierre Chenal, Pierre
Nogues, André Rigal, Alain St. Ogan, M. Bizot, Ladislas Starewitch,
Alberto Cavalcanti, Augusto Genina, Carmen Boni; proiezione per
distributori ed esercenti/trade screening: 6.2.1929 (L’Empire, Paris);
data uscita/released: 21.10.1929 (Studio Diamant, Paris); 35mm, 884
m., 39' (20 fps); fonte copia/print source: Archives Gaumont Pathé,
Paris / Cinémathèque française, Paris.
Didascalie in francese / French intertitles.
Nell’autunno del 1928, Pierre Chenal, un caricaturista e disegnatore
di manifesti ventiquattrenne con il pallino fisso del cinema, prese a
prestito una cinepresa Debrie, e, grazie alla sua fluente parlantina,
convinse un editore di giornali a anticipargli 5.000 franchi per
realizzare un cortometraggio documentario “dietro le quinte
dell’industria cinematografica” da presentare nelle sale durante la
prima parte del loro programma. Elevando all’ambito ruolo di
assistente tecnico un amico altrettanto patito di cinema ( Jean-RenéPierre Goetgheluck Le Rouge Tillard des Acres de Presfontaines – il
futuro Jean Mitry), Chenal sfruttò le sue conoscenze per avere libero
accesso a laboratori, atelier, studi e set cinematografici.
In 40 minuti, Chenal descrive la realizzazione di un film dalla A alla
Zeta, partendo dalla fabbrica di cineprese Debrie dove ci viene
mostrato l’assemblaggio e il funzionamento dell’ultimo modello di
cinepresa da studio, la Parvo Debrie L.
La prova sul campo di alcuni nuovi tipi di obiettivo dà spazio alle buffe
esibizioni di vari amici e passanti della vecchia Montmartre, ivi inclusa
una gag del bohémien “Père Frédé”, animateur del leggendario cabaret
Le lapin agile, mentre cerca di sfuggire a un teleobiettivo. Dopo una
rapida visita alla Kodak-Pathé, dove si ha tuttavia modo di assistere alla
fabbricazione della pellicola vergine e alla stampa di alcune copie,
Chenal fa una deviazione che ci conduce dai pionieri dell’animazione
(di disegni e di oggetti tridimensionali) André Rigal, Alan St. Ogan e M.
Bizot – e quindi da Ladislas Starevitch, mago dell’animazione stopmotion di pupazzi, che nel suo minuscolo studio/ abitazione di
Fontenay-sous-Bois, ci mostra alcune delle sue meraviglie.
147
MAKING OF…
as Julien Duvivier’s regular cameraman, and went on to shoot Pépé le
Moko and La Belle équipe.
After the war his star waned. An artisan who worked by instinct, he
clung to his old methods and refused to change with the times,
sniffing at younger colleagues who were dependent on their light
meters. There was no more room for the “strokes of genius” that
had made his name. Kruger ended his professional life running a small
photo shop on the outskirts of Paris. One thinks of Méliès in his toy
shop.
We will be showing Dréville’s 1971 sound version, which includes
a narration spoken by the director. The music is that of the
original phonograph records used for the documentary’s 1929
release. – LENNY BORGER
La pièce de résistence del documentario è tuttavia il “dietro le quinte”
realizzato sul set di due delle più importanti produzioni commerciali
dell’epoca, Capitaine Fracasse di Alberto Cavalcanti e Quartier Latin
di Augusto Genina. La scena notturna finale di Quartier Latin, uno
straziante addio sul marciapiedi della Gare de Lyon, venne scelta da
Chenal come momento clou del suo documentario: tre treni si
mettono in moto nello stesso momento – sul primo dei tre, Carmen
Boni sventola il suo fazzoletto all’uomo che ha appena lasciato sul
marciapiede; il secondo trasporta i vagoni su cui sono stati installati i
proiettori che illuminano la scena; e dal tetto di un vagone del terzo
convoglio, Chenal e la sua troupe effettuano le riprese! Niente male
per soli 5.000 franchi. – LENNY BORGER
In the autumn of 1928, Pierre Chenal, a 24-year-old caricaturist and
poster artist with movies on his mind, borrowed a Debrie camera and
talked a newspaper editor into advancing him 5,000 francs. The pitch:
make a short documentary on the “wings of the film industry” which
could be shown in the first part of theatre programs. Annointing his
no-less movie-mad sidekick as technical assistant (Jean-René-Pierre
Goetgheluck Le Rouge Tillard des Acres de Presfontaines – the future
Jean Mitry), Chenal used his connections to gain access to labs,
ateliers, studios, and film sets.
In 40 minutes, Chenal shows us the making of a film from A to Z,
beginning at the Debrie factory where we follow the assemblage
and workings of the state-of-the-art Parvo Debrie L studio camera.
A demonstration of recent camera lenses is the occasion for some
buffoonery from friends and passers-by in old Montmartre, including
a comic turn by “Père Frédé,” bohemian animateur of the legendary
cabaret Le Lapin Agile, as he tries to dodge a telephoto lens. After
a visit to Kodak-Pathé, where we get a glimpse of the manufacturing
of film stock and the printing of copies, Chenal makes a detour to
visit animation and cartoon pioneers André Rigal, Alan St. Ogan, and
M. Bizot – and to marvel at the wizardry of Ladislas Starevitch,
master of stop-motion puppet animation, at his mini-studio home in
Fontenay-sous-Bois.
The documentary’s pièce de résistance is a behind-the-scenes look
at two major commercial productions of the moment, Alberto
Cavalcanti’s Capitaine Fracasse and Augusto Genina’s Quartier
Latin. The final night scene of the latter, a heartrending farewell on
a platform at the Gare de Lyon, was chosen by Chenal to climax his
documentary: three trains set off at once – in the first, Carmen Boni
waves her handkerchief at the man she has just left on the platform;
the second is pulling cars on which projectors have been installed
to light the scene; on the roof of a car of the third train are Chenal
and his crew filming it all! Not bad for 5,000 francs. – LENNY BORGER
148
Ritratti / Portraits
Om a g g io a / Tr ib u te to Li a m O’ Le a ry
L’IFI/Irish Film Archive celebra il centenario della nascita di Liam Ó
Laoghaire/Liam O’Leary (1910-1992), archivista, militante, cineasta,
storico del cinema, appassionato di cinema
Come ha notato Kevin Brownlow, Liam O’Leary “ha raggiunto
praticamente tutti gli obiettivi che si era proposto” – e in realtà
parecchio di più. Nato a Youghal nel 1910, cioè nell’anno in cui la
Kalem Company giunge in Irlanda dagli Stati Uniti per realizzare i
primi film a soggetto irlandesi, sarà in seguito proprio lui a salvare per
il restauro due film della Kalem: The Lad from Old Ireland (1910) e
Rory O’More (1911). Nel 1934 Liam fonda il Dublin Little Theatre
Guild, primo laboratorio teatrale dublinese, e inizia a proiettare film a
9,5mm in un negozio di alimentari: sono gli albori della Irish Film
Society (fondata nel 1936) e della successiva School of Film
Techniques. Nel frattempo, mentre lavora ancora a tempo pieno
come impiegato della pubblica amministrazione, collabora pure con il
Gate Theatre di Mac Liammóir e Edwards.
Liam (che parla correntemente l’irlandese e usa la forma irlandese del
proprio cognome, Ó Laoghaire, accanto a quella di O’Leary, di più
agevole pronuncia in campo internazionale), dirige poi i film Aiséirghe
(1941) e Scannán Scéala Éireann (1944), mentre nel 1946 cura la regia
di lavori teatrali in lingua irlandese presso l’Abbey Theatre.
Nel 1944 inizia la sua attività indipendente, come sceneggiatore,
attore e regista in svariati progetti radiofonici e televisivi: ricordiamo
il vigoroso film politico Our Country (1947) e l’elegante Portrait of
Dublin (1952). Deluso e frustrato dai mutamenti politico-culturali (a
causa dei quali Portrait of Dublin è stato distribuito solo nel 2009), si
trasferisce a Londra, ove diviene responsabile delle acquisizioni al
National Film Archive. Benché spesso esasperato dal formalismo della
direzione di Ernest Lindgren, Liam ottiene risultati assai rilevanti.
Questo è infatti un periodo d’oro per le acquisizioni archivistiche, e
ancor oggi si ricordano le Archive Nights curate da Liam presso il
National Film Theatre; egli inoltre organizza il primo incontro fra
Kevin Brownlow e Abel Gance.
Nel 1966 Liam torna in Irlanda e assume l’incarico di visionare film per
l’emittente nazionale RTÉ; inizia allora il periodo più proficuo della sua
vocazione di studioso e apostolo della storia del cinema irlandese. Nel
1976 allestisce per il Dublin Arts Festival una mostra del cinema
irlandese da cui nel 1978 nascono i Liam O’Leary Film Archives, una
ricca e variegata collezione che in seguito si trasferisce dall’ingombro
appartamento di Liam alla National Library of Ireland e (per le
pellicole) all’IFI Irish Film Archive. Ai suoi libri precedenti, Invitation
to the Film (1945) e The Silent Cinema (1965), va ora ad aggiungersi
uno studio sul suo idolo, Rex Ingram, Master of the Silent Cinema
(1980); egli avvia pure una storia del cinema irlandese in tre volumi
che è rimasta incompiuta.
Nel giorno del suo ottantaduesimo compleanno, Liam ha la suprema
The IFI Irish Film Archive celebrates the centenary of the birth of
Liam Ó Laoghaire/Liam O’Leary (1910-1992), archivist, campaigner,
film-maker, film historian, film lover
Liam O’Leary, said Kevin Brownlow, “achieved practically everything
he set out to achieve” – and a good deal more. He was born in
Youghal in 1910, the year that the Kalem Company came to Ireland
from the United States to make Ireland’s first fiction films; later he
himself was to rescue for preservation Kalem’s The Lad from Old
Ireland (1910) and Rory O’More (1911). In 1934 Liam founded the
Dublin Little Theatre Guild, Dublin’s first theatre workshop, and
began screenings of 9.5mm films in a grocer’s shop – the beginnings
of the Irish Film Society (established 1936) and its later School of Film
Techniques. Meanwhile, still working full-time as a civil servant, he
also collaborated with Mac Liammóir and Edwards’ Gate Theatre.
Fluent in Irish (he used the Irish form of his name, Ó Laoghaire,
alongside the more internationally pronounceable O’Leary), he
directed the films Aiséirghe (1941) and Scannán Scéala Éireann
(1944), and in 1946 directed Irish-language plays at the Abbey
Theatre.
He began his freelance career in 1944, writing, acting, and directing
for a variety of radio and film projects, including the powerful,
political film Our Country (1947) and the elegant Portrait of Dublin
(1952). Frustrated by politico-cultural changes (which meant that
Portrait of Dublin was not to be released until 2009), he moved to
London to become Acquisitions Officer of the National Film Archive.
Though often irked by the formalities of Ernest Lindgren’s
curatorship, Liam achieved much. These were rich years for archival
acquisitions. Liam’s Archive Nights at the National Film Theatre are
still remembered, and he engineered the first meeting of Kevin
Brownlow and Abel Gance.
In 1966 Liam returned to Ireland and took up a position as film viewer
for RTÉ, the national broadcaster, and subsequently embarked on the
most fruitful years of his mission to commemorate Irish cinema
history. His 1976 exhibition on cinema in Ireland for the Dublin Arts
Festival led to the organizing, in 1978, of the Liam O’Leary Film
Archives – a rich and varied repository which in time moved from
149
RITRATTI
PORTRAITS
soddisfazione di posare la prima pietra dell’Irish Film Archive. Una
settimana più tardi, dopo aver subito una grave operazione chirurgica,
perfettamente consapevole della morte vicina che non cerca affatto di
nascondere (gli restano da vivere dieci settimane appena), fa la sua
prima e unica visita alle Giornate del Cinema Muto. La felicità che
prova nel ritrovare i film della giovinezza – quell’anno Borzage e la
Collezione Komiya – è evidente, intatta e ancora contagiosa. Nella
vita e nel lavoro egli ha sempre portato con sé un meraviglioso senso
di gioiosa avventura, unito alla certezza che “il cinema parla sempre di
noi”. – SUNNIVA O’FLYNN
Liam’s crowded apartment to the National Library of Ireland and (for
the films) to the IFI Irish Film Archive. To his earlier books, Invitation
to the Film (1945) and The Silent Cinema (1965), he added a study of
his idol, Rex Ingram, Master of the Silent Cinema (1980), and embarked
on a three-volume history of Irish cinema that remains unfinished.
On his 82nd birthday Liam had the supreme satisfaction of laying the
foundation stone of the Irish Film Archive. A week later, having
undergone major surgery and knowing and declaring that he was
dying (he was to live only 10 more weeks), he made his first and only
visit to the Giornate del Cinema Muto. His joy in the films of his
youth – that year Borzage and the Komiya Collection – was apparent,
undiminished, and still infectious. His life and his work were infused
with a marvellous sense of joy and adventure, and his certainty that
“The Cinema is all about us”. – SUNNIVA O’FLYNN
Il nuovo partito politico irlandese Clann na Poblachta invitò Liam
O’Leary a realizzare un film che denunciasse la povertà diffusa in
quell’epoca nelle aree urbane. In sequenze che fustigano la pluriennale
inefficienza del governo precedente, il film ci presenta immagina di
povertà, emigrazione e privazioni mai apparse prima di allora sugli
schermi irlandesi. Come strumento di propaganda elettorale, Our
Country contribuì indubbiamente al successo del partito, che riuscì a
entrare nel nuovo governo di coalizione formato dopo le elezioni
politiche del 1948. – SUNNIVA O’FLYNN
The new Irish political party, Clann na Poblachta, invited Liam
O’Leary to make a film revealing the urban poverty that existed at the
time. In sequences discrediting the previous government’s years of
ineffectual leadership, the film presents images of poverty, emigration,
and deprivation never before seen on Irish screens. As a campaigning
film Our Country undoubtedly helped the party secure its place in a
new coalition government after the General Election of 1948.
SUNNIVA O’FLYNN
AT THE CINEMA PALACE: LIAM O’LEARY (Donald Taylor Black, IE
1983)
Regia/dir., scen: Donald Taylor Black; f./ph: Sean Corcoran; mont./ed:
J. Patrick Duffner; mus: Bill Whelan; interv: Kevin Brownlow, Cyril
Cusack, Liam O’Leary, Michael Powell; DigiBeta (da/from 16mm), 52'
(24 fps), col., sonoro/sound; fonte copia/print source: IFI Irish Film
Archive, Dublin.
Versione originale in inglese / English dialogue.
La saggezza ricca di umorismo e calore umano che contraddistingueva
Liam O’Leary emerge con chiarezza da questo documentario
biografico, il quale comprende interviste con lo stesso Liam, con il suo
amico di una vita Kevin Brownlow e con Cyril Cusack e Michael Powell,
offrendoci inoltre un profilo dell’evoluzione del cinema irlandese
dedicato in particolare alla Irish Film Society, uno dei cui fondatori fu
appunto Liam. Quest’opera rappresenta l’esordio cinematografico del
famoso regista di documentari Donald Taylor Black (nato nel 1951),
che in seguito è stato presidente del progetto MEDIA dell’Unione
europea per i documentari creativi; attualmente egli è direttore
creativo presso la Irish National Film School. – SUNNIVA O’FLYNN
The warmth, humour and wisdom of Liam O’Leary are captured in
this biographical documentary. It features interviews with Liam, his
lifelong friend Kevin Brownlow, Cyril Cusack, and Michael Powell, and
provides a portrait of the evolution of cinema in Ireland with
particular focus on the Irish Film Society, of which Liam was a
founder. This was the debut film of the noted documentary director
Donald Taylor Black (b.1951), later Chairman of the European Union
MEDIA Project for Creative Documentary and currently Creative
Director of the Irish National Film School. – SUNNIVA O’FLYNN
[LIAM O’LEARY – MONTAGE] (Irish Film Institute, IE 2010)
Mont./ed: Irish Film Institute; DigiBeta (da/from 16mm & 35mm), c.5'
(24 fps), b&w, col., sonoro/sound; fonte copia/print source: IFI Irish
Film Archive, Dublin.
Versione originale in inglese / English dialogue.
Miscellanea di clip di film irlandesi che Liam O’Leary ha diretto o in
cui fa brevi apparizioni – da Mr. Careless Goes to Town (1949) a Red
and Green (1991). / A miscellany of extracts from Irish films directed
by, or featuring cameo appearances from, Liam O’Leary – from Mr.
Careless Goes to Town (1949) to Red and Green (1991).

THE MASKS OF MER (Michael Eaton, GB 2010)
Regia/dir., prod., scen., f./ph., mont./ed., narr: Michael Eaton; cast:
Michael Maloney (voce di/voice of Alfred Haddon); DVD, 40', col.,
sonoro/sound; fonte copia/source: Michael Eaton.
Versione originale in inglese / English dialogue and narration.
The Masks of Mer è la storia di un film: un film girato più di cent’anni
fa e di durata inferiore a un minuto, il cui carattere unico travalica
però di gran lunga l’età veneranda e il brevissimo metraggio. Nel 1898
Alfred Haddon guidò la spedizione dell’università di Cambridge alle
isole dello stretto di Torres, tra la Nuova Guinea e la costa
nordorientale dell’Australia. Fra i molti strumenti scientifici di cui
disponevano gli studiosi vi era una cinepresa, che purtroppo giunse a
destinazione solo un paio di giorni prima che essi dovessero lasciare
l’isola di Mer. Tuttavia, il film che Haddon riuscì a girare – pur quasi
ignorato fino a pochi anni fa – costituisce probabilmente il primo
esempio di cinema antropologico; questa pellicola, quindi, solleva quei
problemi di autenticità e interpretazione che, fin da allora, non hanno
mai cessato di far discutere gli specialisti di film etnografici. The Masks
of Mer narra questa vicenda straordinaria e recupera le maschere
OUR COUNTRY (Irish Civic Films, IE 1947)
Regia/dir: Liam Ó Laoghaire [Liam O’Leary], Brendan Stafford; scen:
Maura Laverty; narr: Noel Hartnett; DigiBeta (da/from 16mm), 8' (24
fps), sonoro/sound; fonte copia/print source: IFI Irish Film Archive,
Dublin.
Versione originale in inglese / English dialogue.
150
“capture” indigenous peoples in their own environment, Haddon
became especially fascinated by the ceremonies of the Malu cult on
the island of Mer – when boys became men. Though these rites had
been largely suppressed by missionaries, Haddon managed to
persuade his friends among the elder initiated men to make copies of
the long-lost masks and recreate the awesome, secret, sacred
ceremony. The Masks of Mer is a documentary about these masks
and Haddon’s attempt to film them.
*Examples of Haddon’s Torres Straits footage were included in the
“Sounds of British Silents” presentation at the 2009 Giornate del
Cinema Muto. – MICHAEL EATON
sacre – ancora esistenti – indossate nella cerimonia di iniziazione
filmata da Haddon. Quest’ultimo presentò al pubblico il suo lavoro
proiettando i film “sincronizzati” parallelamente alle registrazioni
fonografiche effettuate dall’équipe di studiosi (esperimento che
questo cortometraggio riproduce).
Alfred Cort Haddon (1855-1940) esordì nel mondo accademico come
zoologo, specializzato in biologia marina. Nel 1888, però, nel corso di
un viaggio di ricerca alle isole dello stretto di Torres, site a nord della
regione australiana del Queensland, egli maturò un crescente
interesse per gli abitanti delle isole anziché per la fauna marina.
Rientrato in Gran Bretagna, si dedicò all’antropologia, e nel 1898
guidò la spedizione antropologica dell’università di Cambridge allo
stretto di Torres. Utilizzando il mezzo cinematografico per
“catturare” le popolazioni indigene nel loro ambiente, Haddon subì in
particolare il fascino del culto Malu dell’isola di Mer, che segna il
passaggio dei ragazzi alla virilità. Benché questi riti fossero stati ormai
in gran parte soppressi dai missionari, Haddon riuscì a persuadere
alcuni suoi amici, uomini anziani già iniziati, a fabbricare copie delle
maschere da lungo tempo perdute e a ricreare quella cerimonia sacra,
segreta e impressionante. The Masks of Mer è un documentario su
queste maschere e sul tentativo di Haddon di filmarle.
*Alcuni brani del materiale filmato da Haddon nelle isole dello stretto
di Torres sono stati inclusi nel programma “I suoni del cinema muto
inglese” presentato alle Giornate del Cinema Muto del 2009.
MICHAEL EATON
The Masks of Mer is the story of a film – a film shot over a hundred
years ago, lasting for less than a minute, but a film whose uniqueness
transcends the long age and short duration. In 1898 Alfred Haddon
led the Cambridge University Expedition to the Torres Strait islands
between New Guinea and the north-east coast of Australia. Among
the team’s many scientific instruments was a cinematograph, which
unfortunately only arrived a couple of days before they had to leave
the island of Mer. Nevertheless, the film Haddon did manage to
shoot, largely neglected until recent years, arguably constitutes the
first example of anthropological cinema, and this footage raises
questions of authenticity and reconstruction which have determined
discussion about ethnographic film ever since. The Masks of Mer tells
this extraordinary story, and traces the sacred masks worn in the
initiation ceremony filmed by Haddon and which still exist. Haddon
himself publicly presented the work with his films “synchronised”
alongside the team’s phonographic recordings – an experiment which
this short film reproduces.
Alfred Cort Haddon (1855-1940) began his academic career as a
zoologist with a particular interest in marine biology. In 1888,
however, on a research trip to the islands in the Torres Strait off the
north coast of Queensland, Australia, he became increasingly
interested in the islanders themselves rather than marine fauna.
Following his return to Britain he devoted his life to the study of
anthropology, and in 1898 led the Cambridge Anthropological
Expedition to the Torres Straits. Using the cinematograph to
L’OURAGAN KALATOZOV (Hurricane Kalatozov) (Les Films du
Horla, FR 2009)
Regia/dir., scen: Patrick Cazals; f./ph: Jacques Malnou, Cyrille Renaux;
mont./ed: Eric Beaufils; sd. rec: Eric Lesachet; materiali archivistici
forniti da/archival contributions: Georgian Cinema Centre, Mikhail
Kalatozov Fund, Arkéion Films; DigiBeta, 74', col., sonoro/sound;
fonte copia/source: Les Films du Horla, Argenteuil. In collaborazione
con/Made with the collaboration of the CNC, CinéCinéma, Mikhail
Kalatozov Fund, ICAIC (Cuba), Procirep, ANGOA.
Versione originale in francese, con sottotitoli inglese / French
dialogue, with English subtitles.
Il nuovo documentario di Patrick Cazals è un prezioso complemento
alla pionieristica retrospettiva dedicata dalle Giornate 2010 ai film
muti di Mikhail Kalatozov, qui nella sua duplice veste di regista e di
immaginifico direttore della fotografia per Lev Push. Il film si
concentra in particolare sull’ultimo periodo della sua esistenza, a
partire dal 1958, quando Letjat žuravli [Quando volano le cicogne]
vinse la Palma d’oro a Cannes elevando questo regista di grande
talento a fama internazionale – quasi una sorta di piccola ricompensa
per le dure opposizioni che avevano angariato la sua carriera giovanile
nel muto. La nuova scuola emergente di giovani registi sovietici degli
anni ’70 riconobbe il proprio debito allo stile virtuosistico di
Kalatozov – troppo audacemente innovativo per il cinema sovietico
del muto – e in particolare al suo ritratto della seconda guerra
mondiale in termini molto umani e realistici in fatale contrasto coi
canoni eroici dell’ufficialità. Dopo Letjat žuravli, Kalatozov avrebbe
girato altri tre film, Neotpravlennoe pis’mo (La lettera non spedita,
1960); Ja Cuba (Io, Cuba, 1964), un’opera ingenuamente
propagandista ma di formidabile impatto visivo, riscattata dall’oblio
solo in anni recenti da Martin Scorsese e Francis Coppola; e infine la
spettacolare co-produzione italo-sovietica La tenda rossa / Krasnaja
palata (1969), che vide debuttare sullo schermo un giovane attore
russo già autore di due cortometraggi di modeste pretese, Nikita
Mikhalkov.
Girato a Mosca, Tbilisi, L’Havana, Honfleur e Parigi, il film di Cazals
getta uno sguardo sulla vita di Kalatozov e sulle difficoltà affrontate dal
151
RITRATTI
PORTRAITS
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P r im a mo n di a le / Wo rl d Pr em ie r e
PALACE OF SILENTS: THE SILENT MOVIE THEATER OF LOS
ANGELES (Cardoza Productions/Rugged Entertainment, US 2010)
Regia/dir., mont./ed: Iain Kennedy; prod: Iain Kennedy, Elizabeth
Binggeli; f./ph: Marty Mullen; mus: Benedikt Brydern; canzoni eseguite
da/songs performed by: Janet Klein and Her Parlor Boys;
testimoni/witnesses: Elaina Archer, Hadrian Belove, Michael F. Blake,
Bob Birchard, Matt Cornell, Mark Evanier, Bill Field, Tom Fitzgerald,
Bob Gelfand, Murray Glass, Lieutenant Alan Hamilton, Dan Harkham,
Mike Hawks, Charlie Lustman, Detective John Miller, Bob Mitchell,
Frankie Montiforte, Dean Mora, David Slaughter, Kevin Thomas,
George E. Wagner, Michael Yakaitis, Valerie Yaros; DVD blu-ray, 80',
col., sonoro/sound; fonte copia/source: Cardoza Productions/Rugged
Entertainment, Los Angeles.
Versione originale in inglese / English dialogue.
Portato a termine solo poche settimane prima dell’inizio delle
Giornate del Cinema Muto 2010, quest’affascinante documentario
si impone immediatamente all’attenzione come un lavoro che
chiunque sia interessato al cinema muto deve vedere.
Non siamo di fronte soltanto al ritratto, ricostruito attraverso una
ricerca freddamente oggettiva, di un’istituzione longeva e singolare
e delle vicende umane di coloro che l’hanno portata avanti nel
corso del tempo: John e Dorothy Hampton nella loro solitudine
oppressa da tristi segreti; Laurence Austin, dall’oscuro passato e
atteso da una morte ancor più oscura.
L’elemento che unisce queste persone, e anche la folla di testimoni
che contribuiscono al film – critici, storici, perdigiorno, musicisti,
persone qualunque e piccoli eroi della vita di ogni giorno – è
l’appassionata disponibilità a farsi catturare e possedere dalle
ombre che popolavano gli schermi silenziosi di un tempo. Il film di
Iain Kennedy è un inno al cinema muto, elevato attraverso le parole
e trasfigurato nello sguardo della comunità del Silent Movie
Theatre, e arricchito poi da un suggestivo montaggio di scene,
talvolta rarissime, di film muti. Gli abituali frequentatori delle
Giornate proveranno più di una volta l’inquietante sensazione di
guardare non uno schermo, ma uno specchio.
Così scrive la co-produttrice Elizabeth Binggeli:
“A Los Angeles, in Fairfax Avenue, c’è un piccolo cinema da 150
posti che da 68 anni si dedica ostinatamente alla proiezione di film
muti. Costruita nel 1942 da John Hampton, eccentrica figura di
collezionista e militante della conservazione delle opere
cinematografiche, questa sala ha abbracciato la causa del cinema
muto proprio nel momento in cui, nel resto della città, gli studi
hollywoodiani erano intenti a distruggere le proprie collezioni di
copie nitrato. Nonostante le seggiole scomode, l’accompagnamento musicale di dischi jazz e le copie talvolta discutibili,
questa scalcagnata impresa familiare è divenuta ugualmente un
tempio per i pochi fanatici che ne hanno formato il fedele pubblico.
Lungo tutti i tumultuosi anni di attività della sala, proprietari e
dipendenti hanno combattuto duramente per mantenere in vita la
regista sotto la cappa oscurantista dell’URSS. Cazals ricostruisce la
storia della dinastia di Mikhail attraverso il figlio Georgi (1929-1984)
scrittore e regista di cinema georgiano, e il nipote Mikheil (1959-2009)
produttore e regista attivo in Russia. Anni or sono, Mikheil aveva
fondato il Kalatozov Fund, con l’obiettivo di “difendere e sviluppare la
cinematografia nazionale, inserendosi nella migliore tradizione del
cinema mondiale, preservando e promuovendo l’eredità creativa dei
grandi maestri del cinema russo”. Mikheil ha collaborato attivamente
alla realizzazione di questo film, prima della sua prematura scomparsa
nell’autunno del 2009, fornendo una preziosa documentazione delle
immagini visive attinenti alla carriera di tre generazioni di cineasti della
famiglia Kalatozov. Altri contributi raccolgono le testimonianze di
Claudia Cardinale, star femminile di La tenda rossa; di Enrique Pineta
Barnet, romanziere e co-sceneggiatore cubano di Ja Cuba; di Salvador
Wood, attore in Ja Cuba; e degli studiosi di cinema Kirill Razlogov,
Sergei Kapterev, Valérie Pozner e Françoise Navailh. – DAVID ROBINSON
Patrick Cazal’s new documentary is a valuable complement to the
Giornate’s ground-breaking retrospective of the silent films of Mikhail
Kalatozov, as director in his own right and as a highly creative
cinematographer for Lev Push. The film especially illuminates the final
period of his life, when The Cranes Are Flying took the 1958 Cannes
Golden Palm and suddenly elevated this gifted director to
international stature – some slight recompense for the obstructions
that had plagued his youthful career in silent films. The outstanding
new 70s school of young Soviet directors acknowledged their debt to
Kalatozov’s fearless use of a bravura style new to the Soviet cinema
and his portrayal of the Second World War in human and realistic
rather than the approved heroic terms. He was to make three more
films, The Unsent Letter (1959); the naïvely propagandist but visually
stunning Soy Cuba (I Am Cuba) (1964), later rescued from oblivion
by Martin Scorsese and Francis Coppola; and finally the spectacular
Soviet-Italian The Red Tent (1969), which incidentally gave a role to a
young Russian actor who had just directed two modest short films –
Nikita Mikhalkov.
Shot in Moscow, Tbilisi, Havana, Honfleur, and Paris, Cazal’s film looks
at Kalatozov’s life and the effects upon it of the dark history of the
former USSR. It traces the Kalatozov dynasty through Mikhail’s son
Georgi (1929-1984), a writer and director in Georgia, and his grandson
Mikheil (1959-2009), a producer and director active in Russia. Mikheil
established the Kalatozov Fund, with the object of “supporting and
developing national cinematography, continuing the best traditions in
world cinema, and preserving and promoting the creative heritage of
the Russian film masters”. Mikheil took an active part in the making of
this film before his early death in Autumn 2009, and made available its
rich pictorial documentation of the three film-making generations of
the Kalatozov family. Others who contribute to the film include
Claudia Cardinale, star of The Red Tent, Enrique Pineda Barnet, the
Cuban novelist and co-writer of I Am Cuba, Salvador Wood, actor in
I Am Cuba, and the scholars Kirill Razlogov, Sergei Kapterev, Valérie
Pozner, and Françoise Navailh. – DAVID ROBINSON
152
Completed only weeks before the 2010 Giornate, this haunting
documentary instantly establishes itself as indispensable viewing for
everyone with feeling for silent cinema. It is much more than an
investigative portrait of a singular and enduring institution and of
the lives of people who maintained it over the years – the reclusive
John and Dorothy Hampton with their sad secrets; Laurence Austin
of the dark past and darker death. What links these people, and the
many witnesses who contribute to the film – critics, historians,
ne’er-do-wells, musicians, plain folks and small-time saints – is the
passion to be possessed by the shadows of the silent screen. Iain
Kennedy’s film is a paean to silent cinema, both through the words
and the eyes of the Silent Movie Theatre community, and the richly
evocative montages of scenes – some startlingly rare – from the
silents. Giornate habitués will often have the eerie sense of looking
not at a screen but a mirror.
The co-producer Elizabeth Binggeli writes:
“On Fairfax Avenue in Los Angeles there is a 150-seat movie
theater that for over 68 years has doggedly dedicated itself to the
exhibition of silent films. Built in 1942 by maverick film
preservationist and collector John Hampton, the theatre
championed silent film at the very moment when the Hollywood
studios across town were busily destroying their nitrate inventories.
With hard chairs, jazz-record accompaniments, and sometimes
dubious prints, the dingy mom-and-pop operation was nonetheless
a palace to the fanatical few who became its loyal audience. Through
the theatre’s tumultuous years of operation, its owners and
employees have struggled to keep a cherished art form alive, often
paying a heavy price in the personal tragedies that have stemmed
from this struggle: obscurity, financial ruin, and even murder.
“Through interviews, archival footage and detailed research, Palace
of Silents reveals the touching, twisted, and bloody history of one
independent theatre’s successful attempt to stubbornly buck every
cinematic trend in the hometown of American cinema.”
The director Iain Kennedy has done practically every job in movies
since 1996. He is producer, writer, and editor of the Emmynominated John Travolta episode of Biography. – DAVID ROBINSON
153
RITRATTI
PORTRAITS
P rim a m on d ia l e / Wo rl d Pr e mi er e
PREMIÈRE PASSION (Vivement Lundi !, con/with Blink Productions /
Lobster Films, FR 2010)
Regia/dir., scen., narr: Philippe Baron; prod: Jean-François Le Corre;
consulente storico/historical consultant: Michel Derrien; f./ph:
Philippe Elusse, Philippe Baron, Fabrice Richard, Christophe Cocherie;
mont./ed: Stéphanie Langlois; computer graphics: Jean-Noël Duval,
Denis Le Paven, Greg Nieuviarts, Sabine Jaffrennou; sd. rec: Pierrick
Cohéléach; mus: Yan Volsy; voci/voices: Catherine Riaux (Gene
Gauntier), Gilles Ronsin (Robert Bland); DigiBeta, 54', col.,
sonoro/sound; fonte copia/source: Vivement Lundi !, Rennes.
Versione originale in francese e inglese, con sottotitoli in inglese. /
French and English dialogue, with English subtitles.
L’illuminante documentario di Philippe Baron ispira la dovuta
ammirazione per l’audace impresa di Sidney Olcott nel realizzare
From Manger to the Cross, e al contempo suggerisce una
rivalutazione di questo film del 1912. Che ora non ci appare più come
un curioso e arcaico reperto di cinema religioso, ma come una pietra
miliare del secondo decennio del cinema. La società di produzione
Kalem aveva già sperimentato le riprese in località esotiche con una
trasferta irlandese nel 1910; e nel dicembre del 1911 una sua troupe
di artisti e tecnici fece rotta alla volta del Medio Oriente per
realizzare un film sulla vita di Gesù. La loro prima tappa fu il Cairo,
dove vennero girate le scene della fuga in Egitto con la Sfinge e le
Piramidi come sfondo. In una Gerusalemme non ancora centro
mondiale del turismo religioso, trovarono l’autenticità scenografica
che andavano cercando. La via crucis fu girata nella Via Dolorosa – la
prima delle ricostruzioni storico-religiose che in seguito diventeranno
un rito annuale: Baron contrappone alla versione di Olcott le
immagini e i suoni di una rappresentazione odierna della Passione.
Il ruolo interpretato, e in particolare la scena della crocifissione cui
aveva partecipato una folla enorme di fedeli in lacrime, lasciò un segno
indelebile nell’attore inglese Robert Henderson Bland, il Cristo del
film. In seguito, Henderson divenne un eroe di guerra e, dopo essere
apparso in una manciata di film, si distinse sulla scena teatrale in ruoli
di comprimario, scrisse poesie e un volume di memorie.
La troupe proseguì poi verso nord, e Olcott e Gene Gauntier, che
oltre a interpretare la Madonna era in primis una scrittrice,
viaggiarono a cavallo fino a Nazareth. All’epoca non c’erano i controlli
né i check-point di oggi, ma non mancavano i malfattori e i briganti, e
Gene Gaultier, che teneva un diario, si vantò con orgoglio di aver
percorso le 240 miglia di distanza in soli 5 giorni. En route, si
fermarono a più riprese per girare qualche scena, usando le comparse
locali e in villaggi le cui architetture erano probabilmente rimaste
immutate dai tempi di Gesù. A riprese ultimate, si videro costretti a
lasciare il paese di gran fretta, per sottrarsi alle minacce dei
taglieggiatori.
Il film che ne risultò cambiò completamente le abitudini del pubblico.
I borghesi e i cittadini di stretta osservanza religiosa, che fino ad allora
avevano considerato il cinema con sospetto, si sentirono legittimati ad
loro forma d’arte prediletta, scontando spesso il duro prezzo delle
tragedie personali che questa stessa lotta ha provocato: oscurità,
rovina finanziaria, persino l’omicidio.”
Per mezzo di interviste e materiali di repertorio e attraverso una
meticolosa opera di ricerca, Palace of Silents ricostruisce la storia
commovente, contorta e sanguinosa di una sala indipendente che
con ostinata tenacia è riuscita a resistere al turbinoso mutare delle
mode proprio nella città che è la patria del cinema americano.”
È dal 1996 che regista Iain Kennedy lavora nel mondo del cinema e
in quest’arco di tempo ha svolto praticamente tutti le possibili
mansioni. Per la serie Biography ha prodotto, scritto e montato
l’episodio riguardante John Travolta che ha ricevuto la nomination
per l’Emmy. – DAVID ROBINSON
The role, and particularly the scene of the crucifixion, watched by
great crowds of wailing people, left a deep and permanent impression
on the English actor Robert Henderson Bland, who played Christ. He
went on to be a war hero: and afterwards appeared in a few films,
played distinguished supporting roles in the theatre, and published
poems and a volume of memoirs.
The unit moved north to Nazareth, Olcott and Gene Gauntier, who
was writer as well as playing the Virgin Mary, travelling on horseback.
There were then no controls and check-points, but there were
outlaws and bandits, and Gene Gauntier’s diary expresses pride in
making the 240 miles in only 5 days. En route they would stop and
film a scene here and there, using local extras and villages whose
architecture had probably hardly changed since the time of Christ.
The shooting finished, they were obliged to leave the country in a
hurry, menaced by extortionists.
The completed film changed film-going habits. The religious and
bourgeois for whom the cinema had previously been suspect could
legitimately visit a film that was praised (following a reverent
preview screening) by the church, and whose intertitles were
verbatim biblical quotations. A superproduction, in 5 reels and
costing $35,000, it demanded larger and more prestigious exhibition
places than the old nickelodeons – though not all theatres followed
the trade press’s advice to burn a little (but not too much) incense
before the show.
The specialist commentators assembled by Baron’s film discuss the
place of From the Manger to the Cross in the larger history of
biblical illustration, and find its sincere quest for authenticity gives it
far greater conviction than most of the 70 cinema lives of Christ
that have followed it. Especially notable is the research that now
reveals how closely the film’s vision of the life and times of Christ
is based on the Bible illustrations of James Tissot (which had already
been popular as magic lantern slides). At least a quarter of the
scenes are directly inspired by Tissot compositions; and Baron’s film
emphasizes the common concern of Tissot and Olcott to combine
mysticism with realism both in terms of psychology and the
recreation of the natural world of Biblical times. “From the Manger
to the Cross is the link between 900 years of biblical representation
in painting, and 100 years in film.” Here is a rarity – a vivid and
gripping story matched with real scholarship – DAVID ROBINSON
andare a vedere un film elogiato dal clero (dopo una riverente
anteprima) e le cui didascalie erano citazioni letterali dalla Bibbia. Una
superproduzione di tale impegno, un film in 5 rulli costato 35.000
dollari, richiedeva senza meno sale più ampie e prestigiose dei vecchi
nickelodeon – pur se non tutti gli esercenti seguirono il consiglio della
stampa di categoria che suggeriva di bruciare un po’ d’incenso (ma
non troppo) prima di ogni spettacolo.
Gli studiosi di varie discipline radunati nel documentario di Baron
disquisiscono sulla collocazione di From the Manger to the Cross nel
vasto ambito dell’illustrazione biblica nella storia dell’arte e
riconoscono che il sincero anelito di autenticità che lo contraddistingue
lo rende molto più convincente di gran parte dei 70 successivi film sulla
vita di Cristo. Di particolare interesse è la ricerca che ci rivela come la
raffigurazione della vita ai tempi di Cristo del film di Olcott sia in larga
parte ispirata alle illustrazioni della Bibbia di James Tissot (che peraltro
erano già state abbondantemente riprodotte e rese popolari dalle
lanterne magiche). Almeno un quarto delle scene sono direttamente
ispirate alle composizioni di Tissot; e il film di Baron sottolinea il
comune impegno di Tissot e Olcott nel coniugare misticismo e
realismo sia in ambito psicologico che nell’accurata ricostruzione degli
usi e costumi ai tempi della Bibbia. “From the Manger to the Cross è il
trait d’union tra i 900 anni di rappresentazione biblica nella pittura e i
successivi 100 anni nel cinema.” Il film di Baron – e questo costituisce
anche la sua preziosa unicità – riesce a coniugare una narrazione vivace
e avvincente con una vera erudizione. – DAVID ROBINSON
Philippe Baron’s commanding documentary inspires both awe for
Sidney Olcott’s audacity in undertaking From the Manger to the Cross,
and revaluation of this 1912 film. Now we see it not just as a quaint
archaic devotional film, but as a landmark in the cinema’s second
decade. The Kalem company had already experimented with filming on
exotic locations in 1910 when they made their Irish expedition; and in
December 1911 they embarked for the Middle East to make a film of
the life of Jesus. Their first stop was Cairo, where they filmed the
scenes of the flight into Egypt with the Pyramids and the Sphinx as
background. In a Jerusalem still not established as a centre for pilgrim
tourism, they sought out authentic backgrounds. The way to the cross
was filmed in the Via Dolorosa – the first of the recreations that have
since become an annual ritual: Baron contrasts Olcott’s version with
the sights and sounds of a contemporary Passion Play.
154
THE ARCHIVE
MEMORY, CINEMA , VIDEO AND THE IMAGE OF THE PRESENT
Convegno Internazionale di Studi sul Cinema
XVIII International Film Studies Conference
Udine, April 4-7, 2011
Jacques Derrida reminded us how the word archive (Archè) combines both the ideas of beginning and order: the place where things get started, and
where the sources reside, but at the same time the place where the Law arises and where it finds its dwelling.
In the regime of the image the archive is the site of recorded and transmitted images, but also what Jacques Rancière defines as «the organization of the
sensible»: that instance which regulates, institutes and organizes the places and positions of access to the experience of the visual. Nevertheless the
archive is not a one-dimensional concept: it is not only made by objects and concreteness, but also by void spaces, missing elements, silences, which
preserve not only the transmittable history but also the trace of what could have been but was not and nevertheless persists in the present time.
While a widespread tradition always understood history as a vertical narrative and is written as a book whose author is a constituent subject, the archive
appears as a radical heterogeneity, paratactic and organized by a multiplicity of elements. Michel Foucault underlined how history is linked to the question
of the constituent subject, while archaeology reverses the question and claims how it is the subject itself which is constituted by a thick network of
practices of knowledge and technologies of power. The archive is not defined by the statics of its object, but rather by the lack of its subject.
In recent years many reflections in the fine arts, cinema, philosophy, etc., turned their attention to the concept of the archive and in general to practices of
paratactic juxtaposition: as if a new experience of historical time was emerging. Digital culture, for instance, along with the new possibilities for the
organization and recording of knowledge connected to it, opens up new perspectives for the construction and access of knowledge.
We would therefore like to refer to the associations opened up by the concept of the archive in its expanded conception. The archive is a discursive and
yet physical place where dialectical and conflicting negotiations between the genealogical practices and apparatus of power take place. And where what
is at stake is nothing less than the form and modalities of the present regime of the visual.
Institutions, knowledge, apparatus. Which institutions, knowledge, power apparatuses define and organize the contemporary visual? Which agents,
subjects, norms and conditions of access are legitimized or made illegitimate?
The Digital Archive. How do the ways of recording and preservation made possible by the digital turn define archival practices and the organization of
knowledge? Which kind of relationship with time, history and memory does the pervasive possibility of filming, recording, decoding, and storing establish?
Memory, image, historical time. Are images examples of the recorded and archived past? Are the enormous archives of images an example of a
technological preservation of memory? Or, rather, do their supposed accuracy and adherence hide blank spots, silences, missing elements? What does
an image say or not say?
Archival subjects. How is it possible to make an archive speak? Which is the subject (institution or ideology) that is entitled to make it speak? Are we
constituent subjects (active) of an archive or are we subjected (passive) to it and to the conditions of possibility of the visual implied by an archive?
Archive and its traces. What is the status of material traces preserved in the archive? In which way do cultural artifcats hide and reveal at the same time
a complex set of cultures, agents and audiovisual memory?
Deadline for paper proposals: November 1, 2010.
Length for proposal: 1 page max. A short CV (10 lines max.) should be sent together with the paper proposal.
Further information:
Dipartimento di Storia e Tutela dei Beni Culturali - Università degli Studi di Udine, Palazzo Caiselli, Vicolo Florio 2 - 33100 Udine, Italy
fax: +39.0432.556644 - e-mail: [email protected] - http://filmforum.uniud.it
THE ARCHIVE
MEMORY, CINEMA , VIDEO AND THE IMAGE OF THE PRESENT
IX MAGIS – Gorizia International Film Studies Spring School
Gorizia, April 8-13, 2011
The IX MAGIS Spring School, organized by the University of Udine and the University of Paris III in collaboration with their network - the Universities of
Amsterdam, Bochum, Prague, Valencia, Milano-Cattolica, Pisa and CineGraph/Hamburg - as part of the activities of the International Ph.D. in Audiovisual
Studies, will be focused on the relationship between audiovisual forms and the notion of the Archive. With the help of scholars, graduate students,
artists, curators and representatives of art institutions, the IX Spring School will address in plenary sessions and workshops the main topic of “the Archive”
in relation to specific disciplinary fields, objects and perspectives of research, with an emphasis on:
Cinema & Contemporary Visual Art. Archival forms dominated curatorial and art practices in the last decade. On one hand, it enabled a retrospective
point of view towards modernist references, re-evaluating their historical importance as their utopian aspect and experimental gesture. On the other hand,
it made possible assemblage and manipulation of sources and gave rise to a different phenomenological experience of reality. The Cinema & Contemporary
Visual Arts section aims to investigate the archive form through the analysis of its significance along these two paths.
Archive & Post-Cinema: videogame/animation/comics. The “archive”, if we understand it as a “database”, could define the new media landscape. This
structure in fact interconnects every single medial experience: videogames; web comics; the “multiverse” of comics; mobile phone applications;
contaminations of art, cinema, animation, videogame. We would like to map this presence in the contemporary landscape and its specific issues: in which
ways do the different medial experiences organize traces of memory? Which are their bodily and cognitive experiences? What is the role of emulation,
retro-technology and preservation? Which are the problems opened up by archiving and preserving objects that are so strongly connected to
contemporaneity and to the quick deterioration of supports?
Cartography of Pornographic Audiovisual. This section looks for papers that explore the memory and the geography of audiovisual pornography. These
two notions can be articulated within the general concept of cartography, which accounts for at least two levels of abstraction and selection. The first level
deals with the construction of chronological systems that reconfigure a particular phenomenon in terms of well-defined temporal spaces. The second one
deals with the elaboration of visual spaces that guarantee a synthetic point of view on the same phenomenon. Therefore, cartography brings together two
forms of knowledge: one that operates on a diachronic axis, and one that acts on a synchronic axis. In these terms, cartography is conceived both as
archive and atlas because its aim is to shape and reflect on cultural forms as historical and spatial events.
The Film Heritage. Film Archives emerge as a response to an absence. Film Heritage is primarily about loss and trauma, even before the very act of
preserving and taking care of. In these times of contemporary remediation, archives are facing a transition characterized by a new “absence” and by a new
opening of practices, bodies, knowledge and apparatuses. Can the study of film tradition, transmission and preservation reveal models of archival transition
and contemporary re-enactment of archives? Which identities and visual/cultural forms do the practices and technologies leave on the bodies of the
archives? In which way do the interventions, therapies and obsolescence produced by the digital domain and the digital market generate symptomatic
and pathological archives?
Applicants are invited to submit abstracts addressing the main topic and its articulations.
Applicants can submit individual papers, a panel proposal, or a workshop proposal.
Deadline for paper proposals: November 1, 2010.
Proposals length: 1 page max. A short CV (10 lines max.) should be sent together with the paper proposal.
Further information:
Dipartimento di Storia e Tutela dei Beni Culturali - Università degli Studi di Udine, Palazzo Caiselli, Vicolo Florio 2 - 33100 Udine, Italy
fax: +39.0432.556644 - e-mail: [email protected] - http://filmforum.uniud.it
Il fuoco, 1915. (Museo Nazionale del Cinema, Torino)
Indice dei titoli / Film Title Index
Per ogni titolo, oltre alla pagina, viene indicato, in corsivo, il giorno e il luogo di proiezione.
Each main title listing includes page number(s) for the catalogue entry, followed, in italics,
by the film’s screening date and the theatre abbreviation. Alternate titles are crossreferenced to original main titles.
BOAR HUNTING = CHASSE AU SANGLIER
BOIREAU AU HAREM, 69; 4V
BOIREAU CHERCHE SA FEMME, 70; 5V
BOIREAU EN MISSION SCIENTIFIQUE, 69; 4V
BOIREAU EN VOYAGE, 70; 5V
BOIREAU ET LA DEMI-MONDAINE, 68; 4V
BOIREAU ET LA FILLE DU VOISIN, 69; 5V
BOIREAU ET LA GIGOLETTE, 68; 4V
BOIREAU FAIT LA NOCE, 68; 4V
BOIREAU FILLE DE FERME, 69; 4V
BOIREAU S’EXPATRIE, 70; 5V
BOIREAU SAUVETEUR, 70; 5V
BOIREAU SE VENGE, 69; 4V
BOSHURI SISKHLI, 56; 5V
BOUT DE ZAN FAIT LES COMMISSIONS, 71; 5V
BRONENOSETS POTEMKIN, 86; 3V
BUKHTA SMERTI, 47; 7V
CALINO ARROSEUR PUBLIC, 72; 5V
CALINO AVOCAT, 71; 5V
CALINO CHEF DE GARE, 72; 5V
CALINO FAIT L’OMELETTE, 72; 5V
CALINO PASSAGER DE MARQUE, 71; 5V
CALINO’S OMELETTE = CALINO FAIT L’OMELETTE
CARNET DE NOTES AUTOUR DE SALAMMBÔ DE PIERRE
MARODON, 145; 8V
CARNIVAL DIZZINESS = FARSANGI MÁMOR
CASIMIR, PÉTRONILLE ET L’ENTENTE CORDIALE, 72; 7V
CELEBRATED APE ADAM II, THE = SINGE ADAM II, LE
CERISES DE BOUT DE ZAN, LES, 71; 5V
CHASSE AU SANGLIER, 132; 8V
CHEMISE DE POLYCARPE, LA, 79; 8V
CHESS FEVER = SHAKHMATNAYA GORYACHKA
CHIEN DE SÉRAPHIN, LE, 81; 8V
CHIODO NELLA SCARPA, IL = LURSMANI CHEQMASHI
CIRCUS DRAWINGS, 15; 2V
CISSY SPIRITE, 72; 7V
COLLE FORTE DE TITI, LA, 81; 9V
COLLEGE CHICKEN, A, 113; 8V
COME CRETINETTI PAGA I DEBITI, 128; 6V
COMMENT FOUINARD DEVINT CHAMPION, 73; 7V
CORAZZATA POTEMKIN, LA = BRONENOSETS POTEMKIN
Corrick Collection, 125; 6V, 8V
CORSA DEGLI AGENTI DELL’ORDINE, LA = COURSE DES
SERGENTS DE VILLE, LA
COURSE DES SERGENTS DE VILLE, LA, 19; 3V
CUNÉGONDE MEMBRE DE LA S.P.A. , 73; 7V
DAIGAKU NO WAKADANNA, 35; 9C
Legenda / Key to abbreviations:
V = Teatro Verdi
C = Cinemazero
A = Auditorium Regionale
1er DUEL DE WILLY, LE, 83; 9V
20 ANS APRÈS (PROLOGUE), 143; 5V
ABEL GANCE ET SON NAPOLÉON, 142; 2V
AGE OF EMOTION = KANGEKI JIDAI
AI YO JINRUI TO TOMO NI ARE, 32; 4V
AMORE SIA CON GLI UOMINI, L’ = AI YO JINRUI TO TOMO NI ARE
APPRENTISSAGES DE BOIREAU, LES, 68; 4V
ARABS’ FANTASIA = FANTASIAS ARABES
ARAIGNÉES DE ROSALIE, LES, 80; 8V
ARRESTED TRICAR, THE, 129; 6V
ASHITA TENKI NI NAARE, 31; 6V
AT THE CINEMA PALACE: LIAM O’LEARY, 150; 5V
Audience with Jean Darling, An, 21; R6
AUTOUR DE L’ARGENT, 146; 4V
AUTOUR DE LA FIN DU MONDE, 142; 6V
AUTOUR DE LA ROUE, 142; 3V
BABYLAS A HÉRITÉ D’UNE PANTHÈRE = BABYLAS VIENT
D’HÉRITER D’UNE PANTHÈRE
BABYLAS VIENT D’HÉRITER D’UNE PANTHÈRE, 64; 2V
BAIA DELLA MORTE, LA = BUKHTA SMERTI
BÂILLEUR, LE, 19; 3V
BATTLESHIP POTEMKIN, THE = BRONENOSETS POTEMKIN
BÉBÉ ET JEANNE D’ARC, 67; 2V
BÉBÉ FAIT CHANTER SA BONNE, 66; 2V
BÉBÉ MARCHAND DES QUATRE SAISONS, 66; 2V
BÉBÉ N’AIME PAS SA CONCIERGE, 66; 2V
BÉBÉ PÊCHEUR, 65; 2V
BÉBÉ SE SUICIDE = SUICIDE DE BÉBÉ, LE
BÉBÉ TIRE À LA CIBLE, 65; 2V
BÉBÉ VEUT PAYER SES DETTES, 66; 2V
BÉBÉ Y JUANA DE ARCO = BÉBÉ ET JEANNE D’ARC
BED AND SOFA = TRETYA MESHCHANSKAYA
BELLA, LA = REIJIN
BELLE, THE = REIJIN
BICYCLETTE PRÉSENTÉE EN LIBERTÉ, 131; 8V
BIGORNO COUVREUR, 67; 2V
BIGORNO FUME L’OPIUM, 67; 2V
BILL AND THE BEAR = PATOUILLARD ET L’OURS POLICIER
BLIND JUSTICE = HÆVNENS NAT
159
HÆVNENS NAT, 97; 7V
HERO OF TOKYO, A = TOKYO NO EIYU
HIS REGULAR JOB = THIEF CATCHER, A
HOMELAND IS IN DANGER, THE = LURSMANI CHEQMASHI
HOW FOOLSHEAD PAYS HIS DEBTS = COME CRETINETTI PAGA I DEBITI
HURRICANE KALATOZOV = OURAGAN KALATOZOV, L’
I FETCH THE BREAD = JE VAIS CHERCHER DU PAIN
ICH CARSTVO = MATI SAMEPO
IKH TSARSTVO = MATI SAMEPO
IN MARCIA = SHINGUN
IN THE WAKE OF ELDORADO = NO RASTRO DO ELDORADO
JAPANESE GIRLS AT THE HARBOR = MINATO NO NIHON MUSUME
JE VAIS CHERCHER DU PAIN, 19; 3V
JEWS ON THE LAND = YEVREI NA ZEMLE
JIM AS PASTRYCOOK = APPRENTISSAGES DE BOIREAU, LES
JIM SHUANTE, 58, 99; 5V
JIM’S APPRENTICESHIP = APPRENTISSAGES DE BOIREAU, LES
JIMMIE PULLS THE TRIGGER = BÉBÉ TIRE À LA CIBLE
JIMMIE THE SPORTSMAN = BÉBÉ PÊCHEUR
JOURNÉE DE LILY, LA, 75; 7V
JOURNEY TO ROROIMÃ = VIAGEM AO ROROIMÃ
KAIHIN NO JOO, 40; 5V
KANGEKI JIDAI, 41; 5V
KARUSELLEN, 114; 3V
KIND HEARTED MEN = DEUX BRAVES CŒURS
KING EDWARD VII AND QUEEN ALEXANDRA LEAVE A UNIVERSITY
GRADUATION CEREMONY, 126; 6V
KINKANSHOKU, 37; 7V
LAW OF THE LAWLESS, THE = BOSHURI SISKHLI
LÉONTINE GARDE LA MAISON, 75; 7V
LETTO E DIVANO = TRETYA MESHCHANSKAYA
LIAM O’LEARY – MONTAGE, 150; 5V
LIFE OF A COWBOY, 134; 8V
LITTLE MORITZ CHASSE LES GRANDS FAUVES, 76; 7V
LIUBOV BTROEM = TRETYA MESHCHANSKAYA
LORO IMPERO, IL = MATI SAMEPO
LOVE, BE WITH HUMANITY = AI YO JINRUI TO TOMO NI ARE
LUNE DE MIEL DE ZIGOTO, LA = ZIGOTO EN PLEINE LUNE DE MIEL
LURSMANI CHEQMASHI, 60; 4V
MADAGASCAR 1898, 135; 6V
MADAME BABYLAS AIME LES ANIMAUX, 65; 2V
MARCHING ON = SHINGUN
MARILI SVANETS = JIM SHUANTE
MARIZZA, GENANNT DIE SCHMUGGLER-MADONNA, 117; 6V
MASKS OF MER, THE, 150; 4V
MATI SAMEPO, 57; 4V
MAX ET L’ENTENTE CORDIALE = ENTENTE CORDIALE
MAX FAIT DU CINÉMA = DÉBUTS DE MAX AU CINÉMATOGRAPHE, LES
MAY TOMORROW BE FINE = ASHITA TENKI NI NAARE
MÉNAGE À TROIS = TRETYA MESHCHANSKAYA
DEATH BAY = BUKHTA SMERTI
DÉBUTS DE MAX AU CINÉMATOGRAPHE, LES, 76; 7V
DEUX BRAVES CŒURS, 133; 8V
DIABOLIC ITCHING, THE, 19; 3V
DÎNER DU 9, LE, 133; 8V
DINNER OF JANUARY 9TH, THE = DÎNER DU 9, LE
DOLLY STAYS AT HOME = LÉONTINE GARDE LA MAISON
DOMANI SARÀ UN BEL GIORNO = ASHITA TENKI NI NAARE
DON QUICHOTTE, 132; 8V
DON QUIXOTE = DON QUICHOTTE
DOUZAINE D’ŒUFS FRAIS, UNE, 68; 4V
DRIFTERS, 86, 94; 3V
DU CAIRE AUX PYRAMIDES, 129; 6V
DžIM SUANTE = JIM SHUANTE
EBREI SULLA TERRA = YEVREI NA ZEMLE
ECLIPSE = KINKANSHOKU
ECLISSI = KINKANSHOKU
ENTENTE CORDIALE, 77; 7V
EROE DI TOKYO, UN = TOKYO NO EIYU
ETÀ DELL’EMOZIONE, L’ = KANGEKI JIDAI
EUFORIA CARNEVALESCA = FARSANGI MÁMOR
EXTRAORDINAIRE AVENTURE DE BOIREAU, UNE, 70; 5V
FAITHFUL UNTO DEATH = FIDÈLE JUSQU’À LA MORT
FANTASIAS ARABES, 129; 6V
FANTASMA CHE NON RITORNA, IL = PRIVIDENIYE, KOTOROYE NE
VOZVRASHCHAYETSYA
FARCES DE TOTO GÂTE-SAUCE, LES, 82; 9V
FARSANGI MÁMOR, 114; 6V
FEBBRE DEGLI SCACCHI, LA = SHAKHMATNAYA GORYACHKA
FÊTE DE BOIREAU, LA, 69; 4V
FIDÈLE JUSQU’À LA MORT, 77; 8V
FILM MEDICI DI VINCENZO NERI, 137; 7V
FLEURS ANIMÉES, LES, 135; 8V
FOLIE DES VAILLANTS, LA, 22; 6V
FROM CAIRO TO THE PYRAMIDS = DU CAIRE AUX PYRAMIDES
FUNERAL PROCESSION OF NEW ZEALAND PREMIER…, 131; 8V
FUOCO, IL, 96; 4V
GAVROCHE CAMBRIOLEUR MALGRÉ LUI, 74; 7V
GAVROCHE SCULPTEUR POUR RIRE, 74; 7V
GHOST THAT NEVER RETURNS, THE = PRIVIDENIYE, KOTOROYE NE
VOZVRASHCHAYETSYA
GINGA, 34; 5V
GIOVANE PADRONE ALL’UNIVERSITÀ, IL = DAIGAKU NO WAKADANNA
GIULI, 55; 8V
GIULLI = GIULI
GONTRAN ET LE BILLET DE FAVEUR = GONTRAN ET LE BILLET
GRATUIT
GONTRAN ET LE BILLET GRATUIT, 75; 7V
GVOZD V SAPOGE = LURSMANI CHEQMASHI
GYPSY BLOOD = BOSHURI SISKHLI
160
MILKY WAY, THE = GINGA
MINATO NO NIHON MUSUME, 36; 2V
MIRACLE DES LOUPS, LE, 19, 99; 4V
MIRACLE OF THE WOLVES = MIRACLE DES LOUPS, LE
MIRACOLO DEI LUPI, IL = MIRACLE DES LOUPS, LE
MOANA, 101; 9C
MONSIEUR PAPILLON PREND LA MOUCHE = PAPILLON PREND LA
MOUCHE
MOTHER KRAUSE’S JOURNEY TO HAPPINESS = MUTTER KRAUSENS
FAHRT INS GLüCK
MRS. PUSSY LOVES ANIMALS = MADAME BABYLAS AIME LES ANIMAUX
MULCAHY’S RAID, 113; 8V
MUTTER KRAUSENS FAHRT INS GLüCK, 103; 3V
NAIL IN THE BOOT, THE = LURSMANI CHEQMASHI
NANATSU NO UMI, 34; 3V
NAVIGATOR, THE, 16; 2V
NEW COOK, THE = ROSALIE N’A PAS LE CHOLÉRA
NO RASTRO DO ELDORADO, 108; 6V
ONÉSIME CONTRE ONÉSIME, 78; 8V
OSCAR AU BAIN, 78; 8V
OUR COUNTRY, 150; 5V
OURAGAN KALATOZOV, L’, 151; 8V
PAGE FROM A BIOGRAPHY, A = MATI SAMEPO
PALACE OF SILENTS: THE SILENT MOVIE THEATER OF LOS ANGELES,
152; 3V
PAPILLON PREND LA MOUCHE, 78; 8V
PARFUM TROUBLANT, 74; 7V
PARIMÃ, FRONTEIRAS DO BRASIL, 106; 3V
PARIMÃ, FRONTIER OF BRAZIL = PARIMÃ, FRONTEIRAS DO BRASIL
PARIS-CINÉMA, 147; 2V
PATOUILLARD ET L’OURS POLICIER, 79; 8V
PAUVRE JAQUETTE, 19; 3V
PAUVRES VIEUX, 127; 6V
PERCHÉ PIANGETE, RAGAZZI? = WAKAMONO YO NAZE NAKU KA
POLICEMEN’S LITTLE RUN, THE = COURSE DES SERGENTS DE VILLE, LA
POOR COAT, THE = PAUVRE JAQUETTE
POOR OLD COUPLE = PAUVRES VIEUX
PORTRAIT DE BÉBÉ, LE, 67; 2V
PORTRET VAN’T ZOONTJE, HET = PORTRAIT DE BÉBÉ, LE
PREDATEL’, 48; 2V
PREMIÈRE PASSION, 153; 4V
PRIVIDENIYE, KOTOROYE NE VOZVRASHCHAYETSYA, 52; 9V
PROCESSION OF BOATS ON RIVER, BURMA, 133; 8V
PROLOGUE – 20 ANS APRÈS, 143; 5V
PROLOGUE – LES TROIS MOUSQUETAIRES, 143; 5V
QUADRUPLE ASSASSINAT DE JOHN, LE, 75; 7V
QUEEN ON THE SHORE = KAIHIN NO JOO
RAGAZZE GIAPPONESI AL PORTO = MINATO NO NIHON MUSUME
REGINA SULLA SPIAGGIA, UNA = KAIHIN NO JOO
RÈGNE DE LOUIS XIV, LE, 128; 6V
REIGN OF LOUIS XIV = RÈGNE DE LOUIS XIV, LE
REIJIN, 31; 6V
RÊVE DE DRANEM, LE, 73; 7V
RÊVE DE DRANEM, UN = RÊVE DE DRANEM, LE
RIDERLESS BICYCLE = BICYCLETTE PRÉSENTÉE EN LIBERTÉ
RIEN QUE LES HEURES, 22; 6V
RIGADIN AMOUREUX D’UNE ÉTOILE, 79; 8V
RITUAES E FESTAS BORÔRO, 106; 3V
RITUALS AND FESTIVALS OF THE BORÔRO = RITUAES E FESTAS
BORÔRO
ROBIN HOOD, 91; 8V
ROMÉO CHASSE LE PAPILLON, 80; 8V
ROMÉO COLLECTIONNE LES PAPILLONS = ROMÉO CHASSE LE
PAPILLON
ROSALIE N’A PAS LE CHOLÉRA, 80; 8V
RUNAWAY LEOPARD, THE = BABYLAS VIENT D’HÉRITER D’UNE
PANTHÈRE
RUSE DE WILLY, LA, 83; 9V
SALAMMBÔ = CARNET DE NOTES AUTOUR DE SALAMMBÔ DE PIERRE
MARODON
SALE DELLA SVANETIA, IL = JIM SHUANTE
SALT FOR SVANETIA = JIM SHUANTE
SAMSHOBLO SAPRTKHESHIA = LURSMANI CHEQMASHI
SANGUE DI ZIGANO, LA = BOSHURI SISKHLI
SBADIGLIO, LO = BÂILLEUR, LE
SCULPTEUR EXPRESS, LE, 130; 6V
Selznick School Haghefilm Fellowship 2010, 113; 8V
SETTE MARI = NANATSU NO UMI
SEVEN SEAS = NANATSU NO UMI
SHAKHMATNAYA GORYACHKA, 20; 5V
SHINGUN, 41; 7V
Silence of the Amazon, 105; 3V, 6V
SINGE ADAM II, LE, 126; 6V
SOL SVANETII = JIM SHUANTE
SPORTS AT SEA ON THE S.S. RUNIC, 12; 6V
STRONG BOY, 112; 5V
SUICIDE DE BÉBÉ, LE, 66; 2V
TARTINETTE RÊVE AUX EXPLOITS DE BADIGEON, 81; 9V
TARTINETTE’S DREAM = TARTINETTE RÊVE AUX EXPLOITS DE
BADIGEON
TERZA MESHCHANSKAYA = TRETYA MESHCHANSKAYA
THEIR KINGDOM = MATI SAMEPO
THERE IT IS, 19; 3V
THIEF CATCHER, A, 119; 5V
THIRD MESHCHANSKAYA = TRETYA MESHCHANSKAYA
THOSE JERSEY COWPUNCHERS, 121; 8V
THREE IN A BASEMENT = TRETYA MESHCHANSKAYA
TOKYO NO EIYU, 38; 9C
TOM POUCE ET LES CERISES = CERISES DE BOUT DE ZAN, LES
TOMMY ÉTRENNE SON COR DE CHASSE, 82; 9V
161
TONIC, THE, 121; 2V
TOTO NE BOIRA PLUS D’APÉRITIF, 82; 9V
TOTO NO TOMARA MAS APERITIVOS = TOTO NE BOIRA PLUS
D’APÉRITIF
TRADITORE, IL = PREDATEL’
TRAITOR, THE = PREDATEL’
TRAVEL SCENES, 133; 8V
TRETYA MESHCHANSKAYA, 49; 6V
TROIS MOUSQUETAIRES, LES (PROLOGUE), 143; 5V
TROP AIMÉE, 76; 7V
TROPHÉE DE RIGADIN, LE, 19; 3V
TROUVAILLE DE ZIGOTO, LA = ZIGOTO ET L’AFFAIRE DU COLLIER
TRUC D’ANATOLE, LE, 64; 2V
TSIGANSKAIA KROV’ = BOSHURI SISKHLI
ULTIMO EDEN, L’ = MOANA
UN AMORE A TRE = TRETYA MESHCHANSKAYA
UPSTREAM, 111; 5V
VIA LATTEA, LA = GINGA
VIAGEM AO ROROIMÃ, 106; 3V
VIAGGIO DI MAMMA KRAUSE VERSO LA FELICITÀ, IL = MUTTER
KRAUSENS FAHRT INS GLüCK
VINCENZO NERI MEDICAL COLLECTION, THE = FILM MEDICI DI
VINCENZO NERI
VOGLIO UN MARITO ELEGANTE = STRONG BOY
WAFFEN DER JUGEND, DIE. DIE ABENTEUER EINES KLEINEN
MÄDCHENS IN BERLIN. EIN HEITERES DRAMA, 123; 8V
WAIF AND THE STATUE, THE, 132; 8V
WAKAMONO YO NAZE NAKU KA, 43; 8V
WHIFFLES WINS A BEAUTY PRIZE = TROPHÉE DE RIGADIN, LE
WHY DO YOU CRY, YOUNGSTERS? = WAKAMONO YO NAZE NAKU KA
WINGS, 26; 9V
WINTER STRAW RIDE, A, 130; 6V
YAWNER, THE = BÂILLEUR, LE
YEVREI NA ZEMLE, 51; 6V
YOUNG MASTER AT UNIVERSITY = DAIGAKU NO WAKADANNA
ZAKON, NE ZNAYUSHCHII ZAKONA) = BOSHURI SISKHLI
ZIGOTO À LA FÊTE, 84; 9V
ZIGOTO EN PLEINE LUNE DE MIEL, 84; 9V
ZIGOTO ESTA DE FIESTA = ZIGOTO À LA FÊTE
ZIGOTO ET L’AFFAIRE DU COLLIER, 83; 9V
ZIGOTO ET LE COLLIER = ZIGOTO ET L’AFFAIRE DU COLLIER
ZIGOTO, POLICIER, TROUVE UNE CORDE, 84; 9V
ZIZI FAIT DES COURSES, 84; 9V
162