Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo

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Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo
Alberto Roccatano
IL GOVERNO DEI
CONGIURATI E LA
FRECCIA DI APOLLO
www.nexusedizioni.it
Alberto Roccatano – novembre 2013
Scritto per: www.nexusedizioni.it
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Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo
Non esistono le pillole della libertà. La libertà si costruisce tutti i giorni, appena svegliati.
La libertà è fatica giornaliera, non fatevi imbrogliare da chi vi dice che è un diritto. Se
un governo imprigiona il suo popolo, lo fa usando il diritto contro di lui. Se un governo
imprigiona il suo popolo, il popolo ha una sola strada percorribile: la ribellione. E dopo
la ribellione, la libertà è ancora fatica giornaliera.
Ruba quello che altrimenti si ruberebbero gli altri, vieni con me, se vuoi diventare ricco.
Lasciati alle spalle i poco furbi, vieni nel mondo del progresso, guarda come si vola
liberi nell’aria, ti dice Padron Mercato. Non credergli, quando, dopo averlo seguito nei
latrocini e negli assassinii arricchenti, ti dirà: vieni con me, impara a volare, e lo seguirai
oltre il precipizio. Per un attimo penserai, soddisfatto, “sto volando”. Poi, per quanto tu
muoverai le braccia, come se fossero ali, vedrai il sorriso beffardo di Padron Mercato, ti
vedrai precipitare nell’abisso, e sarà troppo tardi per tornare indietro.
Come è organizzato questo scritto.
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Preambolo
Premesse Funzionali
La prima. I congiurati
La seconda. Il troiano Alastoride
La terza. Cattolici e siriani
La quarta. Un pinguino
La quinta. Il cibo
I catilinari partitici governanti
Il Monti mascherato
Studenti: in Carrozza
Cara Italia, ti cambio i connotati
Danarite: la sciolina dei discesisti congiurati
La tanica di veDrò
I lunghi giorni di Catilina
Manovre di palazzo
La costituzione peggiorabile
Tre “V”, il Vajont, il Vietnam, il Vuoto della “Sinistra”
L’angelo del musicante
Indice
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Preambolo
Questo scritto ha una funzione di affiancamento e supporto al mio libro Dalle stragi
del 1992 a Mario Monti, e ne conferma la preoccupante struttura orientativa, basata su
un gran numero di documenti che gli eventi del dopo-pubblicazione, purtroppo, perché non è un piacere per me constatarlo, confermano e aggravano. Il titolo del libro, da
poco pubblicato da Nexus edizioni, per il cui sito scrivo da anni su temi di geopolitica
ed economia, è, quindi, da memorizzare. Tenetene conto quando, nelle pagine prossime,
troverete dei riportati provenienti, appunto, “dal mio libro”.
Va sottolineato che in Italia, il regime che nel dopo guerra ha preso il posto del precedente, la libertà di stampa è raro che la metta in discussione; tanto manovra con il
controllo ferreo della distribuzione di tutto ciò che è stampato. Come spesso dico ad
amici e colleghi giornalisti, la vera questione di cui ci si dovrebbe occupare, oltre che
della libertà di stampa, è della libertà di distribuzione. È davvero possibile che un gran
numero di “cartacei scomodi” di scrittori scomodi, dopo prolungati blocchi nei depositi
dei distributori, vadano a finire al macero, senza essere mai passati da edicole e librerie?
Cercando comprove, provate intanto a chiedervi perché non trovate il motivo funzionale di questo scritto nelle edicole e nelle librerie.
Chi manovra da tempo in Italia è servo dei servi del, da sempre, globale Padron Mercato. Ecco perché non è un caso che la terribile realtà del cosiddetto “dopo Monti”,
sia comprensiva dell’aggravarsi dei rapporti internazionali, derivanti dalle interferenze
sempre più marcate sulla nazione siriana. Sta accadendo in Siria quanto è accaduto alla
Libia, gli attori visibili sono ancora gli stessi: Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna. Basti
pensare alla creazione artificiosa ed al foraggiamento dei cosiddetti ribelli, fra i quali
c’è un numero gigantesco di mercenari provenienti da più di ottanta paesi del mondo,
moltissimi dei quali neanche parlano l’arabo.
A questo grave scenario in grado di provocare un conflitto mondiale, va aggiunto l’effetto disastroso ed esplosivo dei titoli tossici che sta per scatenarsi dalle banche europee,
soprattutto da quelle italiane, al mondo intero, come ho scritto nell’articolo Il tizzone
MPS riaccende il fuoco della crisi mondiale. Chiedetevi perché, per esempio, la Unicredit
sta cercando denaro “fresco” con l’emissione di un prestito di un miliardo di euro.
Ci serve un luogo alto da cui osservare gli eventi nazionali ed internazionali. Questo
luogo alto deve essere sostenuto da punti fermi, punti solidi, non esattamente usuali, in
grado di sostenere la stessa impalcatura di supporto e accompagnamento del mio libro.
Immaginate questi punti fermi come dei piloni immersi profondamente in una area
paludosa (che ben rappresenta la società attuale), perché debbono reggere una struttura
particolare che in altri luoghi (in altra società) sarebbe costruita su solida roccia. Molti
palazzi nella bassa milanese, per esempio, sono stati costruiti tenendo conto della terra
paludosa che la contraddistingue.
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Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo
Premesse Funzionali
Ecco dunque i cinque piloni, che chiameremo “premesse funzionali”; sono quelli che
reggeranno l’impalcatura di questo scritto; immaginate questa impalcatura come una
piramide; considerate il quinto pilone fatto di energia; questo fascio sottilissimo di
energia immaginatela proiettata verso il punto aereo in cui si incontrano gli angoli delle
facce triangolari, sostenute dai quattro piloni posti a quadrato.
Il primo pilone vi mostra il governo dei congiurati, come qui viene denominato il governo Letta.
Il secondo pilone, dipartendosi dall’Iliade omerica, spiega la frase la freccia di Apollo
presente nel titolo di questo scritto.
Il terzo pilone, dipartendosi dalla Siria e dalle aggressioni subite dalle realtà locali cattoliche e ortodosse, cerca di mostrare come, dall’esterno, si cerchi di costruire le premesse
di uno scontro mortale fra cristianesimo e islam; uno scontro che, nei progetti di questo
gruppo criminale, porterà all’implosione dell’Europa, utilizzando le genti di religione
islamica che da più di quaranta anni si vanno ramificando nel territorio europeo. (Vedi
anche il mio saggio Ma cos’è questa crisi.)
Il quarto pilone vi mostra l’immagine di un pinguino e ve ne spiega il perché.
Il quinto pilone, che è quello fatto di energia ed è posto al centro fra i quattro, vi parla
del cibo, cui ho accennato durante la presentazione del mio libro (trasmessa in streaming) il 19 maggio 2013 a Battaglia Terme.
Eccovi le premesse funzionali.
La prima. I congiurati
Era appena iniziato il 2008 e nella calza della befana, che verrà aperta verso la fine del
mese, invece dei cioccolatini fanno bella mostra le dimissioni del segretario dell’Udeur,
Clemente Mastella, ministro della Giustizia nel secondo governo di Romano Prodi.
L’appoggio esterno prima e poi l’uscita dell’Udeur dalla coalizione governativa sono diretta conseguenza dell’apertura di un’inchiesta da parte della magistratura, sui familiari
prima, e poi sullo stesso Mastella.
Il Capo dello Stato non scioglie le camere. Il 30 gennaio affida l’incarico di formare
il governo, finalizzato al compimento delle riforme, al presidente del Senato Franco
Premesse funzionali
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Marini.
Proprio in quelle ore a casa del Presidente emerito, Francesco Cossiga, si trova il giornalista Andrea Cangini. Insieme stanno preparando un libro, frutto di una serie di incontri, in cui si parla praticamente a ruota libera.
Il libro, pubblicato nel 2010 da Aliberti Editore, ha un titolo particolare: Fotti il potere.
È qui che troviamo questa annotazione.
(Provate ad analizzare e a valutare la frase qui sotto in grassetto. Da queste parole, sia
pure riportate, provate a valutare il carattere di chi spinge un Presidente emerito a forzare gli eventi per ottenere lo scopo che ha in mente. Vedete forse un carattere accomodante, remissivo o piuttosto un carattere con visibili vene autoritarie?)
Il capo dello stato ha appena conferito l’incarico al presidente del senato Franco Marini e nello
studio del presidente si nota un’insolita frenesia. Gente che va gente che viene in un’incessante
svolazzare di agenzie di stampa che passano di mano in mano e a ogni passaggio ispirano un
commento. I telefoni non fanno altro che squillare. Politici, manager, uomini di chiesa, tutti alla
ricerca di elementi utili per capire l’aria che tira, tutti a chiedere piccole o grandi intercessioni.
Ha chiamato anche Giorgio Napolitano. “Mi ha chiesto di presentarmi a casa di Berlusconi,
senza preavviso, e fare di tutto per convincerlo a sostenere un governo di larghe intese”, confida Cossiga. Il quale eseguirà senza successo la missione.
Quando non si vuole che si concretizzi un evento, che si considera sfavorevole e impeditivo al raggiungimento degli scopi di parte che ci si è (spesso non pubblicamente)
prefissi, allora si da il via al bizantinismo dilatorio e deviatorio. È una metodologia ben
radicata nel partitismo italiano. Con questi tre termini congiunti intendo la messa in
opera di iniziative basate su sottigliezze inutilmente complicanti, allo scopo solo di
prendere tempo, mentre si cerca di sviare l’avversario, che per il partitico è sempre un
nemico, per metterlo in condizioni di non nuocere, mentre si raggiungono gli obiettivi
di parte. Come si vede un discorso lungo per sostenere la significanza dei tre termini
appena nelle righe sopra (e sotto) congiunti.
E Berlusconi, non essendo un partitico di razza non sa neanche cosa sia il bizantinismo
dilatorio e deviatorio, non ne vuole sapere di un governo di larghe intese; punta invece
alle elezioni anticipate pensando di vincerle. E infatti le vincerà. Ma non sa che anche
fra i suoi ci sono quelli che prima contribuiranno ad imporre il governo Monti al Paese
e poi “si faranno convincere” a sostenere un governo di larghe intese.
Aiutino per il lettore. Le larghe intese sono come i mutandoni aderenti dei nostri nonni, che li coprivano dal collo alle gambe. È la maglia stretta dove vengono costrette le
grassottelle compagini partitiche, fra loro in competizione elettorale. Il numero di teste,
braccia, gambe che fuoriescono dal mutandone del nonno dipendono dal numero dei
largheintese-isti.
Provate ad immaginare l’effetto visivo di questi mutandoni aderenti nei quali Enrico
Letta ha imbragato questo esecutivo, secondo le indicazioni di Giorgio Napolitano,
praticamente le stesse del 2008. Facciamo le necessarie riforme, ma in più, oggi, dopo
Monti, è il Letta-dopo-Monti, che farà soprattutto le riforme perentoriamente ordina-
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te dall’Europa all’Italia.
Il Presidente della Repubblica, secondo i limiti costituzionali, ha semplice funzione
notarile che lo obbliga alla terzietà.
Se così non facesse, e nella cosiddetta “prassi” avviene apertamente dai tempi di Scalfaro, sarebbe, anzi è, come se un notaio interferisse secondo i propri interessi, non ha
importanza di quale tipo (anche se li considerasse “nobili”, o reattivi a persone considerate “ignobili”), sull’atto a cui due o più contraenti gli chiedessero di dare valore legale.
Infatti l’art. 92 parla di nomina, non di motivazioni e scopo della nomina.
Art. 92 Il Governo della Repubblica è composto del Presidente del Consiglio e dei ministri,
che costituiscono insieme il Consiglio dei ministri.
Il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei ministri e, su proposta di
questo, i ministri.
Dunque, le motivazioni e lo scopo della nomina sono il risultato delle indicazioni provenienti dalle forze partitiche presenti nel Parlamento.
Non è vero che la Costituzione dà al Presidente della Repubblica la facoltà di incaricare
la persona che debba formare il nuovo governo. L’articolo 92 usa il termine nomina, non
il termine incarica, e la nomina è l’atto finale, nei seguenti articoli costituzionalmente
implicito, delle indicazioni delle compagini partitiche parlamentari di cui semplicemente il Presidente della Repubblica deve prendere atto, secondo il principio di terzietà
cui è obbligato. Egli assegna l’incarico di formare il nuovo governo alla persona che le
compagini partitiche gli hanno indicato, perché a quella persona, da loro indicata, sono
pronte a dare la fiducia, sia alla Camera che al Senato. Il Presidente non può nominare
chi gli pare, a seconda del sogno che ha fatto la notte precedente o secondo quanto gli
ha raccomandato la maga o il mago di turno, opportunamente per scaramanzia interrogati.
Quella italiana non è una repubblica presidenziale (come quella francese) e cercare
con le furberie partitiche della “prassi” di giungere all’ormaismo trasformativo del
dettato costituzionale, questo sì che deve essere ascritto al termine “golpe costituzionale”.
L’articolo 93 mostra pienamente questa funzione notarile dell’ospite provvisorio del
Quirinale, ospite che non è un re anche se prima al Quirinale abitava il Re.
Art. 93 Il Presidente del Consiglio dei ministri e i ministri, prima di assumere le funzioni,
prestano giuramento nelle mani del Presidente della Repubblica.
Di fatto, dunque, se l’articolo 94, di seguito riportato, dichiara che il governo deve avere
la fiducia delle due camere, il termine nomina, attribuito al Presidente della Repubblica,
utilizzato dall’articolo 92 ne definisce con chiarezza solare i limiti.
In sintesi.
I rappresentanti dei partiti nelle due camere mi hanno espresso le loro indicazioni, e io
Presidente della Repubblica ne ho preso atto, a queste mi sono conformato e la persona,
Premesse funzionali
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che da più parti mi è stata indicata, ho nominato Presidente del Consiglio, sarà il Parlamento a dargli l’incarico ufficiale, attraverso il voto di fiducia. Lui ha scelto liberamente
i ministri ed io non ho minimamente interferito nella scelta, ne ho solo preso atto.
Quindi i componenti del governo, alla mia presenza, in qualità di notaio costituzionale
della Repubblica, hanno giurato fedeltà alla Repubblica, firmando gli atti costituzionalmente previsti.
Questo significa la connessione fra l’articolo 92 e l’articolo 94 passando dall’articolo 93.
Art. 94 Il Governo deve avere la fiducia delle due Camere.
Ciascuna Camera accorda o revoca la fiducia mediante mozione motivata e votata per appello
nominale.
Entro dieci giorni dalla sua formazione il Governo si presenta alle Camere per ottenerne la fiducia.
Il voto contrario di una o d’entrambe le Camere su una proposta del Governo non importa obbligo di dimissioni.
La mozione di sfiducia deve essere firmata da almeno un decimo dei componenti della Camera e
non può essere messa in discussione prima di tre giorni dalla sua presentazione.
Dovrebbe dunque essere chiaro che il Presidente prende atto delle indicazioni che gli
sono pervenute dalle compagini partitiche parlamentari consultate, e, quindi, al Parlamento stesso è demandato il compito di dare la fiducia al governo nominato, secondo le
sue funzioni notarili, non scelto, dal Presidente della Repubblica.
Stabiliti questi punti fermi, analizziamo le seguenti informazioni.
Durante la video-conferenza del 3 settembre 2011 a Cernobbio, Giorgio Napolitano
nel rispondere all’ex ambasciatore Sergio Romano si premurava di affermare:
8 Il giorno in cui si aprisse una crisi di governo – e questo è sembrato che potesse accadere alla
fine dell’anno scorso, ma non accadde – io, secondo i miei poteri e secondo la prassi costituzionale, chiamerei a consulto tutte le forze politiche e mi assumerei la responsabilità anche di fare una
proposta per la soluzione della crisi.
9 La Costituzione mi da sempre, tra l’altro, la facoltà di incaricare la persona che debba formare il nuovo governo: in quelle circostanze farei la mia parte.
(Vedi pagina 108-109 del testo Dalle stragi del 1992 a Mario Monti)
In questa risposta appare evidente l’alterazione nel frattempo avvenuta del senso, del
significato, del limite prassicamente superato, dell’articolo 92 della Costituzione. Basta
dare il giusto, e alterante, significato alla frase del punto 8: … io, secondo i miei poteri e
secondo la prassi costituzionale… e a quella del punto 9: La Costituzione mi da sempre,
tra l’altro, la facoltà di incaricare la persona che debba formare il nuovo governo…
E in quale articolo della Costituzione sarebbe chiaramente, tra l’altro, descritta questa
autonoma… facoltà di incaricare la persona che debba formare il nuovo governo…?
Del resto se gli atti del Presidente della Repubblica non hanno valore se non sono con-
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trofirmati dai ministri in carica, come si evince dal di seguito richiamato articolo 89; a
maggior ragione non possono esistere atti che siano ascrivibili ad una figura che viene
dichiarata addirittura irresponsabile, come risulta dall’articolo 90 di seguito richiamato. E non c’è prassi che tenga.
Art. 89 Nessun atto del Presidente della Repubblica è valido se non è controfirmato dai ministri proponenti, che ne assumono la responsabilità.
Gli atti che hanno valore legislativo e gli altri indicati dalla legge sono controfirmati anche dal
Presidente del Consiglio dei Ministri.
Art. 90 Il Presidente della Repubblica non è responsabile degli atti compiuti nell’esercizio
delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o per attentato alla Costituzione.
In tali casi è messo in stato di accusa dal Parlamento in seduta comune, a maggioranza assoluta
dei suoi membri.
Si esagera, se si affermasse che dai tempi di Oscar Luigi Scalfaro, e soprattutto nei
tempi di Giorgio Napolitano, la figura costituzionale del presidente della repubblica ha
buttato fra le stoppie, infuocate in nottestiva, della tenuta presidenziale di Castel Porziano, la camicia costringente alla terzietà?
Si esagera, se si affermasse che l’assunzione di ruoli travalicanti i limiti costituzionali è
configurabile come attentato alla Costituzione?
Si esagera, se si affermasse che per l’operazione Mario Monti, Giorgio Napolitano
avrebbe dovuto essere posto in stato di accusa dal Parlamento in seduta comune a maggioranza assoluta dei suoi membri?
Infatti, in questo 2013, il (mai avvenuto prima) rieletto Giorgio Napolitano, che si comporta ormai come se fosse un Presidente-Re, memore degli obiettivi non raggiunti del
2008, non ha dovuto fare una grande fatica a riconoscere un largheintese-ista nella figura
di Enrico Letta. Il fatto è che quello stesso Enrico Letta, succeduto a Mario Monti, ne
è anche uno degli inventori, come documentato nel testo Dalle stragi del 1992 a Mario
Monti. (Pagine 79, 81, 105, 106, 110, 113, 188, 213, 214, 216, 217, 221, 222, 224, 359.)
Cacciato Catilina-Monti, dopo le elezioni, sono apparsi i congiurati che lo hanno messo a capo del governo, che potremmo denominare Napolitano-Monti-Letta.
Nelle pagine prossime troverete la lista dei ministri del governo Letta.
Provatevi ad indovinare chi sono i congiurati.
La seconda. Il troiano Alastoride
Le cruenti scene rappresentate da Omero nell’Iliade, una volta analizzate secondo il
profilo medico, dimostrano che l’estensore dell’antico poema greco aveva una buona conoscenza dell’anatomia umana. l’Omero dell’Iliade, dunque, appare come un testimone
che ha assistito alle scene che racconta; come se fosse un inviato di guerra ante-litteram.
Premesse funzionali
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Il che, entrando nel mondo della logica, dovrebbe far emergere domande su chi e quando ha scritto i poemi a lui attribuiti. Ma sono domande che non saranno poste in queste
pagine. In queste pagine è sul poema omerico, su Alastoride, che voglio attirare la vostra
attenzione.
Non uccidermi diceva il giovanissimo guerriero troiano Alastoride ad Achille, supplicandolo, mentre si stringeva alle sue ginocchia, sotto le mura troiane. Ma Achille gli
infilò la spada nel fianco destro e un nero fiume di sangue ne uscì e si riversò nel terreno
intorno. (Iliade, XX, 460- 472).
Ed altri e tanti ne uccise il principe mirmidone figlio di una Dea, prima che toccasse ad
Ettore, trascinato morto sotto le mura troiane, il padre, Re Priamo, e la madre piangenti.
Ettore aveva supplicato Achille di non essere abbandonato alle belve, dopo che lo avesse
ucciso, ma che il suo corpo venisse restituito alla sua gente, perché avesse l’onore del
rogo. Ma Achille, ancora irato per la morte dell’amico Patroclo ucciso proprio da Ettore, non ne vuole sapere.
Nello sfondo ci sono le porte scee di Troia, le cui mura erano appunto chiamate scee,
perché la porta di entrata della città era angolata a sinistra – skaiós in greco – costringendo gli assalitori, che vi volevano penetrare, a scoprire il vulnerabile fianco destro, lo
scudo essendo tenuto sul braccio sinistro.
Il gigantesco e giovane Ettore, prima di scendere nell’abisso della morte, avverte Achille cuore di ferro che la sua morte scatenerà l’ira di Apollo. Il suo dio protettore, lui, di
fronte alle scee porte troiane, lo vendicherà uccidendolo. Non si senta, dunque, Achille
un intoccabile semidio.
Quanto alle sue spoglie, sarà Apollo a chiedere l’intervento di Giove perché venissero
consegnate al padre Priamo che le chiederà ad Achille, giungendo nottetempo, inatteso,
nella sua stessa tenda.
Achille è figlio di Pelèo, Re dei Mirmidoni, e della dea Teti che lo aveva immerso appena nato, tenendolo per il tallone, nell’infernale fiume Stige per assicurargli l’immortalità
e l’invulnerabilità. Ma una freccia lo colpirà proprio nel suo unico punto debole, il tallone di Achille, un punto debole che un mortale non poteva conoscere. Non sappiamo
se la freccia sia stata scoccata dall’arco di Paride (da Apollo assistita), o direttamente
dall’arco di Apollo. È una storia che Omero non racconta nella sua Iliade. Si sa che
avverrà. Infatti è lo stesso Ettore morente ad anticipare all’eroe mirmidone che morirà
sotto le scee mura troiane per mano di Apollo; ma Omero non la vuole raccontare la
morte di Achille. Non la racconterà perché la morte del figlio di una Dea e di un mortale, destinato all’immortalità e all’invulnerabilità, non può che essere opera di un altro
dio, e quel dio non poteva essere che Apollo che quel tallone, che sa mortale, colpirà con
la sua vendicativa, fatale, precisa freccia.
Lo aveva previsto l’oracolo, e lo aveva profetizzato alla madre Teti, che suo figlio sarebbe
morto nella guerra scatenata dai greci contro Troia. Inutilmente la madre Teti cercherà
di confondere il destino, perché quella freccia non fosse scoccata, supplicando anche
l’intervento di Giove. Fu Calcante, l’indovino, sapendo che senza Achille la guerra contro Troia non sarebbe stata vinta, ad indicare ai greci il materno nascondiglio; e fu lui,
il figlio di Teti, a scegliere il suo fato, il suo destino, non lunga vita senza gloria; ma la
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Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo
morte gloriosa degli eroi.
Gli dei dell’Olimpo, per loro era solo un giocare con i mortali, si erano divisi nell’appoggiare i Greci o i Troiani. Il dio Apollo parteggiava per i Troiani ed era irritato per
il comportamento di Achille che approfittava della sua immortalità ed era crudele e
spietato. Visto che in queste righe si parla dei Mirmidoni dell’isola di Egina e che di
questa isola si parla nel libro, da pagina 470 a pagina 471…
Dunque, quando, caro popolo, senti il termine democrazia e democratico drizza le antennine,
come farebbero i Mirmidoni della Tessaglia, pronti alla battaglia, con Achille, nella guerra di
Troia. Esattamente come un gigantesco formicaio disturbato. Già, perché il greco popolo dei
Mirmidoni si chiamava così perché erano in origine delle formiche. Era stato Zeus a trasformarli
in esseri umani per abitare l’isola di Egina, dove una pestilenza aveva decimato la popolazione.
In questa isola si recava spesso Pindaro; e lì ha scritto molti dei suoi epinici (poemi celebrativi
sulle vittorie sportive e nello sfondo storie di popoli e mitologia antica). Da lì guardava il resto del
mondo e, quando poteva, viaggiava e raccontava di sfide, di vittorie, di Miti, di Dei.
… e potrete considerare quanto queste righe, che avete appena letto, siano utili ai nostri
ragionamenti. Vale la pena, inoltre, ricordare che proprio nella vulcanica isola di Egina (Aegina) si trova l’arciere che trovate ad apertura di questo scritto. (Utilissimo agli
studenti che vogliono misurare la correttezza storiografica dei loro insegnanti di Arte.)
Vedi il mio articolo del 16 dicembre 2004: Musei vaticani: una mostra fuori dall’ordinario, i colori delle statue antiche (lo trovate nel web digitando esattamente il titolo) dove
scrivo…
Rimarreste stupiti ad osservare la calzamaglia colorata a rombi che avvolge il corpo dell’arciere,
interpretato come troiano, il cui originale, ormai privo di colore si trova in Grecia a Egina sul
frontone occidentale del tempio di Atena Aphaia.
Due guerrieri inginocchiati pronti a colpire, uno, con l’arco e la freccia (quello che già
conoscete), di fronte all’altro, con lancia protesa e scudo, che si contendono un terzo
guerriero, disteso, ferito da una freccia sul petto che si sta togliendo. La scena è rappresentata (a colori, tutta a colori) sul frontone del tempio dedicato originariamente alla
dea protettrice dell’isola, la Dea Aphaia e poi condedicato ad Atena. Una scena che
richiama il Dio Apollo difensore dei Troiani, nella guerra fra troiani e greci. Una guerra
di umani e nello sfondo le tifoserie degli Dei.
Così i governanti duellanti, come gli dei dell’Olimpo, prima si accapigliano e poi si
allargano ad intesa, sempre a discapito dei miseri mortali, che oggi vengono chiamati
popolino (non topolino). Sono sempre loro, i mortali, spinti a combattersi e a fare le
guerre per il divertimento degli abitanti dell’olimpo governativo. Sono loro, i mortali, a
mantenerli con imposte, tariffe e tasse sempre più esorbitanti.
Che poi le imposte sono tributi calcolati in percentuale sul patrimonio e sul reddito di
ogni singolo cittadino, come il tributo dovuto allo stato nell’antica Roma. Ché il mondo
economico è antico mica poco; hai voglia a farlo a pezzi. C’è qualcuno che lo rimette
Premesse funzionali
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sistematicamente in piedi e trova sempre, millennio dopo millennio, aiutanti ricostruttori sempre ben pagati (vuoi mettere il piacere di vivere dentro l’asola di un secolo e in
panciolle [oziando a pancia all’aria] sfruttando il popolino). In più ci sono le tariffe di
ogni genere e sempre più costose (i mezzi pubblici, la posta, la banca, l’acqua potabile,
il gas, l’energia elettrica, il telefono…)
E le tasse? Ah le tasse, intendi quelle comunali, regionali, governative? Eh ragazzi!
La scuola, l’asilo, l’ospedale, la casa popolare, il sostegno ai poveri, la costruzione e la
manutenzione di strade, parchi, edifici pubblici chi pensate che li paghi, ma i populisti
no? Quelli, i governativi, mica c’hanno la stamperia monetaria in cantina (i populisti
preferiscono c’hanno a ci hanno). E poi, quando vogliono incastrare per benino, e per i
futuri secoli, i polli che Padron Mercato gli ha ordinato di “governare” (e di spennare),
chiedono i prestiti alla Bce o ad altre banche o Enti, tanto, quando debbono restituire
i capitali e pagare, tutti gli anni, i relativi interessi, chi pensate che li debba restituire
e pagare; ma i populisti no? (In padronmercatese si dice mettere all’asta i debiti, più è
rischioso per il compratore, più gli interessi si innalzano.)
Ma pagano anche quelli che c’hanno il mutuo da pagare? Si, pagano anche i populisti
che c’hanno il mutuo da pagare e magari c’hanno anche i bambini piccoli da crescere.
Cosa hai detto che ho dimenticato? Le sanzioni amministrative? Effettivamente è una
dimenticanza grave. Sono quelle che il populista non avvezzo al burocratese, chiama
genericamente multe.
Si comprende, dunque, perché loro, i mortali populisti, chiedono di non essere oppressi,
vessati, uccisi (perché anche la costrizione al suicidio è uccidere) dalle eccessive imposte,
tasse, sanzioni amministrative da centocinquant’anni sempre votate dai “rappresentanti
del popolo”, gli inavvicinabili Dei governativi. Sono loro gli oppressori, un’oligarchia di
tiranni, che, con norme capestro, moltiplicano le imposte, le tasse, le sanzioni che non
si riescono a pagare entro le date prefissate e si sono inventati anche gli interessi per i
ritardati pagamenti.
Sono loro, i mortali populisti che, come il giovanissimo Alastoride, chiedono di vivere
una vita serena, si ritrovano invece in guerra contro lo stato e sono uccisi in modo crudele, spietato. Perché la spada assassina sono loro ad impugnarla, i governativi, carcerieri
per conto del direttore di Alcatraz, l’Unione Europea. Questi ben pagati carcerieri si
credono immortali e non sanno che anche gli dei finiscono nelle tombe, magari loro
appena più in là nel tempo, non come i governativi che campano meglio dei populisti,
vivendo di stenti altrui, ma nelle tombe finiscono.
E c’è sempre qualche arciere, fra di loro, che saetta la freccia mortale. Non si amano
molto fra loro gli dei dell’olimpo economico che vivono nei sotterranei della partitica. Li i denari non mancano, tutti i giorni gli sgherri che derubano i mortali populisti
ne portano a tonnellate, ma ne vogliono sempre di più, perché Padron Mercato ne vuole
sempre di più.
Chissà perché dei privati (che alle spalle sono sempre sostenuti da imprese) dovrebbero
fare delle donazioni di denaro ai partiti. Bisogna evitare che ci siano partiti più addanarati degli altri, perché possono contare su maggiori donazioni. E che diamine! Mettiamoci d’accordo, dicono i largheintese-isti. Pensa che ti ripensa, emenda di qui, emenda
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Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo
di là, è arriva l’idea. I singoli privati non potranno “donare” ai partiti, ogni anno più di
300mila euro, ma, a questo limite, ci si arriverà in modo progressivo, con riferimento al
bilancio 2013 di ogni partito, a partire da quando la legge entrerà in vigore fino al 31
dicembre del 2017.
Ragazzi è un’ideona, strillano alla Camera i deputati Pdl, Pd, Sel e Scelta Civica di
Mario Monti. “Continueremo a chiamarvi ladri” li apostrofa un deputato dai banchi del
Movimento 5 Stelle. Apriti cielo! Dai banchi di Scelta Civica c’è chi si toglie un sandalo
e lo mostra, minaccioso, verso i M5S-isti. È il sandalo di un deputato definito “francescano” perché ha fatto sapere a tutti che gli introiti superiori a 2.500 euro li devolve in
beneficenza. Dai banchi del Pd, denunciano quelli del M5S, sono addirittura arrivate
frasi come “Vi aspettiamo fuori, vi ammazziamo” (se fosse vero sarebbe gravissimo, andrebbe verificato nello “stenografico” della seduta del 10 ottobre 2013).
Abolire il finanziamento ai partiti. Agire per gli altri a titolo gratuito pare sia un brutto
dire da quelle parti.
In questo mondo sotterraneo della partitica, chiamato “sacre istituzioni”, anche i nuovi
arrivati imparano presto cosa rispondere ai mortali affetti da populismo. “L’idea di una
politica gratis per quel che mi riguarda è una pessima idea. È un modello che non dobbiamo
inseguire anche se fa guadagnare titoli sui giornali” ha infatti urlato ai populisti una nuova arrivata negli alti scranni sotterranei delle “sacre istituzioni”. Pare abbia ricevuto il
plauso degli altri occupanti delle “sacre istituzioni”; sono soddisfatti, ha imparato bene
la lezione la nuova arrivata. L’hanno mandata a scuola: aveva il compito di convincere
i riottosi populisti del mondo di sopra a spostarsi dai loro paesi per inseguire i paradisi
nostrani, mostrati come le carote ai golosi conigli.
È una che è stata “missionaria” al seguito delle cosiddette truppe di pace che aggredivano
e distruggevano Paesi come la Jugoslavia, l’Iraq, l’Afghanistan. Quanto agli incarichi
presso la Fao, valgono le parole di Francesco Cossiga:
Le Nazioni Unite primeggiano nello spendere quattrini, quanto alla Fao l’unico problema che
è riuscito a risolvere è stato quello del benessere e del posto di lavoro dei suoi numerosissimi e
ottimamente pagati dirigenti e dipendenti, altro che fame nel mondo.
Le trovate a pagine 167, sempre nel libro Fotti il Potere nella prima parte richiamato.
Nel novembre del 1950, 51 senatori avevano presentato una mozione nella quale si
chiedeva la costituzione di un esercito, di un parlamento europeo e di un consiglio
federale del governo europeo. La mozione, qui di seguito riportata, era stata approvata
con il voto contrario della sinistra socialista e comunista. Ed è su questo argomento
che De Gasperi basò l’intervento che Mario Monti a Rimini, nel 2012, ha fatto passare
(come altri) per il discorso dedicato ai giovani.
«Il Senato della Repubblica affermando il fondamentale interesse dell’Italia al mantenimento
della pace e ritenendo essenziale a questo scopo eliminare le ragioni di conflitto in Europa;
ravvisa nel rinvigorimento morale, sociale e materiale dell’Occidente europeo il contributo più
efficace alla salvaguardia sia della pace, sia della democrazia, che sono necessità e legge di vita per
questi Paesi; e considera egualmente urgenti a risolvere durevolmente il problema primordiale
Premesse funzionali
11
della sicurezza collettiva dell’Europa il consolidamento sia della sua capacità militare di difesa,
sia della sua organizzazione politica, possibile solo attraverso nuovi e più stretti vincoli, di
carattere federale; e pertanto raccogliendo il voto di larga parte del popolo italiano – di cui
è eloquente indice la “petizione per un patto federale” che viene presentata al Parlamento italiano – considera urgente promuovere la costituzione di un primo nucleo federale tra i Paesi
democratici dell’Europa occidentale, che con maggiore urgenza cercano nella unione forza,
salvezza, ed all’unione sono spiritualmente più maturi; considera questa prima realizzazione base
ed avviamento ad una più ampia unità europea, primo scalino di una migliore e più efficace organizzazione pacifica del mondo – nella presente fase storica – articolazione armonica e necessaria
sia della comunità atlantica, sia del sistema di sicurezza dell’O.N.U. ora in discussione, tanto sul
piano politico, che sul piano militare; sollecita – in armonia con il voto della recente Assemblea
di Strasburgo – la costituzione di un esercito europeo che, superato l’attuale periodo di provvedimenti militari di emergenza, deve rappresentare l’autonoma capacità e forza di difesa di una
Europa padrona del suo destino, ritenendo che il carattere europeo di questa organizzazione
militare agevolerà il contributo tedesco alla difesa dell’Europa; e riconoscendo nelle mète indicate
il primo obiettivo della politica internazionale italiana, invita il Governo a secondare e promuovere ogni iniziativa che possa portare rapidamente ad una prima convenzione tra i Paesi indicati
per la costituzione di un Parlamento e di un Consiglio federale del Governo».
Leggere questa mozione e chiedersi se le sinistre, comunista e socialista, italiana abbiano subito una mutazione o se, semplicemente, siano uscite da una multi-decennale
finzione è tutt’uno. (Vedi pagina 300-302 del testo Dalle stragi del 1992 a Mario Monti.)
Se poi lo confrontiamo con quanto ci racconta Cossiga intervistato da Cangini (vedi
Fotti il potere a pagina 177):
Ricorda il presidente e lo ricorda bene avendoci rimediato un pugno in faccia “La zuffa con i
comunisti che alla Camera seguì il discorso con cui Aldo Moro, allora ministro degli esteri
spiegò perché non potevamo non essere solidali con gli Stati Uniti nella guerra col Vietnam”.
E uno, un pugno in faccia durante una zuffa fra deputati nell’emiciclo di Montecitorio,
sì che se lo deve ricordare bene. Soprattutto se motivato dalla solidarietà agli Stati Uniti, per la guerra scatenata contro il Vietnam.
Aldo Moro, nella IV legislatura, aveva guidato i primi governi di Centrosinistra allargati ai socialisti, ai socialdemocratici e ai repubblicani (il Pentapartito, come veniva
chiamato il governo Moro facendovi parte anche il partito Repubblicano e il partito
Liberale). Proprio durante lo scorrere di questa legislatura, e dei relativi governi Moro,
si scatenarono gli eventi che portarono gli Stati Uniti ad impantanarsi in Vietnam. Un
paese che divenne bandiera della sinistra rivoluzionaria sessantottina anti-imperialista
(cioè contro le nazioni che pretendevano di controllare e gestire altre nazioni).
Aldo Moro era intervenuto al Senato il 12 febbraio 1965 anche nel suo ruolo di Ministro degli Esteri ad Interim dal 29 dicembre 1964 al 5 marzo 1965. Infatti il ministro
degli esteri del suo governo, Giuseppe Saragat (del PSDI), era stato eletto, il 28 dicembre 1964, Presidente della Repubblica e si era quindi dimesso all’indomani della sua
nomina.
12
Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo
In questo suo intervento, al senato, aveva assicurato la solidarietà del governo italiano
agli Stati Uniti, impegnati militarmente a difesa del Vietnam del Sud filo occidentale
che si contrapponeva al Vietnam del Nord filo sovietico e cinese.
Fu dopo l’intervento al Senato di Moro che Francesco Cossiga, che alla camera sosteneva le posizioni del Presidente del Consiglio sulla questione vietnamita, si prese un
pugno in faccia dal discolo comunista Gian Carlo Pajetta, come racconta Cossiga nella
pagina 177 che abbiamo sopra riportato.
Indelebile in memoria se il presidente emerito e senatore a vita, durante il IV governo
Berlusconi (2008-2011), ancora ricordava “i bei tempi”, delle scazzottate in aula. “Quel
giorno ricevetti un pugno in piena faccia da Pajetta”; raccontava nel suo ufficio al Senato
ad un inviato della Adnkronos.
Qualche settimana dopo, proprio il 14 maggio 1965, Aldo Moro, nella sua veste di
Presidente del Consiglio, si presentava alla Camera dei Deputati per informare il Parlamento sui risultati della visita ufficiale negli Stati Uniti d’America che si era svolta dal
19 al 24 aprile. Nel viaggio, compiuto nel quadro dell’amicizia fra Italia e USA, durante
il quale aveva incontrato il Presidente Lyndon Johnson, era stato accompagnato da
Amintore Fanfani che dal 5 marzo al 30 dicembre del 1965 era il ministro degli esteri.
A Washington erano stati affrontati i temi del progetto di unità europea e della Nato,
dunque inevitabile la presa in esame della presenza militare USAense in Vietnam del
sud, contrapposto al nord filo-comunista e filo-cinese.
Dopo l’intervento di Moro, chiedeva di intervenire il deputato del Partito Comunista
Alessandro Natta, il quale, nel suo lungo intervento, si rivolge al ministro degli Esteri
Amintore Fanfani.
I passaggi che mi preme riportare sono i seguenti:
E si comprende bene, onorevole Fanfani, in questo quadro la «trappola» del vostro viaggio
negli Stati Uniti d’America e la responsabilità che con esso voi avete assunto. E si comprende
anche il senso della riunione del Consiglio della N.A.T.O., le pressioni per strappare una solidarietà o almeno il silenzio o almeno la rinuncia a manifestare un dissenso. E si comprendono le responsabilità di chi a queste manovre ha prestato e presta la propria opera, sacrificando
magari le proprie convinzioni o la propria autonomia di giudizio!
Pare di cogliere una pressione morale singolarizzata alla persona Amintore Fanfani,
piuttosto che al suo ruolo istituzionale.
Perché sia più chiaro quanto cerco di dire, riporto di seguito il contenuto della pagina
159 del mio libro.
Va rammentato che al II governo Craxi, il 17 aprile 1987, fece seguito il VI governo
di Amintore Fanfani, che aveva la vecchissima abitudine di tenere costanti rapporti
confidenziali con Botteghe Oscure (la sede storica del Pci) come racconta Anatolij
Adamishin nel suo libro che ci è già noto, nel capitolo La prima volta in Italia. Da
galoppino a assistente.
Premesse funzionali
13
Ma il buon Palmiro non aveva bisogno di essere persuaso. Il leader del Pci non nascondeva le
proprie simpatie per il governo Fanfani, pur lamentando che Fanfani avesse interrotto la prassi
dei contatti diretti con Botteghe Oscure.
Quindi nel capitolo Incontri “clandestini” e visite ufficiali:
È significativo che le simpatie di Togliatti, almeno così sembrava, andassero verso il gruppo di
centrosinistra democristiano, quello di Fanfani, Gronchi e Moro, e non verso il centrodestra guidato da Andreotti. Il dirigente comunista appoggiava il disegno di un governo di centrosinistra
con la partecipazione, a cominciare da una determinata fase, dei socialisti e perfino con l’appoggio esterno del Pci. Togliatti criticava Gronchi per avere trascurato completamente i comunisti e
lodava Fanfani per avere stabilito con Botteghe Oscure un sistema di rapporti confidenziali.
Da qui si evince che il biunivoco rapporto confidenziale, fra esponenti della Dc
e del Pci, era in piedi dalla nascita della Repubblica Italiana. È questo rapporto
che ha supportato il Compromesso Storico. È questo rapporto che contribuirà a
reggere gli urti istituzionali, sociali e partitici dal 1985-1995, prima, e nei decenni
seguenti, con più determinazione, fino alla nascita del Pd.
Converrete che Alessandro Natta ci appare come informato del rapporto confidenziale
che lo stesso Fanfani intratteneva con il Partito Comunista Italiano.
Provate a raffrontare con i precedenti riportati (relativi a Fanfani) questi appunti provenienti da Fotti il potere (pagine 265-266).
L’argomento fra Cangini e Cossiga è il complotto.
Dice infatti il presidente che “i complotti hanno sempre fatto parte del gioco politico e il caso
forse più classico è la fronda contro il re di Francia”. Esempio che Francesco Cossiga illustra attraverso quello che definisce “un piccolo episodio tanto emblematico quanto divertente”. Eccolo:
“Essendo stata da poco formulata la tesi che legittimava il tirannicidio come estremo rimedio, un
giovane marchese che faceva parte della fronda si presentò dal suo confessore, un gesuita, al culmine dell’imbarazzo etico chiedendo quale dovesse essere il limite morale al proprio disegno. Ma
il gesuita lo rassicurò spiegandogli che il peccato non era stato ancora commesso e dunque non
esisteva. “Quindi” gli disse “tu ora vai ad ammazzare il re, poi torni e solo allora ti potrò assolvere
dal tuo peccato”.
Una posizione, è il caso di dire, assai gesuitica.
“Altro che… in epoca più recente e guardando alle cose di casa nostra, un complotto degno di
nota fu quello che portò alla defenestrazione di Amintore Fanfani, al tempo stesso, Presidente
del Consiglio, ministro degli Esteri e segretario del partito; voleva fare della Dc un partito sostanzialmente leninista e non, come invece desiderava Andreotti, una confederazione di correnti.
Moro era dalla parte di Giulio e con grande abilità portò su queste posizioni i vari capicorrente
del partito. Fu un complotto nella misura in cui la vittima della trama non era minimamente a
conoscenza della manovra in corso. Fanfani ne prese atto quando si ritrovò ormai a gambe all’aria
e rimase basito, non ci poteva credere!”
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Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo
Mentre, su Amintore Fanfani quell’accenno sulla sua intenzione di “leninizzare” la Democrazia Cristiana, senza volerlo conferma quanto nelle righe precedenti ho messo in
evidenza.
Tornando alla guerra nel Vietnam è bene ricordare che era stata un grazioso lascito
della Francia agli USA. L’eredità proveniva dalla guerra in Indocina, fra i Vietminh e
le truppe francesi. Uno scontro iniziato nel 1946 e finito nel maggio del 1954, quando
a Dien Bien Phu le truppe francesi furono sconfitte. La lotta armata fra il nord e il sud
del Vietnam (dove ai francesi si erano aggiunti gli USAensi) si scatenò dal 1957. E dal
1960 il Nord fu aiutato dalla vicina Cina e dall’Unione Sovietica.
Dal 1962, sotto la presidenza di John Kennedy, la presenza militare degli USA divenne
più consistente. Nel mese di agosto del 1964, nel golfo del Tonchino ci fu uno “scontro
a fuoco” (inventato?) fra un cacciatorpediniere USAense (il Maddox) e diverse motosiluranti nord-vietnamite. La presenza militare statunitense venne implementata, scatenando anche bombardamenti aerei nel territorio del Nord-Vietnam.
Si era definitivamente scatenata la guerra del Vietnam. In appoggio agli USA mandano
truppe la Nuova Zelanda e l’Australia. I Vietcong attaccano le basi statunitensi. I morti
e i feriti che tornano dal Vietnam provocano tensioni sociali durissime nel territorio
degli Stati Uniti d’America. Dal febbraio del 1965 il numero dei militari inviati a combattere in Vietnam aumenterà sempre di più; fino a superare il mezzo milione di soldati.
Un paese, la Francia, che ha uno strano modo di esportare la sua “Grandeur”; perché
come si vede, dal primo, breve, e dal secondo, lungo, dopo-guerra non perde occasione
per scatenare focolai di guerra nel mondo. Ultima, la prodezza libica contro Gheddafi
e contro gli interessi italiani, a cui vanno aggiunti gli attuali tentativi di spingere addirittura l’Europa contro la Siria. Si vede che la Francia è abituata ad accendere cerini,
sempre con la speranza di lasciarli bruciare in mani altrui.
[La Francia scalpita, vorrebbe lanciarsi nell’avventura siriana, evidentemente non sa ancora quanto pagherà cara la sua avventura libica; che ancora si illude si sia conclusa con
l’assassinio di Gheddafi, a cura di sicari di cui dovrebbero sapere molto i suoi Servizi
segreti.]
La terza. Cattolici e siriani
Chi sta manovrando per portare a fibrillazione l’Europa utilizzando le “primavere arabe” senza rondini, tanto per osservarne l’artificiosità “esterna” (vedi il mio articolo Ma
che fretta d’Egitto).
Partiamo dalla frase fatta sua da Francesco Cossiga appena su riportata: Una posizione,
è il caso di dire, assai gesuitica.
L’accenno alla “posizione assai gesuitica” potrebbe richiamare, relativamente alla Siria,
la posizione filo-ribelli del gesuita padre Paolo Dall’Oglio, scomparso in territorio siriano il 29 luglio 2013, e della cui sorte ancora non si ha notizia pur i Servizi italiani avenPremesse funzionali
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do comunicato il 12 agosto 2013 che erano in corso le trattative per la sua liberazione.
In Siria, il 9 febbraio 2013, sulla strada che da Aleppo porta a Damasco, un gruppo di
ribelli, a 30 chilometri da Aleppo, ha fermato il pullman diretto a Damasco. Il gruppo
con il potere delle armi ha voluto controllare i documenti di tutti i passeggeri, facendo scendere due sacerdoti che accompagnati da un sacerdote salesiano, Don Charbel
Daoura, erano diretti alla casa salesiana di Kafrun. Dei due sacerdoti, Michel Kayyal,
armeno cattolico, e Maher Mahfouz, greco ortodosso, da allora non si sa più nulla.
Con l’intento di giungere alla liberazione dei due sacerdoti, i Vescovi Metropoliti di
Aleppo, Mar Gregorios Youhanna Ibrahim della Chiesa siro-ortodossa e Boulos (Paolo) al Yazij, avevano accettato di recarsi ad un appuntamento con i rapitori. Il loro
autista è stato ucciso e loro rapiti. È notorio che “in aiuto” ai ribelli sono giunti in Siria miliziani jihadisti provenienti dall’Iraq che vogliono creare uno stato islamico nel
territorio siriano e si scontrano anche con gli altri ribelli. Fatto sta che fra gli aiutanti
jihadisti sono giunti i ceceni. Nelle mani degli jihadisti ceceni sarebbero dunque i due
sacerdoti e i due vescovi rapiti; e anche padre Paolo Dall’Oglio è nelle mani dei “ribelli
esterni” giunti “in aiuto” dei ribelli locali. In questi territori, soprattutto a confine con la
Turchia, non è illogico che gli Jihadisti non siriani impongano la Sharia, costituita da
norme fondate sulla dottrina coranica. Poi provate ad immaginare cosa pensa e cosa fa
un padre di famiglia siriano, in quei territori, quando miliziani armati gli dicono che
quando loro vinceranno la guerra si ricorderanno di chi non stava con loro.
Quanto al rapporto numerico fra gli “esterni” e i “locali” è di gran lunga superiore il
primo al secondo.
Il 12 agosto 2013, Rodolfo Casadei, del settimanale cattolico Tempi, intervista Monsignor Antoine Audo, Vescovo Caldeo di Aleppo.
Da questa intervista traggo le righe che seguono:
Senza andare troppo lontani dalla verità, si può dire che la crisi siriana è iniziata come una rivolta politicamente motivata, ma si è trasformata nel tempo in un conflitto confessionale che
contrappone la maggioranza sunnita araba alle comunità etniche e religiose minoritarie degli
alawiti, cristiani, sciiti, drusi, curdi, armeni, siriaci, eccetera, più una significativa quota di arabi
sunniti che si sono avvantaggiati delle politiche del regime della famiglia Assad.
A imprimere una connotazione confessionale allo scontro sono stati soprattutto Stati e
agenti stranieri che si sono schierati da una parte e dall’altra:
Arabia Saudita, Qatar e Turchia, paesi sunniti, dalla parte della Coalizione nazionale siriana dei ribelli,
Iran, Iraq ed Hezbollah, soggetti sciiti, dalla parte del governo di Bashar el Assad.
«La situazione è piuttosto dura per la gente in generale, e la prima difficoltà è quella economica:
tutto è diventato caro e la valuta siriana ha perso il suo potere d’acquisto in rapporto al dollaro.
Aleppo, città di beni culturali e artistici, è diventata una città di povertà e di miseria. La cosa che
più tormenta è soprattutto il fatto che non si può più viaggiare senza il rischio di essere sequestrati per un motivo o per un altro.
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Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo
La Siria come Stato e il popolo in generale hanno un grande rispetto per tutte le Chiese, per quella cattolica in particolare e per la persona del Santo Padre che ringraziamo soprattutto quando
parla dell’“amata Siria”. Ma sfortunatamente abbiamo l’impressione che questa guerra abbia
motivazioni economiche a livello mondiale e che siano sempre i più deboli a pagarne il prezzo».
E al Meeting cosa dirà? Gli chiede Rodolfo Casadei
«Non ho grandi dichiarazioni da fare per adesso. Al momento mi aiuterà l’ispirazione. Darò
qualche testimonianza a partire dall’estrema violenza e odio che vedo, evidenziando che non
possono soffocare la dignità umana iscritta da Dio nel cuore di ogni uomo creato a sua immagine.
Qualunque deformazione umana non può sopprimere la bellezza e la grandezza dell’essere
umano assetato di Dio».
Ma il Vescovo Antoine Audo, non riuscirà ad andare, il 24 agosto, a Rimini, come si
riprometteva. Al Meeting di Rimini, il 24 agosto 2013, sarà presente il sacerdote Antranig Ayvazian, il capo spirituale degli armeni cattolici dell’Alta Mesopotamia, nel Nord
della Siria.
Il sacerdote cattolico armeno è stato intervistato, il 24 agosto 2013, per Quotidiano Meeting da Francesco Brignoli. Di seguito alcune domande e le relative risposte.
Padre Ayvazian, sembra che il presidente Assad stia massacrando il suo popolo.
«Il 99% di quello che si dice su Assad non corrisponde alla verità. Si è mai chiesto se sia possibile che per una sola persona si faccia una guerra che ha distrutto la struttura di un Paese intero
uccidendo centomila persone? Neanche un bambino lo digerisce: vuol dire che Assad è un
pretesto!
Non è bizzarro che l’Occidente non parli mai di quanto avviene in Arabia Saudita, dove non ci
sono sindacati, l’Emiro fa quello che vuole e le donne sono considerate un nulla, mentre la civilissima Siria catalizza tanto l’attenzione?»
Cosa c’è dietro?
«Lo deve chiedere ai signori Obama, Hollande, Cameron e ai loro amici. Da chi crede che
siano finanziati i ribelli? Mica sono siriani: vengono da 80 Paesi del mondo, la maggior parte
neanche conosce l’arabo. Anche Israele fa passare le armi dai suoi confini, per combattere Assad».
Scusi, ma perché fa così gola la Siria?
«È molto semplice: la Siria è storicamente amica della Russia, e dunque si vuole privare Mosca
dell’unico accesso sul Mediterraneo che le resta disponibile. In secondo luogo la Siria è l’unico
Paese arabo a non avere debiti col mondo, perché abbiamo un livello di produzione che fa paura
a tanti Stati. Ma la banca internazionale è interessata perché tutti siano indebitati con essa,
per lucrare su interessi miliardari e dirigere l’economia delle nazioni. Infine, non va giù a nessuno la tolleranza religiosa eccezionale che c’è stata fino ad oggi nel mio Paese: uno schiaffo alle
Premesse funzionali
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dominazioni di una sola etnia che accadono in tutti gli Stati confinanti».
Prima del 2011 com’era la Siria per i cristiani?
«Eravamo liberi. Qui la laicità è di principio: moschee e chiese convivono nelle città. Ai cattolici viene insegnato il catechismo a spese dello Stato».
Sempre Padre Antranig Ayvazian, come ci racconta Leone Grotti, inviato del settimanale cattolico Tempi al Meeting di Rimini il 24 agosto 2013, durante l’incontro conclusivo Nella prova si vive, dedicato al dramma che stanno vivendo i cristiani in Medio
Oriente e nel Nord Africa, ha detto:
«Se gli stranieri che combattono in Siria se ne andassero, in 48 ore tornerebbe la pace. Noi cristiani siamo tornati a un’epoca catacombale».
«Tutte le nostre chiese in diverse città della Siria sono distrutte, i fedeli vengono da me nella
notte per ricevere i sacramenti».
«Dicono che nei nostri paesi ci sono tante ingiustizie ed è vero. Ma io chiedo: dove non ci sono?
E ora siamo qui a domandarci: dove sono i nostri sacerdoti e vescovi rapiti? Nessuno lo sa. Che
cosa fa l’Onu per noi?».
Scrive Leone Grotti:
Racconta degli estremisti e dei terroristi legati ad al-Qaeda che combattono in Siria mostra foto
di chiese distrutte e di statue decapitate.
Dice Padre Antranig Ayvazian
«Ne ho incontrati diversi di loro, gli ho chiesto che cosa volevano da noi, non parlavano neanche
arabo, e mi hanno risposto: “Ci è stato affidato il compito di riportare queste terre all’islam.
Dobbiamo uccidere e distruggere per estirpare da questo paese gli infedeli”».
«In una delle città dove prima vivevamo hanno distrutto tutte le chiese, l’aula dedicata ai giovani
è diventata un tribunale della sharia. Qui hanno processato un crocifisso di metallo e l’hanno
distrutto».
Scrive Leone Grotti:
Particolarmente impressionante la descrizione del processo da parte degli estremisti islamici a
una statua della Madonna:
Dice Padre Antranig Ayvazian
«Siccome non era interamente ricoperta dal velo l’hanno giudicata colpevole e fucilata. Poi, visto
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Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo
che l’hanno considerata un’immagine idolatra, l’hanno decapitata».
È giusto che io riporti per intero quanto aggiunge nelle righe seguenti l’articolista del
settimanale cattolico. È giusto perché è una richiesta di aiuto, e l’aiuto non è fatto solo
di denaro, per quanto, il Padron Mercato di questo ennesimo mondo economico di
turno, dopo i tanti che hanno portato a distruzione i popoli della terra negli innumeri
millenni precedenti, sia riuscito, ancora una volta, a renderlo necessario.
Già 562 mila cristiani hanno lasciato la Siria «e non sanno dove andare». I rifugiati, soprattutto in Libano, vengono soccorsi anche grazie al sostegno di Aiuto alla Chiesa che soffre, come
ricordato da Massimo Ilardo, direttore italiano dell’opera pontificia: «Dall’inizio del conflitto
abbiamo dato un milione e 100 mila euro ai siriani in difficoltà, quasi quanto all’Iraq in dieci
anni. Noi aiutiamo i vescovi e offriamo sostegno economico attraverso le diocesi. Io dico a tutti,
però, che oltre al sostegno economico serve il sostegno della preghiera, perché se c’è una cosa
che tutti ci chiedono è questa: “Pregate per noi”».
La guerra in Siria ha anche creato «tre milioni e mezzo di sfollati dentro il paese che non sanno più dove vivere.
In generale c’è un’emergenza lavoro e i cristiani, essendo i più deboli, soffrono più di tutti gli altri
siriani». Ad aiutarli a sopravvivere c’è il Jesuit Refugee service, il cui responsabile per Medio
Oriente e Nord Africa, Nawras Sammour, è intervenuto all’incontro: «Siamo al servizio di 17
mila famiglie tra Damasco, Aleppo e Homs. Facciamo servizio di mensa e assistenza medica
per oltre 12 mila persone. L’80 per cento di quelli che aiutiamo sono musulmani, il restante
cristiani.
Purtroppo oggi i gruppi radicali ed estremisti hanno più armi e sono i più forti ma finché c’è
Dio non possiamo dire che tutto è perduto, il cristianesimo è l’avventura della croce».
Con questa ultima frase si torna al titolo dell’incontro, appunto, Nella prova si vive.
Come si può notare, lo scenario che ci viene proposto a vista reale ci conduce lontano
dalle posizioni pubbliche assunte dal gesuita padre Paolo Dall’Oglio che invece propugnava l’intervento delle truppe dell’Onu per cacciare Assad. Osservare che il padre
gesuita (purtroppo rapito in Siria e il mio augurio è che ritorni, tra i suoi confratelli
gesuiti vivo) ha la stessa posizione del gruppo Bilderberg che, in Virginia, dal 31 maggio al 3 giugno 2012, ha invitato esponenti dell’opposizione siriana e russa, potrebbe
servire a cercare di capire a che gioco sta giocando il Vaticano? E perché non appaia una
domanda fredda e provocatoria leggetevi le righe che seguono comprensive della fonte
di provenienza.
«Da ‘Avvenire’ non mi faccio fotografare: è un giornale cattolico ma è troppo vicino al potere».
Questa la reazione che ha avuto Antranig Ayvazian, capo spirituale degli armeni cattolici nella
Siria del Nord, quando è stato avvicinato al Meeting di Cl da un fotografo accreditato da “Avvenire”, giornale dei vescovi italiani.
Sabato 24 agosto 2013
fonte: http://www.smtvsanmarino.sm/attualita/2013/08/24/capo-spirituale-armeni-cattolici-
Premesse funzionali
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non-vuole-foto-avvenire
Il Vescovo di Roma, Cardinale Jorge Mario Bergoglio, ha proclamato, per sabato 7
settembre 2013, una giornata di preghiera e digiuno per la pace in Siria e in Medio
Oriente, nel mondo e contro l’intervento armato in Siria. Digiunare e pregare per la
pace è certo un agire condivisibile, anche se non si fosse cattolici. Pur facendo notare
al Vescovo di Roma che, se non ci fosse stata la ferma presa di posizione della Russia,
il conflitto avrebbe già avuto inizio. Infatti, proprio all’indomani della giornata dedicata alla Siria, domenica 8 settembre 2013, da Parigi il segretario di Stato USAense,
John Kerry, ha dichiarato testualmente «Non è una fantasia, il presidente siriano Bashar
al Assad ha usato armi chimiche almeno 11 volte». Verrebbe da chiedere, al capo della diplomazia della presidenza Obama, se la sua sicurezza deriva dall’essere a conoscenza di
quante, esatte, volte i ribelli hanno avuto in dotazione (magari da qualche paese vicino)
ed utilizzato (anche in modo improvvido) il gas Sarin (anche prodotto in modo artigianale), non solo contro le truppe lealiste, anche contro la popolazione, contro i bambini.
Vedendo le scene dei bambini colpiti dal gas in Siria, mi sono venuti in mente i bambini
della scuola di Beslan in Ossezia del Nord, nel settembre del 2004, che fuggivano nudi
o seminudi, inseguiti da due donne che li volevano uccidere facendosi esplodere. Sono
passati 9 anni ma la strage di Beslan, appunto in Cecenia (vedi due miei articoli del
2004 ripubblicati nel sito de La Voce della Russia), dovrebbe essere tutt’ora ancorata
alla memoria. Siamo di fronte a gruppi che utilizzano tutti i mezzi: compresa la carneficina di innocenti e pubblicamente, poi, incolparne “il nemico”. In Siria, lo scopo è
quello di costruire il “necessario casus belli”, per motivare l’intervento armato dell’ONU.
Anzi della triade USA, Inghilterra, Francia, che è riuscita (sbattendosene dell’Italia) a
distruggere la Libia che sta covando vendetta.
Vale la pena, come finale di questa terza parte, accendere la Radio Vaticana, il 26 agosto
2013, sta parlando qualcuno che già conosciamo: il Vescovo, gesuita, di Aleppo il cattolico caldeo Monsignor Antoine Audo, anche presidente di Caritas Siria, registrate cosa
ha detto.
Se ci fosse un intervento militare, questo vorrebbe dire – per il mio sentire – una guerra mondiale.
E, mentre sentiamo la Radio Vaticana in quel 26 agosto 2013, spostiamoci in bilocazione temporale al 6 settembre 2013, a San Pietroburgo, dove si sta tenendo il G20
(il gruppo dei 20 Paesi più industrializzati), andiamo nella sala dove si sta firmando la
risoluzione USAense che condanna la Siria. Tra i firmatari c’è Enrico Letta.
Dunque, l’Italia Napolitano(re)-Monti-Letta è anti-siriana, senza aver chiesto nessun parere al Parlamento. Non solo, senza nessun parere del Parlamento l’Italia
Napolitano(re)-Monti-Letta si sta preparando al coinvolgimento militare italiano in
funzione anti-siriana, in Libano e in Giordania?
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Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo
La quarta. Un pinguino
C’è un’altra immagine che fa parte di queste premesse funzionali.
È un’immagine di pinguino. I pinguini fanno parte degli sfenisciformi, uccelli che non
riescono più a volare perché le loro ali si sono trasformate in pinne; sono ottimi tuffatori
e nuotatori; sono monogami, vivono in colonie, anche per autoprotezione; si nutrono di
pesci, crostacei, plancton.
I pinguini maschi portano in una sacca fra i corti piedi palmati uno o più piccoli, è per
questo, aggiunto al dondolio, che il loro andare ci appare un po’ goffo.
Se un pinguino deve difendersi, o difendere, sa usare bene le picchianti ali e il durissimo
becco.
Il pinguino sta sempre dritto e il suo lento incedere dondolandosi da destra a sinistra,
davanti e dietro, richiama un aspetto umano; ma, a differenza dell’uomo, riesce a sopportare temperature polari per lo strato di grasso distribuito nel sotto-pelle, un perfetto
isolante termico.
Di richiamo all’umano hanno anche l’adozione dei piccoli che rimangono senza genitori.
Quando, nella stagione della riproduzione, la femmina “partorisce”, ovvero depone l’uovo, lo prende in consegna il maschio, inserendolo in una sacca fra le corte zampe palmate. È il maschio a covare l’uovo, mentre la femmina per molte settimane va in mare
in cerca di cibo.
E, a proposito degli umani che usano i frigoriferi per mantenere fresco il cibo, i pinguini
riescono a mantenere fresco il cibo immagazzinato nello stomaco per tre settimane. Le
pareti del loro stomaco infatti hanno proprietà antibatteriche.
Il maschio quando si occupa dei suoi piccoli non va in cerca di cibo e può digiunare
anche per sei settimane. Quando il piccolo pinguino esce dal guscio è tenuto protetto
nella sacca, fra le zampe palmate del papà.
E fa una certa tenerezza a vedere questo padre che si occupa del suo piccolo, come noi
vediamo fare ad una madre.
L’immagine, che voglio mostrarvi, proviene da una colonia di pinguini che non abita
nelle zone ghiacciate dell’Antartide, ma nelle zone calde fra l’Antartide e le Galàpagos.
Le acque in quella latitudine sono freddissime e quanto a cibo sono acque dove vivono
molte specie di pesce. Comunque un buon habitat per una colonia di pinguini.
Ci occupiamo dei pinguini alle prese con gli avvoltoi dal collo rosso.
È una giornata molto assolata. Un pinguino si sta occupando dei suoi due piccoli che
cominciano ad uscire dalla sua sacca fra le pinne.
Improvvisamente si vede del trambusto nella colonia. Ci sono degli avvoltoi dal collo
rosso che stanno cercando di sottrarre dei piccoli pinguini a qualche papà della colonia.
I pinguini reagiscono e insieme cercano di costringere alla ritirata gli avvoltoi affamati.
Uno di questi avvoltoi, mentre un altro attende poco distante, si avvicina ad un pinguino che sta accudendo due suoi piccoli e cerca di agguantarne uno. Il padre reagisce
con determinazione e mette in fuga l’avvoltoio. Ma, nella foga di cacciarlo, non si rende
Premesse funzionali
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conto che sta lasciando sguarniti i suoi due piccoli. Del suo allontanamento approfitta
l’avvoltoio che stava in disparte; si lancia sui piccoli, ne afferra uno e lo porta poco distante, proprio mentre papà pinguino sta tornando indietro “velocemente” (ma il suo
correre è lentissimo) a protezione dei suoi due piccoli.
Ma è troppo tardi. Uno dei suoi due piccoli se lo sta divorando, a beccate strazianti,
l’avvoltoio dal collo rosso.
La scena è tremenda, il papà pinguino, mentre si pone a difesa del piccolo rimasto, osserva quello che sta rimanendo dell’altro.
Abbassa la testa e il becco tocca il petto. L’immagine è straziante. Sembra un essere
umano sconfortato per non essere riuscito ad impedire una tragedia. Come ho potuto
fargli mancare la mia protezione, che dirò a sua madre quando tornerà, sembra pensare.
La testa bassa, una tristezza che attraversa il tempo, ti sembrerebbe di scorgere anche
invisibili lacrime. Questa è l’immagine che volevo trasmettervi.
Un pinguino umanizzato dalla sua stessa sofferenza. Una sofferenza che si estende alle
buone persone di questa umanità che debbono affrontare non solo le “crudezze” della
vita così come qualunque altro essere che si trova a vivere su questa terra, piegata alla (e
dalla) esigenza del cibo; ma si trovano aggrediti anche dal mondo economico di turno,
da Padron Mercato che come l’avvoltoio dal collo rosso, li divora, come fossero i piccoli
di papà pinguino, appena si trovano sguarniti.
Non è Fato, questo agire, non è Destino, non è il Caso, non è l’evento causale che la
natura ti costringe ad affrontare, non è il destino, dagli umani considerato cinico e baro,
non è la fortuna o il fortunale; questo agire perfido che si fisicizza nel mondo economico, di ogni tempo, che vuole asservire l’umanità e non servire l’umanità; questo agire,
solo apparentemente casuale, è crudeltà assoluta, è il vestito della festa della malignità;
chiamarlo male assoluto è addirittura limitante.
Quel papà pinguino che piega la testa toccandosi il petto col becco rappresenta, sì, la
fatica di vivere di tutti gli esseri costretti a vivere su una terra malata e che li ammala;
ma, in più, rapportato all’umanità da millenni tradita, rappresenta il dolore, l’angoscia,
la tristezza senza fondo degli esseri umani, nel constatare quanto possano essere portatori di malvagità e di morte altri esseri umani, proprio quando affermano di occuparsi
degli altri, mentre ne sono coscienti, e ben pagati, carcerieri.
La quinta. Il cibo
Visto che nella precedente premessa funzionale si parla di cibo, colgo l’occasione per
chiarire meglio quanto, nel mio intervento di presentazione del libro, a Battaglia Terme,
il 19 maggio 2013, cercavo di dire proprio relativamente al cibo.
Questa Terra ha un problema, dicevo, questo problema è il cibo. Il divorarsi l’un l’altro
non è una realtà cosmica.
Lo spirito, nella natura, si adatta a questo problema della Terra e dell’antica umanità
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Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo
che l’ha alterata e corrotta.
Così va compresa, come un tenere conto dell’alterazione derivata dall’errore originale
quella frase tratta dal Padre nostro che dice: “dacci oggi il nostro pane quotidiano”.
[Pur osservando che la frase è diretta allo spirito e non al corpo dell’uomo; quindi dacci
ogni giorno l’energia necessaria per rafforzare il nostro spirito.]
Raccontavo, in apertura del mio intervento, come nelle società primitive, costrette a
convivere con la necessità del cibo, potesse avvenire che in condizioni particolari di
carenza di cibo ci si affidasse a quelli che, per esempio, nella terra africana, venivano
chiamati i maghi cacciatori.
Raccontavo come, un mago cacciatore sapesse chiedere alla natura il cibo per il proprio
villaggio, utilizzando un disegno sul terreno e un raggio di sole. Parlavo di come una
antilope anziana si offrisse come cibo per il villaggio affamato, sapendo che, attraverso
questa offerta di sé, gli abitanti del villaggio sarebbero diventati anche antilope, e lei
stessa sarebbe entrata a far parte di quell’umanità.
Mentre spiegavo questo, mi accingevo a spostare l’attenzione di chi mi ascoltava (eravamo nel Veneto) verso le antiche montagne innevate della corona alpina. Ma, interpretando alcuni movimenti alla mia sinistra come un invito ad accorciare i tempi, mi
sono ritrovato, senza avvedermene, a fare un salto spazio temporale, senza avvisarne i
miei ascoltatori. Infatti, improvvisamente, l’antilope era diventata un alce, che più che
in Africa, sarebbe stata perfettamente a suo agio nella nordica corona alpina. Immagine
delle montagne innevate alpine che avrei voluto trasmettere dopo; ma tant’è, era stata
invece trasmessa attraverso il termine “alce”.
Ma il mio uditorio aveva ancora di fronte il mago cacciatore africano che, accompagnato da un bambino che voleva diventare il futuro mago cacciatore del villaggio, si
trovava di fronte una gigantesca antilope, che attendeva immobile di essere colpita da
due mortali frecce, quella del grande e quella del piccolo cacciatore. Questa antilope
sarebbe stata il cibo che, per conto dell’intero villaggio, il mago cacciatore aveva chiesto
allo spirito della natura.
Non solo, accennando alle loro tende, volevo raccontare anche della caccia al Bisonte,
nelle terre che erano state dei nativi prima che gli europei le occupassero, costringendoli
nelle sempre più limitate “riserve”.
È il cibo, dunque, il vero appesantitore del genere umano.
L’agape fraterna, cioè mangiare insieme e in letizia, è l’utilizzo funzionale di un errore
che rimane errore anche nel frastornio di un pranzo o di una cena comunitaria.
Gioiosamente costretti a cibarsi, gli uomini non hanno ancora capito che Dio non ha
bisogno di eserciti, non ha uno stomaco per digerire, non ha un olfatto per inebriarsi
della carne abbrustolita di un capro espiatorio, non ha bisogno della “romana pennichella”.
Dio, lo Spirito, si adatta semplicemente al limite umano, non giustificandolo, perché
deriva da un suo mortale errore, ma comprendendolo.
In questo senso gli antichi chiamavano la Natura la grande passiva; perché veniva osservata mentre si lasciava bistrattare dallo spesso illogico, perfido, a volte anche stupido, ma
sempre colpevole, limite umano. Ma, si sa, una mamma è sempre una mamma che cerca
Premesse funzionali
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sempre di dare una possibilità in più ai figli. Visto che lo Spirito Santo in ebraico si dice
Ruach che non vuol dire semplicemente soffio, ma rappresenta il principio di maternità.
Ecco perché è rappresentato nella cattolicità con una bellissima e bianca colomba.
Avendo dunque presenti i cinque punti cardine che sostengono e contengono questo
scritto, possiamo affrontare i temi che sono a pubblica vista. Nel libro si parla della congiura di Catilina, nel capitolo Il limite ha perso la pazienza, a pagina 23.
Nell’affrontare il capitolo che segue vanno tenute presenti quelle pagine, insieme alla
prima delle premesse funzionali.
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Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo
I catilinari partitici governanti
Vediamo, nei mutandoni aderenti del nonno largheintese-ista, quanti e quali ministri
partitici e quirinalizio-tecnici sono stati infilati a forza.
Ecco il governo figlio del governo Napolitano-Monti e della XVII (diciassettesima)
legislatura.
[Nota di colore. Il 17 nella cabala napoletana e per chi gioca a tombola è sinonimo di
disgrazia. Un napoletano, conoscitore della cabala (tradizione) napoletana, non avrebbe dovuto avventurarsi verso un bis. Un pisano, poi, soprattutto quando si ritiene un
soccorritore, dovrebbe rammentare che in Toscana la frase “portare il soccorso di Pisa”, si
riferisce a chi porta aiuto quando non serve più, con l’intento di ricavarne comunque un
vantaggio (sono arrivato tardi ma sono arrivato, cosa c’è per me?)
Al numero 17 secondo la numerologia (l’interpretazione magico-mistica dei numeri),
viene associata l’innocenza armonica. Va detto che secondo il sistema numerico novenale
quel numero significa un aiuto del cielo che viene dal futuro. Un aiuto che è sempre diretto
a chi sta subendo ingiustizie. Dunque quel 17 significa che il tempo dei catilinari sta
finendo ed è lo stesso cielo a sollecitare la terra italica a liberarsi degli invasori senza
morale. Leggetevi proprio l’ultima pagina del libro, la 511. A proposito, dentro quel numero di pagina, trasformato secondo il sistema antico, si nasconde il passato, il nord e il
sud della Terra. Non credo che gli invasori, che stanno distruggendo le genti di questa
antica Terra, potranno continuare a lungo nel mostrarsi accattivanti salvatori della patria. (Attenzione al termine accattivante perché pur richiamando il termine bonaccione,
non mostra nello sfondo mitezza e bonarietà; mostra invece il verbo cattivare – dal latino captivus, prigioniero – che vuol dire ridurre in schiavitù.) Dunque attenti ai salvatori
della patria, dopo l’assassinio di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.]
Prima di presentarvi il governo catilinario, sono necessari alcuni chiarimenti relativi alla
sigla NML che troverete tra parentesi dopo quella SC, IND, PD, PDL.
Considerate i nominativi preceduti dalle sigle IND (Indipendente), SC (Scelta Civica
di Monti) come se fosse la sigla NML che sta per Napolitano-Monti-Letta, sono quelli
chiamati, eufemisticamente “Tecnici”. A questi vanno aggiunti quelli, del PD (Partito
Democratico) e del PDL (Popolo della Libertà), che si trovano iscritti al Think Tank
VeDrò di Enrico Letta (di questa associazione troverete informazioni nelle pagine che
seguono). L’insieme di questi nominativi formano appunto il gruppo NML che rappresenta la radice del governo dei congiurati, il resto dei nominativi, pendendo dai suoi
rami, sono i frutti perversi di questo albero.
[Scelta Civica (SC) è praticamente un minestrone, con l’etichetta Mario Monti, formata da un coacervo, un miscuglio, di raggruppamenti partitici funzionale alla raccolta
di sufficienti numeri elettorali. Futuro e Libertà (Fli di Gianfranco Fini). Italia Futura
(Luca Cordero di Montezemolo). I cattolici (complici) organizzati da Andrea Riccardi. Le Acli (con Andrea Oliviero). Di fatto va considerato che gli stessi Monti-ani di
I catilinari partitici governanti
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Scelta Civica sono la diretta emanazione-conseguenza dell’invenzione quirinalizia di
Mario Monti. Ecco perché SC non è scindibile dai cosiddetti “Tecnici”, “imposti” più
che “suggeriti” da un “Capo dello Stato” che ormai nelle sue decisioni “monocratiche”
appare più come un re che come un presidente notaio. Per di più, questo presidente-re,
per coprire questa “alterazione”, complice il Letta-Monti, vuole rendere “costituzionale”
ciò che a qualunque osservatore terzo, analizzante lo sfascio delle istituzioni italiane,
appare anticostituzionale. In questo senso la sigla NML supera lo stesso limite dei nomi
che accomuna, tendendo a trasformarsi in un organismo partitico tecnico antipopolare
e costrittivo e impoverente. Perché più il popolo è povero e privo di mezzi, più è controllabile.]
Chiarito quanto appaia costituzionalmente grave quella sigla NML che sovrasta e raccoglie i nominativi seduti sugli scranni delle sigle IND, SC, PDL e PD, vediamolo
questo governo catilinario nato il 28 aprile 2013, dopo le elezioni politiche che si sono
svolte il 24 e il 25 febbraio 2013, mentre la XVII legislatura ha avuto inizio il 15 marzo
2013.
Prima del nome le sigle partiticamente collocanti, dopo il nome è indicato l’incarico.
PD (NML) Enrico Letta
PDL(NML) Angelino Alfano
IND (NML) Filippo Patroni Griffi
PD
PD
Giovanni Legnini
Domenico Minniti
PDL
Sabrina De Camillis
PDL
Micaela Biancofiore
Presidente del Consiglio dei Ministri
Vice Presidente del Consiglio dei Ministri
(segretario del Consiglio dei Ministri)
Sottosegretario di Stato alla Presidenza del
Consiglio
(Editoria e Attuazione Programma)
(Autorità delegata per la sicurezza della Repubblica)
(Rapporti con il Parlamento e coordinamento attività di Governo)
Sottosegretario Pubblica amministrazione e
semplificazione
Ministri senza portafoglio (dopo il nome il dicastero di cui è ministro)
PD (NML) Josefa Idem
PD
Graziano Delrio
PD
PD
Carlo Trigilia
Dario Franceschini
PD
Cécile Kyenge
PD
Maria Cecilia Guerra
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(dimissionaria dal 24 giugno 2013)
Pari opportunità, sport e politiche giovanili
Affari regionali e autonomie con delega allo
Sport dal 26 giugno 2013
Coesione territoriale
Rapporti con il Parlamento e coordinamento
attività di Governo
Integrazione con delega alle politiche giovanili dal 26 giugno 2013
Vice Ministro del Lavoro con delega alle Pari
Opportunità dal 26 giugno 2013
Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo
PDL
Gaetano Quagliariello Riforme costituzionali
SC (NML) Enzo Moavero Milanesi Affari europei
SC (NML) Gianpiero D’Alia
Pubblica amministrazione e semplificazione
Ministri con portafoglio (dopo il nome il dicastero di cui è ministro)
PD
Flavio Zanonato
PD (NML) Andrea Orlando
PD
Maria Chiara Carrozza PD
Massimo Bray
PDL(NML) Angelino Alfano
PDL(NML) Maurizio Lupi
PDL(NML) Nunzia De Girolamo PDL
Beatrice Lorenzin
IND (NML) Annamaria Cancellieri SC (NML) Mario Mauro
IND (NML) Fabrizio Saccomanni
IND (NML) Enrico Giovannini
RADICALI Emma Bonino
Sviluppo Economico
Ambiente, tutela del territorio e del mare
Istruzione, Università e ricerca
Beni e attività culturali
Ministro dell’Interno
Infrastrutture e trasporti
Politiche agricole alimentari e forestali
Salute
Giustizia
Difesa
Economia e Finanze
Lavoro e Politiche sociali
Affari Esteri
Se aggiungiamo ai 14 NML, i due ministri direttamente “assunti” da Enrico Letta
(quello all’Istruzione – Maria Chiara Carrozza – e quello all’Integrazione – Cécile
Kyenge) e i due ministri “fortemente voluti” dal duo Lupi-Alfano, (quello alla Salute
– Beatrice Lorenzin – e quello alle Riforme Costituzionali – Gaetano Quagliariello),
arriviamo alla maggioritaria cifra di 18 su 29.
Eccoveli squadernati i catilinari prosecutori del piano per schiavizzare l’Italia e venderla al mercato degli schiavi, che si tiene a Bruxelles due volte a semestre, nel palazzo
denominato “Europa”, nel “quartiere europeo”. Un quartiere così “europeo” da ospitare
anche la sede politica della Nato (North Atlantic Treaty Organization). Un Organismo
inter-atlantico che, essendo nato a Washington il 4 aprile del 1949, ha le radici nella
terra che conosce benissimo lo schiavismo funzionale.
Quanto al professor Gaetano Quagliariello, ministro per le Riforme Costituzionali ed
interfaccia del gruppo dei saggi nominati – non si sa con quali costituzionali poteri –
dal presidente (re) Giorgio Napolitano, è il personaggio chiave per arrivare alla modifica presidenzialista della Costituzione. Una modifica a cui si vuole arrivare a tutti i costi,
essendo l’atto finale di un golpe strisciante. Un golpe strisciante che si è dipartito dal
referendum Monarchia Repubblica; ha occupato, negli anni, tutta la burocrazia statuale
e, attraverso questa, i perni sociali della scuola e della cultura, comprese tutte le relative
diramazioni convergenti; un golpe che, trovandosi ostacolato nel suo strisciare in segreto, si è impennato, assumendo il controllo dei servizi segreti mordendo a morte, assassinando Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, nei primi anni ’90. I due magistrati aprono
la lunga lista degli uccisi dal bulldozer che spianava il terreno italiano per costruirvi
le nuove strutture, costruite con tutto l’utilizzabile, ben ripulito, tratto dalle macerie
I catilinari partitici governanti
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italiane del crollo dell’Unione Sovietica. Chiunque si fosse frapposto, chiunque avesse
compreso l’esistenza e il ruolo dei deviatori, sarebbe stato maciullato (vedi Il risveglio
dei deviatori, a pagina 351 del mio libro). Così, si è andata formando una lunga lista di
utili morti che conduce ai giorni nostri. Oggi, abbiamo davanti agli occhi, seduti negli
scranni di comando, certi di non essere riconosciuti, i bulldozer-isti deviatori, ormai
certi di averla fatta franca.
Un governo di larghe intese necessariamente costruito col manuale Cencelli. Così è
stato definito dai Mass Media il Governo Letta.
Manuale Cencelli? E che è?
Durante il X congresso della Democrazia Cristiana, tenutosi a Milano, nel Palazzetto
dello Sport, dal 23 al 26 novembre 1967, nacque la corrente dei Pontieri, così denominata perché voleva fare da “ponte”, fra le correnti della maggioranza e quella di sinistra.
In realtà la denominazione di Pontieri, non era nata durante il congresso ma dopo.
Infatti, la prima denominazione al congresso era “Amici di Taviani”, che prese il 12%
dei voti congressuali. La quarta legislatura (16 maggio 1963-11 marzo 1968) si arrampicava, con il suo quarto governo, verso il suo termine con il III Governo Moro. Fra i
costituenti c’erano quattro “governativi”: Paolo Emilio Taviani, ministro dell’Interno
del III Governo di Aldo Moro, Francesco Cossiga, sottosegretario al Ministero della
Difesa, Adolfo Sarti sottosegretario al Ministero del Turismo e Spettacolo, Remo Gaspari, sottosegretario del Ministero dell’Interno.
Durante le discussioni fra i costituenti della nuova corrente, Sarti si lamentava dei
piccoli incarichi governativi. Taviani, facendo l’esempio della divisione dei compiti in
una società per azioni, rilevava che i soci, riuniti in assemblea, decidevano sulle cariche
societarie, utilizzando le quote azionarie che singolarmente rappresentavano o possedevano.
Dunque tanti sono i voti, tante sono le azioni, tanti, più o meno pesanti, saranno gli
incarichi. A questa riunione era presente Massimiliano Cencelli che si mise a lavorare
sullo schema voti-incarichi governativi. Ecco come nacque il “Manuale Cencelli”.
Massimiliano Cencelli, sciolta la Dc, è alla fine approdato alla Margherita, come Enrico Letta, ed ora è un iscritto del PD. L’idea di rapportare l’organizzazione del partito a
quella di una impresa era un’idea ben presente anche in altri partiti, compresi quelli di
sinistra. Ma l’impresa non ha un’anima popolare, per quanto sul popolino ci campi, se
no che impresa sarebbe. Mentre erano attardate in questo rimescolio, fra le antiche motivazioni costituenti e tutti i “che fare” nascenti, bisognosi di denaro, come il bambino
del latte materno, improvvisamente, il Partito-Impresa, le sinistre se lo sono trovato di
fronte con Silvio Berlusconi. È da venti anni che il vero sotterraneo regime se lo trova
di fronte e non riesce a liberarsene. Ma, vindice la Cassazione, “ora ci siamo” è la frase
sorniona che dal sotterraneo regime viene lanciata ai creduloni di superficie.
Se è il denaro a gestire la partitica, se le correnti rappresentano l’azionariato di controllo,
il governo Letta lo dimostra in pieno. La dimostrazione sarà solare quando osserveremo
organismi, con ramificazioni nel Governo Letta, che, dipartendosi, da questo concetto
simil-economico, sono perfetti contenitori di esponenti multi-partitici al servizio di Padron Mercato. La sigla NML, che ormai sapete che significa, dovrebbe, a questo punto,
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Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo
farci capire molto di più, e, superando il manuale Cencelli, farci, finalmente guardare
nella direzione giusta.
Proviamo, per aiutare il lettore, a guardare in una direzione che potremmo considerare
“giusta”.
Nel gioco del golpe costituzionale, prossimo venturo, troviamo, in una posizione importante, il controllo della Commissione Antimafia. Soprattutto adesso che dal tribunale
di Palermo, nell’ambito del processo per la trattativa Stato-mafia si è richiesto, e dalla
Corte d’Assise ottenuto, che Giorgio Napolitano venisse chiamato a deporre.
Aggiungiamo, perché ci è utile, che fra i 178 testi che il PM Nino Di Matteo vorrebbe
sentire c’è anche Piero Grasso, l’allora Procuratore Nazionale Antimafia, attualmente
senatore e Presidente del Senato.
Il tribunale vorrebbe chiedere a Giorgio Napolitano che cosa intendesse dire il suo
consigliere per gli affari e la Giustizia, il magistrato Loris D’Ambrosio nella lettera di
dimissioni, dall’incarico di consigliere presidenziale, del 19 giugno 2012, indirizzata
proprio al Presidente della Repubblica, prima di (provvidenzialmente?) morire il 26
luglio 2012.
In questa lettera ci sono quattro frasi chiave che vanno fra loro collegate. Perché Loris
D’Ambrosio sapeva che il destinatario era in grado collegare le frasi sotto estrapolate
dal contesto di una lettera di dimissioni che cercava di sintetizzare quanto di grave stava
avvenendo intorno a Giorgio Napolitano che, negli anni della trattativa Stato-mafia,
non era Presidente della Repubblica.
Le frasi.
– I fatti di questi giorni mi hanno profondamente amareggiato personalmente, ma, in via
principale, per la consapevolezza che la loro malevola interpretazione sta cercando di
spostare sulla sua figura e sul suo altissimo ruolo istituzionale condotte che soltanto a me
sono invece riferibili.
– Il procuratore generale della Cassazione, il procuratore nazionale antimafia, il Consiglio Superiore della Magistratura, la Commissione parlamentare antimafia sanno
bene che le criticità e i contrasti esistono e sono gravi, ma che a essi non si riesce a porre
effettivo rimedio. Mi ha turbato leggere nei resoconti di un’audizione all’Antimafia, le
dichiarazioni di chi ammette che della c.d. trattativa Stato-mafia uffici giudiziari danno
interpretazioni diversificate e spesso confliggenti, ma che ciò è fisiologicamente irrimediabile come se, fosse la stessa cosa trattare lo stesso soggetto da imputato o da testimone o parte
offesa da fonte attendibile o da pericoloso e interessato depistatore.
– Non conosco il contenuto delle conversazioni intercettate, ma quel tanto che finora è
stato fatto emergere serve a far capire che d’ora in avanti ogni più innocente espressione
sarà interpretata con cattiveria e inquietante malvagità.
Lei sa che di ciò ho scritto anche di recente su richiesta di Maria Falcone. E sa che, in quelle
poche pagine, non ho esitato a fare cenno a episodi del periodo 1989-1993 che mi preoccuI catilinari partitici governanti
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pano e fanno riflettere; che mi hanno portato a enucleare ipotesi – solo ipotesi – di cui ho
detto anche ad altri, quasi preso anche dal vivo timore di essere stato allora considerato
solo un ingenuo e utile scriba di cose utili a fungere da scudo per indicibili accordi.
Non ho commenti da aggiungere, salvo far notare che:
– nel libro di questi argomenti si parla da pagina 361 a pagina 365;
– le intercettazioni cui si riferisce D’Ambrosio sono quelle intercorse fra lui e Nicola
Mancino;
– il Procuratore Nazionale Antimafia nel 2012 era l’attuale presidente del senato Piero Grasso (pagina 361-362 del libro);
– il presidente della Commissione Antimafia Giuseppe Pisanu (pagina 435 del libro)
e il suo predecessore era Luciano Violante;
– il termine interessato depistatore richiama il termine deviatori presente nel libro
(vedi il capitolo Il risveglio dei deviatori a pagina 351);
– visti gli approfondimenti conoscitivi richiesti dal tribunale di Palermo, potremmo
ipotizzare che qualcuno abbia considerato funzionale, ed opportuno, al controllo
degli eventi che alla Presidenza della Commissione Antimafia venisse nominato un
esponente del gruppo NML.
Alice, dal Paese delle meraviglie, deve essere venuta in aiuto, se dal cappello del Cappellaio Matto, è uscito, e di gran fretta (e sai quanto … se i pidiellini non sono d’accordo?),
il nome di Rosy Bindi. Possiamo immaginare che ci sia stata qualche pressione dall’alto
(Non si poteva aspettare più oltre, ha per esempio dichiarato Piero Grasso), visti i ragionamenti che abbiamo fatto nelle righe precedenti? E poi Rosy Bindi? Chi lo avrebbe
detto visto che solo il 2 giugno 2013 si pronunciava contro l’ipotesi dell’elezione diretta
del Capo dello Stato su cui stanno lavorando gli NML. Ma, quando per essere eletti
deputati si viene catapultati in giro per l’Italia, qualche “pressioncina” bisogna metterla
in conto. In aggiunta, vuoi mettere l’euforia che al senato il 23 ottobre 2013 è passata
a gran maggioranza l’istituzione di un comitato di 42 parlamentari che potranno giocherellare con l’articolo 138 della Costituzione senza che sia obbligatorio il ricorso al
referendum. Soddisfatto il Quirinale, soddisfatti i largheintese-isti, soddisfatto il gruppo
NML, soddisfatti i campaasbafosulpopolino, meno soddisfatte le genti italiche. Ma tanto,
fino a che non diventano popolo i campaasbafosulpopolino se ne fanno un baffo.
Piuttosto, già che ci siamo, c’è un grande allarme, in questa finale decade di ottobre
2013, sulle intercettazioni di tutti i leader europei da parte dello spionaggio USAense.
Vale la pena riportare quello che ho scritto a pagina 80 del libro.
Il giapponese Yotaro Kobayashi è stato a lungo (ora è ex) presidente della Fuji Xerox. Per Kobayashi l’economia di mercato è direttamente collegata con la democrazia. E vedremo di che tipo
di democrazia abbia bisogno una economia, che si aggira fra i popoli con il carro armato mercato.
Il 4 giugno 1994, era giunta a Roma una corposa delegazione della Keidanren, la confindustria
giapponese. In prossimità del vertice dei G7, previsto per il luglio di quell’anno a Napoli, si sarebbe discusso di investimenti di grande respiro internazionale. E si sa che quando si investe, lo
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Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo
si fa per un “corposo” ritorno. E la “corposa” delegazione voleva tornare a casa, avendo in tasca i
contratti per i prestiti agevolati e la fornitura di tecnologia giapponese alle imprese italiane.
C’era un grande interesse per il progetto del super treno Torino-Lione. La TAV (Treni ad Alta
Velocità), come si vede, assorbe debiti e dirama corposi ritorni dal 1994. Sapete è come un albero:
assorbe anidride carbonica e dirama ossigeno, solo che all’Italia non rimane l’ossigeno.
Altrettanto interesse per co-finanziamento del collegamento a fibre ottiche, che da Palermo
dovrà giungere a Mosca e a Kiev. Sono 3.550 chilometri. Anche questo è un buon investimento che promette un buon ritorno. Sapete chi è a capo della delegazione giapponese? Yotaro
Kobayashi, presidente della Fuji Xerox.
Come si vede, è da almeno venti anni che il “grande progresso delle fibre ottiche” potenzia la curiosità degli spioni mondiali.
Letta ha fatto sapere che è inaccettabile spiare gli alleati. Evidentemente o non sa o
finge di non sapere che, esattamente dal G7 di Napoli, gli USA (che occupano l’Italia
da quando, bontà loro, hanno permesso che i risultati del referendum fossero alterati
perché vincesse la Repubblica sulla Monarchia), si sono premurati di mettere le mani
sui terminali di Mazara del Vallo (il SeaMeWe3) e soprattutto su quello di Palermo
(il SeaMeWe4), da cui, guarda che caso transita tutto, dico tutto, il traffico di dati del
sistema Fea (Flag Europe Asia). Se per caso il lettore ha sottomano il libro, vedrà che
nella delegazione giapponese del 4 giugno 1994, faceva parte l’attuale Presidente della
Commissione Trilaterale dell’Asia e del Pacifico. Per conoscerne il nome vi basterà sbirciare nella pagina 81 del libro.
È possibile, dunque, che siano state registrate, per esempio, quelle quattro telefonate
intercorse fra Giorgio Napolitano e Nicola Mancino. Se così fosse, vista la distruzione
ottenuta per ordine della Corte Costituzionale che ha voluto preservare la garanzia del
successore di Napolitano che è ancora Napolitano, potrebbe essersi determinata una
azione pressoria, dall’esterno, nei confronti della massima carica dello Stato italiano.
A questo punto è bene che, prima che lo facciano dall’esterno, dal colle quirinalizio si
renda noto il contenuto di quelle quattro telefonate. Si dimostri che neanche per ipotesi
si possa ragionevolmente ipotizzare che il Capo dello Stato possa trovarsi sotto ricatto
esterno. E già che ci siamo, visto che, due anni dopo, nello stritolatoio delle intercettazioni USAensi ci sono finiti anche loro, potremmo sapere se è vero che Angela Merkel
ha premuto su Giorgio Napolitano per favorire la giubilazione del governo Berlusconi
nell’ottobre 2011? E magari, prima che ci venga rivelato e documentato dall’estero?
Chi ha sottomano (ed ha letto) il mio micro-saggio Fallimento Europa, pubblicato sul
sito di Nexus il 7 dicembre 2011, potrà rendersi conto che le righe, sotto riportate, sono
estratte dal paragrafo Un ferma-immagine surreale. In questo paragrafo si dimostra
come la Cancelliera tedesca e il Presidente francese abbiano, pubblicamente, interferito con le vicende “interne” italiane. Un’interferenza che è divenuta visibile nel diverso
trattamento che, a distanza di un mese, Sarkozy e Merkel hanno avuto nei confronti di
Silvio Berlusconi, prima, il 23 ottobre, e Mario Monti, poi, il 22 novembre 2011.
Un mese fa si era addirittura rischiato un serio incidente diplomatico fra Italia, Francia e Ger-
I catilinari partitici governanti
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mania; era accaduto che il Primo ministro italiano, a Bruxelles, il 23 ottobre u.s., dopo essersi
incontrato con il Presidente del Consiglio e della Commissione europea, prima del summit della
UE, nell’aula consiliare, aveva partecipato ad una riunione, durata circa mezz’ora, con il presidente
francese e con la cancelliera tedesca. Argomento, appunto la crisi economica italiana.
Al termine del summit, l’ormai visibile non statuale, quindi non legittimo, direttorio francotedesco, si concedeva ad una affollatissima conferenza stampa. Dalla platea giornalistica giunge
una domanda a bruciapelo relativa all’incontro della mattinata con il Presidente del Consiglio
italiano. Il giornalista chiede se il direttorio franco-tedesco è stato rassicurato da quanto emerso
nell’incontro a tre. I due dell’illegittimo direttorio si guardano e lanciano un sorrisino che vuole
trasmettere lo scetticismo circa le rassicurazioni ricevute durante la riunione con il partner italiano.
Il Presidente francese addirittura richiamava le istituzioni politiche ed economiche italiane alla
responsabilità, e questo nel linguaggio diplomatico significava che il Presidente del Consiglio
italiano, con cui si era incontrato nella mattinata, era invece un irresponsabile, additandolo al
pubblico ridicolo.
Ironia e sarcasmo offensivi, provenienti da Capi di Stato; da richiamo di ambasciatori ha sottolineato più di un osservatore. Declassare le risatelle e gli ammiccamenti ad uno spiacevole malinteso è apparso come il tentativo tardivo di nascondere sotto il tappeto del salotto i cocci del vaso
rotto.
Ma si sa il nostro, a dispetto di chi lo vuole centralmente governare, è il paese dei campanili e se
le campane non suonano tutto va bene, o si lascia scorrere la finzione che tutto vada bene.
Ebbene, proprio il 30 dicembre 2011, quindi dopo la pubblicazione del mio saggio, sulle
pagine del WSJ (Wall Street Journal) venivano rivelati i retroscena della telefonata che
Angela Merkel aveva fatto a Giorgio Napolitano. Quei sorrisini del 23 ottobre erano,
dunque, ben collegati a quella telefonata del 20 ottobre 2011.
L’articolo, secondo quanto affermato dai tre giornalisti firmatari (Marcus Walker, Charles Forelle, Stacy Meichtry) sarebbe stato il frutto della febbrile consultazione di una
trentina di fonti, fra diplomatici, politici e leader europei. Nella “ricostruzione” giornalistica d’oltre Atlantico, il WSJ informava i suoi lettori che Angela Merkel avrebbe fatto
pressione su Napolitano perché Berlusconi fosse defenestrato. Il “nuovo” premier, ne era
certa la Merkel, avrebbe ottenuto la fiducia degli altri premier europei (e vuoi vedere
che sapevano anche il nome? Aggiungo io), si sarebbe presentato, guarda che caso, proprio il 22 novembre 2011 con la ciambellina di salvataggio (sottratta al nipotino che già
a scuola chiamavano “spread”) lanciata all’affogante Euro.
Che i leader europei ne sapessero di più degli italiani, su quanto stava per accadere in
Italia, lo dimostra l’ostentata indifferenza con cui fu accolto Berlusconi durante il summit del G20 di Cannes, il 3 e il 4 novembre 2011.
Quanto alla telefonata e al suo contenuto (visti gli avvenimenti recenti dimostranti
quanto lo spionaggio e la sfiducia reciproca, ad alti livelli, siano più che generalizzati),
potremmo ritenere che nella redazione del WSJ sia giunta “anonima” (aggiungo sempre
io) una graziosa registrazione. E magari è dagli spunti derivanti da questa registrazione che è stata demandata ai tre giornalisti la contattazione di qualche decina di fonti.
Tanto per non rendere troppo palese l’aiutino proveniente dal loro informatore audiospionistico. Conviene, allora, fare alcune valutazioni, che faranno perno sulle seguenti
32
Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo
informazioni documentali.
1 – Il 20 ottobre 2011, alle ore 20,36 dal Quirinale viene diramata la seguente nota:
Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha avuto oggi cordiali telefonate con il
Presidente dell’Eurogruppo, Jean Claude Juncker, e con il Cancelliere della Repubblica Federale di Germania, Angela Merkel, per uno scambio di vedute sui temi oggetto del prossimo
Consiglio Europeo.
Roma, 20 ottobre 2011
2 – Giorgio Napolitano il 25 ottobre 2011, annuncia che l’indomani sarà a Bruxelles
e a Bruges. Si dice preoccupato perché stanno scadendo i tre giorni che Bruxelles ha
dato all’Italia perché siano presi impegni “concreti e credibili”, perché siano fatte “tutte
le scelte necessarie per ridurre il rischio a cui sono esposti nei mercati finanziari i titoli del
nostro debito pubblico, rendere più credibile il nostro impegno ad abbattere tale debito e a
rilanciare la crescita economica”. Mentre ritiene che i “sorrisini” franco-germanici sono al
massimo da considerare espressioni inopportune e sgradevoli, ci tiene a rassicurare che
nessuno minaccia l’indipendenza del nostro paese o è in grado di avanzare pretese da commissario. In questo suo annuncio c’è anche spazio per chi, utilizzando le disavventure
sorrisinarie di Berlusconi, si scatena contro la UE e il suo Euro: … da 60 anni abbiamo
scelto (secondo l’articolo 11 della Costituzione e traendone grandissimi benefici) di accettare
limitazioni alla nostra sovranità, in condizioni di parità con gli altri Stati: e lo abbiamo fatto
per costruire un’Europa unita, delegando le istituzioni della Comunità e quindi dell’Unione a
parlare a nome dei governi e dei popoli europei.
3 – Dice il WSJ, il 30 dicembre 2011, che Napolitano, pronto ad esaudire le precise
richieste germaniche, dopo il 20 di ottobre 2011 (il giorno della telefonata pressoria
ricevuta), sto sintetizzando: avrebbe chiamato i responsabili dei partiti, al fine di verificare se fosse possibile il sostegno ad nuovo governo. La Germania, dal canto suo, avrebbe
rafforzato, in modo decisivo, le pressioni di Napolitano sugli esponenti dei partiti presenti
in parlamento.
4 – Il 30 dicembre 2011, alle ore 14,05, dal Quirinale viene diramata, con il titolo A
proposito di indiscrezioni di stampa su una telefonata tra il Presidente Napolitano e il Cancelliere Merkel, la seguente nota-comunicato:
In riferimento ad alcune indiscrezioni di stampa, internazionale e italiana, si precisa che nella
telefonata, niente affatto segreta, del 20 ottobre 2011, al Presidente della Repubblica Giorgio
Napolitano, il Cancelliere della Repubblica federale tedesca, Angela Merkel, non pose alcuna
questione di politica interna italiana, né tanto meno avanzò alcuna richiesta di “cambiare
il premier”. La conversazione ebbe per oggetto soltanto le misure prese e da prendere per la
riduzione del deficit, in difesa dell’Euro e in materia di riforme strutturali.
Roma, 30 dicembre 2011
5 – Un portavoce della cancelleria tedesca ha diramato, a sua volta, confermando il
comunicato quirinalizio la seguente nota: Non vi è nulla da aggiungere alla accurata descrizione della conversazione fornita dall’ufficio del presidente italiano.
Nel punto (1) dal Quirinale si afferma che la telefonata intercorsa con la Cancelliera
(senza specificare da chi fosse venuta l’iniziativa della telefonata) aveva come oggetto
uno scambio di vedute sui temi oggetto del prossimo Consiglio Europeo. Salvo, nel punto
(4), affermare che la Cancelliera, durante la telefonata, non pose alcuna questione di politica interna italiana, contraddicendosi due righe dopo affermando che la conversazione
ebbe come oggetto anche le misure prese e da prendere in materia di riforme strutturali.
Contraddizione, perché le riforme strutturali di un paese sono necessariamente questioni relative alla sua politica nazionale. Va considerato che il punto (5) per la sua tempestività potrebbe confermare quelli che, in ambito diplomatico, verrebbero chiamati:
comunicati concordati, a diramazione sincronica.
Vorrei far notare, relativamente al comunicato contrassegnato col numero (4), quanto
l’accenno alla perdita della sovranità, da parte del Presidente della Repubblica, sembri
implicitamente assecondare le interferenze straniere sull’Italia. Basti considerare quale
credibilità avessero le promesse del governo Berlusconi di annegare tutte le genti italiche in un mare di lacrime e sangue, contenute nella letterina scritta, nella notte fra il 25
e il 26 ottobre 2011, alla Santa UE, come se fosse Gesù bambino: ZERO.
E vista l’occasione che ci offre il punto (2), raffronti chi legge l’articolo 11 della Costituzione, richiamato da Giorgio Napolitano…
Art. 11 L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come
mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli
altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la
giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.
… con la frase testuale che lo contiene, dove l’Italia che si strappa di dosso la sovranità,
cedendola ad istituzioni straniere, rimanendo nuda e sguarnita, fa questa cessione traendone grandissimi benefici … ritenendola necessaria ad un ordinamento che assicuri la pace
e la giustizia fra le Nazioni.
… da 60 anni abbiamo scelto (secondo l’articolo 11 della Costituzione e traendone grandissimi benefici)
di accettare limitazioni alla nostra sovranità, in condizioni di parità con gli altri Stati: e lo abbiamo
fatto per costruire un’Europa unita, delegando le istituzioni della Comunità e quindi dell’Unione a
parlare a nome dei governi e dei popoli europei.
… e … dopo questo raffronto, valuti chi legge se l’utilizzo dell’articolo 11 della Costituzione, per sciogliersi nell’acido Europa, sia considerabile alla stregua di una forzatura.
Di fatto, con la sua dichiarazione, in forza dell’articolo 11 della Costituzione, Giorgio
Napolitano riconosce il diritto di interferenza, negli affari interni italiani, da parte di
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Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo
paesi stranieri. Eppure gli eventi che stiamo rappresentando ci mostrano altro.
Quando il WSJ, il 30 dicembre 2011, afferma che solo dopo la telefonata della Merkel,
Napolitano si sia attivato per portare Monti al Governo, stranamente non sa che il suo
dirimpettaio New York Times, il 3 dicembre 2011, aveva dedicato il ritratto settimanale
a Giorgio Napolitano, Presidente della Repubblica italiana. Il ritratto era firmato dalla
corrispondente in Italia del NYT, Rachel Donadio.
E come mai, i tre giornalisti del WSJ, hanno scomodato diplomatici, politici, leader e
non hanno fatto neanche una telefonata a Rachel Donadio. Magari la giornalista del
NYT avrebbe spiegato anche a loro quello che aveva scritto e pubblicato, e cioè:
Alcuni hanno semplicemente iniziato a chiamarlo “Re Giorgio”, per la sua strenua difesa delle
istituzioni democratiche e del suo ruolo esterno, dietro le scene, che ha permesso il rapido cambio di governo, da quello cinematografico di Berlusconi a quello tecnico di Mario Monti.
Ha speso mesi per preparare la transizione – consultando i leader politici italiani, quelli europei, gerarchie americane e la Banca d’Italia per favorire la creazione di un’alternativa di governo
percorribile per il momento “post-berlusconi”.
La sua performance è ancora più impressionante considerando che la presidenza della repubblica italiana è un ufficio prettamente simbolico, senza poteri esecutivi. Ma Napolitano, conosciuto per il suo parlar chiaro e per lo stile “con i piedi per terra” in una cultura floridamente
barocca, ha spinto quel ruolo al limite, diventando un demolitore silenzioso del potere.
Ma in un nuovo ordine nel quale i mercati hanno sconfitto i processi democratici, il Presidente
Obama, il Cancelliere tedesco Angela Merkel e il presidente francese Nicolas Sarkozy hanno
tutti chiamato Napolitano durante la delicata fase di transizione per esprimere il loro supporto alla sua leadership – telefonate percepite ampiamente come un appoggio al Governo Monti e
contrarie alle elezioni anticipate.
Come trovate scritto proprio nelle prime pagine del capitolo E… gli “afràcheteserveisti” si inventarono Mario Monti – Un lavorio di mesi, nelle pagine 99/102 e seguenti
dove si dimostra che il lavorio, per portare Monti a Palazzo Chigi, non è partito dal 20
ottobre 2011, ma da molti mesi prima.
Piuttosto questo lavorio non era evidentemente un segreto per gli altri leader europei,
Sarkozy e Merkel compresi. Un lavorio che, da molto prima di quel 20 ottobre 2011 ad
oggi, non è mai cessato.
Dunque? Dunque, al di la della confusione giornalistica dei tre del Wall Street Journal
sul dopo telefonata Merkel-Napolitano, è di una elevatissima credibilità che quella telefonata fosse, invece, incentrata sull’accelerazione del progetto di giubilazione di Berlusconi, da mesi noto alle Cancellerie europee.
Ecco perché, dall’estero, potremmo aspettarci la trascrizione completa di quella pressione telefonica; una trascrizione che potrebbe confermare la credibilità delle fonti informative, utilizzate dal WSJ. Nello stesso tempo, potremmo consigliare i giornalisti del
WSJ, Marcus Walker, Charles Forelle, Stacy Meichtry, di leggersi, ogni tanto, fra i tanti
giornali, anche il New York Times.
D’altra parte, anche la nostrana Dagospia si è mostrata poco informata, su come si
sono esattamente svolti i fatti che hanno portato al cambio di guardia a palazzo Chigi,
se il 10 novembre 2011, all’interno di un articolo su questo argomento (la telefonata
Merkel-Napolitano) scriveva:
Forse un giorno qualcuno ci spiegherà se l’ex-comunista del Quirinale, il più amato dagli italiani,
ha fatto tutto da solo, oppure se per abbattere il Muro di Arcore si è servito di qualche consigliere
occulto. Questa è materia per gli storici, ma di sicuro l’inquilino del Colle ha giocato la partita a
scacchi più eccellente della vita e in perfetta sintonia con la massaia di Berlino, Angela Merkel.
Nessun membro dello staff del Presidente e nessun corazziere arriverà mai a confermare questa
tesi, ma non c’è dubbio che la Cancelliera, dileggiata dal Cavaliere libertino con gesti ed epiteti
volgari, è stata l’ispiratrice del blitz che può portare Mario Monti a Palazzo Chigi.
Ed è il contenuto di questo riportato che ci riconduce, attraverso l’inquilino quirinalizio (ex-comunista), al gruppo NML; un gruppo numericamente strutturato in attuale,
perfetta, applicazione del manuale Cencelli; un manuale che ha superato, indenne, l’incendio sessantottino.
[Di applicazioni “sessantottine” allo scenario del dopo-comunismo mentre gli anni
’80 diventavano gli anni ’90, sono piene le radici di questo albero malato che è ormai
il nostro Paese. È in questo brodo che vive il regime sotterraneo che di fatto, come
ameba parassita, occupa questo Paese. Da questo brodo sono nati i deviatori. (Vedi
la sesta parte del mio libro Il risveglio dei deviatori a pagina 351.)
Ha la sua radice in quei finali, italiani, anni ’60, lo svuotamento del significato delle
parole, il nulla parolaio. “Truppe di pace” perché “Truppe di guerra” suona male. Non
dire “La sovranità ceduta neanche per un piatto di lenticchie”, dì al popolino che è una
“sovranità condivisa”. Le proposte che non puoi farmi (se no, mi fai litigare con i miei,
che già non ti vedono di buon occhio), decidiamo (“insieme” eh, mi raccomando, insieme) di considerarle “divisive”.]
Tutto questo chiarito, è comunque innegabile che l’elenco governativo largheintese-ista
sopra rappresentato è il risultato dell’applicazione “sessantottina” di quello che è passato
alla storia come “il manuale Cencelli”.
Non meravigliatevi di trovare in giro il termine “cencellizzare”, è avendo presente questo verbo che ho riorganizzato l’elenco del governo dei congiurati, perché volevo che
fossero visibili i raggruppamenti dei largheintese-isti, e per altri motivi che ritengo abbiate registrato.
Come si può vedere nella prima parte dell’elenco, quello della Presidenza del Consiglio,
ci sono 3 piddini, 3 pidiellini, 1 Napolitano-Monti-Letta.
Fra i ministri senza portafoglio, 3 sono piddini, 1 pidiellino, 2 sono Napolitano-MontiLetta.
Fra i ministri con portafoglio, 4 sono piddini, 4 sono pidiellini, 4 sono Napolitano-
36
Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo
Monti-Letta, 1 è radicale.
Come si vede, è il risultato della perfetta applicazione del manuale Cencelli (che adesso
sapete cosa è).
Proviamo ad osservare da vicino solo alcuni degli esponenti di questo governo. Faremo
dei ragionamenti, quindi non saranno righe leggi e getta.
I catilinari partitici governanti
37
Il Monti mascherato
Andiamo per ordine. Cominciamo dal primo fra i largheintese-isti.
Dal 31 maggio al 3 giugno 2012, in pieno governo (catilinario) Napolitano-Monti, si è
tenuta la riunione del gruppo Bilderberg a Chantilly in Virginia, negli USA. A questa
riunione aveva partecipato, per sua stessa ammissione, il primo componente del governo sopra elencato.
Era stata invitata, e c’è andata, anche la giornalista Lilli Gruber che aveva intervistato
Mario Monti, appena sei mesi prima, il 20 gennaio 2012 nella trasmissione Otto e mezzo de La7. All’intervistato, la Gruber si era arrischiata a chiedere se per caso fosse massone (pagine 78-87 del mio libro). La risposta di Monti? In sintesi: non so bene che cosa
sia la massoneria so certamente di non essere massone. In quelle pagine leggerete quanto
appaia veritiera quella frase; soprattutto se la collegate all’invito della sua intervistante
alla riunione in Virginia, sei mesi dopo. A proposito, a quella riunione sono stati anche
invitati rappresentanti dell’opposizione siriana e russa. È tutto chiaro su chi sta manovrando e sostenendo la cosiddetta opposizione siriana e russa?
Chi ha letto il mio articolo pubblicato sul sito di Nexus intitolato Il tizzone Mps riaccende il fuoco della crisi mondiale, ed ha presente il paragrafo Morire per Danzica, o per
Alexandria, per Santorini, per Antonveneta, comprenderà perché io consideri il massimo
della proditorietà, pronta a non fermarsi neanche di fronte ad una finestra spalancata
di Siena il libro scritto dal primo della lista del governo dei congiurati il cui titolo è
esattamente il labaro del tradimento Euro si. Morire per Maastricht. Il titolo è un perfido
giochino di sponda con l’altro titolo Euro no. Non morire per Maastricht scritto da Lucio
Caracciolo. Tutta questa genia è abituata ai teatrini, alle sceneggiate.
Se il titolo della sceneggiata è “Come riesco io a fregare il pupo, senza che se ne accorga, non
ci riesce nessuno” il Super Mario preghi il suo costruttore metallico che il Popolo Italiano non
si svegli. Perché se, dopo 150 anni di sonno, il pupo-bove, costretto a trascinare gli aratri dei
cosiddetti signori di turno in secolare guerra fra loro, davvero si svegliasse, si trasformerebbe
in furia taurina incontenibile; anche la terra lo asseconderebbe.
Queste righe vengono dalla pagina 92 del libro. Aggiungete al nome Monti quello del
primo della lista del governo dei congiurati e comprenderete che aria stia tirando in
questo paese senza che gli sceneggiatori se ne rendano conto.
Questo catilinario è lo stesso che, il 18 novembre 2011, ha messo un bigliettino nelle mani dell’inventato Monti mentre sedeva nello scranno parlamentare destinato al
presidente del consiglio. Chi sarà mai quello che, in quel bigliettino (o pizzino come è
passato alla storia), ha scritto (vedi pagina 106 del mio libro)
“Mario, quando vuoi dimmi forme e modi con cui posso esserti utile dall’esterno. Sia ufficialmente (Bersani mi chiede per es. di interagire sulla questione dei vice) sia riservatamente. Per
ora mi sembra tutto un miracolo! E allora i miracoli esistono!”
Il Monti mascherato
39
Chi sarà mai quello che, l’8 settembre 2013, era seduto a fianco di Mario Monti per
ascoltare Gianroberto Casaleggio del M5S che parlava nella sala del Forum Ambrosetti?
Chi, sempre al Forum Ambrosetti di Cernobbio, domenica 8 settembre 2013 ha detto:
«Abbiamo capito quello che è successo tra febbraio e aprile o ancora siamo ciechi?
Sono avvenuti due terremoti non paragonabili a nessuno dei terremoti della politica italiana: il
risultato elettorale e l’implosione del Parlamento che non è riuscito a eleggere il presidente della
Repubblica».
«La nostra Costituzione va cambiata» affinché si possano «rompere le catene che bloccano l’Italia.
Il nostro Paese può fare cose straordinarie se riusciamo a rompere queste catene: la prima catena
è il caos politico permanente». Poi, una domanda. «Abbiamo capito quello che è accaduto alla
politica dal febbraio scorso? Ci sono stati due terremoti». Il primo è stato alle elezioni politiche
e il secondo con l’implosione del Parlamento, che non è riuscito a eleggere il presidente della
Repubblica.
Il primo dei due terremoti, secondo il dicitore cernobbista, sarebbe rappresentato dai
milioni di cittadini che non si sono presentati nei seggi elettorali e l’altro sarebbe rappresentato dal Parlamento che non è riuscito ad eleggere il presidente della Repubblica.
Di questo già sappiamo dalle pagine precedenti.
E, voi credete che il dicitore cernobbista ed altri partitici siano consapevoli della rabbia che cova, pronta ad esplodere, fra i rifiutanti il voto? No, né lui né gli altri partitici
sembrano rendersene conto, ovvero fingono di non vederla quella rabbia, sperando di
apparire convincenti. “Vedete non siete arrabbiati neri perché non ne potete più dei partitici,
sappiamo che lo fate perché volete le riforme e…”
«Le riforme si devono fare. Se si fa finta non si è capito il voto di febbraio».
Da questa frase si comprende che sono proprio i congiurati a non aver capito il voto di
febbraio; non hanno capito che gli elettori che si sono rifiutati di andare a votare non
vogliono le riforme, li vogliono cacciare via.
Per quanto riguarda l’altro terremoto siamo di fronte all’incredibile. Di fatto nei venti
anni trascorsi le norme costituzionali relative ai limiti notarili della figura del presidente
della Repubblica sono state modificate nella pratica (nella prassi si dice in burocratese).
Soprattutto questa trasformazione da presidente notaio a presidente re si è concretizzata nel settennato di Napolitano. Evidentemente con la bis elezione, il bis-presidente si
deve ormai sentire quasi un re, se durante un incontro di studi, cercando di spiegare in
cosa consistesse il mandato presidenziale ha detto:
«Vedete, il mandato presidenziale è obbiettivamente un esercizio solitario, per la stessa natura
monocratica di questa istituzione».
La frase è stata pronunciata ad un convegno dedicato a Loris D’Ambrosio organizza-
40
Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo
to dall’Università Luiss di Roma. La presenza del Presidente era fortemente motivata
dalla circostanza che il magistrato Loris D’Ambrosio era il consigliere giuridico del
Presidente, ed era morto improvvisamente il 26 luglio 2012, mentre sul Quirinale si
stava abbattendo la bufera delle telefonate intercorse fa Mancino e Napolitano. Una
delle riflessioni chiave del mio libro, quella che trovate a pagina 365.
In ogni caso, queste quattro intercettazioni fra Nicola Mancino e Giorgio Napolitano, influenti o
ininfluenti che siano ai fini processuali, raggiungono un obiettivo inatteso. Annullano la distanza
temporale fra il 1992/1993 e il 2012/2013. Uniscono l’operazione Monti al periodo delle stragi
e del processo ai partiti. Aprono vecchie ferite. Rendono udibili le voci che ancora cercano una
verità ancora negata.
Tornando al termine monocratico, essendo classicamente definente il potere assoluto
del monarca, non può certamente essere utilizzato per indicare un singolare potere di
comando assoluto che la Costituzione italiana non riconosce al presidente della Repubblica che ha, invece, appunto, una mera (cioè semplice) funzione notarile (neanche
paragonabile al potere di un re).
Dunque, quando il cernobbista afferma, in un intervento al festival trentino dell’economia, il 1 giugno 2013, che relativamente all’elezione del presidente della Repubblica, la
costituzione va cambiata perché…
«Non possiamo più eleggere il presidente della Repubblica con le modalità dell’ultima volta. La
democrazia rappresentativa sta cambiando e lo dobbiamo sapere».
A parte la difficoltà a cogliere aspetti rappresentativi fra gli scranni parlamentari italiani, di fatto, come appare a qualunque osservatore terzo, la presidenza di Napolitano si
è trasformata in un vero e proprio semipresidenzialismo che consiste nell’aver assunto
poteri di indirizzo nella formazione e nelle attività del governo. (Vedi anche governo
Monti e dopo Monti.) Dice ancora il cernobbista a Trento:
“Il presidente della repubblica non potrà più essere eletto in questo modo, non possiamo delegare
a mille persone l’elezione di un organo che ha assunto un potere ben più ampio che in passato”.
Con questa frase, di fatto e ormai, il cernobbista sta ammettendo che le funzioni notarili
presidenziali del “passato” si sono trasformate in funzioni più ampie, perfettamente inseribili nel semipresidenzialismo, questo sta ammettendo il cernobbista, non solo nell’intervento dal palco trentino. D’altra parte, in questo intervento è difficile non leggervi un
invito all’elezione diretta del Presidente della Repubblica (come in Francia), visto che,
ormai, quei poteri, il bis-presidente se li è presi “nella prassi”, come si dice nella lingua
dei burocrati.
Per di più, chi fa queste affermazioni, nella logica consequenziale derivata dai comporIl Monti mascherato
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tamenti quirinalizi, sta ammettendo che in questi ultimi anni il dettato costituzionale è
stato alterato. Incredibilmente il cernobbista non si chiede come sia stato possibile che la
corte costituzionale abbia considerato “accettabile” questa “temporalmente strisciante”
alterazione semipresidenzialista. È come se, allegramente, un pisano, si mettesse a cantare una strofa della conosciutissima tarantella napoletana del 1944, dal titolo chiaramente “napoletano”: SIMMO ’E NAPULE, PAISÀ. La strofa, per l’occasione cantata
davanti all’altare del dio dei congiurati che si chiama “ormaismo”, è quella che segue:
chi ha avuto, ha avuto, ha avuto,
chi ha dato, ha dato, ha dato,
scurdammoce ’o passato,
simmo ’e Napule, paisá.
L’inserimento di questa bellissima canzone napoletana, nel contesto di questo scritto,
non è casuale. Non è causale perché nel mio libro nel capitolo “Democrazia” (che inizia
a pagina 469) si parla proprio della città di Napoli, durante le reazioni di popolo a causa
della plateale alterazione dei risultati del referendum Monarchia-Repubblica. Conviene
dare il valore necessario a quanto trovate scritto dalla pagina 483 alla 490 del mio libro.
Quel “siamo napoletani paisà” era cantato in faccia alle truppe occupanti (per i militari
occupanti – anglofoni – infatti, tutti i napoletani si chiamavano “paisà”); era cantato in
faccia a chi di quelle truppe era sostenitore; a chi si attardava ad immaginare recuperabile un potere ormai dissolto nella tragedia di genti che ancora non si sentivano popolo.
Fra le due guerre, hai voglia a riempire i paesi delle genti dell’antica italica terra dell’antico romano (derivato dall’etrusco) fascio littorio. Certo, se volevi campare dovevi adeguarti al regime e nessuno meglio di un napoletano lo sa capire (adattarsi senza aderire).
Un mio amico mi sottolineava che suo padre, nell’immediato dopo-guerra, custode di
uno stabile dove abitavano anche avvocati e magistrati, gli raccontava di aver sentito un
magistrato che raccomandava al figlio, appena diplomato, che prima di iscriversi alla
facoltà di giurisprudenza all’università, doveva avere la tessera del Partito Comunista,
perché ormai erano loro quelli che potevano “aprire le porte”. Quelli che avrebbero preso il posto dei burocrati legati al fascismo, potremmo oggi interpretare meglio.
Quella canzone, scritta da Peppino Fiorelli e musicata da Nicola Valente, mostrava, e
mostra tutt’ora, il carattere adattativo del popolo napoletano. Quella canzone era nata
mentre Napoli, piena di macerie per i bombardamenti subiti, era occupata dalle truppe
inglesi ed USAensi. Quella tarantella voleva che la tragedia di una guerra catastrofica,
finalmente scorresse lontano dalla vita dei napoletani. Non disperiamoci chiedendoci
come e perché (’o “pe’ comme” e ’o “pecché”) è avvenuto quello che ha provocato per noi, per
i nostri familiari, per i nostri amici, per la nostra gente, morte, distruzioni, sofferenze.
Non diamo più importanza a chi ci ha guadagnato o a chi ci ha perso. Ricominciamo
daccapo, ricominciamo a vivere. Abbiamo il sole, abbiamo il mare, abbiamo vicino chi ci
vuole bene. Fatti bella amore mio, metti il vestito più bello che hai (miette ’a vesta cchiù
carella), mettiti lo scialle (’o crespo) giallo, infila una rosa fra i capelli (cu na rosa ’int’ ’e
capille), usciamo e stammi vicino, vedrai quanti mi invidieranno (saje che ’mmidia ’ncuoll’
42
Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo
a me). Abbiamo voglia di vivere, siamo napoletani cari paisà con la divisa dei vincitori. I
nostri scugnizzi hanno combattuto i teutonici, non hanno avuto paura, e i loro parenti
buttavano per strada, fra i piedi dei teutonici, tutto quello che passava dalle finestre.
Molti di loro si sono scontrati con i nuovi padroni, quando hanno avuto la faccia tosta
di farsi beffe dei risultati del referendum sparando sulla folla e su un ragazzino che si
arrampicava sui tubi (pagine 482-490 del mio libro).
Si capisce di chi abbiamo parlato? No? Mi tocca dirvelo? E va bene abbiamo parlato
del primo della lista, di Enrico Letta, in coppia simbiotica con Mario Monti, una sorta
di parassitismo associativo.
Il Monti mascherato
43
Studenti: in Carrozza
Vediamo chi è il secondo largheintese-ista.
Chi, al Forum Ambrosetti di Cernobbio, sabato 7 settembre 2013, ha detto:
“In questo momento la classe dirigente italiana è molto omologata, quasi tutti hanno la stessa
età, gli stessi vestiti, lo stesso linguaggio. Sono tutti di madrelingua italiana che hanno studiato
negli stessi posti” … “Ci sono poche donne, pochissimi stranieri”.
E avendo presente l’idea che più stranieri di madrelingua non italica riempiano le classi
scolastiche e le aule universitarie, nelle quali anno per anno si garantisce una riserva numerica agli stranieri, si è lanciata sul principio assiomatico (indimostrabile) che la crisi
economica deriva dalle scuole con pochi stranieri.
“Con l’omologazione non verremo fuori da questa crisi. Per questo penso alla scuola come modo
per uscire da questa crisi”.
Che vuol dire questa frase. Vuol dire forse che bisogna uniformarsi alla globalizzazione
più sfrenata e rinunciare alla singolarità individuale, cominciando proprio dalle scuole.
Il 28 settembre 2013, Giorgio Napolitano che si trovava a Napoli, al Maschio Angioino, dove si teneva la commemorazione del 70° anniversario delle 4 giornate di Napoli.
Durante il suo intervento ha detto:
“L’unità e il futuro della Repubblica poggiano su un ravvicinamento, nella solidarietà e nella
coesione, fra le sue regioni, vorrei dire, tra le sue capitali del Nord e del Sud. In Italia, come d’altronde in Europa, non reggono – oggi meno che mai – le rozze contrapposizioni tra un Nord
virtuoso e un Sud ridotto a zavorra, a palla di piombo al piede della comunità nazionale e di
quella europea”.
Di per sé una frase che ci dice quanto la questione meridionale dopo 152 anni sia ancora un problema. Quanto alla rozza contrapposizione fra il nord e il sud del paese…
… uno degli atti ministeriali compiuti dal secondo largheintese-ista del PD è stato quello dell’immediata abolizione del Bonus Maturità che è il riconoscimento di un punteggio in più per l’ammissione nelle Università.
In realtà l’operazione era preparatoria per giungere all’abolizione del valore legale del
titolo di studio.
E non era istituzionalmente un fulmine a ciel sereno.
Nel predisporre il decreto semplificazioni alla fine gennaio 2012 (che diverrà legge n. 5
il 9 febbraio 2013), del valore legale dei titoli di studio, se ne era occupato Mario Monti,
che riteneva necessario abbandonare il simbolismo e il formalismo del valore legale del
titolo di studio.
Studenti: in Carrozza
45
Dunque nessuna meraviglia se, durante il forum organizzato dall’ANSA, il secondo
largheintese-ista, ha detto:
“Sono contraria al valore legale del voto di maturità e di laurea. Sono contrarissima a dire che
bisogna dare valore al voto, soprattutto se abbiamo commissioni che dipendono dalla soggettività”.
Il rettore dell’Università di Camerino, Flavio Corradini, tanto per dimostrare che ha
capito benissimo cosa significhi il termine soggettività, ci ha tenuto a far sapere al quotidiano romano Il Messaggero che
“Uno studente non deve valere per un numero scritto su un diploma da commissioni che operano
con criteri estremamente diversi dalle Alpi alle Sicilie ma per l’effettiva preparazione acquisita
che porta con sé. Ma sarà l’unico modo per favorire i migliori e servirà anche a valutare correttamente il lavoro di scuole e università”.
Anche l’articolista del Il Messaggero, Patrizia Del Pidio, ha capito bene come stanno le
cose, se scrive
Ed in effetti la soggettività di tali voti è emersa dall’analisi dei voti riportati nelle aree del Sud,
dove abbondano i 100 e quelle del Nord dove sono molto meno numerosi, ma le competenze
risultano essere maggiori al Nord in base ai risultati delle Prove Invalsi nazionali.
La virata che il ministero vuole compiere nel campo della meritocrazia è stata chiara già un paio
di settimane fa, quando è stato cancellato il Bonus Maturità appena introdotto, motivando la
scelta con i dubbi sui criteri che lo avrebbero conferito.
E così il valore legale del “pezzo di carta” se ne va in Carrozza. E la motivazione che gli
studenti del Sud sono meno preparati degli studenti del Nord, quand’anche appoggiata
sui criteri delle prove organizzate dall’Istituto Nazionale per la Valutazione del sistema
educativo di istruzione e di formazione (Invalsi), pone perplessità soprattutto perché
questo Istituto è soggetto alla vigilanza del Ministero della Pubblica Istruzione, di cui
l’istituto fa proprie le priorità strategiche, non è il massimo della terzietà.
Le Università del sud senza lavoro, secondo voi, sono il massimo dell’efficienza?
Non risulta ai vigilanti del ministero della Pubblica Istruzione, come invece risulta a
Sergio Rizzo, giornalista del Corriere della Sera, che:
– dal sud sono emigrati più di 170mila laureati?
– nelle università italiane, nel quadriennio 2007-2010 ci sono state 26mila immatricolazioni in meno?
– dalle università del sud emigrano verso le università del centro nord migliaia di
studenti?
– dallo studio della Unioncamere, relativo all’anno 2011, su 118.479 laureati di provenienza meridionale, il 31,6 non si sono laureati nelle regioni di provenienza?
46
Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo
A nessuno punge vaghezza che sia la mancanza di lavoro a provocare questa gigantesca
fuga di laureati dalle terre del Mezzogiorno?
Dall’occupazione manu militari del sud da parte del nord, quale futuro si prospetta ai
giovani se non la fuga dalla loro terra natia?
Non è forse vero che da quando il sud è stato “accorpato” al nord, da oltre un secolo e
mezzo, i volani che da allora a tutt’oggi avrebbero dovuto attivare il suo sviluppo economico e sociale si sono rivelate ruote che girano a vuoto?
La storia del meridione è piena di aiuti peggiorabili provenienti da governi che non
vogliono “questionare” sulla questione meridionale.
I giovani sono costretti ad abbandonare le regioni meridionali, e cercano lavoro ed opportunità anche all’estero, non solo nelle regioni del centro-nord.
Le terre meridionali si stanno svuotando, decennio dopo decennio, di industrie, di giovani. In questo drammatico, incombente deserto (anche climatico, si teme), si vedono
solo le sistemiche mazzate governative. Intanto il numero dei morti è maggiore del
numero dei nati.
Chi vuole abolire il valore legale al titolo di studio, di fatto, schiaccia la cultura sotto la
mazza del denaro e del pregiudizio di parte.
Le condizioni di sfruttamento di questa società economicizzata verrebbero amplificate
da questa scelta abolizionista.
Affermare che gli studenti meridionali valgano meno degli studenti settentrionali è
un’affermazione ridicolmente razzista.
Erano 84.165 gli studenti che, il 9 settembre 2013, nelle rispettive Università, per l’anno Accademico 2013-2014, hanno affrontato la prova unica di ammissione ai corsi
di Laurea Magistrale in Medicina e Chirurgia e in Odontoiatria e Protesi Dentaria,
consistente in un Test di Cultura generale e Ragionamento logico. 10.771 i posti
complessivamente, a livello nazionale, disponibili.
Esattamente nelle ore in cui si stavano svolgendo i test di medicina, venivano cambiate
le regole sul Bonus Maturità. Perfetta serietà burocratica.
E per essere certi che il Test, a dispetto della sua denominazione, si dimostrasse il passino giusto per impedire che la logica e l’intelligenza passassero oltre, le domande capziose cervellotiche, assurde, elencate con un ordine diverso per ognuno dei partecipanti
alla selezione, hanno fatto la loro parte. Qualche esempio?
–
–
Qual è l’autore dell’opera del XVII secolo “Don Quijote de la Mancha”?
Per raggiungere il suo ufficio, Davide può percorrere due strade diverse.
La prima è una strada di 6 Km lungo la quale si incontrano tre semafori, che costringono
Davide a fermarsi al rosso a ciascun semaforo per tre minuti in media.
La seconda è una strada di 8 Km, lungo la quale si incontra solo un semaforo che costringe
Davide a fermarsi per due minuti in media.
Quando Davide non è fermo ad un semaforo, guida ad una velocità media di 24 Km/h.
Quanto tempo risparmia in media Davide percorrendo la strada più veloce?
– Nelle società occidentali, le persone sono in media più istruite, più sane e più ricche di
quanto lo fossero cinquanta anni fa, ma i sondaggi dimostrano che tutto ciò non le rende più
felici. Questo conferma il vecchio detto che i soldi non fanno la felicità. Ne consegue che è
Studenti: in Carrozza
47
meglio non vincere alla lotteria, perché più si è ricchi e meno si è felici.
Avendo presente queste tre domande (su sessanta) cercate di dare un senso alla lamentela dei deputati della Lega Nord Paolo Grimoldi e Davide Cavallotto,
“È inaccettabile che gli studenti del Nord siano sfavoriti nelle selezioni di Medicina e di altri
corsi di laurea a numero chiuso a causa del bonus maturità che premia le Regioni del Sud”.
Provate voi a dire a 73.394 studenti che debbono abbandonare l’idea di fare il medico,
almeno per questo anno accademico, almeno in Italia.
Ovvero confrontate i numeri che trovate nella scheda che ho elaborato e inserito nelle
pagine seguenti.
Il “pezzo di carta” è nato come una garanzia per non dipendere dagli umori di chi deve
prendere decisioni sulle capacità dello studente. Il pezzo di carta con valore legale,
garantisce l’accesso all’intero sistema scolastico e universitario di tutto il territorio nazionale, a Sud e a Nord. Il pezzo di carta garantisce l’ammissione agli esami di Stato
per l’accesso agli albi degli ordini professionali; garantisce la partecipazione ai bandi di
concorso delle amministrazioni pubbliche secondo i profili richiesti.
Adesso, sapendo che stiamo parlando del ministro della Pubblica Istruzione Maria
Chiara Carrozza che, come vedremo, fa parte del “giro di Letta”, provate a rileggervi le
dichiarazioni di Giorgio Napolitano che da Napoli è preoccupato che il Nord appaia
virtuoso e il Sud è invece ridotto a zavorra.
L’ulteriore conferma che Letta la pensa come la ministra che ha voluto in quel dicastero, ce la offre un suo intervento ad una conferenza stampa nel 2003 al Meeting di
Rimini, presente l’allora ministro all’Istruzione Letizia Moratti. Enrico Letta, come
economista, rappresentava la Margherita che poi confluirà nel PD. Bene sapete come
riteneva che si potessero risolvere le difficoltà delle Università italiane che dovevano
fronteggiare la gran massa degli studenti che bussava alle loro porte? Semplice. La soluzione stava nell’abolizione del valore legale delle lauree.
Abbiamo, brevissimamente, osservato da vicino, la filo-lettiana Maria Chiara Carrozza
che è la ministra dell’Istruzione, Università e Ricerca.
48
Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo
Cara Italia, ti cambio i connotati
Ora tocca al terzo largheintese-ista.
Nel nuovo millennio, che si era appena aperto, gli italiani vedevano radicarsi quella preoccupazione per la piega global-arrivante che, da almeno trenta anni, stava sempre più
marcatamente prendendo la società italiana.
I governanti, per conto di Padron Mercato, lanciavano frasi-tipo tese a rassicurare gli
italiani. Le avrete sentite, quelle frasi-tipo, da capi di governo, ministri, parlamentari
che suonavano sostanzialmente così: dovreste ringraziarli, gli immigrati, vengono in Italia a fare i lavori che gli italiani non vogliono più fare. Non si andava a guardare nel sottile
se quei sotto lavori erano “ceduti” agli immigrati che erano disponibili a farsi pagare pochissimo. Non era opportuno chiarire che nella società italiana il, cosiddetto, datore di
lavoro vuole pagare il meno possibile chi lavora per lui, tanto chi vuoi che controlli che
ad una specifica prestazione lavorativa corrisponda una precisa paga; che il lavoratore
sia immigrato o il lavoratore sia italiano. Le associazioni criminali come camperebbero,
ve lo chiedete? Se non ci fosse l’immigrazione clandestina dove prenderebbero la manodopera per innumerevoli attività illegali. D’altra parte qualcuno dovrà pur remunerarle queste associazioni visto che sono le uniche a garantire il controllo del territorio.
Quando, per esempio, non ha importanza dove, le forze dell’ordine, vigili urbani per
primi, “scoprono”, perché se l’è cantata qualche cittadino, che in mezzo alla campagna,
che i vigili non hanno il dovere di controllare (e, non si sa bene chi ha il compito di
farlo) si sono installati, utilizzando ripari e coperture d’ogni tipo, un centinaio di clandestini, magari vicino ad un corso d’acqua, provate ad immaginare chi, invece, essendo
provvisti di controllori del territorio, è da quel dì che lo sanno.
Romano Prodi è stato intervistato dal professor Massimo Livi Bacci, che è stato parlamentare per il Pd ed è professore di Demografia, presso la Facoltà di Scienze Politiche
“Cesare Alfieri” dell’Università di Firenze. L’intervista si trova in una pubblicazione
dell’associazione Neodemos, dell’ottobre 2010, dedicata alla Politica dell’immigrazione
e della cittadinanza in Europa. Neodemos divulga le analisi demografiche nel suo sito
www.neodemos.it
Per capire nelle mani di chi siamo, vi riporto quanto Romano Prodi afferma qualche
risposta prima di quella che dopo vedrete.
Io credo che ci sia qualche disegno che guida questi grandi andamenti, altrimenti non mi posso spiegare come, in pochissimo tempo, i fatti abbiano “corretto” in modo così vigoroso e incisivo
le previsioni sul corso della popolazione mondiale. Se poi guardiamo più in dettaglio, è stupefacente vedere come la discesa della natalità, iniziata nella sua ultima fase verso gli anni ’60, sia
stata in tutta Europa quasi identica, di qua e di là della Cortina di Ferro. Con alcune transitorie
eccezioni, come Irlanda e Polonia, dovute però a motivi religiosi, – e presto però riassorbite nella
tendenza generale – quasi una forte ondata di “risposta” generata dall’umanità… Queste riflessioni non hanno molto a che fare con l’analisi scientifica della prima parte di questo incontro, ma
quando rifletto su queste grandi ondate non posso non pensare all’esistenza di grandi “dise-
Cara Italia, ti cambio i connotati
49
gni” che determinano un adattamento dell’umanità, forse provvidenziale…
Osservando la gigantesca movimentazione di genti scardinate e a forza considerate
reincardinabili nella povera Europa, secondo Prodi sarebbe, dunque, visibile un qualche
disegno che guida questi grandi andamenti. Per di più, questo strappar di genti dal luogo
natio sarebbe una “risposta” generata dall’umanità, non la criminale attuazione della
globalizzazione più sfrenata, che considera un noioso intralcio, da cui liberarsi prontamente, qualunque tentativo regolatorio, da chiunque provenga.
E chi sarebbe il disegnatore di questo gigantesco sfascio mondiale, è forse Padron Mercato quello che non ha occhi, non ha orecchie, è come un serpente, ma non è un serpente?
(Pagina 471 del mio libro.) Ma no, che pensate mai, è un disegnatore provvidenziale.
E, Prodi, lascia che si immagini, senza dirlo, che sia addirittura Dio che si è inventata
la globalizzazione.
State capendo nelle mani di chi siamo?
E ancora, reminiscenza del detto popolare che gli immigrati fanno i lavori che gli italiani non vogliono fare, neanche se li pagate a pepite d’oro, eccovi un’altra perla di Romano
Prodi.
Ma vengo al tema delle migrazioni: i mesi della crisi mi stanno dando un insegnamento incredibile, cioè che nonostante l’aumento molto forte della disoccupazione tra gli italiani, la richiesta
di stranieri è ancora forte proprio perché coprono tipi di occupazione che i nostri ragazzi non
vogliono assolutamente fare, indipendentemente dal salario o da qualsiasi altra condizione. Non
fosse che per questo motivo sociologico, credo che il flusso di immigrazione continuerà in tutta
Europa ad essere elevato e soprattutto in paesi fortemente stratificati come la Spagna o come
l’Italia. Se nessuno dei nostri figli munge le mucche, dato che le mucche vanno munte e nessuno
vuole mungere le mucche nei giorni di festa, allora vengono i sikh che nei giorni festivi le mucche
le mungono…
… I telegiornali l’altro giorno dicevano che “ci sono delle badanti italiane”: chissà dove sono dovuti andare per trovarle! È un tipo di professione oramai abbandonata dalla nostra società, ma
in compenso abbiamo delle ucraine presidi di facoltà o camerieri filosofi… Questa è la realtà
dell’Europa di oggi…
Riprendiamo, ora, il ragionamento. Riprendo solo parte di una domanda che ritengo si
diparta da una pre-posizione che il professor Livi Bacci espone a Romano Prodi.
E quindi però, ci rientra la demografia: pochi giovani, e in diminuzione, in un mercato del lavoro
estremamente stratificato per cui, come tu dicevi, molte professioni non sono gradite agli italiani. La conseguenza è una domanda crescente di lavoro immigrato.
Ogni società deve rinnovarsi – sia per mezzo di nuove nascite, sia per mezzo di immigrati: la
prima è la riproduzione biologica, la seconda è la riproduzione sociale. Il miliardo di persone
che vive nei paesi ricchi si rinnova, ogni anno, con 10 milioni di nascite e un afflusso “netto” di
tre milioni di immigrati. Ciò vuol dire che un quarto del processo di rinnovo del mondo ricco è
affidato all’immigrazione.
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Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo
Non si comprende bene come dalle frasi collegate al lavoro che su sono riportate, comprensivo dei domenicali mungitori di mucche si giunga alle molte professioni non sono
gradite agli italiani.
La pre-posizione che intendevo sottolineare è quella relativa all’obbligo di ogni società
a rinnovarsi, e che da questo non chiaro significato del termine rinnovarsi, ci si lancia
a produrre nuove nascite e ad aumentare la popolazione, per mezzo di immigrati, anche
questi, intuibilmente, spinti a dedicarsi a nuove nascite.
Ecco, dunque, alcune parti della lunga risposta di Romano Prodi.
Relativamente al modello di immigrazione
… Le migrazioni prevalenti sono quelle permanenti
Relativamente ai flussi migratori
Spesso però compiamo errori di prospettiva, e pensiamo il mondo con flussi migratori che lo
traversano da un capo all’altro. Nella realtà, la parte maggioritaria delle migrazioni hanno carattere “regionale” e nella stessa Europa le migrazioni intraeuropee prevalgono su quelle extraeuropee.
Relativamente alle tensioni sociali determinate dalla modifica, permanente ed implementante, del tessuto sociale italiano
… se vogliamo evitare tensioni sociali incontrollabili, le migrazioni devono significare fusione
di popolazioni dopo una seconda o una terza generazione: dove questo non avviene, sorgono i
problemi.
In Francia, il problema specifico delle banlieue è la conseguenza della mancata fusione tra immigrati e autoctoni dopo la seconda o la terza generazione.
E se chiedete ai politici tedeschi dove si concentrino i problemi dell’immigrazione, vi risponderanno che ciò avviene in quelle aree dove gli immigrati si sono concentrati – o sono stati ghettizzati – si sono sposati esclusivamente tra di loro, non hanno appreso la lingua, e nelle quali i
processi di fusione risultano bloccati o rallentati.
In Germania però, gli immigrati italiani si sono integrati bene nella società tedesca… La comunità italiana era forse quella più benestante di Francoforte, ma alla loro relativa ricchezza i
nostri connazionali erano arrivati facendo professioni individuali (nella ristorazione, negozianti,
meccanici) e rimanendo relativamente ignoranti; avevano investito poco nell’istruzione dei
figli, che frequentavano poco la scuola. Erano si, bene integrati nella società, ma conservando i
comportamenti familistici italiani.
Forse, arrivati ad una relativa ricchezza nella prima generazione, avevano paura di perderla, e
privilegiavano il lavoro, trascurando l’istruzione.
L’esperienza italiana mostra come sia faticosa l’integrazione, come vengano conservate le abitudini proprie delle terre e delle famiglie di provenienza. Vuol dire che ci vorrà una generazione in
più!
Cara Italia, ti cambio i connotati
51
Questo ci dice, poi, che il problema dell’accesso alla cittadinanza è DE-TER-MI-NANTE!
Non c’è niente da fare: se vogliamo un’immigrazione che arricchisca, occorre che essa faccia
parte della comunità che l’accoglie, e che migranti e autoctoni si aprano reciprocamente.
Bisogna che quelli che arrivano si mischino, si fondano con quelli che già ci sono, gli
autoctoni. Se questo non succede sono dolori. Bisogna usare l’istruzione, quella è l’arma
vincente. Così prenderà corpo il multiculturalismo, parrebbe dire Prodi.
Questa fusione, si basa su un pre-concetto (o se volete una pre-speranza) che gli immigrati che vogliono accedere alla cittadinanza del paese dove hanno deciso di vivere, prima di issare la bandiera dei diritti hanno il dovere di conoscere e rispettare i fondamenti
etici e giuridici del popolo in mezzo a cui vivono. Stiamo parlando di multiculturalismo.
Esattamente quel multiculturalismo che i capi di governo della Germania e della Gran
Bretagna, hanno dovuto riconoscere che è fallito.
Angela Merkel, nell’autunno del 2010. David Cameron, dal palco della Conferenza
sulla sicurezza che si è tenuta a Monaco di Baviera il 10 febbraio 2011.
Il visibilissimo fallimento del multiculturalismo dimostra il fallimento del modello sociologico principe dell’integrazione che, in Italia, per farla bere agli ammalati di danarite, viene considerata una ricchezza.
Soprattutto il problema sollevato si esemplifica nelle comunità musulmane dove si vanno radicalizzando posizioni che spingono alla islamizzazione del paese ospitante.
In più va osservato che l’esistenza di quartieri abitati, quasi esclusivamente, da precise
etnie non italiane, non aiuta certo il progetto multiculturale che dovrebbe portare alla
coesione sociale, anticamera della cosiddetta fusione.
Ammucchiare gli stranieri in un luogo preciso, tanto per stare tranquilli, certo che è
sbagliato; come è sbagliato che l’immigrato pretenda che sia l’italiano ad integrarsi alla
sua cultura.
Quando, anche in Italia, ci si renderà conto che il multiculturalismo globalizzato non
può mettere radici.
Coloro che parlano la stessa lingua e magari professano la stessa religione tendono a
fare gruppo e a rifiutare l’integrazione, che viene percepita come costrizione alla rinuncia alla propria singolare cultura e alle proprie tradizioni, per assorbire quelle del popolo
ospitante. È una considerazione che non può essere considerata illogica. Anzi, partendo
da questa considerazione, conviene entrare dentro il significato dell’abusato termine
INTEGRAZIONE.
Se cercate questo termine in un vocabolario trovate questo significato: il fatto di integrare, rendere intero, pieno, perfetto ciò che è incompleto o insufficiente.
Facciamoci aiutare ancora dal vocabolario e cerchiamo il verbo INTEGRARE.
Ci troveremo ancora di fronte: completare, rendere intero, perfetto. Non solo, ci verrà
proposto anche al significato fondere con qualcosa, che ci riporta al termine fusione, usato da Romano Prodi qualche pagina più su.
Già che ci siamo, cerchiamo anche il termine fusione nel vocabolario. Troveremo: passaggio di un corpo dallo stato solido allo stato liquido. Per quanto qualcuno potrebbe tro-
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Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo
varvi qualche pertinenza in questo gioco al massacro del mischiamento, non è il significato che ci serve. Andremo allora al significato figurato e troveremo: il riunire o il
riunirsi di più elementi per formare un tutto unico.
Bene. Allora chi è l’incompleto, l’insufficiente che deve essere reso intero, pieno, perfetto per formare un tutto unico, non si sa bene con chi?
È l’immigrato o l’autoctono che viene considerato insufficiente e incompleto?
È l’immigrato che deve essere completato delle parti mancanti, e con queste divenire un
tutto unico, per essere considerato integrato?
È l’immigrato che per essere considerato integrato deve accettare passivamente il sistema sociale del popolo ospitante e conformarvisi, divenendo con questo popolo un tutto
unico?
È l’autoctono che per essere considerato integrato si deve conformare al sistema sociale
della gente ospitata e conformarvisi, divenendo con ognuna delle etnie immigrate un
tutto unico?
Ovvero potrebbero mischiarsi ben bene e fare una cosa nuova sotto il sole, un albero
di peremele, un canegatto, un conigliolupo, e via immaginando dove può portare il mischiamento che arricchisce, riempiendole, le fosse dei mischiamenti innaturali venuti
male.
Proviamo a chiederci se, nelle condizioni date e concrete, visibilissime agli autoctoni e
agli immigrati, gli uni sono integrabili agli altri, nel significato che abbiamo approfondito.
Se l’autoctono o l’immigrato gira al largo dalla integrazione, considerandola forzosa,
può essere accusato di integralismo?
In questo caso stiamo usando il termine integrale, chiedendolo in prestito alla gastronomia. Il cibo integrale è il cibo naturale non manipolato.
Quanto all’integralismo, sempre chiedendo aiuto al vocabolario, scopriamo che significa Concezione politica o religiosa estremistica, che contrasti (anche con la violenza) tutte le
posizioni differenti dalla propria: fondamentalismo.
Questo ultimo termine dovrebbe esservi noto, comunque significa: tendenza conservatrice ed estremistica all’interno di una religione (spec. l’Islamismo) che richiama alla rigida
applicazione dei suoi principi fondamentali.
Che strano. Non viene anche a voi da pensare al grido di allarme, lanciato da Merkel
e da Cameron, sul fallimento del multiculturalismo, cui abbiamo accennato qualche
pagina fa?
Vedete bene che c’è qualcosa che non va.
Basterebbe collegare quanto abbiamo appena osservato ai casi in cui da immigrati musulmani è stato richiesto di rimuovere i crocefissi dalle aule scolastiche. (Vi rimando al
mio articolo dove questo tema viene affrontato La guerra del crocefisso, un nervo scoperto,
lo trovate nel sito di Nexus.)
In quell’articolo facevo notare che i nemici dell’umanità si sono inventanti sistemi di
pressione psico-social-economici sofisticati chiamati sfascia-paesi. Questa psico-socialmacchina è una vera macchinazione sordida (disgustosamente), violenta, perfida, orientata a distruggere il tessuto sociale del Paese che è stato preso di mira, utilizzandone i,
Cara Italia, ti cambio i connotati
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sempre disponibili, personaggi meschini, violenti, perfidi, addanarati (pronti a dannarsi
per denaro). Questa psico-social-macchina sfasciapaesi è stata messa alla prova, infilandola
nei sistemi sociali dei Paesi facenti parte dell’area satellitare gravitante intorno alla ex
Unione Sovietica.
Questa psico-social-macchina è stata adattata alla Jugoslavia, trasformandola in una psicosocial-macchina sfasciaconfederazione. Operazione perfettamente portata a termine, come
si vede, se, dall’altra parte dell’Adriatico, ancora sono fumanti di rovine i territori della
ex Jugoslavjia, sventrati da una indotta guerra civile, ancora trasudanti sangue. Abbiamo
anche appurato, come i nemici dell’umanità fossero certi di trovare, nella dirimpettaia
Italia, gli aiutanti di campo; come fossero certi che, proprio dagli ex comunisti, avrebbero ricevuto manforte per distruggere la Confederazione della Jugoslavjia.
Del multiculturalismo jugoslavo che si reggeva su delicatissimi equilibri-ponte fra le
etnie e le religioni, se ne sono semplicemente tutti fatto un baffo. Se ne sono fregati, gli
USAensi, di là dell’Atlantico, la Germania e tutta l’Europa, i post-tutto italiani, cattolici compresi, del sangue che sarebbe corso a fiumi, utilizzando come detonatore proprio
il multiculturalismo; perché funzionasse l’abbattimento controllato della confederazione, facendola esplodere, come se fosse un ponte imbottito di esplosivo. Fu scatenata
in modo artificioso una guerra senza quartiere tra ortodossi, musulmani, cattolici che
divampò in tutta la Confederazione.
Che se il Maresciallo Tito lo avesse saputo prima, col cavolo che si sarebbe dichiarato
pronto a dare manforte ai comunisti italiani (del post-fascismo), se avessero scatenato
la guerra civile, in risposta alla vittoria della Monarchia, nel Referendum MonarchiaRepubblica, del 2-3 giugno 1946.
L’Unione Europea li vorrebbe tutti piccoli così gli Stati della sua federazione, similUSAense; tutti come la cattolica Slovenia, entrata nel 2004 (che quando ha dichiarato
l’indipendenza dalla confederazione, nel 1991, aveva le truppe austriache e germaniche
al confine), come la cattolica Croazia, entrata nel 2013, come la maggioritaria musulmana Bosnia, che vorrebbe entrare nell’Unione Europea.
Ma quanti sono, in Bosnia, i cristiani ortodossi, i cattolici, i musulmani, esattamente?
A questa domanda dovrebbero rispondere 26mila funzionari porta a porta, inviati dalla
UE, proprio quella che ha contribuito, col funzionale lasciarfare, a martoriare anche
quel Paese, contribuendo all’esplosione di un multiculturalismo che camminava sul filo,
come un funambolo. Dobbiamo contarvi, ragazzi, si sbilanciano i portaaportisti. Mentre
l’Istituto Persone Scomparse (Icmp) di Sarajevo sta ancora scavando nelle colline di
Tomasica, a Prinedor, nella Bosnia nord-occidentale, da dove sta uscendo (ne hanno
contati finora 2082) quello che è rimasto di musulmani e croati bosniaci vittime delle
vendette incrociate, etniche e religiose, che hanno insanguinato l’intera Confederazione.
Le fondamentali domande dei portaaportisti? Eccole.
Di che etnia sei? Che religione pratichi? Che lingua parli?
Nell’articolo La guerra del crocefisso, un nervo scoperto, del 4 novembre 2003, (dieci anni
fa) scrivevo:
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Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo
Avrete anche registrato il fatto che, per aggiungere l’Italia fra i paesi disponibili ad usare i loro
eserciti contro la Serbia, si è anche provveduto a cambiare il Presidente del Consiglio del Governo italiano.
È fatto storico che, nella primavera estate del 1999, le coste della regione Puglia che si affaccia
anche sull’Adriatico, da cui proveniva il, nuovo e mirato, Presidente del Consiglio italiano, hanno
subito l’affronto dell’installazione di sistemi antimissile in funzione antiserba.
Infatti quale paese, se non l’Italia, avrebbe avuto un vero ed ineludibile interesse nazionale ad attivarsi fino allo stremo per impedire l’annientamento della confederazione Jugoslava, dirimpettaia
dello stretto Adriatico. La questione Jugoslava doveva da subito essere la questione italiana già da
prima del 1991, quando la Slovenia inserì nella propria costituzione il diritto di secessione.
Purtroppo, mentre la Jugoslavia cominciava a perdere i pezzi rendendo inevitabile la disperazione
e i drammi delle sue popolazioni, l’Italia dei primi anni ’90 era rinchiusa in se stessa, nelle sabbie
mobili di Tangentopoli, incapace di fermare, come sarebbe stato suo interesse, la lacerante distruzione della federazione degli “Slavi del sud”.
Ma soprattutto siamo stati costretti ad accettare passivamente la trasformazione di una confederazione multietnica in una serie di staterelli confessionali. E questo è avvenuto di fronte a casa
nostra.
Tutti, i sopra riportati, passaggi sono perfettamente inseribili nelle pagine di questo
scritto. Dopo che avrete finito di leggere questo scritto, provate a ritornare su questi
passaggi, di un articolo scritto dieci anni fa, e trovare i capitoli dove si troverebbero
perfettamente incastonati.
Ecco perché la frase-domanda, sempre in questo articolo richiamato: Che c’entra la
Jugoslavia con il nostro Paese, è una frase che c’entra, e come, in questo capitolo, e nello
sfondo dell’intero scritto.
Provate ad immaginare, mentre in Italia si stavano attivando i deviatori, a cavallo fra la
fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90, se quelle tre domande “Di che etnia sei? Che
religione pratichi? Che lingua parli?” sarebbero state considerate esemplificanti lo stato
del Paese Italia. Certamente le avreste considerate non contestuali al tessuto sociale di
quel periodo. Venti anni dopo. Dopo il profondo lavorio modificatorio degli europadroni sulla struttura istituzionale italiana, ben orientata anche dai deviatori, siete certi che
quelle tre domande, che oggi stanno portaapportando in Bosnia, siano considerate non
contestuali per lo stato dell’attuale tessuto sociale italiano?
E, se oggi è così, queste tre domande, fra venti anni, e ancora fra altri venti, quale tessuto
sociale intercetteranno nel nostro Paese?
Eppure non sono invisibili i nemici dell’umanità che si sono inventati l’Unione Europea; soprattutto dopo le prove generali jugoslave dell’esistenza della macchina sfasciaconfederazioni costruita appositamente per ridurre a pezzi piccoli, mangiabili e controllabili, i paesi che “disturbano” troppo e creano problemi di controllabilità.
Davvero credete che nei piani di questo gruppo criminale non sia stato previsto lo
spezzettamento “medioevale” di una Italia che tanto non avrà mai un popolo, se le sue
Cara Italia, ti cambio i connotati
55
genti, dopo secoli ancora non hanno deciso di spazzare via farabutti schiavisti e sfruttatori dalla terra che pure dovrebbero considerare un Terra antica, una Terra da difendere. Se queste genti almeno lo cominciassero a pensare, davvero si trasformerebbero
in popolo, davvero darebbero un senso al libro che ha motivato questo scritto, un libro
scritto proprio per le buone genti italiche perché trovino la forza e la determinazione di
trasformarsi in popolo.
Non vi sembrino eccessive le pagine che abbiamo dedicato a rappresentare lo scenario
circostante, immigratorio, di chi si presenta come italo-congolese essendo divenuta cittadina italiana dal 1994, avendo contratto matrimonio con un cittadino italiano, l’ingegnere Domenico Grispino, allora capo ufficio tecnico del comune di Castelfranco Emilia. L’ing. Grispino, dal 2009, è direttore del CAP (Consorzio aree produttive – Aree e
Servizi), Ente che raggruppa 12 comuni che fa capo al comune di Modena.
Avendo ottenuto la cittadinanza italiana in forza del matrimonio con un cittadino italiano, ci si sarebbe aspettati che la dottoressa italo-congolese avesse aggiunto il cognome del marito al cognome di nascita, pur la legge permettendole di non farlo. Ma non
è da terzi sindacabile quello che è facoltà di ogni singola coppia decidere.
Il suo nome africano, a cui giustamente tiene, è Kyenge Kashetu detta Cécile.
È nata, il 28 agosto 1964, a Kambove, dove ci sono miniere di Rame e Cobalto, nel distretto Haut della provincia del Katanga, nel sud della Repubblica del Congo ai confini
con lo Zambia. La famiglia da cui proviene è di etnia bakunda, il padre Clement detto
Kikoko, funzionario statale, era (ed è ancora) capo villaggio, ha 74 anni, 4 mogli, 38
figli; di questi otto sono nati da Mathilde, la madre di Kashetu, morta nel 2010.
Come ci racconta Giuseppe Fumagalli, nel settimanale Oggi del 24 settembre 2013,
che lo ha incontrato, una parte dei numerosi figli del capo tribù sono emigrati all’estero,
li trovate in Belgio, Canada, Irlanda, Stati Uniti, Sud Africa, Sud Corea, Italia, Irlanda,
Francia, Germania.
C’è una frase di Kyenge padre che vale la pena riprendere dall’articolo del settimanale
Oggi, eccola:
Gli italiani sono stati i primi ad arrivare in Katanga. Hanno fatto fortuna, hanno sposato le
nostre donne, si sono integrati.
È una frase che conferma quanto sul termine integrazione ci sia una gran confusione
non solo italo-congolese.
A proposito, sempre per mostrare la confusione sul termine integrazione, vale la pena di
riportare le entusiastiche dichiarazioni rilasciate all’Ansa, il 27 aprile 2013, da un atleta
marciatore italo-congolese di seconda generazione. Jean-Jacques Nkouloukidi, nato a
Roma nel 1982 da padre congolese e madre haitiana. Dal 2002 è arruolato nelle Fiamme Gialle, la diramazione atletica della Guardia di Finanza.
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“La lunga marcia dell’integrazione ha compiuto un passo storico. Sono molto contento”.
“Sapere di questa nomina mi fa molto piacere, visto che mio padre è congolese: dimostra che l’integrazione di questa società multietnica, perché l’Italia sta diventando tale, si comincia a vedere
Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo
anche nella politica”.
“… ma per me è tutto più facile e mi sento perfettamente integrato, perché faccio parte della
nazionale e anche delle Fiamme Gialle. Non tutti hanno la mia stessa fortuna, per questo dico
che il compito della Kyenge sarà duro: quello dell’integrazione è un argomento molto ampio. Ma
l’Italia è destinata a essere sempre più multietnica”.
Faccio solo notare che l’atleta marciatore si sente italiano ed integrato; esprimendo questa convinzione con la frase: mi sento perfettamente integrato, perché faccio parte della
nazionale e anche delle Fiamme Gialle.
Siccome tutto mi va bene, allora sono integrato. È esattamente la confusione del padre
del ministro Kyenge: Hanno fatto fortuna … quindi si sono integrati.
Ma, papà Kyenge ha ancora qualcosa in serbo, e ci tiene a dirlo all’inviato di Oggi.
Cécile può avere ereditato il mio dinamismo, ma in lei vedo altri geni. È da parte materna che
hanno la politica nel sangue. I nonni sono stati ministri dell’Interno e dell’industria in Katanga.
Non ci sono povere capanne, costruite alla bell’e meglio (e vendute per poco e ad altri
disperati, per pagare gli scafisti che traghettano verso il paradiso di Padron Mercato),
nel passato del ministro africano.
Sempre immigratoriamente parlando si può rendere noto quello che, avendolo dichiarato all’ANSA, il 27 aprile 2013, il giornalista italiano Fidel Mbanga-Bauna, nato in
Congo, voleva che fosse noto: Sono contento per il neo ministro Cécile Kyenge ma io non la
vedo congolese visto che è cittadina italiana, altrimenti il passaporto italiano non ha valore
e come tutti gli altri ministri italiani è stata chiamata a servire il suo paese.
Non vorrei apparire precisino, se faccio notare al giornalista italiano con nome congolese che non si è esattamente informato; infatti, a differenza sua, il ministro vuole essere
considerato non solo italiano, ma italo-congolese.
Dalle righe sopra avrete compreso che gli italiani, come è noto, oltre a non voler fare
i mungitori di mucche domenicali, non vogliono fare i ministri e i giornalisti, quindi
sono costretti a ricoprire questi rifiutati incarichi proprio gli immigrati.
Nel frattempo il livello di disoccupazione dei giovani italiani pare sia una preoccupazione per il governo dei congiurati.
Vedremo dopo come si sono già preoccupati di affrontarlo.
È Livia Turco, via Bersani, che l’ha proposta a Letta, come ha raccontato il marito che
prima di essere filo-piddino, per via della moglie, era leghista.
Quindi, pungendo vaghezza che sia stata scelta in rappresentanza di quelli che si sono
laureati in Italia, rientrando nel numero dei posti riservati agli stranieri ma, e sono un
gran numero, sono rimasti in Italia, esercitando la professione connessa alla laurea, non
avendo voluto reinserirsi nei loro paesi di origine, in Africa e non solo in Africa, in conto Letta, giunta dall’Africa, a gestire il dicastero dell’Integrazione eccovi un ministro
africano.
La puntina di vaghezza non è campata per aria, infatti, nel comma 3 dell’articolo 3
Cara Italia, ti cambio i connotati
57
relativo alle Politiche migratorie della Legge 6 marzo 1998, n. 40, “Disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero”. Troviamo scritto
Il documento individua inoltre i criteri generali per la definizione dei flussi di ingresso nel territorio dello Stato, delinea gli interventi pubblici volti a favorire le relazioni familiari, l’inserimento
sociale e l’integrazione culturale degli stranieri residenti in Italia, nel rispetto delle diversità e delle identità culturali delle persone, purché non confliggenti con l’ordinamento giuridico, e prevede
ogni possibile strumento per un positivo reinserimento nei Paesi di origine.
Da considerare che questa legge è stata profondamente modificata per favorire l’accesso
degli stranieri non comunitari in Italia dalla Legge 30 luglio 2002, n. 189 “Modifica alla
normativa in materia di immigrazione e di asilo”. Inoltre è a questa legge del 2002 che fa
riferimento il ministro Maria Chiara Carrozza, nel Decreto Ministeriale 12 giugno
2013 n. 449 relativo alle Modalità e contenuti delle prove di ammissione ai corsi di laurea
ad accesso programmato a livello nazionale a.a. 2013/2014.
Infatti, nel decreto, in perfetto burocratese, sono elencate le innumerevoli norme a cui il
decreto fa riferimento, dopo 9 VISTA, 10 VISTO, 3 VISTI, 1 TENUTO CONTO, 1
VALUTATA, 2 RITENUTO, 3 RAVVISATA e 1 CONSIDERATO, ognuno seguito
dalla norma a cui si fa riferimento, finalmente si arriva al “D E C R E T A”.
Puntiamo il faretto su uno dei 9 VISTA, questo:
VISTA la legge 30 luglio 2002, n. 189, “Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di
asilo” e, in particolare, l’articolo 26;
All’articolo 26 di questa legge fa riferimento l’articolo 14 del decreto “Signori (studenti)
in Carrozza, si parte”, il quale articolo così “D E C R E T A”
Articolo 14 (Posti disponibili)
1) I posti relativi ai corsi di laurea magistrale a ciclo unico con la prova selettiva calendarizzata
per i giorni 3, 9 e 10 settembre 2013, destinati agli studenti comunitari e non comunitari residenti
in Italia, di cui all’art. 26 della legge 30 luglio 2002, n. 189, sono ripartiti fra le Università secondo la tabella dell’allegato 4 che costituisce parte integrante del presente decreto. Agli studenti
stranieri residenti all’estero sono destinati i posti secondo la riserva contenuta nel contingente di
cui alle disposizioni ministeriali in data 18 maggio 2011 citate in premessa.
A questo punto, anche chi legge vorrebbe sapere che dice mai questo articolo 26.
Bene. Accontentiamoci. Ma, attenzione, siamo in pieno territorio burocratese, pieno
zeppo di mine antiuomo, antidonna, antibambini, anti tutto ciò che ha il coraggio di
apparire vivo. Stiamo per scoprire (noi che vorremmo che intervenissero gli artificieri della benemerita per sminare il territorio) che l’articolo 26 della legge 189 del 12
giugno 2002, a sua volta, come potrete verificare, modifica il comma 5 dell’art. 39 del
decreto legislativo numero 286 del 1998.
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Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo
Articolo 26 (Accesso ai corsi delle università)
1. Il comma 5 dell’articolo 39 del testo unico di cui al decreto legislativo n. 286 del 1998 è
sostituito dal seguente:
«5. È comunque consentito l’accesso ai corsi universitari, a parità di condizioni con gli studenti
italiani, agli stranieri titolari di carta di soggiorno, ovvero di permesso di soggiorno per lavoro
subordinato o per lavoro autonomo, per motivi familiari, per asilo politico, per asilo umanitario,
o per motivi religiosi, ovvero agli stranieri regolarmente soggiornanti da almeno un anno in possesso di titolo di studio superiore conseguito in Italia, nonché agli stranieri, ovunque residenti,
che sono titolari dei diplomi finali delle scuole italiane all’estero o delle scuole straniere o internazionali, funzionanti in Italia o all’estero, oggetto di intese bilaterali o di normative speciali per il
riconoscimento dei titoli di studio e soddisfino le condizioni generali richieste per l’ingresso per
studio».
Nel 2002 è stata modificata una norma del 1998. Su quella norma modificata sostiene
l’articolo 14, nel quale, come avrete letto, si fa riferimento ad una tabella allegata al
decreto “Signori (studenti) in Carrozza, si parte”. Chi volesse scaricarsi gli allegati del
decreto li trova qui: http://attiministeriali.miur.it/media/222171/allegati.pdf
Come “aiutino” per chi legge, qui sotto ho costruito una tabella nella quale trovate i
numeri complessivi, a livello nazionale, dei posti disponibili per gli studenti stranieri
comunitari e non comunitari soggiornanti in Italia e gli studenti non comunitari non
soggiornanti in Italia.
Corsi
Posti disponibili per l’accesso al
corso di laurea magistrale in Medicina e Chirurgia anno accademico 2013-2014
Posti disponibili per l’accesso al
corso magistrale in Odontoiatria e
protesi dentaria anno accademico
2013-2014
Posti disponibili per l’accesso al
corso di laurea magistrale in Medicina veterinaria anno accademico 2013-2014
Comunitari e non
comunitari in Ita- Non comu- Totali posti
lia di cui alla legge nitari non disponibili
30 luglio 2002 n. soggiornanti
189 art. 26
10.157
591
10.748
984
86
1.070
825
104
929
Cara Italia, ti cambio i connotati
59
Posti disponibili per l’accesso ai
corsi di laurea magistrale direttamente finalizzati alla professione
di Architetto anno accademico
2013-2014
Totali posti disponibili
8.787
481
9.268
20.753
1.262
22.015
Non sono piccoli numeri.
“Io ti aiuto a prendere una professione che utilizzerai per la tua gente nel tuo paese
d’origine.” È una bella frase, anzi, perfetta per un popolo come il nostro da sempre
buono e accogliente (il guaio è che questa disponibilità ha scatenato nel passato le invasioni barbariche). Se invece, nella gran parte dei casi, la frase diventa “Io ti ho aiutato
a prendere una professione e tu ne hai approfittato per utilizzare questa laurea come
il pezzo di carta che ti ha legalmente permesso di rimanere qui, a fare l’architetto, il
veterinario, il dentista, il medico, il chirurgo; perché l’hai considerata un’occasione
d’oro per guadagnare il denaro che nel tuo paese neanche ti saresti sognato di guadagnare.”
Chi sta barando, chi sta proditoriamente trasformando un gioco in giogo?
Si incastona in questo dire uno spezzone della biografia del ministro africano (così lo
hanno registrato i disperati che affrontano il mare per raggiungere l’Italia e il Papa lampedusiano accoglienti, e accade che li accolga, disperati naufraghi la compassionevole,
francescana, sorella morte).
Rielaborando quello che ho trovato in giro per il web, si racconta che, finite le scuole superiori, la figlia del capo tribù voleva (giustamente) proseguire gli studi. Voleva
iscriversi alla facoltà di Medicina e Chirurgia. La commissione governativa, invece,
ritenendo che nel territorio dove viveva fosse più utile una laurea in Farmacia, la inviò
alla facoltà di Farmacia, presso l’Università Kinshasa. Lei non la prese bene e non sarebbe strano se avesse chiesto l’intervento del padre. Fatto sta che un vescovo a cui era
stata sottoposta la questione, aveva promesso di interessarsene. In quell’anno, eravamo
nel 1983, l’Università del Sacro Cuore di Roma aveva messo a disposizione di studenti
congolesi tre borse di studio, nella facoltà di Medicina. La cosa sembrava in via di attuazione. Era solo questione di tempi burocratici, avevano assicurato da Roma.
Dunque, quella testarda di Kashetu, come avrà pensato suo padre, non aveva ancora
20 anni che pretese di partire per Roma. Ma la borsa di studio si era persa nei meandri
burocratici romani, che di burocratite soffrono anche le università cattoliche.
Kashetu si ritrovò senza PDS, che non vuol dire come sanno gli studenti stranieri:
Partito Democratico della Sinistra, vuol dire, invece, Permesso di Soggiorno. Dunque
Kashetu, suo malgrado si ritrovò irregolare e clandestina nella città di Roma. Va da sé
provenendo da una famiglia benestante, che non è stata abbandonata alla clandestinità. Infatti fu ospitata ed assistita da associazioni religiose. La sua clandestinità, dun-
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Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo
que, durò solo un anno, poi si ritrovò “regolarizzata”. Nel frattempo, quella testarda di
Kashetu si mise a fare la badante, per assicurarsi un minimo di autonomia economica.
Poi il sogno che l’aveva portata a Roma si realizzò. Prese quella benedetta laurea. E
poi … e poi è storia nota.
Ho scritto queste righe perché desidero chiarire che la persona Kashetu Kyenge (si
pronuncia Kyyenge, si affanna qualcuno a spiegare nel web) non mi ispira avversione,
anzi, simpatia, soprattutto quando si lamenta che non si tiene conto del suo impegno
dentro il Partito Democratico, dove i quantosonobravoio-isti abbondano e con i quali
ha deciso di accendere buoni rapporti. Insomma “vengo da fuori, ma sono brava
anche io” sembra dirci quando afferma: “… ho cominciato nel 2004 a fare attivismo e
impegno politico sui temi dell’immigrazione, dell’integrazione, delle politiche sociali,
della cooperazione internazionale. Questo mio percorso non viene tenuto in considerazione.”
In queste righe certo che si tiene conto di questo percorso che fa parte della terminologia dei quantosonobravoio-isti. Ne conosco diversi così, con i quali ho anche rapporti
amicali. Sono in buona fede ma, proprio per questo, possono fare molti danni.
Per questi motivi, debbo distinguere il rispetto non forzoso, che ho per la persona italocongolese, dalla preoccupazione sugli effetti disastrosi di questa nomina.
Il disastro non è solo quando qualcuno è usato per fini perfidi, lo è anche quando lo
strumento di questi fini perfidi, ci crede al ruolo che hanno lasciato che si costruisse
addosso, ci mette la propria faccia, e anche la propria buona disposizione ad essere
utile ed aiutante.
Chi è il ministro africano che, come molti altri, ha deciso di non reinserirsi nel suo
paese di origine dopo essersi laureato e che da ministro è diventato, volente o no,
attrattore di africani in cerca del paradiso italico e trovatisi, invece a sbarcarlunario, cioè vivere a stento e per di più lontano dalla terra di origine?
Ancora una volta la morte ha negato la speranza a più di 300 migranti africani. Quasi
20mila morti accertati e un numero imprecisato di dispersi senza nome.
Chi sono i veri responsabili dei naufragati davanti a Lampedusa, il 3 ottobre 2013, vicino all’isola dei Conigli.
Proviamo ad immaginare cosa si stanno dicendo nel gruppetto intorno ad uno che sembra un pescatore, dietro ad un grande container marittimo rosso, nel piazzale del porto
di Misurata, in Libia.
Si sono io quello che hai chiamato al cellulare. Si deve parlare con me per trovare la
nave che porta in Italia. So io dove mandarvi ogni volta, quando è piena la più vicina
Lampedusa … tu hai provato ad entrare in Spagna dal Marocco, nascosto dentro il doppio fondo di un camion? Ma ti hanno arrestato per immigrazione clandestina e ti hanno
rispedito indietro? … e tu ci hai provato dalla Turchia per arrivare in Grecia ma hai trovato un bel muro con tanto di guardie armate? Vi hanno detto di provare dalla Bulgaria,
ma da lì l’unico modo di andare nei paesi europei è la Romania, magari nascosti nel
doppio fondo dei tir. Alla fine è un giro troppo lungo e siete qui perché vi hanno detto
che provare ad andare in Italia dalla Libia costa di più, ma è più facile? Eh sì arrivare
in Europa dalla Spagna o dalla Turchia, o dalla Bulgaria è più difficile. Come dici? Hai
Cara Italia, ti cambio i connotati
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già pagato? E che c’entra, hai pagato l’organizzazione, mica il viaggio, quello lo devi
pagare a me. È quattro mesi che aspetti? E ti è andata pure bene. Tu dove vuoi andare
… in Francia? E tu dove vuoi andare … in Germania? E tu dove vuoi andare … in
Svezia? Perché lì avete amici e parenti? Non vi preoccupate, dall’Italia si arriva in tutta
Europa. Vi danno pure i soldi sottobanco per raggiungere i Paesi dove volete arrivare.
Come dici? Che appena sbarcati in Italia c’è la denuncia per immigrazione clandestina
… che poi c’è l’espulsione e ti rispediscono nel tuo Paese? L’immigrazione clandestina
è un reato in tutti i paesi, che vi credete di andare a fare una passeggiata? Comunque
in Italia non è come la Spagna e gli altri Paesi europei, vedrete che manca poco e non
sarà più reato arrivare clandestini in Italia. Sai per un bel po’ di tempo, come aumenteranno i nostri viaggi? Anche prima, in Italia, gli immigrati che chiedevano l’elemosina
rischiavano la denuncia, perché era un reato. Adesso, anche da clandestini, potete stare
per strada e ai semafori a chiedere soldi e neanche vi controllano, nessuno vi può dire
niente, non è più reato. Non lo sai che l’Italia è bella legge? Se anche ti fermano perché sei clandestino, cosa vuoi che ti facciano. Alla fine, ti daranno un foglietto, dove
c’è scritto che te ne devi andare, e tutto finisce lì. È come se ti facessero l’occhiolino.
Tu te ne rimani in Italia, fai il clandestino, trovi un lavoro in nero accettando di essere
pagato poco, poi fai arrivare tua moglie e tuo figlio alla chetichella in Italia, mandi tuo
figlio a scuola che anche se tu sei clandestino, lui a scuola ha diritto di andarci. A quel
punto è fatta. C’è un sacco di gente che ti darà una mano. Che in Italia per i clandestini
c’è una grande compassione. Poi una volta che ti sei aggiustato anche legalmente, puoi
decidere di andare in un altro Paese europeo. Ehi, dove andate, guardate che vi ho dato
consigli a pagamento. Dovrete aggiungere al costo di imbarco cinquanta dollari. Anche
io devo pagare qualcuno prima di uscire dal porto, che vi credete. Qui non si fa niente
gratis, come nei posti dove volete andare. E ricordatevi che anche quando fanno i buoni
e fanno finta di aiutarvi gratis, loro ci guadagnano sempre qualcosa, e non è il paradiso.
La cifra per imbarcarsi? Eh, caro mio, duemila dollari. Non li hai? E rimani a Misurata
qualche altro mese, in attesa di trovare una barca che ti faccia pagare di meno, vedi
quanta gioia e felicità hai qui. Vedi come campi a stento qui. Dall’altra parte del mare,
caro mio, e per solo duemila dollari, ti aspetta la libertà, la felicità. Di là dal mare guadagnerai un sacco di soldi. E poi, ma non la vedi la televisione satellitare? Non lo sai
che hanno messo un ministro africano, per farvi sapere che vi aspettano. Ma non la
vedi la televisione satellitare? Non lo hai visto il papa dei cristiani che ha fatto il finto
sbarco a Lampedusa? Sono tutti pronti ad accogliervi. Ma non capisci niente. Trova
quei duemila dollari, fatteli prestare, poi li restituirai; con tutto quello che guadagnerai!
Non ci arrivi a duemila dollari? Siete cinque? Compresi due bambini e tua moglie è incinta? Va bene dammi solo mille dollari, ma viaggerete nella stiva, insieme a tutti quelli
che hanno pochi soldi. Aspetta che devo rispondere ad una telefonata … ah c’è il via
libera per partire … bene … d’accordo … Allora hai sentito la notizia? Vai a preparare
le tue cose. Torna domani coi dollari, perché domani si parte.
Dalla Libia distrutta, da Misurata, partono quasi in 500, affollati dentro la stiva, come
se fossero pesce pescato, e sul ponte del peschereccio, come se fossero pescatori improvvisati. Una nave da pesca, non una nave passeggeri. Ragazzini, bambini, donne in-
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Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo
cinte, un gran numero di donne, ragazzi, ragazze, speranti nell’accoglienza promessa.
Non sono disperati, hanno i vestiti della festa. Difficile pensare che si siano lanciati in
questa avventura traversatoria senza il telefonino.
Dalle 4 del mattino, in lontananza, si vedono le luci di Lampedusa, ormai stiamo arrivando, pensano. Sono le 5 del mattino, sono a quattro chilometri dall’isola dei conigli.
Ma i telefonini non hanno campo. E allora viene l’idea. Facciamoci vedere, diamo
fuoco a una coperta, così ci vengono a prendere. Lo fanno sempre. Lo vediamo alla
televisione. Pensieri della gioventù global-televisiva.
Viene dato fuoco ad una coperta, viene accesa dopo averla immersa in una tanica di
nafta, ce ne sono tante sul ponte. Brandelli di coperta infuocata cadono sul piano del peschereccio. Il ponte della nave è sporco di nafta, ci sono anche le taniche di carburante,
perché gli scafisti, che hanno scoperto il guadagno facile, vogliono tornare a Misurata.
Nella ressa, troppo tardi, ci si rende conto che la nave sta iniziando a prendere fuoco.
Le donne si impauriscono e si spostano tutte nel lato sinistro. Quello spostamento brusco di un gran numero di persone sbilancia il peschereccio che si piega verso sinistra,
poi letteralmente si gira sottosopra e comincia ad affondare, trascinando in fondo al
mare, annegandoli, tutti quelli, e sono tanti, che si trovano sottocoperta, nella stiva, e
sono i più poveri, sono quelli che troveranno fra loro abbracciati, consapevoli che la
speranza si stava trasformando in tragedia.
[Compassione che diventa lacrime, tristezza che chiama il cielo a testimone. Chi sta
cercando i costruttori di questa tonnara umana, chi sono i responsabili di questa
mattanza umana. Chi non riesce a vedere i governanti quantosonobuonoio-isti,
che mentre si inginocchiano davanti alle bare dei bambini annegati, attirano in trappola
i disperati della Terra, con le reti dei “Vieni in Europa e vivrai meglio”. Sono loro, sono
i governanti quantosonobuonoio-isti, che agganciano i disperati della terra racchiusi
nella rete, lontano dalle loro case natie, con l’amo della speranza e li uccidono a bastonate mentre dicono “lo facciamo per il (nostro) bene, comune”. Chi è così sordo da non
sentire le vibrazioni infrasoniche, che hanno come epicentro queste tonnare umane, e
preannunciano il caos prossimo venturo, quando sarà evidente il genocidio denominato accoglienza.
Non illudetevi quantosonobuonoio-isti il cielo non è sordo, il futuro, voi non lo sapete,
è anche ieri. Siete stati misurati, siete stati pesati. Pensate di essere tanto furbi, voi che
avete deciso di mantenervi tiepidi, per fingere di essere caldi con i caldi e freddi con i
freddi. Non la sentite la voce infrasonica? Dico a voi, che in segreto pensate: “Così si
governano meglio i tonni-uomini destinati alle scatolette, mentre noi siamo ricchi, siamo felici, abbiamo tutto quello che ci serve, cerchiamo e otteniamo lodi ed onori, noi
che siamo protetti dalla possibile furia dei tonni-uomini e andiamo in giro scortati”.
A chi credete siano dirette queste parole “Conosco le tue opere, tu non sei né freddo,
né caldo. Magari tu fossi freddo o caldo! Ma poiché sei tiepido, non sei cioè né freddo
né caldo, sto per vomitarti dalla mia bocca.” E voi, a vostra colpa, sapete dove sono
scritte.]
Cara Italia, ti cambio i connotati
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È il vento, l’amico vento, che ripete al mare, e a quello che rimane degli uomini, le gravi parole trasmesse dal Cielo al Mare e alla Terra violati, violentati, profanati; mentre,
in una grande chiazza di nafta, mischiata all’acqua marina, si dibattono e cercano di
stare a galla i sopravvissuti.
Le grida disperate di quelli che sono riusciti a salvarsi, in un primo momento prese per
grida di gabbiani, vengono udite da villeggianti in una barca li vicino, che hanno passato la notte in rada. Cercano di tirarne su più che possono, quei corpi che riscivolano
in acqua, unti di nafta come sono. Non sanno che possono essere accusati di favoreggiamento, perché l’immigrazione clandestina è illegale. La barca non può prendere
tutti quelli che chiedono aiuto, riescono ad imbarcarne solo 47, mentre viene lanciato
l’SOS a tutte le barche che sono uscite per la pesca notturna e alla capitaneria. I soccorsi delle altre barche e della capitaneria si attivano fino alle 8 del mattino. Ne salvano
155, i cadaveri subito raccolti sono 111, alla fine le vittime, fra cui tutti i bambini che i
“grandi” hanno portato con loro, saranno più di 300, tante, le allineano dentro le bare,
nell’hangar dell’aeroporto. Non ci sono abbastanza bare a Lampedusa. I sommozzatori
estraggono dalla stiva della nave coricata su un fianco, a circa 50 metri di profondità,
donne e bambini. Un’ecatombe. E tutto per essere stati convinti da un globalimbroglio,
anche mediatico, che in Europa si sta meglio che in Africa.
Il lutto nazionale, indetto per il 4 ottobre, i funerali di Stato annunciati da Enrico Letta, quali responsabilità vuole coprire. Chi dovrebbe vergognarsi di aver spinto questi
disperatamente occupati dalla speranza, a percorrere la stessa strada marina, siciliana,
anche lampedusiana, che altre genti del continente africano hanno affrontato, riuscendo a giungere alla meta agognata, raccontata e rimbalzata nelle televisioni locali.
Chi li illude, chi non li informa che il luccichio che vedono non è quello di una pietra
preziosa, di cui impossessarsi per arricchirsi. Quel luccichio è fatto di vetri rotti, è fatto
di cocci. Chi spiega loro che rischiano di morire per raggiungere una società in frantumi, che frantumerà anche quello che resta della loro anima, venduta a Padron Mercato,
che ne farà strame per terre morte, lettiera di cadaveri, prima di anime, poi di corpi,
perché di quelle si nutre.
Dovrebbero vergognarsi quelli che hanno fatto la grande pensata di organizzare un finto sbarco a Lampedusa; quelli che sull’altare dedicato alla morte stanno sacrificando un
ministro africano. Quelli che stanno organizzando il genocidio chiamato accoglienza.
E visto che parliamo di clandestini attirati in trappola dai quantosonobuonoio-isti, come
dobbiamo considerare i senatori M5S, Maurizio Buccarella e Andrea Ciuffi, che in
Commissione Giustizia, mercoledì 9 ottobre 2013, come ci raccontano i mass-media,
hanno avuto la bella pensata di proporre un emendamento che prevede l’abolizione del
reato di clandestinità. Figuriamoci se gli altri componenti, Pd e Sel, della commissione
non cogliessero al balzo un’occasione d’oro come quella. Infatti, subito dopo, il vice presidente di Sel Peppe De Cristofaro ha rafforzato l’emendamento M5S aggiungendone
un altro. Figuriamoci se il governo si sognava di rifiutare una delega a rifare la legge
sull’immigrazione, eliminando il reato di clandestinità. Infatti, l’emendamento è passato
seduta stante. I due senatori hanno giustificato così la loro bella pensata: L’introduzione
di questo reato ha aumentato la clandestinità, distolto le forze dell’ordine dalla sicurezza del
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Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo
territorio, aumentato i costi per la giustizia con cifre spropositate. Che è come dire che l’introduzione del reato di furto ha aumentato i furti e che le forze dell’ordine che debbono
inseguire i ladri non possono occuparsi della sicurezza (che a questo punto i due senatori dovrebbero spiegarci cosa mai sia) e che occuparsi dei furti aumenta i costi della
giustizia, con cifre spropositate. Come idee chiare non c’è male.
Ma, c’è perfino il deputato M5S, Girgis Sorial, eletto nel bresciano, figlio di genitori
egiziani, che ritiene di poter cogliere la dorata occasione di occupare gli scranni parlamentari per lanciarsi in proclami pro domo sua (a favore di una parte specifica). Per
esempio sulla cittadinanza.
La cittadinanza per chi nasce in Italia ma solo se da genitori stranieri di cui almeno uno vi risieda
legalmente da non meno di tre anni o da genitori stranieri di cui almeno uno sia nato in Italia e vi
risieda legalmente da non meno di un anno. Ma cittadinanza anche per meriti scolastici, ai bimbi
che completano la quinta elementare o superano la maturità.
Non meraviglia che Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio abbiano fatto sapere cosa
ne pensano sul reato di clandestinità esistente in altri Paesi.
In questa dichiarazione, che potremmo intitolare il prefisso telefonico, fra i Paesi che
prevedono il reato di clandestinità, manca la Germania.
«Il M5S non è nato per creare dei dottor Stranamore in Parlamento senza controllo. Se durante
le elezioni politiche avessimo proposto l’abolizione del reato di clandestinità, presente in Paesi
molto più civili del nostro, come la Francia, la Gran Bretagna e gli Stati Uniti, il M5S avrebbe
ottenuto percentuali da prefisso telefonico».
In questa dichiarazione, pare che ci si stia accorgendo che da più parti il Movimento
Cinque Stelle stia apparendo come una confusa ed incerta armata Brancaleone, scoperta a scopiazzare il burocratese degli altri partiti e, biascicandolo, si avventura a salire in
cattedra per educare il popolo. Della serie televisiva quantosiamobravinoinonveloimmaginateneppure, che può essere seguita anche sui telefonini di ultima generazione
(palmari, videofonini, tivufonini…).
«Sostituirsi all’opinione pubblica, alla volontà popolare è la pratica comune dei partiti che vogliono “educare” i cittadini, ma non è la nostra. Il M5S e i cittadini che ne fanno parte e che lo hanno
votato sono un’unica entità».
Conviene, a questo punto cercare di capire cosa sia veramente accaduto.
Non meravigliatevi del gioco normativo dei rimandi che vi sto per presentare, nelle
prossime due/tre pagine. Ci serve per renderci conto in quale ginepraio di ragnatele si
sono infilati i cinquestellini e come non riescano a vedere il ragno-burocrazia che se li
sta per divorare.
È accaduto che i senatori Buccarella e Ciuffi hanno imparato bene il burocratese e non
era esattamente quello che ci si sarebbe aspettato da chi prometteva di mettere sottosoCara Italia, ti cambio i connotati
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pra il parlamento e si è fatto mettere sottosopra.
Nella commissione Giustizia del Senato era approdato un disegno di Legge proveniente dalla Camera:
Delega al Governo in materia di pene detentive non carcerarie e disposizioni in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova e nei confronti degli irreperibili.
Titolo breve: Pene detentive non carcerarie e messa alla prova.
La proposta di legge n 331, con il titolo sopra esposto, era stata presentata alla Camera
dei Deputati, d’iniziativa dalla deputata Pd Ferranti Donatella (Magistrato) e altri, il
18 marzo 2013.
Con lo stesso titolo era stata presentata la proposta di legge 927, d’iniziativa del deputato Pdl, Costa Enrico, il 13 maggio 2013.
Come si vede, la legge delega, dove si sono infilati i senatori M5S, nasce alla Camera
per iniziativa di un avvocato Pdl e di un magistrato Pd. L’esame della proposta di legge,
inizia nella commissione Giustizia il 6 giugno 2013. I due progetti di legge vengono
uniti (la maggioranza è largheintese-ista) e si giunge, appunto, ad un testo unificato, il 20
giugno 2013. La proposta di legge delega viene inviata dalla commissione alla Camera
il 24 giugno 2013 e il 4 luglio viene approvata e inviata al Senato.
È una proposta svuota carceri che richiama un testo approvato nella precedente legislatura, il 14 dicembre 2012.
Si intende intervenire sul sovraffollamento carcerario che mischia i definitivamente
condannati con quelli in attesa di giudizio. Su questo aspetto si basa sostanzialmente la
delega al governo. Si definisce la messa alla prova per coloro che non incorrono abitudinariamente nei reati penali.
Nell’articolo 1 si propone che le condanne fino a sei anni di carcere siano scontabili
presso il domicilio del condannato.
L’articolo 2 modifica il codice penale inserendo la messa alla prova.
L’articolo 3 modifica il codice di procedura penale.
E mi fermo qui.
Veniamo all’emendamento presentato dai senatori M5S sopra menzionati.
L’emendamento presentato era il seguente emendamento di un emendamento:
1.0.1/3 – BUCCARELLA, CIOFFI
All’emendamento 1.0.1, al comma 2, lettera a), sopprimere il numero 3).
Conseguentemente, al comma 3, dopo la lettera a), inserire la seguente:
«a-bis) abrogare i reati previsti dall’articolo 10-bis) del decreto legislativo 25 luglio 1998, n.
286».
Per aiutare il lettore non avvezzo al burocratese estrapolo (estraggo dal contesto) la prima parte dell’emendamento 1.0.1, questo:
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Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo
All’emendamento 1.0.1, al comma 2, lettera a), sopprimere il numero 3).
La soppressione proposta era la seguente
Comma 2. La riforma della disciplina sanzionatoria nelle materie di cui al presente comma è
ispirata ai seguenti princìpi e criteri direttivi:
lettera a) trasformare in illeciti amministrativi tutti i reati per i quali è prevista la sola pena della
multa o dell’ammenda, ad eccezione delle seguenti materie:
1) edilizia e urbanistica;
2) ambiente, territorio e paesaggio;
3) immigrazione;
4) alimenti e bevande;
5) salute e sicurezza nei luoghi di lavoro;
6) sicurezza pubblica;
Significa che l’immigrazione non viene più inserita fra i reati penali, ma fra gli illeciti
amministrativi. Cioè si paga una multa. L’immigrato si sentirà obbligato a rivendere il
suo telefonino per poter pagare la multa irrogata per immigrazione clandestina.
Ma la prima parte dell’emendamento, dell’emendamento provoca, a catena, l’intervento
sul seguente comma 3, che è la seconda parte dell’emendamento che di seguito è estrapolata.
Conseguentemente, al comma 3, dopo la lettera a), inserire la seguente:
«a-bis) abrogare i reati previsti dall’articolo 10-bis) del decreto legislativo 25 luglio 1998, n.
286».
Riportiamo il comma 3 del testo che si sta emendando (modificando):
3. La riforma della disciplina sanzionatoria nelle materie di cui al presente comma è ispirata ai
seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) abrogare i delitti previsti dalle seguenti disposizioni del codice penale:
Inseriamo, dopo il punto 3), il qui sotto trascritto a-bis
«a-bis) abrogare i reati previsti dall’articolo 10-bis) del decreto legislativo 25 luglio 1998, n.
286».
Per tradurre questo burocratese dobbiamo cercare il decreto n. 286 del 25 luglio 1998.
Una volta trovato copiamoci l’articolo 10-bis, che già essendo bis è l’effetto di altri
emendamenti legislativi, come starete già intuendo. Infatti, questo articolo è stato inserito dalla Legge 15 luglio 2009, n. 94.
Ecco l’articolo 10-bis tratto dal Testo Unico sull’Immigrazione, (la Bossi-Fini).
Cara Italia, ti cambio i connotati
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Art. 10-bis
Ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato.
1. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, lo straniero che fa ingresso ovvero si trattiene
nel territorio dello Stato, in violazione delle disposizioni del presente testo unico nonché di quelle
di cui all’articolo 1 della legge 28 maggio 2007, n. 68, è punito con l’ammenda da 5.000 a 10.000
euro. Al reato di cui al presente comma non si applica l’articolo 162 del codice penale.
2. Le disposizioni di cui al comma 1 non si applicano allo straniero destinatario del provvedimento di respingimento ai sensi dell’articolo 10, comma 1 ovvero allo straniero identificato
durante i controlli della polizia di frontiera, in uscita dal territorio nazionale. (2) frase inserita
dal D.L. 23 giugno 2011, n. 89.
3. Al procedimento penale per il reato di cui al comma 1 si applicano le disposizioni di cui
agli articoli 20-bis, 20-ter e 32-bis del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274.
4. Ai fini dell’esecuzione dell’espulsione dello straniero denunciato ai sensi del comma 1 non è
richiesto il rilascio del nulla osta di cui all’articolo 13, comma 3, da parte dell’autorità giudiziaria
competente all’accertamento del medesimo reato. Il questore comunica l’avvenuta esecuzione
dell’espulsione ovvero del respingimento di cui all’articolo 10, comma 2, all’autorità giudiziaria competente all’accertamento del reato.
5. Il giudice, acquisita la notizia dell’esecuzione dell’espulsione o del respingimento ai sensi
dell’articolo 10, comma 2, pronuncia sentenza di non luogo a procedere. Se lo straniero rientra
illegalmente nel territorio dello Stato prima del termine previsto dall’articolo 13, comma 14, si
applica l’articolo 345 del codice di procedura penale.
6. Nel caso di presentazione di una domanda di protezione internazionale di cui al decreto
legislativo 19 novembre 2007, n. 251, il procedimento è sospeso. Acquisita la comunicazione del
riconoscimento della protezione internazionale di cui al decreto legislativo 19 novembre 2007, n.
251, ovvero del rilascio del permesso di soggiorno nelle ipotesi di cui all’articolo 5, comma 6, del
presente testo unico, il giudice pronuncia sentenza di non luogo a procedere.
A questo aggiungete che il vice presidente di Sel Peppe De Cristofaro, subito dopo
quello di M5S, come dimostra la numerazione cronologica, ha presentato un emendamento identico al loro salvo questa diversa aggiunta
1.0.1/4 DE CRISTOFARO
All’emendamento 1.0.1, al comma 2, lettera a), sopprimere il numero 3).
Conseguentemente al comma 2, dopo la lettera f) aggiungere la seguente:
«f-bis) prevedere l’abrogazione del reato di cui all’articolo 10-bis del decreto legislativo 25 luglio
1998, n. 286».
Che significa che nel comma 2, che già conoscete, dopo la lettera f ) va fatto lo stesso
inserimento proposto dai senatori M5S.
68
Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo
f ) prevedere, per i casi in cui venga irrogata la sola sanzione pecuniaria, la possibilità di estinguere il procedimento mediante il pagamento, anche rateizzato, di un importo pari alla metà della
stessa.
«f-bis) prevedere l’abrogazione del reato di cui all’articolo 10-bis del decreto legislativo 25 luglio
1998, n. 286».
Sono certo che vi starete facendo una cattiva idea del burocratese, ma questa minestra
passa il convento.
Sono pagine dure. È triste dover constatare che i cosiddetti buonisti non si rendano
conto a quale gioco al massacro abbiano deciso di partecipare.
Come è possibile che sfugga ai composizionali di una vasta e spesso rissosa area di sinistra che il partito democratico, con questa posizione a favore dell’immigrazione, anche
clandestina (ma non ci sono all’orizzonte accuse di favoreggiamento all’immigrazione
illegale), cioè dell’alterazione del tessuto sociale del paese, rischia di passare alla storia
come il partito demografico, del resto è solo una “c” che lascia il posto ad una “g” forestiera; è solo una “t” che lascia il posto ad una “f” forestiera.
Le lettere non si sono fuse, ognuna delle due forestiere ha preso il posto dell’altra. Del
resto quando si è costretti a sgomitare per campare, si sgomita appunto.
Non ci sono fusioni o integrazioni che tengano, “fuori i caldi e dentro i freddi”, “mors
tua vita mea”; e ognuno aggiunga i suoi, detti popolari nelle più di cento lingue che si
parlano, ormai, in questo paese. In Congo, almeno, a Kambove, ci sono miniere di Rame
e Cobalto. In questo paese, ormai, ci sono miniere a cielo aperto, li si parlano tutte le
lingue del mondo. Sono le miniere della disperazione.
La disperazione non è una ricchezza; non la vuole nessuno. La costruisce e la usa, a
piene mani, Padron Mercato per distruggere le singolarità e poterle poi fondere e massificare meglio.
Da terra dell’oro a terra di disperazione. Non c’è male. Sta lavorando bene il governo
dei congiurati.
Chi nasce in Italia deve essere considerato italiano. Si chiama lo Jus Soli.
Bisogna cambiare le norme. Anche le leggi debbono spingere le genti, fra loro di cultura
differente, a fondersi.
I diritti di chi arriva debbono essere gli stessi di chi già vive qui da generazioni.
La legge costringerà i più riottosi, i più insofferenti, i più ribelli, ad accettare la convivenza multi-culturale, multi-razziale, multi-religiosa.
La legge costruirà il futuro radioso di un popolo finalmente fuso. Lo so che vi sta venendo in mente la frase “Ma sei fuso?” magari rivolta ad un amico che vi pare stia dando
i numeri.
[Eppure è di un popolo siffatto (fatto proprio così, male), come lo vogliono i servi di
Padron Mercato, che parlano fra di loro le Parche (Muse); sono loro che sanno ruotare il fuso, attorno al quale avvolgono il filo, lo stame della vita, pronte a reciderlo nel
Cara Italia, ti cambio i connotati
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momento in cui gli dei, ai cui altari lo ha condotto a sacrificio Padron Mercato, fanno
cenno che non lo sopportano più.]
Visto che parliamo di diritti, in un paese i cui governanti hanno ceduto la sovranità
agli EU-burocrati, vediamo come il governo dei congiurati si sta occupando del lavoro
giovanile.
Su proposta del largheintese-ista di Scelta Civica – in realtà del gruppo NapolitanoMonti-Letta – Enzo Moavero Milanesi, Ministro per gli affari europei, il 4 settembre
2013, è entrata in vigore la legge numero 97 del 6 agosto 2013. Disposizioni per l’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea.
Un titolo neutro, sembrerebbe. Ma il fatto che la legge sia stata approvata in pieno agosto e sempre in agosto è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale, dovrebbe condurre il
popolino a non fidarsi e a guardarci meglio dentro. Sapendo che in Parlamento siedono
i rappresentanti di Padron Mercato e non del popolo italiano ormai in prossimità della
fusione.
La quasi totalità delle leggi approvate dal Parlamento provengono dalla UE. Per capirci pensate all’obbligo, dal 1 luglio 2003, di accendere i fari dell’automobile in pieno
sole agostano. Da quando, di fatto, abbiamo perso la sovranità, entrando nell’Unione
Europea, ci dobbiamo anche sorbire le procedure di infrazione, provenienti dalla UE.
Questo accade quando delle norme nazionali non sono state adeguate alle direttive e
alla legislazione UE.
Ce ne sono altri, ma il motivo principe del richiamo della legge 97 su indicata, è l’articolo 7 che ha il seguente titolo: Modifiche alla disciplina in materia di accesso ai posti
di lavoro presso le pubbliche amministrazioni. Casi EU Pilot 1769/11/JUST e 2368/11/
HOME.
Lo so che vi si stanno drizzando le antennine nel leggere lavoro presso le pubbliche amministrazioni; e fate bene a drizzare le antennine. E ora vediamo perché, analizzandone
il testo che vediamo di seguito. Vediamo insieme come funziona il burocratese cambianorme. L’articolo 7 è così congegnato
1. All’articolo 38, comma 1, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, sono apportate le
seguenti modificazioni:
a) al comma 1, dopo le parole: «Unione europea» sono inserite le seguenti: «e i loro familiari
non aventi la cittadinanza di uno Stato membro che siano titolari del diritto di soggiorno o
del diritto di soggiorno permanente»;
b) dopo il comma 3 sono aggiunti i seguenti: «3-bis. Le disposizioni di cui ai commi 1, 2 e 3 si
applicano ai cittadini di Paesi terzi che siano titolari del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo o che siano titolari dello status di rifugiato ovvero dello status di
protezione sussidiaria. 3-ter. Sono fatte salve, in ogni caso, le disposizioni di cui all’articolo 1
del decreto del Presidente della Repubblica 26 luglio 1976, n. 752, in materia di conoscenza
della lingua italiana e di quella tedesca per le assunzioni al pubblico impiego nella provincia
autonoma di Bolzano».
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Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo
2. All’articolo 25, comma 2, del decreto legislativo 19 novembre 2007, n. 251, dopo la parola:
«rifugiato» sono inserite le seguenti: «e dello status di protezione sussidiaria».
Siamo ancora in pieno burocratese, che la Comunità Europea riesce perfettamente ad
ingigantire. In questo articolo 7 vengono modificati gli articoli di due decreti legislativi:
– del decreto legislativo 30 marzo 2001 n. 165 – l’articolo 38
“Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche”
Articolo 38 Accesso dei cittadini degli Stati membri della Unione europea
(Art. 37 d.lgs n.29 del 1993, come modificato dall’art. 24 del d.lgs n. 80 del 1998)
1. I cittadini degli Stati membri dell’Unione europea «e i loro familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro che siano titolari del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno
permanente»; possono accedere ai posti di lavoro presso le amministrazioni pubbliche che non
implicano esercizio diretto o indiretto di pubblici poteri, ovvero non attengono alla tutela dell’interesse nazionale.
2. Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, ai sensi dell’articolo 17 della legge 23
agosto 1988, n. 400, e successive modificazioni ed integrazioni, sono individuati i posti e le funzioni per i quali non può prescindersi dal possesso della cittadinanza italiana, nonché i requisiti
indispensabili all’accesso dei cittadini di cui al comma 1.
3. Nei casi in cui non sia intervenuta una disciplina di livello comunitario, all’equiparazione dei
titoli di studio e professionali si provvede con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri,
adottato su proposta dei Ministri competenti. Con eguale procedura si stabilisce l’equivalenza tra
i titoli accademici e di servizio rilevanti ai fini dell’ammissione al concorso e della nomina.
«3-bis. Le disposizioni di cui ai commi 1, 2 e 3 si applicano ai cittadini di Paesi terzi che siano titolari
del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo o che siano titolari dello status di
rifugiato ovvero dello status di protezione sussidiaria.
3-ter. Sono fatte salve, in ogni caso, le disposizioni di cui all’articolo 1 del decreto del Presidente della
Repubblica 26 luglio 1976, n. 752, in materia di conoscenza della lingua italiana e di quella tedesca
per le assunzioni al pubblico impiego nella provincia autonoma di Bolzano».
– del decreto legislativo 19 novembre 2007 n. 251 – l’articolo 25
Attuazione della direttiva 2004/83/CE recante norme minime sull’attribuzione, a cittadini di
Paesi terzi o apolidi, della qualifica del rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione
internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta
Articolo 25 Accesso all’occupazione
1. I titolari dello status di rifugiato e dello status di protezione sussidiaria hanno diritto di godere del medesimo trattamento previsto per il cittadino italiano in materia di lavoro subordinato,
lavoro autonomo, per l’iscrizione agli albi professionali, per la formazione professionale e per il
tirocinio sul luogo di lavoro.
2. È consentito al titolare dello status di rifugiato «e dello status di protezione sussidiaria», l’accesso al pubblico impiego, con le modalità e le limitazioni previste per i cittadini dell’Unione
europea.
Cara Italia, ti cambio i connotati
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In grassetto corsivo potete vedere come appaiono modificati l’articolo 38 del dl.
165/2001 e l’articolo 25 del dl. 251/2007.
È chiaro cosa significano queste modifiche? Se comprensibilmente non essendo affetti
da burocratite non sentite attrazione verso il burocratese perfettamente applicato, ecco
l’aiutino.
Dal trascorso 4 settembre 2013 possono essere assunti dalle amministrazioni pubbliche
nazionali, i familiari dei cittadini europei, coloro che pur non essendo cittadini europei,
quindi anche non essendo cittadini italiani siano titolari di Permessi di Soggiorno di
lungo periodo, possono ottenete il permesso di soggiorno di lunga durata sia i rifugiati
che coloro che ottengono lo status di protezione sussidiaria rischiando l’imprigionamento o la morte se ritornassero nel loro paese.
Per di più tutti coloro che sono titolari di un permesso di soggiorno per motivi umanitari rilasciati dalle Questure competenti, prima del 19 gennaio 2008, al momento
della scadenza del permesso, potranno ottenere quello di “protezione sussidiaria”, che
ha una durata triennale ed è rinnovabile se è verificata la sussistenza delle motivazioni
“protettive”.
A tutti gli effetti, coloro che sono familiari di cittadini comunitari, che sono titolari di
permesso di soggiorno hanno diritto allo studio, alle prestazioni sanitarie e assistenziali,
possono accedere anche al pubblico impiego.
Adesso voi direte che agli italiani non piace più neanche il pubblico impiego e il posto fisso, tanto per ricordare quelle pelose rassicurazioni per rabbonire le nuvole che si
scuriscono, meditando tempesta; non so se ve ne ricordate almeno una, quella famosa
cantilena, ma sì, quella che sembra un solfeggio, quella che fa: Gli immigrati fanno i
lavori che gli italiani non vogliono fare.
Non è affermazione priva di fondamento, osservare che le motivazioni profonde della
crisi italiana vanno identificate nell’entrata nell’Unione Europea e nell’Euro.
È dagli anni ’80 che siamo schiavizzati da governi costituiti per mantenere e difendere
quelle due tragiche decisioni. È da 152 anni che si continua a legiferare contro le genti
italiane, approfittando della loro secolare incapacità di trasformarsi in popolo.
Gli immigrati non sono il nemico. Il nemico sono quelli che spingono gli immigrati a
venire in Europa, usati come esplosivo per distruggere le certezze identitarie degli autoctoni. Solo che quell’esplosivo, una volta innescato, e l’innesco si chiama integrazione,
distrugge anche le certezze identitarie delle genti immigrate.
Licenziati e senza casa. La crisi degli immigrati. Questo è il titolo di un articolo pubblicato su La Stampa di Torino, il 4 novembre 2009. È un articolo che ritengo esemplificativo e rappresentativo delle condizioni di sfruttamento degli immigrati, in questo, reso,
disperato (senza speranza) Paese.
Desmond Usifoh è nigeriano. Pochi mesi fa, ad un suo cugino che tornava in Nigeria,
ha dato un’incombenza, un incarico importante, gli ha detto: «Vai da mia mamma e chiedile se può darmi qualcosa. Anche solo cento euro».
Si sfogava poi con Andrea Rossi, il giornalista de La stampa che lo intervistava.
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Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo
«Sono arrivato in Italia dieci anni fa perché la mia famiglia faticava a sopravvivere. Adesso sono
un peso, costretto a chiedere aiuto. La verità è che da un pezzo sono io ad averne bisogno. Mia
madre s’è venduta i pochi oggetti di valore che aveva».
L’articolo è del 2009, quindi Desmond Usifoh è arrivato nel 1999, cercava un lavoro per
aiutare la famiglia a sopravvivere in Nigeria.
Vediamo di capire. Uno emigra dal suo paese per cercare lavoro. Una parte della paga
del lavoro, quando viene trovato, serve a vivere nel paese straniero, l’altra con le rimesse
viene inviata ai parenti nelle terre di provenienza.
Uno, quanto deve guadagnare per sopravvivere nel paese straniero e aiutare a sopravvivere la famiglia che ha lasciato nel paese da cui è venuto.
Prima si vive in stanze in affitto, con non si sa con quanti letti dentro. Poi si cerca una
casa in affitto e ci si abita ammucchiati, come nel barcone che ti ha sbattuto sulle accoglienti coste italiche. Solo così si riescono a mandare a casa ogni mese, fra i 100 e i 200
euro al mese. Le paghe sono misere, l’affitto, spesso implementato dalle spese condominiali, le bollette di luce gas, il telefonino da mantenere si portano via gran parte della
paga. Certo l’affitto e le bollette sono suddivise fra tutti quelli che usano l’appartamento.
Ma non tutti gli occupanti riescono a pagare, se sono stati licenziati e non riescono a
trovare un altro lavoro. A questo va aggiunto il vitto quotidiano, il costo dei mezzi pubblici (quando non ha imparato a fare il portoghese).
Quando non ci se la fa, si va all’assistenza sociale, sempre che non si trovino strade oblique (disoneste) per portare soldi a casa, senza stare a guardare tanto per il sottile. Entrare nel giro criminale se già non ci si è nella terra di provenienza, può essere il modo per
far passare molto denaro dalle tasche. Prostituzione, furti, spacciatori o/e utilizzatori di
droga. Se la presenza di immigrati nelle carceri italiane è così elevata un motivo ci sarà.
In un articolo de Il Tempo di Roma del 03/10/2013, firmato da Maurizio Gallo.
Troviamo questi dati provenienti dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria
(Dap).
Alla fine del 1991 i detenuti stranieri erano il 15,13% del totale. Il loro numero, però, è cresciuto
anno dopo anno per effetto delle massicce ondate di immigrazione. Nel 2000 erano già il 29,57%,
nel 2001 il 35,19.
Da questo articolo traiamo altre informazioni.
In Italia ci sono complessivamente circa 65mila detenuti, di questi circa 26mila non
sono italiani e circa 16mila sono tossicodipendenti. Se i circa 26mila stranieri venissero
spediti nei loro paesi a scontare la pena dopo l’espulsione e i circa 16mila tossicodipendenti venissero inviati a scontare la pena in una comunità di recupero, il problema del
sovraffollamento delle carceri sarebbe risolto.
In più. Considerate le porte girevoli di chi entra e di chi esce ogni mese, il calcolo dei
detenuti a livello nazionale non è poi così certo. Si rischia letteralmente di dare i numeri.
Dunque per non sbagliare facciamo un ragionamento. Nel nostro paese per essere condannati in via definitiva bisogna passare da tre gradi di giudizio. Una causa civile dura
Cara Italia, ti cambio i connotati
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una media di sette anni. Una causa penale dura in media 5 anni. Quindi, coloro che si
trovano in carcere in attesa di condanna definitiva, sempre che poi nei progressivi gradi
di giudizio non vengano considerati innocenti, subiscono un anticipo di pena pari a
circa 5 anni. I detenuti in attesa di giudizio sono circa 25mila su 65mila. Dunque i definitivamente condannati sono circa 40mila. Se da questi numeri detraiamo i detenuti
stranieri li vedremo calare di circa il 40% (è una media buonista, quella non-buonista
sarebbe di circa il 50%). I numeri carcerari senza l’integrazione straniera diverrebbero i
seguenti.
In Italia ci sono complessivamente circa 40mila detenuti, quelli in attesa di giudizio
sono circa 15mila, quelli definitivamente condannati sono circa 25mila.
Sarebbero numeri che la struttura carceraria sarebbe in grado di reggere, soprattutto se
divenissero operative le strutture carcerarie già costruite o da completare, che potrebbero ospitare oltre mille detenuti, come denunciano i sindacati di polizia penitenziaria.
E l’Europa non avrebbe motivi di “imporre alcunché”.
Il provvedimento di indulto, del 31 luglio 2006, riguardava i reati commessi fino al 2
maggio 2006 e comportanti una pena detentiva fino a tre anni. Dall’agosto 2006, al
gennaio 2007, si sono aperte le porte delle carceri italiane per circa 25.563 detenuti. Di
questi 9.750 erano stranieri.
Nel settembre 2007 (vedi articolo del Corsera del 22 settembre 2007), i carcerati risultavano 46.118. Nel 2006, prima dell’indulto, erano circa 60mila, dopo l’indulto erano
scesi a 38.847. Se confrontate questi numeri con quelli di oggi, qualche perplessità si
agiterà dentro di voi.
Come mai, allora si preme per l’amnistia e l’indulto.
Non è che l’obiettivo vero è quello di far passare dalla cancellata dell’amnistia e dell’indulto il gran numero dei carcerati stranieri, nell’impossibilità di rispedirli nei loro rispettivi Paesi a scontare la pena?
Prendiamo in esame un articolo de Il Giornale di Vicenza del 10 ottobre 2013, firmato
da Alessandro Mignon.
In vista del prossimo indulto, Fabrizio Cacciabue, direttore del carcere di Vicenza, uno
dei più sovraffollati d’Italia con i suoi 331 detenuti (di cui 177 stranieri) nonostante una
capienza prevista di 146 (in pratica ce ne sono più del doppio) e una capienza massima tollerabile di 292, fa già i suoi conti.
Se saranno tre gli anni interessati dall’indulto…
«Allora dei 150 detenuti con pena definitiva che abbiamo a Vicenza dovrebbero uscirne 7075».
Il che significa un po’ di respiro. Ma solo un po’. Con l’uscita dei carcerati post-indulto ne restano
256, cioè una quarantina sotto il numero massimo tollerabile ma ampiamente sopra quello ideale.
Con un piccolo problema: l’esperienza dell’ultimo indulto del 2006 mostra che il 70 per cento
di chi è uscito torna dietro le sbarre nel giro di poco tempo.
Anche se il Capo dello Stato parla di indulto più amnistia (che prevede l’estinzione del reato,
almeno quelli minori) e quindi il numero di chi tornerebbe in libertà sarebbe superiore.
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Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo
Comunque Napolitano per l’indulto prevede circa 24mila detenuti in meno dietro le sbarre.
Traduzione: gli istituti di pena in Italia sono 206 con una capacità di accoglienza di 47.459 detenuti; sono invece 64.873 quelli attuali tra condannati in via definitiva e in attesa di giudizio (con
più di 22 mila stranieri). Tolti i 24 mila, ne restano 40 mila.
Come si vede collegando queste dichiarazioni del direttore del carcere di Vicenza (il
San Pio X, come viene chiamato), con i risultati dell’indulto del 2006, troviamo, ancora,
circa 25mila detenuti che “ballano”. E sono i risultati delle pressioni integratorie sull’Italia provenienti dalla UE, mallevadrice della globalizzazione selvaggia.
Questo è lo scenario dove stanno piovendo le 12 pagine del messaggio di Giorgio Napolitano alle Camere dell’otto ottobre 2013, sulla necessità di predisporre una legge di
amnistia ed indulto, per affrontare il sovraffollamento delle carceri in Italia.
La motivazione fondante del messaggio alle Camere si diparte sia dal sovraffollamento
carcerario italiano che dal pronunciamento della Corte Europea dei diritti dell’uomo.
Parlo della drammatica questione carceraria e parto dal fatto di eccezionale rilievo costituito dal
pronunciamento della Corte europea dei diritti dell’uomo.
Quest’ultima, con la sentenza – approvata l’8 gennaio 2013 secondo la procedura della sentenza
pilota – (Torreggiani e altri sei ricorrenti contro l’Italia), ha accertato, nei casi esaminati, la violazione dell’art. 3 della Convenzione europea che, sotto la rubrica “proibizione della tortura”, pone
il divieto di pene e di trattamenti disumani o degradanti a causa della situazione di sovraffollamento carcerario in cui i ricorrenti si sono trovati.
L’Italia si trova di fronte ad un problema di sovraffollamento carcerario che allo stato
delle norme esistenti può risolvere solo deliberando su amnistia ed indulto. Diversamente, non avendo rispettato i dettati della Convenzione sulla salvaguardia dei diritti
umani, l’Italia verrà condannata a pagare ingenti indennizzi.
La violazione di tale dovere comporta tra l’altro ingenti spese derivanti dalle condanne dello Stato italiano al pagamento degli equi indennizzi previsti dall’art. 41 della Convenzione: condanne
che saranno prevedibilmente numerose, in relazione al rilevante numero di ricorsi ora sospesi ed
a quelli che potranno essere proposti a Strasburgo.
Nel messaggio di Giorgio Napolitano non può mancare l’accenno ai numeri.
Orbene, dagli ultimi dati del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (DAP) del Ministero della Giustizia – aggiornati al 30 settembre 2013 – risulta che il numero di persone detenute
è pari a 64.758, mentre la “capienza regolamentare” è di 47.615.
Fra i possibili rimedi, nel quarto punto, viene preso in esame il problema dei carcerati
stranieri la cui percentuale sull’intera popolazione carceraria è di circa il 35%.
L’Italia, avendo aderito alla Convenzione europea sul trasferimento delle persone conCara Italia, ti cambio i connotati
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dannate, ha già stipulato nove accordi bilaterali.
Ma i risultati sono stati scarsi. Nel corso del 2012 solo 131 detenuti stranieri sono stati
trasferiti nei propri Paesi (mentre nei primi sei mesi del 2013 il numero è di 82 trasferimenti). Secondo il ministro Anna Maria Cancellieri, l’impedimento principale deriva
dal riconoscimento di legittimità della condanna inflitta in Italia nell’ordinamento del
Paese d’origine dello straniero condannato. Sottolineando che la maggior parte dei detenuti stranieri viene dal Maghreb, dall’Africa Nord-Occidentale, va considerato che
esiste il problema giuridico di come si possa applicare la norma del rimpatrio nei confronti dei detenuti stranieri in attesa di giudizio che sono il 45% del totale dei detenuti
stranieri.
La disamina sulla questione degli stranieri nelle carceri italiane, osservata anche attraverso il messaggio alle Camere del Presidente della Repubblica, ci riporta alla tematica
dell’integrazione.
Come dovremmo valutare l’integrazione se non come “forzosa”, visti questi numeri.
E come possiamo rimanere indifferenti, nell’osservare gli immigrati che decidono di
portare in Italia la loro famiglia e che si trovano alle prese con il problema della casa,
come tutte le famiglie italiane del resto.
Torniamo all’articolo de La Stampa. Scrive Andrea Rossi, degli immigrati
Per anni avevano tenuto a galla il mercato immobiliare, comprando casa e accendendo mutui.
Avevano sostenuto il mercato delle locazioni.
A Torino gli sfratti sono quasi raddoppiati in due anni, e – secondo il Sindacato degli inquilini –
quasi il 90 per cento è causato da morosità. Gli appartamenti tornano ad affollarsi: otto famiglie
su dieci condividono l’alloggio con un altro nucleo. Chi aveva una casa la perde e chi non l’aveva
fatica a trovarla.
«Nessuno si fida ad affittare agli stranieri – conferma il presidente di Scenari immobiliari Mario
Breglia –. Hanno paura che gli inquilini non riescano a pagare il canone, o siano costretti a subaffittare».
Se gli affitti crollano figurarsi le compravendite: meno 16 per cento in un anno, quando per anni
avevano trainato l’espansione del settore. «Non è finita: di questo passo l’anno prossimo sprofonderemo a meno 50 per cento», ipotizza Breglia. Sono lontani i tempi in cui ci si indebitava fino al
90 per cento del valore di un immobile. «Le banche, oggi, al massimo coprono il 60 per cento. Il
resto bisogna averlo. Ma il guaio è che le procedure sono diventate così rigide che il mutuo ormai
è un miraggio».
Lo scenario che viene mostrato da questo articolo, siamo nella città di Torino ma vale
per tutte le città del centro nord, si riferisce al 2009. Oggi la situazione è più che peggiorata. Per quanto riguarda i titoli tossici nel sistema bancario italiano sarebbe opportuno conoscere quanti di questi titoli sono stati costruiti sui mutui garantiti a famiglie
di immigrati per l’acquisto della prima casa; e sarebbe opportuno conoscere quante di
queste famiglie, oggi, in piena crisi occupazionale, si trovano a non poter pagare più
76
Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo
il mutuo perché costruito su un valore dell’immobile superiore a quello commerciale.
E sarebbe opportuno conoscere quanta della quantità in più di denaro, sborsata dalla
banca, è stata utilizzata per acquistare mobili, automobili o altro, sulla falsariga dei catastrofici subprime degli USA che hanno provocato la crisi mondiale del 2008.
Tanto per sottolineare come si stia perfettamente integrando la confusione, di qua e di
là del Mediterraneo, gentile dottoressa Kyenge Kashetu detta Cécile, ministro italocongolese dell’Integrazione.
Il terzo larghintese-ista ha occupato molte pagine, non per la persona in sé, ma per il dicastero dell’Integrazione, da cui si cerca di far passare un sistema distruttivo del tessuto
sociale del Paese. E in uno scritto come questo non è una questione sottovalutata.
Del resto queste pagine sostengono e motivano una importante riga del titolo del mio
libro, queste: Italia, schiava, mischiata, venduta.
Cara Italia, ti cambio i connotati
77
Danarite: la sciolina dei discesisti congiurati verso l’abisso
Passiamo ora al quarto largheintese-ista.
La sua presenza è una delle comprove che il governo Letta non è niente altro che il
governo Monti 2.
Infatti, il quarto largheintese-ista proviene dal governo Monti, dove era ministro della
Pubblica Amministrazione e della Semplificazione. Nell’intervento di Mario Monti al
Meeting di Rimini, il 19 agosto 2012, che trovate nel capitolo Il convitato di pietra (parlante) dalla pagina 292, non sono state riportate le frasi che trovate qui sotto. Ma queste
frasi sono la serenata che gli ha dedicato il primo ministro-Podestà-forestiero (vedi nel
capitolo Un re per presidente la pagina 205 e da pagina 208 a pagina 212).
L’abbattimento dei costi burocratici è un inizio importante. Vi basterà un euro di capitale per
cominciare la vostra impresa. Grazie al programma di semplificazioni che il Ministro Patroni
Griffi sta realizzando avrete minori difficoltà nel rapporto con le pubbliche amministrazioni.
E, soprattutto, avrete gli strumenti per fronteggiare il fenomeno dei ritardi di pagamento delle
pubbliche amministrazioni.
Per di più ne Il Fatto Quotidiano, il 9 luglio 2012, in un articolo di Giorgio Meletti, da
titolo Statali, il mistero dei numeri, non pare così convinto delle capacità semplificative e
cognitive del serenato dal meetingaroMonti.
In tutto i dipendenti pubblici sono alcuni milioni, ma esattamente non possiamo dire di quanti
lavoratori si parli, perché lo Stato italiano non sa quanti stipendi paga ogni mese. Lo stesso ministro
della Funzione pubblica, Filippo Patroni Griffi, dice che il taglio riguarderà 6-7000 dipendenti.
Su 3.250.000 dipendenti pubblici (che è la cifra ufficiale, ma tutt’altro che certa) circolata ultimamente, non rappresenta certo il 10 per cento dei dipendenti. In sostanza, la confusione e
l’approssimazione regnano sovrane. Siamo abituati alla produzione su scala industriale di leggi
inapplicate, seguite da ulteriori leggi che prescrivono, o implorano, di applicarle.
Volete che un Napolitano-Monti-Letta manchi alla Festa Democratica Nazionale del
2012 tenutasi a Reggio Emilia? Infatti non ci manca e interverrà nel dibattito delle
ore 18,00 del 5 settembre dedicato al tema Amministrazione Pubblica ed efficienza. La
frontiera possibile. Venerdì 31 agosto era intervenuto Piero Grasso (attuale presidente
del Senato e allora Procuratore Nazionale Antimafia) sul tema Nel nome di Falcone e
Borsellino contro la Mafia. (Pagina 361 del mio libro.)
Volete che sia sconosciuto all’attuale bis-inquilino del palazzo (prima papale e poi regio) del Colle Quirinalis uno che ha fatto gli studi classici, negli anni ’70, nel Liceo
Classico Umberto I, di Napoli, dove anche il padre che si chiamava Giuseppe (1921),
aveva studiato, proprio mentre infuriava il secondo conflitto mondiale, e in quello stesso
Liceo studiava, in quegli stessi anni tragici, anche Giorgio Napolitano (1925)?
Di lui l’8 aprile 2012, in una pagella dei ministri del Governo Monti, pubblicata su
Danarite: la sciolina dei discesisti congiurati verso l’abisso
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Panorama e firmata da Carlo Puca, veniamo a sapere che il ministro della Pubblica Amministrazione e Semplificazione possiede una casa comprata dallo Stato a prezzi di saldo
(109 metri quadrati e vista mozzafiato sul Colosseo, a 177mila e 754 euro).
È uno che si prende anche deleghe “rognose” come quella della delega a licenziare i
dipendenti pubblici come gli ricorda il ministro del Lavoro Elsa Fornero. E lui? Lui
risponde alla ministra Fornero Il tema dei licenziamenti degli statali è già previsto nel testo
predisposto per la legge delega… Lo racconta un articolo sul Corsera del 24 maggio 2012.
La prospettiva su cui stanno lavorando i catilinari congiurati? È quella che porta agli
scenari greci dei licenziamenti massicci di dipendenti pubblici.
La Fondazione Ravello, costituita il giorno 11 giugno 2002, ha come finalità sostanziale
quella di valorizzare i beni artistici e storici presenti nel comune di Ravello, promuovendo, nel suo territorio, manifestazioni nazionali e internazionali.
Chi l’ha costituita? Il Presidente della Regione Campania, il Presidente della Provincia
di Salerno, il Sindaco di Ravello. I livelli comunale, provinciale e regionale hanno una
loro logica. Meno logico è il quarto Presidente firmatario: il Presidente della Fondazione Monte dei Paschi di Siena.
Se uno fa parte del Consiglio generale di indirizzo di una Fondazione non c’è niente
di male. Ma se questa Fondazione si chiama Ravello e sta a cuore al presidente MPS
Mussari, proprio per la presenza, nel suo Consiglio generale di indirizzo, del futuro
Montiano ministro della Pubblica Amministrazione e della Semplificazione, qualche
motivo aggiuntivo ci sarà stato. Se poi il motivo aggiuntivo si definisce nei versamenti
alla Fondazione Ravello da parte del Monte dei Paschi di Siena compresi tra i diecimila
euro e i due milioni … per un importo complessivo che sfiora il miliardo … questo motivo
aggiuntivo deve avere una certa consistenza (vedi mio articolo Il tizzone Mps riaccende
il fuoco della crisi mondiale).
Pare che sia lastricata da mattonelle di denaro la strada che porta il governo Napolitano-Monti-Letta verso gli abissi, dove abita Padron Mercato.
È osservando questa strada dall’alto che abbiamo incontrato Filippo Patroni Griffi
(Sottosegretario di Stato alla Presidenza e segretario del Consiglio dei Ministri).
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Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo
La tanica di veDrò
Il 17 luglio 2013 le agenzie di stampa battono la notizia che la Guardia di Finanza ha
bussato alla porta perugina del tesoriere dell’Associazione VeDrò fondata nel 2005, da
Enrico Letta.
La visita è collegata ad un’indagine della procura veneziana sul Consorzio Venezia
Nuova. È a questo consorzio che è stato affidato l’appalto per la realizzazione del sistema Mose. Il presidente e direttore del consorzio, che si è dimesso il 28 giugno 2013, è
indagato per turbativa d’asta.
L’Associazione è stata sfiorata dall’indagine perché ha ricevuto dal consorzio, negli anni
precedenti diverse decine di migliaia di euro per sponsorizzare le manifestazioni annuali
che organizza alla fine di agosto a Dro, in uno stabile prima destinato a centrale elettrica. Dro, 4.500 abitanti, in provincia di Trento, a nord del lago di Garda.
Sull’onda di questa informazione i surfisti del web si sono lanciati per cavalcarla, soprattutto perché dietro la thinktankante VeDrò c’era Enrico Letta presidente del Consiglio.
Ma ne parleremo fra poco. Prima leggiamoci l’articolo che il settimanale L’Espresso –
con grande lungimiranza? – ha proprio dedicato all’associazione VeDrò, nel numero del
25 aprile 2013, mentre stavano organizzandosi i partitici largheintese-isti, che si stavano
infilando negli aderenti mutandoni del nonno Governiade (chi era costui).
Un birichino Ecco chi paga Enrichino, era il titolo, un programma, firmato da Luca
Sappino su L’Espresso.
Per comprendere il termine birichino basta leggere l’apertura dell’articolo motivante il
titolo.
Enel, soprattutto. Ma anche Eni, Telecom, Vodafone, Sky, Lottomatica, Sisal, Autostrade per
l’Italia, Nestlé, Farmindustria e il gruppo Cremonini. Sono i generosi sponsor della fondazione
VeDrò, da cui nasce la rete di potere del premier incaricato. Chissà se avranno qualcosa in cambio.
In questo “incipit”, a dispetto dei nomoni che la precedono, i fari vanno sull’ultima frase.
Infatti nella domandina che la segue, dal birichino gocciola, sorridente, un po’ di veleno.
Chi finanzia VeDrò, il think-tank bipartisan che ha fatto di Enrico Letta l’uomo giusto per un
governo di larghe intese?
È la domanda che viene girata al tesoriere dell’Associazione Riccardo Capecchi.
Insomma, che vantaggio ne avrebbero questi grossi gruppi industriali nel finanziare
questa associazione thinktank-ista, chiede l’articolista al tesoriere. Siccome nelle pubblicizzazioni delle manifestazioni di VeDrò (nelle brochure, nel sito) ci sono i loghi delle
aziende che la finanziano, sarà mica una sorta di ritorno di visibilità? Ci sarà mica di
mezzo la politica, insinua l’articolista. «Noi non negoziamo la nostra posizione intellettuale». Risponde il tesoriere. Una risposta che sembra etica ma fa a botte con i denari che
La tanica di veDrò
81
arrivano da tutte le parti. Che vuol dire posizione intellettuale. Ogni esponente di partito
ha la sua, con chi la dovrebbe negoziare. Una posizione intellettuale non è necessariamente una posizione partitica.
L’articolista sembra riflettere a mano scrivente. Richiama le posizioni pubbliche di Enrico Letta sulle privatizzazioni.
«Il patrimonio pubblico è ancora enorme: bisogna cominciare a mettere nel mirino nuove privatizzazioni pezzi di Eni, Enel e Finmeccanica».
«Sarà uno dei temi del nostro governo, quando gli elettori ci faranno governare», conclude il
prossimo Presidente del Consiglio.
Da Riccardo Capecchi non si può aspettare dichiarazioni che mettano in difficoltà il
“capo” Enrico Letta. Allora, bella pensata, va a trovare il professor Mattia Diletti docente e ricercatore di scienza politica all’Università La Sapienza di Roma. Da lui, che
ha fatto uno studio accurato sui bilanci delle fondazioni politiche, potrà avere qualche
informazione. Infatti, il docente universitario lo informa che in generale i bilanci delle
Fondazioni politiche, possono contare su budget medi di 800 mila euro e che la Think
Tank Vedrò è poco sopra la media. Ma il professor Diletti non si ferma qui, registrate
quello che dice e collegatelo con quanto sulla funzione del denaro ho scritto nel libro
Quello che colpisce però del sistema di finanziamento riguarda soprattutto i finanziatori piuttosto che i finanziati … Sono prevalentemente ex monopoli pubblici, che hanno un rapporto ancora
stretto con la politica e che finanziano un po’ tutti, con cifre ridotte, a pioggia, sia la destra che la
sinistra.
Vi ricorda qualcosa questa frase? Il sistema partitico è una diramazione del sistema
economico. È logico che dove esiste una struttura “culturale” che “copre” una struttura
“partitica” il sistema economico, con le sue diramazioni di imprese pubbliche e parapubbliche ne tiene conto finanziandolo. Provate a pensare al ministero delle Partecipazioni statali. Dal quel ministero si potevano “orientare” i finanziamenti ai partiti seguendo
rigidamente “il manuale Cencelli” (vedi il precedente paragrafo I catilinari partiti governanti). E il professore ne da una conferma eccellente, quando spiega come si fa ad
arrivare ad un bilancio di 800mila euro; un come si fa che l’intervistatore de L’Espresso
sintetizza così.
… Lo si capisce prendendo in mano una qualunque brochure delle attività di Vedrò. Enel, Eni,
Edison, Telecom Italia, Vodafone, Sky, Lottomatica, Sisal, Autostrade per l’Italia, Nestlé, Farmindustria, il gruppo Cremonini (la carne Montana): sono tante le aziende che concorrono al
fabbisogno del pensatoio.
Vuol dire che dagli anni di Franco Evangelisti (e molto, molto prima) non è cambiato
nulla; questo Paese è ancora in mano agli afràcheteserve-isti. Ecco perché a pagina 99 del
mio libro trovate un capitolo intitolato così: E… gli afràcheteserve-isti si inventarono
82
Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo
Mario Monti.
Tornando alle manifestazioni annuali agostane di VeDrò occorre chiarire che sono manifestazioni a pagamento: chi ha meno di 30 anni paga 150 euro, gli altri 300 euro, a
meno che non vogliano “offrire” di più. D’altra parte il pagamento delle quote, assicura
il tesoriere di VeDrò «servono a coprire i costi vivi della manifestazione, l’allestimento della
centrale, le navette con gli alberghi, il catering per i tre giorni». Certo se poi aggiungiamo
che il costo del soggiorno in albergo non è da pensione di terza classe…
Sottolineiamo pure che i contributi degli sponsor, come assicura Capecchi, si posizionano su una media di circa 30 mila euro. Anche se poi, ovviamente c’è chi dà meno e chi dà
molto di più.
VeDrò è un Think Tank. Ma cosa è mai un Think Tank. Le due parole tradotte rigidamente dall’inglese conducono a “serbatoio di pensiero”. Dentro questa espressione c’è
l’idea di un gruppo costituito da persone che hanno esperienza e conoscenza su diverse
tematiche, al quale viene richiesto di affrontare un tema specifico analizzandolo dai
rispettivi e differenti punti di vista. Non sono incontri di speculazione filosofica, come
si vorrebbe far credere. Sono incontri che debbono indicare soluzioni ad un problema.
Per esempio. Dobbiamo liberarci di Gheddafi, che sta assicurando energia all’Italia e fa
entrare la Russia nella gestione dell’energia petrolifera libica. Mettetevi intorno ad un
tavolo e fate una bella thinktank-ata. Proponeteci una serie di soluzioni, poi noi sceglieremo quella che più ci aggrada. Abbiamo visto quella che ha avuto il gradimento della
triade franco-americo-anglosassone.
Dunque? Dunque nelle riunioni dei pensatoi antipopolino si programmano gli eventi
che debbono gestire la imposta globalizzazione in atto.
Quando vi sentite dire, con sorrisino beffardo fra i denti che “tanto, ormai, non possiamo più impedire l’afflusso di milioni di immigrati, soprattutto dall’Africa. Sono eventi
epocali, bellezza. Prova a fermarli. Adattiamoci e cerchiamo di gestire il gestibile. Se poi
qualcuno, ci guadagna denari, e tanti, nel fare l’accogliente, buon per lui, no?”
Bisogna guardarsi dai pensatoi italiani che sono nati occupando i corpi dei partiti morti.
Le chiamano fondazioni politiche, ma, essendo noto quanto i governanti italiani siano
sconosciuti alla politica, il loro vero nome è specchietti partitici per le allodole populiste.
Non fa eccezione la thinktank-ante veDrò.
Il problema è come evitare che gli italiani si liberino, in futuro, della UE e dell’Euro?
Bisogna pensarle tutte, pensano i pensatoi-isti. Bisogna guardare al futuro, prevedere
le strade che i populisti potrebbero imboccare, a velocità di fuga, e fargliele trovare
bloccate. È la globalizzazione bellezza, ci sarà scritto sul cartello affisso sulla cancellata
impeditiva.
Se (primi di ottobre 2013) entrate nel sito thinktank-ante www.vedro.it troverete una
letterina firmata da Benedetta Rizzo Presidente di veDrò.
Cosa sia e come opera sostanzialmente l’associazione ce lo dice in queste righe:
In quegli anni si compose il DNA di veDrò, caratterizzato da idee-guida e pratiche quali contaminazione, informalità, trasversalità. Non parole vuote, ma l’imposizione di un modus operandi.
La tanica di veDrò
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Vorrei far notare che i tre termini contaminazione, informalità, trasversalità indicano
il posizionamento raccordante di cassetti rigidamente incardinati nel massiccio mobile pensiero strutturato. Aprire i cassetti e mescolarne il contenuto, non è esattamente
come funziona la natura. La natura non ha cassetti. È il limite umano che li ha costruiti
e cerca di infilarci dentro tutto ciò che esiste, illudendosi di scientizzarlo.
Ma non sono le pagine giuste per aprire questo tipo di riflessioni. Quindi torniamo al
rimanente contenuto della lettera.
Vengono informati gli avventori del sito che la manifestazione agostana del 2013 non
avrà luogo, per evidenti motivi, collegati alla circostanza che qualche socio si ritrova
ministro e il fondatore dell’associazione si ritrova a fare il presidente del consiglio. Ma
niente paura, si sta già lavorando per l’edizione del 2014. Alcune parti di questa lettera
ci serviranno per confermare le riflessioni appena espresse.
Intanto il motivo principe è quello logistico.
Di colpo, la domanda di partecipazione è letteralmente esplosa. Quasi doppiando le oltre 900
presenze dell’anno scorso, quando avevamo già toccato la cosiddetta carrying capacity in una
centrale sempre più piccola per la quantità di richieste, ma che noi, per il suo valore e la sua forza
simbolica – un sito che genera energia –, continuavamo ostinatamente a ritenere il luogo ideale
per i nostri incontri: in una parola, il totem della nostra community.
Esigenze legate alla logistica, alla sicurezza, all’attenzione spasmodica dei media avrebbero infatti
trasformato veDrò2013 in un appuntamento che non avremmo riconosciuto come nostro.
Quindi il motivo che, a sua volta, ha generato quello logistico.
Un miracolo, per dirla alla Letta che scrive un bigliettino a Monti, i bipartisan di veDrò si sono tutti ritrovati tutti al Governo che qui viene chiamato, eufemisticamente,
esecutivo “straordinario”
Di fatto, con questo esecutivo “straordinario”, ma soprattutto con l’evidente scarto generazionale rispetto alle passate esperienze, era come se – passatemi l’esagerazione che non deve apparire
figlia di enfasi retorica – ce l’avessimo fatta e il nostro appuntamento si fosse trovato improvvisamente dall’altra parte della cattedra.
La Presidente omette l’informazione che una componente della struttura operativa di
veDrò, Nunzia De Girolamo, che segue il tema del Mezzogiorno, nell’elenco dei Politici, è appunto titolare del dicastero delle Politiche agricole alimentari e forestali.
Dove ‘bipartisan’ significava ben più di un mero dialogo tra la maggioranza di governo e le opposizioni del momento, ma voleva piuttosto dire apertura e capacità di superare tic ideologici,
pregiudiziali politiche, autocensure diplomatiche. Voleva dire confronto aperto, orizzontale,
paritario. Tutto ciò riguardava certamente la politica, ma investiva in realtà l’intera classe dirigente.
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Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo
Vi ricordate dove, nelle pagine precedenti, un ministro bipartisan ha affermato che la
classe dirigente italiana è molto omologata? Se vi dicessi Studenti in carrozza, vi aiuterebbe a capire di chi sto parlando?
Il termine bipartisan, dunque, non è un raccordo su un tema particolare fra i partiti di
maggioranza e quelli di opposizione. Eh no! È un gruppetto che non si porta dietro tic
ideologici, pregiudiziali di parte, che qui vengono chiamate politiche, che fa l’elenco delle posizioni divisive, che qui è trasformato in: evitare autocensure diplomatiche. (Vedi
il capitolo Gli inventori del governo Monti e i divisivi non negoziabili della Chiesa, a
pagina 233 del mio libro).
Questo gruppo, veniamo informati, a forza di incontri thinktank-isti, si è trasformato in
un partito a se, che questo è il significato del termine laboratorio … autonomo … dalla
politica.
… un laboratorio in servizio permanente effettivo, ormai autonomo anche dalla politica
… un flusso continuo di tavoli, incontri, seminari, iniziative che permette a veDrò di affermarsi
come protagonista non secondario nel dibattito politico e culturale che vuole far uscire il Paese
dalla sua “morta gora”.
veDrò è sempre stato fin dal suo nome declinato al futuro…
Avete presente la domanda nelle righe prima?
Il problema è come evitare che gli italiani si liberino, in futuro, della UE e dell’Euro?
Bene. Qui viene ribaltato. Ecco la soluzione a lungo thinktank-ata, spieghiamo al popolino che non stiamo lavorando per impedire che escano dalla Ue e dall’Euro, ma che
ci stiamo “sbattendo” per far uscire il Paese dalla sua “morta gora”.
È la classica inversione semantica, il nulla parolaio, utilizzato da I catilinari partitici governanti. Quanto al fatto che i thinktank-isti, fin dalla loro nascita, si adoperano contro
le genti italiche perché in nessun modo riescano a trasformarsi in popolo, non abbiamo
dubbi che questo sia il loro reale progetto declinato al futuro.
In questa lettera si trova anche segue, nella quale troviamo il termine vedroidi.
Nella mia terminologia, li avrei chiamati veDrò-isti; ma avendolo usato la presidente di
questo pensatoio … il termine vedroidi mi richiama alla mente il termine androide, che
forse è più appropriato, per chi sta lavorando, di fatto, ne sia consapevole o no, contro il
genere umano, significando Androide un essere che può sembrare umano, ma non lo è.
Questa mia valutazione non è mia intenzione che suoni come offesa per coloro che
hanno deciso nel corso degli anni di farsi coinvolgere in questa thinktank-ante associazione, piuttosto è un preciso e fermo invito alla riflessione su dove, davvero, stia andando a parare veDrò.
Quanto al barbaro termine think tank, ai vedroidi androidi dovrebbe venire il dubbio di
trovarsi contenuti in una tanica, come quelle che gli scafisti, Africa-Italia-Africa, avevano sul loro peschereccio. Anche la tanica veDrò contiene carburante-pensatoio. Loro,
i vedroidi, sono il carburante che Padron Mercato sta utilizzando per trasportare, senza
possibilità di ritorno, le ancora speranzose genti italiche, stipate nell’ennesimo barcone
largheintese-ista, nell’inferno Europa.
La tanica di veDrò
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Dopo queste, necessarie, riflessioni cerchiamo di capire chi sono gli androidi vedroidi
nel governo. Facciamo un semplice elenco, utilizzando quello delle pagine precedenti.
Questi sono i vedrò-isti iscritti nell’elenco denominato “Politici”. ( Josefa Idem è nell’elenco degli sportivi.)
Dopo il nome è indicato l’incarico.
PD
PDL
IND
Enrico Letta
Angelino Alfano
Filippo Patroni Griffi
Presidente del Consiglio dei Ministri
Vice Presidente del Consiglio dei Ministri
(segretario del Consiglio dei Ministri)
Sottosegretario di Stato alla Presidenza del
Consiglio
Ministri senza portafoglio (dopo il nome il dicastero di cui è ministro)
PD
Josefa Idem
(dimissionaria dal 24 giugno 2013)
Pari opportunità, sport e politiche giovanili
Ministri con portafoglio (dopo il nome il dicastero di cui è ministro)
PD
PDL
PDL
IND
Andrea Orlando
Maurizio Lupi
Nunzia De Girolamo Simonetta Giordani
Ambiente, tutela del territorio e del mare
Infrastrutture e trasporti
Politiche agricole alimentari e forestali
Sottosegretario Beni e attività culturali e turismo
Si comprenderà perché, soprattutto dopo gli onori della cronaca provenienti dalle indagini sul Consorzio Venezia Nuova, sui componenti del governo, anche vedro-isti, si
siano accesi molti riflettori.
Ripreso da altri siti, su http:/dailystorm.it, una testa giornalistica online costruita da
un gruppo di studenti, il 3 maggio 2013, firmato da Stefano Vito Riccardi, è stato pubblicato un articolo proprio su questo argomento, che si apre così:
Un totale di 6 Ministri, Vicepresidente e Presidente del Consiglio: questo il bottino dell’associazione Vedrò. E tanti sponsor e lobby alle spalle, come: Enel, Eni, Telecom, Vodafone, Sky,
Lottomatica, Sisal, Autostrade per l’Italia, Nestlé, Farmindustria e il gruppo Cremonini. Ma
che cos’è?
Tralasciando il premier e il suo vice, anche ministro dell’Interno, i ministri vedroidi
vengono presentati collegandoli con gli sponsor di VeDrò.
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il Ministro delle Infrastrutture e trasporti Maurizio Lupi
(ricordiamo lo sponsor Autostrade per l’Italia),
il Ministro dell’Ambiente Andrea Orlando
(ricordiamo gli sponsor Enel ed Eni),
Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo
il Ministro dell’Agricoltura Nunzia De Girolamo
(ricordiamo gli sponsor Nestlè e Gruppo Cremonini),
La presenza di ministri vedroidi viene vista come segnale di collegamento con le imprese sponsorizzanti VeDrò.
Quelli sono i generosi sponsor della fondazione VeDrò, da cui nasce la rete di potere del premier
incaricato. Una rete costruita in anni e che ora rappresenta un pezzo del capitalismo italiano.
E ancora
C’è chi definisce l’associazione come una lobby, una corrente politica e i suoi eventi come dei salottini estivi o una festa dell’unità fighetta. Eppure tra persone del “mondo che conta” e sostenitori
finanziari pronti ad investire, VeDrò non ha nulla da invidiare a nessuno.
Come si vede sfugge il ruolo di VeDrò nella movimentazione partitica dell’operazione
Mario Monti e, soprattutto, sfugge il suo ruolo nell’agganciare una parte del mondo
cattolico, che nel mio libro ho chiamato cattoli(compli)ci, all’operazione di finale distruzione della sovranità di questo Paese. Il prezzo per Giuda è il denaro pubblico legato
alla Sussidiarietà come viene sottolineato nel mio libro.
Da come si sono sviluppati gli eventi nei primi cinque mesi di questo governo dei congiurati, le cose appaiono addirittura peggiori di quanto paventassi nel mio libro.
Ma andiamo per ordine. Prima di affrontare gli scenari del governo Napolitano-MontiLetta, collegati al perno della thinktank-arola (per dirla alla romana che ci sta) compagnia vedro-ista; vediamo come il governo Monti, senza soluzione di continuità, cambia
semplicemente nome.
La tanica di veDrò
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I lunghi giorni di Catilina
Nel capitolo Paure e menzogne, paragrafo Il limite ha perso la pazienza, a pagina 23,
trovate le catilinarie di Cicerone che, in pieno Senato, accusa Catilina di tramare contro Roma. Catilina è Mario Monti, Catilina è Enrico Letta. I congiurati che stanno
tramando contro Roma sono dentro i due governi staffettisti di una gara al massacro
sociale. Quelli che stiamo vivendo, dal novembre 2012, sono i lunghi giorni di Catilina.
Mario Monti, prima nominato senatore a vita, poi presidente del consiglio, poi mantenuto a capo del governo che condurrà le elezioni, poi autonominatosi a capo di una formazione partitica che partecipa alle elezioni. Nel bailamme (il termine deriva dal turco,
bayram, che significa festa, un gran vociare e un andirivieni di gente, e per estensione
una gran baraonda, che deriva dallo spagnolo, barahúnda, anche questo termine richiamante un gran vociare e andirivieni di gente), nel bailamme, appunto, del dopo elezioni
che non hanno mostrato un partito o una coalizione di partiti in grado di formare un
governo; è successo di niente.
È successo talmente di niente che è stato messo a rosolare sulla graticola, girarrosto
cercagoverno, Pierluigi Bersani che girava a vuoto, in attesa di rieleggere Giorgio Napolitano (vedi a pagina 510 “il bissato Napolitano “resistiancoraunpòtienicaldoilposto”).
La bissata si è resa necessaria a causa di un grave errore di valutazione dei catilinari
inventori del governo Monti, che avevano programmato di portare al Quirinale il pochissimo furbo Mario Monti. Evidentemente il personaggio, strappato dai bassifondi
dei danarosi mondiali, non ha capito per quali partitiche e supertortuose vie, piene zeppe di cecchini aspiranti quirinalizi delusi, si doveva incamminare se voleva arrivare al
promesso Quirinale, dopo la nomina a senatore a vita e a premier salvatore della patria.
Perché, il Monti, che di monti ha poco ma di voragini tanto, dopo essere stato giubilato
dal Pdl, con la furbata della forzata assenza dall’aula dei parlamentari pidiellini segreti
congiurati, con stizza, ha cominciato a girare a vuoto, perdendosi nei meandri dei crocicchi di cui abbondano i dintorni del colle Quirinale.
A questo proposito, vi invito alla lettura del capitolo Italia verso il voto? No verso il vuoto!, nel quale troverete a pagina 64 questa frase “Se ha fatto chiarezza lo deve dire lui e lo
dirà lui”. È una frase che la dice lunga sui rapporti di Napolitano con Monti, dopo che
questi ha cominciato a cercare le vendettine, mostranti il suo vero carattere, costringendo Napolitano a rivedere i prefissati programmi quirinalizi.
Basti considerare che quella frase di Napolitano segue l’incontro con Mario Monti,
avvenuto il 16 dicembre 2012 e durato un’ora. Quell’incontro avrebbe dovuto essere
di chiarimento sulle intenzioni dello stesso Monti e sulla compatibilità di queste sue
intenzioni con i progetti che altri avevano su di lui.
Le pagine del capitolo che vi ho indicato vi aiuteranno a comprendere meglio cosa
sotterraneamente è avvenuto, prima che le camere fossero sciolte e si andasse al voto.
In verità, la giostra su cui è stato messo a forza Pierluigi Bersani, subito dopo le elezioni
senza vincitori, serviva ad attirare altrove l’attenzione, mentre si cercava di capire chi
avrebbe potuto prendere il posto del fantasma di Monti che ancora sedeva sulla polI lunghi giorni di Catilina
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trona quirinalizia. Le votazioni del parlamento in seduta comune e con la presenza dei
rappresentanti delle regioni, che finivano con le fumate nere, mostravano l’impossibilità
di trovare un altro fantasma al posto di Monti.
Non rimaneva che puntare sulla bissata.
Proviamo a pensar male, romanzando (?) e magari si fa anche peccato, ma parafrasando
Andreotti può accadere ci si indovini. Allora proviamo a pensar male accostando fra loro
le notizie disponibili.
Occorreva che un coro di congiurati catilinari largheintese-isti facessero la serenata a
Giorgio Napolitano. Solo dopo questa serenata, Napolitano avrebbe potuto dichiarare
di essere “costretto” a rimanere al Quirinale e quindi affidare l’incarico di formare il governo ad uno dei congiurati che già stavano preparandosi ad occupare gli scranni romani. Naturalmente “l’incaricato” era previsto che cadesse dalle nuvole, non aspettandosi
questo “imprevisto” incarico. (Ed è quello che come vedremo avverrà.)
Occupiamoci, allora, della bissata e valutiamo il discorso di insediamento del bissato
Giorgio Napolitano alle camera il 22 aprile 2013.
Come voi tutti sapete, non prevedevo di tornare in quest’aula per pronunciare un nuovo giuramento e messaggio da Presidente della Repubblica. Avevo già nello scorso dicembre pubblicamente dichiarato di condividere l’autorevole convinzione che la non rielezione, al termine del
settennato, è “l’alternativa che meglio si conforma al nostro modello costituzionale di Presidente
della Repubblica”. Avevo egualmente messo l’accento sull’esigenza di dare un segno di normalità
e continuità istituzionale con una naturale successione nell’incarico di Capo dello Stato.
Mettete a raffronto questa iniziale parte dell’intervento del bis-presidente con quanto
scrivo nel mio libro a pagina 352
Il mondo cattolico, “aggregato” al ben organizzato Piano-Monti, è avvisato. Potrebbe non riuscire
l’obiettivo finale, ben camuffato, di infilarlo al Quirinale. Il Monti Bis o Tris, la dichiarazione di
Napolitano che non cerca la rielezione e che al Quirinale vedrebbe bene una donna, fanno parte
del piano.
Quanto al seguente passaggio, si valuti se non sia inseribile nelle valutazioni espresse
nelle precedenti righe, relativamente ai piani dei congiurati, vista l’impossibilità di trovare un accordo condiviso per occupare lo scranno quirinalizio.
È emerso da tali incontri, nella mattinata di sabato, un drammatico allarme per il rischio ormai
incombente di un avvitarsi del Parlamento in seduta comune nell’inconcludenza, nella impotenza
ad adempiere al supremo compito costituzionale dell’elezione del Capo dello Stato. Di qui l’appello che ho ritenuto di non poter declinare – per quanto potesse costarmi l’accoglierlo – mosso
da un senso antico e radicato di identificazione con le sorti del paese.
Ora, provate a valutare il seguente passaggio, collegandolo con il tentativo di mettere in
piedi le larghe intese, già dal 2008, come raccontato nella prima premessa funzionale.
90
Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo
Imperdonabile resta la mancata riforma della legge elettorale del 2005. Ancora pochi giorni fa, il
Presidente Gallo ha dovuto ricordare come sia rimasta ignorata la raccomandazione della Corte
Costituzionale a rivedere in particolare la norma relativa all’attribuzione di un premio di maggioranza senza che sia raggiunta una soglia minima di voti o di seggi.
Avete bel valutato? Bene. Ora cercate di comprendere per quale motivo, nel suo bisdiscorso alle camere riunite, nel 2013, il presidente Napolitano senta la necessità di richiamare parte del suo intervento nel meeting di Rimini nell’agosto 2011. Dichiarando
poi che quelle sue parole, anche se pronunciate un anno e mezzo fa, hanno ancora un
loro valore.
Parlando a Rimini a una grande assemblea di giovani nell’agosto 2011, volli rendere esplicito
il filo ispiratore delle celebrazioni del 150° della nascita del nostro Stato unitario: l’impegno a
trasmettere piena coscienza di “quel che l’Italia e gli italiani hanno mostrato di essere in periodi
cruciali del loro passato”, e delle “grandi riserve di risorse umane e morali, d’intelligenza e di lavoro di cui disponiamo”.
E aggiunsi di aver voluto così suscitare orgoglio e fiducia “perché le sfide e le prove che abbiamo
davanti sono più che mai ardue, profonde e di esito incerto. Questo ci dice la crisi che stiamo attraversando. Crisi mondiale, crisi europea, e dentro questo quadro l’Italia, con i suoi punti di forza
e con le sue debolezze, con il suo bagaglio di problemi antichi e recenti, di ordine istituzionale e
politico, di ordine strutturale, sociale e civile.”
Ecco, posso ripetere quelle parole di un anno e mezzo fa, sia per sollecitare tutti a parlare il linguaggio della verità – fuori di ogni banale distinzione e disputa tra pessimisti e ottimisti – sia per
introdurre il discorso su un insieme di obbiettivi in materia di riforme istituzionali e di proposte
per l’avvio di un nuovo sviluppo economico, più equo e sostenibile.
Allora, vediamo insieme dove realmente quel linguaggio “di verità” vuole andare a parare.
Nel capitolo I cattoli(compli)ci “seminatori di Monti”, a pagina 216 del libro, si parla
proprio di quell’intervento di Napolitano a Rimini.
E se ne parla, perché proprio quell’intervento e quello di personaggi che si ritrovano
nell’attuale governo delle larghe intese, dimostra l’esistenza del lavorio sotterraneo che
avrebbe portato Mario Monti al governo, di lì a qualche mese.
In questo capitolo fanno mostra di sé anche gli interventi di Enrico Letta e di Maurizio
Lupi. È a loro, e a tutti gli altri congiurati, largheintese-isti che Napolitano, in quell’agosto meetingario del 2011, dice:
Perché è un fatto che ormai da settimane, da quando l’Italia e il suo debito pubblico sono stati
investiti da una dura crisi di fiducia e da pesanti scosse e rischi sui mercati finanziari, siamo immersi in un angoscioso presente, nell’ansia del giorno dopo, in un’obbligata e concitata ricerca
di risposte urgenti.
A simili condizionamenti, e al dovere di decisioni immediate, non si può naturalmente sfuggire.
I lunghi giorni di Catilina
91
Ma dinanzi a fatti così inquietanti, dinanzi a crisi gravi, bisogna parlare – e voglio ripeterlo oggi
qui, rivolgendomi ai giovani – il linguaggio della verità: perché esso “non induce al pessimismo,
ma sollecita a reagire con coraggio e lungimiranza”.
Dunque, il linguaggio della verità è fatto di frasi che preparano l’uscita di scena di Berlusconi e l’arrivo del salvatore della patria: il Monti-Catilina.
Avendo presenti quelle pagine del libro che vi ho appena indicato, diviene chiaro perché, in pieno parlamento, il bis-presidente rammenta quegli accordi sotterranei che
hanno portato al governo Monti. Infatti, nel suo bis-intervento sta dicendo che ancora
c’è lavoro per i congiurati. Li avverte che da bravi scolaretti catilinari si debbono preparare alle larghe intese. Non c’è altra via d’uscita. I congiurati vengono bis-informati che
la situazione è ancora quella dell’agosto del 2011. Ci sono ancora da fare altri compiti a
casa assegnati dalla maestra Europa, con la bacchetta picchiabambini in mano. E arriva
anche la bis-ramanzina, anzi la bis-sgridata: la maestra Europa, che ama parlare in tedesco, ci ha affidato altri compiti a casa, quelli che abbiamo già fatto non sono stati considerati sufficienti. Darsi da fare, dunque, se si vuole arrivare almeno al sei meno (6-).
Nel sottolineare questi ultimi punti, osservo che su di essi mi sono fortemente impegnato in
ogni sede istituzionale e occasione di confronto, e continuerò a farlo. Essi sono nodi essenziali
al fine di qualificare il nostro rinnovato e irrinunciabile impegno a far progredire l’Europa unita,
contribuendo a definirne e rispettarne i vincoli di sostenibilità finanziaria e stabilità monetaria, e
insieme a rilanciarne il dinamismo e lo spirito di solidarietà, a coglierne al meglio gli insostituibili
stimoli e benefici.
Il Parlamento ha di recente deliberato addirittura all’unanimità il suo contributo su provvedimenti urgenti che al governo Monti ancora in carica toccava adottare, e…
D’altra parte, vorrete valutare con attenzione ciò che dice uno che si bissa l’elezione a
presidente, uno che vive negli scranni parlamentari italiani ed europei quasi da quando
è nato, uno che vanta una più che cinquantennale esperienza nel campo della partitica
nazionale ed internazionale.
Permettete che ve lo dica uno che entrò qui da deputato all’età di 28 anni e portò giorno per
giorno la sua pietra allo sviluppo della vita politica democratica.
Provate, ora, a riportare a vista ai punti 8 e 9 del video-intervento di Napolitano alla
conferenza del 3 settembre 2011 a Cernobbio. Sono due affermazioni che già conoscete, essendo state riportate nella prima delle premesse funzionali. Rileggetevele.
Mi state dicendo di non farvi faticare e di riportale ancora. Va bene. Eccovele.
8 Il giorno in cui si aprisse una crisi di governo – e questo è sembrato che potesse accadere
alla fine dell’anno scorso, ma non accadde – io, secondo i miei poteri e secondo la prassi costituzionale, chiamerei a consulto tutte le forze politiche e mi assumerei la responsabilità anche
di fare una proposta per la soluzione della crisi.
9 La Costituzione mi da sempre, tra l’altro, la facoltà di incaricare la persona che debba
92
Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo
formare il nuovo governo: in quelle circostanze farei la mia parte.
Ora, tenendo presente tutto quanto è avvenuto da quell’agosto del 2011 ad oggi, collegate questi due punti qui sopra alle frasi riportate qui sotto.
Al Presidente non tocca dare mandati, per la formazione del governo, che siano vincolati a qualsiasi prescrizione se non quella voluta dall’art. 94 della Costituzione: un governo che abbia la
fiducia delle due Camere. Ad esso spetta darsi un programma, secondo le priorità e la prospettiva
temporale che riterrà opportune.
Bene, ora che vi siete rilette le frasi dei punti 8 e 9 e le avete collegate alle frasi del bisintervento qui sopra, che ne dite. Tutto fila liscio? Oppure state trovando contraddizioni che potrebbero trovare accoglienza nei luoghi distantissimi da quel linguaggio della
verità, perentoriamente annunciato? Domande difficili vero?
Allora andiamo su un argomento più facile. Affrontiamo la frase seguente, dove invita a non avere la puzza sotto il naso e ad iscriversi con coraggio alla confraternita dei
largheintese-isti, visto che nel resto d’Europa non sono così schizzinosi.
D’altronde, non c’è oggi in Europa nessun paese di consolidata tradizione democratica governato da un solo partito – nemmeno più il Regno Unito – operando dovunque governi formati
o almeno sostenuti da più partiti, tra loro affini o abitualmente distanti e perfino aspramente
concorrenti.
D’altra parte, quando mi avete chiesto di rimanere sapevate che vi avrei infilato la casacca dei largheintese-isti, dunque non fate gli gnorri, non fate finta di non aver capito
il messaggino meetingario riminese del 2011; preparatevi a sopportare (visto che sarà
difficile da supportare), in tempi brevi, un governo Letta-Monti-Napolitano
Ma tutte le forze politiche si prendano con realismo le loro responsabilità: era questa la posta
implicita dell’appello rivoltomi due giorni or sono.
Era, appunto, il 22 aprile 2013. Secondo voi quando è arrivata la chiamata del congiurato Enrico Letta per il previsto incarico?
Un mese? Ma no, una settimana. Tanto per non dare l’impressione che tutto fosse già
preordinato (ma qui si continua a pensar male, mi si potrebbe dire, sempre con la possibilità andreottiana di indovinarci, risponderei), per una settimana si lascia credere che
ci si sta indirizzando su Giuliano Amato, indicato dal Pdl, ma non molto gradito dal
Pd, del resto non è una riserva della repubblica? Poi, improvvisamente (?), dopo l’incontro con la delegazione del Pd, arriva la decisione. Dal Quirinale giunge a casa Letta
la convocazione per l’incarico che “per prassi” Letta accetta con riserva, ma non pare
sgradito al Pdl, dove un buon numero di congiurati sono in attesa. Del resto la frase
del presidente lo preannunciava in modo solare: era questa la posta implicita dell’appello
rivoltomi due giorni or sono.
I lunghi giorni di Catilina
93
Naturalmente Letta fa sapere di aver accolto l’incarico «con una sorpresa pari al senso
di responsabilità». Dobbiamo ritenere che tutto si stesse svolgendo secondo i piani previsti, dunque?
Poi, siccome è il tempo del verbalismo un tanto a tonnellata, volete che Letta dica che
il suo governo è fatto da (congiurati) largheintese-isti? È troppo scontato. Quindi, come
si dice in partitichese truppe di guerra? Ma truppe di pace no? Bene. Allora ma che
“larghe intese”; «Un governo di servizio al Paese. Definirei così l’idea con cui mi ripresenterò
alle Camere se scioglierò la riserva».
Un bel nome per un governo neonato, visibilmente “malaticcio”, che si vorrebbe battezzare, prima che muoia in modo prematuro.
Un bel nome per un governo-badante che si offre di accudire un popolo che fa difficoltà
a camminare fra le mine antiuomo dell’Unione Europea.
[Un governo badante che richiama l’abbiamo bisogno di loro, riferito ai non italiani che
aspirano a fare i badanti. Come quegli “accolti” badanti che ci tengono a far sapere che
non vogliono essere messi in regola (ma che Inps, che Inail, che dichiarazione dei redditi) perché ci guadagnano di più, e poi gli anziani in difficoltà, vedi come si affezionano,
mica vorrete che li abbandonino e se ne vadano a cercare altri anziani disposti, purché
non se ne vadano, a pagarli di più senza metterli in regola.
Salvo, molti anni dopo, ripensarci, tanto le leggi sono a loro favore, e chiedere di essere
messi in regola, con effetto retroattivo (le ferie, la malattia, il riposo settimanale). Sai
quanti soldi arrivano, li rassicurano negli uffici sindacali. Fa niente, se sono stati pagati
con cifre di molto superiori ai minimi previste dalle norme vigenti. Fa niente, se la cifra complessiva che hanno preso in nero è di molto superiore a quella che gli anziani
e malandati “datori di lavoro” avrebbero pagato mettendoli in regola. Non si riesce a
comprendere per quale motivo un comportamento simile non sia configurabile come
reato di truffa, e pure aggravata, considerando che spessissimo “il datore di lavoro” è un
(una) disabile, non in grado di badare a se stesso(a). Fare il mestiere di badante, in Italia,
conviene basta non essere italiani, dichiarare di essere stati sfruttati dalla persona bisognosa “datore di lavoro” e si viene super normativamente protetti. Gli avetebisognodinoiisti aspirano a diventare cittadini italici; e magari si ritroveranno ad avere più danari del
malato incurabile a cui hanno “badato”.]
Un governo badante è un lavoratore e l’anziano popolo italiano (152 anni non sono
pochi) è il “datore di lavoro”. E siccome il “datore di lavoro” ha, per principio sindacale,
sempre torto, che diamine, i sindacati saranno propensi a spolpare (impoverire) “l’anziano popolo datore di lavoro” e rimpolpare (arricchire) “il lavoratore governo badante”
che magari si è arricchito, ha arricchito i suoi familiari e ha aperto pure conti bancari
all’estero.
Avrete registrato che era il 22 aprile 2013 quando Giorgio Napolitano, alle camere riunite, ha motivato l’accettazione del suo bis-insediamento quirinalizio.
Registrate ora che era il 29 aprile 2013, quando Enrico Letta presentava, alla Camera
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Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo
dei Deputati, il programma del suo governo-badante largheintese-ista.
Stiamo osservando, da altra angolazione, quella settimana nella quale tutto si è messo a
correre, altro che le lungaggini di Bersani che dal febbraio elettorale continuava a girare
a vuoto. Una settimana. Accidenti, una velocità stupefacente, considerando le lungaggini della partitica. Converrete che al Quirinale avevano le idee chiare, come appare
anche da quell’intervento bis-presidenziale nelle pagine precedenti rappresentato.
Bene, allora vediamolo da vicino l’intervento di Enrico Letta.
Come si vede, viene sottolineata la “circostanza” che il suo discorso seguiva, di appena
una settimana, quello di insediamento di Giorgio Napolitano.
Né manca l’accenno alla rielezione che Giorgio Napolitano, spinto da più parti, è stato
costretto ad accettare dimostrando uno straordinario spirito di dedizione.
Appena una settimana fa il capo dello Stato, Giorgio Napolitano, pronunciava il suo discorso di
insediamento alla Presidenza della Repubblica. A lui consentitemi di rivolgere nuovamente un
sincero ringraziamento per lo straordinario spirito di dedizione alla nostra comunità nazionale
con il quale ha accettato la rielezione per il secondo mandato.
E volete che manchi l’accenno al (a noi perfettamente presente) linguaggio della verità
di riminaria, meetingaria, agostana, duemilaeundiciaria memoria?
Di fronte all’emergenza il presidente della Repubblica ci ha invitato a parlare il linguaggio della
verità. Ci ha chiesto di offrire in extremis, al Paese e al mondo, una testimonianza di volontà di
servizio e senso di responsabilità. Ci ha concesso un’ultima opportunità. L’opportunità di dimostrarci degni del ruolo che la Costituzione ci riconosce come rappresentanti della nazione.
A proposito i ministri del governo-badante Letta sono 18, esattamente come quelli del
governo-podestà Monti, che ha consegnato il bastoncino testimone della staffetta eurosfasciastati al governo-badante Letta-subentrante. (Il motivo dell’utilizzo del termine
“podestà” lo trovate nel libro a pagina 205 e nelle pagine da 208 a 211, dove viene ripreso un editoriale di Mario Monti, dal titolo anticipatorio del ruolo che sapeva di stare
per ricoprire, una volta costretto Berlusconi alle dimissioni da spreadite. L’editoriale “Il
podestà forestiero” è stato pubblicato sul Corriere della Sera il 7 agosto 2011, notare la
data vicina al meetingario riminario agostano duemilaeundiciario linguaggio della verità).
E Letta che, come dimostra la documentazione esposta nel libro, è fra gli “inventori” del
governo Monti, informa che il suo governo seguirà le orme di quello precedente perché
la situazione economica è ancora grave.
La prima verità è che la situazione economica dell’Italia è ancora grave. Abbiamo accumulato
in passato un debito pubblico che grava come una macina sulle generazioni presenti e future, e
che rischia di schiacciare per sempre le prospettive economiche del Paese.
E, siccome Letta vuole dimostrare di aver capito quale ruolo gli ha assegnato Napolitano, nel suo intervento di una settimana prima, riferendosi a quello che oggi appaI lunghi giorni di Catilina
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re come un accordo (sotterraneo?) sottoscritto proprio a Rimini nell’agosto del 2011;
provate ad indovinare di chi è la frase riportata qui sotto, informandovi che si trova a
pagina 218 del libro.
Perché è un fatto che ormai da settimane, da quando l’Italia e il suo debito pubblico sono stati
investiti da una dura crisi di fiducia e da pesanti scosse e rischi sui mercati finanziari, siamo immersi in un angoscioso presente, nell’ansia del giorno dopo, in un’obbligata e concitata ricerca
di risposte urgenti.
Aiutino? Non avete il libro sottomano perché il distributore non lo ha ancora consegnato all’edicola o alla libreria vicino casa? La frase qui sopra è di Giorgio Napolitano
ed è stata pronunciata a Rimini il 21 agosto 2011.
Le frasi qui sotto, invece, fanno parte dell’intervento di Letta del 29 aprile 2013, e dimostrano che il suo governo è semplicemente la continuazione catilinaria del governo
Monti.
Il grande sforzo di risanamento compiuto dal precedente Governo, guidato dal senatore Mario
Monti, è stato premessa della crescita in quanto la disciplina della finanza pubblica era e resta
indispensabile per contenere i tassi di interesse e sventare possibili attacchi finanziari.
Il mantenimento degli impegni presi con il Documento di Economia e Finanza è necessario ad
uscire, quanto prima, dalla procedura di disavanzo eccessivo e per recuperare margini di manovra
all’interno dei vincoli europei.
Tanto i populisti che ne sanno come stanno davvero le cose, mentre il Letta-Monti si
premura di informarli che si farà un viaggetto a Berlino, a Parigi e perfino a Bruxelles,
per far sapere che lui è un europeista convinto. Come se a Parigi, a Berlino, a Bruxelles
non sapessero che Enrico Letta è iscritto alla trilaterale, il cui obiettivo è la privatizzazione di tutte le risorse del pianeta. Vedi pagina 81-82 del mio libro:
L’obiettivo della Trilaterale? Privatizzare tutte le risorse del pianeta in poche mani, le loro, e nel
più breve tempo possibile.
E sapete chi c’era nel gruppo europeo della Commissione Trilaterale, durante il governo di Romano Prodi dal maggio 1996 all’ottobre 1998? Niente meno che Enrico Letta, sempre in compagnia di Mario Monti. E anche se nel sito trilaterale.it non sono linkabili i nomi dei componenti
europei della Trilaterale, nel sito trilateral.org l’elenco dicembre 2012, invece sì. E vi appaiono sia
Monti (Presidente del Consiglio italiano attuale) che Letta. (Quando i nomi chiudono i cerchi,
avrebbe detto Sherlock Holmes.)
Come se a Bruxelles, a Parigi, a Berlino non sapessero che Letta partecipa con grande convinzione alle riunioni del gruppo Bilderberg da dove, è notorio, si dipartono le
“pressioni secretate” nei confronti dei governi a cui è assegnato il compito di tenere sotto controllo i loro popoli, un po’ recalcitranti. Dunque, immaginate quanto abbia da fare
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Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo
Letta con i populisti italiani dei quali Monti, come sappiamo, non ne può più, perché,
addirittura, vorrebbero uscirsene fuori dall’Unione Europea e dall’Euro.
Ora siete in grado di fare la radiografia alla seguente frase, tratta dall’intervento di Enrico Letta, che stiamo analizzando.
È per questo che se otterrò la vostra fiducia, immediatamente visiterò in un unico viaggio Bruxelles, Berlino e Parigi per dare subito il segno che il nostro è un governo europeo ed europeista.
Nella frase che segue, invece, si fa riferimento ad una strana sparatoria davanti a Palazzo
Chigi. L’obiettivo erano i partitici, che stavano giurando al Quirinale e all’ospedale ci
sono andati i carabinieri di guardia.
Ma la disperazione, non è che rischia di trasformarsi in rabbia, si è già tramutata in
rabbia.
Una rabbia sorda come la terra attraversata dai rabbiosi infrasuoni che sono le urla dei
terremoti, inudibili dai partitici governanti PalazzoChigi-andanti.
Tanti cittadini e troppe famiglie sono in preda alla disperazione e allo scoramento. Pensiamo alla
vulnerabilità individuale che nel disagio e nel vuoto di speranze rischia, di tramutarsi in rabbia e in
conflitto, come ci ricorda lo sconcertante fatto avvenuto ieri stesso dinanzi a Palazzo Chigi.
E, non pago, poi che si inventa? Si inventa l’incredibile mischiamento fra coloro che
hanno il compito di proteggere le Istituzioni con il cosiddetto “terzo settore”. In questo
passaggio di Enrico Letta è perfettamente visibile come i catilinari annidati nel mondo
cattolico accettino di essere pagati con i trenta denari della sussidiarietà (vedi capitolo
I cattoli(compli)ci “seminatori di Monti” nel mio libro).
Vorrei a questo proposito rendere omaggio alle donne e agli uomini che ogni giorno consentono
al nostro paese di godere di questa solidarietà e che mantengono unito il nostro tessuto sociale:
i servitori dello Stato – quelli che rischiano la vita per proteggere le istituzioni, quelli che lavorano nella sanità per salvare delle vite, quelli che aiutano i nostri figli a crescere – ma anche gli
operatori del volontariato, della cooperazione, del terzo settore e della galassia del 5 per 1000. È
l’esempio che giornalmente viene dato da queste persone che ci fa riscoprire il valore del servizio
pubblico.
A Enrico Letta, che è fra gli inventori di Mario Monti e ai catilinari annidati nel
mondo cattolico, suoi complici, è dedicato questo passaggio che si trova nel mio libro a
pagina 246-247.
Quelli che si sono inventati Mario Monti, ben rappresentati in questo Forum (leggi Cdo), ritengono con questa invenzione di aver posto fine all’era del bipolarismo. Finalmente si può lavorare
per costruire un partito cattolico, vestito ben attillato, intorno al Messia Mario Monti, la negazione perfetta della dottrina sociale della Chiesa. La negazione del lavoro giovanile, come
dimostrano i dati Istat. La negazione dell’aiuto alle famiglie super tassate e derubate (non
solo) dall’Imu, a tutti gli effetti una super-tassa patrimoniale popolare.
I lunghi giorni di Catilina
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È triste dover constatare che, in questo forum, è ben viva e attiva la confraternita degli Afràcheteserve-isti. E volete che intorno a questo progetto, che la confraternita immagina vincente, preferenze alla mano, non ci sia già calca, per entrare nel salone delle udienze? Lo dimostra il frontale
della porta girevole di accesso, al salone dove si legge: discontinuità. È la parola d’ordine dei congiurati catilinari. Se la dignità delle istituzioni è rappresentata dal governo Monti, cari amici del
Forum è una ben misera dignità. Se semplificare l’assetto dello Stato, significa occuparlo con colpi
di mano da terzo settore sussidiario, non solo non ci siamo, ma ci si avvia sulla ripida discesa delle
privatizzazioni selvagge. Senza freni ci si può fare molto male.
Il costo della vita sta raggiungendo l’insostenibilità. In queste condizioni i milioni di
cittadini che, non andando a votare, si rifiutano di dare credibilità alla pianta parassita
chiamata partitica, si stanno orientando verso la ribellione. E non è richiamando il “mal
comune mezzo gaudio” che Letta (nei suoi passaggi richiamati qui sotto) e gli altri congiurati possono pensare di “sfangarsela”, di riuscire a cavarsela, con la pioggia di furberie
partitiche mentitorie, a cui sono abituati.
[E di comprove ne trovate un gran numero in questo scritto e nel mio libro, a pagina
341, spiego come funziona il giochino democratico dei voti validi, per legge, sganciati
dagli elettori. Assomiglia molto alla nostra costituzionale democratica sovranità che
dovrebbe appartenere al popolo … ma… leggetevi la frase, in fondo alla pagina 472, che
comincia così L’origine di questo abusato termine…]
Nessuno può considerarsi fino in fondo assolto dall’accusa di aver contaminato il confronto pubblico con gesti, parole, opere o omissioni. Con 11 milioni e mezzo di cittadini che hanno deciso
di non votare, alle elezioni dello scorso febbraio, quello dell’astensione è risultato essere il primo
partito. Non era mai accaduto prima: due milioni in più rispetto al 2008, quattro rispetto al
2006.
È però anche importante collegare il tema del finanziamento a quello della democrazia interna ai
partiti, attuando finalmente i principi sulla democrazia interna incorporati nell’art. 49 della Costituzione, stimolando la partecipazione dei militanti e garantendo la trasparenza delle decisioni
e delle procedure. Rivendico con forza l’importanza di un temporaneo «governo di servizio al
paese» tra forze sicuramente lontane e diverse tra loro.
Vi riporto l’art. 49. Letta dice che i principi della “democrazia” interna dei partiti sono
“incorporati” nella stessa formulazione del testo. Si osserverà che, invece, nel testo, il
“metodo democratico” è il mezzo che dovrebbe essere utilizzato per “determinare la
politica nazionale”.
Ormai, avendo presente quanto il termine “democratico” abbia una significanza scivolosa, possiamo solo tristemente osservare che, secondo Letta, i partiti, dalla nascita della
carta costituzionale, ancora non sanno cosa siano “i principi di democrazia interna”.
Ecco cosa è scritto nell’articolo richiamato da Letta: Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica
nazionale.
Si comprende perché è a Letta e agli altri catilinari congiurati che, a nome dei “populisti
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Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo
italiani”, sono indirizzate queste righe che trovate a pagina 32 del libro.
I populisti, invece, pare abbiano capito come funzionano le elezioni.
Controllati che i voti siano ben cotti nella pignatta elettorale, li scoli dall’acqua popolo che non
serve più; li metti nei silos parlamentarti e te li divori per tutta la durata del pranzo-legislatura.
Quando i silos sono vuoti, metti al fuoco un’altra pignatta elettorale, la riempi di acqua-popolo
e di schede elettorali, a cottura-elezione avvenuta, pronti con lo scolapasta parlamentare e avanti
per un altro pranzo-legislatura.
Domanda di un populista. Visto che la democrazia parlamentare si è rivelata un semplice scolapasta, questi autoproclamatisi governanti dei popoli, da chi lo avrebbero ricevuto questo mandato
di governare, da Dio o da Padron Mercato?
Quanto alla frase seguente, Enrico Letta dice di aver imparato da Nino Andreatta la
differenza (siamo sempre dentro le trappole del verbalismo) fra i termini “politica” e
“politiche”. Sarà. Per quanto ne cerchi, almeno quanto ne è rimasto, da centocinquantanni ad oggi, non vedo intorno né “politica”, né “politiche”, mentre di “partitica” e
“partitiche” è pieno il dire, il fare, il pensare di questi, se dicenti “governanti”, asserviti a
Padron Mercato.
Ho imparato da Nino Andreatta la fondamentale distinzione tra politica, intesa come
dialettica tra diverse fazioni, e politiche, intese come soluzioni concrete ai problemi
comuni. Se in questo momento ci concentriamo sulla politica, le nostre differenze ci
immobilizzeranno. Se invece ci concentriamo sulle politiche, allora potremo svolgere
un servizio al paese migliorando la vita dei cittadini.
I lunghi giorni di Catilina
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Manovre di palazzo
Cambiare il nome ad una via, certo che crea trambusto per chi vi abita, ma i palazzi sono sempre
quelli e la gente che ci abita pure.
Dunque che vuol dire aver cambiato nome alla via.
Queste frasi vengono da pagina 337 del mio libro e fanno parte del capitolo Il cui prodest delle stragi e dei processi ai partiti. Vedrete, o già avete visto, a cosa si riferisce quella
esemplificazione.
Nel contesto di questo scritto, cambiare nome alla via, sta per cambiare nome al governo, ma, come, cambiando nome alla via, i palazzi e chi vi abita sono sempre gli stessi;
così, cambiando nome al governo Monti, non sono stati cambiati gli obiettivi disastrosi
che si prefiggeva.
Insomma, Quirinale faro di un buio porto, gli stessi giri partitici inventori di Monti,
compresi i cattoli(compli)ci, hanno messo al governo il gemellino Letta.
Preso atto di questo “furbastro” copia-incolla, possiamo riprendere i ragionamenti sui
sotterranei collegamenti fra i veDro-isti e il governo dei congiurati.
Il 30 luglio 2013, mentre il governo dei congiurati sta seguendo, con pignoleria, le orme
di Monti, superato il muro burocratico con velocità da nave stellare, arriva in discussione presso la Suprema Corte di Cassazione il ricorso presentato dai legali di Berlusconi
contro il verdetto di condanna per frode fiscale, 4 anni di reclusione (meno tre per intervenuto indulto) e 5 anni di interdizione dei pubblici uffici, emesso dalla seconda sezione
della Corte d’Appello di Milano l’8 maggio 2013. Dopo sette ore di discussione, alle ore
19,40 del 1 agosto 2013, la Cassazione rigetta il ricorso e rinvia a nuova ridefinizione il
periodo di interdizione dei pubblici uffici. La corte d’Appello di Milano, il 19 ottobre
2013, ha ridefinito il periodo di interdizione a due anni. Gli avvocati di Berlusconi ricorreranno in Cassazione.
La Cassazione rigetta il ricorso e rinvia a nuova ridefinizione del periodo di interdizione dei pubblici uffici.
La Giunta per le Immunità del Senato dovrà ora decidere se Silvio Berlusconi, a seguito
della condanna definitiva, debba essere considerato decaduto dalla carica di Senatore.
Viene minacciata la fine del governo Letta se questo dovesse avvenire.
La fibrillazione dei rapporti dei partiti largheintese-isti è immaginabile anche da chi non
sente il bisogno di masticare partitica.
Questo è lo scenario generale, quando, il 16 settembre 2013, a Enrico Letta, ospite della
trasmissione Rai Porta a Porta, gli scappa detto:
Non possiamo essere io e il presidente della Repubblica gli unici parafulmini. Occorre da parte di
tutti una partecipazione alla responsabilità.
Con questa frase, Letta fa sapere ai veDro-isti pidiellini, che la situazione si sta logoranManovre di palazzo
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do e che loro, che hanno contribuito a costruire il governo Monti, debbono fare la loro
parte. Si debbono esporre. Del resto è stato ricostituito, il 17 agosto 2013, l’Intergruppo
Parlamentare per la Sussidiarietà guidato da Raffaello Vignali, dal 2003 presidente della Compagnia delle Opere fino alla sua elezione a deputato nel 2008.
Berlusconi senatore o no, debbono mantenere gli impegni a suo tempo presi (vedi intervento di Giorgio Napolitano a Rimini nel 2011).
Il 20 settembre 2013, Enrico Letta è al Quirinale. Le motivazioni ufficiali di questa
visita sono il viaggio negli USA e in Canada, la partecipazione all’Assemblea Generale
delle Nazioni Unite, la presentazione del Def (Decreto di Economia e Finanza) e della
legge di stabilità.
In realtà sono i motivi aggiuntivi i più importanti. Motivi che Enrico Letta diffonde
attraverso gli abitudinari comunicati stampa. Le Agenzie vengono informate che il
Premier ha ritenuto necessario spiegare al Presidente Napolitano le motivazioni delle
sue ultime dichiarazioni. Letta spiega a nuora perché suocera intenda che non ha intenzione di farsi logorare dai veti e dagli ultimatum incrociati fra Pd e Pdl.
Evidente il riferimento al “caso Berlusconi”.
Sempre le agenzie vengono informate, da fonti governative (eufemismo che sta per “da
Enrico Letta”), che il colloquio fra il presidente del Consiglio e il capo dello Stato si è
svolto in “un clima di piena e totale sintonia”.
Nel sito di Dagospia, il 27 settembre 2013, si raccontava che, la sera di venerdì 20
settembre, chi avesse avuto le sue finestre aperte su piazza della Minerva, a due passi
dal Pantheon, a Roma, avrebbe visto un gran movimento proprio di fronte alla casa
di Eugenio Scalfari, il fondatore de La Repubblica. Secondo il raccontatore (R.Z. per
Il Fatto Quotidiano), quella sera davanti a casa Scalfari sarebbero scesi, da automobili
super scortate, nientemeno che Giorgio Napolitano, Enrico Letta e Mario Draghi. Da
questo incontro sarebbe scaturito l’editoriale di Eugenio Scalfari, Napolitano-LettaDraghi: Lo scudo Italia-Europa, pubblicato su La Repubblica la domenica successiva 22
settembre.
Il governo Letta, come il governo Monti, non sono stati una scelta ma il prodotto necessario d’una situazione priva di alternative. Adesso ancora una volta siamo di fronte ad una crisi che rimette
in discussione e nega l’esistenza di quello stato di necessità; una crisi tutta nostra, innestata su una
crisi più generale che sconvolge da sette anni l’Occidente del mondo. Riusciranno i nostri eroi?
con quel che segue.
Il pregiudicato Silvio Berlusconi non si acconcia alla condanna che lo ha colpito e alle altre che
si profilano all’orizzonte. Risponde attaccando e lo fa con la sua consueta abilità. Si presenta ancora una volta come il perseguitato, l’agnello sacrificale contro il quale si accaniscono le forze del
male; promette benessere e libertà con gli stessi contenuti che da vent’anni ripete: meno tasse, più
investimenti, più consumi, più lavoro, più mercato e meno Stato.
Perciò, per ora, il governo Letta resti pure in vita ma ad una condizione: adotti quella politica.
I cinque ministri del Pdl restino pure ai loro posti ma impongano al riluttante presidente del
Consiglio il programma prescritto dal loro padrone. Se non lo faranno saranno sconfessati come
traditori; se tenteranno di fare quanto possono ma senza risultati, allora il governo cadrà e si an-
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Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo
drà a votare.
Quanto alle masse, esse mantengono la loro natura attraverso lo scorrere del tempo; nel caso
specifico continuano ad essere affascinate e sedotte dalla demagogia, dalle promesse sempre riaffermate e mai mantenute, delle quali è intessuta la storia d’Italia nei decenni e addirittura nei
secoli che stanno alle nostre spalle. Gli individui possono cambiare ed evolvere, le masse no; i loro
comportamenti sono ripetitivi e i voti incassati dal Pdl e da Grillo ne sono la prova.
Dell’editoriale di Scalari, che vi proporrei di leggere nella sua interezza, ho scelto i quattro passaggi qui sopra.
Il primo perché i governi Monti-Letta vengono considerati praticamente “un necessario accidente”. La base economico-filosofica dei governi costrittivi, senza la maschera
berlusconiana, che ormai non serve più. E si stanno organizzando i barconi per portare
in salvo i topini in fuga dalla nave Pidiellina che sta affondando. Perché si sa, gli animali
sono intelligenti e gli eventi li percepiscono prima dei furbissimi umani.
Solo che anche la nave Piddina, non pare navigare in buone acque, gentile dottor Eugenio Scalari. Anche da quella nave si intravedono topini che si stanno buttando in acqua
e cercano di raggiungere i piccoli isolotti dei paraggi. Chissà se quei barconi con sopra
i Pidiellini porteranno “in salvo” anche loro.
Qui ha preso il potere la straniera Europa e pretende la stampa convenientemente
amica-complice. Questo significa la convergenza dei tre personaggi in casa di un giornalista di idee progressiste.
Il secondo, perché Berlusconi viene considerato ormai fuori dallo scenario politico proprio per la condanna subita e le altre che stanno per giungere.
Il terzo, perché è il derivato del secondo. Viene rappresentato nel Pdl un prossimo gioco
al massacro nel quale i ministri vengono invitati a ribellarsi al loro padrone. È la chiave
interpretativa non solo dell’incontro che secondo Dagospia si è verificato, ma del manovrio in atto per cercare di spingere uno spezzone del Pdl nel calderone centrista. Quanto al quarto, secondo quell’argomentare non è che i votanti per i Pidiellini e Grillini
siano meno Massa di quelli che hanno votato per i Piddini o per i seguaci del Podestà
forestiero Mario Monti (pagina 208-212 del mio libro). E poi, definendo il popolo italiano Massa, evidentemente Eugenio Scalfari non ha la stessa visione compassionevole
di Giuseppe Manzoni. Una terra sempre soggetta alle invasioni di armate straniere.
Una terra soggetta al dominio dei galletti di turno, che strillano alle galline nel pollaio:
“Noi abbiamo più cultura e più denaro di voi, galline-volgo. Che da volgo deriva volgare,
(non divulgare). Dovreste ringraziarci che ci prendiamo la briga di governarvi”.
Dalla tragedia manzoniana Adelchi – Atto terzo – Scena nona – il coro.
E immaginate questo coro come di voci ventose che attraversano l’Italia intera e ogni
volta che nuvole vere si formano nei suoi cieli, lì si raccolgono e da lì si dipartono scendendo con la pioggia. Voci fatte di vento, voci ventose, commiserevoli, pietose, compassionevoli che accarezzano i volti delle genti che non riescono da secoli a diventare
popolo, e sono ogni volta, disperantemente, gli schiavi dei padroni di turno sempre fra
loro in guerra.
Manovre di palazzo
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E il premio sperato, promesso a quei forti, – sarebbe, o delusi, rivolger le sorti,
d’un volgo straniero por fine al dolor?
Tornate alle vostre superbe ruine, – all’opre imbelli dell’arse officine,
ai solchi bagnati di servo sudor.
Il forte si mesce col vinto nemico, – col novo signore rimane l’antico;
l’un popolo e l’altro sul collo vi sta.
Dividono i servi, dividon gli armenti: – si posano insieme sui campi cruenti
d’un volgo disperso che nome non ha.
Dobbiamo, dunque, presumere, nella logica dei fatti nei giorni seguenti intervenuti, che
il 20 settembre ci sia stata la disamina, dentro e fuori i palazzi istituzionali, di un “piano
operativo” da attivare a seconda di come si sarebbe comportato il Pdl, o lo stesso Berlusconi, di fronte alla certezza della sua decadenza da senatore.
Infatti, dopo innumerevoli, giornalieri, tira e molla, si comincia a parlare di dimissioni
di massa dei deputati e senatori Pdl, non appena la Giunta per le Immunità del Senato,
il 4 ottobre 2013, voterà a maggioranza la decadenza di Berlusconi.
Occasione da non perdere. Siccome si rischia che il parlamento non possa legiferare,
purtroppo non sarà possibile evitare l’aumento dell’Iva al 22% deciso dal gemello Monti. Così sarà servito il Pdl berlusconiano che si prenderà le colpe del mantenimento
dell’aumento dell’Iva che qui stavamo fingendo di evitare, (potremmo immaginarlo così
il pensierino segreto del Monti-Letta).
Infatti nell’articolo 11 del decreto legge del 28 giugno 2013, modificando il comma
1-ter dell’art. 40 del Decreto Legge 98 del 6 luglio 2011, veniva previsto che l’aumento
dell’Iva dal 21% al 22%, invece che dal 1 luglio 2013, concessione incredibile, sarebbe
partito tre mesi dopo, dal 1 ottobre 2013. Cioè un trucco per lasciare le cose come sono.
Il governo dei largheintese-isti sa bene come fregare il popolino. Invece che impedire
l’aumento dell’Iva, piddini e pidiellini al seguito dei Monti-ani a braccetto con i quirinalizi (inventati utilizzando una vecchia procura quirinalizia) semplicemente lo spostano
di tre mesi.
Questo stesso finto intervento sull’Iva avrebbe dovuto far comprendere che tipo di accordo ci fosse fra i largheintese-isti che si sono inventati Monti e il dopo-Monti.
E dove anche immaginare quanto il Premier fosse preoccupato per la stabilità del suo
governo, se dal 22 al 27 settembre parte, prima, per due giorni, in visita ufficiale a Toronto e Ottawa, in Canada, poi, dal 24 al 27, negli USA, a New York, intervenendo in
vari organismi internazionali facenti capo all’ONU, compreso un summit sulla crisi nel
Sahel. Non tralasciando, il 27 settembre, prima di ripartire per l’Italia, di partecipare ad
un evento di promozione per il milanese Expo 2015.
Tranquillità a tutta prova se, nel primo pomeriggio del 25 settembre, durante una sua
visita a Wall Street, raggiunto da Sky Tg24 che gli chiede delle fibrillazioni governative,
il Premier italiano risponde serafico: “Alla fine sono ottimista che la stabilità ci sarà”.
Una tranquillità basata sul buon rapporto con il suo vice, il co-veDro-ista Angelino
Alfano. È di tutta evidenza che, durante la sua permanenza nella terra occupata dagli
europei oltreatlantico, ha potuto contare anche sul suo vice, con il quale aveva giorna-
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Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo
lieri contatti telefonici.
Del resto, ritenendo di ritrovarsi fra i certissimi che non sta per giungere un tranquillo
weekend di paura (il titolo di un noto film del 1972 – il decennio in cui hanno messo
le radici i futuri deviatori – dove i protagonisti si dovranno misurare con la natura che,
allagata dalla costruzione di una diga, potrebbe rivelare la verità ancora sconosciuta su
chi ha ucciso chi), è tranquillissimo anche Giorgio Napolitano. Infatti il Presidente non
riterrà necessario mettere in discussione la sua visita a Napoli, programmata dal giugno
2013. Si tratta delle celebrazioni delle 4 giornate di Napoli, che si terranno dal 25 al 28
settembre 2013, giornata nella quale è previsto il suo arrivo a Napoli.
Tutto appare perfettamente e da lungo tempo programmato. Vediamo perché.
Intorno alle 17 del pomeriggio del 25 settembre comincia a diffondersi un tam tam
proveniente dal Pdl. Si vocifera che durante la riunione congiunta dei gruppi parlamentari pidiellini, prevista nella serata, verrà fatta una proposta spiazzante. All’atto
della votazione a maggioranza sulla decadenza di Berlusconi verranno presentate le dimissioni di tutti i parlamentari Pdl, l’intera delegazione ministeriale compresa. Nessun
parlamentare Pdl parteciperà più ai lavori parlamentari. Si ritiene che in questo modo il
Presidente della Repubblica sarà costretto a sciogliere le Camere. Nel corso della stessa
riunione, la sera del 25 settembre si dà l’avvio alla raccolta delle dimissioni di tutti i
parlamentari. Le dimissioni riguardanti la delegazione ministeriale verranno valutate in
altra ravvicinata riunione. Nello sfondo di questa decisione è anche visibile la pressione
nei confronti del Capo dello Stato, perché valuti la possibilità di concedere la grazia a
Silvio Berlusconi. Ma è una strada non percorribile, se non altro per la circostanza che
vi sono altri procedimenti in corso nei confronti del leader del Pdl.
Nella serata del 26 settembre, 2013, dagli Stati Uniti Enrico Letta, ben informato, dal
palazzo delle Nazioni Unite dichiara che la decisione presa dal gruppo parlamentare
Pdl è: “Un’umiliazione per l’Italia”.
Nella mattinata del 26 settembre il Presidente Napolitano era atteso a Palazzo Giustiniani, dove si teneva un convegno promosso dalla Fondazione Alcide De Gasperi.
È stata la figlia Maria Romana De Gasperi, a dare lettura della missiva con la quale il
Presidente motivava la sua assenza.
… avrei voluto essere lì con voi e in particolare anche con il presidente Pottering, se non si fosse
verificato ieri sera un fatto politico improvviso e istituzionalmente inquietante cui debbo dedicare
oggi la mia attenzione. Sono sicuro che comprenderà…
In quelle ore Giorgio Napolitano sta predisponendo con i suoi collaboratori la nota
che nella metà mattinata del 25 settembre 2013, verrà diramata dal Quirinale. La nota
ufficiale, appunto, è relativa alla questione delle dimissioni dei parlamentari Pdl, pur
non esistendo un documento ufficiale portato a conoscenza delle tre massime istituzioni della Repubblica. In questa pubblica dichiarazione, il Capo dello Stato definisce
inquietante lo stesso annuncio delle dimissioni individuali di tutti gli eletti del Pdl, il cui
effetto sarebbe quello di colpire alla radice la funzionalità delle Camere. Inoltre ritiene non
meno inquietante il proposito di compiere tale gesto al fine di esercitare un’estrema pressione
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sul Capo dello Stato per il più ravvicinato scioglimento delle camere.
Nella nota si rileva che la condanna subita da Berlusconi non può essere considerata
dai parlamentari Pdl un’azione eversiva o un colpo di Stato. Né si può paventare una
impossibile interferenza del Capo dello Stato o del Primo Ministro in decisioni indipendenti dell’autorità giudiziaria.
Il Primo Ministro è ancora all’estero e la nota diramata dal Quirinale, in assenza di un
qualunque documento ufficiale, è di fatto una risposta ai rumors, che non sono esattamente eventi considerabili dalle Istituzioni.
Comunque questo intervento è perfettamente inseribile nello scenario che stiamo osservando dalla metà di settembre in poi. Tanto è vero che, è appena trascorsa un’ora
dalla nota quirinalizia, un senatore ligure del Pdl, Augusto Minzolini, su Twitter lancia
una replica alla nota quirinalizia:
Per Napolitano è inquietante la riunione del Pdl? No, sono inquietanti gli interventi di Napolitano nella vita parlamentare e dei partiti. Non siamo una repubblica presidenziale.
In quel 26 settembre, l’aria attorno al Governo e al Quirinale non è esattamente idilliaca, rasserenante.
Durante la conferenza stampa tenuta nella tarda serata del 26 settembre, in una sala
della Italian Academy presso la Columbia University, a New York, ai giornalisti che gli
fanno domande relative alle incertezze che si prospettano al suo governo a seguito delle
annunciate dimissioni di massa dei Pidiellini, Letta, rassicurante afferma:
Supereremo ogni ostacolo, la stabilità è un valore necessario.
Quel supereremo ogni ostacolo, ripetuto in ogni occasione utile, sappiamo che si riferisce
al gruppo degli NML-isti, che nelle pagine precedenti abbiamo identificato e che, in
quelle che seguono, vedremo uscire “forzosamente” allo scoperto.
Sempre in questa conferenza stampa, Enrico Letta fa sapere che ha capito il senso
dell’intervento di Giorgio Napolitano; ha capito che si sta esponendo a sostegno della
stabilità del governo largheintese-ista.
Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano si conferma come punto di riferimento centrale per il nostro paese, una guida ferma. Condivido le sue parole dalla prima all’ultima.
Domani appena atterrato a Roma mi reco da Napolitano per un chiarimento su come andare
avanti… Serve un chiarimento nel governo e in parlamento: voglio decidere insieme a Napolitano le modalità. Voglio che tutto accada davanti ai cittadini.
Mostra comprensione per il disagio in cui si dibattano i ministri pidiellini del gruppo
NML, alle prese con il caso giudiziario di Berlusconi. Sul sommovimento in corso Letta è certamente informato, ora per ora, anche dal suo vice presidente Angelino Alfano.
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Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo
La comprensione per un certo momento di disagio non vuol dire che condivido chi dice che c’è un
golpe. Non c’è nessun colpo di Stato, è una parola fuori luogo. L’Italia è uno stato di diritto.
È dal 27 settembre 2013, che tutto pare avvitarsi, così almeno appare dall’esterno.
Infatti, in quella stessa giornata, con una intervista rilasciata a Daria Gorodisky per il
Corriere della Sera, entra in campo, quasi a gamba tesa, il senatore e ministro della Difesa Mario Mauro. Il ministro è nel conto Scelta Civica di Mario Monti e quindi fa parte
del gruppo NML.
In aprile ci siamo tutti impegnati davanti al Presidente Napolitano ad assumerci la responsabilità
di rimuovere insieme il macigno enorme che si trova sulla strada dell’Italia. Ora il Pdl rinnega
quell’impegno e mette a rischio la possibilità di eliminare quel macigno: si comporta più come
una corte che come una forza desiderosa di contribuire alla salute del Paese.
In questa frase che si richiama all’impegno preso davanti al Presidente Napolitano, non
sbaglierete se vi ritroverete a fare riferimento al richiamato “linguaggio della verità”
nel Meeting di Rimini nell’agosto 2011. Da questa frase comprenderete, in aggiunta,
che Mario Mauro non è sconosciuto nella Compagnia delle Opere e in Comunione e
Liberazione, che sono il perno sostenitore sia dell’operazione Mario Monti che della
gemellare operazione Enrico Letta.
Se qualcuno cercherà di far saltare il governo, io farò di tutto per trovare ancora una maggioranza, con quelle persone libere e consapevoli che la nostra Costituzione non prevede vincolo di
mandato.
Mario Mauro dice io farò di tutto, non fa nessun collegamento a Scelta Civica che ufficialmente dovrebbe rappresentare nel suo ruolo di ministro della Difesa. Anzi, prende
le distanze da Scelta Civica (anche se, molto poi, vista la mala parata si troverà costretto a dichiarare che ne fa parte) sottolineando che la nostra Costituzione non prevede
vincolo di mandato, dunque sta parlando come componente effettivo e cattoli(compli)
ce del gruppo NML. Pur tenendo presente quello che sancisce l’articolo 67 della Costituzione: Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato. [Quando serve si usa, quando non serve, dall’articolo
66 (ineleggibilità e incompatibilità) si salta al 68 (le autorizzazioni delle iniziative della
magistratura nei confronti del singolo parlamentare); soprattutto si salta all’articolo 69:
I membri del Parlamento ricevono un’indennità stabilita dalla legge.]
Questa posizione sostanzialmente condivisa con una nota dagli 11 senatori di Scelta
Civica, che hanno voluto far sapere con chi stanno nell’avvio del gioco al massacro, cioè
che anche loro stanno nel gruppo NML, ha provocato le dimissioni di Mario Monti
da presidente, e la sua fuoriuscita dal gruppo senatoriale per aderire al Gruppo Misto.
Mentre sto cercando questo comunicato, approfittiamo per osservare il comportamento
di Mario Monti, mentre si ritiene giubilato da quelli che riteneva i suoi collaboratori.
Saltiamo al 19 ottobre 2013, sfogliamo il Corriere della Sera e troviamo che Mario
Manovre di palazzo
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Monti ha rilasciato un’intervista a Aldo Cazzullo.
Noterete con me che il personaggio conferma la sua vena vendicativa che avevamo già
visto quando il suo governo fu giubilato (mandato in pensione) da Berlusconi; lo attaccava ad ogni occasione utile (vedi a pagina 61 del libro). Alla richiesta del perché delle
sue dimissioni, prima se la prende con il senatore Pier Ferdinando Casini e il ministro
Mario Mauro, più altri improbabili compagni di viaggio, poi si addentra nel velenoso …
furono tra coloro che più mi sollecitarono, un anno fa, perché accettassi di guidare una nuova
formazione politica, intitolata all’agenda Monti; per, poi, cantarsela sul vero ruolo che
aveva Scelta Civica, dentro il gruppo NML e cioè …dare più forza al presidente del Consiglio affinché tenga saldamente il timone, senza soggiacere alle pressioni elettoralistiche dei
partiti più grandi. Alla faccia delle Larghe Intese, insomma, il vendicativo Monti rende
noto quali siano le reali intenzioni di Mauro e Casini: dissolvere Scelta Civica …in un
nuovo soggetto “moderato”. Ma non ce la faranno, la maggioranza di Scelta Civica sta con
me e avremo ragione di questa piccola e insidiosa sedizione, fa sapere Monti.
Visto che ancora non esce fuori questo comunicato, approfittiamo per dimostrare quanto sia conviviale con la menzogna lo sfascia-populisti trilateralista (vedi pagina 81-82
del libro). Era accaduto che, in piena campagna elettorale, intervistato da Daria Bignardi nella puntata di Invasioni barbariche andata in onda, su La7, mercoledì 6 febbraio
2013, Mario Monti si era spacciato per amico degli animali. Notevole per un trilateralista, che, per principio costituente, non può essere amico degli umani, come sa perfettamente il terzo che osserva.
Siccome Berlusconi domenica scorsa si è fatto fotografare con un cagnolino, lei sarebbe disposto
ad adottare un cucciolo che noi le regaliamo?, ha esordito la conduttrice, in vena di provocazioni elettorali, mentre veniva messo nelle braccia di Monti il bianchissimo cucciolo
Empy.
Sorrisi, carezze, bacini. Empy fu televisivamente adottato. Vuoi mettere a tre settimane
dalle elezioni politiche, con il via libera di Napolitano di farle da Premier, come faceva
trendy? Con i milioni di amici degli animali in Italia che magari stavano seguendo la
scena in diretta…
Finalmente Monti ha mostrato il suo lato nascosto. Chi lo avrebbe immaginato quel
lato nascosto così simpaticamente sorridente, avranno pensato in molti quella sera.
Ebbene. Invitato da Lucia Annunziata nella sua trasmissione In mezz’ora, su Rai3, nella
puntata di domenica 20 ottobre 2013, Monti ha smentito la sua immagine sorridente
di amico degli animali. Quella sera del 6 febbraio scorso, infatti, Monti, negli ultimi due
minuti dell’intervista, ha detto: chi vi parla … in uno studio televisivo si è trovato tra le
braccia di sorpresa, in modo poco corretto, ad opera di una sua collega – e collega è dire molto
– un cagnolino.
(Mentre assicuro che gli scorpioni non stanno gradendo questo innaturale accostamento, con chi il veleno lo sprigiona solo parlando) Aggiungiamo che, per non smentire il
latino in cauda venenium (nella coda il veleno), il Monti vendicativo ha voluto mostrarsi
scorpione sprizzando veleno dal pungiglione della coda infilata nella carne dei giornalisti rompieccetera.
Comprensibilissima la reazione Sono senza parole della conduttrice di Invasioni barbari-
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Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo
che, accusata di scorrettezza, dopo queste “rivelazioni anti Empy”.
Allora facciamo così. Appena potete, cercate nel web i due filmati di cui stiamo parlando; quindi, dopo averli fatti scorrere sul vostro monitor, fatevi questa domanda: dove sta
platealmente mentendo Mario Monti?
Mentre state affrontando questo dilemma, vi debbo informare che nel frattempo è arrivato il comunicato che stavo cercando.
Vediamolo allora questo comunicato spedito alle agenzie di stampa (preparato per lasciar credere che fosse stato predisposto da una terza persona, vedi la frase-firma così si
esprimono i senatori…). Un comunicato di sostegno alla Legge di Stabilità del governo
Letta e, di fatto (motivo della incavolatura Montiana), di affiancamento non solo a Mario Mauro, Gianpiero D’Alia, Enzo Moavero Milanesi, tutti e tre di SC (Scelta Civica),
anche a Anna Maria Cancellieri che è Indipendente. Ministri, guarda caso, tutti ben
posizionati nel gruppo governativo catilinario NML.
“La legge di stabilità predisposta dal Governo è un primo passo nella giusta direzione. Ce ne
aspettiamo altri, coraggiosi e ambiziosi, nelle settimane e nei mesi prossimi, per avviare un pacchetto di riforme che liberino maggiori risorse da collocare sul sostegno alle imprese e al lavoro.
Abbiamo apprezzato il lavoro svolto dai ministri Mauro, D’Alia, Moavero Milanesi e Cancellieri,
che hanno assicurato un apporto qualificato e coerente con le nostre proposte.”
Così si esprimono i senatori del gruppo ‘Scelta Civica per l’Italia’ Albertini, Casini, De Poli, Di
Biagio, Di Maggio, D’Onghia, Marino, Merloni, Olivero, Romano, Rossi, aggiungendo che non
faranno mancare “il massimo contributo per migliorarne l’efficacia, dando il convinto sostegno al
premier Letta e al Governo durante l’iter parlamentare della manovra, di fronte ai tanti distinguo
e al prevalere in molti dell’opportunismo per giochi interni alle forze politiche”.
L’evento scatenante è stato l’aver appurato “de visu” che la “vocina”, che gli era arrivata
all’orecchio, raccontava il vero. Era vero che il 16 ottobre, Silvio Berlusconi e Angelino
Alfano si stavano intrattenendo a pranzo col ministro della Difesa, presso il Circolo
ufficiali delle Forze armate in via XX Settembre a Roma.
Argomento dell’incontro? Proviamo ad immaginarlo alla andreottiana? Manovre antidecadenza da senatore, come salire sul tram normativa-indulto che sta per passare dalle
Camere, crollo governo Letta (dal balcone nottetempo privato del parapetto di rame) e
liste elettorali “popolari” e “cattoliche”, prossime venture. Berlusconi dovrà pure prepararsi al dopo-Berlusconi. Mauro avrà richiamato alla comune memoria il Movimento
Popolare, a suo tempo affidato a Roberto Formigoni. Chissà, magari ci abbiamo azzeccato? Ma no! Che vai mai a pensare!
Quanto avvenuto, piuttosto, potrebbe dare alta credibilità alle voci che si rincorrevano
sulla scelta di Mauro a Ministro della Difesa. Dalla caldaia quirinalizia alla lunga tortuosa serpentina Monti-Letta, mentre si raffreddava il vapore, cominciavano a mostrarsi i risultati della distillazione largheintese-ista.
Si raccontava che Mario Mauro fosse stato indicato da Napolitano per accontentare
Comunione e Liberazione che si era già dimostrata funzionale, appoggiando il governo
quirinalizio Monti, al programma costitutivo di un nuovo gruppo partitico, in vista dello sfascio imminente del Pdl e di una spaccatura verticale del Pd. Insomma. Prendiamo
Manovre di palazzo
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quello che passa il convento (anche quello berlusconiano) e usiamolo, poi si vedrà.
Con la frase io farò di tutto per trovare ancora una maggioranza, e con i suoi effetti
dirompenti (il castello di carte comincia ad ondeggiare), appare perfettamente visibile
quale sia la determinazione dei catilinari governativi, che ormai ritengono di utilizzare
Berlusconi fino a che è utile, e di poter fare a meno di Monti (e fra poco di Letta).
I congiurati sono pronti ad aprire un gioco finale al massacro. O adesso o mai più,
evidentemente ritengono di essere, come Catilina, che si preparava alla battaglia finale, lontano da Roma, nelle pianure tosco-emiliane. La battaglia finale che i catilinari,
sperano di vincere invece è a Roma, nei palazzi del potere, saltando i tempi elettorali.
È qui che si stanno giocando le sorti di uno scontro che qualcuno ritiene di poter mantenere sotto controllo.
Talmente sotto controllo che tutti gli impegni previsti vengono mantenuti.
Al mattino, intorno alle 10,30, del 27 settembre Giorgio Napolitano è alla Università Bocconi di Milano, dove è atteso un suo discorso in ricordo dell’economista Luigi
Spaventa. Al termine di questa manifestazione farà ritorno a Roma per incontrarsi
con Enrico Letta che intorno a mezzogiorno è atterrato a Ciampino, di ritorno dagli
Stati Uniti. A Palazzo Chigi, in attesa che Napolitano rientri da Milano, Enrico Letta
pranza con Angelino Alfano, Maurizio Lupi e Dario Franceschini. Basta Ping Pong. O
dentro o fuori. Prendere o lasciare. Sono le frasi che sfiorano le orecchie dei commensali
di Letta in quel venerdì 27 settembre. E Angelino Alfano che, appena finito il pranzo,
va a Palazzo Grazioli, in via del Plebiscito, per incontrarsi con Silvio Berlusconi, quelle
frasi le avrà ripetute per mostrare che aria tirasse a Palazzo Chigi.
Intanto giunge a Palazzo Chigi anche Gianni Letta, evidentemente informato sulle
larghe intese a rischio, intrattenendosi con il nipote per circa mezz’ora. Subito dopo
Enrico Letta si avvia verso il Quirinale, dove lo attende Giorgio Napolitano. l’incontro
dura circa un’ora e mezza.
La decisione presa e dal Quirinale condivisa? Il governo si presenterà alle camere lunedì
30 settembre o martedì 1 ottobre per chiedere la fiducia. Se la fiducia dovesse mancare,
avanti per un governo salva-Italia con chi ci sta.
Così non si può andare avanti, o il chiarimento è inequivoco o io non ho problemi a dimettermi,
anzi se non ci fosse questa legge elettorale l’avrei già fatto.
Una giornata pesante, da osservare anche attraverso le notti romane di piazza della Minerva. Letta, ha fatto appena in tempo a tornare dagli USA, ha ancora una volta fatto
sapere che Così non si può andare avanti, che il 28 settembre, da Arcore vengono raggiunti telefonicamente i ministri largheintese-isti Pidiellini perché si dimettano. Il Pdl
ha aperto la crisi. Solo che, il segretario Alfano lo apprende ricevendo una telefonata, e
la voce non era quella di Berlusconi…
Prima di esaminare cosa è accaduto saltiamo al giorno dopo. Serve.
Il 29 settembre, nel giorno in cui compie 77 anni, Berlusconi si sta rivolgendo ai suoi
“leali” sostenitori (manco fossimo in Siria) riuniti nell’hotel Vesuvio di Napoli. Nella
città partenopea si sta battezzando il rinato partito di Forza Italia.
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Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo
Il presidente del Pdl, in collegamento telefonico da Arcore, in viva voce udito dai “lealisti” convenuti nell’hotel Vesuvio sta dicendo:
“Grazie per gli auguri di compleanno. Non sono stanco di combattere. Questa notte dopo 59 notti che non dormivo e che lavoravo fino alle 5, a volte guardando il soffitto, questa notte ho dormito 10 ore a fila. Sono pronto a riprendere la battaglia. È un frangente difficile per il nostro paese
perché questi signori della sinistra hanno il vizio di ribaltare la verità a proprio vantaggio”.
Apprendiamo, dunque, per quale motivo, finalmente, dopo 59 giorni, Berlusconi ha
dormito 10 ore di fila, il sonno che prende quelli che si sono tolti un peso dallo stomaco.
E magari era per i troppo stretti mutandoni del nonno largheintese-ista, che il giorno
prima tutti i ministri largheintese-isti pidiellini del governo sono stati raggiunti per telefono perché rassegnassero le dimissioni, aprendo così la crisi di Governo.
Un “gesto folle” dice Enrico Letta. Un “suicidio” si sussurra dalle fila del Pdl.
Già dalla mattinata del 28 di settembre si parlava di rottura e di ritorno alle elezioni.
È Francesco Verderame del Corsera che in un articolo del 29 settembre ci racconta cosa
è avvenuto in quel di Arcore.
Siamo nella villa berlusconiana di Arcore. L’avvocato Niccolò Ghedini, deputato, alle
16,00 chiama Angelino Alfano e gli comunica che Berlusconi ha deciso di ritirare la
delegazione Pdl «Apriamo la crisi, Angelino. Ho da leggerti il comunicato che voi ministri
dovrete fare vostro». Il segretario del Pdl sta ricevendo l’ordine di dimissioni da persona
diversa dal presidente del Pdl, l’imbarazzo di Alfano doveva essere elevatissimo. Per di
più il comunicato, predisposto da Daniele Capezzone, è durissimo e Alfano, e gli altri
ministri pidiellini, non può farlo loro. Nell’arco di un’ora il comunicato sarà ristilato, se
ne occuperà Sandro Bondi.
È l’anniversario delle 4 giornate di Napoli, il presidente della Repubblica si trova e Napoli e riceve una telefonata da Enrico Letta che lo informa dell’invito di Berlusconi a
rassegnare le dimissioni ai ministri del Pdl. Vicino a Letta c’è anche Angelino Alfano
che si intrattiene al telefono con il Presidente della Repubblica.
Il quale non rientra “precipitosamente” a Roma. Evidentemente sa qualcosa che non lo
induce ad allarmarsi. In fin dei conti, con quelle dimissioni si dovrebbe essere aperta
la prospettiva delle elezioni anticipate. Invece non di elezioni anticipate si parla nelle
segrete stanze, ma di una ri-fiducia di Letta o della nascita “inattesa” del Letta Bis.
Ci sono già i nomi certi, i numeri certi. Addirittura non ci sarà bisogno di ricorrere ai
quattro nuovi senatori a vita nominati il 30 agosto da Giorgio Napolitano, l’architetto
Renzo Piano, il maestro Claudio Abbado, la professoressa Elena Cattaneo e il professor
Carlo Rubbia potranno fare compagnia a Mario Monti, senza entrare in guerra, per tenere in piedi Letta. Evidentemente i 4 senatori a vita sono stati inseriti (loro malgrado?)
nel gruppo NML.
Allora riepiloghiamo. Alfano avverte Letta di quanto sta accadendo. Subito dopo Letta
comunica al Capo dello Stato che Berlusconi ha deciso di aprire la crisi. La comunicazione è telefonica, perché il Capo dello Stato si trova a Napoli per il 70° anniversario
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delle 4 giornate di Napoli. Giorgio Napolitano parla al telefono sia con Letta che con
Alfano.
Angelino Alfano contatta telefonicamente gli altri ministri per informarli di quanto sta
avvenendo. Nunzia De Girolamo, Beatrice Lorenzin, Gaetano Quagliariello, Maurizio
Lupi, uno dopo l’altro vengono avvertiti.
Immaginabile quanto ognuno di loro rimanga di stucco per questa decisione improvvisa e senza nessuna riunione che la discutesse e la rimettesse al parere dei presenti. Come
reagiscono i ministri deministrati?
Intanto, nella serata del 28 settembre, presentano le dimissioni “irrevocabili” ad Enrico
Letta che lo rende noto il 30 settembre 2013 nel sito del governo.
La presidenza del Consiglio dei Ministri rende noto che sono pervenute le dimissioni irrevocabili dei ministri Angelino Alfano, Nunzia De Girolamo, Beatrice Lorenzin, Maurizio Lupi,
Gaetano Quagliariello.
Quindi, i ministri pidiellini firmano una nota congiunta che viene trasmessa alle agenzie.
A seguito dell’invito del presidente Berlusconi a dimetterci dal governo per le conclusioni alle
quali il consiglio dei ministri di ieri è giunto sui temi della giustizia e del fisco, non riteniamo vi
siano più le condizioni per restare nell’esecutivo dove abbiamo fin qui lavorato nell’interesse del
Paese e nel rispetto del programma del Popolo della Libertà. Rassegniamo le nostre dimissioni
anche al fine di consentire, sin dai prossimi giorni, un più schietto confronto e una più chiara
assunzione di responsabilità.
Da quel momento si assiste ad un giro di valzer che le belle diciottenni di classe farebbero fatica a riprodurre nel ballo delle debuttanti dell’imperatore nel salone delle feste
del Quirinale.
Definita la parte istituzionale, rimane aperta quella partitica. In quell’ambito i ministri
fanno sapere cosa pensano della situazione che si sta creando.
Maurizio Lupi
Così non va. Forza Italia non può essere un movimento estremista in mano a degli estremisti.
Noi vogliamo stare con Berlusconi, con la sua storia e con le sue idee, ma non con i suoi cattivi
consiglieri. Si può lavorare per il bene del Paese essendo alternativi alla sinistra e rifiutando gli
estremisti. Angelino Alfano si metta in gioco per questa buona e giusta battaglia.
Gaetano Quagliariello
Io non rinnego nulla della mia storia politica, non rinnego la mia collocazione nel centrodestra,
sono fiero dell’amicizia con Berlusconi, gli sono riconoscente e resto accanto a lui. Ma se la nuova
Forza Italia è quella che si profila in questi giorni, non è la mia Forza Italia.
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Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo
Beatrice Lorenzin
Accetto senza indugio la richiesta di dimissioni fatta durante un pranzo a cui non partecipavano
né i presidenti dei gruppi parlamentari, né il segretario del partito, per coerenza politica nei confronti di chi mi ha indicato come Ministro di questo Governo. Continuerò ad esprimere le mie
idee e i miei principi nel campo del centrodestra, ma non in questa Forza Italia.
Angelino Alfano
Se prevarranno intendimenti estremistici, il sogno di una nuova Fi non si avvererà. So bene che
quelle posizioni sono interpretate da nuovi berlusconiani ma, se sono quelli i nuovi berlusconiani,
io sarò diversamente berlusconiano.
Nunzia De Girolamo
In attesa di un chiarimento interno, che auspico immediato e definitivo, e confermando la mia
assoluta lealtà al presidente Berlusconi dichiaro sin d’ora che intendo proseguire sulla strada di
quei valori, non riconoscendomi in strappi estremi ed estranei alla cultura e alla sensibilità dei
nostri elettori e sostenitori.
Dopo l’incontro fra Enrico Letta e Giorgio Napolitano, viene deciso di rinviare il governo alle Camere, e lì venga definita l’esistenza di una maggioranza. Dal Quirinale,
il 29 settembre, viene diffusa una nota che tiene conto delle dichiarazioni dei ministri
dimissionari.
“Il succedersi nella giornata odierna di dichiarazioni pubbliche politicamente significative dei ministri dimissionari, di vari esponenti del Pdl e dello stesso presidente Berlusconi ha determinato
un clima di evidente incertezza circa gli effettivi possibili sviluppi della situazione politica”.
Letta è certo che otterrà la fiducia, anche se Berlusconi dovesse negargliela. Il piano sta
andando a conclusione. Il gruppo NML è riuscito nel suo intento, almeno per ora non
ci sarà bisogno del Letta Bis.
Le dimissioni “irrevocabili” dei ministri non sono state accettate dal Presidente del
Consiglio. Berlusconi si trova sotto pressione. Il rischio che il Pdl subisca una spaccatura o vada in frantumi è altissimo.
Durante la seduta del 1 ottobre 2013, in Senato Gaetano Quagliariello, platealmente,
se ne gira con dei fogli nei quali sono scritti 23 nomi di senatori pronti a votare per la
fiducia, praticamente li ha infilati nel NML.
Meritandosi un “grande” da parte di Letta che soddisfatto registra la sua giravolta, Berlusconi, per “salvare il partito” ci ripensa e vota la fiducia per il Governo Letta.
Can che abbia non morde, dice un detto popolare. Silvio Berlusconi, fino ad ora, nonostante la giravolta, non ha ancora abbaiato. È lì nell’ombra del campo che sta osservando
i ladri di polli nel suo pollaio.
Manovre di palazzo
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Intanto la popolazione si ritrova con i prezzi aumentati perché dal 1 ottobre 2013 è
aumentata l’Iva al 22%.
Non solo. La legge di stabilità è letteralmente un contenitore di trappole da cui fuoriescono nuove sigle che significano nuove tasse. Sono cocci di vetro fatti passare per
diamanti. Tanto, vuoi che il popolino se ne accorga.
Si è vero, vi succhieremo almeno da 1.000 (mille) a 3.000 (tremila) euro all’anno, ma
non potete lamentarvi. Abbiamo allargato la borsa, sapendo quanto vi costerà di più la
spesa dopo l’aumento dell’IVA al 22%, chi lavora si troverà con un aumento dei salari
annuo, da un minimo di 96 Euro a un massimo di 180 Euro (al mese, da 8 a 15 euro di
aumento).
Dopo questa graziosa concessione della confraternita dei quantosiamobuoninoi-isti,
scommetto che non vedete l’ora di abbracciarli tutti questi della confraternita, e rimprovererete aspramente chi, intorno al riservato desco delle vostre famiglie, invece, li
vorrebbe prendere a calci nel sedere.
Prima di avventurarci nei gineprai dell’instabile stabilità, conviene ricordare al lettore
che dal 1 gennaio 2013, a causa dell’articolo 14 del decreto legge 201, del 6 dicembre
2011, dal titolo emblematico Sviluppo ed equità, in pieno governo salvaItalia del podestà forestiero Mario Monti, è stato istituito il Tributo comunale sui rifiuti e sui servizi
(TARES). Con la legge n. 35 dell’8 aprile 2013, articolo 10, comma 2, graziosamente,
il podestà forestiero, prima di consegnare le chiavi della prigione Italia ad Enrico Letta,
ha concesso ai comuni, per il solo anno 2013, di decidere liberamente la scadenza e il
numero delle rate in cui può essere versato il tributo TARES. Per chi ha scelto di pagare
a rate probabilmente, essendo trascorso il mese di ottobre, si troverà da pagare le ultime
due rate, una a novembre 2013, l’altra a dicembre 2013.
Con la stessa legge era stata istituita (l’anticipazione sperimentale del)l’Imposta Municipale propria, l’IMU, l’imposta immobiliare popolare sugli immobili.
Rammentato che questo è lo scenario pagatorio del corrente 2013.
Vediamo, da vicino, la fantasiosa inventiva della confraternita.
Prendiamo per esempio il titolo V di questa legge, relativo alla Riforma della tassazione
immobiliare, che va dall’art. 19 all’art. 23. Sono gli articoli che la quasi totalità dei tartassati cittadini italiani leggerebbe con apprensione. Per aiutare il lettore cercherò di fare il
traduttore in simultanea del burocratese di questi 5 articoli, nei quali ci viene comunicato che è nata una nuova imposta comunale annuale, si chiama TRISE (Tassa sui rifiuti
e sui servizi essenziali). Se alzate il coperchio della TRISE, vedrete due diramazioni:
– una è la Tassa annua sui Servizi Indivisibili, la TASI (tipo, paga e taci, detto in
veneto), è una imposta sui servizi indivisibili calcolata sull’1 per mille dell’imponibile
dell’IMU. La tassa è dovuta dai possessori di immobili.
Se, per aiutare il lettore, la tassa TASI di un appartamento prima casa dovesse costare,
al massimo una cifra “x” che possiamo considerare 100, non ha importanza che cifra sia,
il valore massimo della TASI; per la seconda casa, potrebbe giungere a 7 volte quel 100.
A questa cifra aggiungete la tassa dei rifiuti e l’Irpef e quel 100 lo vedrete schizzare a
superare il 1000. Cioè se, per esempio, quella cifra indicata come 100, per i servizi indi-
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visibili (TASI), dovesse arrivare a 200 euro, la somma finale che vi troverete a pagare, da
aggiungere ai 200 euro di TASI, supererebbe i 2.000 (duemila) euro.
Questo è il regalo di Enrico Letta, e il resto dei congiurati, venduti per denaro a Padron
Mercato.
– L’altra è la TARI (Tassa sui Rifiuti), la pagano tutti coloro che posseggono o occupano a qualsiasi titolo un immobile, il proprietario e l’eventuale affittuario. La tassa è
calcolata sulla superficie calpestabile dell’immobile.
Avevano promesso di togliere l’IMU (Imposta Immobiliare Unica) sulla prima casa e,
come si vede, l’hanno solo ridenominata in una bis-tassa, per di più aumentandola.
Ma l’IMU sulla seconda casa è rimasta, e si somma con la TASI, così imparate a fidarvi
di chi vi dice ci occupiamo noi di voi, cari, basta che non vi fidiate dei populisti che vi dicono
le tasse sono un furto, cari. Melliflui, mentitori e imbroglioni.
A queste tasse, timbrate EUROPA, ma si legge EURO, aggiungete la reintroduzione
dell’Irpef con effetto retroattivo. I congiurati quantosiamobuoninoi-isti e quantosiamobravinoi-isti, hanno cercato di truccare le carte in tavola. Lo direste mai che sono stati
scoperti dal presidente della Corte dei Conti, Raffaele Squitieri?
È proprio lui, che, nel suo intervento durante l’audizione al senato, a fine ottobre 2013,
ha fatto notare le ricadute negative di questa legge in deroga ai principi dello Statuto del
contribuente… sulla trasparenza e sulla lealtà nel rapporto fisco-contribuente.
Andatevi a vedere perché a pagina 27 del libro scrivo:
Se fino al 2011, (come leggerete nella relazione della Corte dei Conti, nelle pagine che seguono)
i conti dello stato sembravano andare verso il pareggio di bilancio previsto per il 2012, quel Noi
siamo arrivati al momento della insostenibilità del debito puzza di bruciato.
Quel rinvio vi porta a pagina 38 nel capitolo Padron Mercato vuole divorarsi l’Italia,
dove scrivo:
Contrariamente al generalizzato silenzio assenso dei partiti che stampellano Mario Monti, sul
Decreto di Economia e Finanza 2012 è entrato nei particolari il presidente della Corte dei Conti, Luigi Giampaolino, con un suo intervento nelle Commissioni Bilancio riunite di Camera e
Senato il 23 aprile 2012. Riporto, di seguito, solo alcuni passaggi di questo documento, non così
favorevole all’imposto governo tecnico.
Il presidente della Corte dei Conti dott. Luigi Giampaolino, in prossimità del proprio collocamento in quiescenza per raggiunti limiti di età, ha affidato al presidente aggiunto, dottor
Raffele Squitieri, le funzioni di presidente della Corte dei Conti. (Roma 16 agosto 2013,
Adnkronos.)
Volete che vi dimostri che questo è un governo di succhia denari al popolo, non solo con
le TRISE, le TASI, le TARI, l’Irpef ad effetto retroattivo, tanto per accennare alle tasse
immobiliari popolari, e se ne guarda bene di chiudere i buchi da cui esce, sta uscendo,
soprattutto scenderà, un fiume come il Volga (altro che il nostrano Po) di denaro pubblico?
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Vi accontento, vedrete come c’entra.
Vale la pena ricordare che il presidente Giampaolino, prima di cedere il passo al suo
presidente aggiunto aveva inviato ai questori di Camera e Senato, nel giugno 2013, un
dossier relativo all’utilizzo pericolosissimo dei derivati da parte degli Enti Locali.
In un articolo sul Corsera firmato da Stefania Tamburello, del 27 giugno 2013, si parla
proprio di questo dossier. Quello che fa tirare su le antennine è questo passaggio dell’articolo del Corsera.
… le polemiche rimbalzate sui media hanno tirato in ballo, e il sospetto che ciò sia strumentale è
difficile da allontanare, l’ingresso dell’Italia nell’Euro, l’allora ministro del Tesoro Carlo Azeglio
Ciampi e l’attuale presidente della Bce, Mario Draghi, che è stato direttore generale del Tesoro
dal 1991 al 2001.
Fa tirare su le antennine perché riporta in pieno al contenuto del capitolo: La truffa
italo germanica per entrare nell’Euro. Il riportato che segue si trova a pagina 326-327
del libro.
L’analisi dei documenti dimostra che l’Italia non aveva i conti in regola per entrare nell’Euro e
il governo tedesco ne era perfettamente al corrente. Con il titolo “Operazione autoinganno”, le
cinque pagine del servizio su Der Spiegel rivelavano i retroscena dell’entrata dell’Italia nell’Euro.
Vengono pubblicati i rapporti provenienti dall’ambasciata tedesca a Roma, tra il 1994 e il 1998.
Ci sono anche i verbali delle riunioni di esponenti del governo con il cancelliere Helmut Kohl;
lanciavano l’allarme sulla reale condizione economica dell’Italia che usava trucchi contabili per
fingere che i suoi conti fossero in ordine; mentre il suo debito pubblico cresceva. Queste erano
le informazioni messe nero su bianco in un memorandum, trasmesso dagli esperti a Kohl, nove
mesi prima dell’entrata dell’Italia nell’Euro. “I documenti dimostrano quello che finora si supponeva
soltanto. L’Italia non avrebbe mai dovuto essere accettata nell’eurozona”, ha scritto Der Spiegel.
L’Italia rappresentava un “rischio speciale” per l’euro, fin dal suo inizio nel 1999, poiché “continuava
a rifiutarsi di ridurre il suo enorme debito”; così è stata ripresa la notizia dal Times di Londra, il
12 maggio 2012.
Il riportato dell’articolo del Corsera, il titolo del capitolo, e una parte del suo contenuto,
parlano da soli.
Da più parti, oltre che dalle pagine del Financial Times e da La Repubblica, si riporta alla
ribalta il tema dei contratti derivati del Tesoro partendo dal caso Morgan Stanley scoppiato
nel 2012.
Il problema è se la gestione dei derivati, valutati in circa 160 miliardi, cioè più o meno il 10%
dello stock dei titoli di Stato quotati, rappresenti una potenziale perdita per il Tesoro. Il quotidiano britannico valuta che la perdita potenziale, stando ai valori di mercato attuali, arrivi a 8
miliardi di euro, un bel peso per i conti dello Stato.
E volete che un esponente del gruppo NML, non abbia subito cercato di minimizzare?
Infatti Fabrizio Saccomanni, ministro dell’Economia e Finanze, si è affrettato a dichia-
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Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo
rare che: «Non c’è alcuna perdita per lo Stato». Si tratta di «un grande malinteso».
Diamo, allora, voce a chi non si da per inteso che ci sia un malinteso.
Il segretario generale della Fisac Cgil, Federazione Italiana Sindacale Assicurazioni
Credito, Agostino Megale ci tiene a far sapere che
“Il governo sta commettendo un grave errore di valutazione nell’approvare le disposizioni in materia di derivati relative alla gestione della finanza pubblica di Stato ed enti locali”.
“le disposizioni, contenute nel collegato alla ex legge Finanziaria, sull’obbligo dello Stato di prestare depositi di garanzia, fondamentalmente per cassa, a fronte delle perdite potenziali sui derivati in essere, determinano infatti ulteriori ed inutili rigidità nella gestione finanziaria del debito
pubblico. Se fossero vere le cifre che circolano, e non smentite da nessuno, che parlano di 160
miliardi di euro di derivati in essere, con oltre 8 miliardi di perdite potenziali, questa norma
potrebbe determinare delle rinegoziazioni dei contratti tali da obbligare lo Stato a versare liquidità fino a 8 miliardi di euro, cioè quasi l’entità stessa della finanziaria, pari a 11,6 miliardi di
euro”.
La Fisac Cgil ha pubblicato un Manifesto per la buona finanza.
Gli analisti della Fisac ritengono che nel bilancio dello Stato ci siano 160 miliardi di
Derivati; negli Enti Locali 220 miliardi, nelle banche italiane almeno 200 miliardi.
Il sindacato della Cgil ritiene che con le disposizioni presenti nella legge di stabilità
relative ai derivati (noi li chiamiamo titoli tossici, così è più chiaro cosa sono), si stiano
rischiando perdite finanziarie per lo Stato italiano con indebiti arricchimenti a favore del
sistema bancario prevalentemente estero.
Nel manifesto della buona finanza, ricorda il numero uno della Fisac, “la Cgil ha da tempo
illustrato il percorso per gestire la bomba ad orologeria dei derivati. Avviare una commissione
d’inchiesta per effettuare una ricognizione dei derivati in essere e affidare alle funzioni di analisi
quantitativa della Consob la competenza sulla misurazione dei rischi dei derivati di Stato ed Enti
locali per gestire attraverso le tutele degli scenari probabilistici i rapporti finanziari con le banche
e garantire gli interessi del Paese e dei cittadini. Invitiamo il Governo a farsi carico di queste proposte e di modificare la finanziaria in questa direzione. C’è ancora tempo”.
In proposito, e può essere utile ricordarlo, la questione dei titoli tossici, qui chiamati
derivati, è stata trattata in miei diversi micro-saggi, pubblicati sul sito di www.nexusedizioni.it
Su Truffa globale (dicembre 2008):
Negli Stati Uniti la crisi finanziaria ha preso l’avvio da una generalizzata (e prevedibile) insolvenza dei soggetti che hanno assunto un debito con mutui subprime; ha preso l’avvio perché non si
vuole dire che i titoli tossici (ormai vengono chiamati così) rappresentano una gigantesca palla di
neve che sta partendo dalla sommità di una montagna di 8mila metri e voi sapete quanto sarà più
grande e che velocità assumerà e cosa accadrà a quanto si trova nella pianura sottostante. Questo
esattamente significa la frase “i titoli tossici hanno innescato una crisi finanziaria dagli effetti
Manovre di palazzo
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imprevedibili”.
Su Ma cos’è questa crisi (novembre 2010):
Nonostante Basilea 3, il problema sui derivati rimane, comunque, ancora non risolto. Per esempio
la domanda finanziaria “vera”, quella che può far saltare molti coperchi, è la seguente: «Quale è
il reale “peso finanziario” dei titoli tossici ancora presenti nell’apparente solidità delle multinazionali che sono ramificate nelle banche di interesse continentale, europee ed italiane?»
E, quindi, una domanda “derivata”: «Quale possibilità esiste che improvvisamente questi titoli
vuoti facciano danni che possono intaccare duramente il futuro di alcuni o di tutti i paesi europei, Italia compresa?»
Su Fallimento Europa (dicembre 2011).
Sofferenze bancarie e derivati
Le sofferenze bancarie, frase “vestito” che copre la nudità della frase che viene coperta: “non riesco
più a pagare i debiti”. E non si riesce più a pagare i debiti, nel caso “pulito” perché le entrate si
sono rivelate minori del previsto, ovvero, nel caso “sporco” chi ha concesso il prestito sapeva che
non sarebbe stato pagato e anche che la garanzia era fasulla perché di molto inferiore al prestito
contratto.
Siamo forse negli Stati Uniti, dove sono stati costruiti così i “titoli tossici”? No, siamo in Italia, e
ad annunciare (Corsera 20/11/2011) che la cifra in sofferenza raggiunge i 102 miliardi di euro è la
Banca d’Italia. Che non ci dice quanta di quella cifra provenga dai casi “puliti” e quanta dai casi
“sporchi”; ma soprattutto non ci dice quante famiglie straniere si trovano ad affollare il numero
dei casi “puliti” e dei casi “sporchi” insieme alle famiglie e alle aziende italiane.
Quei 102 miliardi di Euro che in italiano significano circa 204.000 miliardi di lire, sono solo un
piccolo accenno a quanto sta per avvenire.
Non hanno ancora il coraggio di dirci che:
1 nonostante lo avessimo fino ad ora negato, i titoli tossici da oltre Atlantico hanno riempito
le nostre banche come tutte quelle d’Europa (Svizzera compresa);
2 ai titoli tossici che riempiono i “debolieri” più che forzieri delle nostre banche si sono aggiunti i titoli tossici domestici che sono appunto, appena rappresentati, da quel numero di
miliardi che farebbe paura alla Svizzera.
Stiamo per scoprire perché sulla copertina di Time del 21 novembre 2011 la fotografia di Silvio
Berlusconi era accompagnata (vendetta postuma) dalla frase:
The man behind the world’s most dangerous economy
L’uomo che governa l’economia più pericolosa del mondo.
Su Il tizzone MPS riaccende il fuoco della crisi mondiale (aprile 2013):
C’è gente che si rovina con le scommesse. Ci sono Banche, Aziende ed Enti pubblici che giocano d’azzardo con i derivati e si trovano nel baratro del fallimento. È come nello sport. C’è chi
scommette sulla sconfitta di una squadra e per vincere la scommessa è pronto ad alterare (a pagamento) le partite. Variazione sul tema. Al posto delle squadre che “debbono” perdere, perché
lo scommettitore ci guadagni, magari, nell’elenco di quelli che “debbono fallire”, ci trovate Paesi
118
Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo
come il Portogallo, l’Italia, la Grecia, la Spagna (i Paesi PIGS pronti ad essere serviti, caldi, caldi
di fallimento, sul piatto dell’affamato “Mercato”). Gli allibratori di questo “mercato sotterraneo
finanziario d’azzardo” movimentano cifre che contengono dieci volte il Prodotto Interno Lordo
(Pil) mondiale.
Questa legge ha aumentato le uscite dello Stato, compensandole con le entrate tassatorie popolari. Gli effetti di questa aggressione alle famiglie italiane si vedranno già da
dicembre del 2013. Il carico fiscale per le famiglie arriverà a superare le loro già magre
entrate. Oltre che limitarsi nelle spese per il cibo, come ormai da anni stanno facendo,
cosa altro debbono inventarsi le famiglie che non ce la fanno più neanche a pagare le
bollette, gli affitti, i mutui. Le famiglie italiane, si debbono indebitare per pagare le vostre tasse dai nomi fantasiosi, signori “finti” rappresentanti del popolo?
Si annunciano intenzioni di modifica, in sede parlamentare, dell’impianto del decreto
stabilità, ma non conviene farsi illusioni. Allo stato, le manovre di palazzo dei congiurati catilinari, sembra stiano raggiungendo gli scopi di impoverimento generalizzato
del Paese Italia. Stiamo anche assistendo al lavorio per vendersi i gioielli di famiglia. In
preparazione del vertice G20 di settembre, a San Pietroburgo, il 18 e il 19 luglio 2013
si è tenuto a Mosca un incontro fra i ministri del Lavoro e delle Finanze.
Il ministro delle Finanze Saccomanni, in una intervista rilasciata a Bloomberg TV, ha
annunciato che l’ordine della UE di pagare i debiti vendendosi l’Eni, l’Enel, la Finmeccanica sarà eseguito al più presto.
Abbiamo annunciato, come una delle iniziative strategiche chiave, una accelerazione degli schemi
di privatizzazione che coinvolge i beni immobiliari posseduti ma stiamo considerando anche la
possibilità di ridurre le quote pubbliche sulle società partecipate.
“Ci sono una serie di questioni da regolare, perché queste società sono redditizie e assicurano
dividendi che vanno a favore del bilancio pubblico. Quindi dobbiamo anche considerare la possibilità di usare questo come collaterale in schemi di riduzione del debito”.
Appena queste belle notizie da Mosca sono rimbalzate in Italia, i titoli dei tre gioielli di
famiglia hanno perso punti nella Borsa di Piazza Affari a Milano.
Insomma è come quello che abbiamo visto accadere in Grecia e sta accadendo anche
in Italia. Famiglie che hanno dovuto vendere la casa per pagare debiti che invece di
diminuire sono aumentati e si sono ritrovate a vivere nell’automobile (senza benzina).
Evidentemente è questo lo scenario che il governo dei congiurati stanno preparando
per le famiglie italiane.
E poi si lamentano che sempre più italiani non si fidino più dei partitici e vogliono che
se vadano via tutti.
Il caso più che rappresentativo di questa rabbia montante è quello che è accaduto, nel
pomeriggio di venerdì 25 ottobre 2013, al vice presidente del Senato Maurizio Gasparri.
Mentre era intento a parlare al cellulare, nel centro di Roma, a Piazza Fontanella Borghese, una donna si è avvicinata al senatore Pdl e lo preso a spintoni, urlandogli mi fate
Manovre di palazzo
119
schifo, dovete andarvene via tutti, per poi raggiungere una automobile, poco lontano, che
l’attendeva per condurla via velocemente. L’on. Gasparri è stato subito portato via in
macchina dalla sua scorta.
Farebbero male i largheintese-isti piddini a ritenere che la rabbia che sta montando riguardi solo i pidiellini.
Ci sarà pure qualche curioso cittadino che si sarà informato a che percentuale, rispetto
al Prodotto Interno Lordo (Pil), si era assestato il debito pubblico, mentre Mario Monti
si acconciava (si preparava) a salvare la patria, scoprendo che il debito pubblico si era
accomodato, sonnacchioso, sulla poltrona del 120,1%. Questo curioso cittadino si prenda quel foglietto in mano e appena vicino alla percentuale 120,1%, ci scriva il numero
percentuale 133,3%.
Dopo la cura Monti che ha svuotato le tasche del ricchissimo popolo italiano con le
patrimoniali popolari; dopo sei mesi di cura del simil-Monti alias Letta, quel numero
rappresenta l’attuale percentuale del debito italiano rispetto al suo Pil. Sapendo che la
cura abbassadebitopubblico del Letta simil-Monti, con un decreto che punta alla stabilità
dei padroni del vapore, disinteressandosi altamente dell’instabilità in cui precipiterà le
famiglie italiane, avrà come effetto l’ulteriore aumento del debito pubblico, al cittadino
curioso, ben piantato nella logica raffrontanumeri, non viene automatico un pensierino
che lo porta dritto, dritto alla domanda: chi si sta prendendo gioco di noi? Provate a scorrere, dalla pagina 32 del libro, il capitolo Padron Mercato vuole divorarsi l’Italia. Dopo
questa lettura, andate a pagina 75 del libro, e scoprite in quale contesto sono inserite le
righe seguenti.
Da notare che il debito pubblico, in miliardi di euro, al dicembre 2008 era di 1.665,7, nel 2009
era di 1.762,7, nel 2010 era di 1841,9, nel 2011 era di 1997,946, nel 2012 è arrivato a 2.014.
Significa che – attenzione a questa cifra – nel 2013, dovremo pagare interessi sul debito pubblico
molto più elevati.
Come si vede dall’andamento 2008-2012 il debito pubblico continua ad aumentare. E aumenta
perché le spese continuano ad aumentare. A nessuno viene in mente che ci stiamo prendendo pesi
che non possiamo sopportare? Per esempio in sanità, scuola, casa, assistenza, oltre che ai disperati
autoctoni, a milioni di disperati di altri Paesi attirati in trappola?
Inserire nella Costituzione il pareggio di bilancio, in queste accuratamente procurate condizioni
di stagflazione (stagnazione + inflazione) recessiva, significa programmare per il futuro la fame
e la miseria, altro che lacrimare (come i coccodrilli?).
Dopo aver contestualizzato le righe qui sopra e magari, dopo aver scoperto che sono
relative a dichiarazioni pubbliche di Giorgio Napolitano, provate a cercare se, fra i vostri
amici, ci sia qualche cittadino curioso, con il quale scambiare quattro chiacchiere, sul
futuro che si prospetta alle vostre famiglie, se l’Italia continua ad essere gestita secondo
questo principio di altissima economia europea: aumento indiscriminato delle tasse per
diminuire il suo debito pubblico. Un debito pubblico che, invece, aumenta: e siccome il
debito aumenta, bisogna vendere tutte le proprietà statali; e siccome il debito continua
ad aumentare tutte le aziende italiane vanno vendute agli stranieri; e siccome il debito
120
Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo
aumenta l’Italia si venda tutti i suoi beni archeologici, come è stato proposto alla Grecia; e siccome … siccome qualcuno sta cominciando (un po’ tardi invero) a scoprire il,
trucco-EUROpa … provate a valutare quanto sia stato conveniente non ribellarsi, a suo
tempo, dopo essere stati a forza infilati prima in Europa (1979) e poi nell’Euro (2001).
Manovre di palazzo
121
La costituzione peggiorabile
Golpe strisciante, Bulldozer sono le denominazioni che già conoscete dalle prime pagine del capitolo I catilinari partitici governanti.
Sono le denominazioni che definiscono le pressioni partitiche per giungere alle modifiche della costituzione, istituendo l’attualmente inesistente presidenzialismo, del quale
sembra si stia facendo di tutto, dal 2006, per costruirne “nella prassi” i presupposti. Non
si vede in quale altro modo siano interpretabili i funambolismi istituzionali e costituzionali con i quali si è portato a compimento il progettato governo Mario Monti.
Lo stesso incarico a Bersani, costretto a cercare una maggioranza che numericamente non c’era, serviva solo a prendere tempo, mentre si affollavano i mirantialcolle nelle
stanze dei vari poteri. “Io sarei disponibile”. “Tiratemi fuori da questa riserva della
Repubblica, che mi sembro un nativo pellerossa”. “Oh guardate anche di qui, con tutti i
favori che vi ho fatto!” Franco Marini … Stefano Rodotà … Romano Prodi … Massimo
D’Alema … Anna Maria Cancellieri … Giuliano Amato …
Tanto in graticola c’era lui, Luigi Bersani, che infatti in mezzo a tutte quelle fucilerie in
ordine sparso si dimetterà da segretario Pd.
Per arrivare a Enrico Letta, serviva più tempo, bisognava arrivare alla obbligatorietà del
resistiancoraunpòtienicaldoilposto (pagina 510 del mio libro).
La nomina (attendista) dei 10 saggi alla ricerca di un governo, richiama i pirandelliani
sei personaggi in cerca d’autore, opera che si è affacciata alla scena teatrale (appunto)
nel maggio del 1921. Per dire quanto (non) sia cambiato il sistema istituzionale di questo Paese in attesa di un popolo.
Vi ricordate la frase che era scappata di bocca a Mario Monti intervistato da Der Spiegel,
il 5 agosto 2012, facendo infuriare il Parlamento tedesco? (pagina 490 del mio libro):
… i governi non si facciano vincolare del tutto dai loro Parlamenti – Se i governi si facessero vincolare del tutto dalle decisioni dei loro parlamenti, senza mantenere un proprio spazio di manovra,
allora una disintegrazione dell’Europa sarebbe più probabile di un’integrazione.
Beh, questi dieci saggi in cerca di governo, nominati sulla testa del parlamento italiano,
il 30 marzo 2013, da un Presidente negli ultimi giorni del suo mandato, mentre è ancora
in carica il governo Monti, come mai non hanno fatto infuriare i “rappresentanti del
popolo”? Non è che ci sono centinaia di rappresentanti parlamentari in cerca di popolo?
Ma chi erano questi dieci cercagoverno?
Gruppo di lavoro istituzionale
Valerio Onida, costituzionalista: è stato giudice della corte costituzionale
Mario Mauro, senatore di Scelta Civica, prima Pdl
Gaetano Quagliariello, Senatore Pdl
Luciano Violante, Pd, già presidente Camera Deputati e della commissione antimafia
La costituzione peggiorabile
123
Gruppo di lavoro in materia economico-sociale ed europeo
Enrico Giovannini, presidente Istat
Giovanni Pitruzzella, presidente Autorità garante della concorrenza e del mercato
Salvatore Rossi, membro direttorio Banca d’Italia
Giancarlo Giorgetti, capogruppo Lega Nord alla Camera dei Deputati
Filippo Bubbico, senatore Pd
Moavero Milanesi, ministro Affari Europei governo Monti
Il 12 aprile i gruppi di lavoro presentano a Napolitano il risultato del loro “saggio” lavoro disaminante il febbricitante paziente Italia.
Quindi finalmente, il 20 aprile 2013, i tempi sono maturi per arrivare alla sesta votazione a camere e rappresentanti delle regioni riuniti. Votanti 997 su 1007 aventi diritto.
Nulle 12. Bianche 10. Voti dispersi su altri 20. Stefano Rodotà 217. Giorgio Napolitano
738.
Rieletto Giorgio Napolitano.
Come avrete notato, i dieci saggi sono l’anticipo del governo largheintese-ista che si sta
preparando, già dal dopo elezioni del febbraio 2013.
I nominativi che sopra vi ho grassettizzato, avrete notato che sono presenti nel governo Letta e che (stranezza vero?) fanno parte del gruppo NML. La presenza di questi
nomi dimostra che l’obiettivo vero supera quello largheintese-ista, per orientarsi verso
la costruzione di una nuova compagine partitica, destinata a raccogliere spezzoni provenienti dall’area centrista, destro-berlusconiana, piddino-cattolica ex democristiana e
piddino-ex comunista migliorista.
Del discorso di Napolitano per la bis-elezione, e del raccordo con quelli che nel mio
libro vengono definiti cattoli(compli)ci già sapete.
Aggiungiamo a quello che sapete quanto avvenuto il 3 giugno, formalizzato, poi con
decreto dell’11 giugno 2013.
Enrico Letta, sentito il parere orientativo (e si racconta, nei palazzi romani, anche cancellatorio) del Quirinale, ha nominato:
Una commissione per le Riforme Costituzionali, con il compito di formulare proposte di revisione della parte seconda della Costituzione, Titoli I, II, III, V, con riferimento alle materie
della forma dello Stato, della forma di Governo, dell’assetto bicamerale del Parlamento e delle
norme connesse alle predette materie, nonché proposte di riforma della legislazione ordinaria
conseguente, con particolare riferimento alla normativa elettorale. A tali fini la commissione deve
adottare una relazione entro il 15 ottobre 2013.
La commissione è formata da 35 saggi, provenienti dal mondo accademico; poi è arrivata la nomina di 7 redattori (in aiuto ai saggi), coordinati, su delega del ministro
Quagliariello, da Luciano Violante, uno dei 35 saggi che era anche uno dei 10 saggi
quirinalizi. Poi, si sa mai, sono arrivati 2 osservatori (sempre in aiuto ai saggi).
L’interfaccia col governo è stata affidata a Gaetano Quagliariello, ministro per le Riforme costituzionali. Eh si, perché ormai, bisogna riformare la Costituzione.
124
Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo
È logico che i saggi Lettiani tenessero conto, come hanno tenuto conto, della relazione
finale (12 aprile 2013) del gruppo di lavoro sulle riforme istituzionali, costituiti con
dettato quirinalizio del 30 marzo 2013.
Nella relazione, puntualmente consegnata, per essere pubblicata il 17 ottobre 2013; neanche a farlo apposta, avrebbe potuto essere presentata in ritardo, visto che i commissari
si erano impegnati a lavorare gratuitamente (salvo incarichi che, magnanimamente, nel
tempo a seguire, avrebbero potuto ottenere, visto che erano tutti professori universitari).
Ci tengono i professori a far sapere che si sono riuniti 3 volte a giugno, 4 volte a luglio,
3 volte a settembre, per un totale di 10 riunioni.
Nelle prime due, si sono occupati di bicameralismo.
Nella terza e nella quarta hanno affrontato la riforma del titolo V della Costituzione.
Nella quinta, nella sesta, nella settima si saranno trovati a navigare tra Scilla e Cariddi,
tra il Parlamento e il Quirinale da una parte, non in perfetta sintonia, e i mass-media,
dove fanno capolino i riottosi populisti, essendosi occupati di forma di governo e sistema elettorale.
La documentazione? Ah, quella, l’ha ammucchiata sul tavolo il ministro Quagliariello,
e sennò i suoi uffici che ci stavano a fare.
Le due ultime riunioni, quelle del 16 e del 17 settembre 2013, se le sono fatte in un
centro benessere di Francavilla al Mare.
Nella bozza non corretta della relazione finale, si sono ritrovate, segnate in un gravissimo blu, le scopiazzature della relazione dei dieci saggi quirinalizi.
E volete che non mettano le mani avanti, prima di avventurarsi nelle impervie vie dei
cambiamenti costituzionali, con il machiavellico riferimento citazionista a Machiavelli?
“E però in ogni nostra deliberazione si debbe considerare dove sono meno inconvenienti e pigliare quello
per migliore partito, perché tutto netto, tutto sanza sospetto non si truova mai”.
(Machiavelli, Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio, I, 6, 3)
Sospettate, sospettate pure, e dove mai oggi si può trovare nelle pubbliche istituzioni un insospettabile, sembrano dire i commissari, da professori scafati, abituati a dribblare i sospetti di favoritismo degli studenti a favore di questo/a o di quella/o; dribblare i sospetti
di essere i santiinparadiso, per qualcuno dei partecipanti ai concorsi di professore universitario, prima associato e poi di ruolo; i cui progetti di ricerca sono raccomandabili,
perché, magari, interessano al santoinparadiso raccomandante (vedi per esempio l’accusa
di concorsi universitari truccati, che ha investito cinque dei loro colleghi commissari).
Il risultato?
L’Italia è malata. I costituenti non hanno previsto che al Parlamento, della sovranità
che appartiene al popolo, non gliene sarebbe importato un fico secco; anzi, che il Parlamento, di nascosto avrebbe sottratto la sovranità al popolo e se la sarebbe venduta, per
un piatto di lenticchie Ogm, all’Unione Europea. Dunque, per evitare che il popolo si
accorga del furto, bisogna riscrivere la Costituzione. Bisogna fare in modo che al posto
della sovranità originaria, appaia una bambolina, ben scosciata, tipo Miss Italia, con un
cartellino ben in vista ho vinto il prestigioso premio Sovranità condivisa. Sul bordo della
La costituzione peggiorabile
125
corona bisogna scrivere, piccolo, piccolo, la sovranità e, più piccolo ancora appartiene
al popolo. Mi raccomando il rossetto, deve essere un rosso di sinistra ultima moda; poi,
sul reggiseno, mi raccomando piccolo, tanto quanto basta, fate in modo che si legga la
parola post-tutto; mentre, nel pezzo di sotto, anche quello mi raccomando piccolo, tanto quanto basta, fate in modo che si legga un birichino ex-tutto. È importante signori
commissari che la bambolina, una volta ben truccata, sembri la sovranità originaria;
dovete fare in modo che il popolo non si accorga del furto.
L’Italia è malata. Ha due Camere decisionali, si sa che tra i costituenti girasse un po’ di
follia. (Enrico Letta si vede che lo è venuto a sapere.) Basta due Camere decisionali,
all’Italia ne basta una. C’è il ruolo del Senato da rivedere, bisogna limitarlo nelle decisioni che può prendere, bisogna trovare gli alambicchi giusti.
L’Italia è malata. Ha troppi parlamentari. Occorre una cura dimagrante, vedremo come
fare. Però è importante non mettere in relazione il numero degli elettori con il numero
degli eletti, daremmo troppa forza agli elettori e ai populisti; questo sarebbe un guaio,
non li controlleremmo più.
L’Italia è malata. Ha troppi campanili e da qui la malattia del campanilismo. I campanelli vengono consegnati al Governo che valuterà se dare o meno corso allo scampanio
richiesto. Solo così scardineremo i campanilisti da questo Paese.
E niente pretese di suonare le campane a festa. Ma quale festa, dovete lavorare sette
giorni su sette, sennò all’Europa gli girano.
L’Italia è malata, c’ha un neo nell’articolo 138 che va rimosso e in fretta. L’Italia è malata, c’ha un presidente notaio che ormai si è trasformato in presidente decisionario,
e tanto vale prenderne atto. Poi, per il presidenzialismo che si guardi alla Germania o
alla Francia, piuttosto che all’Inghilterra, cosa volete che cambi. Si sa che i governanti
italiani del dopo-guerra, ogni volta che debbono fare i compiti a casa, si mettono a copiare i compiti dei barbari. Sarà per via dell’esercito barbaro che occupa il Paese, sempre
dal dopo-guerra. Ad evitare che qualcuno si senta offeso, per il mondo romano e greco,
quello antico, erano barbari tutti i non greci e i non romani.
Che pensare di chi dice che la Costituzione italiana, parafrasando Benigni, è la più
bella del mondo e poi chiama folli i padri costituenti che hanno voluto il bicameralismo;
infatti dobbiamo ritenere che fossero folli, se hanno voluto nella costituzione il bicameralismo che oggi Letta considera una follia.
«Penso che la nostra Costituzione, nella prima parte sia la più bella del mondo, ma non nella
seconda. Due Camere che hanno esattamente gli stessi compiti, e una legge elettorale che da
maggioranze diverse, non può funzionare, è una follia».
L’aspetto più sconcertante di questo cambiamento costituzionale alla baionetta è il lasciar fare ai saggi quello che dovrebbe essere compito del parlamento.
Quante voci abbiamo sentito contrarie alla modifica, di fatto, dell’art. 138 della Costituzione.
Art. 138
126
Le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali sono adottate
Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo
da ciascuna Camera con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi, e sono
approvate a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione.
Le leggi stesse sono sottoposte a referendum popolare quando, entro tre mesi dalla loro pubblicazione, ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori
o cinque Consigli regionali. La legge sottoposta a referendum non è promulgata, se non è approvata dalla maggioranza dei voti validi.
Non si fa luogo a referendum se la legge è stata approvata nella seconda votazione da ciascuna
delle Camere a maggioranza di due terzi dei suoi componenti.
Leggendo l’articolo 138, raccordatelo con la nomina del Quirinale di 10 saggi e quella
di Palazzo Chigi di 35; non vi pare che si sia costruito un meccanismo para-istituzionale, con lo scopo dichiarato di modificare il dettato costituzionale, trasformando il
parlamento a mero esecutore di orientamenti nati fuori, dal parlamento?
E vi sembra tutto normale?
Maggio 2012, era il tempo intorno al quale si scatenavano i terremoti nel nord Italia
(Emilia Romagna, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Lombardia, Toscana). Il Presidente
Napolitano era in visita al comune di Pordenone, il 30 maggio 2012. Registriamo quello
che ha detto relativamente alla funzione costituzionale della figura del Capo dello Stato.
… si può benissimo discutere anche di come ripensare la figura del Presidente della Repubblica.
Io voglio solo dire che in questi sei anni ho rafforzato la mia convinzione che i nostri costituenti
nel 1946-47, in quello straordinario sforzo di equilibrio, di unità, di sintesi e di lungimiranza,
diedero una soluzione al problema del Capo dello Stato profondamente motivata: avere al vertice
dello Stato una figura neutra, politicamente imparziale, che restasse estranea al conflitto tra
le forze politiche e tra le correnti ideologiche. Avere, cioè, un Capo dello Stato che svolgesse
funzioni di moderazione e garanzia in un atteggiamento di costante e assoluta imparzialità.
Credo sia stata una scelta molto importante. La si vuole ridiscutere? Io sono soltanto spettatore
di fronte ad una discussione che si apra anche su questo tema.
Ora, con tutto il rispetto che, da parte mia, è impossibile che manchi nei confronti di
una figura così importante come il Presidente della Repubblica. Chiedo a chi legge di
valutare con la sua singolare intelligenza se, soprattutto nella vicenda dell’invenzione
del governo Mario Monti, la figura del Presidente della Repubblica si sia dimostrata,
una figura notarile, ovvero una figura neutra, politicamente imparziale, una figura estranea al conflitto tra le forze politiche e tra le correnti ideologiche, se, le iniziative intraprese,
prima durante e dopo il disgraziante Governo Monti, siano state configurabili come
espressioni di un atteggiamento di costante e assoluta imparzialità.
Chiedo a chi legge, di valutare quanto sia super partes (assolutamente imparziale) la precipitosa decisione di Giorgio Napolitano, appena bis-presidenzializzato di nominare,
il 30 agosto 2013 (come già sappiamo) 4 senatori a vita. E questa nomina viene fatta
in un Senato che si regge in un equilibrio, fra maggioranze e opposizioni (logicamente
possibili) che sta esattamente sulle dita di una mano. Cioè, quattro senatori possono fare
la differenza.
La costituzione peggiorabile
127
Rileviamo che, secondo una interpretazione estensiva della Costituzione, il neo eletto
presidente della Repubblica può nominare, nel corso del suo settennato, 5 senatori a
vita.
Rileviamo che in un colpo solo, sapendo che non durerà sette anni, l’estensivo Giorgio
Napolitano, a quattro mesi dalla sua bis-elezione, se ne è “spesi” 4 su 5.
Senza giungere (sorriso amaro) alla platealità di un presidente sub partes che, per sostenere, appunto, una parte, a cui volesse “regalare” 50 senatori a vita “di sicurezza” (che
c’è sempre un pericoloso simil-Berlusconi da cui difendersi) si acconciasse a dimettersi
“irrevocabilmente” per 10 volte, per poi essere rieletto dai largheintese-isti, per 10 volte, e
all’indomani di ogni rielezione nominasse i 5 senatori a vita, “di diritto”, e subito dopo,
per 9 volte, ridimettersi.
Converrà, sempre chi legge, che se, per gli strani casi della vita, in questi sette anni, si
ritrovassero eletti 10 presidenti, che non riuscissero, per premorienza o per altri accidentali motivi, a terminare il loro mandato, e se tutti e dieci, entro i primi sei mesi del
loro mandato, come ha fatto Napolitano, utilizzassero l’articolo 59 della Costituzione
per eleggersi, ognuno, 5 senatori a vita; ci ritroveremmo fra gli scranni senatoriali, 50
senatori, inamovibili (e riconoscentemente manovrabili), a vita, che saranno in grado di
fare il bello e il cattivo tempo nell’aula senatoriale, occupata con l’uso improprio dell’articolo 59, qui sotto rappresentato.
Art. 59
È senatore di diritto e a vita, salvo rinunzia, chi è stato Presidente della Repubblica.
Il Presidente della Repubblica può nominare senatori a vita cinque cittadini che hanno illustrato
la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario.
Naturalmente ho voluto portare alle estreme conseguenze la possibilità di nomina presidenziale dei senatori a vita. E già di per sé questa “esagerazione casistica” pone problemi gravi, ove ci si trovasse di fronte, appunto, ad un uso improprio e non super partes di
questa “possibilità”, non obbligo, costituzionale.
Da qui vi è chi, giustamente interpreta quel numero cinque di senatori a vita come il
numero massimo di senatori a vita che possono essere presenti in parlamento, e non in
modo obbligatorio; considerando contenuti nel numero cinque, anche gli ex presidenti
della Repubblica, già presenti in Senato.
Del resto lo stesso Giorgio Napolitano, stranezze della vita, era stato nominato Senatore a vita, dal Presidente Carlo Azeglio Ciampi, il 23 settembre del 2005, per meriti
nel campo sociale. Dunque Napolitano al termine del suo mandato, semplicemente
tornerebbe il senatore a vita che già era.
Addirittura, a rigore, con la nomina nel passato mandato di Mario Monti e, nell’attuale,
dei 4 senatori a vita, più l’ex presidente Ciampi, i senatori a vita sono diventati 6, altro
che il limite dei 5, secondo il ragionamento limitativo. Furberie istituzionali di lungo
corso, senza offesa, le chiamerebbe il terzo che osserva.
Chiamiamo, vicino a noi, la tecnica della somma dei numeri, insieme a quella della
tecnica aggregativa. In senato le elezioni politiche, del trascorso febbraio 2013, hanno
128
Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo
portato in Senato 91 senatori del Pdl, 108 senatori del Pd, 19 di Scelta Civica, 10 di
Grandi Autonomie, 16 di Lega Nord, 50 del Movimento 5 Stelle, 10 del Gruppo per
le Autonomie. I senatori del Gruppo Misto sono 17. Di questi, 7 sono di Sinistra Ecologia e Libertà, 3 di Azione Popolare, 1 proveniente dal Movimento 5 Stelle, 6 sono
senatori a vita (il sesto è Mario Monti che ha lasciato Scelta Civica, e che, comunque
andrebbe considerato componente del Gruppo Misto, come tutti i Senatori a Vita, se
non lo è, l’alterazione costituzionale c’è).
Il totale dei senatori è 321, ma senza i quattro aggiunti da Napolitano sarebbero stati
317. Per avere la maggioranza al Senato occorrevano prima 159 senatori, dopo l’intervento di Napolitano ce ne vogliono 161.
La somma degli attuali largheintese-isti senatori (Pdl+Pd+Sc) arriva a 218 (senza contare il senatore a vita Monti), largamente superiore al 159 del prima e al 161 del dopo.
Con la fibrillazione della giubilazione di Berlusconi, se mancassero i 91 voti del Pdl, al
governo mancherebbero 34 senatori per raggiungere i 161 che assicurano la maggioranza. Ne sarebbero mancati 32 se il numero da raggiungere fosse stato 159.
Con una differenza. Mentre prima i 32 mancanti erano in realtà 30, potendo contare
su due senatori a vita (Ciampi, Monti); ora i 34 mancanti sono in realtà 28, potendo
contare sui 6 senatori a vita (Ciampi, Monti, Abbado, Cattaneo, Piano, Rubbia).
Quando i numeri sono molto risicati, come in questa tornata elettorale senatoriale, la
differenza fra 30 e 28 può fare la differenza.
Cercare 28 senatori, sapendo che il gruppo NML li può mettere a disposizione, senza
dover ricorrere a transfughi del M5S, o al resto del Gruppo Misto, darebbe la certezza
dei numeri, per un Letta Bis che serve a garantire lo sfascio dell’Italia per i prossimi
decenni.
Adesso avrete compreso perché il ministro per le Riforme Istituzionali, Gaetano Quagliariello, durante la seduta del 1 ottobre 2013, quando i catilinari lasciavano credere
che il governo Letta avesse le ore contate, se ne andava bel bello nell’aula del Senato,
mostrando platealmente la sua listarella di 23 nomi. Ventitré senatori del gruppo “interpartitico” NML, più sei senatori a vita, appena sopra elencati, e il gioco è fatto.
A questo aggiungete che il gruppo NML è in perfetto raccordo con l’Intergruppo
Parlamentare per la Sussidiarietà che si è ricostituito il 17 agosto 2013, quasi in contemporanea con la nomina quirinalizia dei 4 senatori a vita, avvenuta il 30 agosto 2013.
Vi traduco lo scampanio festoso delle campane quirinalizie?
Ne servivano 28 per raggiungere la maggioranza? Eccovene 29!
Venite tutti a pranzo, portatevi la legna da ardere. Dove la trovate? Cavolo ma non la
vedete la quercia e l’ulivo schiantati dal fulmine deviatorio, lì proprio in Piazza Madama, di fronte al Senato? Erano buoni alberi sapete? Guardate quanti nidi di uccellini
che ci credevano nella loro capacità protettiva. Non vedete quanto sono grandi? Hai
voglia a tagliare!
Ognuno loda, ognuno taglia
Al Quirinale ognuno col suo fascio va
Nell’aria un pianto …di una capinera
Che cerca il nido che non troverà
La costituzione peggiorabile
129
E tutti a tagliare, per costruire gabbie intrappola-fessacchiotti, per uccellini creduloni,
invitati a pranzo, senza sapere di essere il pranzo.
Mi perdoni Giovanni Pascoli di aver inserito, nella poesia La quercia caduta, Al Quirinale, invece che l’originale A sera.
Mi perdoni, soprattutto per averlo inserito, lui che se ne è andato nel 1912 per non vederlo, in questo governante tramestio di tarme meccaniche, telecontrollate, senza storia
e senza futuro, che, dalla prima guerra mondiale ad oggi, stanno polverizzando le nervature di questo povero Paese.
E poi, magari, il professor Gaetano Quagliariello si meraviglia se qualcuno, dopo avergli
dato del catilinario, lo abbia inserito, “di diritto”, nel gruppo NML, nel quale pubblicamente ha accettato di ricoprire il ruolo chiave di raccordo nell’operazione che i Ciceroniani chiamano golpe strisciante. (Vedi i 35 professori universitari gestiti in raccordo
col Quirinale.)
Piuttosto, come si può perfettamente considerare, queste stesse autonome iniziative
presidenziali, solitarie e monocratiche (vedi il capitolo Il Monti Mascherato), e a mio
personalissimo parere, hanno trasformato l’attuale Presidenza della Repubblica (per di
più bissata) in un attore della modifica in senso semipresidenzialista del dettato costituzionale. Io non voglio giudicare. Prendo atto dello stridio infrasonico (vista la visita alle
popolazioni che vivono in un territorio che “balla”) di quella frase finale. Io sono soltanto
spettatore di fronte ad una discussione che si apra anche su questo tema.
Appena tre giorni dopo, il 2 giugno 2012, è la festa della Repubblica. Nei giardini del
Quirinale, aperti ai visitatori che in gran numero lo applaudono, appare Giorgio Napolitano. Non mancano i giornalisti che approfittano dell’occasione per fare domande al
Presidente. Il governo di larghe intese che cammina lungo un precipizio delle elezioni
anticipate. Il Porcellum, ovvero la legge elettorale, che il Parlamento non riesce a scrollarsi di dosso. Le riforme istituzionali di cui si occupa il Comitato dei Quaranta (20
deputati e 20 senatori) che entro febbraio 2014 deve presentare un progetto di riforma
della Costituzione. I giornalisti vengono informati che il Comitato dei Quaranta si può
appoggiare anche sul lavoro fatto dai 10 saggi chiamati due mesi fa dal Quirinale.
Eh già, perché buttare via un “lavoro” già fatto?
E il presidenzialismo? Chiedono, curiosi, i giornalisti. Non dirò nulla sul contenuto delle
riforme istituzionali …resterò assolutamente neutrale.
Il 7 giugno, dal Quirinale, parlando delle sfide e delle emergenze che deve affrontare
l’Italia, il Presidente ci ha tenuto a sottolineare: Al procedere delle riforme istituzionali
io ho legato il mio impegno all’atto di una non ricercata elezione… (questo impegno) …
porterò avanti finché sarò in grado di reggerlo e a quel fine.
Una neutralità notarile, un po’ sui generis, mi pare di capire.
Del resto, uno dei 35 professori universitari chiamati a lavorare al posto del Parlamento,
la professoressa Lorenza Carlassare dell’Università di Padova ha rilasciato dichiarazioni
perfettamente in linea con quanto in queste righe si osserva con preoccupazione.
La professoressa, il 6 giugno 2013, proprio il giorno in cui, con Enrico Letta e Gaetano Quagliariello, i 35 saggi sarebbero stati ricevuti al Quirinale, intervistata da Radio
130
Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo
Radicale, diceva:
Le riforme da noi hanno lo scopo di delegittimare la Costituzione esistente e di dare un po’ di
sostanza a quella vena di autoritarismo che ci portiamo dietro da sempre, perché la riforma della
forma di governo è totalmente inutile. Il presidenzialismo all’americana non lo vogliono perché
lì i poteri del presidente sono davvero limitati dal Parlamento e dal potere giurisdizionale, e allora
c’è l’idea del semipresidenzialismo che vedono come un filone che può potare la concentrazione
dei poteri in una persona sola, questa è l’aspirazione. A questa aspirazione autoritaria io non ci sto
e quindi la mia idea sarebbe di portare la mia voce dissidente, ma forse ho sbagliato ad accettare
perché questa voce dissidente non avrà alcuno spazio.
Se vedo che questi argomenti trovano sordi gli altri io immediatamente mi dimetto.
Cambi alla forma di governo assolutamente no perché non si possono scaricare sulla Costituzione le incapacità della classe politica, i partiti hanno perso la bussola e hanno dimenticato tutto
quello che c’è nella Costituzione e che in qualche modo già segnava un programma. Io vorrei che
la attuassero la Costituzione.
La professoressa Lorenza Carlassare, professore emerito di Diritto Costituzionale
nell’Università di Padova, si è dimessa dalla commissione dei 35 saggi l’11 luglio 2013,
con le motivazioni che avete sopra letto.
Il 28° Convegno annuale dell’Associazione Italiana Costituzionalisti è stato ospitato dall’Università di Padova, nel Dipartimento di Diritto Pubblico internazionale e
comunitario. Nel Convegno di due giorni (18-19 ottobre 2013), con il titolo Spazio
costituzionale e crisi economica, le preoccupazioni della professoressa Carlassare, che ha
presieduto la terza sessione plenaria, hanno trovato un giusto ascolto e condivisione.
Non ci saranno politici, nella due giorni di discussioni tra l’aula magna «Galileo Galilei»
e l’aula «Ippolito Nievo» del palazzo del Bo, ma soltanto tecnici del diritto, ci racconta, nel
Corsera del 18 ottobre 2013, Alessandro Zuin che ha anche intervistato il “padrone di
casa”, il professor Mario Bertolissi, docente di Diritto Costituzionale nel corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza dell’Università di Padova.
Vale la pena, essendo perfettamente raccordate a quanto stiamo documentando, riportare le quattro domande di Alessandro Zuin e le relative risposte di Mario Bertolissi.
Professor Bertolissi, qual è il contributo che la scienza costituzionale può dare in un’epoca di
profonda crisi come questa?
«È una domanda che mi pongo continuamente. Io parto sempre dal presupposto secondo cui, per
avere una carta costituzionale, un popolo deve avere lottato per decine, se non per centinaia di
anni: la Costituzione è sempre un atto che gronda sangue e sudore.
Perciò bisogna essere preoccupati quando si vede che, giorno dopo giorno, diventa una Carta che
sembra sospesa e non più un atto capace di regolare la vita del Paese. La si ignora o la si viola
intenzionalmente, e qui entra in gioco anche la crisi».
Entra in che modo?
«I dati ci dicono che abbiamo imboccato una discesa e non si sa quando la china si arresterà. E si
La costituzione peggiorabile
131
pongono due ordini di problemi: da un lato c’è la dimensione sovranazionale, che interferisce e
svuota continuamente di poteri decisionali il singolo Stato, e dall’altra parte si aggiungono, in
casa nostra, decenni di scelte sbagliate che hanno reso precaria la prima parte della nostra Carta,
rendendola sempre più inapplicabile alla voce “diritti dei cittadini”».
Quindi non siamo davanti a un problema legato soltanto all’attualità della nostra Costituzione: è il patto costituzionale che non regge più?
«Io temo che sia così, per un motivo evidente: lo scarto tra quanto è scritto in Costituzione e la
realtà dei fatti è sempre più ampio».
Ma non sarebbe il caso di ammodernarla allora?
«Le vere riforme che servono a questo Paese, in realtà, non passano dalla Costituzione. Si
dovrebbe incidere altrove: nelle grandi leggi, in particolare i Codici che regolano l’attività della
giustizia, e nelle leggi amministrative, da cui dipende il funzionamento del Paese».
Ci spieghi con un esempio.
«Eccolo: se cambiassimo la Costituzione, trasformando la forma di governo dell’Italia da parlamentare a presidenziale, il Fisco rimborserebbe prima i contribuenti che ne hanno diritto?
La risposta, ovviamente, è no. E la gente si sentirebbe presa in giro dall’ennesima grande riforma,
annunciata come tale, che non inciderebbe nei gangli vitali dell’amministrazione pubblica».
Al convegno partecipavano anche tre dei 35 saggi, il professor Giovanni Pitruzzella,
dell’Università di Palermo, la professoressa Carmela Salazar dell’Università mediterranea di Reggio Calabria, il professor Valerio Onida che ha tenuto la relazione conclusiva,
che già conosciamo, avendo fatto parte dei dieci saggi nominati il 30 marzo 2013 da
Giorgio Napolitano.
Bene. Mettete insieme lo sfogo della professoressa Carlassare a Radio Radicale e le
risposte del professor Bertolissi all’intervistatore del Corsera, sono una perfetta cartina
di tornasole mostrante il gioco sporco, somigliante a quello truffaldino delle tre carte,
truccato da ormaismo modificatorio del ruolo presidenziale costituzionale (vedi gli ormaismi di Enrico Letta). Tipo: “lasciate fare a noi che sappiamo come fregare il pupo, gliela
aggiustiamo noi la costituzione che si merita”.
Come si può osservare, e non solo all’Università di Padova, anche tra le fila del Pd, non
c’è esattamente un grande accordo verso questa modifica costituzionale che si vuole fare
con troppa, e non chiara, fretta.
… mi proposi, io stesso, come si ricorderà, il 30 marzo scorso, di favorire un primo sforzo ricognitivo e propositivo con la costituzione di un gruppo di lavoro, destinato a suggerire, in breve
giro di tempo, una prima traccia di orientamenti in materia di riforme istituzionali in vista della
formazione di un governo, in quel momento ancora in fieri a oltre un mese di distanza dall’elezione del nuovo Parlamento.
L’apporto, già significativo, di quel ristretto gruppo di lavoro, è poi confluito nella più impegnativa ricerca affidata dal governo Letta all’ampia e qualificata “Commissione per le riforme
132
Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo
costituzionali” che ha rassegnato la sua Relazione finale poco più di un mese fa. E tra non
molto la parola passerà al Parlamento, allo speciale Comitato espresso dalle Commissioni affari
costituzionali di Camera e Senato, facendo così entrare in una fase decisiva il percorso procedurale e temporale già concordato e in via di perfezionamento con l’approvazione di norme marginalmente modificative – a fini di snellimento dell’iter – dell’art. 138 della nostra Carta.
Secondo voi chi ha pronunciato le frasi che avete appena letto?
Colto l’aiutino con il 30 marzo grassettato?
Ebbene, sì, sono state pronunciate dal Presidente Giorgio Napolitano, il 23 ottobre
2013 a Firenze, durante l’annuale congresso dell’Anci (Associazione Nazionale Comuni Italiani) che quest’anno si è tenuto nella città medicea.
Dopo le elezioni di febbraio, finite quasi a pari, come sappiamo, mentre a Palazzo Chigi
(il palazzo del governo) c’era la scritta ben visibili (lunghi) lavori in corso, altro che governo in fieri, al Presidente della repubblica viene in mente di costituire un gruppo di
lavoro, destinato a suggerire, in breve giro di tempo, una prima traccia di orientamenti in
materia di riforme istituzionali.
La domanda è: dove sta scritto, nella carta costituzionale, che il Presidente della Repubblica possa costituire gruppi lavoro per orientare le azioni del governo ancora in fieri?
Per di più, come appare dalla seconda frase, l’apporto di quel ristretto gruppo di lavoro,
era destinato a confluire nella Commissione per le riforme costituzionali costituita dal
governo Letta. Ma non è che ci manca qualche pezzo di informazione?
Uno si inventa un gruppo di lavoro sui cambiamenti istituzionali epocali e, guarda caso,
le conclusioni finali di questo gruppo quirinalizio si scopre che sono perfettamente inseribili nei compiti di analisi di un altro gruppo di lavoro che verrà costituito, tre mesi
dopo, dal neo presidente del consiglio. Avrà, fra i suoi consiglieri, Nostradamus in persona, il Presidente.
Considerate, ora, la seguente frase.
Stiamo giungendo ora ad un nuovo limite estremo a questo riguardo: l’esame della questione cui
la Corte Costituzionale è stata chiamata e che essa condurrà a partire dall’udienza fissata per il 3
dicembre.
Collegatela con la seguente informazione.
Il 24 ottobre 2013, cioè all’indomani della dichiarazione sopra riportata, al Quirinale
si è svolto un incontro sullo stato dell’arte delle riforme istituzionali, fra il Capo dello
Stato e le forze partitiche che sostengono il governo largheintese-ista.
I largheintese-isti, governo e maggioranza, sono stati convocati da Giorgio Napolitano.
In sintesi.
Siccome la Consulta ha intenzione di riunirsi il 3 dicembre 2013, per affrontare il tema
della legge elettorale, siccome quella data è molto ravvicinata, venite da me ragazzi diamoci da fare, facciamo il punto sulle riforme istituzionali, legge elettorale compresa, si
dia mai il caso che la Consulta ci bagni il naso, deliberando prima di noi.
Domanda. Questa iniziativa quirinalizia è ascrivibile al ruolo super-partes notarile che
La costituzione peggiorabile
133
la carta costituzionale assegna al Presidente della Repubblica?
Dopo queste osservazioni che si diramano dalla logica, avendo presente, nello sfondo,
la domanda sopra rappresentata, chi mi legge provi a valutare, con me, il senso, appunto
logico, delle seguenti frasi che Giorgio Napolitano ha calato nella platea fiorentina dei
sindaci italiani dell’Anci, presieduta da Piero Fassino, sindaco di Torino.
… vedo i Comuni come luogo cruciale di recupero della partecipazione e della fiducia politica
Cioè, i comuni, conciati come sono, riempiti di compiti assistenziali a cui non riescono
a fare fronte, costretti a gestire una vera e propria mutazione del tessuto sociale della
loro comunità, mutazione che si diffonde inarrestabile, decennio dopo, decennio; in
mezzo alla guerra fra chi ha più diritti, per la casa popolare (magari dopo lo sfratto per
morosità), per la scuola materna, l’asilo nido, l’assistenza sociale, l’assistenza sanitaria,
il pagamento delle bollette, l’aiuto per l’affitto, i lavori socialmente utili, i buoni per acquistare il cibo, e quant’altro, dal tessuto sociale in mutazione permanente, si catapulta
in tutti gli uffici comunali, compresa la segreteria del sindaco; precisamente questi socialmente disastrati comuni, permanentemente destinati a misurarsi con l’insufficienza
delle risorse, dovrebbero essere il luogo cruciale di recupero della partecipazione e della
fiducia politica. Ma di quali ricchissimi comuni italiani sta parlando il Presidente della
Repubblica.
Quel recupero è arduo, lo sappiamo, a causa delle insufficienze e distorsioni della politica quale
è stata e ancora viene praticata. Ma è arduo anche perché la vita pubblica e l’opinione dei cittadini sono condizionate e deviate da un’onda diffusa e continua di vociferazioni, di faziosità, di
invenzioni calunniose, che inquinano il dibattito politico e mirano non solo a destabilizzare un
equilibrio di governo ma a gettare ombre in modo particolare sulle istituzioni di più alta garanzia
e di imparziale e unitaria rappresentanza nazionale.
Cioè. Non ci sono in atto disastrose mutazioni del tessuto sociale del paese, ci sono, al
massimo, insufficienze e distorsioni genericamente nella politica, non nella partitica.
I buoni cittadini sono fuorviati da un’onda diffusa e continua di vociferazioni, di faziosità, di invenzioni calunniose. Ci sono mass-media che si organizzano per gettare ombre
in modo particolare sulle istituzioni di più alta garanzia e di imparziale e unitaria rappresentanza nazionale, in altre parole, sul Quirinale.
Mi auguro che a ciò si sappia reagire in diversi ambiti, compreso quello dell’informazione, così
delicato e così esposto a quelle fuorvianti tendenze.
Qui c’è l’invito, che sembra una velina del ministero dell’Interno, a reagire, soprattutto
nel settore dell’informazione che è il più esposto a quelle fuorvianti tendenze.
134
C’è comunque chi ha il dovere – per la responsabilità che gli spetta – di non cedere a un clima
avvelenato, magari per mettersi al riparo da provocazioni che impunemente tendono a colpirlo.
A voi debbo solo dare assicurazione del mio fermo intento di non sottrarmi a nessun adempi-
Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo
mento per scomodo o facilmente aggredibile che sia, purché rientri nei doveri e nei limiti del mio
mandato. Quei doveri e quei limiti costituzionali che in egual misura ho sempre scrupolosamente
osservato.
Non si capisce perché ci sia un clima avvelenato. Ma il Quirinale ha il dovere di non cedere. Mi si accusa di aver ampiamente superato i doveri e i limiti cui la Costituzione mi
obbliga, ma io, dice Giorgio Napolitano, proprio Quei doveri e quei limiti costituzionali
che in egual misura ho sempre scrupolosamente osservato.
Anziché rimanere super partes come, per esempio, aveva dichiarato ai giornalisti che lo
pressavano sul presidenzialismo nei giardini del Quirinale, la sera del 2 giugno, dedicato
alla festa della Repubblica.
Presidenzialismo? Io naturalmente non dirò nulla né stasera né successivamente sui contenuti delle
riforme istituzionali, a maggior ragione su quelle che riguardano il capo dello Stato. Io resterò
assolutamente neutrale. Questa versione è all’ordine del giorno della commissione che sta per
costituirsi e questa versione sarà discussa in un comitato di esperti e studiosi che il governo si
appresta a nominare. (LaPresse)
Valuti, ora il lettore, se nella seguente parte dell’intervento di Giorgio Napolitano, a
Firenze, se la sua dichiarazione di neutralità sia stata confermata …
Infine la revisione del Titolo V non può non collegarsi all’indispensabile superamento del bicameralismo paritario e alla nascita di un nuovo Senato, che faccia da ponte tra legislatori, statale
e regionale, e arricchisca l’articolazione e le funzioni complessive del Parlamento, pur affidando
alla sola Camera dei Deputati la funzione dell’investitura politica e l’ultima parola nel processo
legislativo.
O se questo dire non possa essere configurato come interferenza.
Sul tema delle riforme costituzionali mi fermo qui, avendo semplicemente valorizzato il telaio
offerto dalla recente relazione della Commissione coordinata con efficacia dal ministro Quagliariello e avendo stimolato, anche con legittimi, credo, accenti personali, un vigoroso impegno
vostro a concorrere al raggiungimento di obbiettivi vitali per il paese.
Per di più, non pare di vedere neanche un grammo di terzietà nell’ammettere, con il
buon giudizio espresso sull’operato di Quagliariello, che c’è stato un suo non negabile
intervento, nei due gruppi che si sono occupati, saltando a piè pari il Parlamento, delle
riforme istituzionali, delle quali lui, il Presidente della Repubblica, aveva dichiarato: non
dirò nulla né stasera né successivamente sui contenuti delle riforme istituzionali.
Ecco, il lettore, con la sua intelligenza, colleghi queste frasi, ed altre presenti nelle pagine di questo scritto, con le iniziative prese dall’inquilino del Quirinale durante il settennato precedente e questi primi mesi della sua bis-elezione. Non si faccia condizionare
dalle costruzioni che io presento come logiche sull’operato del Presidente della RepubLa costituzione peggiorabile
135
blica. Utilizzi pure la sua intelligenza e la sua autonomia di giudizio non pre-giudizio;
quindi valuti se le dichiarazioni di terzietà di Giorgio Napolitano sono confortate dallo
scenario che ha avvolto, ed avvolge, il Quirinale, dal 2006 ad oggi. Piuttosto, perché il
destro (l’occasione) mi giunge ancora dall’intervento fiorentino di Giorgio Napolitano,
avendo presenti i contenuti del libro, dipartendovi dal suo titolo che è Dalle stragi del
1992 a Mario Monti, valutate le seguenti dichiarazioni, riandando con la memoria a
quanto sapete degli eventi dal 1990 ad oggi.
Cari amici, non ci lasciamo fermare da alcun fuoco di sbarramento. Ricordo come un simile
fuoco si levò quando nel 1993 da Presidente della Camera dei Deputati sostenni attivamente e
fortemente il percorso per giungere ad una riforma della legge elettorale nazionale, sollecitata da
un referendum popolare, e la riforma per l’elezione dei sindaci, che fu una riforma istituzionale
e non solo elettorale.
Non si poteva far nulla – si insisteva da varie parti – perché quel Parlamento era “delegittimato”
per gli inquisiti che sedevano in esso e magari per essere scaturito da un sistema politico in crisi
e da una legge, quella proporzionale, ormai superata nella coscienza di tutti. Non ci arrendemmo,
andammo avanti, e guai se non avessimo portato a casa quei risultati che sono quelli che vediamo oggi così efficacemente rappresentati nella forza che voi avete acquisito come Sindaci eletti
direttamente dai cittadini.
Giorgio Napolitano ci fa sapere che, già dal 1993, si era fortemente impegnato per
cambiare l’elezione dei sindaci, attraverso riforme istituzionali. Ci fa anche sapere che
lui, e quelli che lavoravano con lui, riuscirono a portare a termine quei cambiamenti, nonostante il sistema politico fosse in crisi, e il Parlamento fosse delegittimato per gli inquisiti
che ne occupavano gli scranni. Intanto vorrei ricordare al Presidente Napolitano che,
mentre era Presidente della Camera dei Deputati, il 2 settembre 1992, aveva ricevuto la
lettera di un deputato socialista, Sergio Moroni. In quella lettera, scritta prima di porre
fine alla sua vita, (la lettera è totalmente riportata nel libro pp. 439-441) sono contenute
anche queste parole:
Né mi è estranea la convinzione che forze oscure coltivino disegni che nulla hanno a che fare con il
rinnovamento e la «pulizia». Un grande velo di ipocrisia (condivisa da tutti) ha coperto per lunghi
anni i modi di vita dei partiti e i loro sistemi di finanziamento. C’è una cultura tutta italiana nel
definire regole e leggi che si sa non potranno essere rispettate, muovendo dalla tacita intesa che insieme si definiranno solidarietà nel costruire le procedure e i comportamenti che violano queste stesse
regole.
A Sergio Moroni non era estranea la convinzione che il sistema politico in crisi, nascondesse forze oscure che coltivavano disegni che nulla avevano a che fare con il rinnovamento e la «pulizia».
Queste forze oscure, nel mio libro, vengono identificate nei Deviatori.
Eppure, mentre infuriava la delegittimazione di tutti i partiti, per i finanziamenti illegali di cui si avvantaggiavano, certo anche per sostenere pesanti apparati burocratici,
per Giorgio Napolitano il Parlamento era “delegittimato” per gli inquisiti che sedevano
136
Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo
in esso. In aggiunta, mentre i processi di Mani Pulite coinvolgevano tutti i partiti, la
preoccupazione di Giorgio Napolitano, allora Presidente della Camera dei Deputati,
era quella di puntare ad una riforma istituzionale e non solo elettorale. Tipo Davide e
Golia, pare dire il Presidente della Repubblica, che si sente evidentemente rappresentante di questo gruppo di riformisti istituzionali e non solo elettorali: Non ci arrendemmo, andammo avanti, e guai se non avessimo portato a casa quei risultati che sono quelli
che vediamo oggi così efficacemente rappresentati nella forza che voi avete acquisito come
Sindaci eletti direttamente dai cittadini.
Come non cogliere, in questa chiusa presidenziale, l’indicazione dell’elezione diretta del
Presidente della Repubblica, evidentemente già nei progetti del gruppo dei riformisti
istituzionali e non solo elettorali; progetti che oggi appaiono prossimi a divenire obiettivi raggiungibili, utilizzando gli eventi, costruiti frettolosi, ben prima delle elezioni
politiche del febbraio 2013.
Non basta. Questo balzo indietro di venti anni, l’antitempo si è davvero attivato (vedi
capitolo I Segni a pagina 18 del libro), ci conduce ad una data ravvicinata a quella della
lettera inviata da Sergio Moroni, al futuro presidente della Repubblica, allora Presidente della Camera. Neanche due settimane prima, il settimanale Radio Corriere Tv
(settimana da giovedì 15 a mercoledì 21 agosto 1993) aveva pubblicato un’intervista a
Luciano Violante (presentata da pagina 441 a pagina 446).
Ora che siamo sufficientemente informati, prendiamo visione dell’intervista.
La prima domanda si diparte dalla gran confusione mediatica che si era andata accumulando,
intorno ai mandanti delle stragi del 1993.
Le bombe di Firenze, Milano e Roma, la mafia che appare dietro ogni strage, Tangentopoli che
mette l’uno contro l’altro potere politico e magistratura, poi servizi segreti deviati, P2, logge
massoniche coperte, redivive Brigate Rosse: Violante, ma che sta succedendo in questo nostro
povero Paese?
«Stiamo realizzando il cambio di un sistema politico con mezzi pacifici. Però nella nostra storia
recente si sono radicati anche poteri violenti che non stanno alle regole. Ora, il problema vero non
è tanto se questi sono contro o a favore dei cambiamenti, ma se nel nuovo sistema politico possono
sperare di avere un margine di impunità pari a quello che hanno avuto in passato».
Riporto di questa prima domanda/risposta alcune considerazioni, che si trovano a pagina 441-442.
Considerando lo sfondo, essenzialmente illuminato, delle righe precedenti, valutiamo la risposta
di Luciano Violante.
C’è il governo “tecnico” Ciampi e l’esponente di un partito, che dovrebbe essere di opposizione,
dice: Stiamo realizzando il cambio di un sistema politico con mezzi pacifici.
Chi sarebbe questo gruppo, di cui Violante fa parte, che sta cambiando il sistema politico?
Dunque esiste un gruppo che sta prendendo il potere con mezzi pacifici?
La costituzione peggiorabile
137
Che significa margine di impunità, forse implica l’uso della magistratura?
Come va esattamente interpretata questa frase, mentre si parla di sette stragi in 11 mesi. Significa
forse che il nuovo sistema politico usa il margine di impunità in modo selettivo?
E i mezzi pacifici si riconducono al termine “selettivo” nella significanza espressa nella precedente
domanda?
Esiste un gruppo che con mezzi pacifici è in grado di selezionare chi inserire nel margine di impunità e chi no?
È a questo gruppo che accennava il parlamentare socialista bresciano Sergio Moroni nella lettera
scritta prima di suicidarsi, dopo aver ricevuto il terzo avviso di garanzia, il 2 settembre 1992, indirizzata al presidente della Camera Giorgio Napolitano?
Sono braci ancora calde sotto la montagna di cenere queste parole; e anche a distanza di venti anni l’aria della verità le possono risvegliare e sarà fuoco, fuoco di una furia incontrollabile,
mentre questo gruppo denominato nuovo sistema politico si sentirà la vittoria in tasca, pronto a
portare Mario Monti (o chi gli sarà utile) sul Colle, dove un tempo sorgeva il tempio dedicato al
dio Quirino.
Se mettiamo insieme le terminologie utilizzate da Giorgio Napolitano e da Luciano
Violante, dobbiamo ritenere che un gruppo denominato nuovo sistema politico, ovvero
riformisti istituzionali e non solo elettorali, si stesse adoperando per cambiare lo stato
delle cose in Italia, già da dopo il 3 febbraio 1991, quando fu sciolto il Pci e costituito
il Pds; già da dopo l’agosto 1991, quando si dissolveranno il Pcus e l’Unione Sovietica.
C’è dunque un gruppo che sta premendo per cambiare, e velocemente, il sistema di elezione del Presidente della Repubblica?
Chi è esattamente questo gruppo; che obiettivi vuole raggiungere, in tutta fretta, e perché?
Sembrerebbe che questo gruppo faccia capo a Giorgio Napolitano, ma è bene non farsi
convogliare dalle apparenze. Come ho scritto nel libro, ci possono essere elementi pressori non evidenti che inducono gli esponenti istituzionali a fare la cosa “A” piuttosto che
la cosa “B”, magari accogliendo suggerimenti che vengono considerati logici, se inseriti
nei contesti istituzionali, paracaotici, come quelli che stiamo vivendo.
Questo vale per ognuno dei nominati, sia nel libro che in questo scritto. Eppure, va da
sé che l’Italia sta entrando in un periodo storico molto pericoloso. Si rischiano rivolgimenti epocali, e non è detto che, come si è riusciti a fare fino ad ora, si possa ancora
tirare una corda che sta mostrando slabbrature evidenti.
Bisognerà pure che si giunga a capire quanto si sta tramando alle spalle del popolo
italiano e di un parlamento ignavo (incapace di agire) e ignaro. Bisognerà dare valore e
significato agli eventi che, da venti anni, si stanno concretizzando in questo Paese.
Bisognerà essere pronti a scoprire che si sta realizzando, appunto da venti anni, quello
che è scritto all’inizio di questo capitolo, un: Golpe strisciante.
138
Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo
Tre “V”, il Vajont, il Vietnam, il Vuoto della “Sinistra”
La morte dei popoli è il tappeto dove fanno la passerella i nostrani global-locali-trendyradical-chic-democratico-progressisti, ex tutto, purché ammessi in pompa magna fra i
padroni del vapore di tutti i tempi.
In questo ottobre 2013, ci sono stati due eventi che mi hanno fatto riflettere sulla condizione del nostro Paese; soprattutto relativamente ad una para-sinistra che ha fatto di
tutto per coprire con il parolaismo il vuoto morale e il pieno di milioni di euro dei suoi
portafogli. Una para-sinistra che, mentre finge di contrastarlo, regge il bordone (sostiene, accompagna col suono di una cornamusa, un’impresa, una orchestrazione perfida)
al capitalismo globalizzato che paga milioni di (attuali) Euro i suoi fedeli servitori. Si
sono i venduti a Padron Mercato che li acquista volentieri, a qualunque cifra, tanto pagano i poveri, che si illudono di essere difesi dai venduti sottobanco.
Due eventi che cominciano con la “V”, che non hanno bisogno di molti giri di parole
per essere rappresentanti nella loro significanza, sia politica, sia storica. Due parole:
VIETNAM e VAJONT.
Nei sogni dei colonialismi c’è sempre un paese da dividere in sud e nord. Le aree di influenza sono quelle in cui si diffondono i raffreddori mirati e col timbrino incorporato
degli èmio-isti di turno. Aree strategiche. Laggiù, ai confini del mondo libero, appena
più in là c’è la Cina a braccetto con l’Unione Sovietica. Che se scoppia il finimondo, il
macello lo faccio lontano da casa mia. Vuoi mettere quanto sono furbo?
Soffiando sul fuocherello della secessione latente (vedi la Jugoslavia che ancora non
sa di avere un futuro da ex, così impara a raggruppare i Paesi non allineati), il mondo
libero, timbrato USA, si era preso il Vietnam del Sud “appoggiando” le sue rimostranze
verso il Vietnam del Nord. Di quantosonobuonoio-isti è pieno il mondo libero e quello
occupato.
Poi, la cavalletta ha cacciato l’elefante, diceva Ho Chi Minh quel 30 aprile del 1975,
quando i carri armati del Nord Vietnam si ripresero il Sud. Dopo dieci anni, 2 milioni
di morti, un numero gigantesco di invalidi, il Vietnam tornava unito, non succedeva dal
1802 quando c’era l’imperatore Gia Long. Quei dieci anni erano costati più di 60mila
morti all’esercito statunitense, l’elefante che voleva schiacciare la cavalletta vietcong.
Il 4 ottobre 2013, nell’ospedale militare di Hanoi, è morto a 102 anni il generale Vo
Nguyen Giap. “Il Napoleone rosso”, che ha combattuto e vinto il colonialismo francese
con la battaglia di Dien Bien Phu. Era il 13 marzo 1954, i soldati vietnamiti, i vietcong,
avevano ai piedi sandali costruiti con pneumatici di automobile, avrebbero per 56 giorni
tenuto sotto assedio l’esercito francese, fino alla sua capitolazione, il 7 maggio 1954. Il
generale Giap durante il lungo scontro con l’esercito USAense era ministro della Difesa,
Vice Primo ministro e comandante delle forze armate. Il Partito Comunista al governo
ha decretato il lutto nazionale. Ad Hanoi, davanti alla casa del generale si è formata una
fila di 150mila persone che vogliono rendergli omaggio. Giap, un nome, tante storie.
Il Vietnam non era solo una bandiera, era divenuta un punto di raccordo mondiale dei
Tre “V ”, il Vajont, il Vietnam, il Vuoto della “Sinistra”
139
giovani che vedevano la possibilità, insieme, qualunque lingua parlassero, di cambiare
finalmente questo mondo e strapparlo dalle mani dei padroni del vapore, di qua e di
là dai muri. Bastava dire “Vietnam” e non c’era giovane che non urlasse nelle piazze “ci
sono anch’io contate su di me”. Non erano, come venivano intitolate, manifestazioni
antiamericane, erano anti-tutto quello che impedisce la libertà di dare forza e solidità
ad un mondo finalmente pulito.
Ecco perché si sono inventati l’umiliante globalizzazione del non-pensiero e del cercadenari-se-vuoi-campare. La globalizzazione è la vendetta incastrante di Padron Mercato contro i giovani che in quegli anni ’60 e ’70 volevano scardinare il mondo economico e liberare il futuro dalle sue catene.
Nelle manifestazioni giovanili sessantottine non mancava mai il sostegno ai combattenti del Vietnam. Erano ritmici Giap – Giap – Ho Chi Minh!!! … Giap – Giap – Ho
Chi Minh!! … quando la sinistra giovanile, studentesca, mondiale vedeva la rivoluzione
dietro l’angolo. Ma dietro l’angolo c’era la congrega che si stava trasferendo, armi e bagagli e sovietismo stalinista al seguito, negli scranni poteriali del capitalismo bastone e
carota, che, già dal 1944, guardavano con occhi più benevoli e comprensivi (i riformisti,
i social-democratici social-comunisti) gli occupanti USAensi del suolo italico e le loro
avventure planetarie.
Una congrega che qualcuno identifica con quella maggiormente (numericamente) aggregativa; quella dei miglioristi, capitanati da Giorgio Napolitano ministro dell’Interno
nel governo Prodi (maggio 1996 - ottobre 1998). Il Pci era diventato Pds, poi Ds.
Saranno i post-sessantottini, post-comunisti, post-democristiani, post-catto-comunisti
quelli ammaliati (sedotti, danariamente attratti) dai democratici USAensi e dal capitalismo soft. Sono quelli del meticciato, della contaminazione culturale, addirittura della
contaminazione interreligiosa. Come gli untori di manzoniana memoria, sono quelli che vogliono contaminare gli altri, mentre fingono di farsi contaminare dagli altri.
(Come le ragazze delle – pre-Merlin – Case Chiuse imparavano dalle più scafate –
smaliziate, esperte – a fingere la fisica contentezza nei rapporti con i prossimi accontentati.) Il potere duro e il potere delicato, il bastone e la carota. Joseph S. Nye Jr è quello
della carotina del Soft Power. Il potere deve convincere deve avere un suo fascino. (Vedi
pagina 79 del libro)
Riformulare le significanze del termine democrazia, infilandola nel pozzo senza uscita
del mondo economico. Anzi, rivestire la nudità della democrazia coi bei vestiti nuovi,
nuovi dell’economia finalmente mondializzata. Adattare, insomma, la democrazia all’economia ormai globalizzata. Rieducare, riempiendoli di denaro, i populisti malati di
miraggite e traveggolite che vedono nel popolo inesistenti valori sociali ed etici. Per i servi di Padron Mercato il populismo è una malattia contagiosa da stroncare sul nascere.
Il 9 ottobre sera ero a Ponte nelle Alpi, dove, esattamente 50 anni dopo, si teneva una
manifestazione in ricordo dei 1910 assassinati del Vajont. Era in programma la visione
del film La montagna infranta, regia del professor Mirco Melanco, docente dell’Università di Padova di Storia del Cinema.
Mi è rimasto impresso l’intervento iniziale del partigiano Giovanni Bertot (già depu-
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Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo
tato Pci dal 1968 al 1976 e sindaco di Ponte nelle Alpi) che si dichiarava comunista;
quando comunista, in quegli anni ’60, voleva dire no alle ingiustizie, no alle ruberie, no
a lor signori, no ai padroni del vapore. Ho sentito pronunciare il termine “comunista”
con una notevole forza interiore e storicamente posizionata. Mi è risuonato nella mente
un “comunista” gridato in faccia agli attuali “sinistri”, che di quella tempra (saldezza)
morale non hanno più nulla. Mi appariva un guardare-cercando in quegli anni ’60, da
dove tornava rimbalzante la constatazione di una forza di cambiamento che improvvisamente si era volatilizzata, improvvisamente era diventata vuoto. Il VUOTO, appunto,
la terza “V” di queste pagine.
Il generale Giap mi riceve. Oriana Fallaci. Saigon e così sia. Pagina 29.
Marzo 1969. Sabato mattina.
Ha detto che mi incontrerà insieme alle tre donne della delegazione. E poi ha detto che sarà
«une causerie», una chiacchieratina dinanzi a una tazza di tè. Carmen, Giulia, Marisa sono tutte
eccitate. Per loro, così marxiste, esser ricevute da Giap è come per un cattolico esser ricevuto in
udienza privata dal papa.
La delegazione al femminile era una delegazione dell’Unione Donne Italiane. Carmen
è Carmen Zanti dell’Unione Donne Italiane (Udi). Partito Comunista, partigiana. Vissuta in Francia la sua conoscenza del francese la porterà negli organismi internazionali.
Sposerà un gesuita che ha abbandonato l’ordine e aderito al Partito Comunista. Dopo
la morte di Carmen, nel 1979, tornerà nell’Ordine di Sant’Ignazio.
Carmen, parlamentare del Pci, con le elezioni del 29 aprile 1963, mentre si sta preparando la tragedia del Vajont. Giulia è la giornalista Giulietta Ascoli, anche lei del Pci.
Marisa, è Marisa Passigli una dirigente Psiup (Partito Socialista di Unità proletaria)
dell’Udi.
Giap a quattordici anni era già un agitatore socialista. A diciotto era già in prigione. Lì conobbe la futura moglie. Lì lo prese a ben volere il Capo della polizia che lo fece studiare
e riuscì a laurearsi in giurisprudenza, all’Università di Hanoi. Vo Nguyen, divenuto
insegnante di storia in un liceo classico, aveva la mania di studiare le battaglie di Napoleone.
Gelido era. Aperto a collere improvvise ma contenute in un volto di pietra e in una voce di
marmo, poi chiuso in silenzi d’acciaio. Lo chiamavan per questo Vulcano Coperto di Neve.
Solo più tardi lo avrebbero chiamato Ma Kui, cioè Diavolo, e Giap, cioè Corazza.
Ma gli occhi! I suoi occhi sono fra i più intelligenti che ho visto. E anche fra i più crudeli, i più
astuti. Bucano quanto due aghi, bruciano quanto due fuochi, v’è in essi l’intera ambizione del
mondo: esaudita a costo di non importa qual prezzo.
Così eccoci tutti a sedere, nella più assurda disposizione che mai cerimoniale abbia visto: nel
mezzo io e lui che però non mi tratta, tant’è preso da Carmen. Sulle poltrone a destra, Carmen
Marisa Giulia e poi la guardiana The, la guardiana Huan.
Si, il male è equamente diviso in quella guerra: gli elementari diritti delle creature sono infranti
Tre “V ”, il Vajont, il Vietnam, il Vuoto della “Sinistra”
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sia a Saigon che ad Hanoi, da nessuna parte della barricata v’è la risposta alle nostre speranze.
E con tale conclusione, inevitabile, amara, chiudo la mia testimonianza sul Nord Vietnam. Oltre
che una testimonianza, una conferma che non basta parlar di giustizia per essere giusti, di civiltà
per essere civili, di umanesimo per essere umani.
La guerra vista da vicino, i prigionieri dell’una e dell’altra parte visti dentro.
Gli elementari diritti delle creature sono infranti, scrive Oriana Fallaci. Usa il verbo
infrangere, lo stesso usato nel titolo del film, La montagna infranta. Lì in Vietnam
andavano in frantumi i diritti elementari delle creature maciullate dalla guerra. Lì nel
Vajont è andata in frantumi la natura trascinando via il diritto di vivere di donne, uomini, ragazzi, bambini.
Eppure i suoni sordi della terra, loro, i contadini che quella terra la lavoravano e la conoscevano, quei suoni sordi li sentivano. La preoccupazione saliva e a livelli altissimi.
Si andava per sentieri immersi nel bosco, per scendere da Erto a Longarone.
Anche il torrente Vajont (canalone costruito dall’acqua, un termine a mezza strada fra il
ladino va giù, scende veloce, riferito all’acqua e il veneto vajo, canalone, stretto e ripido
riferito alla roccia scavata dall’acqua) se ne scendeva, non proprio placido, verso il Piave,
erodendo la roccia, formando profonde fenditure. Sono quelle gole profonde che, già
dal 1929, attirarono l’attenzione di Carlo Semenza, un ingegnere della Società Adriatica di Elettricità (Sade).
Che il Piave mormori, non solo contro lo straniero, lo si può comprendere dal numero
delle dighe che lo imbracano lungo il suo percorso nascente.
Sul monte Toc i contadini possedevano i campi che coltivavano e i pascoli degli animali.
Avevano costruito piccole casette per passarci il periodo estivo, senza essere costretti
ogni volta ad attraversare il torrente Vajont, che scorre giù nella valle.
I contadini e montanari di Erto e Casso conoscevano bene quel territorio; sapevano che
era soggetto a frane. Lo stesso abitato di Erto era stato costruito su una antica frana sui
pendii del Monte Borga.
Del resto lo stesso monte Toc col suo nome richiama il suono onomatopeico toc che
può condurre al costante rotolio di sassi lungo un pendio non solido, ma franoso; da qui
il termine veneto patóco che i veneti usano accompagnandolo col termine marso; marso
patóco col significato completamente marcio. Dunque il termine Toc, in un territorio al
confine tra il Veneto e il Friuli, richiama una montagna franosa dalla sua nascita. Scrive, infatti, la giornalista Tina Merlin, l’11 ottobre 1963, dopo la tragedia, sul giornale
L’Unità.
L’intuito e l’esperienza di quei montanari, confortati peraltro da pareri di grandi geologi, indicavano la Valle del Vajont non adatta a reggere la pressione di 160 milioni di metri-cubi d’acqua.
La realtà ha dimostrato la ragione dei montanari, non quella dei tecnici della «Sade». La società
elettrica sapeva che le pareti dell’invaso erano formate dal terreno di una enorme frana caduta
centinaia di anni fa, sulla quale è sorto in seguito il paese di Erto. Sapeva che il Monte Toc
era esso stesso parte di quella frana e che era prevedibile che l’acqua immessa nel bacino dovesse
erodere piano piano il sottosuolo e provocare disastri.
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Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo
Quei montanari si erano anche organizzati in consorzio per fare muro contro la Sade
che con l’appoggio della burocrazia centrale, profittando che la valle del Vajont si trovasse a cavallo fra il Friuli e il Veneto, si muoveva fra la gente di quella valle come uno
schiacciasassi, incurante di chi venisse travolto.
Scriveva, ancora, la nostra coraggiosa Tina Merlin, un coraggio che non riesce ad essere contenuto negli scranni istituzionali della sinistra colabrodo del dopo anni ’60 (che
questo voleva far notare il partigiano Giovanni Bortot, quella sera della memoria, il 9
ottobre 2013, a Ponte nelle Alpi).
Nel frattempo nel bacino di Forno di Zoldo franò un grosso lembo di montagna.
La popolazione di Erto si allarmò. Se a Forno aveva fatto precipitare la montagna cosa sarebbe
accaduto del loro paese che poggiava tutto su terra argillosa? Queste cose i contadini le sapevano
da sempre, ma vollero interrogare i famosi geologi. E il parere dei tecnici e degli scienziati confermò le loro paure: era pura follia costruire un bacino sul luogo.
Le perizie geologiche diedero esca a nuove polemiche e le proteste si fecero più vivaci. Si arrivò
a costituire un «Consorzio per la difesa della valle ertana» al quale aderirono 136 capi famiglia.
In quella occasione scrissi l’articolo per il quale mi processarono. Raccontai quanto avevano detto
i montanari all’assemblea costitutiva del Consorzio. Avevo commesso il «reato» di registrare i
fatti e un vice brigadiere dei carabinieri mi accusò di aver diffuso «notizie false e tendenziose atte
a turbare l’ordine pubblico». Fossi veramente riuscita a turbarlo l’ordine della SADE, oggi non
saremmo qui a piangere i nostri morti e a maledire i responsabili!
Il Consorzio prendeva forma perché i contadini erano rimasti scottati da come era andato a finire il Comitato creato per fronteggiare la SADE che stava già alterando il territorio montano con distruttivi sondaggi della roccia. I divieti di transito impedivano ai
contadini il raggiungimento dei terreni dove venivano mantenute, governate, una mucca, una pecora, una capra. Da questi terreni queste famiglie traevano il sostegno vitale.
Il latte, i formaggi, gli ortaggi. Un danno considerevole. Terreni che la SADE doveva
espropriare per pubblica utilità. Per di più gli Ertani e i loro animali erano impauriti da
continui tremolii e piccoli franamenti del costone della montagna.
La presidenza del Comitato era stata affidata a chi sapeva leggere e scrivere ed era in
grado di usare le sue conoscenze per difendere gli illetterati Ertani. Quei montanari
conoscevano bene la loro montagna e quanto potesse diventare pericolosa; ma non avevano altrettanta conoscenza della burocrazia e della sua pericolosità soprattutto quando
diventa tutt’uno con la danarite. Il marito della sindachessa sembrava essere la scelta più
opportuna. Invece … Invece, all’improvviso la sindachessa e suo marito si fecero uccel
di bosco quando si trattava di rispondere ai componenti del Comitato che denunciavano i soprusi della SADE. Poi si venne a sapere che i loro terreni erano stati acquistati ad
ottimo prezzo dalla SADE, quindi tanti saluti al popolino fessacchiotto e illetterato. È
Tina Merlin che stigmatizza l’imbroglio. Come si può constatare i catilinari c’era anche
allora. Monti e Letta erano ben rappresentati nel comune di Erto.
Alla larga da questi comunisti, non si fanno gli affari loro e, in più, cercano di impedire
i “legittimi affari dei rappresentanti della democrazia istituzionale”. (Vedi il capitolo La
Democrazia da pagina 469 del libro.)
Tre “V ”, il Vajont, il Vietnam, il Vuoto della “Sinistra”
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Improvvisamente Paolo Gallo cambia atteggiamento. E anche il sindaco. Diventano entrambi
sfuggenti alle domande dei contadini. Il presidente non convoca più il Comitato. La Cate non
vuole più parlare con la cronista de «l’Unità» che spesso va a trovarla nella sua tabaccheria-bar
o in municipio, e che aveva salutato con grande soddisfazione la sua nomina a sindaco. Non la
saluta neppure se l’incontra per la strada. Cambia parere anche sui comunisti che la sostengono
in giunta. Dice che sono «servi di Krusciov». E che «l’Unità» è «il giornale dei malcontenti».
Ma chi sono questi della Sade.
Gli antifascisti pensavano a riunirsi, a organizzarsi, ad armarsi, per poter difendere la Patria. La
SADE pensava ad altro. Il 22 giugno 1940 aveva chiesto al ministero dei Lavori Pubblici «di utilizzare i deflussi del Piave, degli affluenti Boite, Vajont e altri minori per scopi idroelettrici».
Scrive Tina Merlin nel suo Sulla pelle viva. Quindi quelli della Sade sono ben collegati
con il potere decisionale burocratico e statuale.
Giuseppe Volpi, conte di Misurata, si era dato da fare per ottenere il monopolio sulla
produzione trasmissione e distribuzione elettrica nel Triveneto. Bisognerebbe inserire
nel contesto giusto il perché della fretta di ottenere l’autorizzazione a costruire una centrale idroelettrica e una diga, proprio sul Vajont, l’affluente di sinistra del Piave, proprio
il 15 ottobre del 1943, nel pieno dell’occupazione tedesca del territorio, seguita alla resa
incondizionata dell’Italia alle truppe alleate.
Le motivazioni, che sottendono a questa fretta della SADE, le cerca anche Tina Merlin
che nel suo Sulla pelle viva scrive:
Cosa sarebbe avvenuto dopo la guerra? Chi avrebbe guidato il Paese? Era meglio premunirsi. Volpi trafficò freneticamente per riuscire a strappare l’autorizzazione, che gli fu concessa con un atto
illegale. «Il 15 ottobre 1943, nelle giornate tragiche che seguirono l’8 settembre, in un momento
del tutto anormale nella vita dello Stato, la SADE riusciva ad ottenere una adunanza ed un voto
della IV Sezione del Consiglio superiore dei lavori pubblici con il quale si esprimeva parere favorevole all’accoglimento dell’istanza […]. È risultato che all’adunanza di cui sopra parteciparono
solo 13 su 34 componenti, i quali non costituivano il numero legale, rendendo così illegale quella
decisione».
Tutto documentato, perfetto e brava, Tina Merlin. Ma esattamente quello che è accaduto dopo, a liberazione avvenuta, avrebbe dovuto orientare verso altro, che non fosse
solo la consistente capacità della SADE di raggiungere i suoi obbiettivi “con tutti i
mezzi”.
La prima autorizzazione al «progetto Vajont» fu quindi ottenuta con l’inganno verso la nazione.
Ma dovette costituire, tuttavia, un precedente credibile dopo la guerra per l’allora presidente della
Repubblica, il liberale Luigi Einaudi, che, con proprio decreto n. 729 del 21 marzo 1948 accordava alla SADE la concessione definitiva.
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Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo
Se avessi conosciuto Tina Merlin, e non riuscite ad immaginare quanto volentieri avrei
scambiato non solo quattro chiacchiere con lei, è probabile che mi sarebbe sfuggita questa domanda: c’è qualcosa in quel territorio, a conoscenza dei geologi militari tedeschi,
dei geologi della SADE che lavorano per il conte Volpi di Misurata, che tutt’ora non è
stato reso noto?
Questa autorizzazione passerà in eredità al conte Vittorio Cini, dopo la morte del conte
Volpi di Misurata, nel 1947. Davvero poteva esserci dietro solo la pressione dell’ingegnere Carlo Semenza che sognava, sul Vajont, la diga più alta del mondo? Davvero il motivo pressorio di questo disastro era la costruzione di un gigantesco invaso idroelettrico
che potesse fornire energia elettrica all’area industriale e portuale di Venezia? Cioè, più
acqua più pressione discensiva più corrente elettrica.
Davvero una delle motivazioni convincenti era quella di collegare alla produzione di
energia elettrica la possibilità di alimentare un acquedotto per irrigare la pianura Veneta? Perché al Veneto, per caso, mancano acque irrigue? Non ne ha invece fin troppe e
spesso a rischio esondazione?
È credibile che nell’immediato dopo-guerra la ricostruzione fosse la parola magica
che apriva le porte delle autorizzazioni statali. È meno credibile che non fosse visibile
l’assurdità di costruire una gigantesca diga, e un gigantesco invaso, in un’area soggetta
ad altissimo, geologicamente visibilissimo, rischio idrogeologico.
Eppure, a rigore, era proprio un minore rischio geologico e magari anche un migliore
posizionamento per una più lunga diga e il suo più ampio invaso, che avrebbe dovuto
orientare i geologi della SADE per un’area montana più a monte.
Perché il progetto di costruzione della diga si è invece posizionato sulla valle del Vajont,
morfologicamente non idonea come il geologo austriaco Leopold Müller appurerà nelle sue ispezioni sul territorio. In aggiunta e aggravamento delle considerazioni, anche
Edoardo Semenza, figlio di Carlo Semenza, condivideva le preoccupanti analisi morfologiche dell’ingegnere austriaco (vedi il sito http://aldopiombino.blogspot.it).
Dal monte Toc in un passato non recente si era distaccata una gigantesca frana che aveva coperto il solco del torrente Vajont, la cui forza discensiva aveva ripristinato l’antico
stretto passaggio tra le rocce.
La presenza artificiale di una grande quantità di acqua alla base del monte Toc, penetrando nel terreno, e soprattutto unita alle piogge che in quell’area non mancano e sono
abbondanti, avrebbe potuto riattivare l’erosione che nel passato aveva provocato la frana
e che nell’immediato futuro poteva ripetersi, considerando che la stessa base, a ridosso
del costruendo invaso, era di tipo argilloso.
Il geologo Edoardo Semenza aveva valutato in circa 200milioni di metri cubi di roccia
la frana che l’invaso avrebbe messo in movimento, dal pendio franoso del monte Toc.
La stessa assenza di acque sorgive in superficie avrebbe dovuto far sospettare la presenza di acque sotterranee con la stessa forza penetrativa del Vajont.
E invece ecco come (in Sulla pelle viva) ci rappresenta l’idea geniale della SADE, Tina
Merlin:
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L’idea «geniale» era venuta alla Società nel 1939-40. Si trattava di convogliare e sfruttare le acque
residue del Piave e di alcuni suoi affluenti, dopo averle già sfruttate a monte, incanalandole in
un unico grande serbatoio chiamato «di riserva», da usare nei periodi di «magra», cioè di siccità,
nelle due grandi centrali di Soverzene e della Gardona. In questo caso le due centrali potranno
funzionare e produrre energia in continuazione.
Secondo i calcoli della SADE, a impianto ultimato, le centrali avrebbero sviluppato complessivamente 800 milioni di kwh.
Va ancora considerato che, quella stessa fretta dell’ottobre del 1943, prendeva, ora, la
faccia della nazionalizzazione dell’energia elettrica.
La SADE sarebbe stata acquistata e nazionalizzata dall’ENEL. Se la diga del Vajont
fosse stata operativa, il valore della SADE sarebbe stato maggiore.
Registriamo quanto, su questi argomenti, ci racconta Tina Merlin.
La gente era molto preoccupata, cercava risposte da chi aveva il dovere istituzionale di
dargliele.
E intanto la gente cosa sapeva? Il Comune di Erto e Casso era stato informato che sul suo territorio una Società privata poteva rubargli l’acqua per costruire, proprio ai piedi del paese, un
grande lago artificiale? Gli era stato chiesto il permesso? Se n’era discusso in consiglio comunale?
C’era stata qualche delibera? Era stato domandato ai piccoli proprietari degli appezzamenti agricoli che dovevano andare sommersi se accettavano di vendere i terreni alla SADE?
L’intero territorio è sotto pressione, assieme alla sua gente.
Ma la fretta dell’ottobre del 1943 ancora non ha un perché logico. Chi sta premendo su
chi, perché proprio lì si scavi e si costruiscano dighe e relative necessarie gallerie.
Lasciamo questa domanda, su per aria, sopra le valli veneto-friulane dove l’abbiamo
intravista in forma di aquilone sospeso senza che fili apparenti ci dicano chi lo tiene
nella sua mano. Affianchiamoci a Tina Merlin che, nel suo Sulla pelle viva, ci racconta
cosa accade in quelle valli, nel tempo in cui il termine “sinistra” non aveva ancora perso
il suo concreto significato.
In molte località, quasi un paradosso, le società elettriche che sono anche distributrici dell’energia,
si appropriano delle acque e rifiutano di arrivare con le linee della luce.
La grande campagna popolare con le assemblee, la raccolta di firme, le denuncie dei soprusi e
delle inadempienze delle società elettriche si trasforma, in realtà, nella richiesta unanime di nazionalizzazione delle fonti di energia.
Il 3 agosto 1958 si era svolto a Belluno un convegno nazionale promosso dalla Lega Nazionale
dei Comuni democratici su questi problemi.
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Il convegno del 1958 si proponeva, secondo una dichiarazione rilasciata a «l’Unità» da Guglielmo
Celso consigliere nazionale della Lega, di «contribuire con la più ampia azione condotta da tutte
le forze democratiche al controllo e alla nazionalizzazione delle fonti di energia, affrontando e
denunciando il problema delle tariffe e delle forniture, problema di larghissimo interesse oltre
Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo
che per gli enti locali per tutte le categorie produttrici e prestatrici di servizi, venendo a porre in
primo piano, con la denuncia degli abusi, il carattere di “utilità pubblica collettiva” delle imprese
di produzione e di distribuzione dell’energia elettrica e quindi ad aumentare e a convalidare la
richiesta democratica per il suo controllo pubblico» (Molte delegazioni a Belluno al convegno sui
monopoli elettrici, «l’Unità», 3-9-1958).
Il 20 maggio 1960 si tiene a Belluno un convegno provinciale indetto da un Comitato Utenti
Energia per la nazionalizzazione della SADE.
Del Comitato fanno parte: PCI, PSI, PSDI, PRI, organizzazioni sindacali e di massa, Alleanza
Contadini, Federazione delle Cooperative, Lega Comuni Democratici, Movimento radicale e
Cattolici indipendenti.
L’assemblea è affollata. Nella mozione conclusiva si chiede «che nel Parlamento si formi una
maggioranza antimonopolistica, orientata a sinistra che provveda al più presto alla nazionalizzazione della industria idroelettrica e delle altre fonti di energia».
Lo stato (a forza) repubblicano ereditava, da quello precedente monarchico, enti statali
che si occupano di garantire all’Italia l’autonomia energetica. Il 29 luglio 1927, con la
legge 1443, fu emanata la “legge mineraria” con la quale il Demanio statale era proprietario del sottosuolo nazionale. Quindi, per esempio, per ricercare e utilizzare il petrolio,
il metano, il gas o giacimenti di sostanze minerali, presenti nel sottosuolo nazionale,
occorreva, possedendo i requisiti tecnici previsti dalla norma, ottenere apposita autorizzazione e concessione governativa, come avveniva per l’utilizzo delle acque di superficie,
per le centrali idroelettriche.
Fra coloro che spingevano perché lo Stato italiano istituisse appositi enti che si occupassero di reperire ed utilizzare i prodotti petroliferi, troviamo proprio Giuseppe Volpi
conte di Misurata, per il quale, dunque, le ricerche nel sottosuolo potevano offrire occasioni energetiche ed elevati ricavi. Nascevano gli interessi petroliferi.
Gli occupanti liberatori, che vogliono il monopolio sui petroli, fanno sapere che non
gradiscono l’esistenza di centri chimici di ricerca da cui proviene la benzina ricavata
dalla sintesi chimica ad alta pressione del carbone (idrogenizzazione), soprattutto ad
uso militare. (Questi centri esistevano sia in Italia, che in Germania.) In Italia era stata costituita, nel 1936, l’Azienda Nazionale Idrogenazione Combustibili (ANIC), che
aveva due stabilimenti, uno a Livorno e uno a Bari, dove veniva prodotta la benzina
sintetica. Si racconta che le attrezzature e gli archivi dei due stabilimenti siano stati
distrutti manu militari.
Anche gli studi e le ricerche dell’AGIP sull’esistenza di Metano nella Pianura Padana,
avevano preoccupato gli “alleati occupanti” che fecero sapere che avrebbero gradito la
loro chiusura.
Con la legge 136 del 10 febbraio 1953 viene costituito l’Ente Nazionale Idrocarburi.
L’ENEL (Ente Nazionale Energia Elettrica), invece, nasce il 6 dicembre 1962.
L’Ente nazionale ha il compito di esercitare le attività di produzione, importazione ed
esportazione, trasporto, trasformazione, distribuzione e vendita dell’energia elettrica.
(Contribuire all’autonomia energetica del paese con impianti, idroelettrici, termoelettrici … Nucleari.)
Tre “V ”, il Vajont, il Vietnam, il Vuoto della “Sinistra”
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Nota. Sulla pelle viva – Come si costruisce una catastrofe – Il caso Vajont, il libro di Tina
Merlin, è rimasto nell’ombra per 20 anni; ha trovato un editore nel 1983.
Evidentemente è sistemico che vengano attivati i chisicredediesserequesta nel caso di Tina
Merlin e altre, prima e dopo di lei; e sempre prima e dopo di lei, alla bisogna si attivano
i chisicredediesserequesto, e se sono più di uno, i chisicredonodiesserequesti.
Basta vedere come si sono comportati i servitori ben prezzolati del padrone del vapore
di turno, di qua o di là dalla finta barricata destra/sinistra, disturbato da chi vuole raccontare come stanno davvero le cose.
Bisognava che emergessero le responsabilità di una catastrofe, non annunciata, ma criminalmente messa in conto. Visto che l’impianto idroelettrico, dal 26 luglio 1963, era
stato “acquistato” dall’ENEL, il crollo della montagna andava configurato come perpetrata truffa, perché l’impianto era stato consegnato come funzionante. A spese della
SADE bisognava ordinare l’abbattimento dell’intera struttura della diga del Vajont, con
annessi e connessi. E sempre a spese della SADE, bisognava ordinare il ripristino delle
condizioni naturali preesistenti. Solo così sarebbe stata resa giustizia agli assassinati e ai
sopravvissuti. Ecco perché, ancora oggi, il Vajont è la diga del silenzio, anzi, la strage nel
silenzio. Ecco perché, ancora oggi le stragi sintetizzate dai nomi di Falcone e Borsellino,
sono le stragi nel silenzio.
Gli articoli di Tina Merlin non erano articoli frenetici usa e getta, come oggi purtroppo
è diventato il giornalismo scritto, parlato, visivo. Gli articoli pubblicati su L’Unità di
quel tragico ottobre del 1963, non dovevano passare dalle forche caudine rappresentate
dagli “interessi” dell’editore e delle “pressioni” del direttore del giornale, magari non
esattamente partiticamente mono-posizionati. Certo il compito che i giornali si danno,
costituente il loro stesso nascere, è quello di informare orientando e, possibilmente,
educando il popolo. Compito che un giornale comunista, come L’Unità, aveva certo
presente, dovendo confrontarsi spesso con la sistemica disinformazione di altri giornali
nazionali, più addanarati.
Attento, quelli sono comunisti, qualcuno mi metteva in guardia. Sono comunisti, e allora?
Rispondevo, mostrando interesse a ben altro che a pre-posizioni o, peggio, a sottoposizioni.
Non mi è mai accaduto di usare il termine “comunista” in modo offensivo. Anzi, quando
mi capitava di “scontrarmi”, su questioni sociali, da cattolico e “socialista”, con un “comunista”, invitavo, invece, il mio interlocutore alla coerenza che avrebbe dovuto mostrare, verso la difesa dei diseredati e dei deboli. Non ho mai sentito un comunista, davvero
comunista, cercare di glissare sulle questioni di intervento sociale, che proponevo, come
problemi da risolvere, con la frase, che, invece i post-tutto di oggi si scrivono sulle loro
post-bandiere: È il mercato bellezza, se vuoi campare e fare carriera ti conviene tenerne
conto, altrimenti ti inseriscono nell’elenco dei rompiballe, da tenere alla larga dalle riunioni
decisionali. Una frase che non mi sono mai sentito dire da due sindaci comunisti, senza
virgolette, di San Giuliano Milanese, Gaetano Sangalli ed Egidio Gilardi. Anzi, li ho
sempre visti tenere conto delle problematiche sociali sollevate, se ne preoccupavano e,
da sindaci, se ne occupavano.
Ma, a “sinistra” non erano tutti così. Accadeva che i rompiballe, come Tina Merlin,
148
Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo
Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e molti, moltissimi, altri, appena “impossibilitati” a
partecipare alle riunioni decisionali, venivano d’imperio effigiati nei “santini” della “sinistra”. È da tempo immemore che i Santi si dimostrano più utili, anzi, più utilizzabili
da morti che da vivi. E volete che nei tempi dei “santi subito”, i post-comunisti, da bravi
cattolici sussidiaristi, rinuncino ai loro “sicuri elenchi” di “utili santi”, ex rompiballe?
Dagli anni ’60, in nome di una visione sociale di “sinistra”, ci si avvia sulla strada delle
nazionalizzazioni. Il privato deve lasciare il passo al pubblico. Basta con i monopoli.
L’energia, l’acqua è di tutti, non può essere lasciata al controllo dei privati.
Avete idea della quantità di denari che si muove, quando il pubblico acquista il privato?
E, in una grande movimentazione di denaro, secondo voi, quanta corruzione ci si può
infilare, come il freddoloso si infila sotto le coperte?
E, ancora secondo voi, come mai la “sinistra”, che prima voleva le nazionalizzazioni,
contro lo sfruttamento dei monopoli privati; oggi, vuole disperdere, nel mare magnum
(nel gran mare) delle super imprese mondiali, il patrimonio pubblico italiano, energie e
acqua compresi?
Avete idea della quantità di denari che si muove quando il privato acquista il pubblico?
E, repetita juvant (ripetizione opportuna), in una grande movimentazione di denaro
secondo voi, quanta corruzione ci si può infilare, come il freddoloso si infila sotto le
coperte?
Ci fosse stato l’oro nelle miniere di Forno di Zoldo, la storia di tutta l’area sarebbe stata
altra. Invece c’è il piombo, sia pure argentifero, c’è la galena, c’è il ferro. I forni di Forno
di Zoldo servono a produrre utensilerie agricole, per usi domestici, per l’arsenale di
Venezia. Esiste una Valle Inferna nel territorio di Forno di Zoldo, solo con la sua denominazione, dovrebbe dirci che ci troviamo in un’area sismica, dove nel passato, come in
tutte le aree con l’antica denominazione “inferno”, esistenti in Italia, la terra si apriva a
lanciare fiamme. In questa valle ci sono le antiche miniere e gli antichi forni a riverbero
per l’estrazione e la produzione di ferro e piombo contenente argento.
L’attività delle miniere della Valle Inferna era ancora fiorente verso la metà del 1700; il minerale,
trattato in un locale forno a riverbero, dava mediamente il 65% di piombo lievemente argentifero
(Consiglio dei X, 1747). Nell’ambito del territorio veneto, la produttività di queste miniere era
considerata, all’epoca, seconda solo a quella del distretto piombo-argentifero dell’«Arzentiera» di
Auronzo, dove operava con grande profitto una società di tecnici e minatori tedeschi.
[Tratto da Le mineralizzazioni piombo-zinco-argentifere della Valle Inferna (Zoldano-Belluno) di
Pietro Frizzo, Lorenzo Raccagni, Livio Ferialdi, Franco Maglich) pp. 32-39, rivista Industria
Mineraria n. 5/6, 1999.]
La presenza di miniere ci da anche l’informazione dell’esistenza di gallerie nel sottosuolo, se non altro quelle utilizzate per raggiungere le miniere di metalli, già conosciute
dagli antichi abitanti di questo territorio che nel tempo è stato posto, più volte, sotto
pressione dalla Madre Terra. Mentre si formano le catene montuose e si gira sottosopra
la crosta terrestre, quel territorio non è un paradiso terrestre.
[Prima del grande urto e della grande acqua che divenne ghiaccio, nel tempo più reTre “V ”, il Vajont, il Vietnam, il Vuoto della “Sinistra”
149
moto del remoto, qui e non solo qui, altre genti per sopravvivere cercavano minerali
scavando profonde gallerie nella roccia antica.]
Vale la pena, visto che si parla di Forno di Zoldo, di allungare lo sguardo sul prima e sul
dopo quell’atto di guerra che con l’arma, truccata da progresso, della SADE ha cercato
e ucciso 1910 abitanti di una sperduta valle montana.
Era il 22 marzo 1959, era la domenica di Pasqua. Una giornata di festa quel giorno. In
località Pontesei (ponticelli diremmo noi) nel comune di Forno di Zoldo, quando una
frana di circa tre milioni di metri cubi di roccia si abbatte sull’invaso sottostante, creato
dallo sbarramento del torrente Maè. Lo smottamento aveva trascinato verso l’invaso,
uccidendolo, l’operaio della SADE, Arcangelo Tiziani che stava perlustrando i declivi
per controllare i segnali di frane imminenti.
Quelle terre, alterate dai lavori di sbarramento ed accumulo eccessivo di acque, erano di
tutti; ed erano state vendute dagli amministratori di Forno di Zoldo alla SADE.
Stabilito che sulla protezione della originaria proprietà comune dovrebbero avere il loro
ruolo, il loro fondamento, la loro funzione legislativa i cosiddetti Stati; già che ci siamo
leggiamoci insieme, e memorizziamo, quello che Tina Merlin ha scritto nel suo libro
Sulla pelle viva, nel capitolo Il Consorzio per la difesa della valle ertana …
I contadini di Forno di Zoldo promossero diverse battaglie, tutte perdute: petizioni, interpellanze, delegazioni esposti, manifestazioni. Si trovarono sempre di fronte a un muro insuperabile,
impastato dalla concessione governativa della SADE a sfruttare le acque del Maè per «pubblica
utilità», dal servilismo degli amministratori locali verso il grande monopolio, dalle autorità governative provinciali che gli tenevano mano, da uno Stato che smentiva se stesso.
Il Parlamento aveva infatti promulgato il 25 luglio 1952 la legge n. 991 a beneficio dei territori
montani. Si riconosceva che la montagna era un «problema» anche per la pianura, che l’esodo dei
montanari doveva finire, che la rinascita produttiva delle zone di montagna doveva finalmente
aver luogo se non si voleva arrivare allo sfascio idrogeologico dell’intero paese. Era stata una
legge conquistata dalle popolazioni montane d’Italia intera, che si erano unite in «comitati per
la rinascita della montagna» dando luogo a dibattiti pubblici e a tante altre iniziative. A questa
grande campagna nazionale di sensibilizzazione pubblica avevano partecipato anche i contadini
e la popolazione di Forno di Zoldo, che adesso si sentivano traditi e sempre più convinti del
detto popolare «fatta la legge trovato l’inganno», nel senso che la legge è valida solo per chi ha
il potere di usarla.
Vi pare che da quella legge 991 del 1952, una legge dopoguerraia, siano migliorate le
condizione di genti che non riescono ancora a diventare popolo?
Vi pare che in un territorio come quello italiano, soggetto a terremoti e ad altissimo
rischio idrogeologico, soprattutto nelle aree appenninico-montane, cioè praticamente
nel 70% del suo territorio, dal 1952 si sia fatto qualcosa? Basta che vi guardiate intorno,
verso l’area appenninica o montana più vicina a casa vostra, se per caso abitate nelle
poco estese pianure e dovunque abitiate siete in grado di rispondere da soli a questa
domanda. Se volete un esempio, eccovelo.
Avrete sentito parlare del decreto sul femminicidio. Se conoscete la burocrazia italiana
intuirete che in quel decreto non si parla solo di violenza mortale verso le donne.
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Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo
Infatti il decreto legge 14 agosto 2013 n. 93, secondo il classico minestronismo legislativo italiano, ha il seguente titolo: Disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il
contrasto della violenza di genere, nonché in tema di protezione civile e di commissariamento delle province.
Relativamente al tema della protezione civile, il decreto è convertito in legge con modificazioni, a noi interessa il seguente articolo, scritto in perfetto burocratese:
Nel capo III, dopo l’articolo 11 è aggiunto il seguente: «Art. 11-bis. – (Interventi a favore della
montagna). – 1. Per l’anno 2013, le risorse accantonate per il medesimo anno ai sensi dell’articolo
1, comma 319, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, pari a 1 milione di euro, sono utilizzate per
attività di progettazione preliminare di interventi pilota per la realizzazione di interventi per
la valorizzazione e la salva-guardia dell’ambiente e per la promozione dell’uso delle energie
alternative. A tale scopo, le risorse sono assegnate con decreto del Ministro per gli affari regionali
e le autonomie, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sentiti l’Associazione
nazionale dei comuni italiani (ANCI) e l’Unione nazionale comuni, comunità, enti montani
(UNCEM), che indicano i comuni con maggiore rischio idrogeologico e con maggiore esperienza in attività di riqualificazione del territorio».
Avete letto? Per l’attività di salvaguardia dell’ambiente (non della natura, che ambiente
non vuol dire natura, vecchio trucco semantico) vengono stanziati 1 milione di euro,
purché nel piatto ci mettano le energie alternative (magari, nel progetto attuativo, hanno anche in testa le ditte produttrici e fornitrici). Ne prendono di più Crozza, pagato
per far ridere e Fazio, pagato per far piangere. Ecco perché terremotati e alluvionati
hanno un bel passeggiare nel nostro Paese.
A parte l’appunto, fra lo scherzoso e il polemico, dovremmo chiederci perché c’era tutta
questa fretta per infilare questa norma in un decreto destinato al femminicidio. Non
si stava forse elaborando il decreto sulla stabilità, e non poteva questa destinazione di
denari essere, più opportunamente e logicamente, inserita nell’articolo 5 del decreto di
Stabilità che appunto si occupa di Misure in materia di ambiente e tutela del territorio?
Ma tant’è così vanno le cose nel nostro Paese.
Bene, ora che abbiamo allungato lo sguardo sul prima, proviamo ad allungare lo sguardo sul dopo, potremmo accendere fari che ci potrebbero aiutare a valutare meglio il
prima secondo punti di visione altri.
Cominciamo con il 2007, molti anni dopo come si vede. Quindi potremmo anche
pensare: che c’entra col 1963. D’accordo, teniamo anche conto di questa osservazione,
che pure ha una sua innegabile logica. Ma siccome la logica non cammina sulle strade
ordinarie di una umanità resa confusa, vi propongo la lettura dei seguenti passaggi tratti
dall’articolo Il mondo oltre Vicenza (seconda parte). Vi faccio solo notare che in questo
articolo dell’otto ottobre 2008, pubblicato sul sito di www.nexusedizioni.it venivano
fornite le prove che la Georgia spalleggiata dagli USA aveva invaso l’Ossezia, non la
Russia la Georgia dopo aver ammassato truppe in Ossezia. Prove che diverranno di
dominio pubblico solo nel 2010.
Non vi sembri che ci stiamo allargando altrove. Leggiamo insieme quanto allora, documentalmente, ebbi a scrivere. Le date sono relative al 2007.
Tre “V ”, il Vajont, il Vietnam, il Vuoto della “Sinistra”
151
Aereo caduto o aereo abbattuto
Sono approssimativamente le 18,30 del 18 settembre, quando a Zoldo Alto (nelle Dolomiti),
precisamente in un bosco a circa 200 metri dalla località Soramaè, un caccia F-16 decollato
dall’aeroporto Pagliano e Gori di Aviano, precipita a terra e prende fuoco andando in mille
pezzi. Il pilota, un tenente colonnello dell’aviazione statunitense, riesce a catapultarsi fuori con il
seggiolino (attivando il paracadute e atterrando nella vicina strada fra le località di Forno e Dont)
prima dello schianto che comunque si è verificato lontano dalle abitazioni. L’aereo insieme ad
altri velivoli (tutti del 31° Fighter Wing Usaf) stava partecipando ad una esercitazione non meglio specificata in uno spazio aereo riservato. Tutta l’area è stata sequestrata e ne è stato impedito
l’accesso fino al recupero dei resti dell’aereo.
Dopo l’aereo, un elicottero
Siamo nei pressi di Santa Lucia di Piave in provincia di Treviso sono le 12,15 dell’8 novembre,
un elicottero UH-60 Black Hawk (Falco Nero) in dotazione all’esercito statunitense improvvisamente perde il controllo e da una altezza calcolata (ma non con certezza) di circa 20 metri prima
comincia a girare poi cade in picchiata fra i sassi dell’isolotto in mezzo al fiume Piave e si spezza
in due tronconi. Siamo a poche centinaia di metri dall’autostrada A7.
Sull’elicottero ci sono 11 militari. L’esercito e l’aeronautica statunitense perdono due soldati e
quattro avieri. Cinque componenti dell’equipaggio rimangono feriti, uno di loro molto gravemente. Le autorità statunitensi hanno dichiarato che svolgeranno le indagini in modo autonomo
e lo hanno anche comunicato alla procura di Treviso.
Incidente inspiegabile
Dalla sede tedesca del Quinto Corpo d’Armata dell’Esercito USA a Heidelberg è stata diffusa
una nota che definisce l’incidente “non spiegabile”; apparentemente causato da una improvvisa
perdita di controllo non ancora determinata e che “non sono emersi elementi che possano evidenziare un errore dei piloti o fattori ambientali che abbiano contribuito all’incidente”.
“Ero al cellulare e ho visto con la coda dell’occhio l’elicottero che girava su se stesso. Poi si è avvitato ed è
caduto sull’isolotto del fiume. C’era soltanto un po’ di fumo. Ma subito ho visto uscire un uomo, camminare, si è allontanato di una trentina di metri, poi è tornato indietro verso la carlinga”; sono le dichiarazioni “a caldo” di un testimone (da Il Gazzettino di venerdì 9 novembre 2007).
Sperimentazioni sofisticate (e pericolose)
Ora, mi permetta, signor generale, di renderLe noto che, sempre quest’anno nella prima metà di
dicembre trapelerà la notizia che gli scienziati del suo Paese hanno messo a punto uno strumento
(HFEMS: High Frequency Electro Magnetic System – Sistemi Elettro Magnetici di Alta Potenza)
che è in grado di bloccare i veicoli in movimento attraverso l’emissione di un raggio invisibile, (da
noi se ne parlava ai tempi di Guglielmo Marconi).
Le posso, a questo punto rammentare la domanda che le avevo fatto all’inizio di questa chiacchierata? Una domanda che se connessa alle “stranezze” avvenute in Ossezia del Sud, agli “incidenti”
occorsi ad un vostro aereo e ad un vostro elicottero, alle vostre ricerche di nuove tecnologie
militari che vorreste sperimentare sul campo, alla ristrutturazione delle forze armate proprio
152
Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo
nell’area vicentina e alla “necessità” di occupare l’area dell’Aeroporto Dal Molin, forse potrebbe
aiutarci a capire che cosa esattamente si stia preparando a fare la Forza tattica del Sud Europa
proprio da queste parti.
Signor generale, la base di Longare è stata assegnata alla 173a brigata che si sta trasformando in
un reparto aviotrasportato di paracadutisti, quindi un reparto di pronto intervento. La stessa base
(collegata con quella sotterranea del Tormeno?) si sta trasformando in un centro strategico di comunicazione (spazio, cielo, terra) in grado di interagire con i reparti in movimento, con elicotteri
e aerei, sistemi missilistici mobili, che possono anche essere dotati di armamenti nucleari tattici,
attraverso una connessione militare satellitare. Quindi il costituendo reparto aviotrasportato è in
grado di usare dispositivi radiocomandati di nuova concezione?
Nello sfondo delle dichiarazioni del Segretario di Stato Condoleeza Rice che fa sapere che gli
Stati Uniti hanno una superiorità tecnologica che non potrà essere superata che fra un secolo;
signor generale non potrebbe essere che sia l’aereo F-16 che l’elicottero Falco Nero siano stati
abbattuti con sistemi militari satellitari di un altro Paese. E visti i resti dell’elicottero caduto
(essendo stata impedita la vista di quelli dell’aereo caduto), viste le dichiarazioni del comando
del Quinto Corpo d’Armata dell’Esercito USA di stanza ad Heidelberg; non è che mentre voi
sperimentate un raggio che blocca le parti in movimento di un ingranaggio quale che sia (quindi
anche elettronico); in questo Paese, contro il quale voi vi state attrezzando per uno scontro che
porterà alla prima vera guerra mondiale, sia già stato realizzato un raggio destrutturatore, che è
quello che ha reso inservibili le attrezzature elettroniche di connessione e di guida dell’elicottero
e che è a un passo dal nullizzatore?
Immagini di avere stampata in un riquadro orizzontale e rettangolare un’area di circa 10 chilometri per 7 chilometri (siamo in Italia e qui si misura a chilometri e non a miglia). Immagini che
nell’angolo inferiore sinistro della foto si trovi la località San Gottardo, frazione di Zovencedo; sa,
quel posto dove iniziarono ad accendersi fuochi improvvisi dal 14 febbraio del 1990, esattamente
come accadde poi nel 2004 a Caronia in provincia di Messina. Oggetti metallici che prendevano
fuoco, scaldabagni, apparecchiature domestiche, come aspirapolveri che si accendevano da soli.
La notizia interessante sugli eventi incendiari di Caronia, perfettamente collegabile con gli eventi
incendiari di San Gottardo e che si mostrerà perfettamente connessibile con quanto Le sto per
raccontare, la pubblicherà il Settimanale L’Espresso il prossimo 26 ottobre di quest’anno. Sembra
che ci leggano nel pensiero dal futuro questi giornalisti birichini de L’Espresso, signor generale,
perché in quell’articolo, che a sua volta citerà un rapporto riservato del governo italiano del 2005
(prima che Lei assumesse il comando della SETAF), verrà scritto che i fenomeni di autocombustione sono attribuibili a “esperimenti militari” o, addirittura a “esperimenti alieni”. Sempre citando quel rapporto riservato verrà fatto riferimento a “tecnologie militari evolute anche di origine
non terrestre che potrebbero esporre in futuro intere popolazioni a conseguenze indesiderate.” Di più
nell’articolo verrà reso noto che: “Canneto di Caronia è stata colpita da fenomeni elettromagnetici
di origine artificiale, capaci di generare una grande potenza concentrata. Fasci di microonde a ultra
high frequency compresi nella banda tra 300 megahertz e alcuni gigahertz. […] Gli incidenti di
Canneto di Caronia potrebbero essere stati tentativi di ingaggio militare tra forze non convenzionali,
oppure un test non aggressivo mirato allo studio dei comportamenti e delle azioni in un indeterminato
campione territoriale scarsamente antropizzato”.
Letto tutto? Si capisce che qualche importanza, per le forze armate USAensi debba
Tre “V ”, il Vajont, il Vietnam, il Vuoto della “Sinistra”
153
pur averla, nel passato e nel presente, l’area grossomodo rettangolare, comprendente
l’area del Vajont, avente come angolo destro inferiore Aviano, angolo sinistro inferiore
Vicenza, angolo superiore sinistro Trento, angolo superiore destro Cortina d’Ampezzo?
Non solo, l’area esterna, come si può ben comprendere, anche quella interna o, se volete, quella sotterranea. Dove scorre acqua e dove i torrenti si sono aperti passaggi nella
dura roccia, sulla superficie, è possibile che corsi torrentizi sotterranei abbiano costruito
strade sotterranee? È possibile che queste strade sotterranee unificanti pianure e aree
montuose siano state in questi decenni trascorsi dal 1945, utilizzate a scopi militari? È
possibile che questi scopi militari siano stati il motivo pressorio per le iniziative della
SADE? È possibile che la fornitura di energia elettrica derivata da questi invasi artificiali, proprio in quest’area, non rispondesse necessariamente ad esigenze civili? E, soprattutto, nella costruzione delle gallerie ufficialmente congiungenti gli invasi artificiali,
da parte della SADE, è possibile che ci sia stata una supervisione militare? Non sono
domande peregrine se cerchiamo di comprendere perché la base Pluto si chiama Pluto.
Anche qui ci viene in aiuto un passaggio, sempre dell’articolo dell’otto ottobre 2008…
Mi risulta infatti che durante l’ultimo conflitto europeo (quello che impropriamente viene chiamato secondo conflitto mondiale) questa sigla indicava il sistema di oleodotti posati sul fondale
marino dello stretto della Manica fra la Gran Bretagna e la Francia. Gli oleodotti servivano per
rifornire di carburante i mezzi militari delle truppe alleate per riconquistare la Francia; ma soprattutto servivano per sostenere le necessità di carburante in vista dell’attacco che si voleva decisivo contro la Germania che sarebbe stato sferrato nel giugno del 1944. Il significato della sigla,
che stranezza signor generale, si adatta bene sull’intera area che abbiamo appena definito; “Pipe
Line Under The Ocean” solo che invece che sotto il mare, sono oleodotti (e non solo) sotto terra, in
vista di quale scontro finale collegato con il primo (vero) conflitto mondiale signor generale?
Il «re mondiale della derattizzazione», il trevigiano Massimo Donadon, afferma da sempre che «i topi sono tra gli animali più resistenti, sopravvivono anche alle esplosioni nucleari». La frase è tratta da un articolo de Il Gazzettino del 14 giugno 2012. Il titolo?
Eccolo: Centinaia di topi trovati morti nella valle del Vajont: ancora mistero sulle cause.
Sono stati trovati centinaia di topi morti nei territori di Castellavazzo, Zoldo, Longarone, Erto e Casso. Cioè esattamente nell’area del disastro del 1963.
Per le strade, nelle piazze, nelle case, nei garage, nei giardini, centinaia di topi morti.
Alcuni ancora con gli occhi sgranati. In allarme i veterinari, chiamati subito in causa per
capire cosa mai sia potuto accadere. La presenza di topi morti è stata notata in particolare all’altezza della galleria di Igne. Vuol dire che è dall’interno di questa galleria che
hanno cercato di fuggire i topi. Da cosa cercavano di fuggire; sapendo che i topi hanno
capacità premonitorie notevoli. Basti ricordare che sono i primi ad abbandonare una
nave che sta per naufragare.
Dai topolini di campagna a quelli ben più grandi che abitano i percorsi fognari… Dai
laboratori sanitari di Belluno si conferma che nei topi morti non è stata riscontrata
traccia di veleno. Alcuni topi presentavano una piccola macchia rossa sul petto, come se
fossero stati colpiti da qualcosa (?). I veterinari ritengono che l’evento non sia da collegare con il terremoto del 9 giugno 2012. Alcuni esemplari dei topi trovati morti sono
154
Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo
stati portati all’Istituto Zooprofilattico per gli approfondimenti necessari.
Che vuol dire? Vuol dire che dovremmo valutare nella vicenda del Vajont e aree limitrofe interferenze non note provenienti dalla presenza militare USA in quel territorio
senza soluzione di continuità dal 1945 in poi.
Aperta questa finestra che non vuole mettere in secondo piano le gravi responsabilità della Sade e di chi nello Stato quelle responsabilità le ha pienamente condivise, il
comportamento dello Stato in questa vicenda, appunto è stato stigmatizzato da Tina
Merlin in un suo articolo dell’8 aprile 1967.
Lo Stato ha speso per gli ertani, dal 9 ottobre 1963 ad oggi, oltre tre miliardi di sussidi.
Di lavoro sul posto non ce n’è; andare all’estero significa abbandonare la cura di interessi familiari,
una necessità creata dalla tragedia e che nessuno ha ancora risolto. È più facile, oltretutto, scegliere la via sulla quale li ha istradati il governo: sussidio a tempo indeterminato. È un risultato voluto
dai governanti. Con tre miliardi si poteva ricostruire, o quasi, un piccolo paese come Erto. Allora,
per quale determinazione, per quale assurdo disegno si è preferito disgregare una comunità,
mettere i suoi abitanti gli uni contro gli altri, perseguitare chi non crede più alle promesse,
in definitiva creare dei ribelli al posto degli uomini che un tempo coltivavano questa valle con
pazienza e sacrificio?
Come valutare il comportamento di chi avrebbe dovuto proteggere la popolazione e
non lo fece. Come valutare chi minimizzava mentre stava sconvolgendo la natura, sapendo che poteva uccidere.
Un mese prima della catastrofe, il vice-sindaco di Erto, Martinelli, scrisse una allarmante lettera
all’ENEL-SADE, alla Prefettura e al Genio Civile di Udine, esperimentando seri dubbi sulla
stabilità delle sponde del lago e chiedendo «di provvedere a togliere dal Comune di Erto e Casso
le cause dello stato di pericolo pubblico prima che succedano, come in altri paesi, danni riparabili
e non riparabili; quindi mettere la popolazione di Erto in uno stato di tranquillità e di sicurezza e solo dopo rimettere in attività il bacino di Erto».
L’ENEL-SADE rispondeva dichiarando «piuttosto azzardate» le previsioni del Comune, e asserendo che l’abitato non correva assolutamente alcun pericolo.
Una settimana prima della tragedia i tecnici in servizio sulla diga manifestano apertamente, ai
dirigenti, la loro preoccupazione. Sordi boati e scosse del terreno sono all’ordine del giorno. I
tecnici parlano del pericolo anche con gli amici, tramite il filo del telefono: «Qui da un momento
all’altro si va tutti in barca»; «Sto mangiando e la scodella balla».
Tre giorni prima del disastro l’ing. Caruso dell’ENEL, viene delegato a seguire in permanenza
l’andamento della frana. Il geometra Ritmajer che era stato trasferito a Venezia viene bloccato
sulla diga. Gli operai addetti ai servizi non vogliono più andare a lavorare.
Il vice-sindaco di Longarone, Terenzio Arduini, telefona al Genio Civile di Belluno per essere
rassicurato sulle voci di grave pericolo che circola nella zona. Viene rassicurato.
Nel pomeriggio del 9, fino alle ultime ore prima della tremenda valanga d’acqua, partono per
Venezia, sede dell’ENEL-SADE, drammatiche telefonate dai geometri sulla diga, annunciando
Tre “V ”, il Vajont, il Vietnam, il Vuoto della “Sinistra”
155
l’imminente pericolo. «Mi lasci vedova» grida la moglie del geometra Giannelli, inutilmente
tentando di convincere il marito a non tornare al suo posto di lavoro.
Alle ore 21 si risponde al geometra Ritmajer, che tempesta di telefonate la direzione di Venezia,
di «dormire con un occhio aperto» ma di stare calmo, che a Venezia non si prevede tanto pericolo.
Sempre alle 21 si mandano due carabinieri a Longarone nei villaggi sotto la diga per avvertire la
popolazione di non allarmarsi «se dalla diga uscirà un po’ d’acqua».
Alla stessa ora l’ing. Caruso chiede ai carabinieri di far bloccare il traffico sulla statale d’Alemagna,
senza preoccuparsi che la strada passa proprio in mezzo al centro abitato di Longarone.
Nessuno pensa di far evacuare i paesi. Probabilmente ci si fidava fin troppo della prova sul modello effettuata dai grandi professori, equivalente al gioco dei bambini che buttano sassi in un
catino d’acqua.
Non applaudite, quando alla fine del film-memoria La Montagna infranta, vedrete
scorrere un lunghissimo elenco di nomi. Quello scorrere inizierà esattamente alle 22,39,
la stessa ora che ha visto un martello d’acqua, sollevato da una mazzata di roccia, abbattersi su una comunità che, dopo la notte, si aspettava un nuovo giorno. Partecipare in
silenzio al ricordo straziante di 1910 vittime, mentre in quel 9 ottobre 2013, esattamente cinquanta anni fa, esattamente alle ore 22,39, contadini, montanari, buona gente si è
trovata maciullata dalla furia dell’acqua scatenata non da buona gente.
Mentre ancora non sappiamo, il 9 ottobre del 2013, chi è davvero responsabile di questo
eccidio, in quella sala, a Ponte nelle Alpi, commossi e silenziosi, vediamo scorrere, esattamente alle 22,39 sullo schermo cinematografico 1910 nomi. Sono gli assassinati dai
senza anima. Famiglie intere, ragazzini che festeggiavano il compleanno proprio quel
giorno, quel 9 ottobre 1963.
Che cosa era più importante di quelle vite, perché quelle vite, nella valle del Vajont, si
lasciasse che fossero schiacciate. Che cosa spingeva a fare tabula rasa di vite nei villaggi
del Vietnam del Nord. Che cosa spingeva, che cosa convinceva, dei giovani soldati ad
uccidere donne, vecchi e bambini, come ci racconta Oriana Fallaci nella prefazione del
suo Niente e così sia.
«Tutti coloro che entrarono nel villaggio avevano in mente di uccidere. L’ordine era distrugger
My Lai fino all’ultima gallina, non doveva restare nulla di vivo. Ma per noi non erano civili,
erano vietcong o simpatizzanti vietcong. Quando arrivai vidi una donna e un uomo e un bambino che scappavano verso una capanna. Nella loro lingua gli dissi di fermarsi ma loro non si
fermarono e io avevo l’ordine di sparare e sparai. Sì, è ciò che feci: sparai. Li ammazzai. Anche la
signora e il bambino. Avrà avuto due anni.»
(Dalla testimonianza del soldato Varnado Simpson della Compagnia Charlie.)
«C’era un vecchio dentro un rifugio. Era tutto raggomitolato dentro. Un vecchio molto vecchio.
Il sergente David Mitchell gridò: ammazzatelo! Così uno lo ammazzò. Raggruppammo uomi-
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Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo
ni donne bambini e neonati al centro del villaggio, come un’isoletta. Piombò il tenente Calley e
disse: sapete cosa dovete farne, no? E io dissi sì e lui si allontanò e dopo dieci minuti tornò e disse:
perché non li avete ancora ammazzati? E io gli dissi che credevo volesse farceli sorvegliare e basta. E lui disse no no, li voglio morti. E incominciò a sparargli. E mi disse di sparargli anch’io.
E infilai nel mio M16 quattro caricatori per un totale di sessantotto colpi e glieli sparai addosso
e ne avrò ammazzati non so, dieci o quindici.
E poi si trovò altra gente e la si buttò dentro una capanna e si gettò una bomba a mano dentro
la capanna. E poi i ragazzi portarono altre settanta o settantacinque persone, così ci aggiungemmo le nostre e il tenente Calley mi disse: Meadlo, abbiamo un altro lavoro da fare. E andò verso
quella gente e si mise a pigiarla, a spingerla, a spararla, e anche noi si spingeva e si pigiava e
infine gli si scaricò addosso i colpi delle nostre armi automatiche. Il giorno dopo misi un piede
su una mina. E persi il piede. E pensai: Dio mi punisce per ieri.»
(Dalla testimonianza del soldato Paul David Meadlo della Compagnia Charlie.)
«Si sparava a tutti, a tutto, anche senza ragione, per esempio alle capanne che bruciavano, a
molte capanne s’era dato fuoco. Si sparava anche ai bambini. La mia squadra radunò le donne e i
bambini, per spararli, ma uno dei miei uomini disse: io non posso ammazzar questa gente. Allora gli dissi di consegnarli al capitano Medina. A una curva incontrammo sei civili coi panieri. Si
misero a correre impauriti, chi verso di noi, chi scappando da noi, e non si distingueva gli uomini
dalle donne perché indossavano tutti lo stesso pigiama nero, sicché io e la mia squadra si aprì il
fuoco con gli M16. Lasciando il villaggio passammo accanto a un bambino che piangeva. Era
ferito a un braccio e a una gamba. Un GI disse: e di lui che ne facciamo? Senza rispondere, un
altro GI imbracciò il suo M16 e sparò nella testa del bambino. Il bambino cadde. No, non cercai
di impedirlo. La nostra era una missione Cerca-e-Distruggi, e avevamo gli ordini, e se qualcuno dev’essere giudicato in Corte Marziale dev’essere qualcuno più in alto di noi. Quel giorno io
pensavo da militare e pensavo alla sicurezza dei miei uomini e pensavo che era una brutta cosa
dover uccidere quella gente ma se dicessi che mi dispiaceva per quella gente direi una bugia.
Prima di partire il capitano Medina ci aveva detto che quella sarebbe stata una buona occasione
per vendicare i nostri compagni uccisi.»
(Dalla testimonianza del sergente Charles West della Compagnia Charlie.)
«Nessuno dei civili sparò, nessuno sparava ai GI. Non incontrammo alcuna resistenza, nessuna,
e io vidi catturare solo tre fucili. Anzi, non ricordo di aver visto un solo maschio in età da militare, non uno in tutto il villaggio, né vivo né morto. Gli uomini di Calley facevano strane cose.
Bruciavano le capanne, mettevano la dinamite alle case, e aspettavano che la gente scappasse
fuori, per ammazzarla. Ammucchiavano la gente a gruppi e poi la sparavano. Fu un assassinio
bello e buono, pochi di noi si rifiutarono di commetterlo. Io mi rifiutai. Dissi all’inferno con
questa storia, non voglio entrarci. Dissi: non lo faccio. Avevamo ricevuto l’ordine ma non era
un ordine legittimo.»
(Dalla testimonianza del sergente Michael Bernhardt della Compagnia Charlie.)
Ecco, come gli esseri umani diventano numeri, ecco come altri esseri umani prendono
il reale per il teatrale. Ecco come si uccide, pensando che così vanno le cose. O io o loro.
Per fare affari si sa che non bisogna farsi frenare dal pietismo. Tanto che valore volete
che abbia il popolino. Noi abbiamo le leggi dalla nostra parte, quelli neanche sanno
come si fa a gestire una legge scritta in burocratese. E poi, fra di noi, ci facciamo due
risate quando si scatenano i terremoti o le guerre. Tanto, per ricostruire, sempre di noi
Tre “V ”, il Vajont, il Vietnam, il Vuoto della “Sinistra”
157
hanno bisogno. Chi volete che gliele paghi le campagne elettorali ai galletti dei partiti.
Eccolo il pantano dove affondano le buone intenzioni dei salva-popoli a un tanto al
chilo. Eccolo il vuoto che da quegli anni ’60 avvolge una sinistra, una destra, un centro
a braccetto con la globalite, la Eurite, la Europeite che sono le casse da cui traggono una
quantità gigantesca di denaro. È per quel denaro che vivono, per niente altro.
E scorre il tempo. Il Vietnam, con tutti i suoi morti, non scuote più le coscienze. In
Vietnam si levano voci contro la corruzione e le ruberie dei funzionari. Il generale Giap
è morto.
E scorre il tempo. Tina Merlin non scuote più le coscienze, denunciando i disastri dei
padroni del vapore. Tina Merlin è morta.
Il regime sotterraneo che si è andato strutturando dal dopo-guerra in questo Paese ha
utilizzato le macerie del ’68 per rafforzarsi. Ora vuole portare a compimento con il golpe costituzionalizzato il progetto di cessione ai burocrati europei di quello che rimane
della sovranità italiana e della sua autonomia monetaria.
Chi davvero è consapevole di cosa sostenga beffardamente tutte le manifestazioni per
ottenere questo o quello, sembrerebbe la voglia di cambiare le cose, sembrerebbe magari
ai manifestanti e a chi li sostiene nella protesta. Dovreste sentirlo il pensiero beffardo
di Padron Mercato: eccoli i prigionieri e incrogiolati nello specialissimo forno, inventato per
loro, chiamato diritto.
Quando la corruzione non trova contrasto, ma contrappeso, nei comportamenti collettivizzati iohodiritto iovoglioilsantoinparadiso iovogliolaraccomandazione ancheiovogliodiventarericco, allora una società è già una frana che rovina in una valle di morti.
[Nel castello il nuovo signore che ha preso il comando con il vostro aiuto, conosce i
segreti del castellano spodestato, non vi ha tolto il collare di ferro, nell’anello pendente
ha solo messo una nuova catena.]
E scorre il tempo. L’Italia resa schiava, mischiata, venduta potrebbe trovare la forza di
ribellarsi contro i padroni del vapore, nel silenzio di quei 1910 nomi scorrenti; quelli, sì,
capaci di risvegliare le coscienze e capaci di risvegliare la voglia di reagire. Conviene che
le voci risvegliate dei contadini e dei montanari del Vajont siano ascoltate, almeno con
cinquanta anni di ritardo. Altrimenti, allora per ora, sarà quella vecchina della valle del
Vajont, che nel filmato a Ponte nelle Alpi voleva un mitra da usare contro i responsabili
tutt’ora sconosciuti di quel disastro, a risvegliare il vietcong addormentato nelle viscere
della terra e nel buon animus italico.
158
Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo
L’angelo del musicante
Perché sei triste. Dovresti essere contento, hai sentito quegli applausi che non finivano
mai; hai visto tutti nel teatro si sono alzati in piedi. Hai sentito? Ti gridavano Hai suonato il violino in modo divino. Perché allora sei triste?
Ah stai pensando che a casa non hai nessuno che ti aspetta. Ti sembrano lontani quegli
applausi quelle grida. È tre mesi che stai preparando questa serata e ti sembra ieri. Tutta quella fatica e ora è tutto finito. Tutto è solo un ricordo, mentre te ne stai andando
a piedi a casa. Non sei poi così distante dal teatro. Sei stato a cena con il direttore del
teatro che ti ha anche offerto di tornare fra tre mesi, dopo la tournée internazionale che
inizierai fra due settimane.
Pensa che c’è gente che vocifera che tu abbia fatto il patto col diavolo per suonare il
violino in quel modo. Ma io che sono il tuo angelo, io lo so che hai suonato in modo
angelico. Io lo so che mentre suonavi ti sentivi circondato da alberi, piante e fiori che
danzavano intorno a te. Io lo so che mentre suonavi sentivi una gioia traboccante e ti
preparavi alla tristezza dell’ultima nota, mentre i tuoi ascoltatori erano pronti al visibilio, al termine dell’ultima nota.
È tutto così strano quello che vedo nella tua mente. Dovresti essere felice, o almeno
dovresti averla assaporata la felicità, pensa al successo artistico di stasera, addirittura
ti hanno detto che a causa dei due bis che hai concesso riceverai un premio in denaro
extra. Perché allora sei triste.
Già vorresti che le prove non finissero mai, e poi vuoi che finiscano e che si aprano
quelle tende da palcoscenico. Tutta quella gente che in silenzio ti osserva e si aspetta da
te che sia valsa la pena pagare il biglietto.
Ecco perché sei triste, stai verificando quello che sapevi da quando, solitario, nei boschi
sentivi il fruscio della natura, fatto di un parlottio fitto, fitto fra gli animali, gli insetti, i
fiori, le piante, gli alberi e ogni fogliolina che voleva dire la sua. E tutti stavano a sentire
tutti e parlavano a tutti. Fratello mio sentivi l’armonia. Era quell’armonia che cercavi di
riprodurre nel primo violino che ti aveva regalato tua madre.
Ogni volta che lo suoni quel tuo violino comprendi che quei suoni sono come il cibo.
Tu diventi armonia sonora e l’armonia sonora diventa te. Come sarebbe bello che tutto
fosse armonia superante il limite del cibo, ti trovi a pensare. Come sarebbe bello che
nel rapporto con tutta la gente che incontri non ci fosse la menzogna di mezzo. Eh sì.
Perché la menzogna è come una nota storta, disarmonica. La menzogna, lanciata in
mezzo alla natura, provoca il silenzio di tutti. Non c’è più il parlottio fitto, fitto di tutti
che parlano a tutti e si comprendono, appena più in là dell’amico tempo. Quando appare la menzogna è il vento che lancia l’allarme generale, e tutti lo ascoltano, e il silenzio
diventa profondo.
Gli umani che accettano di vivere nella menzogna, sono avvolti dal vuoto. È il vento
a formarlo quel vuoto. Protegge la natura. Fuori da quel vuoto si dilata l’armonia dove
tutti si incontrano con tutti e la distanza, anche quella siderale, non è una distanza, è un
appena più in là, dove altre essenze parlano fitto, fitto e ascoltano tutti e i mondi, tutti
L’angelo del musicante
159
i mondi sono una cosa sola. È questo che ti fa soffrire, amico e fratello mio. Il sentirti
solo fra genti che hanno ridotto l’armonia universale a teatralità. Per questo quei teatrali
battimani scroscianti che ripagano la tua fatica sono anche i distanziatori dall’armonia
che avvolge il tuo suonare.
Ecco perché sei triste. Vorresti che anche tutti gli uomini si parlassero fra di loro fitto,
fitto e scoprissero l’armonia, rinunciando alla menzogna e alla teatralità.
Tu continua a suonare il tuo violino e trasmetti questi pensieri. L’abbandono della strada sbagliata, comincia quando la si riconosce sbagliata. Non essere triste. Suona il tuo
violino, suonalo fitto, fitto come sanno fare nei boschi, e lascia che mentano raccontando che hai fatto un patto. Abbandonali alle bufere che accompagnano sempre le menzogne, il vento ci vede e ci sente benissimo.
Tu suona e cerca di parlare fitto, fitto suonando, ai buoni della Terra. Le note del tuo
violino non saranno note vuote. Costruiranno ponti immensi dove vedrai incamminarsi i buoni della Terra. Scoprirai di non essere solo, vedrai altri che avranno imparato
ad usare la musica, il ballo, il canto, lo scrivere, le cose che sanno fare bene, per aiutare
concretamente e gratuitamente a costruire quei ponti immensi, capaci di collegarsi con
i mondi perfetti, dove il parlottio fitto, fitto è il racconto che ogni creatura fa alle altre
di come sta contribuendo a costruire, e a proteggere, l’armonia universale e divina.
Quando ti prende la tristezza pensa a questi ponti immensi. Gli abituati a mentire ti
diranno che sono frutto della tua immaginazione. Chi rifiuta il mentire, magari ti dirà
che non riesce ancora a vederli, ma ti dirà che vorrebbe, con tutte le sue energie, che
questi ponti immensi esistessero davvero. Allora tu, quando ti sentirai dire così, suona
il violino solo per il lui o per la lei che ti ha detto: Quello che tu vedi vero sarebbe anche
il mio sogno. Vedrai che anche fra gli umani, e non solo nei boschi, si può attivare quel
parlottio fitto, fitto che diventa armonia.
Alberto Roccatano
Per www.nexusedizioni.it
12 novembre 2013
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Il governo dei congiurati e la freccia di Apollo