NAZARETH n. 1 – 2013 - Piccole Suore della Sacra Famiglia

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NAZARETH n. 1 – 2013 - Piccole Suore della Sacra Famiglia
Periodico di educazione cristiana n. 1 gennaio-febbraio-marzo 2013 - Anno CVII - Poste Italiane spa - Spedizione in A. P. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 2, DCB VERONA
NAZARETH
AD JESUM PER MARIAM - PICCOLE SUORE SACRA FAMIGLIA - Castelletto sul Garda - VR
Nazareth 1 - 2013 | I
NAZARETH
A cura delle
«Piccole Suore della Sacra Famiglia»
Gennaio-Febbraio-Marzo
n. 1 - 2013 Anno CVII - Trimestrale
Direttore responsabile:
Sr. Maria Angelica Cavallon
Direzione e Amministrazione:
Istituto Piccole Suore
della Sacra Famiglia
37010 Castelletto di Brenzone (VR)
Spedizione in A. P. - D.L. 353/2003 (conv. in
L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 2, DCB
VERONA
Autorizzazione Tribunale
di Verona n. 29, 8 febbraio 1960
Comitato di redazione:
37138 Verona
Via G. Nascimbeni, 10
www.pssf.it - e-mail: [email protected]
Sr. Maria Angelica Cavallon,
Sr. Maria Romana Bombo,
Sr. Umberta Maria Bettega
COLLABORATORI DI questo numero:
Anna Pia Viola, Emma Provoli, Andrea Cornale,
Maria Laura Rosi, Anna Maria Rossetto,
d. Lino Faggioli, Italo Forieri, Giulio Biondi,
Katia Scabello Garbin, Sr. Maria Silvia
Bonometti, Sr. Erica Benetton
Iva assolta dall’Editore
ex art. 74 D.P.R. 633/72
La pubblicazione è curata
da Editoriale Della Scala
Povegliano Veronese
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37069 Villafranca (VR)
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Fax 045/6301789
Foto di copertina:
in prima e quarta “Passo Rolle” (TN)
di Filippo Rossetto - PD
II | Nazareth 1 - 2013
Sommario
la Redazione
L’essere umano è relazione................ p. 1
lettera della Madre
La relazione... in famiglia................... p. 2
formazione
Famiglia:
tempo della relazione........................ p. 4
Famiglia luogo di cura....................... p. 6
magistero
La “Porta della fede”......................... p. 7
carisma
Amare sino alla fine........................ p. 10
esperienza
Le relazioni al centro....................... p. 11
letteratura
Le relazioni familiari
nella letteratura............................... p. 13
famiglia
Relazioni quotidiane........................ p. 14
fidanzati
Al centro ”relazione d’amore”......... p. 15
iconografia- spiritualità
Relazioni dentro
un evento speciale.......................... p. 17
n. 1/2013
Dio ci ama
con l’amore di Madre [...] ................p. 20
Alla Scuola di Francesco.................. p. 22
voce giovani
Sguardo sui rapporti uomo-donna........p. 23
biblioteca in famiglia
Una carezza per la memoria............ p. 24
testimonianza
La fede di Paolo VI.......................... p. 26
Serravalle (FE)................................. p. 26
Piccole Suore defunte...................... p. 26
dalle nostre comunità.......................
Porto Sant’ Elpidio (FM)................... p. 27
Il Centenario................................... p. 28
Da Verona - Scuola S. Famiglia......... p. 29
Saluto per un amico........................ p. 30
CEI: Orientamenti pastorali
Educare: cammino
di relazione e di fiducia................... p. 32
arte
Una domenica
alla Grande Jatte............................. p. 34
orizzonti missionari
Dal Togo......................................... p. 36
voce giovani
Relazioni e poesia........................... p. 18
esperienza- testimonianza
Maria Teresa e il nipotino................ p. 38
Oggi preghiamo in casa................... p. 39
Il Pellegrino orante.......................... p. 40
fascicolo centrale
Partì dunque con loro [...] ............... p. 19
invito
Summer PSSF 2013......................... p. 41
Ricordiamo ai gentili Lettori
il rinnovo dell’abbonamento per il 2013:
€ 15,00 per l’Italia, € 20,00 per l’estero,
sul c/c postale n. 14875371.
La Redazione
L’essere umano è relazione
Crescere ogni giorno, con gioia, nella relazione d’amore
con il Tu di Dio e il tu degli altri
I
n questo momento storico
partecipiamo a segni inediti di
cambiamento a motivo di scelte forti e libere di persone capaci
di “amare fino alla fine” (Gv 13,1).
È in atto un’evoluzione inarrestabile, che modifica linguaggi, relazioni tra persone e contesti di vita.
Diventa quasi necessario prendere
le distanze da reazioni immediate,
emotive, per non perdere lucidità,
sensibilità e sapienza valutativa.
Sarà il contatto con la nostra dignità profonda e con lo Spirito,
nello scorrere del tempo, che ci
farà scoprire il senso provvidenziale di ciò che accade, e ci aprirà
verso risposte nuove e responsabili. Il compito per l’oggi di Dio
è mantenere viva quella riserva di
libertà che ci fa essere noi stessi, ci
permette di rispettare e apprezzare
la vita degli altri e di donare la nostra per la famiglia e per la comunità umana.
Tenedo presente l’impegno consegnatoci dalla Chiesa per il prossimo decennio, “Educare alla vita
buona del Vangelo”, e “l’Anno
della fede”, nei quattro numeri
di Nazareth 2013 cercheremo di
approfondire la relazione come
caratterizzante l’essere umano.
Partiremo con l’analizzare la prima esperienza di relazione in famiglia ( n. 1); con se stessi (n. 2);
negli ambienti di vita (n. 3); con
Dio e con la Chiesa (n. 4).
La famiglia è il luogo di formazione
continua: per la coppia nella cura reciproca e nell’esercizio per “diventare genitori”; per i figli nel lasciarsi
amare e guidare per raggiungere la
vera autonomia e identità personale; per i nonni nel riconoscimento
di essere la “radice” solida delle relazioni parentali. Inoltre, l’incontro
tra famiglie, per apprezzare l’ essenzialità dei valori pur nelle diversità
culturali e così maturare una reale
fratellanza. La centralità del nostro
annuncio è posta sulla relazione
che educa e fa crescere, e sulla sfida della relazione con l’Altro, con
la trascendenza: “L’essere umano
è relazione: io sono me stesso solo
nel tu e attraverso il tu, nella relazione dell’amore con il Tu di Dio e
il tu degli altri”( Benedetto XVI ud.
06 febbraio 2013).
Affronteremo poi la relazione con
se stessi come cammino verso una
formazione integrale, quella unificazione-semplicità che dispone
e orienta alla scelta fondamentale,
ad una risposta libera e ferma alla
propria vocazione. Proseguiremo
la ricerca attraverso le relazioni
negli ambienti di vita, nel dialogo
con Dio, nella partecipazione alla
vita ecclesiale e sociale; nel rapporto con il mondo, con la natura
e con le varie espressioni creative.
Siamo nell’epoca digitale, questa
dimensione è determinante nella formazione specialmente dei
giovani. La tecnologia tende a facilitare gli scambi interpersonali.
Abitare i nuovi mezzi di comunicazione con intelligenza e responsabilità è fondamentale perchè le
relazioni personali si rafforzino
positivamente.“Le porte delle reti
sociali diventano un’occasione in
più per far crescere le relazioni e
la nostra fede, uscire continua-
mente da noi, per andare verso gli altri, presenza di Dio nella
storia”(Benedetto XVI ud. 23 gennaio 2013).
La relazione corretta, equilibrata con i social network potrebbe
anche contribuire allo sviluppo
del senso critico, alla maturazione
della coscienza civile, al discernimento di proposte concrete per il
bene comune, per scelte politiche
e valoriali. “ Dove tutto si misura
col denaro non è possibile che la
vita dello Stato si svolga giusta e
prospera”(Tommaso Moro).
Se rivolgiamo una sincera attenzione alla testimonianza evangelica,
siamo incoraggiati a percorrere il
cammino di crescita attraverso le
relazioni, nonostante i conflitti e le
fatiche. “...Gesù, il Figlio di Dio, è
in una relazione filiale perfetta con
il Padre, si abbassa, diventa il servo,
percorre la via dell’amore umiliandosi fino alla morte di croce, per
rimettere in ordine le relazioni con
Dio.” (Benedetto XVI ud. 06 febbraio 2013). Non è un percorso facile: la formazione offerta in famiglia,
scuola pratica di relazioni, talvolta
può risultare deludente perchè urta
contro certe resistenze segrete, che
ben chiarite e smascherate, prima in
noi adulti, predispongono le nuove
generazioni all’accoglienza di ciò
che è sostanza nella vita: se stessi, gli altri, Dio. Parole, gesti, tutto
quello che accade in famiglia, però,
deve riscaldare il cuore. È il cuore il
motore profondo di ogni vera relazione e crescita nella fiducia e nella
gioia (cfr Lc 24, 13-35).
Sr. Maria Angelica Cavallon
Nazareth 1 - 2013 | 1
Lettera della Madre
La relazione... in famiglia
Educare per far crescere la vita
D
a sempre e in tutte le culture la famiglia ha un fondamentale compito generativo, non solo nel senso biologico
di dare la vita ma anche come capacità di generare l’umano, cioè di
contribuire in modo determinante
alla formazione della coscienza
personale. Tutto passa attraverso
la relazione con i genitori: l’immagine di sé, il ruolo dell’altro, la
visione del mondo, la formazione
dell’idea di Dio. Naturalmente crescendo ciascuno di noi cambia e
può modificare molte delle rappresentazioni infantili e giovanili, ma
la matrice fondamentale rimane
quella impressa nei primi anni di
vita, costruita attraverso il rapporto
vitale e prolungato con i genitori, il
cui compito fondamentale è quello
di educare per far crescere la vita.
Riflettiamo un momento sul concetto di “far crescere”. Cosa significa e dove trova fondamento questo
compito? Leggendo la Bibbia scopriamo che la prima parola di Dio
all’uomo è un appello alla crescita:
“Siate fecondi, moltiplicatevi, riempite la terra” (Gn 1,28). Il Creatore benedice la vita perché si sviluppi e l’uomo cresca nella libertà
e nella relazione con Lui. La prima
parola che il vangelo dice di Gesù
è che “cresceva in sapienza, età e
grazia” (Lc 2, 52) e tutto il percorso
terreno del Figlio di Dio è descritto
come un cammino di crescita della Luce che è entrata nel mondo, è
stata oscurata nella passione e morte e ha trionfato nella risurrezione.
Anche il Regno di Dio è annunciato con parabole che indicano uno
sviluppo (il seme, il lievito…). Per
2 | Nazareth 1 - 2013
questo il primo “sì” dell’uomo a
Dio è un sì alla vita e alla crescita.
Ma ciò non è facile, perché crescere
è rischioso e chiede una scelta: lasciare ciò che conosciamo e ci dà
sicurezza per affrontare l’ignoto
che ci fa paura. Per questo il ruolo
della famiglia è fondamentale, perché si cresce innanzitutto dentro
le relazioni, e quelle con i genitori
sono determinanti. Un bambino
diventa uomo solo in risposta alla
parola del papà e della mamma che
lo chiamano a entrare in relazione con altri. E il modo in cui noi
costruiamo questo rapporto è lo
stesso che poi mettiamo in atto con
Dio: la fede adulta va di pari passo
con la relazione adulta. Ma crescere nelle relazioni è faticoso perché
significa accettare le “morti” che
l’incontro con l’altro ci fa vivere:
distacchi, delusioni, infedeltà…
Il compito immenso di far crescere
la vita è svolto dalla famiglia attraverso quel processo che chiamiamo “educazione”. Questo termine
è molto usato, ma con significati
diversi; credo che in un’ottica cristiana significhi innanzitutto gratitudine e rispetto verso il mistero
della vita, riconosciuta come dono
immenso e prezioso. La vita ha le
sue leggi, i suoi ritmi e le sue tappe di crescita che vanno accolte e
orientate verso il dono di sé come
espressione di amore libero e gratuito. I genitori, come adulti che hanno esperienza della vita, sono chiamati a testimoniare che l’esistenza
ha senso ed è protesa verso una
speranza che non viene meno. Essi
hanno il compito di sostenere i figli
nelle prove e nelle difficoltà della
crescita, non sostituendosi ma mostrando con le loro scelte e i loro atteggiamenti che vale la pena affrontare gli ostacoli con fiducia perché
siamo amati e chiamati a trafficare
i talenti ricevuti per crescere nella
nostra umanità. È fondamentale in
questo processo il tipo di rapporto
che si instaura nella famiglia: se si
creano spazi di fiducia e sana libertà i figli sentono di potersi esporre
e mettere in gioco senza provare
paura o sentirsi giudicati.
Sappiamo bene però quanto questo sia difficile e sperimentiamo
ogni giorno tutta la nostra fragilità che ci porta a cedere e a scoraggiarci. Oggi la famiglia si sente
incapace di far fronte al suo compito senza l’aiuto del contesto circostante: la scuola, la parrocchia,
le agenzie educative del territorio,
i mezzi di comunicazione… Allora si ripiega su se stessa e diventa
principalmente il luogo degli affetti e della protezione difensiva
dall’esterno piuttosto che lo spazio
della trasmissione dei valori e dei
significati. Sono le relazioni l’ambito più faticoso e problematico,
la loro frammentarietà e inconsistenza è la causa di tanti fallimenti
familiari, che portano con sé sofferenza e ferite che i minori vivono
con disagio e senso di impotenza.
C’è allora innanzitutto da ricostruire un tessuto di fiducia reciproca
e di credibilità, perché la crisi di
fede in Dio che oggi respiriamo è
prima di tutto difficoltà a fidarsi
dell’altro. In questo senso credo
sia fondamentale che gli adulti, e
in particolare i genitori, si propongano come figure di riferimento
Lettera della Madre
affidabili, cioè coerenti, disposte a
offrire i significati della vita, capaci
di ascoltare i figli, di accogliere le
loro paure, di incoraggiarli ad affrontarle in vista di una crescita.
Così ha fatto Gesù: ha incontrato la
gente del suo tempo nel luogo quotidiano di vita e vi ha fatto emergere quella fiducia che già aveva
dentro di sé. Diceva infatti dopo un
miracolo: “La tua fede ti ha salvato”. Gesù è cresciuto umanamente
in questa capacità di ascolto e dialogo, di promozione dell’altro e di
fiducia, non solo attraverso la relazione esclusiva con il Padre ma anche nelle relazioni quotidiane con
Maria e Giuseppe. Anche per questi genitori “particolari” non tutto è
stato facile: pensiamo alla fatica di
accogliere e comprendere il progetto di Dio che chiedeva la rinuncia
a legittime aspirazioni umane, al
pericolo corso con la strage degli
innocenti e la fuga in Egitto, e poi
la ricerca ansiosa di Gesù a Gerusalemme, tra i dottori nel Tempio.
Maria e Giuseppe non comprendono l’atteggiamento del figlio,
e si crea un momento di tensione
nei rapporti all’interno della famiglia. Eppure Maria serba ogni cosa
nel suo cuore accettando che non
tutto sia chiaro. A Nazareth Gesù
vive relazioni autentiche, crescendo nella fede e nell’umanità, e così
anche nel momento più drammatico, sotto la croce, il legame di amore famigliare non si spezza: Maria
rimane accanto al figlio, sofferente
ma fedele, e Gesù la affida al discepolo prediletto.
Il magistero della Chiesa, anche nei
documenti più recenti, ha prestato grande attenzione alla famiglia,
riconosciuta sia come ambito di
testimonianza dell’essere cristiani
(così come lo è la vita pubblica, il
lavoro, i vari servizi che si svolgono nella chiesa e nella società - cfr.
Porta fidei, n.13), sia come una delle dimensioni di fondo della vita
dell’uomo, dove avviene la prima
evangelizzazione: “…la trasmissione della fede nel susseguirsi delle
generazioni ha trovato un luogo
naturale nella famiglia. In essa (…)
i segni della fede, la comunicazio-
ne delle prime verità, l’educazione
alla preghiera, la testimonianza
dei frutti dell’amore sono stati immessi nell’esistenza dei fanciulli e
dei ragazzi, nel contesto della cura
che ogni famiglia riserva per la crescita dei suoi piccoli (…). La vita
familiare è il primo luogo in cui il
Vangelo si incontra con l’ordinarietà della vita e mostra la sua capacità di trasfigurare le condizioni
fondamentali dell’esistenza nell’orizzonte dell’amore” (Messaggio
dei vescovi al termine del Sinodo
sull’evangelizzazione, n.7).
Se queste riflessioni si traducono
sempre più in scelte pastorali di
promozione della famiglia, di cura
per la sua evangelizzazione, di attenzione alle sue ferite, di proposta di percorsi di primo e secondo
annuncio, allora la famiglia può
sentirsi meno sola e più sostenuta
nel suo compito fondamentale di
educare per far crescere la vita.
Ad ogni abbonato, auguro di cuore Lieta e Santa Pasqua.
Sr. Angela Merici Pattaro
Superiora generale
Nazareth 1 - 2013 | 3
Formazione
Famiglia: tempo della relazione
Esperienza di tenerezza e di accoglienza di se stessi
P
erché una persona dovrebbe
farsi una famiglia invece di
continuare a vivere la sua affettività nella coppia e nella convivenza? A quale bisogno risponde la
famiglia? Non voglio entrare nelle
indagini sociologiche, nell’impatto
economico o nell’aspetto religioso
che ci presentano la famiglia come
un valore o comunque una presenza importante. Mi limito, invece, a
mettere in evidenza che ciascuno
di noi desidera con tutte le forze di
essere amato e di amare, e per questo desiderio viene ferito costantemente perfino in famiglia, luogo
primo di antichi e biblici conflitti.
4 | Nazareth 1 - 2013
Da questa constatazione sembra
che non siamo liberati neppure dal
Signore: “Pensate che io sia venuto
a portare la pace sulla terra? No, vi
dico, ma la divisione. D’ora innanzi in una casa di cinque persone si
divideranno tre contro due e due
contro tre; padre contro figlio e
figlio contro padre, madre contro
figlia e figlia contro madre, suocera
contro nuora e nuora contro suocera” (Lc 12, 51-53).
Ascoltare questa Parola potrebbe
gettarci nello confronto o nella rassegnazione, potrebbe farci dire: “Se
anche il Signore ci parla di conflitti
e contrapposizioni: quale speranza
per poter credere e scommettere
ancora sulla famiglia?”. A mio avviso, la risposta ci viene data proprio
prendendo sul serio questa Parola,
cogliendone la verità di fondo che
è questa: le relazioni più significative e fondamentali sono intessute
da conflitti, generano ferite, svelano verità profonde. Che vogliamo
fare? Rifiutiamo i conflitti per non
soffrire, oppure scegliamo di comprenderli per sperimentare un bene
più grande? Oramai si è largamente concordi nel ritenere che la ferita
più grave che si possa infliggere ad
una persona sia quella di non essere riconosciuta, stimata e dunque
amata per ciò che è, semplicemente
per la sua presenza. Questo fa nascere in noi una lotta contro le voci
interiori che ci dicono che non siamo abbastanza bravi, intelligenti o
attraenti, che non siamo “degni” di
amore. Cresce con noi, cresce fra i
fratelli, la competizione nel conquistarsi l’amore, l’attenzione dell’altro, della mamma e del papà. Uno
sforzo e una fatica destinati inesorabilmente a deluderci. Nessuno riesce a darci ciò che profondamente
sentiamo: siamo unici e vogliamo
essere amati per questa unicità.
Cerchiamo ancora di mostrare che
valiamo, che meritiamo attenzione,
riconoscimento… tutto questo per
la paura di non essere amati a sufficienza. Si apre e diventa più profonda e a volte oscura la solitudine
e la mancanza di rispetto di sé. Si
potrebbe continuare ancora sulle conseguenze e le dinamiche di
questa mancanza di amore, ma occorre accettare il fatto che non può
esistere nessuno che possa darci
l’amore totale, esclusivo, profondo,
così come noi lo desideriamo. Che
fare allora? Si può cominciare con
il provare tenerezza e accoglienza
per noi stessi, con il guardarci con
occhi benevoli, riconoscendoci
destinatari di questo atto d’amore
nostro nei nostri confronti. Se cresciamo nella consapevolezza che
l’amore è solo gratuito, non si merita e non si compra, allora cominceremo a guardare alla nostra ferita
della mancanza d’amore come allo
Le relazioni più
significative e
fondamentali
sono intessute da
conflitti, generano
ferite, svelano
verità profonde
Formazione
spazio della presenza dell’altro che
non poteva non ferirci, perché non
poteva darci tutto l’amore che chiedevamo. La persona che per primi
ci ha accolti, accettati, ci ha dato
l’amore di cui era capace: ci ha dato
tutto perché ci ha dato se stessa.
In questa prospettiva è possibile
pensare alla famiglia come ad una
relazione nuova, capace di partire non dalle aspettative, ma dalla
concretezza dell’accoglienza. Mi
piace pensare la famiglia come
al tempo della relazione: la fami-
Si può cominciare
con il provare
tenerezza
e accoglienza
per noi stessi
glia, nella sua progettualità, nello
scambio reciproco dell’impegno a
sostenersi, consente che ogni conflitto abbia il tempo di esprimersi
per far vivere, per riconoscere la
persona che lo porta e lo soffre.
In questo modo la famiglia non si
identifica con un luogo, un’idea,
un modello, ma come un agire in
favore della vita, in favore di un
nuovo individuo che reclama la
sua presenza e il suo bisogno di
essere amato. Tutte le volte che
sarà dato spazio all’accoglienza
del diverso e del nuovo da amare saranno poste le premesse per
costruire ed essere famiglia. Solo
accettando di guardare con occhi
nuovi il valore autentico della famiglia riusciremo a smascherare le
aspettative, a rifiutare gli stereotipi
ed evitare le illusioni.
Anna Pia Viola
Famiglia luogo di cura
Per poter affrontare con realismo e serenità
l’infermità e la sofferenza della vita
Q
uello dei malati cronici e
non autosufficienti è uno
dei grandi problemi che la
medicina moderna si trova oggi a
dover risolvere.
L’allungarsi dell’età media della
popolazione, infatti, l’aumento
delle persone con patologie cronico-degenerative-tumorali e le
migliori possibilità di intervento
terapeutico anche in situazioni
molto critiche (intervento che permette la sopravvivenza ma spesso
non consente la guarigione) hanno comportato un significativo
incremento di situazioni cliniche
molto critiche, complesse e difficili
da gestire. E in questa drammatica
realtà della sofferenza viene sempre più coinvolta la famiglia.
È ormai noto a tutti che le riforme
socio-sanitarie degli ultimi decenni hanno spostato il luogo di cura
del malato dall’ospedale al territorio, ovvero hanno privilegiato l’assistenza domiciliare a quella ospedaliera. E se, da una parte, questa
scelta può essere considerata molto positiva (pensiamo ai notevoli
benefici psicologici che si ottengono al malato, alla riduzione dei
costi, alla opportunità di gestire
tante situazioni a domicilio…)
dall’altra non è priva di rischi. In
molte realtà, infatti, alla progressiva riduzione dei tempi di degenza
ospedaliera non è corrisposta una
sufficiente organizzazione dell’assistenza nel territorio, e la famiglia
si trova pertanto sovraccaricata di
onerosi fardelli e spesso obbligata
a occuparsi di tutto.
Si comprende allora perché è stato scritto che “la famiglia è la più
grande Ulss d’Italia”! ...probabilmente perché in Italia, così come
in molti paesi, è la famiglia il principale ente di assistenza ai malati
cronici, in assenza di un valido
aiuto da parte del Servizio Sanitario Nazionale.
È vero che, in genere, la disponibi-
La famiglia
anche se disponibile
non sempre
riesce
a rispondere
ai bisogni
del malato
non auto-sufficiente
lità della famiglia italiana nei confronti del malato non auto-sufficiente è molto grande. Ma spesso,
i rapporti familiari anche se buoni,
non sempre riescono a far fronte
alle impegnative necessità di assistenza di questi pazienti; a volte
il carico assistenziale può addirittura destrutturare completamente
equilibri familiari preesistenti…
soprattutto in questo preciso tempo storico che si caratterizza per
enormi cambiamenti sociali-culturali.
La famiglia in particolare sta attraversando una crisi senza preceden-
Nazareth 1 - 2013 | 5
Formazione
ti e manifesta una fragilità strutturale che la rende spesso incapace
di reagire alle difficoltà e alle sofferenze della vita. Non si trovano
più le famiglie tradizionali ‘estese’
di un tempo ma quelle moderne
‘ristrette’, create tramite matrimonio o convivenza, con pochi componenti e nuove tipologie: famiglie
mono-parentali, famiglie divise e
poi ricomposte, famiglie costituite
da una sola persona, con conseguenti ulteriori complicazioni.
E se pensiamo che spesso a occuparsi della cura e assistenza del
malato cronico è la donna che
lavora (a sua volta già coinvolta
nella gestione della propria famiglia) comprendiamo come risulti
ancora più difficile far conciliare le
esigenze dell’assistenza con quelle
del lavoro (non sono infrequenti licenziamenti o interruzioni di
rapporto di lavoro a motivo di ciò)
e talora ancor più impegnativo far
fronte ai costi legati alla cura del
malato cronico (badante, spese sanitarie, altro…).
Eppure tutti abbiamo bisogno
dell’affetto dei nostri familiari per
6 | Nazareth 1 - 2013
Ci sono famiglie
che affrontano
con coraggio
situazioni
attraversate
dalla Croce
lasciandosi
guidare
da valori
umani e
soprannaturali
sentirci amati, della loro protezione per sentirci sicuri, della loro
compagnia per non vederci abbandonati, della loro comprensione e
pazienza per non considerarci un
peso e un disturbo. Abbiamo bisogno del loro aiuto per poter affrontare con realismo e serenità l’infermità e la sofferenza della vita.
Chi opera nelle istituzioni sanita-
rie e socio-sanitarie incontra necessariamente le famiglie dei ricoverati e tutti i giorni fa esperienza
di quanto sia difficile la relazione
tra familiari e operatori sanitari.
L’inadeguatezza della comunicazione a volte dipende dai familiari che, sotto tensione, travalicano
i limiti dell’educazione, avanzano
eccessive pretese, offendono e minacciano di perseguire penalmente i sanitari. Altre volte dipende
dagli operatori che non hanno
acquisito quella capacità comunicativo-relazionale necessaria per
integrare armoniosamente il curare e il prendersi cura, la tecnica e
l’umanità, le mani e il cuore.
Quello che si osserva è che non
tutte le famiglie sono disponibili
all’accoglienza. Tuttavia ci sono
famiglie (e sono molte) per le quali
la cura dei propri componenti malati o disabili è una priorità, intesa
come espressione di un amore fedele che non è diminuito o spento
dal sopraggiungere della malattia;
ci sono famiglie che affrontano
con coraggio situazioni attraversate dalla Croce lasciandosi guidare
da valori umani e soprannaturali, e nelle quali i difficili momenti
della prova vengono trasformati
in occasione di crescita; famiglie
in cui si accoglie la vita e la si serve con dedizione, amore, generosità (anche e soprattutto quando
si tratta di vita ‘fragile’); famiglie
che si riconoscono come ‘dono’ e
come ‘sacramento’ pur nelle difficoltà, a imitazione della famiglia di
Nazareth.
Della loro silenziosa e straordinaria testimonianza ha quanto mai
bisogno la società d’oggi… poiché
sappiamo che niente è più convincente e stimolante di un ideale
incarnato, divenuto realtà vissuta
attraverso un esempio concreto!
Emma Provoli
Magistero
La “Porta della fede”
Continua la pubblicazione della lettera apostolica di Benedetto XVI
per l’Anno della fede. Invitiamo i lettori
all’approfondimento personale dei contenuti
6.
Il rinnovamento della
Chiesa passa anche attraverso la testimonianza
offerta dalla vita dei credenti: con
la loro stessa esistenza nel mondo
i cristiani sono infatti chiamati a
far risplendere la Parola di verità
che il Signore Gesù ci ha lasciato.
Proprio il Concilio, nella Costituzione dogmatica Lumen gentium,
affermava: «Mentre Cristo, “santo, innocente, senza macchia” (Eb
7,26), non conobbe il peccato (cfr
2Cor 5,21) e venne solo allo scopo di espiare i peccati del popolo
(cfr Eb 2,17), la Chiesa, che comprende nel suo seno peccatori ed
è perciò santa e insieme sempre
bisognosa di purificazione, avanza continuamente per il cammino della penitenza e del rinnovamento. La Chiesa “prosegue il suo
pellegrinaggio fra le persecuzioni
del mondo e le consolazioni di
Dio”, annunziando la passione e la
morte del Signore fino a che egli
venga (cfr 1Cor 11,26). Dalla virtù
del Signore risuscitato trae la forza
per vincere con pazienza e amore
le afflizioni e le difficoltà, che le
vengono sia dal di dentro che dal
di fuori, e per svelare in mezzo al
mondo, con fedeltà anche se non
perfettamente, il mistero di lui,
fino a che alla fine dei tempi esso
sarà manifestato nella pienezza
della luce».
L’Anno della fede, in questa prospettiva, è un invito ad un’auten-
tica e rinnovata conversione al Signore, unico Salvatore del mondo.
Nel mistero della sua morte e risurrezione, Dio ha rivelato in pienezza l’Amore che salva e chiama
gli uomini alla conversione di vita
mediante la remissione dei peccati
(cfr At 5,31). Per l’apostolo Paolo,
questo Amore introduce l’uomo
ad una nuova vita: «Per mezzo del
battesimo siamo stati sepolti insieme a lui nella morte, perché come
Cristo fu risuscitato dai morti per
mezzo della gloria del Padre, così
anche noi possiamo camminare in
una nuova vita» (Rm 6,4). Grazie
alla fede, questa vita nuova plasma tutta l’esistenza umana sulla
radicale novità della risurrezione.
Nella misura della sua libera disponibilità, i pensieri e gli affetti,
la mentalità e il comportamento
dell’uomo vengono lentamente purificati e trasformati, in un
cammino mai compiutamente terminato in questa vita. La «fede che
si rende operosa per mezzo della
carità» (Gal 5,6) diventa un nuovo
criterio di intelligenza e di azione
che cambia tutta la vita dell’uomo
(cfr Rm 12,2; Col 3,9-10; Ef 4,2029; 2Cor 5,17).
7. «Caritas Christi urget nos»
(2Cor 5,14): è l’amore di Cristo
che colma i nostri cuori e ci spinge ad evangelizzare. Egli, oggi
come allora, ci invia per le strade
del mondo per proclamare il suo
Vangelo a tutti i popoli della terra
(cfr Mt 28,19). Con il suo amore,
Gesù Cristo attira a sé gli uomini
di ogni generazione: in ogni tempo Egli convoca la Chiesa affidandole l’annuncio del Vangelo, con
un mandato che è sempre nuovo.
Per questo anche oggi è necessario
un più convinto impegno ecclesiale a favore di una nuova evangelizzazione per riscoprire la gioia
Nazareth 1 - 2013 | 7
Magistero
nel credere e ritrovare
l’entusiasmo nel comunicare la fede. Nella quotidiana riscoperta del suo amore
attinge forza e vigore
l’impegno missionario dei credenti che
non può mai venire
meno. La fede, infatti,
cresce quando è vissuta come esperienza
di un amore ricevuto
e quando viene comunicata come esperienza di grazia e di gioia.
Essa rende fecondi,
perché allarga il cuore
nella speranza e consente di offrire una testimonianza capace di
generare: apre, infatti,
il cuore e la mente di
quanti ascoltano ad
accogliere l’invito del
Signore di aderire
alla sua Parola per diventare suoi discepoli. I credenti, attesta
sant’Agostino, «si fortificano credendo».
Il santo Vescovo di Ippona aveva
buone ragioni per esprimersi in
questo modo. Come sappiamo,
la sua vita fu una ricerca continua della bellezza della fede fino
a quando il suo cuore non trovò
riposo in Dio. I suoi numerosi
scritti, nei quali vengono spiegate
l’importanza del credere e la verità della fede, permangono fino ai
nostri giorni come un patrimonio
di ricchezza ineguagliabile e consentono ancora a tante persone in
ricerca di Dio di trovare il giusto
percorso per accedere alla “porta
della fede”.
Solo credendo, quindi, la fede cresce e si rafforza; non c’è altra possibilità per possedere certezza sulla
8 | Nazareth 1 - 2013
propria vita se non abbandonarsi,
in un crescendo continuo, nelle
mani di un amore che si sperimenta sempre più grande perché
ha la sua origine in Dio.
8. In questa felice ricorrenza, intendo invitare i Confratelli Vescovi di tutto l’orbe perché si uniscano al Successore di Pietro, nel
tempo di grazia spirituale che il
Signore ci offre, per fare memoria
del dono prezioso della fede. Vorremmo celebrare questo Anno in
maniera degna e feconda. Dovrà
intensificarsi la riflessione sulla
fede per aiutare tutti i credenti in
Cristo a rendere più consapevole
ed a rinvigorire la loro adesione
al Vangelo, soprattutto in un momento di profondo cambiamento
come quello che l’umanità sta vivendo.
Avremo l’opportunità
di confessare la fede
nel Signore Risorto
nelle nostre Cattedrali e nelle chiese di
tutto il mondo; nelle
nostre case e presso le nostre famiglie,
perché ognuno senta
forte l’esigenza di conoscere meglio e di
trasmettere alle generazioni future la fede
di sempre. Le comunità religiose come
quelle parrocchiali, e
tutte le realtà ecclesiali antiche e nuove,
troveranno il modo,
in questo Anno, per
rendere pubblica professione del Credo.
9. Desideriamo che
questo Anno susciti in
ogni credente l’aspirazione a confessare
la fede in pienezza e
con rinnovata convinzione, con fiducia e speranza. Sarà un’occasione
propizia anche per intensificare la
celebrazione della fede nella liturgia, e in particolare nell’Eucaristia,
che è «il culmine verso cui tende
l’azione della Chiesa e insieme la
fonte da cui promana tutta la sua
energia». Nel contempo, auspichiamo che la testimonianza di
vita dei credenti cresca nella sua
credibilità. Riscoprire i contenuti della fede professata, celebrata,
vissuta e pregata, e riflettere sullo
stesso atto con cui si crede, è un
impegno che ogni credente deve
fare proprio, soprattutto in questo
Anno.
Non a caso, nei primi secoli i cristiani erano tenuti ad imparare a
Magistero
Solo
credendo
la fede
cresce e
si rafforza
memoria il Credo. Questo serviva
loro come preghiera quotidiana
per non dimenticare l’impegno
assunto con il Battesimo. Con parole dense di significato, lo ricorda
sant’Agostino quando, in un’Omelia sulla redditio symboli, la consegna del Credo, dice: «Il simbolo
del santo mistero che avete ricevuto tutti insieme e che oggi avete
reso uno per uno, sono le parole
su cui è costruita con saldezza la
fede della madre Chiesa sopra il
fondamento stabile che è Cristo
Signore … Voi dunque lo avete ricevuto e reso, ma nella mente e nel
cuore lo dovete tenere sempre presente, lo dovete ripetere nei vostri
letti, ripensarlo nelle piazze e non
scordarlo durante i pasti: e anche
quando dormite con il corpo, dovete vegliare in esso con il cuore».
Benedetto XVI
L’annuncio
di Benedetto XVI
Carissimi Fratelli, vi ho convocati a questo Concistoro non solo per le tre
canonizzazioni, ma anche per comunicarvi una decisione di grande importanza per la vita della Chiesa. Dopo aver ripetutamente esaminato la
mia coscienza davanti a Dio, sono pervenuto alla certezza che le mie forze,
per l’età avanzata, non sono più adatte per esercitare in modo adeguato il
ministero petrino. Sono ben consapevole che questo ministero, per la sua essenza spirituale, deve essere
compiuto non solo con le opere e con le parole, ma non meno soffrendo e pregando. Tuttavia, nel mondo di oggi, soggetto a rapidi mutamenti e agitato da questioni di grande rilevanza per la vita della fede,
per governare la barca di San Pietro e annunciare il Vangelo, è necessario anche il vigore sia del corpo,
sia dell’animo, vigore che, negli ultimi mesi, in me è diminuito in modo tale da dover riconoscere la
mia incapacità di amministrare bene il ministero a me affidato. Per questo, ben consapevole della gravità di questo atto, con piena libertà, dichiaro di rinunciare al ministero di Vescovo di Roma, Successore
di San Pietro, a me affidato per mano dei Cardinali il 19 aprile 2005, in modo che, dal 28 febbraio 2013,
alle ore 20.00, la sede di Roma, la sede di San Pietro, sarà vacante e dovrà essere convocato, da coloro a
cui compete, il Conclave per l’elezione del nuovo Sommo Pontefice. Carissimi Fratelli, vi ringrazio di
vero cuore per tutto l’amore e il lavoro con cui avete portato con me il peso del mio ministero, e chiedo
perdono per tutti i miei difetti. Ora, affidiamo la Santa Chiesa alla cura del suo Sommo Pastore, Nostro
Signore Gesù Cristo, e imploriamo la sua santa Madre Maria, affinché assista con la sua bontà materna
i Padri Cardinali nell’eleggere il nuovo Sommo Pontefice. Per quanto mi riguarda, anche in futuro,
vorrò servire di tutto cuore, con una vita dedicata alla preghiera, la Santa Chiesa di Dio.
BOLLETTINO N. 0089 - 11.02.2013
Dal Vaticano, 10 febbraio 2013 BENEDICTUS
Nazareth 1 - 2013 | 9
Carisma
Amare sino alla fine
(Gv 13,1)
“A
mare sino alla fine”
non è un’espressione
consueta nel linguaggio dei nostri Fondatori, è, però, la
sostanza della loro vita, il filo conduttore della loro esistenza.
Lo hanno appreso nella consuetudine con l’Eucarestia, “modello e
chiave di lettura di ogni relazione
umana”. La celebrazione eucaristica dice “il modo di essere uomo
che Gesù ha incarnato nella storia,
facendosi dono fino al sacrificio di
sé sulla croce ...per poi giungere alla
risurrezione...nella comunione piena con il Padre”. È questo l’itinerario per stabilire relazioni autentiche
e durature, il “modo di rapportarci
con l’Altro e con gli altri”. Ogni relazione ha, dunque, alla base l’uscire
dalla propria soggettività, dal porre
tutto in funzione dell’affermazione
di sé per farsi dono attraverso scelte
radicali che impegnano mente, cuore e volontà, esprimono al massimo
le nostre possibilità e soddisfano
al bisogno profondo di appartenere a qualcuno (l’altro, la comunità, Dio...). Mentre si afferma così
la nostra identità, ci riconosciamo
persone capaci e interiormente desiderose di aprirci all’altro nella reciprocità del dono.
È stata questa l’esperienza dei nostri
Fondatori: la loro vita interamente
impostata sulla radicalità del dono,
penetrata dalla passione per la “salvezza delle anime”, era aperta alle
relazioni più vere ed intense. Comuni sentimenti, pensieri ed interessi li legavano in un rapporto di
Padre e Figlia che diventava promozione di ciascuno e apertura dell’uno verso l’altro e verso tutti. Era
10 | Nazareth 1 - 2013
La vita
dei nostri
Fonadatori
interamente
impostata sulla
radicalità del
dono, penetrata
dalla passione per
la “salvezza delle
anime”, era aperta
alle relazioni più
vere ed intense
piena la fiducia della Figlia verso il
Padre, al quale si affidava nella certezza di un progressivo crescere in
quella maturazione umana e spirituale che l’avrebbe resa vera madre
per le sorelle. Mente e cuore erano
coinvolti: non un rapporto freddo
e asettico, ma carico di “calore e di
colore”, dalle poche espressioni di
affetto, ma dai tanti gesti di attenzione, di cura, di promozione, di
stima e di apprezzamento del vicendevole operato. Il Padre si sentiva
sostenuto e incoraggiato dalla Madre e la Madre avvertiva che il Padre
contava su di lei, che doveva essere
“la prima in tutto”, per indicare la
strada giusta in un Istituto che stava
avviandosi. Rientravano in questa
intensa relazione anche i rispettivi
limiti e debolezze: tutto era condiderato come prova che genera la
pazienza dalla quale nasce la carità
(Cfr Gc 1,1), come motivo di formazione di una personalità robusta
di fronte alle varie vicende e difficoltà della vita. Una tale relazione
è aperta, coinvolge le altre persone,
non teme confronti, esclude ogni
rivalità o gelosia; soffre della lontananza, perché avverte la bellezza e
la dolcezza dello stare insieme, ma
va sicura dove la missione la chiama, perché ciascuna persona cara
vive nel cuore dell’altra e quello che
preme è l’obiettivo comune, il progetto di vita da realizzare. Infatti,
quando il Padre coinvolge M. Fortunata, sorella di maggiore cultura
e capacità organizzativa, nell’avvio
delle opere, M. Maria gode di avere una sorella alla quale “rivolgersi
per avere consiglio,...per confidare
pene e angustie” e si rammarica di
non poterlo più fare, quando deve
distaccarsene, perché l’Istituto cresce e altre comunità nascono con la
necessità di essere guidate, ma sente
la grandezza e la preziosità di una
rete di affetti e di relazioni che si va
estendendo e che diventa l’avanzare
del Regno di amore e di pace, per il
quale spende la vita.
Madre Maria conservava sempre
un atteggiamento di grande rispetto e devozione verso colui che
era Padre e Pastore, sia per la considerazione coltivata verso il ministero pastorale del Parroco e Fondatore, sia per la differenza di età
e di compiti sia per la cultura del
tempo che poneva la donna nella
sudditanza, in particolare la religiosa guidata e spesso dipendente
da un confessore o direttore spirituale. Ella, però, è stata la donna
dalla personalità chiara e decisa,
Esperienza
L’amore
di Madre Maria
era Cristo
Signore: egli, con
la sua venuta,
ci ha rivelato le
relazioni dentro
la Trinità come
amore reciproco
fra le tre persone
dai sentimenti forti, perché mossa
da un unico amore e da un unico
interesse: che le comunità fossero
“un cuore ed un’anima sola”. Il
suo amore era Cristo Signore: egli,
con la sua venuta, “evento essenzialmente di relazione” (P.Coda),
ci ha rivelato le relazioni dentro
la Trinità come amore reciproco
fra le tre persone, come dono di
ciascuna per la piena espressione
dell’altra. Da Cristo, perciò, apprendiamo, e solo da lui, relazioni vere e durature, intensamente
umane e divine. Questi discorsi
possono sembrare alti e difficili,
ma “Dio è amore” e dovunque c’è
un sentimento, un pensiero, un
gesto d’amore, c’è Dio e insieme la
pienezza dell’umanità, la radicalità del vivere e del donarsi in tutti i
campi e in tutte le situazioni della
vita, ciascuno secondo la sua vocazione e la sua condizione. Questo
comporta l’essere persone adulte,
persone che escono da sé, dal proprio egoismo che chiude e blocca,
per perseguire uno scopo alto nella vita, esprimendo tutta la nostra
capacità di dono e di amore, sperimentandone la bellezza e la gioia.
G.T.
La relazione al centro
Cercare in continuazione l’equilibrio
nelle proprie azioni, nelle proprie proposte,
nei propri giudizi
“I
l primo servizio che si
deve al prossimo è quello di ascoltarlo. Come
l’amore di Dio incomincia con
l’ascoltare la sua Parola, così l’inizio dell’amore per il fratello sta
nell’imparare ad ascoltarlo. Chi
non sa ascoltare il fratello, ben presto non saprà neppure più ascoltare Dio. Anche di fronte a Dio sarà
sempre lui a parlare”. Così scriveva il pastore Dietrich Bonhoeffer,
filosofo e teologo tedesco ucciso dai nazisti nel 1945, a soli 39
anni. L’uomo – ricordava sempre
Bonhoeffer – non deve rimanere
ai margini della realtà, dove non
rischia la fatica delle relazioni e si
isola nella sua comoda ed egoistica
solitudine, ma deve stare al centro,
dove ci sono gli altri uomini.
Le parole del teologo tedesco sono
senz’altro preziose per chi fa scuola, per chi educa: l’insegnamento,
lo sappiamo, non è utile né significativo se non passa prima attraverso l’ascolto dei bisogni di chi
abbiamo davanti, degli alunni, dei
giovani in generale. Un educatore che operi in totale solitudine
dalla sua posizione ex cathedra
probabilmente potrà comunicare
abbondanti e precise nozioni disciplinari, ma difficilmente potrà
davvero trasmetterle, far sì cioè
che chi ha davanti le faccia davvero proprie. Chiunque lavori nella
scuola, chiunque entri in aula e si
metta in rapporto con degli alunni giovani e giovanissimi, impiega
in genere poco tempo per scoprire
come la parte più sensibile, diffi-
Nazareth 1 - 2013 | 11
Esperienza
Stare nel luogo
dell’ascolto
reciproco e
della relazione,
è sicuramente
più complicato,
e richiede una
disponibilità
costante
cile e al contempo importante del
proprio “mestiere” consista proprio nel creare relazioni. Relazioni
che educhino e che facciano crescere. Relazioni che permettano
di costruire, di interagire, di comprendere i motivi per i quali siamo
qui, in questa stessa classe, tutti insieme, a parlare di letteratura, o a
“fare” matematica, o a valutare ciò
che sappiamo e che sappiamo fare.
E così via.
È difficile, certo, come dicevamo
poc’anzi. Più comodo sarebbe limitarsi a rispettare le programmazioni col cronometro alla mano,
imporre regole senza rispettarle o
spiegarne le ragioni, nascondersi
dietro ad un voto, positivo o negativo che sia, evitare le domande
perché dare risposte ci fa perdere
tempo, impostare i rapporti con
gli alunni come se fossimo su pianeti diversi oppure, al contrario,
come se fossero nostri amici. In
fondo tutti questi atteggiamenti
corrispondono un po’ allo “stare
ai margini”, nel luogo dove siamo
utili forse solo a noi stessi, ma probabilmente non lo siamo a chi ha
bisogno di noi. “Stare al centro”,
nel luogo dell’ascolto reciproco e
della relazione, è sicuramente più
12 | Nazareth 1 - 2013
complicato, e richiede una disponibilità costante, da parte nostra,
di metterci alla prova, di sbagliare e
ripartire dai nostri errori, di imparare dalla quotidianità dei rapporti
umani. L’insegnamento insomma
– così come senz’altro molti altri
servizi – è una missione fatta per
“stare al centro”, e “stare al centro”
significa anche cercare in continuazione l’equilibrio nelle proprie
azioni, nelle proprie proposte, nei
propri giudizi. Un insegnante che
non si metta in dubbio a questo
proposito, che non si chieda mai
o quasi mai “che cosa ho insegnato oggi? che cosa hanno imparato
da me i miei allievi? sono stato un
testimone credibile e coerente davanti ai loro occhi? ho risposto alle
loro domande o sono stato frettoloso?...” forse vive meglio con se
stesso, attraversa gli anni scolastici
senza deviazioni e tentennamenti,
ma è in grado di lasciare davvero
qualcosa? Forse sì, ma sicuramente
a scapito dei rapporti umani.
In molte indicazioni pedagogiche
odierne – quelle ad esempio che
i candidati dell’attuale concorso
a cattedre stanno studiando – si
parla di “centralità del discente”
nella scuola: l’alunno al centro
con l’educatore che gli gira attorno come un satellite. Venendo da
decenni in cui l’unica centralità è
stata quella dell’insegnante (della
sua figura carismatica e temibile,
più che della sua materia), si tratta
di una definizione comprensibilmente semplicistica. Al centro, in
realtà, non sta uno o l’altro, il maestro o l’allievo, mettendo ai margini ora il primo ora il secondo,
bensì la loro relazione. L’incontro
tra i due. Entrambi – insieme alle
famiglie, all’istituto, alla comunità,
alla società – sono il vero centro
della scuola. Un centro in dialogo
che, se rinuncia all’ascolto reciproco, rischia di rinunciare anche
all’educazione.
Andrea Cornale
Letteratura
Le relazioni familiari nella letteratura
Tante esperienze diverse per collocazione temporale
e geografica e per ambientazione sociale. È solo l’amore
che permette di affrontare insieme le difficoltà della vita
I
l tema della famiglia, in maniera più o meno diretta, è
presente in quasi tutte le opere letterarie e riesce quindi particolarmente difficile sceglierne
qualcuna più significativa di altre,
facendo torto a molte di pari valore. Per restringere un po’ il campo,
escluderemo per il momento la
produzione poetica, di cui parleremo magari in un’altra occasione, e
ci fermeremo alla prosa, con qualche accenno alla cinematografia
(che in fondo non è altro se non
narrativa per immagini).
I primi titoli che balzano alla mente,
parlando di famiglia, sono quelli di
grandissimi romanzi come I Malavoglia di Giovanni Verga o I Buddenbrook di Thomas Mann, ma ce
ne sono moltissimi altri (decisamente più facili da leggere), fra i quali –
come al solito… – mi permetto di
citare quelli che hanno incontrato
maggiormente il mio gradimento.
Come Dio comanda di Niccolò
Ammaniti (2006) ci propone una
famiglia assolutamente insolita,
formata da Rino Zena, uomo violento, brutale, volgare e squilibrato, perennemente disoccupato e
sempre in lotta con i servizi sociali
che minacciano costantemente di
togliergli la patria potestà, e dal figlio Cristiano, adolescente timido
e irrequieto, cui il padre è legato
da un amore viscerale e che tenta
di educare a suo modo, secondo i
suoi valori, con il fermo proposito
di insegnargli a difendersi da tutti.
La madre di Cristiano aveva ab-
bandonato il marito e il
figlio appena si era resa
conto di quale uomo
avesse sposato ed è
quindi del tutto assente
dalla vita della famiglia:
in compenso gravitano
su quest’ultima degli
amici che vivono ai
margini della società e
che sono accomunati
ai protagonisti del romanzo per la loro “diversità”. La
vicenda diventerà drammatica in
seguito alla morte violenta di una
compagna di scuola di Cristiano,
il quale dovrà far ricorso a tutte le
sue forze per superare la tragedia
che aveva sconvolto e coinvolto lui
stesso e gli altri membri della sua
cosiddetta “famiglia”. (Il romanzo è stato portato sullo schermo
da Gabriele Salvatores, che ne ha
fatto un film cupo e tenebroso, accentuando le atmosfere ed i caratteri dei personaggi, già piuttosto
inquietanti e disturbanti nel libro).
Opposto al precedente sotto tutti
gli aspetti, ma di consigliabile lettura, è l’ormai classico Lessico famigliare (sic) di Natalia Ginzburg
(1963), in cui l’autrice ripercorre
con la memoria la vita sua, e soprattutto dei suoi familiari, dall’avvento del fascismo al secondo dopoguerra, raccontando piccoli e
grandi avvenimenti inseriti però
sempre, malgrado la tragicità di
certuni (i Ginzburg erano ebrei),
in un contesto caratterizzato
dall’amore e dall’aiuto reciproco.
Lo stesso amore e lo
stesso aiuto troviamo
– pur se in forme molto diverse – nella serie
dei libri di Daniel Pennac che costituiscono
la saga della famiglia
Malaussène e specialmente ne Il paradiso
degli orchi, La prosivendola, Signori bambini
e Ultime notizie dalla
famiglia (anni ’90). Famiglia atipica, formata fondamentalmente
da fratelli e sorelle differenti per
età e per carattere, ma legati da un
affetto vero e soprattutto guidati
da sentimenti di grande moralità
e di incondizionata apertura verso il prossimo. Nel quartiere parigino di Belleville, infatti, vivono
persone di molteplici nazionalità,
lingue, religioni, tradizioni, storie
personali, ma l’atteggiamento che
domina è basato sulla solidarietà,
sull’accettazione dell’altro e sul
sostegno reciproco: questo il messaggio che emerge principalmente dai libri di Pennac, secondo il
quale la famiglia non deve essere
un nucleo chiuso all’esterno, ma
aperto ad una società aperta a sua
volta verso il resto del mondo.
Per concludere, vorrei suggerire
la visione di alcuni film nei quali
il tema della famiglia è trattato in
maniera diversa ma sempre interessante e coinvolgente.
Il capolavoro di Ermanno Olmi
L’albero degli zoccoli (1978) ci
racconta della durissima vita di
Nazareth 1 - 2013 | 13
Famiglia
Relazioni quotidiane
La qualità delle relazioni che stabiliamo con
i figli, giorno per giorno, li aiuta a crescere
e ad affrontare da soli alcune difficoltà
alcune famiglie di contadini bergamaschi alla fine dell’Ottocento,
quando il taglio di una pianta, per
fare un paio di zoccoli ad un figlio,
poteva costare la cacciata della famiglia intera da parte del padrone
della terra.
Rocco e i suoi fratelli (1960) di Luchino Visconti ci porta nella Milano degli anni ’50 e ci fa assistere
alle vicissitudini di cinque fratelli
lucani, emigrati al nord con l’anziana madre alla ricerca di una vita
migliore.
Mignon è partita (1988) e Il grande
cocomero (1993) di Francesca Archibugi ci mettono di fronte alla
trasformazione dei rapporti familiari nell’Italia degli anni Novanta
e infine Agata e la tempesta (2003)
di Silvio Soldini ci presenta in maniera ora brillante, ora comica, ora
drammatica varie forme di famiglia negli anni a noi più vicini.
Credo si sia potuto percepire
come ci sia qualcosa che accomuna tante esperienze diverse per
collocazione temporale e geografica e per ambientazione sociale:
è l’amore. Solo finché esso è vero,
sincero, spontaneo le difficoltà
della vita possono essere, se non
superate del tutto, almeno affrontate insieme.
Questo, in ultima analisi, è il messaggio che possiamo trarre dalle
opere letterarie e che può essere
condiviso da tutti, al di là di ogni
contesto, di ogni religione, di ogni
filosofia di vita.
Maria Laura Rosi
14 | Nazareth 1 - 2013
I
l poter instaurare relazioni vere,
profonde e significative, con
altre persone è di primaria importanza per lo sviluppo psico-fisico di ogni individuo. Nessun uomo
è un’isola (T. Merton) e fin dalla
nascita ognuno di noi ha bisogno
di entrare quanto prima in contatto
con un altro essere umano, a cominciare dalla propria madre, della
quale il bambino sa subito riconoscere odori e suoni. Crescendo, poi,
il rapporto con chi ci sta vicino, ci
nutre, ci plasma, lascia un’impronta
definitiva nel nostro essere. Come
madre mi accorgo spesso di quanto i
miei figli “prendano” da me o da mio
marito in termini di linguaggio, di
espressioni, di atteggiamenti, di convinzioni … I bambini sono come delle spugne che assorbono tutto ciò che
trovano intorno : parole, sorrisi, gesti,
ma anche umori, toni di voce, silenzi.
Nella loro spontaneità e mancanza di
difese, i bambini sanno sempre riconoscere ciò che è autentico, a cominciare dai sentimenti. Tutto questo
mi sorprende e mi affascina, ma mi
rende anche sempre più consapevole
dell’importanza dell’azione educativa
di noi genitori. Spesso ci preoccupiamo molto per i nostri figli, per il loro
futuro, per la loro salute, per i pericoli
o le difficoltà che possono incontrare,
ma non sempre ci rendiamo conto di
quanto la qualità della relazione che
stabiliamo con loro giorno per giorno li possa aiutare a crescere e ad affrontare da soli ciò che in noi genitori
crea molta apprensione. È proprio
nella capacità di costruire e coltivare
con infinita cura e pazienza queste
relazioni d’amore che si fonda la vita
di ogni famiglia. Ogni genitore lo sa
e cerca sempre di dare e di fare del
suo meglio, anche quando il tempo
la fa da tiranno, quando non riesce a
ricevere sul momento le risposte che
vorrebbe, quando non sa quale strada prendere o quando sembra che i
suoi sforzi siano vani. Il compito dei
genitori è difficilissimo, lo è sempre
stato, ma forse oggi lo è ancora di più.
Nella nostra esperienza ci aiuta molto il confronto sia tra marito e moglie (cerchiamo sempre di trovare
nell’arco della giornata dei momenti
di scambio di impressioni, di dubbi, di pareri sui nostri figli), sia con
le persone che a vario titolo aiutano
i nostri figli a crescere (insegnanti,
catechiste, allenatori, nonni, ecc…),
cercando di fare in modo che tutte le
nostre azioni siano sempre in sinergia. Certo, alle volte capita che ci troviamo di fronte a quel problema che
non riusciamo a risolvere, a quella
decisione che non sappiamo prendere, a quel fatto o parola che resta
per noi un mistero… E allora ci fermiamo, aspettiamo fiduciosi un aiuto, sicuri che Chi ci ha fatto questo
meraviglioso dono, saprà anche custodirlo per noi e per mezzo di noi.
Anna Maria Rossetto
Fidanzati
Al centro la “relazione d’amore”
L’esperienza di Dio nella relazione
S
ono più di 25 anni che, assieme ad alcune coppie di sposi,
teniamo ogni anno vari “percorsi” per gruppi di fidanzati, che
si preparano al matrimonio.
È una esperienza straordinaria per
loro e per noi, che diventa anche
cammino di fede e di preghiera.
Sono percorsi centrati sulla “relazione d’amore” che i fidanzati
stanno vivendo e sulla relazione
d’amore che vivranno, come sposi.
Da pochi mesi è uscito un documento della Commissione Episcopale per la famiglia e la vita, intitolato “Orientamenti pastorali sulla
preparazione al Matrimonio e alla
Famiglia”. Abbiamo trovato in
questo documento tanti motivi di
conferma e di consolazione per il
cammino fatto in tutti questi anni.
Nel documento molto opportunamente si ribadisce il valore e la fiducia nella persona umana e l’impegno della Chiesa nell’accompagnare i fidanzati “nelle affascinanti
ed impegnative tappe dell’amore”.
Già nel “Direttorio di Pastorale
Familiare” del 1993, i Vescovi italiani parlavano del fidanzamento
come “tempo di grazia … momento privilegiato di crescita nella fede,
di preghiera e di partecipazione
alla vita liturgica della Chiesa”, ed
è veramente così.
Si tratta di cogliere tutta la bontà
della “relazione d’amore” che i fidanzati vivono ed aiutarli a farsi
delle domande, ed aprirsi ad un
amore più grande, e trovare vita e
sostegno alla fonte dell’amore, in
Dio. Un Dio che è “relazione d’amore”: Padre, Figlio e Spirito. La
“relazione d’amore” dell’uomo e
della donna ne sono la prima vera
immagine: “Dio creò l’uomo a sua
immagine; a immagine di Dio lo
creò: maschio e femmina li creò”
(Gen. 1,27).
Un passaggio del Documento dice
molto bene l’aprirsi a Dio nella relazione: «Nell’enciclica Redemptor
hominis il Beato Giovanni Paolo
II insegna che “l’uomo non può vi-
vere senza amore. Egli rimane per
se stesso un essere incomprensibile,
la sua vita è priva di senso, se non
gli viene rivelato l’amore, se non
s’incontra con l’amore, se non lo
sperimenta e non lo fa proprio, se
non vi partecipa vivamente”. È a
questa pienezza di vita e di amore
che aspirano i più giovani quando
il loro affetto li spinge a cercare la
Nazareth 1 - 2013 | 15
Fidanzati
relazione con l’altra persona. La
spinta pulsionale invita a uscire
da se stessi per entrare in una relazione di reciprocità. La relazione
amorosa ha come punto di partenza l’attrazione per l’altro, la
profonda aspirazione all’incontro
presente in ogni essere umano, il
desiderio di superare la solitudine.
È una risposta al bisogno profondo di essere riconosciuti, scelti e amati, ma rappresenta anche
un’occasione di cambiamento e di
crescita, che può condurre il giovane da un narcisistico amore di sé,
che generalmente si annida nei primi passi della relazione amorosa, a
un amore che impara a tradursi in
dono di sé per l’altro». È un aprirsi a Dio nella relazione che vale
per tutti, non solo per i fidanzati.
Anche io prete e le coppie di sposi
che collaborano con me, attraverso le testimonianze che offriamo,
diamo testimonianza dell’amore
16 | Nazareth 1 - 2013
di Dio che sperimentiamo nella
realtà incarnata della nostra vita:
“Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio
che non vede” (1Gv. 4,20). L’amore
verso il prossimo è la strada che
ci porta ad incontrare Dio. È vero
per tutte le relazioni, ed è vero in
modo speciale con il proprio innamorato. C’è forse un prossimo più
prossimo del tuo sposo/a?
Ma torniamo al Documento citato
ed al cammino dei fidanzati: “Un
primo dato è riconoscere il limite e
l’infinitezza dell’esperienza amorosa: il limite è dato dal fatto che nessuna esperienza o sentimento saziano il cuore dell’uomo, sempre portato a desiderare e cercare qualcosa di
più grande, che in definitiva si trova
solo in Dio (…) nell’innamoramento si vive l’esperienza della totalità
nella quale si è condotti a “perdersi”, a dare tutto di sé, per ritrovare se
stessi nell’altro (cfr. Gv. 12,25). Così
Dio si rivela dentro l’amore umano,
tra uomo e donna, e si comunica nel
cammino verso il sacramento del
matrimonio. Sarà proprio a partire
dalla scintilla dell’innamoramento
che il ragazzo e la ragazza potranno
iniziare il proprio itinerario interiore per accogliere e vivere la presenza
di Dio.(…)
L’esperienza dell’innamoramento
e le tappe attraverso cui si impara
ad amarsi in modo sincero e totale
sono così grandi e coinvolgenti che
lasciano trasparire l’amore stesso
di Dio. La “Deus Caritas est” (di
Benedetto XVI) ci insegna proprio
questo: che l’amore umano non
è separato dall’amore divino. Al
contrario, come annuncia l’apostolo Giovanni, «Dio è amore» (1Gv.
4,8), e chi fa esperienza dell’amore
fa esperienza di Dio, che dell’amore
è la prima sorgente e colui dal quale attingiamo la forza di amare”.
Quanto stiamo affermando non
dobbiamo prenderla semplicemente come una realtà sentimentale.
L’amore sponsale è una realtà “sacramentale” e: «la “materia prima”
del sacramento del matrimonio è la
persona e la relazione tra gli sposi»
(pag 13). Ma dobbiamo allargare lo sguardo ed accorgerci che la
“materia prima” di tutta la realtà
sacramentale della Chiesa (vedi Lumen Gentium cap.1) è la “relazione d’amore” vissuta con i fratelli.
Per questo il Signore ha pregato,
nell’ultima cena: «Non prego solo
per questi, ma anche per quelli che
crederanno in me mediante la loro
parola: perché tutti siano una sola
cosa; come tu, Padre, sei in me e io
in te, siano anch’essi in noi, perché il
mondo creda che tu mi hai mandato (…) siano perfetti nell’unità e il
mondo conosca che tu mi hai mandato e che li hai amati come hai
amato me» (Gv. 17,20-23).
d. Lino Faggioli
Iconografia e spiritualità
Relazioni dentro un evento speciale
L’Icona dell’Ultima Cena
I
l prototipo di questa icona è
stato “scritto” tra il 1425 – 1427
da iconografi della bottega di
Dajil Cernji e Rublev, molto probabilmente dall’iconografo Monaco Danjil Cernji, primo maestro di
Rublev, per l’iconostasi del Monastero della Trinità, di S.Sergio, a
Sergiev Posa.
L’evento dell’Ultima Cena era usato come soggetto già nel VI secolo,
ma nessuna icona che lo raffiguri è
giunta fino a noi.
Osservando l’icona è di immediata
comprensione l’episodio evangelico cui si riferisce. Gesù, desiderando ardentemente mangiare la sua
ultima Pasqua con i suoi discepoli,
motivo per cui è venuto al mondo,
raduna a tavola “la sua Famiglia”
la sera degli Azzimi, in una stanza
da lui stesso indicata. I dodici sono
riuniti nel Cenacolo a Gerusalemme. L’immagine dell’interno della
casa è raffigurata, come di consueto, dal drappo rosso che si stende
da un capo all’altro dell’edificio
posto sullo sfondo.
L’iconografo descrive una tavola
rotonda ponendo il Cristo seduto
in trono a sinistra (antico posto
d’onore) e tutti intorno i dodici
Apostoli, fermando nell’immagine
un particolare momento della riunione. Due di essi sono reclinati ed
hanno lo stesso movimento: Giovanni, il prediletto, vicino a Gesù,
la “fedeltà”; poco più distante ed al
centro della scena “il tradimento”
Giuda, intento a prendere cibo da
un piatto; gli altri dieci si guardano in atteggiamento interrogativo
e di stupore. È il momento ben
preciso della narrazione che pre-
cede la frazione del pane e l’istituzione dell’Eucaristia, in cui Gesù
“profondamente turbato” rivela
agli Apostoli : “in verità, in verità
vi dico: uno di voi mi tradirà”(Mt
26,21.Gv13,21). È ben chiaro che
solo undici sono sorpresi dalla inaspettata ed incredibile rivelazione;
Giuda invece, apparentemente incurante della cosa, si occupa solo
di mangiare allungando le mani al
piatto: il suo sguardo non incontra
nessuno, sa di essere egli stesso il
traditore; gli altri invece si guardano, non riuscendo a capire di chi
Gesù parlasse. Eccellente “traduzione in immagine” delle parole
dell’evangelista Giovanni.
Contemplando l’icona si viene
investiti, in ondate successive, da
un senso di calore, di intimità e
di pace, ondate che purtroppo si
infrangono sulla rigida linea del
movimento di Giuda, tradimento
personificato. Questo momento di
altissima intensità spirituale in cui
si consuma il dramma del folle piano di Giuda, l’uomo che rifiuta di
credere all’Amore di Dio e quindi
non accetta di amare il Padre ed i
fratelli, induce a riflettere sul mistero della Cena: quel mistico banchetto, spirituale e sacramentale al
tempo stesso, in cui Gesù si offre
cibo e bevanda di redenzione per
tutti. Simbolicamente tutto ruota
intorno alla struttura circolare della mensa, simbolo della comunione, quindi dell’Amore. È la nuova
ed Eterna Alleanza con tutta l’umanità: Gesù il Cristo nel quale “abita corporalmente tutta la pienezza
della divinità”(Col.2,9) diventa,
come dice S. Gregorio Palomas
“concorporeo con noi” affinché noi
a nostra volta siamo trasformati in
Lui. Gli Apostoli, primi destinatari di tale dono, sono rappresentati
come uomini comuni e semplici,
mentre la persona di Gesù è raffigurata tutta intera: è l’unico ad
avere l’aureola e si rivolge agli altri
commensali in atteggiamento di
donazione, che anticipa la sua imminente morte in croce.
L’icona del Cenacolo riconduce
all’icona della Trinità, banchetto
trinitario della comunione tra Padre, Figlio e Spirito Santo, offerta
sacramentale svelata e donata a
tutti gli uomini da Gesù.
Italo Forieri
Nazareth 1 - 2013 | 17
Voce giovani
Relazioni e poesia
Anche un sorriso e uno sguardo possono creare relazione
I
n questo numero di Nazareth continua la pubblicazione di alcune poesie, frutto della penna e dell’intuizione di alcuni giovani. Le liriche che proponiamo sono state scritte circa dieci
anni fa da alunne della Scuola Superiore Egeria Sacra Famiglia
di Verona, su sollecitazione dell’insegnante di storia della filosofia suor Maria Angelica Cavallon. Raccolte in alcuni preziosi
quaderni, queste poesie sono una testimonianza ancora valida ed
attualissima di come quelle adolescenti vivessero le relazioni con
il mondo, con gli altri, con se stesse con l’intuitiva spontaneità
tipica della loro età di “passaggio” e maturazione. Il commento (a
cura della stessa suor Maria Angelica e di Andrea Cornale, insegnante nella stessa scuola) cerca di mettere in luce come la parola,
il linguaggio poetico di queste giovani – ben oltre la sua apparente
semplicità – sia uno strumento eccezionale di conoscenza, espressione, comunicazione. La “relazione” è ovviamente un’esperienza
fondamentale per le giovani che hanno scritto questi versi: è un
ponte verso gli altri, verso il mondo, ma anche verso un’interiorità da vivere e scoprire ogni giorno con entusiasmo.
Sorridi al mondo
Anche se qualche volta è crudele.
Sorridi alle persone
Anche se qualcuna ti fa soffrire.
Sorridi perchè
Stai vivendo.
Sara Perinelli
Sorridere su quella parte di mondo che
manifesta la sua crudeltà forse non è proprio opportuno. Sorridere, nonostante la
complessità non certo nascosta del nostro mondo... è probabilmente saggezza e
impegno per non lasciarsi prendere dalla paura o dallo scandalo. È buona cosa
sorridere alle persone, non rimanendo
morbosamente attaccati a quel qualcosa
che ti fa soffrire. Dentro questo mondo
complesso, attraverso le relazioni quotidiane “stiamo vivendo”. Vivere è bello;
sorridendo si vive meglio.
18 | Nazareth 1 - 2013
Se guardi dentro agli occhi,
puoi scoprire il mondo interiore dell’uomo,
i suoi segreti, le sue intenzioni, i suoi sentimenti.
Gli occhi ti possono tradire, svelano i tuoi più intimi segreti,
svelano il mistero che c’è dentro di te.
Di occhi ce ne sono molti:
alcuni sono sereni, altri un po’ sinceri;
alcuni sono travolgenti, altri un po’ sofferenti.
Le parole, i grandi discorsi possono ingannare,
ma gli occhi non ti tradiranno mai,
perché essi rappresentano lo specchio
della tua anima.
Elena Portioli
In una società come la nostra, sempre più basata sulla comunicazione a distanza, sulla tecnologia che allontana, sulle immagini e sull’immagine, è bello riscoprire il valore della conoscenza: guardare dentro agli occhi di una persona significa
conoscerla, sentirla vicina, dedicare a lei il nostro tempo e la
nostra attenzione, cercare “il mistero che è dentro di lei” con
umana curiosità.