NAZARETH n. 1 – 2013 - Piccole Suore della Sacra Famiglia
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NAZARETH n. 1 – 2013 - Piccole Suore della Sacra Famiglia
Periodico di educazione cristiana n. 1 gennaio-febbraio-marzo 2013 - Anno CVII - Poste Italiane spa - Spedizione in A. P. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 2, DCB VERONA NAZARETH AD JESUM PER MARIAM - PICCOLE SUORE SACRA FAMIGLIA - Castelletto sul Garda - VR Nazareth 1 - 2013 | I NAZARETH A cura delle «Piccole Suore della Sacra Famiglia» Gennaio-Febbraio-Marzo n. 1 - 2013 Anno CVII - Trimestrale Direttore responsabile: Sr. Maria Angelica Cavallon Direzione e Amministrazione: Istituto Piccole Suore della Sacra Famiglia 37010 Castelletto di Brenzone (VR) Spedizione in A. P. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 2, DCB VERONA Autorizzazione Tribunale di Verona n. 29, 8 febbraio 1960 Comitato di redazione: 37138 Verona Via G. Nascimbeni, 10 www.pssf.it - e-mail: [email protected] Sr. Maria Angelica Cavallon, Sr. Maria Romana Bombo, Sr. Umberta Maria Bettega COLLABORATORI DI questo numero: Anna Pia Viola, Emma Provoli, Andrea Cornale, Maria Laura Rosi, Anna Maria Rossetto, d. Lino Faggioli, Italo Forieri, Giulio Biondi, Katia Scabello Garbin, Sr. Maria Silvia Bonometti, Sr. Erica Benetton Iva assolta dall’Editore ex art. 74 D.P.R. 633/72 La pubblicazione è curata da Editoriale Della Scala Povegliano Veronese Stampa: Grafiche Piave s.r.l. Via Spagna, 16 37069 Villafranca (VR) Tel. 045/6301555 Fax 045/6301789 Foto di copertina: in prima e quarta “Passo Rolle” (TN) di Filippo Rossetto - PD II | Nazareth 1 - 2013 Sommario la Redazione L’essere umano è relazione................ p. 1 lettera della Madre La relazione... in famiglia................... p. 2 formazione Famiglia: tempo della relazione........................ p. 4 Famiglia luogo di cura....................... p. 6 magistero La “Porta della fede”......................... p. 7 carisma Amare sino alla fine........................ p. 10 esperienza Le relazioni al centro....................... p. 11 letteratura Le relazioni familiari nella letteratura............................... p. 13 famiglia Relazioni quotidiane........................ p. 14 fidanzati Al centro ”relazione d’amore”......... p. 15 iconografia- spiritualità Relazioni dentro un evento speciale.......................... p. 17 n. 1/2013 Dio ci ama con l’amore di Madre [...] ................p. 20 Alla Scuola di Francesco.................. p. 22 voce giovani Sguardo sui rapporti uomo-donna........p. 23 biblioteca in famiglia Una carezza per la memoria............ p. 24 testimonianza La fede di Paolo VI.......................... p. 26 Serravalle (FE)................................. p. 26 Piccole Suore defunte...................... p. 26 dalle nostre comunità....................... Porto Sant’ Elpidio (FM)................... p. 27 Il Centenario................................... p. 28 Da Verona - Scuola S. Famiglia......... p. 29 Saluto per un amico........................ p. 30 CEI: Orientamenti pastorali Educare: cammino di relazione e di fiducia................... p. 32 arte Una domenica alla Grande Jatte............................. p. 34 orizzonti missionari Dal Togo......................................... p. 36 voce giovani Relazioni e poesia........................... p. 18 esperienza- testimonianza Maria Teresa e il nipotino................ p. 38 Oggi preghiamo in casa................... p. 39 Il Pellegrino orante.......................... p. 40 fascicolo centrale Partì dunque con loro [...] ............... p. 19 invito Summer PSSF 2013......................... p. 41 Ricordiamo ai gentili Lettori il rinnovo dell’abbonamento per il 2013: € 15,00 per l’Italia, € 20,00 per l’estero, sul c/c postale n. 14875371. La Redazione L’essere umano è relazione Crescere ogni giorno, con gioia, nella relazione d’amore con il Tu di Dio e il tu degli altri I n questo momento storico partecipiamo a segni inediti di cambiamento a motivo di scelte forti e libere di persone capaci di “amare fino alla fine” (Gv 13,1). È in atto un’evoluzione inarrestabile, che modifica linguaggi, relazioni tra persone e contesti di vita. Diventa quasi necessario prendere le distanze da reazioni immediate, emotive, per non perdere lucidità, sensibilità e sapienza valutativa. Sarà il contatto con la nostra dignità profonda e con lo Spirito, nello scorrere del tempo, che ci farà scoprire il senso provvidenziale di ciò che accade, e ci aprirà verso risposte nuove e responsabili. Il compito per l’oggi di Dio è mantenere viva quella riserva di libertà che ci fa essere noi stessi, ci permette di rispettare e apprezzare la vita degli altri e di donare la nostra per la famiglia e per la comunità umana. Tenedo presente l’impegno consegnatoci dalla Chiesa per il prossimo decennio, “Educare alla vita buona del Vangelo”, e “l’Anno della fede”, nei quattro numeri di Nazareth 2013 cercheremo di approfondire la relazione come caratterizzante l’essere umano. Partiremo con l’analizzare la prima esperienza di relazione in famiglia ( n. 1); con se stessi (n. 2); negli ambienti di vita (n. 3); con Dio e con la Chiesa (n. 4). La famiglia è il luogo di formazione continua: per la coppia nella cura reciproca e nell’esercizio per “diventare genitori”; per i figli nel lasciarsi amare e guidare per raggiungere la vera autonomia e identità personale; per i nonni nel riconoscimento di essere la “radice” solida delle relazioni parentali. Inoltre, l’incontro tra famiglie, per apprezzare l’ essenzialità dei valori pur nelle diversità culturali e così maturare una reale fratellanza. La centralità del nostro annuncio è posta sulla relazione che educa e fa crescere, e sulla sfida della relazione con l’Altro, con la trascendenza: “L’essere umano è relazione: io sono me stesso solo nel tu e attraverso il tu, nella relazione dell’amore con il Tu di Dio e il tu degli altri”( Benedetto XVI ud. 06 febbraio 2013). Affronteremo poi la relazione con se stessi come cammino verso una formazione integrale, quella unificazione-semplicità che dispone e orienta alla scelta fondamentale, ad una risposta libera e ferma alla propria vocazione. Proseguiremo la ricerca attraverso le relazioni negli ambienti di vita, nel dialogo con Dio, nella partecipazione alla vita ecclesiale e sociale; nel rapporto con il mondo, con la natura e con le varie espressioni creative. Siamo nell’epoca digitale, questa dimensione è determinante nella formazione specialmente dei giovani. La tecnologia tende a facilitare gli scambi interpersonali. Abitare i nuovi mezzi di comunicazione con intelligenza e responsabilità è fondamentale perchè le relazioni personali si rafforzino positivamente.“Le porte delle reti sociali diventano un’occasione in più per far crescere le relazioni e la nostra fede, uscire continua- mente da noi, per andare verso gli altri, presenza di Dio nella storia”(Benedetto XVI ud. 23 gennaio 2013). La relazione corretta, equilibrata con i social network potrebbe anche contribuire allo sviluppo del senso critico, alla maturazione della coscienza civile, al discernimento di proposte concrete per il bene comune, per scelte politiche e valoriali. “ Dove tutto si misura col denaro non è possibile che la vita dello Stato si svolga giusta e prospera”(Tommaso Moro). Se rivolgiamo una sincera attenzione alla testimonianza evangelica, siamo incoraggiati a percorrere il cammino di crescita attraverso le relazioni, nonostante i conflitti e le fatiche. “...Gesù, il Figlio di Dio, è in una relazione filiale perfetta con il Padre, si abbassa, diventa il servo, percorre la via dell’amore umiliandosi fino alla morte di croce, per rimettere in ordine le relazioni con Dio.” (Benedetto XVI ud. 06 febbraio 2013). Non è un percorso facile: la formazione offerta in famiglia, scuola pratica di relazioni, talvolta può risultare deludente perchè urta contro certe resistenze segrete, che ben chiarite e smascherate, prima in noi adulti, predispongono le nuove generazioni all’accoglienza di ciò che è sostanza nella vita: se stessi, gli altri, Dio. Parole, gesti, tutto quello che accade in famiglia, però, deve riscaldare il cuore. È il cuore il motore profondo di ogni vera relazione e crescita nella fiducia e nella gioia (cfr Lc 24, 13-35). Sr. Maria Angelica Cavallon Nazareth 1 - 2013 | 1 Lettera della Madre La relazione... in famiglia Educare per far crescere la vita D a sempre e in tutte le culture la famiglia ha un fondamentale compito generativo, non solo nel senso biologico di dare la vita ma anche come capacità di generare l’umano, cioè di contribuire in modo determinante alla formazione della coscienza personale. Tutto passa attraverso la relazione con i genitori: l’immagine di sé, il ruolo dell’altro, la visione del mondo, la formazione dell’idea di Dio. Naturalmente crescendo ciascuno di noi cambia e può modificare molte delle rappresentazioni infantili e giovanili, ma la matrice fondamentale rimane quella impressa nei primi anni di vita, costruita attraverso il rapporto vitale e prolungato con i genitori, il cui compito fondamentale è quello di educare per far crescere la vita. Riflettiamo un momento sul concetto di “far crescere”. Cosa significa e dove trova fondamento questo compito? Leggendo la Bibbia scopriamo che la prima parola di Dio all’uomo è un appello alla crescita: “Siate fecondi, moltiplicatevi, riempite la terra” (Gn 1,28). Il Creatore benedice la vita perché si sviluppi e l’uomo cresca nella libertà e nella relazione con Lui. La prima parola che il vangelo dice di Gesù è che “cresceva in sapienza, età e grazia” (Lc 2, 52) e tutto il percorso terreno del Figlio di Dio è descritto come un cammino di crescita della Luce che è entrata nel mondo, è stata oscurata nella passione e morte e ha trionfato nella risurrezione. Anche il Regno di Dio è annunciato con parabole che indicano uno sviluppo (il seme, il lievito…). Per 2 | Nazareth 1 - 2013 questo il primo “sì” dell’uomo a Dio è un sì alla vita e alla crescita. Ma ciò non è facile, perché crescere è rischioso e chiede una scelta: lasciare ciò che conosciamo e ci dà sicurezza per affrontare l’ignoto che ci fa paura. Per questo il ruolo della famiglia è fondamentale, perché si cresce innanzitutto dentro le relazioni, e quelle con i genitori sono determinanti. Un bambino diventa uomo solo in risposta alla parola del papà e della mamma che lo chiamano a entrare in relazione con altri. E il modo in cui noi costruiamo questo rapporto è lo stesso che poi mettiamo in atto con Dio: la fede adulta va di pari passo con la relazione adulta. Ma crescere nelle relazioni è faticoso perché significa accettare le “morti” che l’incontro con l’altro ci fa vivere: distacchi, delusioni, infedeltà… Il compito immenso di far crescere la vita è svolto dalla famiglia attraverso quel processo che chiamiamo “educazione”. Questo termine è molto usato, ma con significati diversi; credo che in un’ottica cristiana significhi innanzitutto gratitudine e rispetto verso il mistero della vita, riconosciuta come dono immenso e prezioso. La vita ha le sue leggi, i suoi ritmi e le sue tappe di crescita che vanno accolte e orientate verso il dono di sé come espressione di amore libero e gratuito. I genitori, come adulti che hanno esperienza della vita, sono chiamati a testimoniare che l’esistenza ha senso ed è protesa verso una speranza che non viene meno. Essi hanno il compito di sostenere i figli nelle prove e nelle difficoltà della crescita, non sostituendosi ma mostrando con le loro scelte e i loro atteggiamenti che vale la pena affrontare gli ostacoli con fiducia perché siamo amati e chiamati a trafficare i talenti ricevuti per crescere nella nostra umanità. È fondamentale in questo processo il tipo di rapporto che si instaura nella famiglia: se si creano spazi di fiducia e sana libertà i figli sentono di potersi esporre e mettere in gioco senza provare paura o sentirsi giudicati. Sappiamo bene però quanto questo sia difficile e sperimentiamo ogni giorno tutta la nostra fragilità che ci porta a cedere e a scoraggiarci. Oggi la famiglia si sente incapace di far fronte al suo compito senza l’aiuto del contesto circostante: la scuola, la parrocchia, le agenzie educative del territorio, i mezzi di comunicazione… Allora si ripiega su se stessa e diventa principalmente il luogo degli affetti e della protezione difensiva dall’esterno piuttosto che lo spazio della trasmissione dei valori e dei significati. Sono le relazioni l’ambito più faticoso e problematico, la loro frammentarietà e inconsistenza è la causa di tanti fallimenti familiari, che portano con sé sofferenza e ferite che i minori vivono con disagio e senso di impotenza. C’è allora innanzitutto da ricostruire un tessuto di fiducia reciproca e di credibilità, perché la crisi di fede in Dio che oggi respiriamo è prima di tutto difficoltà a fidarsi dell’altro. In questo senso credo sia fondamentale che gli adulti, e in particolare i genitori, si propongano come figure di riferimento Lettera della Madre affidabili, cioè coerenti, disposte a offrire i significati della vita, capaci di ascoltare i figli, di accogliere le loro paure, di incoraggiarli ad affrontarle in vista di una crescita. Così ha fatto Gesù: ha incontrato la gente del suo tempo nel luogo quotidiano di vita e vi ha fatto emergere quella fiducia che già aveva dentro di sé. Diceva infatti dopo un miracolo: “La tua fede ti ha salvato”. Gesù è cresciuto umanamente in questa capacità di ascolto e dialogo, di promozione dell’altro e di fiducia, non solo attraverso la relazione esclusiva con il Padre ma anche nelle relazioni quotidiane con Maria e Giuseppe. Anche per questi genitori “particolari” non tutto è stato facile: pensiamo alla fatica di accogliere e comprendere il progetto di Dio che chiedeva la rinuncia a legittime aspirazioni umane, al pericolo corso con la strage degli innocenti e la fuga in Egitto, e poi la ricerca ansiosa di Gesù a Gerusalemme, tra i dottori nel Tempio. Maria e Giuseppe non comprendono l’atteggiamento del figlio, e si crea un momento di tensione nei rapporti all’interno della famiglia. Eppure Maria serba ogni cosa nel suo cuore accettando che non tutto sia chiaro. A Nazareth Gesù vive relazioni autentiche, crescendo nella fede e nell’umanità, e così anche nel momento più drammatico, sotto la croce, il legame di amore famigliare non si spezza: Maria rimane accanto al figlio, sofferente ma fedele, e Gesù la affida al discepolo prediletto. Il magistero della Chiesa, anche nei documenti più recenti, ha prestato grande attenzione alla famiglia, riconosciuta sia come ambito di testimonianza dell’essere cristiani (così come lo è la vita pubblica, il lavoro, i vari servizi che si svolgono nella chiesa e nella società - cfr. Porta fidei, n.13), sia come una delle dimensioni di fondo della vita dell’uomo, dove avviene la prima evangelizzazione: “…la trasmissione della fede nel susseguirsi delle generazioni ha trovato un luogo naturale nella famiglia. In essa (…) i segni della fede, la comunicazio- ne delle prime verità, l’educazione alla preghiera, la testimonianza dei frutti dell’amore sono stati immessi nell’esistenza dei fanciulli e dei ragazzi, nel contesto della cura che ogni famiglia riserva per la crescita dei suoi piccoli (…). La vita familiare è il primo luogo in cui il Vangelo si incontra con l’ordinarietà della vita e mostra la sua capacità di trasfigurare le condizioni fondamentali dell’esistenza nell’orizzonte dell’amore” (Messaggio dei vescovi al termine del Sinodo sull’evangelizzazione, n.7). Se queste riflessioni si traducono sempre più in scelte pastorali di promozione della famiglia, di cura per la sua evangelizzazione, di attenzione alle sue ferite, di proposta di percorsi di primo e secondo annuncio, allora la famiglia può sentirsi meno sola e più sostenuta nel suo compito fondamentale di educare per far crescere la vita. Ad ogni abbonato, auguro di cuore Lieta e Santa Pasqua. Sr. Angela Merici Pattaro Superiora generale Nazareth 1 - 2013 | 3 Formazione Famiglia: tempo della relazione Esperienza di tenerezza e di accoglienza di se stessi P erché una persona dovrebbe farsi una famiglia invece di continuare a vivere la sua affettività nella coppia e nella convivenza? A quale bisogno risponde la famiglia? Non voglio entrare nelle indagini sociologiche, nell’impatto economico o nell’aspetto religioso che ci presentano la famiglia come un valore o comunque una presenza importante. Mi limito, invece, a mettere in evidenza che ciascuno di noi desidera con tutte le forze di essere amato e di amare, e per questo desiderio viene ferito costantemente perfino in famiglia, luogo primo di antichi e biblici conflitti. 4 | Nazareth 1 - 2013 Da questa constatazione sembra che non siamo liberati neppure dal Signore: “Pensate che io sia venuto a portare la pace sulla terra? No, vi dico, ma la divisione. D’ora innanzi in una casa di cinque persone si divideranno tre contro due e due contro tre; padre contro figlio e figlio contro padre, madre contro figlia e figlia contro madre, suocera contro nuora e nuora contro suocera” (Lc 12, 51-53). Ascoltare questa Parola potrebbe gettarci nello confronto o nella rassegnazione, potrebbe farci dire: “Se anche il Signore ci parla di conflitti e contrapposizioni: quale speranza per poter credere e scommettere ancora sulla famiglia?”. A mio avviso, la risposta ci viene data proprio prendendo sul serio questa Parola, cogliendone la verità di fondo che è questa: le relazioni più significative e fondamentali sono intessute da conflitti, generano ferite, svelano verità profonde. Che vogliamo fare? Rifiutiamo i conflitti per non soffrire, oppure scegliamo di comprenderli per sperimentare un bene più grande? Oramai si è largamente concordi nel ritenere che la ferita più grave che si possa infliggere ad una persona sia quella di non essere riconosciuta, stimata e dunque amata per ciò che è, semplicemente per la sua presenza. Questo fa nascere in noi una lotta contro le voci interiori che ci dicono che non siamo abbastanza bravi, intelligenti o attraenti, che non siamo “degni” di amore. Cresce con noi, cresce fra i fratelli, la competizione nel conquistarsi l’amore, l’attenzione dell’altro, della mamma e del papà. Uno sforzo e una fatica destinati inesorabilmente a deluderci. Nessuno riesce a darci ciò che profondamente sentiamo: siamo unici e vogliamo essere amati per questa unicità. Cerchiamo ancora di mostrare che valiamo, che meritiamo attenzione, riconoscimento… tutto questo per la paura di non essere amati a sufficienza. Si apre e diventa più profonda e a volte oscura la solitudine e la mancanza di rispetto di sé. Si potrebbe continuare ancora sulle conseguenze e le dinamiche di questa mancanza di amore, ma occorre accettare il fatto che non può esistere nessuno che possa darci l’amore totale, esclusivo, profondo, così come noi lo desideriamo. Che fare allora? Si può cominciare con il provare tenerezza e accoglienza per noi stessi, con il guardarci con occhi benevoli, riconoscendoci destinatari di questo atto d’amore nostro nei nostri confronti. Se cresciamo nella consapevolezza che l’amore è solo gratuito, non si merita e non si compra, allora cominceremo a guardare alla nostra ferita della mancanza d’amore come allo Le relazioni più significative e fondamentali sono intessute da conflitti, generano ferite, svelano verità profonde Formazione spazio della presenza dell’altro che non poteva non ferirci, perché non poteva darci tutto l’amore che chiedevamo. La persona che per primi ci ha accolti, accettati, ci ha dato l’amore di cui era capace: ci ha dato tutto perché ci ha dato se stessa. In questa prospettiva è possibile pensare alla famiglia come ad una relazione nuova, capace di partire non dalle aspettative, ma dalla concretezza dell’accoglienza. Mi piace pensare la famiglia come al tempo della relazione: la fami- Si può cominciare con il provare tenerezza e accoglienza per noi stessi glia, nella sua progettualità, nello scambio reciproco dell’impegno a sostenersi, consente che ogni conflitto abbia il tempo di esprimersi per far vivere, per riconoscere la persona che lo porta e lo soffre. In questo modo la famiglia non si identifica con un luogo, un’idea, un modello, ma come un agire in favore della vita, in favore di un nuovo individuo che reclama la sua presenza e il suo bisogno di essere amato. Tutte le volte che sarà dato spazio all’accoglienza del diverso e del nuovo da amare saranno poste le premesse per costruire ed essere famiglia. Solo accettando di guardare con occhi nuovi il valore autentico della famiglia riusciremo a smascherare le aspettative, a rifiutare gli stereotipi ed evitare le illusioni. Anna Pia Viola Famiglia luogo di cura Per poter affrontare con realismo e serenità l’infermità e la sofferenza della vita Q uello dei malati cronici e non autosufficienti è uno dei grandi problemi che la medicina moderna si trova oggi a dover risolvere. L’allungarsi dell’età media della popolazione, infatti, l’aumento delle persone con patologie cronico-degenerative-tumorali e le migliori possibilità di intervento terapeutico anche in situazioni molto critiche (intervento che permette la sopravvivenza ma spesso non consente la guarigione) hanno comportato un significativo incremento di situazioni cliniche molto critiche, complesse e difficili da gestire. E in questa drammatica realtà della sofferenza viene sempre più coinvolta la famiglia. È ormai noto a tutti che le riforme socio-sanitarie degli ultimi decenni hanno spostato il luogo di cura del malato dall’ospedale al territorio, ovvero hanno privilegiato l’assistenza domiciliare a quella ospedaliera. E se, da una parte, questa scelta può essere considerata molto positiva (pensiamo ai notevoli benefici psicologici che si ottengono al malato, alla riduzione dei costi, alla opportunità di gestire tante situazioni a domicilio…) dall’altra non è priva di rischi. In molte realtà, infatti, alla progressiva riduzione dei tempi di degenza ospedaliera non è corrisposta una sufficiente organizzazione dell’assistenza nel territorio, e la famiglia si trova pertanto sovraccaricata di onerosi fardelli e spesso obbligata a occuparsi di tutto. Si comprende allora perché è stato scritto che “la famiglia è la più grande Ulss d’Italia”! ...probabilmente perché in Italia, così come in molti paesi, è la famiglia il principale ente di assistenza ai malati cronici, in assenza di un valido aiuto da parte del Servizio Sanitario Nazionale. È vero che, in genere, la disponibi- La famiglia anche se disponibile non sempre riesce a rispondere ai bisogni del malato non auto-sufficiente lità della famiglia italiana nei confronti del malato non auto-sufficiente è molto grande. Ma spesso, i rapporti familiari anche se buoni, non sempre riescono a far fronte alle impegnative necessità di assistenza di questi pazienti; a volte il carico assistenziale può addirittura destrutturare completamente equilibri familiari preesistenti… soprattutto in questo preciso tempo storico che si caratterizza per enormi cambiamenti sociali-culturali. La famiglia in particolare sta attraversando una crisi senza preceden- Nazareth 1 - 2013 | 5 Formazione ti e manifesta una fragilità strutturale che la rende spesso incapace di reagire alle difficoltà e alle sofferenze della vita. Non si trovano più le famiglie tradizionali ‘estese’ di un tempo ma quelle moderne ‘ristrette’, create tramite matrimonio o convivenza, con pochi componenti e nuove tipologie: famiglie mono-parentali, famiglie divise e poi ricomposte, famiglie costituite da una sola persona, con conseguenti ulteriori complicazioni. E se pensiamo che spesso a occuparsi della cura e assistenza del malato cronico è la donna che lavora (a sua volta già coinvolta nella gestione della propria famiglia) comprendiamo come risulti ancora più difficile far conciliare le esigenze dell’assistenza con quelle del lavoro (non sono infrequenti licenziamenti o interruzioni di rapporto di lavoro a motivo di ciò) e talora ancor più impegnativo far fronte ai costi legati alla cura del malato cronico (badante, spese sanitarie, altro…). Eppure tutti abbiamo bisogno dell’affetto dei nostri familiari per 6 | Nazareth 1 - 2013 Ci sono famiglie che affrontano con coraggio situazioni attraversate dalla Croce lasciandosi guidare da valori umani e soprannaturali sentirci amati, della loro protezione per sentirci sicuri, della loro compagnia per non vederci abbandonati, della loro comprensione e pazienza per non considerarci un peso e un disturbo. Abbiamo bisogno del loro aiuto per poter affrontare con realismo e serenità l’infermità e la sofferenza della vita. Chi opera nelle istituzioni sanita- rie e socio-sanitarie incontra necessariamente le famiglie dei ricoverati e tutti i giorni fa esperienza di quanto sia difficile la relazione tra familiari e operatori sanitari. L’inadeguatezza della comunicazione a volte dipende dai familiari che, sotto tensione, travalicano i limiti dell’educazione, avanzano eccessive pretese, offendono e minacciano di perseguire penalmente i sanitari. Altre volte dipende dagli operatori che non hanno acquisito quella capacità comunicativo-relazionale necessaria per integrare armoniosamente il curare e il prendersi cura, la tecnica e l’umanità, le mani e il cuore. Quello che si osserva è che non tutte le famiglie sono disponibili all’accoglienza. Tuttavia ci sono famiglie (e sono molte) per le quali la cura dei propri componenti malati o disabili è una priorità, intesa come espressione di un amore fedele che non è diminuito o spento dal sopraggiungere della malattia; ci sono famiglie che affrontano con coraggio situazioni attraversate dalla Croce lasciandosi guidare da valori umani e soprannaturali, e nelle quali i difficili momenti della prova vengono trasformati in occasione di crescita; famiglie in cui si accoglie la vita e la si serve con dedizione, amore, generosità (anche e soprattutto quando si tratta di vita ‘fragile’); famiglie che si riconoscono come ‘dono’ e come ‘sacramento’ pur nelle difficoltà, a imitazione della famiglia di Nazareth. Della loro silenziosa e straordinaria testimonianza ha quanto mai bisogno la società d’oggi… poiché sappiamo che niente è più convincente e stimolante di un ideale incarnato, divenuto realtà vissuta attraverso un esempio concreto! Emma Provoli Magistero La “Porta della fede” Continua la pubblicazione della lettera apostolica di Benedetto XVI per l’Anno della fede. Invitiamo i lettori all’approfondimento personale dei contenuti 6. Il rinnovamento della Chiesa passa anche attraverso la testimonianza offerta dalla vita dei credenti: con la loro stessa esistenza nel mondo i cristiani sono infatti chiamati a far risplendere la Parola di verità che il Signore Gesù ci ha lasciato. Proprio il Concilio, nella Costituzione dogmatica Lumen gentium, affermava: «Mentre Cristo, “santo, innocente, senza macchia” (Eb 7,26), non conobbe il peccato (cfr 2Cor 5,21) e venne solo allo scopo di espiare i peccati del popolo (cfr Eb 2,17), la Chiesa, che comprende nel suo seno peccatori ed è perciò santa e insieme sempre bisognosa di purificazione, avanza continuamente per il cammino della penitenza e del rinnovamento. La Chiesa “prosegue il suo pellegrinaggio fra le persecuzioni del mondo e le consolazioni di Dio”, annunziando la passione e la morte del Signore fino a che egli venga (cfr 1Cor 11,26). Dalla virtù del Signore risuscitato trae la forza per vincere con pazienza e amore le afflizioni e le difficoltà, che le vengono sia dal di dentro che dal di fuori, e per svelare in mezzo al mondo, con fedeltà anche se non perfettamente, il mistero di lui, fino a che alla fine dei tempi esso sarà manifestato nella pienezza della luce». L’Anno della fede, in questa prospettiva, è un invito ad un’auten- tica e rinnovata conversione al Signore, unico Salvatore del mondo. Nel mistero della sua morte e risurrezione, Dio ha rivelato in pienezza l’Amore che salva e chiama gli uomini alla conversione di vita mediante la remissione dei peccati (cfr At 5,31). Per l’apostolo Paolo, questo Amore introduce l’uomo ad una nuova vita: «Per mezzo del battesimo siamo stati sepolti insieme a lui nella morte, perché come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una nuova vita» (Rm 6,4). Grazie alla fede, questa vita nuova plasma tutta l’esistenza umana sulla radicale novità della risurrezione. Nella misura della sua libera disponibilità, i pensieri e gli affetti, la mentalità e il comportamento dell’uomo vengono lentamente purificati e trasformati, in un cammino mai compiutamente terminato in questa vita. La «fede che si rende operosa per mezzo della carità» (Gal 5,6) diventa un nuovo criterio di intelligenza e di azione che cambia tutta la vita dell’uomo (cfr Rm 12,2; Col 3,9-10; Ef 4,2029; 2Cor 5,17). 7. «Caritas Christi urget nos» (2Cor 5,14): è l’amore di Cristo che colma i nostri cuori e ci spinge ad evangelizzare. Egli, oggi come allora, ci invia per le strade del mondo per proclamare il suo Vangelo a tutti i popoli della terra (cfr Mt 28,19). Con il suo amore, Gesù Cristo attira a sé gli uomini di ogni generazione: in ogni tempo Egli convoca la Chiesa affidandole l’annuncio del Vangelo, con un mandato che è sempre nuovo. Per questo anche oggi è necessario un più convinto impegno ecclesiale a favore di una nuova evangelizzazione per riscoprire la gioia Nazareth 1 - 2013 | 7 Magistero nel credere e ritrovare l’entusiasmo nel comunicare la fede. Nella quotidiana riscoperta del suo amore attinge forza e vigore l’impegno missionario dei credenti che non può mai venire meno. La fede, infatti, cresce quando è vissuta come esperienza di un amore ricevuto e quando viene comunicata come esperienza di grazia e di gioia. Essa rende fecondi, perché allarga il cuore nella speranza e consente di offrire una testimonianza capace di generare: apre, infatti, il cuore e la mente di quanti ascoltano ad accogliere l’invito del Signore di aderire alla sua Parola per diventare suoi discepoli. I credenti, attesta sant’Agostino, «si fortificano credendo». Il santo Vescovo di Ippona aveva buone ragioni per esprimersi in questo modo. Come sappiamo, la sua vita fu una ricerca continua della bellezza della fede fino a quando il suo cuore non trovò riposo in Dio. I suoi numerosi scritti, nei quali vengono spiegate l’importanza del credere e la verità della fede, permangono fino ai nostri giorni come un patrimonio di ricchezza ineguagliabile e consentono ancora a tante persone in ricerca di Dio di trovare il giusto percorso per accedere alla “porta della fede”. Solo credendo, quindi, la fede cresce e si rafforza; non c’è altra possibilità per possedere certezza sulla 8 | Nazareth 1 - 2013 propria vita se non abbandonarsi, in un crescendo continuo, nelle mani di un amore che si sperimenta sempre più grande perché ha la sua origine in Dio. 8. In questa felice ricorrenza, intendo invitare i Confratelli Vescovi di tutto l’orbe perché si uniscano al Successore di Pietro, nel tempo di grazia spirituale che il Signore ci offre, per fare memoria del dono prezioso della fede. Vorremmo celebrare questo Anno in maniera degna e feconda. Dovrà intensificarsi la riflessione sulla fede per aiutare tutti i credenti in Cristo a rendere più consapevole ed a rinvigorire la loro adesione al Vangelo, soprattutto in un momento di profondo cambiamento come quello che l’umanità sta vivendo. Avremo l’opportunità di confessare la fede nel Signore Risorto nelle nostre Cattedrali e nelle chiese di tutto il mondo; nelle nostre case e presso le nostre famiglie, perché ognuno senta forte l’esigenza di conoscere meglio e di trasmettere alle generazioni future la fede di sempre. Le comunità religiose come quelle parrocchiali, e tutte le realtà ecclesiali antiche e nuove, troveranno il modo, in questo Anno, per rendere pubblica professione del Credo. 9. Desideriamo che questo Anno susciti in ogni credente l’aspirazione a confessare la fede in pienezza e con rinnovata convinzione, con fiducia e speranza. Sarà un’occasione propizia anche per intensificare la celebrazione della fede nella liturgia, e in particolare nell’Eucaristia, che è «il culmine verso cui tende l’azione della Chiesa e insieme la fonte da cui promana tutta la sua energia». Nel contempo, auspichiamo che la testimonianza di vita dei credenti cresca nella sua credibilità. Riscoprire i contenuti della fede professata, celebrata, vissuta e pregata, e riflettere sullo stesso atto con cui si crede, è un impegno che ogni credente deve fare proprio, soprattutto in questo Anno. Non a caso, nei primi secoli i cristiani erano tenuti ad imparare a Magistero Solo credendo la fede cresce e si rafforza memoria il Credo. Questo serviva loro come preghiera quotidiana per non dimenticare l’impegno assunto con il Battesimo. Con parole dense di significato, lo ricorda sant’Agostino quando, in un’Omelia sulla redditio symboli, la consegna del Credo, dice: «Il simbolo del santo mistero che avete ricevuto tutti insieme e che oggi avete reso uno per uno, sono le parole su cui è costruita con saldezza la fede della madre Chiesa sopra il fondamento stabile che è Cristo Signore … Voi dunque lo avete ricevuto e reso, ma nella mente e nel cuore lo dovete tenere sempre presente, lo dovete ripetere nei vostri letti, ripensarlo nelle piazze e non scordarlo durante i pasti: e anche quando dormite con il corpo, dovete vegliare in esso con il cuore». Benedetto XVI L’annuncio di Benedetto XVI Carissimi Fratelli, vi ho convocati a questo Concistoro non solo per le tre canonizzazioni, ma anche per comunicarvi una decisione di grande importanza per la vita della Chiesa. Dopo aver ripetutamente esaminato la mia coscienza davanti a Dio, sono pervenuto alla certezza che le mie forze, per l’età avanzata, non sono più adatte per esercitare in modo adeguato il ministero petrino. Sono ben consapevole che questo ministero, per la sua essenza spirituale, deve essere compiuto non solo con le opere e con le parole, ma non meno soffrendo e pregando. Tuttavia, nel mondo di oggi, soggetto a rapidi mutamenti e agitato da questioni di grande rilevanza per la vita della fede, per governare la barca di San Pietro e annunciare il Vangelo, è necessario anche il vigore sia del corpo, sia dell’animo, vigore che, negli ultimi mesi, in me è diminuito in modo tale da dover riconoscere la mia incapacità di amministrare bene il ministero a me affidato. Per questo, ben consapevole della gravità di questo atto, con piena libertà, dichiaro di rinunciare al ministero di Vescovo di Roma, Successore di San Pietro, a me affidato per mano dei Cardinali il 19 aprile 2005, in modo che, dal 28 febbraio 2013, alle ore 20.00, la sede di Roma, la sede di San Pietro, sarà vacante e dovrà essere convocato, da coloro a cui compete, il Conclave per l’elezione del nuovo Sommo Pontefice. Carissimi Fratelli, vi ringrazio di vero cuore per tutto l’amore e il lavoro con cui avete portato con me il peso del mio ministero, e chiedo perdono per tutti i miei difetti. Ora, affidiamo la Santa Chiesa alla cura del suo Sommo Pastore, Nostro Signore Gesù Cristo, e imploriamo la sua santa Madre Maria, affinché assista con la sua bontà materna i Padri Cardinali nell’eleggere il nuovo Sommo Pontefice. Per quanto mi riguarda, anche in futuro, vorrò servire di tutto cuore, con una vita dedicata alla preghiera, la Santa Chiesa di Dio. BOLLETTINO N. 0089 - 11.02.2013 Dal Vaticano, 10 febbraio 2013 BENEDICTUS Nazareth 1 - 2013 | 9 Carisma Amare sino alla fine (Gv 13,1) “A mare sino alla fine” non è un’espressione consueta nel linguaggio dei nostri Fondatori, è, però, la sostanza della loro vita, il filo conduttore della loro esistenza. Lo hanno appreso nella consuetudine con l’Eucarestia, “modello e chiave di lettura di ogni relazione umana”. La celebrazione eucaristica dice “il modo di essere uomo che Gesù ha incarnato nella storia, facendosi dono fino al sacrificio di sé sulla croce ...per poi giungere alla risurrezione...nella comunione piena con il Padre”. È questo l’itinerario per stabilire relazioni autentiche e durature, il “modo di rapportarci con l’Altro e con gli altri”. Ogni relazione ha, dunque, alla base l’uscire dalla propria soggettività, dal porre tutto in funzione dell’affermazione di sé per farsi dono attraverso scelte radicali che impegnano mente, cuore e volontà, esprimono al massimo le nostre possibilità e soddisfano al bisogno profondo di appartenere a qualcuno (l’altro, la comunità, Dio...). Mentre si afferma così la nostra identità, ci riconosciamo persone capaci e interiormente desiderose di aprirci all’altro nella reciprocità del dono. È stata questa l’esperienza dei nostri Fondatori: la loro vita interamente impostata sulla radicalità del dono, penetrata dalla passione per la “salvezza delle anime”, era aperta alle relazioni più vere ed intense. Comuni sentimenti, pensieri ed interessi li legavano in un rapporto di Padre e Figlia che diventava promozione di ciascuno e apertura dell’uno verso l’altro e verso tutti. Era 10 | Nazareth 1 - 2013 La vita dei nostri Fonadatori interamente impostata sulla radicalità del dono, penetrata dalla passione per la “salvezza delle anime”, era aperta alle relazioni più vere ed intense piena la fiducia della Figlia verso il Padre, al quale si affidava nella certezza di un progressivo crescere in quella maturazione umana e spirituale che l’avrebbe resa vera madre per le sorelle. Mente e cuore erano coinvolti: non un rapporto freddo e asettico, ma carico di “calore e di colore”, dalle poche espressioni di affetto, ma dai tanti gesti di attenzione, di cura, di promozione, di stima e di apprezzamento del vicendevole operato. Il Padre si sentiva sostenuto e incoraggiato dalla Madre e la Madre avvertiva che il Padre contava su di lei, che doveva essere “la prima in tutto”, per indicare la strada giusta in un Istituto che stava avviandosi. Rientravano in questa intensa relazione anche i rispettivi limiti e debolezze: tutto era condiderato come prova che genera la pazienza dalla quale nasce la carità (Cfr Gc 1,1), come motivo di formazione di una personalità robusta di fronte alle varie vicende e difficoltà della vita. Una tale relazione è aperta, coinvolge le altre persone, non teme confronti, esclude ogni rivalità o gelosia; soffre della lontananza, perché avverte la bellezza e la dolcezza dello stare insieme, ma va sicura dove la missione la chiama, perché ciascuna persona cara vive nel cuore dell’altra e quello che preme è l’obiettivo comune, il progetto di vita da realizzare. Infatti, quando il Padre coinvolge M. Fortunata, sorella di maggiore cultura e capacità organizzativa, nell’avvio delle opere, M. Maria gode di avere una sorella alla quale “rivolgersi per avere consiglio,...per confidare pene e angustie” e si rammarica di non poterlo più fare, quando deve distaccarsene, perché l’Istituto cresce e altre comunità nascono con la necessità di essere guidate, ma sente la grandezza e la preziosità di una rete di affetti e di relazioni che si va estendendo e che diventa l’avanzare del Regno di amore e di pace, per il quale spende la vita. Madre Maria conservava sempre un atteggiamento di grande rispetto e devozione verso colui che era Padre e Pastore, sia per la considerazione coltivata verso il ministero pastorale del Parroco e Fondatore, sia per la differenza di età e di compiti sia per la cultura del tempo che poneva la donna nella sudditanza, in particolare la religiosa guidata e spesso dipendente da un confessore o direttore spirituale. Ella, però, è stata la donna dalla personalità chiara e decisa, Esperienza L’amore di Madre Maria era Cristo Signore: egli, con la sua venuta, ci ha rivelato le relazioni dentro la Trinità come amore reciproco fra le tre persone dai sentimenti forti, perché mossa da un unico amore e da un unico interesse: che le comunità fossero “un cuore ed un’anima sola”. Il suo amore era Cristo Signore: egli, con la sua venuta, “evento essenzialmente di relazione” (P.Coda), ci ha rivelato le relazioni dentro la Trinità come amore reciproco fra le tre persone, come dono di ciascuna per la piena espressione dell’altra. Da Cristo, perciò, apprendiamo, e solo da lui, relazioni vere e durature, intensamente umane e divine. Questi discorsi possono sembrare alti e difficili, ma “Dio è amore” e dovunque c’è un sentimento, un pensiero, un gesto d’amore, c’è Dio e insieme la pienezza dell’umanità, la radicalità del vivere e del donarsi in tutti i campi e in tutte le situazioni della vita, ciascuno secondo la sua vocazione e la sua condizione. Questo comporta l’essere persone adulte, persone che escono da sé, dal proprio egoismo che chiude e blocca, per perseguire uno scopo alto nella vita, esprimendo tutta la nostra capacità di dono e di amore, sperimentandone la bellezza e la gioia. G.T. La relazione al centro Cercare in continuazione l’equilibrio nelle proprie azioni, nelle proprie proposte, nei propri giudizi “I l primo servizio che si deve al prossimo è quello di ascoltarlo. Come l’amore di Dio incomincia con l’ascoltare la sua Parola, così l’inizio dell’amore per il fratello sta nell’imparare ad ascoltarlo. Chi non sa ascoltare il fratello, ben presto non saprà neppure più ascoltare Dio. Anche di fronte a Dio sarà sempre lui a parlare”. Così scriveva il pastore Dietrich Bonhoeffer, filosofo e teologo tedesco ucciso dai nazisti nel 1945, a soli 39 anni. L’uomo – ricordava sempre Bonhoeffer – non deve rimanere ai margini della realtà, dove non rischia la fatica delle relazioni e si isola nella sua comoda ed egoistica solitudine, ma deve stare al centro, dove ci sono gli altri uomini. Le parole del teologo tedesco sono senz’altro preziose per chi fa scuola, per chi educa: l’insegnamento, lo sappiamo, non è utile né significativo se non passa prima attraverso l’ascolto dei bisogni di chi abbiamo davanti, degli alunni, dei giovani in generale. Un educatore che operi in totale solitudine dalla sua posizione ex cathedra probabilmente potrà comunicare abbondanti e precise nozioni disciplinari, ma difficilmente potrà davvero trasmetterle, far sì cioè che chi ha davanti le faccia davvero proprie. Chiunque lavori nella scuola, chiunque entri in aula e si metta in rapporto con degli alunni giovani e giovanissimi, impiega in genere poco tempo per scoprire come la parte più sensibile, diffi- Nazareth 1 - 2013 | 11 Esperienza Stare nel luogo dell’ascolto reciproco e della relazione, è sicuramente più complicato, e richiede una disponibilità costante cile e al contempo importante del proprio “mestiere” consista proprio nel creare relazioni. Relazioni che educhino e che facciano crescere. Relazioni che permettano di costruire, di interagire, di comprendere i motivi per i quali siamo qui, in questa stessa classe, tutti insieme, a parlare di letteratura, o a “fare” matematica, o a valutare ciò che sappiamo e che sappiamo fare. E così via. È difficile, certo, come dicevamo poc’anzi. Più comodo sarebbe limitarsi a rispettare le programmazioni col cronometro alla mano, imporre regole senza rispettarle o spiegarne le ragioni, nascondersi dietro ad un voto, positivo o negativo che sia, evitare le domande perché dare risposte ci fa perdere tempo, impostare i rapporti con gli alunni come se fossimo su pianeti diversi oppure, al contrario, come se fossero nostri amici. In fondo tutti questi atteggiamenti corrispondono un po’ allo “stare ai margini”, nel luogo dove siamo utili forse solo a noi stessi, ma probabilmente non lo siamo a chi ha bisogno di noi. “Stare al centro”, nel luogo dell’ascolto reciproco e della relazione, è sicuramente più 12 | Nazareth 1 - 2013 complicato, e richiede una disponibilità costante, da parte nostra, di metterci alla prova, di sbagliare e ripartire dai nostri errori, di imparare dalla quotidianità dei rapporti umani. L’insegnamento insomma – così come senz’altro molti altri servizi – è una missione fatta per “stare al centro”, e “stare al centro” significa anche cercare in continuazione l’equilibrio nelle proprie azioni, nelle proprie proposte, nei propri giudizi. Un insegnante che non si metta in dubbio a questo proposito, che non si chieda mai o quasi mai “che cosa ho insegnato oggi? che cosa hanno imparato da me i miei allievi? sono stato un testimone credibile e coerente davanti ai loro occhi? ho risposto alle loro domande o sono stato frettoloso?...” forse vive meglio con se stesso, attraversa gli anni scolastici senza deviazioni e tentennamenti, ma è in grado di lasciare davvero qualcosa? Forse sì, ma sicuramente a scapito dei rapporti umani. In molte indicazioni pedagogiche odierne – quelle ad esempio che i candidati dell’attuale concorso a cattedre stanno studiando – si parla di “centralità del discente” nella scuola: l’alunno al centro con l’educatore che gli gira attorno come un satellite. Venendo da decenni in cui l’unica centralità è stata quella dell’insegnante (della sua figura carismatica e temibile, più che della sua materia), si tratta di una definizione comprensibilmente semplicistica. Al centro, in realtà, non sta uno o l’altro, il maestro o l’allievo, mettendo ai margini ora il primo ora il secondo, bensì la loro relazione. L’incontro tra i due. Entrambi – insieme alle famiglie, all’istituto, alla comunità, alla società – sono il vero centro della scuola. Un centro in dialogo che, se rinuncia all’ascolto reciproco, rischia di rinunciare anche all’educazione. Andrea Cornale Letteratura Le relazioni familiari nella letteratura Tante esperienze diverse per collocazione temporale e geografica e per ambientazione sociale. È solo l’amore che permette di affrontare insieme le difficoltà della vita I l tema della famiglia, in maniera più o meno diretta, è presente in quasi tutte le opere letterarie e riesce quindi particolarmente difficile sceglierne qualcuna più significativa di altre, facendo torto a molte di pari valore. Per restringere un po’ il campo, escluderemo per il momento la produzione poetica, di cui parleremo magari in un’altra occasione, e ci fermeremo alla prosa, con qualche accenno alla cinematografia (che in fondo non è altro se non narrativa per immagini). I primi titoli che balzano alla mente, parlando di famiglia, sono quelli di grandissimi romanzi come I Malavoglia di Giovanni Verga o I Buddenbrook di Thomas Mann, ma ce ne sono moltissimi altri (decisamente più facili da leggere), fra i quali – come al solito… – mi permetto di citare quelli che hanno incontrato maggiormente il mio gradimento. Come Dio comanda di Niccolò Ammaniti (2006) ci propone una famiglia assolutamente insolita, formata da Rino Zena, uomo violento, brutale, volgare e squilibrato, perennemente disoccupato e sempre in lotta con i servizi sociali che minacciano costantemente di togliergli la patria potestà, e dal figlio Cristiano, adolescente timido e irrequieto, cui il padre è legato da un amore viscerale e che tenta di educare a suo modo, secondo i suoi valori, con il fermo proposito di insegnargli a difendersi da tutti. La madre di Cristiano aveva ab- bandonato il marito e il figlio appena si era resa conto di quale uomo avesse sposato ed è quindi del tutto assente dalla vita della famiglia: in compenso gravitano su quest’ultima degli amici che vivono ai margini della società e che sono accomunati ai protagonisti del romanzo per la loro “diversità”. La vicenda diventerà drammatica in seguito alla morte violenta di una compagna di scuola di Cristiano, il quale dovrà far ricorso a tutte le sue forze per superare la tragedia che aveva sconvolto e coinvolto lui stesso e gli altri membri della sua cosiddetta “famiglia”. (Il romanzo è stato portato sullo schermo da Gabriele Salvatores, che ne ha fatto un film cupo e tenebroso, accentuando le atmosfere ed i caratteri dei personaggi, già piuttosto inquietanti e disturbanti nel libro). Opposto al precedente sotto tutti gli aspetti, ma di consigliabile lettura, è l’ormai classico Lessico famigliare (sic) di Natalia Ginzburg (1963), in cui l’autrice ripercorre con la memoria la vita sua, e soprattutto dei suoi familiari, dall’avvento del fascismo al secondo dopoguerra, raccontando piccoli e grandi avvenimenti inseriti però sempre, malgrado la tragicità di certuni (i Ginzburg erano ebrei), in un contesto caratterizzato dall’amore e dall’aiuto reciproco. Lo stesso amore e lo stesso aiuto troviamo – pur se in forme molto diverse – nella serie dei libri di Daniel Pennac che costituiscono la saga della famiglia Malaussène e specialmente ne Il paradiso degli orchi, La prosivendola, Signori bambini e Ultime notizie dalla famiglia (anni ’90). Famiglia atipica, formata fondamentalmente da fratelli e sorelle differenti per età e per carattere, ma legati da un affetto vero e soprattutto guidati da sentimenti di grande moralità e di incondizionata apertura verso il prossimo. Nel quartiere parigino di Belleville, infatti, vivono persone di molteplici nazionalità, lingue, religioni, tradizioni, storie personali, ma l’atteggiamento che domina è basato sulla solidarietà, sull’accettazione dell’altro e sul sostegno reciproco: questo il messaggio che emerge principalmente dai libri di Pennac, secondo il quale la famiglia non deve essere un nucleo chiuso all’esterno, ma aperto ad una società aperta a sua volta verso il resto del mondo. Per concludere, vorrei suggerire la visione di alcuni film nei quali il tema della famiglia è trattato in maniera diversa ma sempre interessante e coinvolgente. Il capolavoro di Ermanno Olmi L’albero degli zoccoli (1978) ci racconta della durissima vita di Nazareth 1 - 2013 | 13 Famiglia Relazioni quotidiane La qualità delle relazioni che stabiliamo con i figli, giorno per giorno, li aiuta a crescere e ad affrontare da soli alcune difficoltà alcune famiglie di contadini bergamaschi alla fine dell’Ottocento, quando il taglio di una pianta, per fare un paio di zoccoli ad un figlio, poteva costare la cacciata della famiglia intera da parte del padrone della terra. Rocco e i suoi fratelli (1960) di Luchino Visconti ci porta nella Milano degli anni ’50 e ci fa assistere alle vicissitudini di cinque fratelli lucani, emigrati al nord con l’anziana madre alla ricerca di una vita migliore. Mignon è partita (1988) e Il grande cocomero (1993) di Francesca Archibugi ci mettono di fronte alla trasformazione dei rapporti familiari nell’Italia degli anni Novanta e infine Agata e la tempesta (2003) di Silvio Soldini ci presenta in maniera ora brillante, ora comica, ora drammatica varie forme di famiglia negli anni a noi più vicini. Credo si sia potuto percepire come ci sia qualcosa che accomuna tante esperienze diverse per collocazione temporale e geografica e per ambientazione sociale: è l’amore. Solo finché esso è vero, sincero, spontaneo le difficoltà della vita possono essere, se non superate del tutto, almeno affrontate insieme. Questo, in ultima analisi, è il messaggio che possiamo trarre dalle opere letterarie e che può essere condiviso da tutti, al di là di ogni contesto, di ogni religione, di ogni filosofia di vita. Maria Laura Rosi 14 | Nazareth 1 - 2013 I l poter instaurare relazioni vere, profonde e significative, con altre persone è di primaria importanza per lo sviluppo psico-fisico di ogni individuo. Nessun uomo è un’isola (T. Merton) e fin dalla nascita ognuno di noi ha bisogno di entrare quanto prima in contatto con un altro essere umano, a cominciare dalla propria madre, della quale il bambino sa subito riconoscere odori e suoni. Crescendo, poi, il rapporto con chi ci sta vicino, ci nutre, ci plasma, lascia un’impronta definitiva nel nostro essere. Come madre mi accorgo spesso di quanto i miei figli “prendano” da me o da mio marito in termini di linguaggio, di espressioni, di atteggiamenti, di convinzioni … I bambini sono come delle spugne che assorbono tutto ciò che trovano intorno : parole, sorrisi, gesti, ma anche umori, toni di voce, silenzi. Nella loro spontaneità e mancanza di difese, i bambini sanno sempre riconoscere ciò che è autentico, a cominciare dai sentimenti. Tutto questo mi sorprende e mi affascina, ma mi rende anche sempre più consapevole dell’importanza dell’azione educativa di noi genitori. Spesso ci preoccupiamo molto per i nostri figli, per il loro futuro, per la loro salute, per i pericoli o le difficoltà che possono incontrare, ma non sempre ci rendiamo conto di quanto la qualità della relazione che stabiliamo con loro giorno per giorno li possa aiutare a crescere e ad affrontare da soli ciò che in noi genitori crea molta apprensione. È proprio nella capacità di costruire e coltivare con infinita cura e pazienza queste relazioni d’amore che si fonda la vita di ogni famiglia. Ogni genitore lo sa e cerca sempre di dare e di fare del suo meglio, anche quando il tempo la fa da tiranno, quando non riesce a ricevere sul momento le risposte che vorrebbe, quando non sa quale strada prendere o quando sembra che i suoi sforzi siano vani. Il compito dei genitori è difficilissimo, lo è sempre stato, ma forse oggi lo è ancora di più. Nella nostra esperienza ci aiuta molto il confronto sia tra marito e moglie (cerchiamo sempre di trovare nell’arco della giornata dei momenti di scambio di impressioni, di dubbi, di pareri sui nostri figli), sia con le persone che a vario titolo aiutano i nostri figli a crescere (insegnanti, catechiste, allenatori, nonni, ecc…), cercando di fare in modo che tutte le nostre azioni siano sempre in sinergia. Certo, alle volte capita che ci troviamo di fronte a quel problema che non riusciamo a risolvere, a quella decisione che non sappiamo prendere, a quel fatto o parola che resta per noi un mistero… E allora ci fermiamo, aspettiamo fiduciosi un aiuto, sicuri che Chi ci ha fatto questo meraviglioso dono, saprà anche custodirlo per noi e per mezzo di noi. Anna Maria Rossetto Fidanzati Al centro la “relazione d’amore” L’esperienza di Dio nella relazione S ono più di 25 anni che, assieme ad alcune coppie di sposi, teniamo ogni anno vari “percorsi” per gruppi di fidanzati, che si preparano al matrimonio. È una esperienza straordinaria per loro e per noi, che diventa anche cammino di fede e di preghiera. Sono percorsi centrati sulla “relazione d’amore” che i fidanzati stanno vivendo e sulla relazione d’amore che vivranno, come sposi. Da pochi mesi è uscito un documento della Commissione Episcopale per la famiglia e la vita, intitolato “Orientamenti pastorali sulla preparazione al Matrimonio e alla Famiglia”. Abbiamo trovato in questo documento tanti motivi di conferma e di consolazione per il cammino fatto in tutti questi anni. Nel documento molto opportunamente si ribadisce il valore e la fiducia nella persona umana e l’impegno della Chiesa nell’accompagnare i fidanzati “nelle affascinanti ed impegnative tappe dell’amore”. Già nel “Direttorio di Pastorale Familiare” del 1993, i Vescovi italiani parlavano del fidanzamento come “tempo di grazia … momento privilegiato di crescita nella fede, di preghiera e di partecipazione alla vita liturgica della Chiesa”, ed è veramente così. Si tratta di cogliere tutta la bontà della “relazione d’amore” che i fidanzati vivono ed aiutarli a farsi delle domande, ed aprirsi ad un amore più grande, e trovare vita e sostegno alla fonte dell’amore, in Dio. Un Dio che è “relazione d’amore”: Padre, Figlio e Spirito. La “relazione d’amore” dell’uomo e della donna ne sono la prima vera immagine: “Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò: maschio e femmina li creò” (Gen. 1,27). Un passaggio del Documento dice molto bene l’aprirsi a Dio nella relazione: «Nell’enciclica Redemptor hominis il Beato Giovanni Paolo II insegna che “l’uomo non può vi- vere senza amore. Egli rimane per se stesso un essere incomprensibile, la sua vita è priva di senso, se non gli viene rivelato l’amore, se non s’incontra con l’amore, se non lo sperimenta e non lo fa proprio, se non vi partecipa vivamente”. È a questa pienezza di vita e di amore che aspirano i più giovani quando il loro affetto li spinge a cercare la Nazareth 1 - 2013 | 15 Fidanzati relazione con l’altra persona. La spinta pulsionale invita a uscire da se stessi per entrare in una relazione di reciprocità. La relazione amorosa ha come punto di partenza l’attrazione per l’altro, la profonda aspirazione all’incontro presente in ogni essere umano, il desiderio di superare la solitudine. È una risposta al bisogno profondo di essere riconosciuti, scelti e amati, ma rappresenta anche un’occasione di cambiamento e di crescita, che può condurre il giovane da un narcisistico amore di sé, che generalmente si annida nei primi passi della relazione amorosa, a un amore che impara a tradursi in dono di sé per l’altro». È un aprirsi a Dio nella relazione che vale per tutti, non solo per i fidanzati. Anche io prete e le coppie di sposi che collaborano con me, attraverso le testimonianze che offriamo, diamo testimonianza dell’amore 16 | Nazareth 1 - 2013 di Dio che sperimentiamo nella realtà incarnata della nostra vita: “Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede” (1Gv. 4,20). L’amore verso il prossimo è la strada che ci porta ad incontrare Dio. È vero per tutte le relazioni, ed è vero in modo speciale con il proprio innamorato. C’è forse un prossimo più prossimo del tuo sposo/a? Ma torniamo al Documento citato ed al cammino dei fidanzati: “Un primo dato è riconoscere il limite e l’infinitezza dell’esperienza amorosa: il limite è dato dal fatto che nessuna esperienza o sentimento saziano il cuore dell’uomo, sempre portato a desiderare e cercare qualcosa di più grande, che in definitiva si trova solo in Dio (…) nell’innamoramento si vive l’esperienza della totalità nella quale si è condotti a “perdersi”, a dare tutto di sé, per ritrovare se stessi nell’altro (cfr. Gv. 12,25). Così Dio si rivela dentro l’amore umano, tra uomo e donna, e si comunica nel cammino verso il sacramento del matrimonio. Sarà proprio a partire dalla scintilla dell’innamoramento che il ragazzo e la ragazza potranno iniziare il proprio itinerario interiore per accogliere e vivere la presenza di Dio.(…) L’esperienza dell’innamoramento e le tappe attraverso cui si impara ad amarsi in modo sincero e totale sono così grandi e coinvolgenti che lasciano trasparire l’amore stesso di Dio. La “Deus Caritas est” (di Benedetto XVI) ci insegna proprio questo: che l’amore umano non è separato dall’amore divino. Al contrario, come annuncia l’apostolo Giovanni, «Dio è amore» (1Gv. 4,8), e chi fa esperienza dell’amore fa esperienza di Dio, che dell’amore è la prima sorgente e colui dal quale attingiamo la forza di amare”. Quanto stiamo affermando non dobbiamo prenderla semplicemente come una realtà sentimentale. L’amore sponsale è una realtà “sacramentale” e: «la “materia prima” del sacramento del matrimonio è la persona e la relazione tra gli sposi» (pag 13). Ma dobbiamo allargare lo sguardo ed accorgerci che la “materia prima” di tutta la realtà sacramentale della Chiesa (vedi Lumen Gentium cap.1) è la “relazione d’amore” vissuta con i fratelli. Per questo il Signore ha pregato, nell’ultima cena: «Non prego solo per questi, ma anche per quelli che crederanno in me mediante la loro parola: perché tutti siano una sola cosa; come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi, perché il mondo creda che tu mi hai mandato (…) siano perfetti nell’unità e il mondo conosca che tu mi hai mandato e che li hai amati come hai amato me» (Gv. 17,20-23). d. Lino Faggioli Iconografia e spiritualità Relazioni dentro un evento speciale L’Icona dell’Ultima Cena I l prototipo di questa icona è stato “scritto” tra il 1425 – 1427 da iconografi della bottega di Dajil Cernji e Rublev, molto probabilmente dall’iconografo Monaco Danjil Cernji, primo maestro di Rublev, per l’iconostasi del Monastero della Trinità, di S.Sergio, a Sergiev Posa. L’evento dell’Ultima Cena era usato come soggetto già nel VI secolo, ma nessuna icona che lo raffiguri è giunta fino a noi. Osservando l’icona è di immediata comprensione l’episodio evangelico cui si riferisce. Gesù, desiderando ardentemente mangiare la sua ultima Pasqua con i suoi discepoli, motivo per cui è venuto al mondo, raduna a tavola “la sua Famiglia” la sera degli Azzimi, in una stanza da lui stesso indicata. I dodici sono riuniti nel Cenacolo a Gerusalemme. L’immagine dell’interno della casa è raffigurata, come di consueto, dal drappo rosso che si stende da un capo all’altro dell’edificio posto sullo sfondo. L’iconografo descrive una tavola rotonda ponendo il Cristo seduto in trono a sinistra (antico posto d’onore) e tutti intorno i dodici Apostoli, fermando nell’immagine un particolare momento della riunione. Due di essi sono reclinati ed hanno lo stesso movimento: Giovanni, il prediletto, vicino a Gesù, la “fedeltà”; poco più distante ed al centro della scena “il tradimento” Giuda, intento a prendere cibo da un piatto; gli altri dieci si guardano in atteggiamento interrogativo e di stupore. È il momento ben preciso della narrazione che pre- cede la frazione del pane e l’istituzione dell’Eucaristia, in cui Gesù “profondamente turbato” rivela agli Apostoli : “in verità, in verità vi dico: uno di voi mi tradirà”(Mt 26,21.Gv13,21). È ben chiaro che solo undici sono sorpresi dalla inaspettata ed incredibile rivelazione; Giuda invece, apparentemente incurante della cosa, si occupa solo di mangiare allungando le mani al piatto: il suo sguardo non incontra nessuno, sa di essere egli stesso il traditore; gli altri invece si guardano, non riuscendo a capire di chi Gesù parlasse. Eccellente “traduzione in immagine” delle parole dell’evangelista Giovanni. Contemplando l’icona si viene investiti, in ondate successive, da un senso di calore, di intimità e di pace, ondate che purtroppo si infrangono sulla rigida linea del movimento di Giuda, tradimento personificato. Questo momento di altissima intensità spirituale in cui si consuma il dramma del folle piano di Giuda, l’uomo che rifiuta di credere all’Amore di Dio e quindi non accetta di amare il Padre ed i fratelli, induce a riflettere sul mistero della Cena: quel mistico banchetto, spirituale e sacramentale al tempo stesso, in cui Gesù si offre cibo e bevanda di redenzione per tutti. Simbolicamente tutto ruota intorno alla struttura circolare della mensa, simbolo della comunione, quindi dell’Amore. È la nuova ed Eterna Alleanza con tutta l’umanità: Gesù il Cristo nel quale “abita corporalmente tutta la pienezza della divinità”(Col.2,9) diventa, come dice S. Gregorio Palomas “concorporeo con noi” affinché noi a nostra volta siamo trasformati in Lui. Gli Apostoli, primi destinatari di tale dono, sono rappresentati come uomini comuni e semplici, mentre la persona di Gesù è raffigurata tutta intera: è l’unico ad avere l’aureola e si rivolge agli altri commensali in atteggiamento di donazione, che anticipa la sua imminente morte in croce. L’icona del Cenacolo riconduce all’icona della Trinità, banchetto trinitario della comunione tra Padre, Figlio e Spirito Santo, offerta sacramentale svelata e donata a tutti gli uomini da Gesù. Italo Forieri Nazareth 1 - 2013 | 17 Voce giovani Relazioni e poesia Anche un sorriso e uno sguardo possono creare relazione I n questo numero di Nazareth continua la pubblicazione di alcune poesie, frutto della penna e dell’intuizione di alcuni giovani. Le liriche che proponiamo sono state scritte circa dieci anni fa da alunne della Scuola Superiore Egeria Sacra Famiglia di Verona, su sollecitazione dell’insegnante di storia della filosofia suor Maria Angelica Cavallon. Raccolte in alcuni preziosi quaderni, queste poesie sono una testimonianza ancora valida ed attualissima di come quelle adolescenti vivessero le relazioni con il mondo, con gli altri, con se stesse con l’intuitiva spontaneità tipica della loro età di “passaggio” e maturazione. Il commento (a cura della stessa suor Maria Angelica e di Andrea Cornale, insegnante nella stessa scuola) cerca di mettere in luce come la parola, il linguaggio poetico di queste giovani – ben oltre la sua apparente semplicità – sia uno strumento eccezionale di conoscenza, espressione, comunicazione. La “relazione” è ovviamente un’esperienza fondamentale per le giovani che hanno scritto questi versi: è un ponte verso gli altri, verso il mondo, ma anche verso un’interiorità da vivere e scoprire ogni giorno con entusiasmo. Sorridi al mondo Anche se qualche volta è crudele. Sorridi alle persone Anche se qualcuna ti fa soffrire. Sorridi perchè Stai vivendo. Sara Perinelli Sorridere su quella parte di mondo che manifesta la sua crudeltà forse non è proprio opportuno. Sorridere, nonostante la complessità non certo nascosta del nostro mondo... è probabilmente saggezza e impegno per non lasciarsi prendere dalla paura o dallo scandalo. È buona cosa sorridere alle persone, non rimanendo morbosamente attaccati a quel qualcosa che ti fa soffrire. Dentro questo mondo complesso, attraverso le relazioni quotidiane “stiamo vivendo”. Vivere è bello; sorridendo si vive meglio. 18 | Nazareth 1 - 2013 Se guardi dentro agli occhi, puoi scoprire il mondo interiore dell’uomo, i suoi segreti, le sue intenzioni, i suoi sentimenti. Gli occhi ti possono tradire, svelano i tuoi più intimi segreti, svelano il mistero che c’è dentro di te. Di occhi ce ne sono molti: alcuni sono sereni, altri un po’ sinceri; alcuni sono travolgenti, altri un po’ sofferenti. Le parole, i grandi discorsi possono ingannare, ma gli occhi non ti tradiranno mai, perché essi rappresentano lo specchio della tua anima. Elena Portioli In una società come la nostra, sempre più basata sulla comunicazione a distanza, sulla tecnologia che allontana, sulle immagini e sull’immagine, è bello riscoprire il valore della conoscenza: guardare dentro agli occhi di una persona significa conoscerla, sentirla vicina, dedicare a lei il nostro tempo e la nostra attenzione, cercare “il mistero che è dentro di lei” con umana curiosità.