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La seguente pubblicazione è il lavoro individuale di fine corso di Stefania La Malfa ed è un allegato del Ducato, periodico dell'Istituto per la formazione al giornalismo di Urbino I materiali possono essere riprodotti in tutto o in parte previa esplicita citazione della fonte ma non possono essere utilizzati a scopo commerciale. I testi e le foto sono di Stefania La Malfa Un futuro su misura Firenze, dal campo nomadi in sartoria: così un gruppo di donne rom si lascia alle spalle un passato fatto di elemosina e disagio, creandosi un lavoro. Grazie al quartiere e al volontariato di Stefania La Malfa F orbici, ago e filo come mezzi di integrazione. Oggetti di uso quotidiano per quattro donne rom arrivate in Italia dalla ex Jugoslavia in cerca di un futuro migliore. Fatima, Hira, Selvije e la figlia Fatima vivono a Firenze nel villaggio del Poderaccio, alle porte del quartiere 4 , l'Isolotto. A due chilometri di distanza c'è la sartoria-stireria dove lavorano, il laboratorio Kimeta dal nome di una giovane donna rom morta prematuramente. Un lavoro, aggiustare gli abiti o stirare quelli che a casa si ha solo il tempo di lavare, che le rom condividono con altre donne, italiane, del volontariato di quartiere. Si sono incontrate dieci anni fa e da quel momento hanno iniziato un percorso di conoscenza reciproca. Continuato, con il supporto delle istituzioni, in un impegno delle volontarie ad aiutare donne come loro nell'inserimento sociale. Attraverso l'alfabetizzazione e un'esperienza di lavoro. "Vengo dalla Macedonia - racconta Fatima in un italiano non perfetto ma comprensibile - e nel mio paese facevo lo stesso tipo di lavoro insieme con mio marito. Lui poi mi ha lasciata ed è venuto a Firenze. Non avevo altra possibilità di lavorare e sono partita anch'io con i miei figli". segue nelle pagine successive UN FUTURO SU MISURA “Così il lavoro ci ha cambiato la vita” Ki m e t a, t a ppe di u n i n con t r o 1995 Un gruppo di confronto su “donne e volontariato”, promosso dalla commissione Sicurezza del Quartiere 4 di Firenze, decide di entrare in contatto con le rom che vivono al campo del Poderaccio segue dalle pagine precedenti Fatima ha 50 anni e da quando è arrivata in Italia, dieci anni fa, non è mai tornata a casa. "Ho cinque figli, tre maschi e due femmine. Il più piccolo vive con me e lavora come apprendista. La più grande abita al villaggio, gli altri invece in case popolari. Anche mio marito vive al Poderaccio ma in un'altra casetta perché stiamo divorziando". Anche Hira e Selvije abitano al villaggio, ma da più tempo. Vengono entrambe dal Kosovo e per loro il lavoro ha avuto il significato di un cam- Non solo cucire e stirare. All’esperienza di lavoro è stato aggiunto un corso per insegnare alle rom anche a leggere e scrivere 1996 Le donne del volontariato incontrano un gruppo di donne rom. L’obbiettivo è “conoscersi, comunicare, socializzare i bisogni”. Le volontarie raccolgono la richiesta delle rom di trovare un lavoro per inserirsi nella società. L’ipotesi a cui si pensa è quella della creazione di un laboratorio di cucito. Viene formulato un progetto di formazione-lavoro, finanziato da Regione, Comune e Quartiere 4. La parola d’ordine dell’iniziativa è “Donne per le donne” biamento radicale. Hira ha 53 anni ed è venuta a Firenze alla fine degli anni '80: nel suo paese faceva la casalinga, qui chiedeva l'elemosina per strada prima di lavorare nel laboratorio di cucito. "Mio marito non lavora e non ha permesso di soggiorno. Nei fine settimana chiedo ancora l'elemosina, ma solo davanti alle chiese dove i parrocchiani mi conoscono. Ho quattro figli grandi che lavorano, una di loro vive in una casa popolare". Selvije invece è più giovane, ha 39 anni ma lo stesso quattro figli, tre grandi e una bambina. La maggiore lavora con lei nel laboratorio di cucito. Il marito faceva il Il laboratorio Kimeta in via Modigliani 125 a Firenze. Sotto, Fatima (prime due foto) e Hira (terza e quarta foto) nella parte del laboratorio dove vengono stirati i vestiti. In copertina, Selvije mentre aggiusta alcuni abiti muratore, al momento è disoccupato. "Vengo da Pristina - racconta - e là mio marito faceva il batterista e io la donna delle pulizie ma non c'era più tanto lavoro così lui è venuto in Italia e io l'ho raggiunto dopo un anno. Adesso sono quattordici anni che siamo qui". Ringraziano le rom per l'aiuto ricevuto e soprattutto di aver avuto la possibilità di imparare a leggere e scrivere. In particolare Fatima, la figlia di Selvije: "Ho deciso di non seguire il destino delle altre ragazze, che si sposano presto e alla mia età hanno già due o tre figli e stanno in casa a fare le faccende". Sono state le volontarie delle associazioni di quartiere ad avvi- Inizia il progetto di formazionelavoro. Nel programma è inserito anche un corso di alfabetizzazione primaria perché solo due delle dieci donne rom sanno leggere e scrivere. Dopo un anno, conclusa la fase della formazione, nasce il laboratorio di cucito e stireria Kimeta che con le loro famiglie vivevano ai margini della città. "Trovare lavoro è stato il primo desiderio espresso dalle donne rom - spiega la responsabile del laboratorio Kimeta Luciana Angeloni - quindi ogni tipo di relazione poteva crescere e approfondirsi solo se si basava su questa loro richiesta". Un percorso di formazione e lavoro con risultati positivi, iniziato con un corso di alfabetizzazione per dieci donne rom che poi hanno trovato la loro occupazione a Kimeta. "Non erano abituate a lavorare sottoposte - aggiunge Angeloni - e all’inizio abbiamo avuto qualche difficoltà perché alcune di loro 2000 non rispettavano gli orari o non riuscivano a concentrarsi. Poi sono riuscite ad adattarsi ma comunque non ci sono mai stai problemi insormontabili". Nel tempo alcune hanno smesso perché si sono trasferite o perché è scaduto il loro permesso di soggiorno. Sono rimaste Fatima, Hira, Sel- minori. Macedoni, bosniaci e kosovari partiti dalla ex Jugoslavia alla fine vije e la figlia Fatima, che hanno un contratto di lavoro part-time a tem- degli anni '80 per sfuggire alla guerra e alla povertà. La zona si trova all'e- po indeterminato con la cooperativa sociale Samarcanda di cui il la- strema periferia di Firenze, per arrivarci si superano i confini comunali. Qui boratorio fa parte. All'inizio il progetto è stato finanziato dalla regione ci sono il Poderaccio I e il Poderaccio II, due insediamenti vicini separati so- e dalla provincia, ora si cerca di arrivare all’autonomia economica. lo da una strada. I rom adesso vivono in casette di legno, fino a due anni fa "Sono contenta di aver ripreso qui il lavoro che facevo nel mio paese", il loro tetto era invece quello di una roulotte. spiega Fatima, e Selvije aggiunge: "Io sapevo già un po' cucire, qui ho Dopo più di dieci anni dall’arrivo dei rom l’amministrazione comunale non imparato a farlo meglio ma in più ora so anche leggere e scrivere". ha più voluto tollerare le condizioni in cui vivevano e nel 2000 ha progetta- Le altre donne del Poderaccio fanno le casalinghe o lavorano come do- to di smantellare i campi: "Superare l'ottica dei campi - sottolinea l'asses- mestiche. Una di loro, Igbála, è mediatrice culturale. È stata scelta per sore all'integrazione del comune di Firenze Lucia De Siervo - ci è sembrata svolgere attività di intermediazione tra le rom e il consultorio della Asl la scelta giusta per offrire loro un'accoglienza dignitosa". I nuovi villaggi so- e sensibilizzare così sull'importanza di curare la propria salute. no stati però realizzati e abitati solo dopo quattro anni, tra il 2004 e il 2005. 2 Il progetto riceve i finanziamenti. La gestione del corso viene affidata a un’agenzia di formazione. È previsto l’inserimento di dieci donne rom, che ricevono un contributo mensile di 400mila lire. Sono concordate regole per responsabilizzare le rom ad assumere l’impegno ad una presenza costante, al rispetto degli orari, a collaborare al riordino dei locali 1998-99 cinarsi al campo per instaurare un rapporto con quelle donne Sono 79 le famiglie che vivono al villaggio, più di 400 persone, la metà 1997 È aperta la cooperativa sociale Kimeta. L’esperienza non decolla per mancanza di finanziamenti perché “essere rom non è riconosciuto come un disagio sociale” 2003 Il laboratorio è inserito tra le attività della cooperativa sociale Samarcanda. Sono assunte con contratto part-time a tempo indeterminato quattro delle dieci donne rom, le altre interrompono l’attività. Le rom condividono il lavoro con sette volontarie del quartiere, alle quali si aggiunge un’altra donna italiana come socia-lavoratrice segue nelle pagine successive 3 UN FUTURO SU MISURA segue dalle pagine precedenti Una soluzione comunque temporanea in attesa di trovare sistemazioni alternative, per esempio in case popolari. "A Firenze ci sono altri insediamenti - continua l'assessore - quello del Guarlone dove vivono sei famiglie in villette in muratura e il campo dell'Olmatello dove i rom sono ancora nelle roulotte". Il numero dei rom nei campi è diminuito negli anni perché molti adesso vivono, a Firenze o nel resto della Toscana, in case in affitto: un progetto questo che durerà due anni e ha permesso di sgomberare il campo abusivo dell'Olmatellino che era stato creato accanto all’Olmatello". I rom sono contenti della nuova sistemazione al Poderaccio anche se c'è chi vorrebbe al più presto andare a vivere nelle case popolari. Il comune ha cercato di migliorare in questo modo le loro condizioni di vi- Il nuovo villaggio È costruito su un’area di proprietà del comune. Le case sono in legno lamellare ignifugo di quattro diverse tipologie, da un minimo di 26 a un massimo di 64 metri quadrati. Le famiglie hanno sottoscritto un contratto di "concessione in uso", rinnovabile, gratuito per il primo anno e con l’addebito dei consumi. Sono state effettuate anche opere di bonifica e urbanizzazione, allacci di acqua e corrente elettrica. Il piccolo villaggio dei rom 1954 Il 6 novembre nasce ufficialmente il quartiere dell’Isolotto, la ‘cittàsatellite’ come definita dall’allora sindaco di Firenze Giorgio La Pira. Sono consegnate le chiavi del lotto iniziale di circa mille appartamenti realizzati nell’ambito del progetto Ina-Casa, un piano di edilizia popolare nella zona a sudovest della città per gli immigrati dal meridione e dalle campagne e per gli sfrattati o gli accampati in case sovraffollate. Il nome del quartiere deriva dal territorio su cui sorge: una vasta area anticamente alluvionale situata sulla riva sinistra del fiume Arno, di fronte al parco delle Cascine. Nei primi anni è un quartiere-dormitorio perché privo di tutti i servizi ta. Intorno alle casette però c'è ancora sporcizia e degrado, nonostante la zona sia stata ripulita al momento della consegna delle abitazioni. "Sono stati i rom stessi a buttare di nuovo la spazzatura dove era stato appena pulito - chiarisce la responsabile dell'ufficio immigrati del quartiere 4 Giusi Baffè - comunque stiamo già pensando di ripulire e creare una zona verde". È lei che quasi ogni giorno si trova a contatto con i rom e raccoglie le richieste di tutti. Non mancano infatti le difficoltà nel gestire il villaggio. I rom hanno le case in comodato gratuito ma pagano le utenze e si lamentano delle bollette troppo alte. L'impianto costruito, cucina, bagno e riscaldamento, funziona tutto a corrente elettrica. Il comune ha scoperto però degli allacci abusivi ai lampioni, alcuni rom cercano così di avere l’elettricità e non pagarla. I soldi comunque non sembrano mancare, viste le numerose parabole satellitari e le auto di proprietà parcheggiate vicino alle case. Chi ha un'occupazione fa per lo più mestieri non qualificati, facchini, mano- U n qu ar t i e r e n a t o du e v ol t e Poderaccio I È costituito da 50 case, 49 adibite ad alloggi e una moschea. Le nuove abitazioni sono state consegnate il 21 luglio 2004. L’insediamento è provvisorio: la durata prevista è di 7 anni. Poderaccio II È costituito da 30 case. Le nuove abitazioni sono state consegnate il 23 novembre 2005. L’insediamento è provvisorio: la durata prevista è di 3 anni. vali o uomini delle pulizie; altri sono autisti, operai, artigiani. Ma ci sono ancora molti disoccupati che il quartiere aiuta a trovare lavoro. Per i bambini invece i risultati sembrano già positivi. Vanno a scuola con un pulmino messo a disposizione dal comune: due donne rom fanno da accompagnatrici e ricevono per questo un rimborso spese. Quasi tutti frequentano regolarmente e ogni pomeriggio sono seguiti per i compiti da tre educatrici di strada. "Al Poderaccio esiste però anche una zona grigia fatta di spaccio, ricettazione e usura, un'attività quest'ultima che i rom esercitano nei confronti di altri rom - spiega l'assessore De Siervo senza nascondere i problemi - e qualche donna continua ancora a elemosinare". 1968 È considerato la seconda nascita del quartiere perché gli abitanti danno esempio di coesione sociale, affermando con forza la propria presenza. Dalla prima nascita l’Isolotto si è ingrandito ed è diventato quasi una città dotata di autonomia e di una propria identità. Gli abitanti hanno superato le differenze di provenienza e si sono autorganizzati per rivendicare e ottenere i servizi necessari. A metà degli anni ‘50, con la nomina di Don Enzo Mazzi come parroco del quartiere, era iniziata l’esperienza della Comunità. In una prima fase comunità parrocchiale, è protagonista di contrasti con i vertici ecclesiastici. Viene poi estromessa dalla Chiesa e diventa Comunità cristiana di base. Un gruppo eterogeneo, di cui fanno parte cattolici e comunisti, unito dalle lotte di rivendicazione per i servizi e il lavoro e che partecipa attivamente al processo di trasformazione della società di questo periodo Oggi Il nuovo Poderaccio. Sopra, i due percorsi: dal centro della città al villaggio e dal Poderaccio a Kimeta. In alto, la planimetria dell’area 4 Ancora presente nel quartiere la Comunità dell’Isolotto non è più uno strumento di rivendicazione sociale ed è quantitativamente ridotta rispetto al passato. Si riunisce per la Messa ogni domenica in piazza. Fa parte delle Comunità cristiane di base italiane ed europee e partecipa al movimento del Forum sociale. Attraverso il Notiziario della Comunità Isolotto - Comunità di base vengono affrontati argomenti di riflessione di carattere teologico, spirituale e religioso ma anche laico 5 UN FUTURO SU MISURA L’ a r ri v o de i r om n e l l a ci tt à Quanti sono i rom a Firenze Insediamenti Presenze Residenti Minori Famiglie Lavoratori Disoccupati Poderaccio I 284 255 151 49 60 48 Poderaccio II 158 158 59 30 35 _ Olmatello 175 163 85 41 39 64 Guarlone 33 33 19 7 7 1 Totale 650 609 314 127 141 113 1987-88 Il Comune affronta per la prima volta la questione dei rom presenti nel territorio fiorentino già dagli anni ‘80. In seguito alle proteste della popolazione, l’amministrazione assegna loro due zone periferiche, l’Olmatello nel Quartiere 5 a nord della città e il Poderaccio nel Quartiere 4 a sud. Vivono in roulotte gruppi composti per la maggior parte da kosovari più alcuni serbi, bosniaci e macedoni. Ai lati dei due campi sorgono insediamenti abusivi. Il numero dei rom aumenta soprattutto dopo le guerre nella ex Jugoslavia I dati sono stati rilevati dalla Fondazione Michelucci tra settembre e dicembre 2005 In alternativa ai campi, condomini o abitazioni di proprietà Comincia dalla casa la strada verso l’integrazione 1994 La Provincia svolge il censimento del Comitato Italiano Rifugiati attraverso cui sono definiti i gruppi con diritto di abitare a Firenze 1996 hi non ha mai de- munale e propone altre strade: "Se- una situazione permanente e man- siderato vivere in condo noi l'alternativa potrebbe es- terrebbe così la sua condizione di una casa ed es- sere comprare casa, con un aiuto invisibilità". serne il proprieta- per il mutuo, o vivere in affitto". La fondazione aveva proposto inve- rio? A volte diffici- Non tutte le famiglie rom comunque ce la costruzione di un villaggio de- le da realizzare, è hanno le stesse esigen- un obbiettivo comune a tutti i popo- ze e per questo è neces- li. Non solo a quelli sedentari ma an- sario rispettare le diver- che ai cosiddetti nomadi. Per i rom sità. Una considerazio- arrivati a Firenze negli anni '80 le pri- ne condivisa dal coordi- me soluzioni adottate dal Comune natore delle attività del- sono state quelle dei campi. Tolle- l'Osservatorio regionale rando coloro che si accampavano della Fondazione Miche- in aree abusive e non ponendosi il lucci, Nicola Solimano. problema di come vivessero. Una Punto di riferimento nel capoluogo tura mescolate a quelle di italiani situazione cambiata però di recen- toscano per le ricerche sui rapporti che il Comune ha rifiutato per non te attraverso politiche abitative e di tra urbanistica e sociale, la fonda- "creare un ghetto". "Un campo at- inserimento al lavoro. Negli ultimi zione ha svolto lo scorso anno un'in- trezzato ha costi di manutenzione e due anni uno dei campi della città, dagine sull'abitare dei rom in To- di vigilanza molto alti, altri interven- quello del Poderaccio, è stato de- scana, anche alla luce degli ultimi ti sarebbero meno costosi - aggiun- molito e ricostruito. interventi realizzati al villaggio del ge il coordinatore dell'Osservatorio Per Mustafa Demir, presidente del- Poderaccio a Firenze. "Per risolve- della fondazione - come quello rea- l'associazione rom "Amalipe roma- re il problema abitativo dei rom non lizzato al Guarlone a Firenze. Poche no", Amicizia rom, che dal 2000 fa esiste un'unica direzione da segui- case inserite tra quelle degli italiani, re - spiega Solimano - un insediamento considerato un perché c'è chi vuole vi- esempio di integrazione riuscito". vere in piccoli gruppi e Oltre alla casa è tuttavia necessario 2004-05 chi preferisce restare fornire anche una prospettiva di la- nei campi". Quindi van- voro. Rispetto a dieci anni fa la si- no bene i condomini, le tuazione nel capoluogo toscano è case popolari o di pro- sicuramente migliorata. "Ogni fami- prietà ma anche i villag- glia ha un reddito - precisa Solima- gi. E sulla nuova solu- no - nonostante i lavori dei rom sia- di un campo, le baracche sono af- zione adottata per il Poderaccio il no precari e di bassa qualifica. Da- follate e le spese troppo alte". Il por- giudizio non è del tutto positivo. "C'è re però un'occupazione senza risol- tavoce dei rom non crede inoltre stato un netto miglioramento di vita vere adeguatamente il problema che il progetto sarà transitorio come per i rom- sottolinea Solimano - ma abitativo significa realizzare un'in- Il Poderaccio viene demolito e al suo posto è costruito un villaggio con case prefabbricate in legno. I rom dell’Olmatellino sono spostati in altre città della Toscana, dove vivono in case in affitto, sulla base di un progetto regionale di inserimento valido per due anni. Il campo dell’Olmatello è tuttora costituito da roulotte: il Comune sta cercando soluzioni alternative affermato dall'amministrazione co- questa potrebbe diventare di fatto tegrazione a metà". C da interlocutore con le istituzioni, la soluzione è "buona perché i rom non vivono più in roulotte ma in casette". "Si poteva però realizzare qualcosa di più dignitoso - continua Demir - visto che “Nei campi le baracche sono sempre affollate e le spese troppo alte” per noi si tratta sempre 6 “Il nuovo Poderaccio potrebbe diventare un progetto definitivo” finitivo a meno di un chilometro da dove si trova adesso il Poderaccio, sempre nel quartiere dell’Isolotto, in un'area di residenza per spettacoli viag- gianti: un quartiere di piccole case in mura- Le nuove casette costruite al villaggio del Poderaccio Nelle prime due foto, il villaggio II, nell’ultima, il vilaggio I Inizia il processo, completato in due anni, di delega ai Quartieri 4 e 5 della gestione dei campi nomadi. Per il Poderaccio e l’Olmatello saranno previsti interventi diversi. I tentativi di inserimento dei rom attuati fino a questo momento dal Comune hanno sempre incontrato ostacoli nell’opinione pubblica 1996-98 Nel Quartiere 2 è realizzato il villaggio del Guarlone, un’area residenziale costituita da sei piccole abitazioni in muratura. Le famiglie che abitano qui provengono dalla Macedonia e prima vivevano al Poderaccio 2000 È smantellato il campo abusivo delle Draghe alle Piagge, una zona sull’argine del Fiume Arno. Gran parte dei rom sono trasferiti nei pressi dell’Olmatello, in un’area poi denominata Olmatellino 7 UN FUTURO SU MISURA In Italia dagli anni ‘60, sono migrati dai paesi dell’est alla ricerca di un lavoro Rom, un mito infranto “Stanziali da 50 anni” i chiamano nomadi, balcanica si trovano invece nelle re- zingari, gitani. Sono i gioni meridionali. La loro occupa- vari nomi che dal pas- zione era la lavorazione dei metalli e sato ad oggi sono stati l'allevamento dei cavalli, attività che usati per indicare i rom. continuarono a svolgere spostan- Migrati dall'India fino in dosi nei mesi caldi e fermandosi du- Europa circa mille anni fa, vivono or- rante quelli freddi. Adesso le comu- mai stabilmente anche nel nostro nità più consistenti sono in Calabria paese. "Al contrario di quanto si e Abruzzo dove la maggioranza è pensi - spiega Massimo Converso, sedentaria. presidente dell'associazione nazio- Si sa poco della loro storia, quello nale Opera Nomadi - è dal secondo che è certo è che ci furono più on- dopoguerra che i rom non sono più date migratorie. In Italia dal 1400, gli nomadi. Esistono gruppi diversi: al- zingari sono arrivati da zone e in mo- cuni sono diventati sedentari, altri si menti diversi: alla fine dell’800 dalla muovono ancora, per esempio gli Romania, dopo la prima Guerra zingari delle giostre, ma la maggior mondiale dalla ex Jugoslavia. Poi parte non pratica più attività basate negli anni '60. Si tratta soprattutto di sul nomadismo dalla fine della Se- rom emigrati da Bosnia, Macedonia conda Guerra”. e Kosovo in seguito alla crisi econo- A nord, in Piemonte, Lombardia ed mica che ha portato alla guerra. "Si Emilia si sono insediati i Sinti, gli zin- sono spostati per cercare lavoro - gari dediti al circo. Sono quelli rima- sottolinea Converso - e migliori con- sti in parte nomadi: tra di loro infatti dizioni di vita. L'Italia comunque è lo c'è ancora chi si ferma d'inverno e Stato europeo con la minore pre- viaggia d'estate per lavorare nelle senza di rom, anche se l'ultima mi- piazze. I rom venuti dalla penisola grazione è ancora in corso". L Alcuni rom davanti alle loro case Nella foto al centro insieme con Giusi Baffè, (la seconda da sinistra), dell’ufficio immigrati dell’Isolotto 150.000 sono i rom e sinti che vivono nel nostro paese, quasi la metà ha la cittadinanza italiana. Arrivano dalla ex Jugoslavia ma non solo. È in aumento il numero dei migranti anche dalla Bulgaria e soprattutto dalla Romania. Nel resto d’Europa i rom sono circa 8 milioni. 8