Venezia Altrove: Almanacco 2010
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Venezia Altrove: Almanacco 2010
0010.prime_pagine.qxd 1-12-2010 11:50 Pagina 1 fondazione venezia 2000 per fondazione di venezia almanacco della presenza veneziana nel mondo almanac of the venetian presence in the world Marsilio 0010.prime_pagine.qxd 3-12-2010 14:05 Pagina 2 a cura di/edited by Fabio Isman hanno collaborato/texts by Gino Benzoni Sandro Cappelletto Annalisa Cosentino Giuseppe De Rita Fabio Isman Rosella Lauber si ringraziano/thanks to Fabio Achilli Graziano Arici Elena Casadoro Elena D’Este Sylvia Ferino Pagden Augusto Gentili Andrea Landolfi Giorgio Manacorda Giorgio Mastinu Nuria Schoenberg Nono in collaborazione con Fondazione di Venezia collaboration with traduzione inglese David Graham English translation progetto grafico/layout Studio Tapiro, Venezia © 2010 Marsilio Editori® s.p.a. in Venezia isbn 88-317-0840 www.marsilioeditori.it In copertina: Zorzi da Castelfranco, detto Giorgione, Ritratto di giovane uomo (Antonio Brocardo?), Budapest, Hungarian Szépművészeti Múzeum. Front cover: Zorzi da Castelfranco, called Giorgione, Portrait of a Young Man (Antonio Brocardo?), Budapest, Hungarian Szépművészeti Múzeum. 0010.prime_pagine.qxd 3-12-2010 14:05 Pagina 3 sommario/contents 5 7 11 27 43 57 73 91 111 123 135 Un vero policentrismo con tanti nobili ma anche grandi ciarlatani A genuine polycentrism with numerous nobles and also grand charlatans Giuseppe De Rita Tra spie, dipinti e sinfonie, Venezia è vicinissima all’Europa dell’Oriente Among spies, paintings and symphonies Venice is very close to Central-Eastern Europe Fabio Isman A est di Vienna diplomatici e tanti intrighi, mercati e carne bovina East of Vienna: diplomats and lots of intrigue, markets and beef Gino Benzoni L’arte alla corte di Rodolfo ii: collezionismo magico e passione per la pittura veneta Art in the court of Rudolph ii: magical collecting and a love of venetian painting Rosella Lauber Gli alberghi nel centro storico? Erano cari già nel Seicento, assai meglio dormire a Padova The old city? Already pricey in the 17th century better to sleep in Padua Annalisa Cosentino 145 Un Diario polacco di Nono rifiutato a Varsavia a causa del “golpe” del 1981 A ‘Polish Diary’ by Nono refused by Warsaw due to the ‘coup’ of 1981 Sandro Cappelletto 154 Hanno scritto / Contributors 0020.saggi.qxd 1-12-2010 11:41 Pagina 4 1-12-2010 11:41 Pagina 5 che cosa trova venezia, da danzica fino al mar nero un vero policentrismo con tanti nobili ma anche grandi ciarlatani Giuseppe De Rita 1. Giuseppe Arcimboldo, Vertumnus (Rodolfo II), 1590 circa, Balsta (Svezia), Skokloster Slott. Giuseppe Arcimboldo, Vertumnus (Rudolph II), c. 1590, Balsta (Sweden), Skokloster Slott. l’editoriale 0020.saggi.qxd Y Cosa hanno significato Venezia e la sua cultura per l’area europea che si stende oltre Vienna? A questa domanda tentiamo di rispondere quest’anno, guidati dalla curiosità di capire se Venezia abbia avuto significato non solo per le grandi capitali imperiali (Vienna appunto, e San Pietroburgo), analizzate in due nostre precedenti esplorazioni; ma anche per le tante realtà socioculturali che hanno per secoli convissuto nello smisurato e indistinto territorio che va da Danzica al Mar Nero, fra l’altro non troppo abitato dai naturali promotori e acquirenti di cultura alta. Y Valeva la pena di andare a vedere? I lettori potranno giudicare da soli, ma è certo che le pagine che seguono inducono a un grande coinvolgimento: sia perché vi si incontrano personaggi di grande vigore e di grande curiosità intellettuale (e non sono solo imperatori, re, principi ed elettori); sia perché vi si ritrovano tanti e diversi luoghi di condensazione dei flussi creativi e commerciali della produzione culturale veneziana (da Buda a Praga, a Cracovia, a Varsavia); sia perché i termini “quantitativi” di tali flussi risultano di tutto rispetto, non secondi spesso alle “movimentazioni” verso realtà molto più legate alla tradizione veneziana (ad esempio sorprende che Praga, tre secoli fa, fosse un’autentica miniera di musica veneziana, così come sorprendono la quantità di nobili che collezionavano a metà Seicento e che i conti Kaunitz, il cui palazzo viennese costituisce il punto di vista per un celebre panorama della capitale austriaca di Bernardo Bellotto, possedessero duemila dipinti); e sia, infine, perché il panorama complessivo che ne discende è di un grande policentrismo di piccole e medie città, piccoli e medi acquirenti e committenti, piccoli e medi artisti veneziani coinvolti nella dinamica della creazione e del collezionismo culturale. Certo, un posto eminente lo occupa Rodolfo ii; ma la sua indubbia importanza (a lui dobbiamo fra l’altro il trasferimento della corte da Vienna 5 che cosa trova venezia da danzica fino al mar nero 0020.saggi.qxd 1-12-2010 2. Ægidius ii Sadeler, da Adriaan de Vries, L’imperatore Rodolfo II a cavallo, incisione, Parigi, Bibliothèque Nationale de France. Ægidius ii Sadeler, after Adriaan de Vries, The Emperor Rudolph II on Horseback, etching, Paris, Bibliothèque Nationale de France. 3. Ægidius ii Sadeler, L’imperatore Rodolfo II, incisione, Praga, Národní Galerie. Ægidius ii Sadeler, The Emperor Rudolph II, etching, Prague, Národní Galerie. 6 11:41 Pagina 6 a Praga, e la creazione del suo incantato centro storico) non sovrasta più di tanto il citato grande policentrismo. Y Un policentrismo, occorre dire, che incide anche sulla dimensione umana, quasi sociologica, che in esso si esprime. Erano tempi e società confuse e spesso convulse; e si capisce che gli ambasciatori e i mercanti della Serenissima notassero «sconcertati, allibiti, esterrefatti» la grande quantità di maghi, ciarlatani, donne ad alta disponibilità, fantasiosi affabulatori, imbroglioni, spie, e mercanti di schiavi addirittura, che frequentavano città, e persone che ambiziosamente assimilavano la grande cultura veneziana. Le terre “oltre Vienna” non erano certamente di grande eleganza nei comportamenti collettivi (come notò anche l’avventuroso Casanova); averci dato gli elementi per capire questa loro mediocre fisicità (anche nel bere e mangiare, oltre che in più complessi traffici) è merito non secondario dei contributi qui raccolti. 1-12-2010 11:41 Pagina 7 what venice found between gdansk and the black sea a genuine polycentrism with numerous nobles and also grand charlatans editorial 0020.saggi.qxd Giuseppe De Rita 4. Una pianta seicentesca della città polacca di Zamosc, “la piccola Padova”, progettata e pianificata dall’architetto patavino Bernardo Morando dal 1581, per conto del cancelliere Jan Zamoyski. A 17th-century painting of the Polish city of Zamosc, “little Padua”, designed and planned by the Paduan architect Bernardo Morando from 1581, on behalf of the chancellor Jan Zamoyski. Y What did Venice and its culture mean to the European area that extends beyond Vienna? This is the question we try to respond to this year, guided by our curiosity about whether Venice was of significance not only to the grand imperial capitals (Vienna and St Petersburg), as analysed in two of our previous explorations, but also to the many socio-cultural realities that for centuries coexisted in the boundless, indistinct lands that range from Gdansk to the Black Sea; areas, moreover, not highly populated by natural promoters and purchasers of high culture. Y Was it worth going to see? The reader can judge for himself, but it is certain that the pages that follow are very engaging, for a number of reasons. Firstly, because figures of great vigour and intellectual curiosity are met there (not only emperors, kings, princes and electors). Secondly, because there are many different places where the creative and commercial flows of Venetian cultural production condensed (from Buda to Prague, Krakow and Warsaw). Thirdly, because the ‘quantitative’ terms of such flows are very considerable – often not secondary to the ‘movement’ towards places much more closely linked to Venetian tradition (for example it is a surprise that three centuries ago Prague was a genuine gold mine of Venetian music, that a very 7 1-12-2010 11:41 Pagina 8 what venice found between gdansk and the black sea 0020.saggi.qxd 5. Bernardo Bellotto, La chiesa del Sakramentki a Varsavia, Varsavia, Zamek Kròlewski w Warszawie; dipinto per re Stanislao Augusto nel 1777, il quadro è portato in Russia dallo zar Nicola i, nel 1832; ritorna nel 1922 e, trafugato dai nazisti, dal 1940 al 1945 è in Germania. 8 Bernardo Bellotto, The Church of the Sakramentki in Warsaw, Warsaw, Zamek Kròlewski w Warszawie; painted for King Stanislaus August in 1777, the painting was taken to Russia by Tsar Nicholas i, in 1832; it was returned in 1922 and, stolen by the Nazis, was in Germany from 1940 to 1945. 1-12-2010 6. Bernardo Bellotto, Il palazzo del principe Kaunitz a Vienna, Mariahilf, 1759, Budapest, Szépművészeti Museum: Wenzel Anton Kaunitz-Rietberg, qui ritratto, per quarant’anni ha retto la politica estera austriaca; la famiglia, morava, possedeva oltre 2.000 dipinti. Bernardo Bellotto, The Palace of Prince Kaunitz in Vienna, Mariahilf, 1759, Budapest, Szépművészeti Museum: Wenzel Anton Kaunitz-Rietberg, portrayed here, directed Austrian foreign policy for forty years; the family, Moravian, owned more than 2000 paintings. 11:41 Pagina 9 large number of nobles collected art in the mid-seventeenth century, and that the Kaunitz counts, whose Viennese palace is the viewing point for a celebrated panorama of the Austrian capital by Bernardo Bellotto, owned 2000 paintings). Finally, it is because the overall picture created is of a great polycentrism of small and medium towns, small and medium buyers and commissioners, small and medium Venetian artists involved in the dynamic of creation and cultural collecting. Rudolph ii certainly occupied a preeminent place in all this, but his undoubted importance (to him we owe the transfer of the court from Vienna to Prague, and the creation of its charming old city centre) does not significantly overshadow such polycentrism. Y This polycentrism also influenced the human, almost sociological dimension that is expressed in it. They were muddled and often frantic societies at times, and it can be understood that Venetian ambassadors and merchants were ‘disconcerted, dismayed and dumbfounded’ by the great number of magicians, charlatans, readily available women, imaginative storytellers, swindlers, spies and even slave merchants who frequented the city, and people who ambitiously assimilated grand Venetian culture. The lands ‘beyond Vienna’ were certainly not of any great elegance in terms of collective behaviours (as the adventurous Casanova also noted). And providing the means for understanding this mediocre physical nature of theirs (in eating and drinking, but also in more complex dealings) is no secondary merit of the contributions collected here. editorial 0020.saggi.qxd 9 0020.saggi.qxd 3-12-2010 14:06 Pagina 10 1-12-2010 11:41 Pagina 11 a praga, varsavia, bucarest, sofia infiniti artisti e curiosità tra spie, dipinti e sinfonie venezia è vicinissima all’europa dell’oriente il regesto 0020.saggi.qxd Fabio Isman 1. Sebastiano Ricci, Medoro e Angelica, Sibiu, Museo Nazionale Bruckenthal. Sebastiano Ricci, Medoro and Angelica, Sibiu, Bruckenthal National museum. Y Quella parte d’Europa più travagliata, dai confini spesso tanto mutevoli, che a Est sta tra l’Austria, la Russia, e il grande impero del Turco (di cui l’Ungheria era demarcazione), ha sempre avuto parecchio a che fare con la Serenissima. A Venezia, la presa di Buda riempiva le pagine del Giornale dal Campo Cesareo di Girolamo Albrizzi nel 1686 e, dieci anni dopo, Teodoro Mioni la raccontava ne La Turca fedele. Rapporti antichi: san Gerardo Sagredo collabora con il re magiaro santo Stefano, che papa Silvestro i incorona nel 1001. E nel Quattrocento, quando la città della laguna non assomiglia a nessun’altra non solo per la fisicità, i legami erano già stretti, magari attraverso la famosa biblioteca di Mattia Corvino: la Repubblica gli manda broccati nel 1461 e 1464, per l’incoronazione; ed egli, nel 1476, fa acquistare a Venezia gioielli e una collana, dono di nozze per la fidanzata Beatrice d’Aragona, ritratta su un codice proprio con quel monile. Manoscritti di Mattia passano alla Marciana: ne restano quattro, dei 180 noti e sparpagliati in quarantadue biblioteche del mondo; un frate, mandato dal re, vive e muore nel convento di San Zanipolo: il priore ottiene almeno il codice miniato Averulinus, diviso in venticinque libri, presentato in italiano nel 1482 a Mattia, che lo fa tradurre in latino. Il terzo libro descrive i marmi di Carrara e il loro impiego in San Marco; cita “Angelus Muranus”, che inventa le decorazioni in vetro colorato, e il figlio pittore, sepolto a Santo Stefano; spiega come i veneziani edificassero i ponti. A Venezia, nascono tre delle 189 Corvine a stampa; una, del 1473, è di un fondatore dell’arte in laguna, Vindelinus de Spira (del 1469 il primo libro, le Epistolae ad familiares di Cicerone, fig. 2); “Maestro Cassianus”, artista dei codici, pare che, appresa l’arte in laguna, lavori a Buda; del resto, c’è chi attribuisce a Benedetto da Padova le incisioni dell’Hypnerotomachia Poliphili di Francesco Colonna, 1499, «il libro più bello al mondo» (fig. 3). Re Mattia è legato agli Zeno: Caterino, nel 1471 ambasciatore dai re di Persia e di Georgia, diventa cavaliere a Buda; Mattia gli chiede un 11 1-12-2010 a praga, varsavia, bucarest, sofia infiniti artisti e curiosità 0020.saggi.qxd 2. Cicerone, Epistolae ad familiares, Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana: stampato nel 1469 da Giovanni da Spira in carattere romano è il primo libro edito in città. Cicero, Epistolae ad familiares, Venice, Biblioteca Nazionale Marciana: printed in 1469 by Giovanni da Spira in Roman type, it was the first book published in Venice. 11:41 Pagina 12 organo, che non parte perché lui muore prima ed è al Museo Correr. Nel Cinquecento, Niccolò Zeno possedeva cento Corvine: pergamene miniate, legatura originale. Anch’esse disperse ormai altrove. Y In seguito i nessi diverranno più numerosi, anche in altre parti di quell’Europa. Dal Seicento alla prima metà del Sette, oltre cento artisti italiani lavorano in Ungheria: molti nati in laguna. Più scultori e pittori che architetti, anche se cinquecento fortezze si debbono a costruttori militari, tra cui il veneziano Agostino Serena, a corte dal principe di Transilvania; lo ricorda una scritta sul portone del castello di Radnut. Lavora anche per il principe Gyorgi Rakoczi i, e muore tornando a casa. Dei veneziani fortificano pure Tokaj, Sarospatak e Szamosujuvar. Ma, indubbiamente, sono più gli artisti con il pennello che con squadra e compasso. Il principe ungherese Gabor Bethlen scrive a Carlo Saraceni, «Carlo Veneziano», per averlo a corte; e vi arriva Pietro Liberi: Leopoldo i lo fa nobile, degli Esterházy una sua Venere sdraiata. Tra gli scultori, Antonio Corradini (1668-1752), per otto anni a Vienna, scolpisce a Gyor l’Arca santa, apprezzata da Carlo vi: ricorda il suo sepolcro di san Giovanni Nepomuceno, nel duomo di Praga; e Giovanni Giuliani, cistercense a Heiligenkreuz (veneziano del 1663, nel 1744 muore in Austria): lascia a Pozsony una Via Crucis, oggi al museo di Bratislava; una venerata statua della Vergine dai carmelitani di Gyor; un altare a Baratudvar, che è l’austriaca Mönchhof. Migra invece Michele Fabris, detto Ongaro, ungherese del 1644 che lavora a Venezia e vi decede quarant’anni dopo; sposa Zaneta Laghi; «guadagna moltissimo, ma li vizi gli fecero consumare molto»; il figlio Michele vende libri in laguna; lui lascia opere alla Salute, a San Pietro in Castello, San Clemente e Murano, nella cappella di Francesco Vendramin, lavora con Baldassarre Longhena. A Venezia, con Johann Carl Loth, opera a lungo Janos Spillenberger; ha successo Janos Kupezky, che vi ritrae anche il pittore di Norimberga Johann Blendinger: il quadro, già Schulenburg, è a Monaco. Vi soggiornano anche Johann Justus Preisler, Paul Troger e Daniel Gran (dipinge a 1-12-2010 3. Francesco Colonna, silografia dalla Hypnerotomachia Poliphili, un capolavoro di Aldo Manuzio edito nel 1499, Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana. Francesco Colonna, woodcut from the Hypnerotomachia Poliphili, a masterpiece by Aldo Manuzio published in 1499, Venice, Biblioteca Nazionale Marciana. 4. L’imponente facciata di Palazzo Czernin, sul colle di Hradčany e davanti alla chiesa di Loreto, il più importante palazzo nobiliare della città, costruito dal 1669 e dal 1934 sede del ministero degli Esteri di Praga. The impressive facade of Palazzo Czernin, on Hradčany hill and in front of the church of Loreto, the most important noble building in the city, built from 1669 and since 1934 occupied by the Prague Ministry of Foreign Affairs. 11:41 Pagina 13 villa Cornaro). Come contrappasso, lavorano invece a Praga i veneziani Giulio Licinio (vi muore alla fine del Cinquecento: suoi dipinti erano nel castello di Bratislava), Giacomo Contarini (forse dal 1579 al 1593, prima di tornare a casa), e Paolo Piazza, che arriva dopo il 1600, con il nome di Fra Cosmas. Ma anche il tedesco Hans von Aachen, che decede a Praga nel 1615 e dal 1574 è a bottega a Venezia, e tanti altri. La conquista e il saccheggio dei soldati di Cristina di Svezia, nel 1686, mutano gli orizzonti. Y L’arte veneziana era di casa al castello di Praga (lo diciamo altrove), almeno perché Rodolfo ii era stato educato dallo zio Filippo ii a Madrid, dove fin all’aprile 1548 si coltivava il culto di Tiziano: da quando Carlo v lo convoca in tutta fretta per realizzare il prototipo dei ritratti equestri, che poi ispirerà Rubens, van Dyck e Velázquez. Rodolfo, un secolo dopo che è dipinta nel 1506, vuole a Praga la venezianissima Madonna del Rosario di Albrecht Dürer, da San Bartolomeo, ai piedi di Rialto (vedi p. 52); chiede di decorare due soffitti del palazzo d’Estate a Veronese, che nel 1575 (forse un dono per l’imperatore) ritrae il gioielliere Jakob König (vedi p. 96). E Paulus Franck, detto Paolo Fiammingo che morrà nel 1596 a Venezia, lascia più di sei dipinti nel castello della città di Kafka, Smetana e Dvořák, sopra ponte Carlo, dove debutta il Don Giovanni di Mozart e che evoca il Golem del Gran Rabbino Jehuda Löw ben Bezalel e gli alchimisti di via dell’Oro. Y Il collezionismo era diffuso: il principe transilvano Gabor Bethlen arreda il palazzo con acquisti nella Serenissima, ed era in contatto con il mercante Daniel Nys (che, a Venezia, vende i beni dei Gonzaga). Persa la collezione dei dipinti di Janos Listy, morto a Venezia, stimata da Niccolò Bambini e Gregorio Lazzaroni: anche con opere di Tintoretto e Bassano. Il fenomeno è ancora più macroscopico nell’attuale Repubblica Ceca: in Moravia, nasce la raccolta di Karl von Liechtenstein, vescovo di Olomouc; e a Praga, quella del nobile Jan Humprecht Czernin (figg. 4, 5), più volte a Venezia, mecenate e committente anche in laguna. Plenipotenziario di Leopoldo i, nel 1663 possedeva già trecento dipinti, e comperava ancora; per il regesto 0020.saggi.qxd 13 a praga, varsavia, bucarest, sofia infiniti artisti e curiosità 0020.saggi.qxd 1-12-2010 5. Il lato di Palazzo Czernin sul giardino di Praga che giunge fino al cinquecentesco quartiere di Novy Svet (Nuovo Mondo). The side of Palazzo Czernin on Prague gardens, which reaches through to the 16thcentury district of Novy Svet, New World 6. Domenico Fetti, Copia dalle Nozze Aldobrandini, Praga, Národni Galerie, già in Palazzo Ducale a Mantova e dal 1655 nella collezione dell’arciduca Leopoldo Guglielmo. Domenico Fetti, Aldobrandini Wedding Couple, Prague, Národni Galerie, formerly in the Ducal Palace, Mantua, and from 1655 in the collection of the archduke Leopold William. 14 11:41 Pagina 14 tre anni vive sul Canal Grande: nel 1661, ha diciannove Pietro Della Vecchia; per lui, lavorano ventun pittori della città, tra cui Liberi, Sebastiano Mazzoni, Loth, Girolamo Forabosco, Giovanni Battista Langetti. A Bruxelles nel 1647, conosce l’arciduca Leopoldo Guglielmo: lo aiuta a creare la più straordinaria collezione, oggi l’ossatura del Kunsthistorisches Museum a Vienna (fig. 6). Ma oltre ai contemporanei, nel più grandioso palazzo nobiliare di Praga presso la Chiesa di Loreto, Czernin ammassa Giorgione, Tiziano, i Bassano; e i discendenti continuano, anche se nel 1778 la raccolta subisce pesanti vendite all’asta, e poi diventa Lobkowicz per un matrimonio (fig. 7). C’è perfino La famiglia di Dario ai piedi di Alessandro in cui Antonio Zanchi (17311722) riprende il celebre soggetto di Veronese a palazzo Pisani Moretta (ormai a Londra), mentre a Venezia, a palazzo Albrizzi, è il suo Alessandro accanto al corpo di Dario. Y Raccoglie veneziani anche Frantisek Antonìn Hovora, conte Berka di Dubà (1647-1706); è un amore vero: diviene plenipotenziario in laguna dal 1699 al 1703, sposa una Montecuccoli. Nel 1692, redige un catalogo, per vendere parte della raccolta al principe Liechtenstein (ma gli non riesce); i suoi quadri sono alla Galleria Nazionale di Praga; firme anche altolocate ma assai meno le tele (fig. 8): spesso, sono di Palma il Giovane, qualche «Soldato di Giorgione» cela Pietro Della Vecchia (figg. 9, 10). A Praga, oltre ai Lobkowicz (uno va a Londra per acquistare cavalli, però torna con tanti quadri: anche due Canaletto), altri nobili compravano tele veneziane: i Rosenberg; i Nostitz; i Liechtenstein (iniziano nel Quattrocento, quando Giorgio ii è prevosto a Santo Stefano di Vienna); gli Albrecht di Wallenstein, duchi di Frydlant (quattro Vedute di Michele Marieschi; ospitano anche Casanova); i conti Kaunitz (vedi p. 9, 840 pezzi a Slavkov; alla fine, saranno oltre duemila dipinti; anche due Jacopo Amigoni, di quando stava a Monaco di Baviera, fig. 11). Più tarda la raccolta dei conti Sternberg (nel 1704, 650 quadri). Al castello di Dobris è finito, chissà come, un bel Capriccio con colonnato di Canaletto, simile a uno delle Gallerie dell’Accademia di Venezia. Y Buona parte delle raccolte private sono ormai nei musei (un 1-12-2010 11:41 Pagina 15 il regesto 0020.saggi.qxd 15 a praga, varsavia, bucarest, sofia infiniti artisti e curiosità 0020.saggi.qxd 16 1-12-2010 11:41 Pagina 16 libro del 1937 ne contava quindici d’arte, di livello internazionale, soltanto in Romania); così, per dirne una, a Budapest, la Pinacoteca statale sembra un dizionario di storia dell’arte nel Veneto: non manca nessun nome, più o meno grande, dal Quattrocento in poi. E analogamente in tutte le altre attuali capitali. Budapest, poi, oltre alla collezione Esterházy (l’omonima Madonna di Raffaello, Correggio, Leonardo, Dürer, Rembrandt), si fregia anche di un interessante dono del 1836 dell’arcivescovo Eger János László Pyrker (1772-1847), che tra l’altro comprende la Sacra conversazione di Tiepolo, il Ritratto di Caterina Cornaro di Gentile Bellini (vedi p. 49) e il Ritratto di giovane uomo di Giorgione (fig. 12): un’antica dicitura sul dipinto forse ne rivela anche il nome, Antonio Brocardo. Perfino gli angeli che sorreggono l’urna sepolcrale sull’altar maggiore del Duomo di Praga derivano da una tipologia veneziana: Corradini «rivede in formula fantastica ciò che aveva già visto» in laguna; forse, il prototipo è l’altare maggiore di San Pietro di Castello di Longhena, dove sull’urna è in ginocchio il beato Lorenzo Giustiniani, scolpito nel 1665 da Giusto Le Court; ma altre sono a San Giuliano e, per l’urna di san Crescenzione, alla Salute. Ancor più numerosi i dipinti delle raccolte ecclesiastiche, specie a Praga e Olomouc (in parte finite a Kromĕříž, che ha anche il Marsia di Tiziano, un Veronese, quattro Jacopo Bassano, fig. 13): ai vescovi, le parrocchie, i monasteri e i conventi, Venezia, evidentemente, piace moltissimo. Y Per carità: è soprattutto il Seicento e non lo sfolgorante Cinque, dei più celebri campioni dell’arte; è specialmente il secolo in cui, tra le lagune, l’arte pittorica è anche il frutto dell’appeal dei grandi nomi precedenti, e, oltre a quelli nati in città (fig. 14), prosperano gli artisti che all’ombra di San Marco si 1-12-2010 11:41 Pagina 17 il regesto 0020.saggi.qxd 7. Sebastiano Ricci, L’Assunzione della Vergine, Mĕlník, collezione Mĕlník Lobkowicz, in prestito alla Národni Galerie di Praga. Sebastiano Ricci, The Assumption, Mĕlník, Mĕlník Lobkowicz collection, on loan to the Národni Galerie of Prague. 8. Palma il Giovane, Cristo e l’adultera, Praga, Národni Galerie; il quadro, già del conte Františ Antonin Berka di Dubá prima del 1692, era ritenuto di Tintoretto, poi di Veronese. Palma Giovane, Christ and the Adulteress, Prague, Národni Galerie; the painting, formerly owned by Count Františ Antonin Berka di Dubá until 1692, was thought to be by Tintoretto, then by Veronese. abbeverano. Tra loro, Domenico Fetti da Roma e Mantova; Johann Liss da Oldenburg; Bernardo Strozzi da Genova; Loth da Monaco; Saraceni dalla città dei papi; Nicolas Regnier che, da Roma, diventa Nicolò Renieri e dal 1625 ha subito successo: già nel primo anno veneziano acquista sue opere il principe Liechtenstein, mentre Saraceni è presto in bella vista nel Castello a Praga; sono, rispettivamente, un’Allegoria della Sapienza (simile a una di Palazzo Reale a Torino; questa, del 1626; fig. 15), accompagnata da quella della Vanità; e un San Sebastiano (fig. 16), che risente dell’Estasi di san Francesco di Caravaggio di Hartford, dipinto verso il 1606 a Roma e presto migrato. Y Bona Sforza (1494-1557), dal 1518 regina polacca e granduchessa di Lituania, stringe già i legami con la Serenissima, che poi s’intensificano. Nel suo secolo, arrivano Giovan Battista Ferro e “Petrus Venetus”: lascia una grande Crocifissione nella cattedrale di Cracovia nel 1547, che ancora ricorda Mantegna. Re Sigismondo Augusto, morto nel 1572, inizia una collezione di quadri. Ma molto muta con Sigismondo iii e il maresciallo di corte Mikolaj Wolski. A Venezia, era di moda Antonio Vassilacchi, detto l’Aliense (1556-1629), e nella sua bottega nascono le opere, religiose e non, per il sovrano (fig. 17). Lo vorrebbero pittore di corte; ma lui rifiuta, come già con Filippo ii di Spagna. Invia in- 17 1-12-2010 a praga, varsavia, bucarest, sofia infiniti artisti e curiosità 0020.saggi.qxd 9. Pietro Della Vecchia, Lo spadaccino bianco, Praga, Národni Galerie; negli inventari del conte Berka di Dubà, era attribuito a Giorgione. Pietro Della Vecchia, The White Swordsman, Prague, Národni Galerie; in the inventories of Count Berka di Dubà, it was attributed to Giorgione. 18 11:41 Pagina 18 vece il primo aiuto, Tommaso Dolabella, bellunese, in origine forse Della Bella, che vive in Polonia oltre cinquant’anni. Le sue opere sono andate distrutte dal fuoco; restano invece a Venezia un soffitto di Palazzo Ducale con il doge Cicogna che adora il Sacramento; opere sacre dai domenicani polacchi; una Battaglia di Lepanto nel castello; il merito di aver importato la pittura storica. Anche Palma il Giovane dipinge per il re, e a San Giovanni, a Varsavia; merita il Guinness della sfortuna una Madonna con il Battista e san Stanislao: la prende Napoleone; viene restituita; poi fatta saltare, con la chiesa, dai nazisti nel 1944. A Tintoretto, il cancelliere Jan Zamoyski commissiona pitture per 812 fiorini: però arriveranno nel 1604, con cinque anni di ritardo. Y Singolare è il caso di Lorenzo Bellotto, primogenito quasi ignoto di Bernardo, nato forse nel 1744. Alcune indagini in Polonia hanno permesso di contraddire chi non gli riconosceva alcuna tela: firmata ed eseguita a ventun’anni, a Dresda, una Veduta ideale finita a Northampton (Massachusetts). E sue, in collaborazione con il padre, una Veduta di Roma con la piazza della Rotonda e una Veduta di Roma con il Foro Boario, finite al museo Puškin di Mosca e firmate «Canaletti» nel 1769. Per Stanislao Augusto, collabora con il padre in quattordici dipinti, di cui sei Vedute di Roma identificate, che rileggono incisioni di Piranesi. Del figlio, morto nel 1770, le parti «più deboli» delle tele, mentre Bernardo opera per i Liechtenstein e i Kaunitz: almeno in due Vedute di Vienna e due Vedute di Varsavia; in una di queste, si riconoscono in un angolo il padre, che dipinge parlando con il re, e il geografo di corte Ermanno Carlo di 1-12-2010 10. Pietro Della Vecchia, Lo spadaccino rosso, Praga, Národni Galerie, pure creduto un Giorgione. Pietro Della Vecchia, The Red Swordsman, Prague, Národni Galerie, also thought to be a Giorgione. 11:41 Pagina 19 Perthées suo genero, con il figlio, morto nell’anno della tela (figg. 18, 19). Lasciano anche il bozzetto per un soffitto nel castello di Ujasdow. Con un salto di qualche decennio (Bellotto senior scompare a Varsavia, 1780), per Isabella Czartoryski e Stanislao Lubomirski, Antonio Canova (1757-1822) inventa l’Amorino stante (fig. 20), coniugando all’estasi amorosa l’interpretazione dell’idea di re; da lui i coniugi volevano anche un Venere e Adone; Valeria Tarnowska, nello studio a Roma, compera un Perseo, ormai a New York, al Metropolitan; e l’Est europeo ridonda di costruzioni ispirate da Andrea Palladio (l’irrealizzato progetto per la Casa Bianca di Thomas Jefferson è la più fedele tra le imitazioni della Rotonda nel Vicentino): Stanislaw Potocki voleva simile a San Giorgio Maggiore la chiesa di Sant’Anna a Varsavia. Y Oltre all’arte, il pentagramma. Nelle biblioteche veneziane restano tanti brani musicali per i regnanti di quella fetta di Europa, o loro dedicati: dal Forestiere illuminato intorno le cose piu rare, e curiose, antiche, e moderne della citta di Venezia, e dell’isole circonvicine; con la descrizione delle chiese, monisterj, ospedali, Tesoro di S. Marco, fabbriche pubbliche... Opera adornata di molte bellissime vedute in rame delle fabbriche piu cospicue di questa metropoli. Prodotta sotto gli auspicj di s.a.r. Federigo Cristiano principe reale di Polonia e elettore di Sassonia, incisioni di Francesco Zucchi e Giuseppe Filosi, edito da Giovanni Battista Albrizzi nel 1740, alla “ecloga piscatoria” Mopso di Antonio Vivaldi: una sorta di serenata ammirata da Ferdinando di Baviera nel carnevale 1739 e ormai perduta; al Coro delle muse l’anno dopo, «serenata da cantarsi a sua altezza Federico Cristiano figlio del regnante Augusto di Polonia ed elettor di il regesto 0020.saggi.qxd 19 a praga, varsavia, bucarest, sofia infiniti artisti e curiosità 0020.saggi.qxd 20 1-12-2010 11:41 Pagina 20 Sassonia dalle figlie di coro del pio Ospitale della Pieta di Venezia», su libretto di Carlo Goldoni, musica di Gennaro d’Alessandro, maestro di cappella (per la sera, Vivaldi scrive la Sinfonia rv 149). Coeve Partenope nell’Adria, serenata per festeggiare le felicissime reali nozze di sua maesta D. Carlo Borbone Re delle Due Sicilie con la principessa Amalia figlia di Federico Augusto 3. elettore di Sassonia Re di Polonia di Ignazio Fiorillo, su commissione di Giuseppe De Baesa, l’ambasciatore delle Due Sicilie, testo di «Bastian Bianciardi detto Domenico Lalli»; e L’Olimpiade di Giovan Battista Pergolesi, fatta eseguire in autunno dallo stesso ambasciatore, che evidentemente si dava da fare, al teatro Grimani di San Giovanni Crisostomo. Coinvolti nei concerti dell’anno i quattro ospedali veneziani: Vivaldi dirige le putele di quello di Santa Maria della Pietà. A carnevale 1739, per Federico Cristiano al Grimani, tocca al Viriate, dramma per musica di Adolphe Hasse, testo del solito Lalli; Cleonice gli è dedicata nel 1740: stesso teatro e autore, ma libretto di Pietro Metastasio. Quell’anno, debutta al Sant’Angelo, Candaspe regina de Sciti, parole di Bartolomeo Vitturi, musica di Giovanni Battista Casali: opere (ma spesso anche autori) di cui anche gli specialisti, ormai, si sono abbondantemente dimenticati. Y Tre secoli fa, Praga era un’autentica “miniera” di musica veneziana, specialmente sacra. Come a Kromĕříž, vi si conservano parecchi “fondi”: nomi a cavallo tra Sei e Settecento, da Antonio Caldara ad Antonio Lotti a Marc’Antonio Ziani. Il riminese Antonio Draghi scrive l’oratorio Abelle di Boemia o San Venceslao, e Giovanni Maria Bassani, padovano, trasforma in aria tedesca l’Armonia delle Sirene, 1680; si fa tedesco anche Corelli, cui si adattano le parole O reiner Himmelbrot. Lotti è a Praga con una compagnia d’opera; in città, vi sono oltre cento composizioni, è a servizio anche a Dresda: dalla sua Missa sapientiae, Jan Dismas Zelenka 1-12-2010 11. Antonio Celesti, La sposa di Roma, Castello di Slavkov (Austerliz), Museo Storico; è tra i dipinti raccolti dai Kaunitz rimasti nella Repubblica Ceca e non trasferiti a Vienna. Antonio Celesti, The Bride of Rome, Slavkov Castle (Austerlitz), Historical Museum; it is one of the paintings collected by the Kaunitz that remained in the Czech Republic and was not transferred to Vienna. 11:41 Pagina 21 trae una copia che è antigrafo di quella che Bach fa per sé. Vi sono anche musicisti di cui sappiamo poco, come Francesco Antonio Urio, maestro di cappella ai Frari. Nel 1723, Caldara scrive a Praga un solenne graduale; ma in città c’è molto altro di suo. Per rendere le armonie più solenni, si aggiungono dei tromboni: per esempio, a un Magnificat vivaldiano. Tra i veneziani (o quasi), presenti Antonio Bertali, Alessandro Grandi, allievo di Giovanni Gabrieli e vice di Monteverdi a San Marco, Giovanni Battista Bassani, Giovanni Alberto Ristori (il cui Orlando furioso, prima opera, debutta nel 1713 a Venezia): è figlio dell’organizzatore di una delle compagnie di teatro di cui diremo; a Dresda, al servizio dell’elettore di Sassonia Augusto ii, dirige la Cappella di Polonia dal 1718 al 1733. Y In quel Paese, il teatro italiano di Ladislao iv Vasa, dal 1632 al 1648, è ricordato come «manifestazione delle più riuscite del barocco; il grande emporio musicale e teatrale fu Venezia», dove si formano due compagnie per Dresda e Varsavia, che raggiungono Mosca, o durano al proscenio una ventina d’anni a inizio Settecento. In quella di Andrea Bertoldi, è attrice Maria Giovanna Farussi, detta Zanetta Buranella, madre di sei figli tra cui Giacomo Casanova. Il più alto poeta diventa Metastasio; e quando nel 1765 la capitale inaugura il primo teatro aperto al pubblico a pagamento, il direttore, Carlo Tomatis (un giocatore d’azzardo che si spaccia per conte), mette in scena quasi soltanto opere di Goldoni: dieci in poco tempo, anche musicate dai veneziani Piccinni, Gassman, Galuppi; era arrivato in Polonia proprio dalla Serenissima, portandosi una trentina di persone. Del resto, Arlecchino e Pantalone, in quei tempi, percorrono tutto il continente. Y Anche le plaghe a tutta prima maggiormente estranee alle correnti dell’arte occidentale hanno un che di veneziano: nel Settecento, per tanti anni, Antonmaria Del Chiaro, a Bucarest, è segretario del potente voivoda Constantin Brâncoveanu, che fonda chiese e monasteri ortodossi; descrive il palazzo sorto dal 1459, di cui restano solo le memorie; la sua chiesa, del 1558, era la più antica nella capitale: fino a metà Ottocento, vi venivano conferiti i poteri ai principi della Valacchia. Un San Girolamo penitente di Lorenzo Lotto (fig. 21), già del barone Samuel Bruckenthal di cui diremo, diverso da quelli del Louvre e dal quasi coevo esemplare di Castel Sant’Angelo a Roma, dipinto verso al 1513, è rimasto al Museo nazionale (e a Cracovia, una Madonna: pure giovanile e an- il regesto 0020.saggi.qxd 21 a praga, varsavia, bucarest, sofia infiniti artisti e curiosità 0020.saggi.qxd 1-12-2010 12. Zorzi da Castelfranco, detto Giorgione, Ritratto di giovane uomo (Antonio Brocardo?), Budapest, Hungarian Szépművészeti Múzeum. Zorzi da Castelfranco, called Giorgione, Portrait of a Young Man (Antonio Brocardo?), Budapest, Hungarian Szépművészeti Múzeum. 22 11:41 Pagina 22 che lei scoperta da Bernard Berenson), con una Vergine, circa 1430, di Domenico Veneziano. Vetri e specchi di Murano a Sinaia: nel castello un po’ kitsch di Peles, palazzo reale di Carol i dal 1870; e in giardino, statue, fontane e vasi veneziani. Interessante in Transilvania, tra fortezze del Cinquecento e ricordi dei Daci, è Sibiu (in latino Cibinium, in ungherese Nagyszeben e in tedesco Hermannstadt, per chiarire, nei mutevoli confini, la koiné dei luoghi), capitale europea della cultura nel 2007, prima città della Romania con la luce non a gas (1896), e seconda in Europa con un tram elettrico (1904). Bruckenthal, governatore e consigliere di Maria Teresa d’Austria, impegna la vita a collezionare: i dipinti più rilevanti sono al museo di Bucarest: anche Antonello da Messina (fig. 22) Tiziano e Lotto; ma nella galleria del palazzo, a Sibiu appunto, c’è ancora, tra l’altro (figg. 1, 23), un Ecce Homo di Tiziano (fig. 24), con ben 300 mila libri. Y Tra tanti scambi positivi, ne esistono pure di assai meno nobili. Fin dal x secolo, le popolazioni dell’Est europeo e quelle slave approdano al nostro Paese anche in catene. Fuggono, o sono portate, al Nord e al Sud; verso il Mille, a Palermo esiste la Porta Slavorum. I patriarchi di Aquileia le chiamano in Friuli come forza lavoro: tra Gradisca e Palmanova, fino al xii secolo, nascono settanta villaggi sloveni. Nella penisola, acquistano schiavi quaranta città italiane; stando al doge Tommaso Mocenigo, Venezia, ancora nel xv secolo, ne vende almeno mille all’anno soltanto a Milano, per 30 mila ducati; nel 1661, novantadue bosniaci acquistati alle Bocche di Cattaro, per lo più donne e bimbi. Del resto, nell’Islam che ingloba parte di quelle terre, la schiavitù vive fino a tutto il xix secolo. A Venezia, esistono poi anche dei gruppi organizzati: la Scuola dalmata di San Giorgio e Trifone, con il suo ciclo dei tre Carpaccio incentrati su San Giorgio uccide il drago, è di metà Quattrocento; e del 1528 la chiesa in calle dei Furlani. Per non dire delle spie, in quelle marche di confine (dal 1396, per cinque secoli, la Bulgaria è nell’impero turco), spesso infiltrate o intercettate: dipende. Proprio in funzione di bastione antiIstanbul esplicano buona parte delle attività meno confessabili. Y Si chiamano raccordi i memoriali presentati al Consiglio dei Dieci, tra i massimi organi della Repubblica, preposto alla sorveglianza; in uno, il cavalier Pietro Franco, a marzo 1600, da Varsavia, promette un intervento dell’imperatore, per evitare furti e omicidi degli Uscocchi, cristiani in fuga dal Turco sull’Adriatico, divenuti pure pirati. Talora, le spie erano doppie: a fi- 1-12-2010 11:41 Pagina 23 il regesto 0020.saggi.qxd 23 a praga, varsavia, bucarest, sofia infiniti artisti e curiosità 0020.saggi.qxd 1-12-2010 13. Antonio Bellocci, Iride e Alcione, Kromĕříž, Arcivescovado di Olomouc, Castello. Antonio Bellocci, Iris and Alcyone, Kromĕříž, Archbishopric of Olomouc, Castle collection. 14. Pietro Della Vecchia, Apollo, Praga, collezione famiglia František Křižík. Pietro Della Vecchia, Apollo, Prague, František Křižík family collection. 24 11:41 Pagina 24 ne secolo, il servita Aurelio Boccalini informa il re di Polonia finché, smascherato dall’ambasciatore a Varsavia Giovanni Tiepolo, muta fronte e passa al servizio degli Inquisitori; intanto, il nunzio pontificio Vincenzo dal Portico aveva mandato degli “avvisi”, e un ignoto sottratto lettere che, nel 1646, Boccalini spedisce a Ladislao iv; 80 anni dopo, spende dei bei quattrini l’ambasciatore a Vienna per “coltivarsi” un tale, che ogni anno viaggia in Moldavia e Valacchia. Da Vienna all’Ungheria, per dieci anni fino al 1747, è ottimo informatore il segretario del conte Luigi Pio di Savoia, poi ambasciatore d’Austria, dove egli continua l’attività segreta. E in Ungheria diventa governatore Alvise Gritti, il figlio naturale del doge Andrea (suoi ritratti di Tiziano sono ora al Metropolitan di New York, vedi p. 51, alla National Gallery di Washington e – forse – di Londra, in una raccolta del Wisconsin; quando si dice altrove). Y Nel 1570, il Consiglio dei Dieci invia “esploratori”, per cento ducati e una cifra per ottenere informazioni, a Erdel, in Transilvania; anche il prete Francesco Lunato: talora, la tonaca è comoda. Pure fra’ Cipriano da Lucca non ha troppe remore: è al servizio dell’imperatore, difende con il papa gli Uscocchi, poi a Praga critica la fortezza di Palma che si sta costruendo, e va in Croazia; Venezia cerca invano, per cinquecento ducati, di «trovar persona che per alcuna via cauta gli habbia a levar la vita». La 1-12-2010 11:41 Pagina 25 guerra al Turco è senza quartiere: perché ne incendino la flotta, la revoca di un bando e cinquemila ducati, alcuni versati in anticipo però tagliati a metà, sono promessi a due fratelli di Napoli in Romania nel 1467, e presto giungono due altre offerte analoghe. L’ennesima è del 1695, sempre dalla Romania: Giacomo Galizi, greco, non ha successo: è introdotto tra i mercanti di schiavi, alcune spie dicono che, in realtà, miri a bruciare le galee. In Ungheria, a marzo 1528, sono invece avvelenate le uve (ed era ancora lontana la guerra tra Tocaj e Friulano), e ben due volte s’era già progettato di far fuori il re d’Ungheria, nel 1415 e 1419: «Non solum bonum, sed necessarium». Y Venezia non deve soltanto difendere le terre, ma perfino proteggere i commerci, tutelare i prodotti. Così un altro prete, padre Ercolini, nel 1751 compie un lungo viaggio, anche in Moravia e Ungheria, per un’azione non troppo pastorale: sapere dei trattati commerciali, le tariffe, le fabbriche. E (nomen omen) Marco Carburi, docente di Chimica sperimentale a Padova, per ammodernare quelle di rame visita in quattro anni miniere, fabbriche e zecche di Piemonte, Austria, Germania, Boemia, Ungheria. Nel 1740 e 1750 c’è pericolo di peste: spediti confidenti anche in Ungheria (e il capitano Francesco Butcovich fino in Valacchia), per sapere del contagio. Ma ogni tanto, la Serenissima si lascia scappare l’affare: a fine Cinquecento, l’ebreo Abramo Colorni le offre un trattato di “Scotographia”, summa crittografica per rendere sicure le comunicazioni; i funzionari del doge non rispondono, e così, tre anni dopo, nel 1593, egli lo pubblica a Praga (fig. 25). Perché nessuno è mai perfetto, vero? il regesto 0020.saggi.qxd 25 in prague, warsaw, bucharest infinite artists and curiosities 0020.saggi.qxd 1-12-2010 11:41 Pagina 26 1-12-2010 11:41 Pagina 27 in prague, warsaw, bucharest infinite artists and curiosities among spies, paintings and symphonies venice is very close to central-eastern europe the regest 0020.saggi.qxd Fabio Isman 15. Nicolas Regnier, poi Nicolò Renieri, Allegoria della Sapienza, Opava, Slezké semské muzeum, per dono del principe Johann ii von Liechstenstein. Nicolas Regnier, then Nicolò Renieri, Allegory of Wisdom, Opava, Slezké semské muzeum, gifted by Prince Johann ii von Liechstenstein. Y That much troubled part of Europe, with often very changeable confines, that to the east does not border Austria, Russia nor the grand empire of the Turkish sultan (of which Hungary was the demarcation), always had quite a lot to do with the Serenissima. In Venice, the taking of Buda filled the pages of Girolamo Albrizzi’s Giornale dal Campo Cesareo in 1686, and, ten years later, Teodoro Mioni wrote about it in La Turca fedele. Early relations: San Gerardo Sagredo collaborated with the Magyar king Santo Stefano, who was crowned by Pope Sylvester i in 1001. And in the fifteenth century, when Venice did not resemble any other city, not only in terms of its physical nature, the ties were already close, possibly through Matthias Corvinus’s famous library. The Republic sent him brocades in 1461 and 1464 for the coronation; and he, in 1476, purchased jewellery and a necklace in Venice, a wedding gift for his fiancé Beatrice of Aragon, who is portrayed on a codex wearing precisely that jewel. Matthias’s manuscripts went into the Marciana: four of them remain, of the 180 known that are scattered around the world in 42 libraries. A monk, sent by the king, lived and died in the convent of San Zanipolo: the prior obtained at least the illuminated codex Averulinus, divided into 25 books, presented in Italian in 1482 to Matthias, who had it translated into Latin. The third book describes the marble of Carrara and its use in St Mark’s; it cites “Angelus Muranus”, who invented the decorations in coloured glass, and his painter son, buried in Santo Stefano; it explains how the Venetians built bridges. Three of the 189 Corvine printed appeared in Venice; one of them, of 1473, is by a founder of art in the city, Vindelinus de Spira (the first book, of 1469, is the Epistolae ad familiares by Cicero, fig. 2). It seems that “Maestro Cassianus”, artist of codices, learnt the art in Venice and worked in Buda; on the other hand there are some who attribute the etchings in Francesco Colonna’s Hypnerotomachia Poliphili of 1499, ‘the most beautiful book in the world’ (fig. 3), to Benedetto da Padova. 27 in prague, warsaw, bucharest infinite artists and curiosities 0020.saggi.qxd 1-12-2010 16. Carlo Saraceni, San Sebastiano, Praga, collezioni del Castello, acquisito prima del 1685. Carlo Saraceni, Saint Sebastian, Prague, Castle collection, acquired before 1685. 28 11:41 Pagina 28 King Matthias was tied to the Zeno: Caterino, in 1471 ambassador of the kings of Persia and Georgia, became a knight in Buda. Matthias asked him for an organ, which was not sent as he died first, and is now in the Museo Correr. In the sixteenth century, Niccolò Zeno owned 100 Corvine: illuminated parchments, original bindings. These too are now scattered elsewhere. Y The connections subsequently became more numerous, also in other parts of that Europe. From the seventeenth century to the first half of the eighteenth, more than 100 Italian artists worked in Hungary, many born in Venice. There were more sculptors and painters in the court of the prince of Transylvania than architects, though 500 fortresses were raised by military builders, among whom was the Venetian Agostino Serena; he is remembered by an inscription on the doorway of Radnut castle. He also worked for Prince Gyorgi Rakoczi i, and died on his way home. Venetians also fortified Tokaj, Sarospatak and Szamosujuvar. But there were certainly more artists working with brush than T square and compass. The Hungarian prince Gabor Bethlen wrote to Carlo Saraceni, ‘Carlo Veneziano’, to invite him to his court; and Pietro Liberi went there, too: Leopold i made him a noble, his Reclining Venus is at the Esterházy. Among the sculptors, Antonio Corradini (16681752), in Vienna for eight years, sculpted the holy sarcophagus in Gyor, appreciated by Charles vi: it recalls his sepulchre of Saint John of Nepomuk in Prague cathedral; and Giovanni Giuliani, a Cistercian in Heiligenkreuz (Venice, 1663 - Austria, 1744), left a Via Crucis in Pozsony, now in Bratislava museum, a venerated statue of the Virgin at the Carmelites of Gyor and an altar in Baratudvar, which is the Austrian Mönchhof. Michele Fabris, called Ongaro, however, migrated. He was born in Hungary in 1644, worked in Venice and died there 40 years later. He mar- 1-12-2010 11:41 Pagina 29 the regest 0020.saggi.qxd 17. Antonio Vassillacchi, detto l’Aliense, La raccolta della manna, Praga, collezioni del Castello, dove è documentato dal 1685. Antonio Vassillacchi, called Aliense, The Gathering of the Manna, Prague, Castle collections, where it was documented from 1685. 29 in prague, warsaw, bucharest infinite artists and curiosities 0020.saggi.qxd 1-12-2010 18. Bernardo Bellotto, Veduta di Varsavia con la Vistola dal sobborgo di Praga, Zamek Kròlewski w Warsawie, collezioni del Castello reale, ordinato dal re Stanislao Augusto forse nel 1770. Bernardo Bellotto, View of Warsaw with the Vistola from the Suburb of Prague, Zamek Kròlewski w Warsawie, Royal Castle collections, commissioned by King Stanislaus August possibly in 1770. 30 11:41 Pagina 30 ried Zaneta Laghi; ‘he earns a lot, but his vices cause him to consume plenty’; his son Michele sold books in Venice; he left works in the Salute, in San Pietro in Castello, in San Clemente and Murano, and worked with Baldassarre Longhena in the chapel of Francesco Vendramin. Janos Spillenberger worked for a long period in Venice, with Johann Carl Loth; Janos Kupezky was also successful – he was portrayed by the Nuremberg painter Johann Blendinger; the painting, formerly in Schulenburg, is now in Munich. Johann Justus Preisler, Paul Troger and Daniel Gran also stayed there (the latter painted at Villa Cornaro). In exchange, several Venetians worked in Prague: Giulio Licinio (who died there at the end of the sixteenth century; his paintings were in Bratislava castle), Giacomo Contarini (possibly from 1579 to 1593, before going home) and Paolo Piazza, who arrived after 1600, under the name of Fra Cosmas. But also the German Hans von Aachen, who died in Prague in 1615 and from 1574 worked in a Venice workshop, and many others. The horizons changed with the conquest and sack by the soldiers of Christine of Sweden in 1686. Y Venetian art was at home in Prague castle (we note elsewhere), if only because Rudolph ii had been educated by his uncle Philip ii in Madrid, where the worship of Titian had been cultivated since April 1548, when Charles v had called him in great haste to paint the prototypes of the equestrian portraits that then inspired Rubens, van Dyck and Velázquez. A century after it was painted in 1506, Rudolph wanted the very Venetian Virgin of the Rosary by Albrecht Dürer from San Bartolomeo, at the foot of the Rialto bridge (see p. 52), in Prague. He asked Veronese to decorate two ceilings in the Summer Palace; who also painted the jeweller Jakob König (see p. 96) in 1575 (possibly as a gift to the emperor). Paulus Franck, called Paolo Fiammingo, who died in Venice in 1596, left more than six paintings in the castle of the city of Kafka, Smetana and Dvořák, 1-12-2010 19. Bernardo Bellotto che dipinge, con il figlio, morto in quello stesso anno, particolare della fig. 18. Benardo Bellotto with his son, detail of Fig. 18: the son, who died that year, is seen in the painting with the artist painting. 11:41 Pagina 31 above Charles Bridge, where Mozart’s Don Giovanni was first performed and which evokes the Golem of the Great Rabbi Lehuda Löw ben Bezalel and the alchemists of the Golden Lane. Y Collecting was widespread: the Transylvanian prince Gabor Bethlen furnished the palace with purchases from Venice, and was in contact with the merchant Daniel Nys (who sold the Gonzaga assets in Venice). The painting collection of Janos Listy, who died in Venice, containing works by Tintoretto and Bassano, and praised by Niccolò Bambini and Gregorio Lazzaroni, is lost. The phenomenon is even more macroscopic in the present Czech Republic. The collection of Karl von Liechtenstein, bishop of Olomouc, was begun in Moravia; and in Prague that of the nobleman Jan Humprecht Czernin, who visited Venice several times and was a patron and client here, too (figs. 4, 5). Plenipotentiary of Leopold i, in 1663 he already owned 300 paintings and bought more; he lived on the Grand Canal for three years. In 1661 he had 19 works by Pietro Della Vecchia; 21 painters from the city worked for him, among whom were Liberi, Sebastiano Mazzoni, Loth, Girolamo Forabosco and Giovanni Battista Langetti. In Brussels in 1647, he knew the archduke Leopold William: he helped him create his extraordinary collection, now the basis of the Kunsthistorisches Museum in Vienna (fig. 6). But apart from contemporary artists, Czernin also collected Giorgione, Titian and the Bassanos in his grandiose noble palace in Prague near the Church of Loreto; and the descendants continue, though in 1778 the collection suffered from major auction sales, and then became Lobkowicz by a marriage (fig. 7). There is even The Family of Darius before Alexander in which Antonio Zanchi (1731 -1722) takes up the celebrated subject painted by Veronese in the Palazzo Pisani the regest 0020.saggi.qxd 31 1-12-2010 in prague, warsaw, bucharest infinite artists and curiosities 0020.saggi.qxd 20. Antonio Canova, Amorino stante o Amorino Lubomirski, 1786, Lańcut, Muzeum Zamek w Lańcucie. Antonio Canova, Standing Cherub or Lubomirski Cherub, 1786, Lańcut, Muzeum Zamek w Lańcucie. 32 11:41 Pagina 32 Moretta (now in London), while his Alexander and the Body of Darius is in Venice, at the Palazzo Albrizzi. Y Frantisek Antonìn Hovora, Count Berka of Dubà (16471706) also collected Venetians; it was a real love: he became plenipotentiary in Venice from 1699 to 1703 and married a Montecuccoli. In 1692 he drafted a catalogue in order to sell some of his collection to Prince Liechtenstein (but was unable to); his paintings are in the Prague National Gallery. Some of the signatures are high-ranking, but not so the paintings (fig. 8): many are by Palma Giovane, the odd ‘Soldier by Giorgione’ hides Pietro Della Vecchia (figs. 9, 10). In Prague, apart from the Lobkowicz (one of them went to London to buy horses, but came back with lots of paintings, including two Canalettos), other nobles bought Venetian paintings: the Rosenbergs, the Nostitzes, the Liechtensteins (they began in the fifteenth century, when George ii was provost at Saint Stephen in Vienna); the Albrechts of Wallenstein, dukes of Frydlant (four Views by Michele Marieschi; they also hosted Casanova); the counts Kaunitz (see p. 8; 840 pieces in Slavkov; in the end there were to be more than 2000 paintings; also two Jacopo Amigonis, from when he was in Munich, fig. 11). The Sternberg counts’ collection was later (1704, 650 paintings). A fine Capriccio with Colonnade by Canaletto, similar to one in the Venice Accademia, ended up, who knows how, in Dobris castle. Y A good part of the private collections is now in museums (a 1937 book counted 15 art collections of an international level in Romania alone); such that, to mention only one, the State Art Gallery in Budapest seems a real dictionary of the history of Veneto art: no name of more or less prominence from the fifteenth century on is missing. Likewise in all the other current capitals. Furthermore, Budapest, apart from the Esterházy collection (Raphael’s Madonna of the same name, Correggio, Leonardo, Dürer, Rembrandt), also boasts an interesting donation made in 1836 by the archbishop Eger János László Pyrker (1772-1847), which includes the Holy Conversation by Tiepolo, the Portrait of Caterina Cornaro by Gentile Bellini (see p. 49) and the Portrait of a Young Man by Giorgione (fig. 12): an early inscription on the painting may reveal his name, Antonio Brocardo. Even the angels that hold the sepulchral urn on the main altar in Prague Cathedral are derived from a Venetian type: Corradini ‘reworked in imaginary form that which he had already 1-12-2010 11:41 Pagina 33 the regest 0020.saggi.qxd 21. Lorenzo Lotto, San Girolamo penitente, 1513 circa, Bucarest, Muzeul National de Arta al României; il dipinto era del barone Samuel von Bruckenthal. Lorenzo Lotto, Saint Jerome Penitent, c. 1513, Bucharest, Muzeul National de Arta al României; the painting was owned by Baron Samuel von Bruckenthal. 33 in prague, warsaw, bucharest infinite artists and curiosities 0020.saggi.qxd 1-12-2010 22. Antonello da Messina, Crocifissione, Bucarest, Muzeul National de Arta al României; già di von Bruckenthal, fino al 1948 era al museo di Sibiu. Antonello da Messina, Crucifixion, Bucharest, Muzeul National de Arta al României; formerly owned by von Bruckenthal, at the Sibiu museum until 1948. 34 11:41 Pagina 34 seen’ in Venice. The prototype may have been the main altar in San Pietro di Castello by Longhena, where the Blessed Lorenzo Giustiniani is kneeling on the urn, sculpted in 1665 by Giusto Le Court; but there are others in San Giuliano and, for the urn of San Crescenzione, at the Salute. The number of paintings in the religious collections is even greater, especially in Prague and Olomouc (some ended up in Kromĕříž, which also has Titian’s Marsia, a Veronese and four Jacopo Bassanos, fig. 13): Venice was evidently much liked by the bishops, parishes, monasteries and convents. Y But it is mainly seventeenth-century work, not that of the dazzling sixteenth and the most famous champions of art. This is primarily the century when painting in Venice resulted partly from the allure of the big earlier names and, apart from those born in the city (fig. 14), artists who chose to work here also prospered. They included Domenico Fetti from Rome and Mantua; Johann Liss from Oldenburg; Bernardo Strozzi from Genoa; Loth from Munich; Saraceni from the city of the popes; Nicolas Regnier, who in Rome became Nicolò Renieri and had immediate success from 1625: he was already bought by Prince Liechtenstein in his first year in Venice, while Saraceni was soon being exhibited in Prague castle; the works are, respectively, an Allegory of Wisdom (similar to one in the Palazzo Reale, Turin, of 1626; fig. 15), accompanied by an Allegory of Vanity; and a Saint Sebastian (fig. 16), which shows signs of Caravaggio’s Ecstasy of Saint Francis in Hartford, painted around 1606 in Rome and soon taken away. Y Bona Sforza (1494-1557), queen of Poland and grand duchess of Lithuania from 1518, established close ties with the Serenissima, which then intensified. In her century, Giovan Battista Ferro and ‘Petrus Venetus’ arrived, leaving a big Crucifix in Krakow cathedral in 1547, which still recalls Mantegna. King Sigismund August, died in 1574, began a painting collection. But much changed with Sigismund iii and the court marshal Mikolaj Wolski. In Venice Antonio Vassilacchi, called Aliense (1556-1629), was fashionable, and religious and other works for the sovereign were created in his workshop (fig. 17). The king wanted him as court painter, but he refused, as he had previously also refused Philip ii of Spain. He sent his first assistant instead, Tommaso Dolabella of Belluno, perhaps originally Della Bella, who lived in Poland for more than 50 years. His works were destroyed by fire; what remains are a ceiling in the Doge’s 3-12-2010 14:08 Pagina 35 the regest 0020.saggi.qxd 35 in prague, warsaw, bucharest infinite artists and curiosities 0020.saggi.qxd 36 1-12-2010 11:41 Pagina 36 Palace with Doge Cicogna worshipping the Sacrament, religious works for the Polish Dominicans, a Battle of Lepanto in the castle and the merit of having begun historical painting. Palma Giovane also painted for the king, and in San Giovanni, Warsaw. His Virgin with John the Baptist and Saint Stanislaus deserves the world record for bad luck: Napoleon took it, it was returned, then blown up along with the church by the Nazis in 1944. The chancellor, Jan Zamoyski, commissioned paintings from Tintoretto for 812 florins: but they arrived in 1604, six years late. Y The case of Lorenzo Bellotto, the almost unknown first son of Bernardo, possibly born in 1744, is interesting. Some investigations in Poland have allowed those who didn’t attribute him any works to be contradicted: an Ideal View, signed and painted at the age of 21 in Dresden, is now in Northampton (Massachusetts). Working with his father, he also painted two Roman Views: with the Piazza della Rotonda and the Foro Boario, which ended up in the Pushkin Museum in Moscow signed ‘Canaletti’ in 1769. He worked with his father on 14 paintings for Stanislaus August, of which six Views of Rome reworking etchings by Piranesi have been identified. The ‘weakest’ part of the works is by the son, who died in 1770, while Bernardo worked for the Liechtensteins and the Kaunitzs: at least in two Views of Vienna and two Views of Warsaw. The father can be recognised in a corner of one of these, painting and talking to the king, as can the court geographer Ermanno Carlo di Perthées, his sonin-law, with his son, who died in the year of this work (figs. 18, 19). They also left the sketch for a ceiling in Ujasdow castle. A few decades later (Bellotto senior died in Warsaw in 1780), Antonio Canova (1757-1822) invented the Standing Cherub (fig. 20) for Isabella Czartoryski and Stanislaus Lubomirski, combining the ecstasy of love with the interpretation of the idea of king; the couple also wanted a Venus and Adonis from him. Valeria Tarnowska bought a Perseus in the Rome studio, which is now at the Metropolitan in New York. And in Eastern Europe there is an abundance of buildings inspired by Andrea Palladio (the unbuilt design for Thomas Jefferson’s White House is the most faithful imitation of the Rotonda in Vicenza); Stanislaus Potocki wanted the church of Saint Anne in Warsaw to resemble San Giorgio Maggiore. Y In addition to art there was the pentagram. There are many musical pieces composed for the rulers of that part of Europe, or dedicated to them, in Venetian libraries: from the Stranger enlightened about the rare, curious, ancient and modern things of the city of Venice, 1-12-2010 23. Girolamo Forabosco, San Gerolamo, Sibiu, Museo Nazionale Bruckenthal; l’opera è firmata. Girolamo Forabosco, Saint Jerome, Sibiu, Bruckenthal National Museum; the work is signed. 11:41 Pagina 37 and of the surrounding islands; with a description of the churches, monasteries, ospedali, Treasure of St Mark’s, public buildings... Work adorned with numerous beautiful views in copper of the most notable buildings in this city. Produced under the auspices of HRH Frederick Christian, royal prince of Poland and elector of Saxony, etchings by Francesco Zucchi and Giuseppe Filosi, published by Giovanni Battista Albrizzi in 1740, to the ‘ecloga piscatoria’ Mopso by Antonio Vivaldi, a kind of serenade admired by Ferdinand of Bavaria at the carnival of 1739 and now lost; and the Chorus of the Muses the following year, ‘serenade to be sung to his highness Frederick Christian son of the ruling August of Poland and elector of Saxony by the daughters of the choir of the charitable Ospitale della Pieta of Venice’, to a libretto by Carlo Goldoni, music by Gennaro d’Alessandro, choir master (Vivaldi wrote Symphony rv 149 for the evening). The Neapolitan in Adria, serenade to celebrate the most joyful marriage of his majesty D. Charles Bourbon king of the Two Sicilies to Princess Amalia, daughter of Frederick August III, elector of Saxony and king of Poland by Ignazio Fiorillo, commissioned by Giuseppe De Baesa, ambassador of the Two Sicilies, lyrics by ‘Bastian Bianciardi called Domenico Lalli’, and The Olympiad by Giovan Battista Pergolesi, that was commissioned by the ambassador himself, who had evidently been busy, at the Grimani theatre of San Giovanni Crisostomo, are from the same period. The four Venetian ospedali were involved in the concerts that year; Vivaldi conducted the ‘putele’ from that of Santa Maria della Pietà. At the Carnival of 1739, the Viriate, a ‘drama for music’ by Adolphe Hasse, lyrics as usual by Lalli, was presented for Frederick Christian at the Grimani; Cleonice was dedicated to him in 1740: same theatre and composer, but libretto by Pietro Metastasio. That year, the Candaspe regina de Sciti, with lyrics by Bartolomeo Vitturi, music by Giovanni Battista Casali, made its debut at the Sant’Angelo; works (but often also the regest 0020.saggi.qxd 37 in prague, warsaw, bucharest infinite artists and curiosities 0020.saggi.qxd 38 1-12-2010 11:41 Pagina 38 composers) that even the specialists have now completely forgotten. Y Three centuries ago, Prague was a genuine ‘goldmine’ of Venetian music, especially religious. Several collections are held, such as in Kromĕříž, with names of the turn of the seventeenth century, from Antonio Caldara to Antonio Lotti and Marc’Antonio Ziani. Antonio Draghi of Rimini wrote the oratory Abelle of Bohemia or Saint Wenceslas, and Giovanni Maria Bassani of Padua transformed the Harmony of the Sirens into a German aria in 1680; Corelli was also made German, with the words O reiner Himmelbrot being adapted to his music. Lotti was in Prague with an opera company; there are more than 100 compositions in the city, and also at the service of Dresden. Jan Dismas Zelenka took a copy from his Missa sapientiae, which is the manuscript of that which Bach made his own. There were also musicians about little is known, such as Francesco Antonio Urio, choir master at the Frari. In 1723 Caldara wrote a solemn gradual in Prague; but there is much more of his in the city. Trombones were added to make the harmonies more solemn; to a Vivaldi Magnificat for example. Among the Venetians (or almost) there were Antonio Bertali, Alessandro Grandi, pupil of Giovanni Gabrieli and assistant to Monteverdi at St Mark’s, Giovanni Battista Bassani, Giovanni Alberto Ristori (whose Orlando furioso, his first work, had its debut in Venice in 1713): he was the son of the organiser of one of the theatre companies we shall discuss; in Dresden, at the service of the elector of Saxony August ii, directed the Polish Choir from 1718 to 1733. Y The Italian theatre of Ladislaus iv Vasa, from 1632 to 1648, is recalled in that country as a ‘manifestation of the most successful of the Baroque; the grand musical and theatrical emporium was Venice’ where two companies were formed for Dresden and Warsaw, which went to Moscow, and remained on stage for about 20 years at the start of the eighteenth century. In that of Andrea Bertoldi, Maria Giovanna Farussi, called Zanetta Buranella, was an actress; she had six sons, one of whom was Giacomo Casanova. 1-12-2010 11:41 Pagina 39 Metastasio became the most important poet; and when the capital opened its first theatre to a paying public in 1765, the director Carlo Tomatis (a gambler who presented himself as a count), staged almost only works by Goldoni: ten in a short period, also set to music by the Venetians Piccinni, Gassman and Galuppi. He had arrived in Poland precisely from the Serenissima, taking with him about 30 people. On the other hand, Harlequin and Pantaloon ran all around the continent in those days. Y The regions, too, which were previously completely extraneous to the currents of western art, had something of Venice. Antonmaria Del Chiaro, in Budapest for many years in the eighteenth century, was secretary to the powerful voivode Constantin Brâncoveanu, who founded Orthodox churches and monasteries; he described the palace built in 1459, of which only memories remain; its church, of 1558, was the oldest in the capital. The princes of Walachia had their powers bestowed on them there up until the mid-nineteenth century. A Saint Jerome Penitent by Lorenzo Lotto (fig. 21) has remained in the national museum (and in Krakow there is a Madonna, also an early work and also discovered by Bernard Berenson), and a Madonna, c. 1430, by Domenico Veneziano. The Lotto was previously owned by the baron Samuel Bruckenthal, who will be discussed below, and differs from those in the Louvre and the almost contemporary example in the Castel Sant’Angelo, Rome, painted around 1513. There are Murano mirrors and glass in Sinaia, in the slightly kitsch castle of Peles, royal palace of Carol i from 1870; and with statues, fountains and Venetian vases in the garden. In Transylvania, Sibiu (in Latin Cibinium, in Hungarian Nagyszeben and in German Hermannstadt, to clarify the koiné of the places with the changing borders), between sixteenth-century fortresses and memories of the Dacians, is interesting. It was the European capital of culture in 2007, the first city in Romania with non-gas lighting (1896) and the second in Europe to have an electric tram (1904). Bruckenthal, governor and councillor to Maria Theresa of Austria, spent his life collecting. His most important paintings are now in the Bucharest museum, including Antonello da Messina (fig. 22), Titian and Lotto; but in the palace gallery there is still, among others (figs. 1, 23), an Ecce Homo by Titian, along with a good 300,000 books. Y Among the many positive exchanges, there were also those less noble. From the tenth century, the Slav people and those of the regest 0020.saggi.qxd 39 in prague, warsaw, bucharest infinite artists and curiosities 0020.saggi.qxd 40 1-12-2010 11:41 Pagina 40 Eastern Europe also came to Italy in chains. They escaped, or were taken to north and south; there is a Porta Slavorum in Palermo from around 1000. The patriarchs of Aquileia called them to Friuli as labour: 70 Slovenian villages appeared between Gradisca and Palmanova, up until the twelfth century. Forty Italian cities bought slaves. According to Doge Tommaso Mocenigo, Venice still sold at least a thousand a year to Milan alone in the fifteenth century, for 30,000 ducats; in 1661, 92 Bosnians were bought at the Bocche di Cattaro, mainly women and children. On the other hand, most of those countries were under Islamic rule, which allowed slavery right through to the end of the nineteenth century. In Venice there were also organised groups: the Dalmatian Scuola di San Giorgio e Trifone, with its cycle of three Carpaccios centred on Saint George Killing the Dragon, is from the mid-fifteenth century; and the church in Calle dei Furlani dates from 1528. Not to mention the spies, in those border areas that were often infiltrated or intercepted (Bulgaria was in the Turkish empire for five centuries from 1396): it depends. A good part of the less easily admitted activities was related to the bastion against Istanbul. Y The memorials presented to the Council of Ten, one of the highest organs of the Republic responsible for surveillance, were called ‘raccordi’. In one of these, of March 1600 from Warsaw, the cavalier Pietro Franco promised an action by the emperor to prevent thefts and the murders by the Uskoks, Christians fleeing the Turk in the Adriatic who had also become pirates. At times the spies were double agents: at the end of the century the Servite Aurelio Boccalini informed the king of Poland until, being exposed by Giovanni Tiepolo, the ambassador to Warsaw, he changed sides and went into the service of the Inquisitors. In the meantime, the papal nuncio Vincenzo dal Portico had sent ‘advice’, and an unknown person stole letters that, in 1646, Aurelio Boccalini had sent to Ladislaus iv; 80 years later, the ambassador to Vienna spent considerable sums to ‘groom’ a person who each year travelled to Moldavia and Walachia. The secretary of Count Luigi Pio of Savoy was an excellent informer from Vienna to Hungary, for ten years until 1747; he was then ambassador in Austria, where he continued his secret activities. And Alvise Gritti, the natural son of Doge Andrea, became governor in Hungary (the doge’s portraits by Titian are now in the Metropolitan in New York (see p. 51), at the National in Washington 1-12-2010 25. Abramo Colorni, il frontespizio della Scotographia, overo scienza di scrivere oscuro, edita a Praga, 1593. Abramo Colorni, the frontispiece of the Scotographia, overo scienza di scrivere oscuro, published in Prague, 1593. 11:41 Pagina 41 and – possibly – in London, in a collection in Wisconsin; when is noted elsewhere). Y In 1570, the Council of Ten sent ‘explorers’ to Erdel in Transylvania, for 100 ducats and with a code for obtaining information; also the priest Francesco Lunato: at times the tunic is handy. Fra Cipriano da Lucca was also less than hesitant. He was in the service of the emperor, defended the Uskoks with the pope, then in Prague criticised the fortress of Palma that was being built, and went to Croatia. Venice sought in vain, for 500 ducats, to ‘trovar persona che per alcuna via cauta gli habbia a levar la vita’. The war with the Turk was merciless: two brothers from Napoli in Romania were promised a repeal of their expatriation and 5000 ducats, some paid in advance, though divided in half, to burn their fleet in 1467, and two other similar offers were made shortly after. The umpteenth was in 1695, again in Romania: Giacomo Galizi, Greek, was unsuccessful: he was introduced among the slave merchants, but some spies said that he actually intended to burn the galleys. In Hungary, in March 1528, the grapes were poisoned (and the war between Tocaj and Friulano was still some way off), and it had already been planned twice to do away with the king of Hungary, in 1415 and 1419: ‘Non solum bonum, sed necessarium’. Y Venice not only had to defend its lands, but even protect the trade, safeguard the products. So another priest, Father Ercolini, made a long journey in 1751, also to Moravia and Hungary, to fulfil a task that was not exactly pastoral: to find out about trade agreements, tariffs and factories. And (nomen omen) Marco Carburi, lecturer in experimental chemistry at Padua, visited mines, factories and mints in Piedmont, Austria, Germany, Bohemia and Hungary in four years, to modernise those of copper. In 1740 and 1750 there was the danger of plague: confident expeditions also went to Hungary (and Captain Francesco Butcovich as far as Walachia) to find out about the contagion. But every now and then the Serenissima let a deal slip by: at the end of the sixteenth century, the Jew Abramo Colorni offered it a treatise on ‘Scotography’, a cryptographic summa for making communications safe; the doge’s officers did not reply, and so, three years later, in 1593, he published it in Prague (fig. 24). Because nobody is perfect... the regest 0020.saggi.qxd 41 0020.saggi.qxd 1-12-2010 11:41 Pagina 42 1-12-2010 11:41 Pagina 43 come mutano i paesi negli atti della «metropoli dell’universo» a est di vienna diplomatici e tanti intrighi, mercati e carne bovina Gino Benzoni 1. Giovanni Contarini, Caduta del regno di Saturno, Praga, collezioni del Castello dal 1590 circa; l’autore era nella capitale ceca forse nel 1579, e certamente nel 1587 e nel 1593. Giovanni Contarini, Fall of the Reign of Saturn, Prague, Castle collections from c. 1590; the painter was possibly in the Czech capital in 1579, and certainly in 1587 and 1593. Y Gli inviati all’estero sono gli «occhi» dello stato, scorgono per primi i «punti neri» all’orizzonte, osserva in un trattatello del 1595, De legato (Cracovia 1595 e Dantisci 1646), il diplomatico polacco Cristoforo Warszewicki (1543-1603), avendo supponibilmente in mente quelli marciani, se non altro perché Venezia è cardine nel suo paesaggio mentale in cui proprio la similitudo istituibile tra il regno polacco e la repubblica marciana avvalora anche il suo paese; ne è ben persuasa una sua Oratio ad Rempublicam habita 4 martii… 1602 (Venetiis 1602). Costoro, assicura sempre a fine Cinquecento Scipione Ammirato, conoscono il paese che li ospita più degli stessi abitanti. I veneziani sono proprio «l’occhio del mondo», ha già constatato Stephan Gerlach, al seguito dell’ambasciatore cesareo David Ungnad a Costantinopoli nel 1573-1579, così riconoscendo loro un di più di capacità d’informazione a tutto campo. La risultanza d’uno sguardo generale, sommando le occhiate parziali degli ambasciatori nelle capitali europee e del bailo presso il Turco, permette a Palazzo Ducale di contemplare il «theatro del mondo», «vedere gli incendi altrui», e così «conoscere a spese d’altri» quanto a Venezia «per ben reggere se stessa, convenga», come teorizza compiaciuto Simone Contarini nel 1608, reduce dal baliaggio costantinopolitano. È anche previsione di politica estera, accorta navigazione nel cangiar delle congiunture, calcolo di quanto si sta annunciando come prossimo ad accadere. È in ciò affinata una classe politica che affonda le sue radici nel lungo medioevo in cui ha navigato mercatando, mercatato navigando, sempre ansiosa, nel suo assiduo trafficare, di notizie sulle «condizioni delle mercanzie», sui relativi prezzi, sempre pronta a situarsi negli spazi più lucrosi della dinamica economica. Y Ancorché decisamente rimpicciolita in un mondo enormemente dilatato dalle scoperte, definitivamente ridimensionata nel peso relativo, enfiando, surrogatoriamente, la mediocritas ad aurea mediocritas, Venezia nel Cinquecento si ostina a dirsi «me- i documenti 0020.saggi.qxd 43 come mutano i paesi negli atti della «metropoli dell’universo» 0020.saggi.qxd 44 1-12-2010 11:41 Pagina 44 tropoli dell’universo». Anche se le sue navi non solcano gli oceani, anche se estranea al rapinoso avventarsi sul Nuovo Mondo, in certo qual modo la città si risarcisce dell’assenza con il segno perentorio d’una comprensione geografica e cartografica superiore a quella degli stessi scopritori e conquistatori. Veneziano, nel 1506, il planisfero che costituisce la prima carta a stampa europea ricettiva delle Antille e dell’America del Sud. Veneziano l’aggiornamento tempestivo, nel succedersi di stampe e ristampe della Geografia tolemaica, del corredo illustrativo a tallonare il sembiante del globo d’un tratto enormizzato. Y E, se il continente europeo non occorre scoprirlo, c’è una vasta area – non sfuggita alle Navigationi et viaggi ramusiani – cui Venezia guarda da Palazzo Ducale e che i suoi diplomatici e i suoi operatori commerciali e anche i da lei fuggiti per motivi religiosi hanno modo di conoscere di persona. «Tra i regni del mondo bellissimo», esclama nel 1525, al rientro dall’Ungheria, il segretario veneto Vincenzo Guidotto. Venezia è in rapporto con Mattia Corvino (1440-1490, fig. 2), ammirata della sua reggia, della biblioteca. «Notarius missus in Hungariam» nel 1361 Bartolomeo Ursio. E ben prima, in Ungheria, il martire, e santo dal 1083, Gerardo che, già abate del monastero benedettino di San Giorgio in Isola, ne fonda un altro sulle rive del Maros, per diventare poi, nel 1030, episcopus di Csanád; e muore nel 1046 annegando nel Danubio, in questo spintonato da un gruppo di pagani. Ma come sarà arrivato da quelle parti il santo? Ad ogni modo gli itinerari Venezia-Buda devono essere ben usuali se Bernardo Giustinian (1405-1489), lo storico quattrocentesco di Venezia, si premura d’indicarli. È di carne bovina proveniente dall’Ungheria che Venezia s’approvvigiona. E all’importazione provvedono pure mercanti veneziani che, per questo, si stabiliscono a Buda a fine Quattro e nel primo Cinquecento (fig. 3). E tra le innumeri conoscenze di Casanova (1725-1798), stralciabile quel Pier Antonio Capretta importatore, per “incarico” del governo veneto, di bestiame ungherese. Sulla qualità della carne di questo, comunque, l’avventuriero non si pronuncia. In compenso, ha precise opinioni sul «vino d’Ungheria»: è robusto, generoso; a berne troppo, non ci si regge più in piedi. Tuttavia, nel suo girare come una trottola, a Buda Casanova non capita. Non è una città che l’attiri. Comunque di essa, quand’è ancora turca, si sa che consta di cinque addensamenti urbani: «il castello o fortezza»; «la città superiore»; «il borgo longo», quel- 1-12-2010 2. Mattia Corvino (primo a destra, accanto a san Venceslao e con i re Buda iv e Maria) in un antico disegno, pubblicato a Firenze nel 1831 da Giulio Ferrario, ne Il costume antico e moderno… Matthias Corvinus (first on the right, next to Saint Wenceslas and with King Buda iv and Maria) in an early drawing, published in Florence in 1831 by Giulio Ferrario, in Il costume antico e moderno… 11:41 Pagina 45 lo superiore; «la città degli hebrei»; quella «d’acqua». Notevoli i «bagni caldi o terme», aggiunge il tipografo Girolamo Albrizzi in L’origine del Danubio (Venetia 1684-85). Y Certo che l’arrivo della Mezzaluna, prima o dopo, era scontato. I settandue «contadi» del regno di Mattia, sottolinea al rientro a Venezia nel 1519 (fig. 4) Alvise Bon, si sono ridotti a cinquantacinque. Di fatto, governa il consigliere Giorgio Szakmany; questi, che è pure vescovo, «se imbriaga volentieri», come gli altri cortigiani. Sconcertante per gli ambasciatori veneziani, abituati a un senato solito riunirsi prima e dopo «disnà», aver a che fare con ministri con cui si tratta solo di mattina. Smodati come sono a tavola, «da poi disnar» hanno bisogno di almeno «4 hore» di sonno a smaltire il troppo bere e troppo mangiare. Il che certo non giova a guidare con senno il minorenne Ludovico (1506-1526), il figlio di Ladislao ii Jagellone. Il ragazzo (così, il 22 dicembre 1523, al rientro da una «legation» di cinquantacinque mesi, l’«orator» in Ungheria Lorenzo Orio) «vive come una bestia» e «lassa» ai consiglieri il «governar», fin succube delle loro indicazioni. «Di cose di stato non capisce niente». Di autentica statura politica, invece, Giovanni Zápolyai, ultimo re nazionale ungherese. È quello che, il 24 aprile 1535, dietro istanza del protonotario pordenonese Girolamo Rorario, nunzio apostolico alla corte d’Ungheria, conferisce al pittore Giovanni Antonio Pordenone e ai suoi discendenti il titolo di cavaliere; così, contento l’artista, ma anche l’ormai piccolo re, che si sente un minimo autorevole. Antecedentemente, alleandosi con la Porta, era riuscito a insediarsi a Buda. Qui, il 26 dicembre 1530, designa «gubernator regni Hungariae» Alvise Gritti (1480-1534), filius bastardus dell’allora doge Andrea Gritti (fig. 5), che a Costantinopoli, dove è nato e preferisce tornare, è divenuto straricco e influente. Esautorando Zápolyai, punta alla totale integrazione di Buda nel sistema ottomano, peraltro azzardando nel 1533 l’instaurazione di un regno personale. A lui grata Venezia per l’invio di grossi quantitativi di grano, ma non fino a compromettere i rapporti con l’impero per sostenerne le ambizioni personali. Sicché l’aspirazione a “farsi re”, priva d’appoggio, naufraga. Ed è un suo stesso uomo a trucidarlo il 29 settembre 1534. i documenti 0020.saggi.qxd 45 come mutano i paesi negli atti della «metropoli dell’universo» 0020.saggi.qxd 46 1-12-2010 11:41 Pagina 46 Y E in Ungheria, non più l’arrivo dei diplomatici veneziani. Ma all’“occhio” di questi subentra l’attenzione storiografica attestata dai titoli prodotti dalle tipografie lagunari. Si va dall’anonima Historia di Zighet ispugnata da Soliman… l’anno 1556 (Venetia 1570) a L’Ungheria spiegata… ove si leggono tutte le cose successe dal 373 d.C. al 1595 (Venetia 1595) del poligrafo Giovanni Nicolò Doglioni; a Le campagne d’Ungheria de gl’anni 1663 e 1664 (Venetia 1665) del polesano Girolamo Brusoni; all’Idea generale del regno d’Ungheria (Venetia 1684) del benedettino, nato francese, Casimir Freschot. La Mezzaluna, fallito l’assedio di Vienna del 1683, arretra paurosamente. Riconquistata Buda nel 1686. Ed ecco tempestivamente stampata, a dar conto di quanto appena riconquistato, L’Ungheria compendiata (Venetia 1687) del conte Ercole Scala, trascorrente da Agria a Canissa, da Strigonia a Temesvar, soffermandosi di fronte al «famoso ponte di Essech». Invece non pubblicata una ponderata storia dell’Ungheria animata da un’impostazione antiasburgica del veneziano Gian Michele Bruto (1517-1592), scappato da Venezia nel 1555 per l’accusa di eresia; ritornato l’autore al cattolicesimo, si adopera a che resti inedita. Y Contigua all’Ungheria, la Transilvania (spiega il gentiluomo veronese Leonida Pindemonte a fine Cinquecento) «siede alla sinistra del Danubio in forma quasi d’anfiteatro». Veneto, nativo di Serravalle, Giorgio Tomasi: già segretario di Sigismondo Báthory e protonotario apostolico, autore dello scritto storico-genealogico La Battorea… nella quale si contengono l’origine della casa… l’historia delle attioni… de’ Battori… (Conegliano 1609) e della monografia Delle guerre et rivolgimenti… d’Ungaria e della Transilvania (Venetia 1621). Particolare attenzione dedica il pubblico storiografo veneziano e futuro doge Nicolò Contarini (1553-1631) a Michele il Bravo: ne ricostruisce la vicenda da vinattiere a Costantinopoli a «patrone della Transilvania, della Valacchia e Moldavia», consultando i dispacci dell’ambasciatore a Vienna e del bailo a Costantinopoli; e, quasi incarnazione dell’astuzia volpina e della forza leonina del principe 1-12-2010 3. I due sobborghi di Buda e di Pest un secolo dopo Mattia Corvino in un’incisione del 1617, Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana. The two suburbs of Buda and Pest a century after Matthias Corvinus in an etching of 1617, Venice, Biblioteca Nazionale Marciana. 11:41 Pagina 47 machiavelliano, l’energico processo d’unificazione tragicamente troncato dal proditorio assassinio, del 18 o 19 agosto 1601, ordito dal generale cesareo Giorgio Basta. Y Partendo da Venezia, il fiorentino Anton Maria Del Chiaro raggiunge nel 1710, per Sarajevo e Belgrado, la corte valacca di Costantino Brăncoveanu, promotore d’una ventata italianizzante tradotta in giardini, appunto, all’italiana ed edifici riecheggianti forme veneziane. Un po’ precettore, un po’ segretario alla corrispondenza, Del Chiaro è testimone angosciato dell’eliminazione, da parte della Porta, del voivoda e di quella di Stefano Cantacuzeno suo successore, nonché dell’imprigionamento, da parte degli imperiali, di Nicola Maurocordato. Occupata dai cesarei Bucarest il 25 novembre 1716, Del Chiaro preferisce andarsene portandosi a Vienna e da questa rientrando a Venezia. E qui, nel 1718, stampata la sua Istoria delle moderne rivoluzioni della Valacchia, che, oltre al racconto delle recenti vicende di quell’«infelice provincia» sino all’irruzione dei «tedeschi» (da sottolineare l’attualità dello scritto: esce nell’anno in cui, il 21 luglio a Passarowitz, viene registrata la spinta espansiva asburgica), presenta, primo in occidente, uno spaccato etnografico; fissati, nella percezione ambientale, «costumi, riti e religione degli abitanti». E, soprattutto, sottolineata la «gran correlazione colla lingua latina» della «valaca favella», evidenziata dal glossario; e segnalato l’uso dell’ausiliario avere «come noi italiani». Col che un implicito invito a riandare alla Dacia trianea. E l’Analecta lapidum vetustorum et nonnullarum in Dacia antiquitatum (Patavini 1593), dedicata «ad cancellarium summum» di Transilvania Wolfgang Kovacsóczy, autore questi d’una De laudibus… Stephani Batorei… voivodae Transilvaniae… oratio (Venetiis 1571), potrebbe a tal fine esser utile. Y E Bucarest (mai menzionata nei Diarii sanudiani; vale a dire che, allora, nel Cinquecento, per Palazzo Ducale era invisibile) con Del Chiaro assume un minimo di consistenza e parvenza. La corte è un «palazzo in pietra», con marmorea «scala maestra», un suggestivo giardino quadrato «disegnato secondo il buon gusto» italiano, una loggia. In muratura il «recinto»: un tratto di distinzione rispetto a tutte le altre dimore che s’accontentano di palificate di rovere. Bucarest è «di forma rotonda» con un circuito avvolgente rade abitazioni. Sui cinquemila gli abitanti; modestissimo il tenore di vita, salvo i pochi nobili e i forestieri agiati, presenti nelle loro dimore «cristalli» veneziani e/o boemi. Vanto della embrionale città il monastero fatto erigere i documenti 0020.saggi.qxd 47 come mutano i paesi negli atti della «metropoli dell’universo» 0020.saggi.qxd 1-12-2010 4. Gentile Bellini, Ritratto di Caterina Cornaro, eseguito verso il 1500, Budapest, Hungarian Szépművészeti Múzeum. Gentile Bellini, Portrait of Caterina Cornaro, painted around 1500, Budapest, Hungarian Szépművészeti Múzeum. 48 11:41 Pagina 48 dall’«arcivescovo di Valachia» Antim Ivireanul; indizio di civiltà l’avviamento d’una stamperia. Un po’ poco, a ogni modo (anche se sentori di città sono fiutabili nei due hani, sorta di chiostri cintati da mura, con «portici» lungo i quali s’allineano «botteghe fatte a volta»), perché il genio vagante dei viaggiatori per vocazione se ne incuriosisca; tanto che Il viaggiatore moderno… guida per chi viaggia… (Bassano 1794) Bucarest l’ignora, limitandosi a segnalare quale «metropoli», sede del voivoda, Targoviflte. Menzionata, in compenso, Sofia: metropoli della Bulgaria (rapportabile direttamente a Venezia nel Trecento, quando c’erano accordi commerciali facilitanti gli operatori veneti; e appurato, nel 1352, un «Marco Lionardo venitian consolo» a Varna), residenza del «beglierbey della Grecia… primo fra tutti» nella Turchia europea. Un tantino meno stringato su Sofia (talvolta nominata nei Diarii sanudiani se vi fa sosta il sultano, se vi si concentrano truppe) Lo stato presente di tutti i paesi… (in 9 volumi, Venetia 1734-1745), versione italiana della Modern history of the present state of all nations… (London 1731) di Thomas Salmon (1679-1767). Situata «sulle rive dell’Iskar», sulla via da Belgrado a Costantinopoli, in una pianura tra due monti, è «senza alcuna fortificazione». Turca dal 1396, in compenso abbonda di «parecchi bagni caldi». Vi giunge, da visitatore apostolico, il vescovo di Nona Pietro Cedolini, il 10 maggio 1581: centocinquanta circa i cattolici assistiti da due sacerdoti e con una cappella per il culto. Y Priva d’interesse Sofia per Venezia nel medioevo; il mare non la bagna. E priva d’interesse anche in età moderna. Per stimolare l’occhio di Palazzo Ducale occorre la Praga capitale imperiale, al posto di Vienna, quanto meno dal 1583 al 1612, quand’è imperatore Rodolfo ii (figg. 6, 7). Rapidi, sbrigativi su Praga in sé gli inviati marciani. Basta, per loro, registrare che è la principale città boema, dal circuito di «circa miglia sette», con il «ponte […] sopra il fiume Molta». Ma lo sguardo non la perlustra, concentrato nell’aspetto esteriore e nella psicologia d’un imperatore fuligginoso, caliginoso, tenebroso, bizzarro (fig. 8), instabile, umorale, sulfureo, psicolabile, maniaco depressivo, sospettoso, morboso, neghittoso, ciclotimico, imprevedibile, inaffidabile, saturnino, superstizioso, bigotto (ma anche tollerante), dalla curiosità onnivora, con una smania collezionistica insaziabile (figg. 9, 10), che s’impolvera sfogliando libracci misteriosi, che alambicca, distilla, guarda le stelle, traffica con la magia bianca e quella nera, convoca Keplero e Brahe, decora col cava- 1-12-2010 11:41 Pagina 49 i documenti 0020.saggi.qxd 49 come mutano i paesi negli atti della «metropoli dell’universo» 0020.saggi.qxd 50 1-12-2010 11:41 Pagina 50 lierato il pittore veneziano Giovanni Contarini (figg. 1, 11), si lascia camuffare da autunno da Arcimboldo (vedi p. 4), calamita un andirivieni d’astrologi, astronomi, maghi, pittori, scultori, ebanisti, orafi, pedanti, ciarlatani, loschi avventurieri, sfacciati questuanti, imbroglioni, ciurmatori, intellettuali inquieti, torrenziali chiacchieroni, bugiardi patentati, spacciatori di progetti inverosimili, escogitatori di mirabolanti fanfaluche, fantasiosi affabulatori. Sconcertati, allibiti, esterrefatti gli ambasciatori della Serenissima con siffatto sovrano in una corte che è tutta frastornata, sballottata, strattonata da un diluvio di notizie contraddittorie, d’avvisi e contravvisi, da un andar e venir di corrieri, agenti, spie, controspie, che è tutto un rimbombar del fragore delle armi del nemico che avanza, un continuo tremar per la minaccia del Turco. Con questo l’impero è in guerra. Ma come può battersi se (così un dispaccio del 13 febbraio 1596 dell’ambasciatore Tommaso Contarini) «Sua Maestà et li suoi stati sono esausti de denari»? Il diplomatico e il suo governo, peraltro, sanno bene che, per non irritare la Porta, la Serenissima è fermissima a non contribuire col benché minimo sostegno finanziario alla guerra turco-imperiale in corso; per cui a Rodolfo ii e ai suoi ministri non resta che sperare che «l’impeto» ottomano s’attardi lontano, in qualche modo trattenuto, magari si stanchi per conto proprio, inciampi su se stesso, faccia marcia indietro per timore dello scià di Persia Abbas. Y Bisogna attendere il Settecento inoltrato perché qualcuno, veneziano o veneto, dica qualcosa su Praga. Di certo non Casanova, troppo occupato di quel che ha mangiato, delle persone che ha incontrato, dell’albergo dove alloggia, delle donne disponibili, della sorte al gioco, per dilungarsi a descrivere quel che gli appare da un’eventuale camera con vista. Troppo preso di sé l’avventuriero, per dimenticarsi di sé, per guardare fuori di sé. Non così il veneziano Giovanni Benedetto Giovanelli che, a Praga nell’autunno del 1748, annota diligente essere la città tripartita (la «nuova» in piano, la «vecchia» in mezzo, la «piccola» su una «grande collina», abitata questa dal grosso della nobiltà, illustrata dalla cattedrale, dal palazzo arcivescovile, dal «regio castello», dalla residenza del governatore) e con il «bel ponte sopra la Moldau». Così a mo’ di guida turistica per un soggiorno d’una settimana. Praga è, indubbiamente, una bella città. Consigliabile andarci di proposito a constatarlo (fig. 12). Y Non così Danzica, città porto «governata assolutamente da 1-12-2010 5. Tiziano Vecellio, Il doge Andrea Gritti, Washington, National Gallery; il filius bastardus Alvise è nominato governatore d’Ungheria nel 1530. Titian, Doge Andrea Gritti, Washington, National Gallery; his filius bastardus Alvise was appointed governor of Hungary in 1530. 11:41 Pagina 51 sé» del più grande Mediterraneo creato dal respiro d’un’economia mondo che, virtualmente globale, fa arrivare quello nel Baltico e viceversa. Anche senza andarci, Danzica la si percepisce. Così capita nel 1610 all’ambasciatore in Olanda Tommaso Contarini nel constatare quanto Amsterdam si rifornisca di “grani” da quella, «conducendosene da 30-40 vasselli per volta». Questi (ripete nel 1618 Antonio Donà che, rappresentante della Serenissima a Londra, transita per l’Olanda) «vanno in Dancica per formenti», grano, segale, cereali. E sull’acquisto di granaglie conta pure Venezia, che, a tal fine, vi invia nel 1590 il segretario Marco Ottobon. Piazza ben più conveniente Danzica che non Königsberg o Elbing, conferma, «a causa della maggior sicurezza delle persone con cui si tratta, più ricche e meno barbare che altrove». Città d’almeno 200 mila abitanti, in gran parte tedeschi (ma non mancano i francesi e gli italiani, specie veneti), parecchi dei quali sin «ricchissimi», per via del «comodo e frequentatissimo mercato», i «grandissimi», incessanti «traffichi» specie di «formenti e biade». Da un lato, nel 1593, vi sorge la borsa, «luogo ove si raccolgono i mercatanti», gli operatori dell’import-export; dall’altro, professando costoro fedi diverse, registrata la compresenza di queste dalla ventina di chiese in tutto, cattoliche, luterane, calviniste. Una reciproca tolleranza, che mantiene le sinergie e le interazioni d’un’economia dinamicamente attiva, d’una portualità intensificata. Una libertas d’ascoltare la propria coscienza di cui approfitta il nobile napoletano Giovanni Bernardino Bonifacio (1517-1597), esule da decenni per motivi religiosi, per trascorrere a Danzica (cui, donando nel 1591 i propri quasi 1.200 volumi fornisce la base costitutiva della biblioteca civica aperta nel 1596) gli ultimi suoi anni. Ma, prima di i documenti 0020.saggi.qxd 51 come mutano i paesi negli atti della «metropoli dell’universo» 0020.saggi.qxd 1-12-2010 6. Albrecht Dürer, Festa del Rosario, 1506, Praga, Národní Galerie; già a Venezia, chiesa di San Bartolomeo, è acquistata nel 1606 da Rodolfo ii per 900 ducati. Albrecht Dürer, Festival of the Rosary, 1506, Prague, Národní Galerie; formerly in Venice, church of San Bartolomeo, it was bought in 1601 by Rudolph ii for 900 ducats. 52 11:41 Pagina 52 riparare a Danzica, Bonifacio, denunciato nel 1559 all’inquisizione di Venezia, s’era trasferito a Cracovia nel 1561. Ossia nell’allora capitale del regno di Polonia, una fiorente rigogliosa città (fig. 13), al centro di un bacino minerario, nell’incrocio di grandi vie commerciali, con lo splendido castello di Wawell, il mercato dei tessuti il cui attico è attribuito a Giovanni Maria Mosca. Noto anche come Zuan Padovan, attivo, soprattutto come scultore medaglista, anche alla corte polacca di Sigismondo i, a Cracovia, Bonifacio vi muore il 29 gennaio 1574, dopo trentacinque anni di permanenza, operoso sino alla fine: i documenti lo dicono «lapicida», «murator», «lapidum sculptor», «lapicida regio», «italus lapicida», «sculptor». Influenze artistiche dal Veneto su Cracovia nel Cinquecento. E anche, in quel secolo, un intermittente collegamento postale Venezia-Cracovia: sui dieci giorni i tempi di percorrenza previsti per i corrieri. E nel Seicento, i mercanti fanno la spola tra le due città, come richiedono gli affari, pur di far affari. Y Non è il caso di quanti, non pochi, arrivano a Cracovia (fig. 14), specie da metà Cinquecento per almeno un trentennio, ma scoraggia l’editto d’espulsione degli eretici promulgato a Parczow il 7 agosto 1564, per fuggire dalle grinfie inquisitoriali, adunche e prensili anche a Venezia e dintorni; questi, dal fare la spola si guardano bene. Sventurato invece il francescano bellunese Giulio Maresio (1522-1567) che, accostatosi a Cracovia al calvinismo, tornato a Belluno e denunciato, è poi decapitato a Roma. Per i dissidenti religiosi, intollerante e repressiva anche la vera immagine di perfetta repubblica quale Venezia si proclama. Né brilla per tolleranza la Ginevra di Calvino. A Cracovia i perseguitati, i raminghi, i fuggiaschi hanno modo di sistemarsi, credere non cattolicamente, anche non combaciare con l’irrigidirsi del calvinismo, perfino rettificare il proprio credo. Ci capita 1-12-2010 11:41 Pagina 53 Nicolò Paruta, patrizio lagunare passato alla Riforma, ma non a proprio agio a Ginevra, che finisce per mettere casa definitiva ad Austerlitz. Medico di Stefano Bathory, il filoanabattista padovano Nicolò Buccella (autore d’una sdegnata Refutatio…, Cracovice 1588, in cui respinge l’accusa che quello sia morto repentinamente, il 12 dicembre 1586, per sua incompetenza professionale) muore a Cracovia nel 1599, avendo nel frattempo stinto il proprio anabattismo nell’approdo semplificato a una lettura della Bibbia «secondo […] coscienza», avviata un’attività imprenditoriale con cui organizza trasporti di sale, presta a interesse, progetta l’impianto d’una cartiera in Livonia, per aiutarlo nella quale chiama parenti e amici da Padova. Ed è un suo nipote quel Filippo Buccella, anch’egli imprenditore inventivo, che spiritualmente pare legarsi ad ambienti antitrinitari. In Italia, anche a Venezia, le pratiche nicodemiche nell’incubo d’una delazione magari d’un familiare, i sospetti dell’inquisizione, il carcere, la tortura, la morte o, peggio, l’umiliazione dell’abiura, la perdita del rispetto di sé (specie quando l’abiura è accompagnata da delazioni), l’angoscia d’attendere piombi addosso, l’accusa di relapso. E in tal caso, la morte più atroce. A Cracovia, a Cracovia! Gonfio di rabbia il veneziano Giovan Francesco Commendone (1524-1584), nunzio pontificio in Polonia, perché nel 1563, a Cracovia, constata la presenza d’eretici d’ogni risma: è fautore di una linea fluviale sul Dniester e, in alternativa all’inoltro a Danzica, trasporta grano polacco al Mar Nero e prosegue per Venezia, ma trova zwingliani, luterani, calvinisti, anabattisti, antitrinitari, anticattolici, eterodossi. Magari, nel far propaganda, nel proselitismo, nel degenerare delle discussioni, si scontrano, si dividono. Però sembrano quasi concordi nel vagheggiare un’Italia che, «ripiena di infiniti» finti cattolici, di falsi “papisti” costretti a simulare «per timor del castigo», è lì lì per esplodere, per insorgere in nome del Vangelo liberato, della verità ridata ai credenti. Forse, sull’onda di siffatta rifondazione rivoluzionaria, di siffatta risemantizzazione etica, qualcuno spera di tornare. Ma, intanto, a Cracovia è possibile respirare nelle proprie credenze e campare lavorando. Y Il bergamasco Giuseppe Milesi fa lo spadaio; il veneziano Antonio Destesi fabbrica maioliche; geometra alla corte, il veneto Pietro Franco abbraccia il calvinismo. E se la sua anima lievita con la libera lettura della Bibbia tradotta da Brucioli, al suo improvvisarsi estrattore di sale non arride il successo. Sicché sup- i documenti 0020.saggi.qxd 53 come mutano i paesi negli atti della «metropoli dell’universo» 0020.saggi.qxd 1-12-2010 7. Albrecht Dürer, Jakob Fugger il vecchio, Augusta, Staatsgalerie; i Fugger, banchieri, erano i più doviziosi occupanti del Fondaco dei Tedeschi, a Rialto, e tra i committenti della Festa del Rosario. Albrecht Dürer, Jakob Fugger I, Augusta, Staatsgalerie; the Fugger, bankers, were the wealthiest occupants of the Fondaco dei Tedeschi, at Rialto, and among the commissioners of Festival of the Rosary. 54 11:41 Pagina 54 plica l’intervento soccorrevole del cancelliere ed etmano Jan Zamoyski (1542-1605). A lui, politico e umanista, offre i servigi Buonaiuto Lorini, inviando il 15 dicembre 1597 da Venezia una copia appena pubblicata del proprio trattato Delle fortificazioni… Arruolato dal medesimo il padovano Bernardo Morando, che nel 1600 morrà in Polonia; distintosi con significativi interventi a Varsavia, e nell’erezione di Zamosc, la piccola Padova (vedi p. 7), sede dell’accademia dei rampolli nobiliari (docente d’Anatomia e chirurgia vi è Giovanni Leoniceno, nato a Este), armonioso gioiello architettonico e urbanistico, replica orientale della città dove il committente ha studiato e nel 1563 è eletto rettore dell’Universitas iuristarum. Realizzazione conclusa in un ventennio e avviata nel 1579. Mentre Zamosc è prossima all’ultimazione, nel 1598 inizia per volontà di Sigismondo iii Waza, di cui è archiatra il veneziano Giovan Battista Gemma (1555-1608), il trasferimento della capitale a Varsavia, la cui posizione è geograficamente centrale; l’operazione può dirsi conclusa nel 1611. Y Ovviamente Cracovia ci rimette in immagine, luminosità, prestigio. Le resta, tuttavia, il principale mercato di drappi del regno; sempre vivace la comunità mercantile italiana (e non mancano in questa i veneziani e i veneti); e qualcuno ottiene la cittadinanza: v’arriva, nel 1688, carico di debiti da Venezia, tal Giovan Battista Morettini, che a Cracovia, ove morrà nel 1724, si riprende. Intanto, la diplomazia da Palazzo Ducale fa capo a Varsavia. Aggredita dal Turco a Candia, la Repubblica preme per una offensiva polacca che alleggerisca l’impari conflitto. Ma vane le insistenze in tal senso. Scoppia nel 1648 la rivolta cosacca capeggiata da Bohdan Chmielnicki. A tentare d’indurre anche questi a volgere le armi contro il Turco arriva, agente della Repubblica nel 1650, ancorché senza veste ufficiale, il prete bellunese Michele Bianchi (1603-1667), che nel 1655 contatterà, sempre per conto di Venezia, pure lo zar; e di queste sue missioni cariche di disagi e rischi sarà rimeritato con l’arcipretato nella verde tranquillità di Pieve d’Alpago. Informati e informanti il governo veneto l’ambasciatore a Varsavia Giovanni Tiepolo; quello straordinario Andrea Contarini; il segretario Girolamo Cavazza tra il 1645 e il 1652. E informatore sui cosacchi ribelli pure il prete Bianchi. Ma l’informazione è potere? Almeno in questo caso no. Venezia non ottiene che il regno polacco, tacitata in qualche modo la ribellione interna, pensi a darle, attaccando per conto proprio, concreto aiuto nella guerra che fronteg- 1-12-2010 11:41 Pagina 55 gia. In compenso l’informazione è suscettibile di tradursi in storiografia, d’esporre come le cose sono andate. E, in effetti, con l’Historia delle guerre civili di Polonia (Venetia 1671) di Michele Bianchi, si sa quel che è successo in Polonia dal 1648 al 1651. Y Di lì a qualche decennio Venezia è di nuovo aggredita dal Turco. A Varsavia l’8 aprile 1715 l’ambasciatore straordinario Daniele Dolfin prova a convincere il re Augusto ii di Sassonia a una mossa contro la Mezzaluna. Ma la pretesa è fuori luogo. È «assai più facile accordare l’acqua e il fuoco che i polacchi e i sassoni». Inutile che Dolfin si affanni a persuadere nobili locali, ministri e cortigiani al seguito del re, e dal re favoriti, a mobilitarsi contro il Turco. Ospitato con tutti i riguardi dal ministro Jacob Heinrich Fleming, commensale ingozzato con i migliori bocconi e irrorato con i vini più prelibati in pantagruelici banchetti: non per questo si bada a quel che dice. Suo malgrado, è «spettator otioso» d’un’impotenza regia tremebonda con Carlo xii di Svezia, senza autorità con la nobiltà indigena, mentre sul distruttivo «fuoco» delle discordie interne soffia Pietro i il Grande. Amarissimo, per Dolfin, il calice quotidiano d’un fallimento al rallentatore. Un tormentoso rodio la sensazione di «sciupare la vita» lontano da Venezia, in un «angolo remoto della terra», abbandonato dalla civiltà; la sperimentazione quotidiana dello sfascio d’un paese «in rovina»; l’assistere al collassare d’un sistema «misto confuso di monarchia et aristocrazia». Per fortuna Eugenio di Savoia i documenti 0020.saggi.qxd 55 come mutano i paesi negli atti della «metropoli dell’universo» 0020.saggi.qxd 56 1-12-2010 11:41 Pagina 56 stravince, il 5 agosto 1716, a Petrovaradin. Superfluo, ormai, l’attivarsi della Polonia. A fine agosto, con sollievo, Dolfin si congeda da Augusto ii, il re con in testa una «corona di spine». Y E poi? Se si salta al 1764, ecco, viaggiatore «solo per diporto», Casanova, ancorché senza «passaporto», che pretende di passare da Riga (fig. 15) a Pietroburgo; «la mia Repubblica – replica a chi glielo rimprovera – non è in guerra con nessuna potenza»; grosso modo dice che Venezia non dà fastidio a nessuno, è talmente innocua da garantire pure l’innocuità di Casanova. In effetti, l’argomentare è persuasivo. Tanto che, anziché rimandarlo indietro, il «governatore di Narva» gli concede una sorta di lasciapassare. Sempre nel 1764, eletto re di Polonia Stanislao Augusto Poniatowski, intronizzato in uno stato dependance, sotto tutela. In compenso Varsavia, già murata nella descrizione d’Alessandro Guagnino, veronese cui nel 1579 era andato a male il tentativo di metter su una compagnia commerciale veneto-polacca, anzi circondata «di doppio muro e fossa», con forte e castello, «magnifico ponte» ligneo sulla Vistola, s’è sviluppata, ingrandita. Le ventiquattro Vedute di Bernardo Bellotto (17201780), che, pittore di corte dal 1768, vi resta sino alla fine dei suoi giorni, ne sono veritiera testimonianza (fig. 16). Grosso modo, è nella Varsavia fissata dal pennello dell’artista veneziano (vedi pp. 8 e 30) che Casanova nel 1765-1766 soggiorna con l’additivo emozionante, rispetto alle sue abitudini (tavola, gioco, conversazione, donne, ma su questo versante non granché), d’un clamoroso duello. Nitido, nella sua memoria, quel soggiorno, al pari di tanti altri circostanziato. Ma nell’Histoire de ma vie, un paio di volte, a proposito della Polonia, di cui racconta anche nell’Istoria delle turbolenze della Polonia (Gorizia 1774), l’inciso precisa che «oggi la Polonia non esiste neanche più». Di per sé, avesse protratta la stesura delle sue memorie sin a ridosso della morte a Dux (odierna Duchcov, nella Repubblica Ceca), il 4 giugno 1798, una siffatta lugubre precisazione avrebbe potuto applicarla anche a Venezia. 1-12-2010 11:41 Pagina 57 how countries change in the deeds of the 'universal metropolis' east of vienna: diplomats and lots of intrigue, markets and beef Gino Benzoni Y Foreign correspondents are the ‘eyes’ of the state, they are the first to notice the ‘dark spots’ on the horizon, notes the Polish diplomat Cristoforo Warszewicki (1543-1603) in a treatise of 1595, De legato (Krakow 1595 and Gdansk 1646). He is presumably thinking of those of Venice, if not only because Venice was central to his mental landscape in which the ‘similarity’ that could be established between the Polish Kingdom and the Venetian Republic was still valid in his country; he is quite convinced of this in his Oratio ad Rempublicam habita 4 martii… 1602 (Venetiis 1602). They know the country that hosts them better than the inhabitants themselves, confirms Scipione Ammirato, again at the end of the sixteenth century. Stephan Gerlach, in the entourage of David Ungnad, the imperial ambassador to Constantinople in 1573-79, had already noted that the Venetians are the real ‘eyes of the world’, thus recognising that they had an additional capacity for all-round information. The result of a general observation, summing up the partial views of the ambassadors in European capitals and the bailo to the sultan, allowed the Doge’s Palace to contemplate the ‘theatro del mondo’, ‘to see the fires of others’, and thus ‘to know at the cost of others’, what ‘befits’ Venice to ‘properly govern itself’, as Simone Contarini happily theorises in 1608, on his return from the post of bailo in Constantinople. It was also a forecast of foreign policy, shrewd sailing through changing trends and calculation of what was evidently about to take place. It was in such refinement that a political class sank its roots in the long middle age in which it had navigated marketing, marketed navigating, always concerned in its assiduous dealings with news on the ‘condition of the goods’, on the relative prices, always ready to place itself in the most lucrative spaces of the economic dynamics. Y Although decidedly whittled down in a world enormously extended by discoveries, its relative weight definitively downsized, Venice persisted in calling itself the ‘metropolis of the universe’ the documents 0020.saggi.qxd 57 how countries change in the deeds of the 'universal metropolis' 0020.saggi.qxd 1-12-2010 8. Paulus Franck, detto Paolo Fiammingo, Nascita di Atena dal capo di Zeus, Praga, collezioni del Castello; l’artista (Anversa 1540 circa-Venezia 1596) lavora per i Fugger e per Rodolfo ii. Paulus Franck, called Paolo Fiammingo, Birth of Athena from the Head of Zeus, Prague, Castle collections; the artist (Antwerp c. 1540-Venice 1596) worked for the Fugger and for Rudolph ii. 58 11:41 Pagina 58 in the sixteenth century, distending the mediocritas to aurea mediocritas in order to compensate. Even if its ships did not ply the oceans, even if it was not part of the plundering rush to the New World, in a certain way it made up for this absence by the peremptory sign of a geographical and cartographic understanding superior to that of the discoverers and conquistadors themselves. The planisphere that represented the first printed European map to include the Antilles and South America, in 1506, was Venetian. The rapid updating of the prints and reprints of the Ptolemaic Geografia and its illustrations, in hot pursuit of the appearance of a globe that had all of a sudden been hugely expanded, was also Venetian. Y And, although the European continent did not discover it, a vast area - which did not escape Ramusio’s Navigationi et viaggi – was watched over by Venice from the Doge’s Palace and by its diplomats and merchants, as those who had fled the city for religious reasons were also able to learn first hand. ‘Among the kingdoms of the beautiful world’, exclaimed the Venetian secretary Vincenzo Guidotto on his return from Hungary in 1525. Venice was in 1-12-2010 11:41 Pagina 59 contact with Matthias Corvinus (1440-1490, fig. 2), admired for his palace and his library. ‘Notarius missus in Hungariam’ in 1361 Bartolomeo Ursio. And, much earlier, Gerard, the former abbot of the Benedictine monastery of San Giorgio in Isola, and martyr and saint from 1083, founded another monastery in Hungary on the banks of the Maros, and then became ‘episcopus’ of Csanád in 1030. He died in 1046, by drowning in the Danube, into which he had been pushed by a group of pagans. But how did the saint come to be in these parts? The Venice-Buda route must in any case have been fairly well-trod if Bernardo Giustinian (1405-89), the fifteenth-century Venetian historian, takes the trouble to point it out. It was from Hungary that Venice supplied itself with beef, which was imported by Venetian merchants who settled in Buda for this purpose at the end of the fifteenth and early sixteenth centuries (fig. 3). The numerous acquaintances of Casanova (1725-98) surely did not include Pier Antonio Capretta, importer of Hungarian livestock by ‘appointment’ to the Venetian government. Or at least the adventurer does not comment on the quality of his meat. However, he has clear opinions on ‘Hungarian wine’: it is robust, generous; and if you drink too much of it you can no longer stay on your feet. However, Casanova never went to Buda in his busy travels. It was not a city that attracted him. But it is known that it had five urban centres when it was still in Turkish hands: ‘the castle or fortress’; ‘the upper city’; ‘the long’ and ‘upper village’; ‘the city of the Jews’; ‘the city of water’. The ‘hot or thermal baths’ are noteworthy, adds the printer Girolamo Albrizzi in L’origine del Danubio (Venetia 1684-85). Y It was certainly taken for granted that sooner or later the Turks would arrive. The 72 ‘districts’ of Matthias’s kingdom were reduced to 55, as Alvise Bon pointed out on his return to Venice in 1519 (fig. 4). The councillor Giorgio Szakmany, who was also a bishop, and who ‘willingly got drunk’ like the other courtiers, virtually ruled. Having to deal with ministers only in the mornings was disconcerting for the Venetian ambassadors, who were used to a senate that normally met before and after ‘disnà’. Excessive as they were in dining, they then needed at least ‘four hours’ sleep ‘after disnar’ to digest the excessive amounts of food and drink taken. Which certainly did not help the minor Louis (1506-1526), son of Ladislav ii Jagiello, to rule prudently. The boy (as noted by the ‘orator’ in Hungary, Lorenzo Orio, on his the documents 0020.saggi.qxd 59 how countries change in the deeds of the 'universal metropolis' 0020.saggi.qxd 60 1-12-2010 11:41 Pagina 60 return from a ‘legation’ of 55 months on 22 December 1523) ‘lives like an animal’ and ‘leaves governance’ to the councillors, to the point of being a slave to their suggestions. ‘He understands nothing of the affairs of state’. John Zapolya, however, the last Hungarian national king, had real political stature. It was he who, on 24 April 1535, conferred the title of knight on the painter Giovanni Antonio Pordenone and his descendants, at the request of the Pordenone protonotary Girolamo Rorario, apostolic nuncio to the court of Hungary. The artist was thus contented, but so was the now diminished king, who felt a little authoritative. He had previously managed to settle himself in Buda, allying himself with the sultan. On 26 December 1530 he had nominated Alvise Gritti (1480-1534) ‘gubernator regni Hungariae’ here. Gritti was the ‘filius bastardus’ of the then doge Andrea Gritti (fig. 5), who had become extremely rich and influential in Constantinople, where he had been born and preferred to return. Depriving Zapolya of power, he aimed at the complete integration of Buda into the Ottoman system, furthermore chancing the establishment of a personal kingdom in 1533. Venice was grateful to him for sending large quantities of grain, but not to the point of compromising relations with the empire to support his personal ambitions. So the ambition of ‘making himself king’, without support, foundered. And it was one of his own men who killed him on 29 September 1534. Y Venetian diplomats no longer went to Hungary. But their ‘eye’ was replaced by historiographic attention, as is evident from the titles published in Venice. These ranged from the anonymous Historia di Zighet ispugnata da Soliman… l’anno 1556 (Venetia 1570) to L’Ungheria spiegata… ove si leggono tutte le cose successe dal 373 d.C. al 1595 (Venetia 1595) by the polygraph Giovanni Nicolò Doglioni; Le campagne d’Ungheria de gl’anni 1663 e 1664 (Venetia 1665) by Girolamo Brusoni of Palese; and the Idea generale del regno d’Ungheria (Venetia 1684) by the French born Benedictine, Casimir Freschot. Their siege of Vienna in 1683 having failed, the Ottomans fearfully withdrew. Buda was retaken in 1686. And an account of what had just been reconquered was quickly printed, L’Ungheria compendiata (Venetia 1687) by Count Ercole Scala, passing from Agria to Canissa, from Esztergom to Timisoara, and dwelling on the front at the ‘famous bridge of Essech’. A careful history of Hungary with an anti-Habsburg theme by the Venetian Gian Michele Bruto (1517-92), however, was not printed. He fled Venice in 1-12-2010 9. Antonio Balestra, L’educazione di Amore, Mĕlnik, castello, Collezione Mĕlnik Lobkowicz. Antonio Balestra, The Education of Cupid, Mĕlnik, castle, Mĕlnik Lobkowicz Collection. 11:41 Pagina 61 1555 accused of heresy; the author having returned to Catholicism, he worked to ensure it remained unpublished. Y Bordering Hungary, Transylvania (explains the Veronese gentleman Leonida Pindemonte at the end of the sixteenth century) ‘lies to the left of the Danube almost in the form of an amphitheatre’. Giorgio Tomasi, a native of Serravalle in the Veneto, was former secretary to Sigismondo Báthory and apostolic pronotary. He wrote the historical-genealogical La Battorea… nella quale si contengono l’origine della casa… l’historia delle attioni… de’ Battori… (Conegliano 1609) and the monograph Delle guerre et rivolgimenti… d’Ungaria e della Transilvania (Venetia 1621). The Venetian public historian and future doge Nicolò Contarini (1553-1631) devoted considerable attention to Michele il Bravo: he reconstructed his story, from wine merchant in Constantinople to ‘patrone of Transylvania, Valacchia and Moldavia’, by consulting the despatches of the ambassador to Vienna and the bailo in Constantinople; and, almost the incarnation of the foxy cunning and leonine strength of the Machiavellian prince, the resolute process of unification tragically cut short by his treacherous murder, on 18 or 19 August 1601, ordered by the imperial general Giorgio Basta. Y Leaving from Venice, the Florentine Anton Maria Del Chiaro reached the Walachian court of Costantino Brăncoveanu in 1710, via Sarajevo and Belgrade. The latter promoted a surge of Italianisation that was translated into Italian gardens and buildings mimicking Venetian styles. Del Chiaro, part tutor and part correspondence secretary, was the distraught witness to the elimination by the sultan of the voivode and of Stefano Cantacuzeno, his successor, along with the imprisonment by the imperials of Nicola Maurocordato. Bucharest having been occupied by the imperials on 25 November 1716, Del Chiaro preferred to leave, going first to Vienna and then on to Venice. And here, in 1718, he published his Istoria delle moderne rivoluzioni della Valacchia. Apart from his account of the recent events of that ‘unhappy the documents 0020.saggi.qxd 61 how countries change in the deeds of the 'universal metropolis' 0020.saggi.qxd 62 1-12-2010 11:41 Pagina 62 1-12-2010 10. Johann Carl Loth, La cacciata di Adamo ed Eva dal Paradiso, Jindřichùv Hradec, Castello, già nella Collezione dei conti Czernin, acquistato a Venezia nel 1663. Johann Carl Loth, The Expulsion, Jindřichùv Hradec, Castle, formerly in the collection of the Czernin counts, purchased in Venice in 1663. 11:41 Pagina 63 province’ up to the invasion of the ‘Germans’ (the topicality of the writing must be noted: it came out in the year when the Habsburg’s expansive thrust took place, on 21 July at Passarowitz), he presents the first ethnographic cross section in the West, fixing the ‘customs, rites and religions of the inhabitants’ in the perception of the area. And, above all, he emphasises the ‘great correlation’ of the ‘Walachian tongue’ ‘to the Latin language’, highlighted by the glossary; and he notes the use of the auxiliary ‘to have’ ‘like we Italians’; thus making an implicit entreaty to go back to the Dacia of Trajan. And the Analecta lapidum vetustorum et nonnullarum in Dacia antiquitatum (Patavini 1593), dedicated ‘ad cancellarium summum’ of Transylvania, Wolfgang Kovacsóczy, author of a De laudibus… Stephani Batorei… voivodae Transilvaniae… oratio (Venetiis 1571), could have been useful for such purposes. Y Bucharest (never mentioned in Sanudo’s Diarii; which thus means that in the sixteenth century it was invisible to the Doge’s Palace) takes on a minimum of consistency and appearance with Del Chiaro. The court is a ‘stone palace’ with marble ‘main staircase’, an appealing square garden ‘designed according to good [Italian] taste’, and a loggia. The ‘wall’ is in masonry: a mark of distinction compared to all the other houses that were simply fenced with oak. Bucharest is ‘of circular shape’, with a circuit enclosing sparse houses. About 5000 inhabitants; a very simple lifestyle, apart from a few nobles and comfortable foreigners, with Venetian and/or Bohemian ‘crystal’ in their homes. He boasts of the monastery in the embryonic city, built by the ‘archbishop of Walachia’ Antim Ivireanul; and the opening of a printing works as a sign of civilisation. A little too little, in any case (even if traces of city can be found in the two ‘hani’, a kind of masonry walled chapel with ‘porticoes’ along which there is a row of ‘vaulted shops’), for the traveller’s travelling expert par excellence to be curious about it; such that Il viaggiatore moderno… guida per chi viaggia… (Bassano 1794) ignores Bucharest, restricting itself to noting Targoviflte, the seat of the voivode, as a ‘metropolis’. Sofia, on the other hand, is mentioned: Bulgarian city (directly related to Venice in the fourteenth century, when there were trade agreements benefiting Venetian traders; with confirmation of a ‘Marco Lionardo venitian consolo’ in Varna in 1352), residence of the ‘beglierbey of Greece… foremost’ in European Turkey. Lo stato presente di tutti i paesi… (in nine volumes, Venetia 1734-45), the Italian version of the Modern history of the present state of the documents 0020.saggi.qxd 63 how countries change in the deeds of the 'universal metropolis' 0020.saggi.qxd 64 1-12-2010 11:41 Pagina 64 all nations… (London 1731) by Thomas Salmon (1679-1767), is a little less concise on Sofia (at times nominated in Sanudo’s Diarii: the sultan stops there, troops are concentrated there). It is situated ‘on the banks of the Iskar’, on the road from Belgrade to Constantinople, on a plain between two mountains and ‘without any fortification’. Turkish from 1396, on the other hand it is rich in ‘numerous hot baths’. The bishop of Nona Pietro Cedolini went there as an apostolic visitor on 10 May 1581: about 150 Catholics served by two priests and with a chapel for worship. Y Sofia was of no interest to Venice in the middle ages; it is untouched by the sea. And it remained without interest in the modern age, too. Only when Vienna was replaced as imperial capital by Prague was the eye of the Doge’s Palace attracted, at least from 1583 to 1612, when Rudolph ii was emperor (figs. 6, 7). The Venetian envoys were quick and businesslike on Prague. It was sufficient for them to note that it was the main city of Bohemia, with a circuit of ‘about seven miles’, with the ‘bridge... over the river Moldau’. But the look goes no further, concentrating only on the external appearance and psychology of the emperor, who is smutty, sombre, gloomy, bizarre (fig. 8), unstable, amoral, sulphurous, psychologically unstable, manic depressive, suspicious, morbid, slothful, cyclothymic, unpredictable, unreliable, gloomy, superstitious, prejudiced (but also tolerant), of an omnivorous curiosity, with an insatiable desire for collecting (figs. 9, 10), who gets himself dusty leafing through mysterious tomes, who distils, he looks at the stars, dabbles in white magic, in black magic, summons Kepler and Brahe, decorates the Venetian painter Giovanni Contarini (figs. 1, 11) with a knighthood, lets himself be tricked out as autumn by Arcimboldi (see p. 4), attracts a coming and going of astrologers, astronomers, magicians, painters, sculptors, wood carvers, jewellers, pedants, charlatans, shady adventurers, cheeky beggars, swindlers, tricksters, restless intellectuals, torrential chatterboxes, patent liars, vendors of unlikely projects, excogitators of astonishing fictions, imaginative storytellers. The ambassadors of the Serenissima were disconcerted, dismayed and dumbfounded by such a sovereign in a court that was entirely muddled, pushed and pulled by a flood of contradictory news, advice and counter advice, by a coming and going of couriers, agents, spies, counter spies, that was all a roar of the advancing enemy’s arms, a constant trembling before the threat of the Turk. With this the empire was at 1-12-2010 11. Giovanni Contarini, Autoritratto, Firenze, Galleria degli Uffizi. Giovanni Contarini, Selfportrait, Florence, Galleria degli Uffizi. 11:41 Pagina 65 war. But how could one fight if (as a despatch of 13 February 1596 from the ambassador Tommaso Contarini noted) ‘His Majesty and his states are without money?’. The diplomat and his government, moreover, knew quite well that, in order not to annoy the sultan, Venice was absolutely set on not contributing even a minimum amount of financial aid to the TurkishImperial war under way; so there was nothing for Rudolph ii and his ministers to do than to hope that the Ottoman ‘impetus’ lingered far off, was in some way held back, perhaps tiring of its own accord, tripping over itself, turning back in fear of Abbas, the Shah of Persia. Y It was necessary to wait until the mideighteenth century before anyone, Venetian or Veneto, said anything about Prague. Certainly not Casanova, who was too concerned with what he had eaten, the people he had met, the hotel he stayed in, the available women and his luck at gambling to dwell on describing that which appeared from a possible room with a view. The adventurer was too self absorbed to be able to forget himself and look beyond himself. Such was not the case with the Venetian Giovanni Benedetto Giovanelli, who, in Prague in Autumn 1748, diligently noted that the city was in three sections (the ‘new’ part on the plain, the ‘old’ in the middle and the ‘small’ part on a ‘big hill’, the latter inhabited by most of the nobility, honoured by the cathedral, the archbishop’s palace, the ‘royal castle’ and the governor’s residence) and with the ‘beautiful bridge over the Moldau’. So a kind of tourist guide for a week’s stay. Prague was, undoubtedly, a fine city. It was thus recommended that one went there to learn this (fig. 12). Y Not so Gdansk, an ‘entirely self-governed’ port city, which brought the larger Mediterranean created by the breadth of a virtually global world economy to the Baltic and vice versa. Gdansk was perceived even without actually going there. Indeed, in 1610 Tommaso Contarini, the ambassador in Holland, noted the extent to which Amsterdam supplied itself with ‘grain’ from there, the documents 0020.saggi.qxd 65 how countries change in the deeds of the 'universal metropolis' 0020.saggi.qxd 66 1-12-2010 11:41 Pagina 66 ‘bringing in from 30-40 ships at a time’. These ‘go to Gdansk for wheat’, grain, rye and cereals (repeats Antonio Donà in 1618, Venice’s representative in London, travelling through Holland). Venice also counted on it for the purchase of cereals, to this end sending the secretary Marco Ottobon there in 1590. Gdansk was a much more favourable market than Konigsberg or Elbing, he confirms, ‘due to the greater security of the people you deal with, richer and less barbarous than elsewhere’. A city of at least 200,000 inhabitants, mainly German (but there were also French and Italians, especially Venetians), many of whom were ‘very wealthy’ thanks to the ‘favourable and very busy market’, the ‘enormous’ incessant ‘trade’, especially in ‘wheat and fodder’. On one hand, the stock exchange opened in 1593, ‘a place where merchants gather’, the import-export operators; on the other, they professed different faiths, as the presence of about twenty churches in all is noted, Catholic, Lutheran and Calvinist. Such reciprocal tolerance maintained the synergies and interactions of a dynamically active economy, with intensified port traffic. Such libertas to attend to one’s own conscience was made the most of by the Neapolitan Giovanni Bernardino Bonifacio (1517-1597), an exile of decades for religious reasons, who spent his last years in Gdansk (to which he provided the constituent foundation of the civil library opened in 1596 by donating his almost 1200 books in 1591). But before going to Gdansk, Bonifacio, reported to the Venetian inquisition in 1559, had moved to Krakow in 1561 (fig. 13). This was the capital of the kingdom of Poland at the time, a flourishing, exuber- 1-12-2010 12. Giovanni Battista Pittoni, Il sacrificio di Polissena, Praga, Národni Galerie, già dei conti Thun. Giovanni Battista Pittoni, The Sacrifice of Polyxena, Prague, Národni Galerie, formerly of the Thun counts. 11:41 Pagina 67 ant city at the centre of a mining basin, the crossroads of major trade routes, with the splendid castle of Wawell and the textile market whose attic is attributed to Giovanni Maria Mosca. Known also as Zuan Padovan, he also worked in the Polish court of Sigismund i in Krakow, mainly as a medal sculptor. Bonifacio died there on 29 January 1574, after a stay of 35 years, busy to the end: the documents call him a ‘lapicide’, ‘mason’, stone sculptor’, ‘royal lapicide’, ‘Italian lapicide, ‘sculptor’. So there were artistic influences from the Veneto in sixteenth-century Krakow; and also, in that century, an intermittent regular Venice-Krakow postal connection: about ten days journey for the couriers. And in the seventeenth century, merchants shuttled between the two cities, as business demands, business at all costs. Y It did not concern many who arrived in Krakow (fig. 14), but the edict to expel heretics promulgated in Parczow on 7 August 1564 was discouraging for not a few, for at least thirty years. They kept an open eye when moving between cities in order to escape the prehensile, aquiline clutches of the Inquisition, also in Venice and its surrounds. The Belluno Franciscan Giulio Maresio (1522-67) was unfortunate. He had moved towards Calvinism in Krakow and on his return to Belluno was reported, and beheaded in Rome. The real image of a perfect republic that Venice proclaimed itself to be was also intolerant and repressive to religious dissidents. Calvin’s Geneva didn’t exactly shine for tolerance, either. In Krakow the persecuted, the wanderers, the escapers were able to establish themselves, to have non-Catholic beliefs, and also did not have to adhere to the inflexibility of Calvinism, or even rectify their belief. Such was the case of Nicolò Paruta, a Venetian noble who had moved to the Reformation, but he was not happy in Geneva and ended up settling permanently in Austerlitz. Doctor to Stefano Bathory, the Paduan Anabaptist sympathiser Nicolò Buccella (author of the indignant Refutatio…, Cracovice 1588, in which he rejects the accusation that Bathory had died suddenly, on 12 December 1586, due to his professional incompetence) died in Krakow in 1599, his own Anabaptism having in the meantime faded in the simplified approach to a reading of the Bible ‘according to... conscience’. He launched a business with which he organised shipments of salt, loaned money at interest, planned the layout of a paper mill in Livonia, and sent for relatives and friends in Padua to assist him. His nephew Filippo Buccella, another inventive the documents 0020.saggi.qxd 67 how countries change in the deeds of the 'universal metropolis' 0020.saggi.qxd 1-12-2010 13. Lorenzo Lotto, Madonna con il Bambino e santi, 1508 circa, Cracovia, Muzeum Narodowe: dalla Spagna, il quadro arriva al conte Puslowski. Lorenzo Lotto, Virgin and Child with Saints, c. 1508, Krakow, Muzeum Narodowe: the painting came from Spain to Count Puslowski. 68 11:41 Pagina 68 entrepreneur, seemed to spiritually align himself with antitrinitarian circles. In Italy, also in Venice, Nicodemite practises were followed in the nightmare of being informed on, possibly by a member of one’s family, the suspicions of the Inquisition, prison, torture, death or, worse, the humiliation of abjuration, the loss of self-respect (especially when the abjuration was accompanied by informing), the worry of waiting weighed heavily, the accusation of relapse. And in that case there was the most atrocious death. In Krakow, in Krakow! The Venetian papal nuncio in Poland, Giovan Francesco Commendone (1524-84), was livid with rage at the number of heretics of every kind in Krakow in 1563. He set up a river transport line on the Dniester and, as well as to Gdansk, carried Polish grain to the Black Sea and continued on to Venice, but found Zwinglians, Lutherans, Calvinists, Anabaptists, antitrinitarians, anti-Catholics, heterodoxies. Perhaps they would clash in promoting propaganda, in proselytism, in the degeneration of arguments, or be divided. But they seemed more or less agreed on cherishing an Italy that, ‘full of infinite’ false Catholics, false ‘Papists’ forced to dissemble ‘for fear of chastisement’, was about to explode, to rebel in the name of the freed Gospel, of the truth returned to the believers. Possibly, some hoped to return on the wave of such a revolutionary refoundation, of such ethical re-semanticisation. But in the meantime, in Krakow, it was possible to breath easily in one’s own beliefs and establish oneself by hard work. Y Giuseppe Milesi of Bergamo worked as a sword maker; the Venetian Antonio Destesi made majolica; Pietro Franco, Veneto, court surveyor, embraced Calvinism. And though his spirits soared with the free reading of the Bible translated by Brucioli, his attempts to make himself into a salt extractor were not crowned with success. So he appealed to the chancellor and hetman Jan 3-12-2010 14-15. Una pianta di Cracovia e, sotto, una di Riga nel Cinquecento, tratte da Georgius Braun e Franciscus Hogenbergius, Ciuitates orbis terrarum, in 6 voll., Colonia, 1572-1617, Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana. A plan of Krakow and, below, of Riga in the 16th century, by Georgius Braun and Franciscus Hogenbergius, Ciuitates orbis terrarum, in 6 vols., Cologne, 1572-1617, Venice, Biblioteca Nazionale Marciana. 14:09 Pagina 69 Zamoyski (1542-1605) for assistance. This politician and humanist was offered the services of Buonaiuto Lorini, who sent him a newly published copy of his treatise Delle fortificazioni… on 15 December 1597 from Venice. And he enlisted the Paduan Bernardo Morando, who was to die in Poland in 1600. He distinguished himself with significant works in Warsaw, and in the construction of Zamosc, little Padua (see p. 9), home of the academy of noble scions (Giovanni Leoniceno, born in Este, taught anatomy and surgery there). This harmonious architectural and town planning jewel was an eastern replica of the city where the client had studied, and in 1563 been elected rector of the ‘universitas iuristarum’. The work was begun in 1579 and completed in about twenty years. While Zamosc was nearing completion, in 1598 the transfer of the capital to Warsaw, whose position is geographically central, began at the request of Sigismund iii Wasa, whose archiater was the Venetian Giovan Battista Gemma (1555-1608); the operation was concluded in 1611. Y Krakow obviously lost its image, lustre and prestige. In any case, it was still the main fabric market in the kingdom. The Italian mercantile community was always lively (and did not lack traders from Venice and the Veneto); and some obtained citizenship: a certain Giovan Battista Morettini arrived there in 1688 from Venice, laden with debt, and got back on his feet in Krakow, where he was to die in 1724. In the meantime, the diplomacy of the Doge’s Palace was based in Warsaw. Attacked by the Turks in Crete, the Republic pushed for a Polish offensive that would lighten the uneven conflict. But entreaties for this were in vain. The Cossack revolt led by Bohdan Chmielnicki broke out in 1648. An agent of the Republic arrived in 1650 to try to persuade these to turn their arms against the Turks, too, though without the documents 0020.saggi.qxd 69 how countries change in the deeds of the 'universal metropolis' 0020.saggi.qxd 1-12-2010 16. Bernardo Bellotto, Capriccio architettonico, Varsavia, Zamek Kròlewski w Warsawie, collezioni del Castello reale, probabilmente portato da Dresda nel 1767 dall’artista, che si eterna in abiti da nobile veneziano, era di re Stanislao Augusto Poniatowski; dal 1939, al museo nazionale della capitale polacca. Bernardo Bellotto, Architectural Caprice, Warsaw, Zamek Kròlewski w Warsawie, Royal Castle collections, probably taken to Dresden in 1767 by the artist, who made himself eternal in the clothing of a Venetian nobleman; it originally belonged to King Stanislaus August Poniatowski; in the national museum of Warsaw since 1939. 70 11:41 Pagina 70 official authorisation. This was the Belluno priest Michele Bianchi (1603-67), who in 1655 was also to contact the Tsar, again on behalf of Venice. He was to be rewarded for these difficult and risky missions with the archpriesthood in the rural tranquillity of Pieve d’Alpago. The ambassador to Warsaw, Giovanni Tiepolo, the extraordinary Andrea Contarini and Girolamo Cavazza, secretary between 1645 and 1652, kept the Venetian government informed. The priest Bianchi was also an informer on the rebel Cossacks. But was information power? In this case, at least, no. Venice did not succeed in getting the Polish kingdom, its internal rebellion in some ways calmed, to offer solid assistance in the war it was facing by attacking on its account. In compensation information is prone to being translated into historiography, of showing how things went. And, in fact, with the Historia delle guerre civili di Polonia (Venetia 1671) by Michele Bianchi, it is known what happened in Poland between 1648 and 1651. Y A few decades later Venice was again attacked by the Turks. In Warsaw on 8 April 1715 the special ambassador Daniele Dolfin tried to convince the king, August ii of Saxony, to make a move against the sultan. But the claim was misplaced. It is ‘much easier to reconcile water and fire than the Poles and the Saxons’. It was useless Dolfin scurrying to persuade local nobles, ministers and courtiers in the king’s retinue, and those favoured by the king, to mobilise against the Turks. He was welcomed with the greatest of respect by the minister Jacob Heinrich Fleming, who lavished the best morsels and finest wines on him in gargantuan banquets, but this did not mean any note was taken of what he said. Despite himself, he was the ‘spettator otioso’ of an impotent, vacillating kingdom under Charles xii of Sweden, without the authority of the local nobility, while Peter the Great fanned the destructive ‘fire’ of internal dissent. The daily chalice of a failure to slow things down was very bitter for Dolfin. The feeling he was ‘wasting away his life’ far from Venice, in a ‘remote corner of the world’, abandoned by civilisation, was a tormenting worry; the daily observation of the collapse of a country ‘in ruins’; the witnessing of the fall of a ‘confused, mixed system of monarchy and aristocracy’. Luckily Eugenio of Savoy won resoundingly at Petrovaradin on 5 August 1716. It was now superfluous to mobilise Poland. At the end of August, Dolfin thankfully took his leave of August ii, the king with a ‘crown of thorns’ on his head. 1-12-2010 11:41 Pagina 71 Y And then? If one jumps forward to 1764, here is Casanova, who travels ‘only for entertainment’, though still without a ‘passport’, thinking he can go from Riga (fig. 15) to St Petersburg. ‘My Republic’, he replies to anyone upbraiding him, ‘is not at war with any power’; more or less saying that as Venice doesn’t give trouble to anyone and is so innocuous, then that also ensures the innocuousness of Casanova. In fact, the argument was persuasive. Such that, rather than sending him back, the ‘governor of Narva’ granted him a kind of permit. Still in 1764, Stanislaw August Poniatowski was elected king of Poland, enthroned in a state of dependance, under protection. In compensation, Warsaw had developed and expanded. In the description of Alessandro Guagnino of Verona, who in 1579 had failed in an attempt to set up a Veneto-Polish trading company, it was already walled, or, rather, it was surrounded ‘by a double wall and moat’, with fortress and castle and a ‘magnificent’ wooden ‘bridge’ over the Vistola. The 24 Views by Bernardo Bellotto (1720-80), court painter from 1768, who stayed there till the end of his days, are truthful testimony of it (fig. 16). It was more or less in the Warsaw fixed by the brush of the Venetian artist (see pp. 8 and 30) that Casanova stayed in 1765-66, with the exciting addition to his normal habits – dining, gambling, conversation, women (but nothing special in this direction) – of a sensational duel. That stay remained clear in his memory, like many closely described others. But in mentioning Poland in the Histoire de ma vie, and again in the Istoria delle turbolenze della Polonia (Gorizia 1774), he incidentally specifies a couple of times that ‘Poland no longer even exists’. If he had extended the writing of his memoirs to his death in Dux on 4 June 1798, he could have applied such a mournful specification to Venice, too. the documents 0020.saggi.qxd 71 0020.saggi.qxd 3-12-2010 14:09 Pagina 72 1-12-2010 11:41 Pagina 73 la diaspora dalla serenissima e «l’autunno» di praga l’arte alla corte di rodolfo ii: collezionismo magico e passione per la pittura veneta Rosella Lauber 1. Jacopo Robusti, detto Tintoretto, L’origine della Via Lattea, Londra, The National Gallery. Jacopo Robusti, called Tintoretto, The Origin of the Milky Way, London, The National Gallery. Y La neve della notte appena trascorsa aveva creato l’occasione per l’imperatore Rodolfo ii di scendere dall’arroccato castello e di percorrere le strade del cerchio incantato di Praga vecchia. La rara testimonianza è affidata a una lettera, indirizzata dalla capitale boema il 3 febbraio 1579, del segretario ducale Aurelio Pomponazzo al consigliere dei Gonzaga, Aurelio Zibramonti. In quel giorno, il residente Giorgio Carretto segnala in una missiva, come la precedente nell’archivio statale mantovano, che Sua Maestà con ventiquattro slitte «ha passeggiato per Praga, et è comparso due volte in questa piazza molto allegro». La notizia sorprende: la figura solitaria e malinconica del sovrano asburgico si mostra in veste inedita, mentre scivola in corteo trionfale, concedendosi alla piazza con allegria. Il ritratto di Rodolfo ii (Vienna 1552-Praga 1612), «il più grande mecenate delle arti esistente al mondo» secondo Karel van Mander (1604), è tramandato da linee diverse, partecipi più dell’ombra che della luce, ctonie ovvero sotterranee. Il creatore di una straordinaria collezione, ricca per oltre un quarto di quadri italiani e soprattutto veneziani, vive appartato sul colle di Hradčany, nel cuore della città percorsa dalla Moldava, Vltava in ceco. Y Per volere di Rodolfo ii, nel 1583 la corte si trasferisce da Vienna a Praga, l’antica capitale scelta da Carlo iv. Nella città della Metamorfosi, il genio proteiforme di Rodolfo crea una prodigiosa sede imperiale; sin dal 1576-1579 realizza il Sommerpalast, la camera da letto imperiale, lo studio, le stanze estive. Arricchisce la dimora di naturalia e mirabilia, ori, argenti e specchi “magici”, vetri veneziani e boemi, diaspri e agate, cammei, monete e medaglie, vasi e maioliche egizie, oltre a pitture e sculture antiche e moderne, rilievi e bronzi, tessuti, mosaici. Incunaboli e miniature sfilano accanto a Kunstbüchern e manoscritti, compresi il Codex Argenteus e il Codex Gigas, detto «Bibbia del Diavolo», preso in prestito nel 1594 al monastero di Broumov e mai restituito. I materiali risultano sfidati da virtuosismi tecnici, anche di mae- il racconto 0020.saggi.qxd 73 la diaspora dalla serenissima e «l’autunno» di praga 0020.saggi.qxd 74 1-12-2010 11:41 Pagina 74 stri italiani quali Abondio, Miseroni e Castrucci (fig. 2), trasferitisi a Praga, dove Rodolfo sviluppa pure l’arte vetraria, mentre incentiva prospezioni minerarie e fonda una città a suo nome, Rudolfov. Avoca quasi l’esclusiva sulle pietre di Boemia, con cui a Firenze i Caroni realizzano per lui in sette anni una tavola detta l’«ottava meraviglia del mondo». Al castello, in un caos improntato di horror vacui, affastella opere in quattro sale a volta con trentasette armadi, casse e scrigni, sino all’esclusivo studio, Šackomora, gabinetto d’arte, di curiosa e artificialia. Si circonda di preziosi e rarità vegetali e animali, degli amati cavalli, di corna e selci, mandragore e ossa di giganti, una testa di Polifemo e manufatti miniaturizzati su gusci di noci e noccioli di ciliegia, coppe di bezoar e chiodi e magneti «dicesi provenienti dall’Arca di Noè»; persino un grumo di creta della valle di Ebron, «fango del protoplasto Adamo». Scorrono globi, strumenti astronomici e musicali, Automaten e orologi d’argento anche a forma di barca. Piume di colibrì e uova di struzzo, pitture giapponesi e «huaca» (animati idoli, in quechua), forieri di forza soprannaturale come per gli Incas, compongono l’esotico indianisch. Le rudolfine Kunstund Wunderkammern quasi riflettono il libro divino; evocato pure nell’Orbis sensalium pictus, 1618, creato da Comenio, vescovo dei Fratelli Boemi, ideatore della scuola materna e della pansofia. Y Rodolfo, fra astrologia giudiziaria e alchimia, convinto d’essere «un’anima dannata», appare segnato dalla «melanconia», acuita nella svolta del 1600, tra presagi millenaristici e crisi religiose; in quell’anno, a Roma, è arso Giordano Bruno, che nel 1588 s’era recato a Praga, protetto dall’imperatore. Il nunzio apostolico Antonio Puteo scrive: «È Sua Maestà reputata di complessione colerica et melanconica». Rodolfo alterna apatia a scatti feroci, anche inclini al suicidio, degni di Bulgakov. Nel suo sangue scorre per doppia ascendenza l’eredità di Giovanna la Pazza, la «loca» bisnonna moglie di Filippo il Bello e madre di Carlo v. Presso il figlio di questi, Filippo ii, è inviato l’adolescente Rodolfo nel 1563; in sette anni diviene «spagnuolo», nel rigore della corte, dove si sarebbe innescata la miccia lenta di manie di grandezza e persecutorie. Spettacolari le sue investiture: a vent’anni, 1572, diviene sovrano d’Ungheria; a ventitré, è riconosciuto re di Boemia poi re dei Romani; nel 1576, è imperatore del Sacro Romano Impero, ne detiene il trono per trentasei anni. Verso il 1602, chiede a Vermeyen una nuova corona «pro sacra sua persona» (Vienna, Schatzkammer), sui disegni di Dürer per l’Ehrenpfor- 1-12-2010 11:41 Pagina 75 il racconto 0020.saggi.qxd 2. Bottega di Giovanni Castrucci, Veduta di Hradčany, commesso in pietre dure, Praga, Uměleckoprůmyslové museum v Praze. Workshop of Giovanni Castrucci, View of Hradčany, intarsia in hardstone, Prague, Uměleckoprůmyslové museum v Praze. te del trisnonno Massimiliano i; secondo il veneziano Soranzo, vale 500 mila scudi. Non bada a spese: discendente di mecenati e collezionisti come il nonno paterno Ferdinando i (1503-1564), il padre Massimilano ii (1527-1576; sposo di Maria, figlia di Carlo v) e lo zio paterno Ferdinando del Tirolo (1529-1595), che crea la magnifica raccolta d’Ambras, anche con la Saliera di Cellini, ora a Vienna. Karl, figlio di Ferdinando e margravio di Burgau, svende la collezione nel 1605 per 170 mila fiorini a Rodolfo ii, cui era già pervenuta quella del fratello Ernst, con emblematici Bruegel il Vecchio, tra cui Cacciatori nella neve (Vienna, Kunsthistorisches Museum; fig. 3). Nel periodo spagnolo, Rodolfo cresce fra le raccolte ricche di pitture veneziane del nonno materno Carlo v (15001558) e dello zio Filippo ii (1527-1598). Y Nel 1576, l’anno della morte di Tiziano, Rodolfo ascende al trono; nel 1583 porta a Praga la corte, insieme alla passione “dinastica” per i dipinti veneziani, soprattutto di Vecellio. Nelle collezioni imperiali giungono molti quadri di Tiziano; così, nel 1600 il cardinal Montalto da Roma invia a Rodolfo la Danae (a Vienna dal 1723, ora Kunsthistorisches Museum; fig. 4). Alle raccolte rudolfine risalirebbe il Riposo dalla fuga in Egitto (documentato nel 1660 presso l’arciduca Leopoldo Gugliemo a Vienna; dal 1851 in Inghilterra, nella raccolta Munro di Novar; tramite Christie’s, dal 1878 è nella collezione del marchese di Bath a Longleat House, Warminster, Wiltshire). Analoga sarebbe l’antica provenienza della Vanità, nel 1748 al castello di Schleissheim e dal 1836 all’Alte Pinakothek di Monaco. Numerosi capolavori rudolfini, in particolare di Tiziano e veneziani, seguono un travagliato iter a partire dal Sacco di Praga del 1648; gran parte del bottino giun- 75 1-12-2010 la diaspora dalla serenissima e «l’autunno» di praga 0020.saggi.qxd 3. Pieter Bruegel il Vecchio, Cacciatori nella neve (Inverno), Vienna, Kunsthistorisches Museum, Gemäldegalerie. Pieter Bruegel i, Hunters in the Snow (Winter), Vienna, Kunsthistorisches Museum, Gemäldegalerie. 76 11:41 Pagina 76 ge a Cristina di Svezia, seguendola ad Anversa e a Roma. Per eredità, i quadri passano al cardinal Azzolino; nel 1692, i discendenti li vendono al principe Odescalchi; nel 1721, li acquista il duca d’Orléans; infine, verranno alienati in un’asta privata al Lyceum di Londra, 1798-1799. Di qui, le strade divergono. La Venere con Cupido e un suonatore di liuto, comprata dal visconte Fitzwilliam, è nell’omonimo museo di Cambridge dal 1816. Il Ritratto di Laura Dianti, tramite raccolte inglesi, giunge alla collezione Kisters di Kreuzlingen (fig. 5), venduto a New York nel 1956-1957; «opera stupenda», raffigurerebbe l’amante del duca Alfonso i; Cesare d’Este la dona a Rodolfo ii, nelle cui raccolte è definita «una turca». Analogo è il percorso sino al 1798-1799 di altre tele tizianesche, compresa una Maddalena penitente che un’incisione avvicina alle versioni di Stoccolma e di Tokyo. Y Nell’inventario imperiale del 1621, fra i dipinti attribuiti a Tiziano compare un soggetto forse identificabile con quello descritto in una lettera al duca di Mantova, inviata da Praga il 21 agosto 1600 da Aderbale Manerbio. Il residente narra come Rodolfo gli avesse mostrato «una dea Venere, un Adone, et un cane» in una «camera dove sono molte pitture», quale dono di Vincenzo i Gonzaga del 1598 (di recente ne è stata proposta un’identificazione nel tizianesco Venere e Adone a Somerley, Ringwood, Hampshire, Earl of Normanton). Nelle molteplici redazioni del tema, Venere è modellata sull’antico rilievo detto Letto di Policleto, di cui Ghiberti possedeva una versione, secondo Vasari venduta a Giovanni Gaddi: forse la stessa poi in collezione Pio di Carpi, quindi comprata da Ippolito ii d’Este, infine acquistata da Rodolfo ii e perduta nel Sacco di Praga. Tra gli omaggi del duca di Mantova spicca, 1603, l’agognata gemma con capita iugata, che Rodolfo stringe fra le mani nel suo «studio o gabinetto dove tiene le cose più care» (secondo le ultime ipotesi, il cammeo di San Pietroburgo, non quello di Vienna). Spesso, l’imperatore si aggiudica i pezzi nelle trattative sfinendo la controparte. Così nel 1600 si arrende François, con- 1-12-2010 4. Tiziano Vecellio, Danae, Vienna, Kunsthistorisches Museum, Gemäldegalerie. Titian, Danae, Vienna, Kunsthistorisches Museum, Gemäldegalerie. 11:41 Pagina 77 te di Cantecroy, nipote ed erede del cardinale de Granvelle (amico e committente di Tiziano), alienando i trentadue quadri che l’imperatore richiede con una lista personalmente redatta, comprensiva persino del prezzo, 13 mila «talari»: irrisorio e pari alla cifra, già rifiutata, offerta dal cardinal Farnese per una singola opera, Il martirio dei diecimila di Dürer. Nei desiderata di Rodolfo, fra i dipinti compare anche «una Venere in sul letto con un organista di Titian», forse identificabile con una versione ora a Madrid, quella firmata e con Cupido (menzionata nel 1626 nell’Alcazar ed entrata al Prado nel 1838; fig. 6), che Rodolfo avrebbe poi scambiato con Filippo iii per quadri di Correggio; ma la tela potrebbe anche provenire dai beni del segretario di Stato di Filippo ii, Diego de Vargas. Già nel 1598, alla morte dello zio Filippo ii, Rodolfo aveva allertato l’ambasciatore a Madrid, Hans Khevenhüller, per ottenere i quadri della raccolta reale spagnola, oltre a quelli confluitivi dalla collezione dell’ex segretario Antonio Pérez, dopo la sua caduta in disgrazia del 1579. I migliori, però, se li aggiudica Pompeo Leoni, che li rivende a Rodolfo ii tra 1601 e 1603: partono per Praga raffinati dipinti, di cui l’imperatore ammira l’invenzione, come il Cupido che fabbrica l’arco dell’“alchemico” Parmigianino (Vienna, Kunsthistorisches Museum; fig. 7), insieme alla sensualità, sublime negli Amori di Giove di Correggio, cui appartengono la Danae della Galleria Borghese, la Leda di Berlino e i viennesi Giove e Io (fig. 8) e Ratto di Ganimede (fig. 9), inseguito da vent’anni dal disperato Khevenhüller per la sapiente brama di Rodolfo. Y Lo stesso Khevenhüller elogia Tintoretto alla corte di Praga; conosce l’artista a Venezia e qui gli compra almeno tre dipinti; ad Arganda, vicino a Madrid, ne appende due in villa, Nove Muse e Ratto d’Europa: se ne perdono le tracce in Spagna nel 1610, nonostante le proteste di Rodolfo ii, che le aveva ricevute in eredità insieme a un Ratto di Elena. L’imperatore, che legge testi latini, poliglotta, sensibile ad arte speculatoria e oroscopia genetliaca, nella sua collezione vanterebbe l’Origine della Via Lattea di Tintoretto (fig. 1). L’opera, rintracciabile negli inventari rudolfini del 1621 e 1637, riemerge nella collezione del marchese de Seignelay il racconto 0020.saggi.qxd 77 la diaspora dalla serenissima e «l’autunno» di praga 0020.saggi.qxd 1-12-2010 5. Tiziano Vecellio, Ritratto di Laura Dianti, Kreuzlingen, collezione Heinz Kisters. Titian, Portrait of Laura Dianti, Kreuzlingen, Heinz Kisters collection. 78 11:41 Pagina 78 nel 1690, forse tagliata allora nel lato inferiore; nel 1724 è del duca d’Orléans, mentre all’asta del Lyceum di Londra la compra nel 1798 per cinquanta ghinee Michael Bryan, l’organizzatore della vendita; entro il 1831 passa al conte di Darnley e nel 1890 l’acquisisce la National Gallery. Nel dipinto, Giove si proietta dall’alto con il piccolo Ercole, nato dall’unione con Alcmena di Tebe, e per garantirgli l’immortalità lo accosta al seno dell’addormentata consorte Giunone; la gelosa dea però si sveglia e spruzzi del suo latte schizzano al cielo attraverso la volta celeste, dando origine alla “via lattea”, altri invece si spargono a terra e si trasformano in gigli. Il quadro è descritto nelle Maraviglie dell’arte (1648), con altri di Tintoretto, dedicati a Ercole, per Rodolfo ii, alle cui preferenze si correlano pure l’accuratezza e la lussureggiante cromia: «Per Ridolfo ii Imparatore dipinse quattro quadri di favole per le sue stanze, con figure à par del vivo». Accanto alla tela di mano di Tintoretto, per gli altri tre dipinti descritti da Ridolfi si sono richiamate versioni o copie, corrispondenti al Concerto di Muse in giardino (come quello a Dresda, o il distrutto Parnaso), a Ercole caccia Sileno dal letto di Onfale (evocato da quello a Budapest, Szépművészeti Múzeum) e a Ercole e Onfale (ricordato dalla versione già in collezione Battistelli, Firenze). La predominanza del letto, in tre soggetti su quattro, rende possibile fossero destinati a una camera privata dell’imperatore. Y Risultano invece controverse l’ubicazione originaria, come pure la riconducibilità ad acquisto o a committenza diretta di Rodolfo ii, del ciclo di Veronese con le quattro Allegorie d’amore (Londra, The National Gallery; figg. 10-13). Le tele quadrate, con scorci dal sotto in su, possono aver ornato i lati del soffitto di una stanza nuziale in un palazzo veneziano, per passare a Praga entro il 1637, quando le registra un inventario rudolfino: nel taccuino italiano, van Dyck schizza due delle allegorie, forse presenti a Venezia ancora nel 1622 circa, o note tramite copie e incisioni. Infatti le tele, databili verso il 1575, secondo un’ipotesi alternativa si riferirebbero al Sommerpalast di Praga proprio negli anni del rinnovamento rudolfino; destinate a decorare il soffitto, sarebbero state escluse dagli inventari più antichi, mentre compaiono dal 1637, forse per mutamenti espositivi. Alla decorazione della stessa sala praghese, questa volta delle pareti, risalirebbero altri Veronese: nel Riposo (1584), Borghini elenca quattro soggetti mitologici dipinti «all’Imperadore», dominati soprattutto da Venere e Amore; nelle Maraviglie (1648), Ridolfi det- 1-12-2010 11:41 Pagina 79 il racconto 0020.saggi.qxd 79 la diaspora dalla serenissima e «l’autunno» di praga 0020.saggi.qxd 1-12-2010 6. Tiziano Vecellio, Venere con Cupido e organista, Madrid, Museum Nacional del Prado. Titian, Venus and Cupid with Organist, Madrid, Museum Nacional del Prado. 80 11:41 Pagina 80 taglia tre analoghe «inventioni» per Rodolfo: nessuno di questi si riscontra però negli inventari. Dopo il Sacco del 1648 e i successivi passaggi sino al duca d’Orléans, all’asta londinese del 1798 le quattro Allegorie d’amore, invendute, sono rilevate dall’organizzatore Bryan e bandite il 14 febbraio 1800 per una quarantina di ghinee; passano nella raccolta Darnley e infine nella National Gallery dal 1890. Dopo un comune percorso dal Sacco sino all’asta del Lyceum, si separano altre tele di Veronese registrate negli elenchi praghesi (già ritenute parte d’un coerente ciclo per Rodolfo, indagini e restauri anche recenti ne dubitano): approda a New York Venere e Marte con due Amori e il cavallo, acquistato dal Metropolitan Museum of Art nel 1910 da Lord Winborne (fig. 14). Mercurio, Erse e Aglauro, acquistato da lord Fitzwilliam, è a Cambridge dal 1816 (fig. 15). Nel 1912, giungono alla Frick Collection sia Ercole al bivio sia La saggezza e la forza (figg. 16, 17). Diverse copie e frammenti (reliquie, per Zeri), in collezioni private e pubbliche, sono riferibili all’antica registrazione inventariale di un «Marte in piedi armato e Venere nuda» che lo arma, con amorini e cavallo; a Vienna se ne conserva una copia seicentesca. Di provenienza praghese, forse rudolfina, è pure Venere e Adone morente con amorini, dal 1947 al Nationalmuseum di Stoccolma. Y Nelle collezioni di Rodolfo sarebbe giunta verso il 1605 anche la tela di Veronese con il ritratto di Hans Jacob König (Praga, Národní Galerie; fig. 18), documentata nel castello di Praga dal 1685. König, nato a Füssen, suocero di Girolamo Ott, agisce fra il Nord, Roma, Firenze e Venezia: qui entrambi i mercanti e collezionisti risiedono e sono attivi, legati anche ai Fugger. Il «König Joylieren di Venetia», mercante, editore di stampe e orafo, effigiato da Tintoretto e Veronese, colleziona dipinti nordici e veneziani, ritratti e autoritratti di pittori; è in stretto contatto con Rodolfo ii, almeno dal 1580, e diviene suo agente. A corte sarà promotore di von Aachen, di cui conserva due autoritratti, oltre a effigi di Spranger, Ligozzi, Giambologna. La raccolta König è smembrata nel 1605 circa e almeno quindici ri- 1-12-2010 11:41 Pagina 81 tratti passano a Praga. Da essa potrebbe pervenire a Rodolfo il Ratto d’Europa di Veronese ora a Londra, come di recente proposto. L’opera è riconoscibile nell’inventario rudolfino del 1637, e forse già in una lista del 1610-1619 circa, come pure in un elenco König del 1603. Dopo il Sacco di Praga, il quadro passa a Cristina di Svezia, che lo porta ad Anversa e a Roma, sino al duca d’Orléans nel 1721; all’asta del 1798, è acquistato da Willett per duecento ghinee; per centoquaranta lo compra Holwell Carr alla vendita Willett del 1813; infine è donato alla National Gallery nel 1831. Y Nonostante si procuri ritratti di arciduchesse facendo credere di cercar moglie, Rodolfo non convolerà a nozze, sconsigliato da un oroscopo perché un discendente legittimo gli avrebbe sottratto il regno. A lungo fra le amanti è favorita Anna Maria Stradová, che gli darà almeno otto figli naturali; il primo è il feroce don Julio (César de Austria), trovato morto a ventitré anni nel castello di Krumlov, dov’era rinchiuso pazzo furioso. Anna Maria era nata da Ottavio Strada, governatore delle raccolte imperiali alla morte del padre Jacopo, il veterano «Šacmistr» amico di Serlio; nella fastosa dimora viennese di Jacopo, il giovane Rodolfo avrebbe imparato a dipingere. Nel 1567, Jacopo e Ottavio Strada sono a Venezia, ritratti l’uno da Vecellio nella celebre tela ora a Vienna, l’altro da Tintoretto (ne tramanda memoria una versione al Rijksmuseum di Amsterdam). A Praga, Ottavio collabora ai volumi di emblemi illustrati da Sadeler, i Symbola (1601-1603) culminanti nelle imprese di Rodolfo e nel suo motto adsit. Y Nel 1595, l’imperatore promulga una Lettera di Maestà innalzando per decreto la Pittura fra le Arti, non più tra i mestieri, e l’affranca da regole corporative. Maestri a corte vengono investiti di privilegi e titoli; nel 1591 diviene Kammermaler Joseph Heintz il Vecchio, aggiornato sulla pittura italiana e che nei suoi viaggi sosta pure a Venezia; a Praga mostra influssi anche di Tintoretto (fig. 19), mentre il figlio dipingerà fra le lagune dal 1625 fino alla morte, 1678. Ridolfi cita i due Heintz nelle Maraviglie, quando racconta l’invio da Venezia dei Mesi di Bassano a Rodolfo («VeneziAltrove» 2009). L’imperatore apprezza tanto il ciclo, da chiamarne a Praga l’autore: Jacopo Bassano sarà tra i pochi a opporre un rifiuto, come pure Federico Zuccari. Invece il veneziano Giovanni Contarini (vedi p. 65) è a Praga, almeno dopo il 1587 e nel 1593, quando accompagna nelle Fiandre l’arciduca Ernst. Secondo Ridolfi, dipinge ritratti, favole mitologiche «et il racconto 0020.saggi.qxd 81 la diaspora dalla serenissima e «l’autunno» di praga 0020.saggi.qxd 1-12-2010 7. Francesco Mazzola, detto Parmigianino, Cupido che fabbrica l’arco, Vienna, Kunsthistorisches Museum, Gemäldegalerie. Francesco Mazzola, called Parmigianino, Cupid Carving his Bow, Vienna, Kunsthistorisches Museum, Gemäldegalerie. 82 11:41 Pagina 82 altre simili inventioni; onde incontrò nel gusto di quella Maestà», tanto da ottenere doni e titoli. Boschini (1660) l’introduce come «degno Cavalier, e di Ridolfo Imperator segondo prediletto pitor», lungo la linea tizianesca; la Caduta del regno di Saturno svela pure relazioni con Heintz il Vecchio (Praga, Národní Galerie; vedi p. 42). Quando torna a Venezia, nel 1596, Contarini prende casa a San Moisè e si veste con spada, cappello di piume e collana d’oro donata dall’imperatore: come nell’autoritratto agli Uffizi (vedi p. 65). Era giunto a Praga un altro veneziano, fra i primi pittori cesarei insieme a Martino Rota: Giulio Licinio, che dalla Serenissima procura a Rodolfo quadri e spunti. Arriva pure il veneto Paolo Piazza alias Fra Cosmas, pittore cappuccino nel convento a Hradčany. Accanto ai veneziani, affluiscono dipinti di nordici trasferiti a Venezia, quali Pozzoserrato e Paolo Fiammingo, attivi anche per i banchieri Fugger. Di Paolo Fiammingo, fin dal 1573 a Venezia (dove nel 1584 è iscritto alla Fraglia dei pittori), le collezioni rudolfine annoverano molti esemplari, forse comprese tele ora alla Národní Galerie, quali la Nascita di Atena dal capo di Zeus (vedi p. 58); numerosi suoi quadri risultano anche in raccolte veneziane, inclusa quella di Alessandro Vittoria, amico di Jacopo Strada. Da Vittoria passa a Rodolfo l’emblematico Autoritratto allo specchio di Parmigianino (Vienna, Kunsthistorisches Museum; fig. 20). L’autore lo regala a Clemente vii, il quale lo dona a Pietro Aretino, che lo porta ad Arezzo dove l’osserva Vasari; giunge a Valerio Belli, e attraverso Elio Belli, con la mediazione di Andrea Palladio e alla presenza di Francesco Pisani, è acquistato per dieci scudi da Vittoria a Venezia, da cui perviene a Rodolfo ii. Y La sezione veneta della Kunstkammer dell’imperatore vanta anche opere di Andrea Schiavone, Andrea Vicentino e Pordenone. Fra i numerosi soggetti di Paris Bordon negli inventari, Venere e Flora con Amore e Marte (San Pietroburgo, Ermitage) sembra influire sull’Allegoria del regno di Rodolfo II di Dirck de Quade Ravestijn (Praga, Národní Galerie). Rodolfo dà vita a una corte cruciale per il Manierismo europeo. È promotore di artisti quali Spranger e Sadeler, von Aachen e Heintz il Vecchio, de Vries e Mont, Jamnitzer e Vianen, Stevens e Savery, Joris e Jacob Hoefnagel, Hofmann e Gundelach: tutti riuniti nella cosmopolita «École di Prague» a comporre lo “stile rudolfino”, innervato d’erotismo e virtuosismo, osservazione della natura, apoteosi di simboli imperiali, fra mecenatismo e trionfi militari, compresa la ricon- 1-12-2010 11:41 Pagina 83 quista di Raab, nel 1598. Di notte, Rodolfo scende ad accarezzare le opere, animato di passione esclusiva; urla di gioia mentre porta in camera l’agognato rilievo di Giambologna, ottenuto da Modena. Karel van Mander narra anche le Vite di molti pittori rudolfini, compreso l’amico Bartholomeus Spranger, che dopo un periodo italiano è a Praga nel 1580 e l’anno seguente diviene Kammermaler. In suoi sensuali dipinti come Ercole, Deianira e Nesso (Vienna, Kunsthistorisches Museum; fig. 21), dal ciclo destinato a decorare il palazzo imperiale, traspaiono influssi veneziani e di Giambologna (mai andato a Praga di persona); gli è assegnata una stanza accanto a quella di Rodolfo, che vuole osservarlo mentre dipinge. Piante e bestie sembrano comporre un linguaggio segreto della natura, fra locuste e farfalle intorno a una rosa sfatta, nelle opere di Joris Hoefnagel, passato per Roma e Venezia, e dal 1590 a Praga, dove realizza vedute, volumi sul regno animale, disegni botanici, immagini per il manuale calligrafico di Bocksay. Nelle scene agresti e bibliche di Roelandt de Savery è incluso anche il primo ritratto del dodo, uccello scoperto dagli olandesi alle Mauritius, 1598, immediatamente presente nel serraglio rudolfino. Y Influssi di Tintoretto rivelano Joseph Heintz il Vecchio e Hans von Aachen (fig. 22), che dal 1574 soggiorna più volte fra le lagune, copiando, oltre a Robusti, Bassano e Veronese; grazie ai Fugger e a König, è introdotto a Monaco e poi a Praga, 1592. Diviene fiduciario di Rodolfo con il singolare titolo di «Kammermaler von Haus aus» (pittore di camera a casa propria). Alla ricerca di quadri, spazia dai Paesi Bassi, a Mantova e a Venezia, dove è nel 1603. Qui l’imperatore contatta anche Hans Rottenhammer, che in laguna acquista, restaura, vernicia dipinti per lui, forse anche tramite gli Ott. Il pittore cura la messa in sicurezza per il trasporto a Praga della Pala del Rosario (vedi p. 42), mentre nella sua bottega forse se ne realizza una copia, poi in collezione Grimani a Venezia. L’imperatore chiede riproduzioni di il racconto 0020.saggi.qxd 83 la diaspora dalla serenissima e «l’autunno» di praga 0020.saggi.qxd 84 1-12-2010 11:41 Pagina 84 capolavori che non riesce a ottenere, comprese copie di Rubens da Correggio. Quali agenti, adopera persino ambasciatori, ma non solo; per acquistare oggetti d’arte a Venezia, anticipa una somma anche all’«ebreo giramondo» Seligman, che invece l’incamera e sparisce. Rodolfo tesse arazzi (che disegna e colleziona, pure di Bosch) e intreccia anche una rete capillare per gli acquisti. Informato dell’affiorare sul mercato di quadri e collezioni, esercita una precoce connoisseurship. Riconosce la mano degli artisti, compreso Dossi, e spesso li vuole a corte: nell’estate 1604, rimane «due ore e mesa assentato senza moversi guardar li quadri delli mercati di frutta e pescaria» inviati dal duca di Savoia, e sollecita la ricerca a Cremona dell’autore, se vivente, per portarlo a corte. Y L’imperatore appare come Vertumno in un criptoritratto descritto anche da Lomazzo, che forse fornisce a Rodolfo opere di Leonardo (e nell’inventario del 1621 compaiono due voci già riferite alla Dama con l’ermellino, documentata solo dal 1809 presso i Czartoryski a Cracovia). La concettuosa immagine del Vertumno è eseguita nel 1590 circa da Arcimboldo, l’«ingegnosissimo pittor fantastico», artista ufficiale a Vienna, con Ferdinando i (152664) e Massimiliano ii (1564-1576), poi a Praga. Nel suo lavorare a grottesco risaltano teste-composte e reversibili, babelici accumuli fitomorfi o zoomorfi, o con utensili o libri; contraffatti profili “parlanti”, serie d’elementi e stagioni. Rodolfo concede il rientro a Milano nel 1587 al vecchio pittore, a patto che continui a inviare opere e a fargli da agente. Così Arcimboldo invia a Pra- 1-12-2010 8. Antonio Allegri, detto Correggio, Giove e Io, Vienna, Kunsthistorisches Museum, Gemäldegalerie. Antonio Allegri, called Correggio, Jupiter and Io, Vienna, Kunsthistorisches Museum, Gemäldegalerie. 9. Antonio Allegri, detto Correggio, Ratto di Ganimede, Vienna, Kunsthistorisches Museum, Gemäldegalerie. Antonio Allegri, called Correggio, Rape of Ganymede, Vienna, Kunsthistorisches Museum, Gemäldegalerie. 11:41 Pagina 85 ga Flora e appunto il Ritratto di Rodolfo II come Vertumno (Balsta, Svezia, Skokloster Slott; vedi p. 4), la divinità che presiede all’avvicendamento delle stagioni e alla maturazione dei frutti specialmente in autunno. Così, «l’Autunno» di Praga ostenta un popone in fronte, ha una pera invece per il naso; una ciliegia e una mora vermiglia formano gli occhi; le guancie sporgono con pesca e melappia; due nocciole disegnano i baffi, una castagna spinosa il pizzo di un’irta barba, fra capelli di tralci, grappoli e spighe, mentre fiori e ortaggi formano collo e spalle. Rodolfo, «signore di tutto il mondo», invia una lettera e nomina il pittore comes palatinus. Y Ai piedi del castello (fig. 23) gli alchimisti dell’imperatore, molti giunti da Venezia, avrebbero abitato le «casette di bambola» della tortuosa Viuzza d’Oro (fig. 24), già dimora di orafi (in quella strada onirica vivrà pure Kafka, ma anche madame de Thèbes). L’imperatore si circonda di maghi, naturalisti e scienziati; chiama anche il veneto Giacomo Alvise Cornaro, mentre spicca l’astronomo danese Tycho Brahé («loquace» per Galileo), cui succede a corte Giovanni Keplero, accolto mentre altrove era perseguitato per la fede evangelica. Il tedesco dedica a Rodolfo ii l’Astronomia Nova, 1609, con le prime due leggi del movimento dei pianeti intorno al Sole, seguite nel 1619 dalla terza, mentre nel 1627 mette a punto le Tabule Rudolphiniane per calcolare la posizione dei pianeti. Secondo la leggenda, si deve a Brahé (dalla protesi argentea e dorata che sostituiva il naso, perso in un duello) la profezia a Rodolfo d’una fatale sorte legata al leone africano da lui domato. Il superstizioso sovrano muore pochi giorni dopo il prediletto felino, a lungo osservato a vista quando, lasciata l’ala del castello sopra il Fossato dei Cervi, scendeva nei giardini, fra statue, giochi d’acqua, serre. L’imperatore è minacciato da nemici esterni e interni; teme il fratello Mattia, che lo costringe ad abdicare e gli succede al trono (1612-1619); dieci mesi più tardi scompare Rodolfo. Dopo il 1612 s’inasprirono le tensioni fra cattolici e protestanti; l’esempio del padre aveva favorito la tolleranza di Rodolfo ii, che con la bolla del 9 luglio 1609 concede libertà religiosa; ma alla sua morte se ne teme la revoca. Si giunge alla Defenestrazione di Praga, primo atto della guerra dei Trent’anni (1618-1648), quando il 23 maggio 1618 due luogotenenti e un segretario, chiesta udienza al Castello, al termine di controversie sono gettati dai protestanti fuori dalla finestra. L’8 novembre 1620, si svolge una decisiva battaglia alla Montagna Bianca, che segna il declino della gloria boema; Mas- il racconto 0020.saggi.qxd 85 la diaspora dalla serenissima e «l’autunno» di praga 0020.saggi.qxd 1-12-2010 10. Paolo Caliari, detto Veronese, Allegoria d’amore. La donna contesa tra amore mondano e amore onesto (L’infedeltà), Londra, The National Gallery. Paolo Caliari, called Veronese, Allegory of Love. Deciding between Worldly Love and Honest Love (Unfaithfulness), London, The National Gallery. 11. Paolo Caliari, detto Veronese, Allegoria d’amore. L’uomo dominato dall’amore disonesto (Il disinganno), Londra, The National Gallery. Paolo Caliari, called Veronese, Allegory of Love. The Man Ruled by Dishonest Love (Scorn), London, The National Gallery. 86 11:41 Pagina 86 similano di Baviera lascia Praga con 1.500 carri di bottino; dopo l’occupazione sassone, 1631, s’allontanano dal castello oltre cinquanta veicoli di preziosi. Y Imperversano su Praga scorrerie di diversi eserciti sino alla pace di Vestfalia del 1648, all’indomani di una strenua seppur vana resistenza alle truppe svedesi del conte von Königsmarck, che depredano la città. Il generale tortura il tesoriere Dionysio Miseroni per ottenere le chiavi della Kunstkammer con l’inventario redatto nel 1647, oltre a farne compilare un altro. Sembra che il terribile Sacco del 1648 sia stato innescato proprio per ottenere le raccolte di Rodolfo ii, per la figlia del re Gustavo ii Adolfo, Cristina di Svezia. Il bottino praghese approda a Stoccolma e la regina commenta a Lord Arundel: «Un numero infinito di pezzi, ma fuori di trenta, o quaranta che sono originali italiani, io non fo conto alcuno degl’altri»; anzi, volentieri cederebbe i quasi cinquecento Dürer e nordici in cambio di un paio di Raffaello. Dopo l’abdicazione e la conversione, nel 1655 Cristina si trasferisce a Roma, a palazzo Riario alla Lungara, insieme alla raccolta, con cinquantasette quadri del lotto praghese, soprattutto Correggio e veneziani, mentre gli altri rimangono a Stoccolma (preda di successivi incendi, 1697 e 1702). Porta con sé volumi rudolfini, compreso il Codex Gigas (dal 1649 a Stoccolma, Kungliga Biblioteket), molti poi pervenuti nella Biblioteca Vaticana. Dopo il Sacco arrivano in Svezia anche opere accaparrate da diversi comandanti; il busto in bronzo di Carlo v di Leone Leoni e quello imperiale voluto a pendant da Rodolfo, realizzato da Adriaan de Vries (fig. 25), entrano nelle raccolte di Königsmarck, che aveva fatto incetta di cinque carri di preziosi. Alla morte dell’ultimo erede nel 1806, i due bronzi con altri esemplari del bottino di Praga, inclusi ventiquattro dipinti di Giulio Romano, sono acquistati dall’ambasciatore austriaco von Lodron-Laterano, che li dona alla Corona (Vienna, Kunsthistorisches Museum). A Stoccolma giungono centinaia di capolavori, come la statua equestre di Rodolfo di Giambologna e l’Adamo ed Eva di Dürer; in Svezia si conservano molte teste-composte di Arcimboldo; la maggior parte delle opere rudolfine risulterà divisa. Y Alla morte dell’imperatore, le collezioni vengono stimate 17 milioni di monete d’oro; il veneziano Soranzo racconta da Praga, 5 marzo 1612, che ogni giorno, in ciascun angolo e ripostiglio nascosti nella reggia-fondaco, si scoprono oggetti e «pitture in numero di tremila, e più quadri di mano di pittori famosi antichi e 1-12-2010 11:41 Pagina 87 moderni, che non solo riempiono tutte le sale, tutte le gallerie, tutte le stanze, ma ve ne sono una quantità immensa involti et ammassati in mucchi di modo che abbondano tanto che invece di ornar il palazzo lo rendono quasi un fontico». Mattia trasporta quadri a Vienna; altri sono spartiti tra membri della dinastia, come Massimiliano iii e gli arciduchi Alberto e Isabella a Bruxelles (1615). Nel 1619, i calvinisti rivoluzionari di Praga impongono la vendita delle figure nude «oscene». In seguito alla riconquista cattolica, «gli dei olimpici, le Grazie, le Muse e le ninfe vanno in esilio», sostituiti da «ospiti nuovi e stranieri: tutti quei santi spagnoli e no, dai volti arcigni e mistici», lamenterà Chytil. Nel 1749, per risanare le finanze, Maria Teresa d’Asburgo svende ad Augusto iii di Sassonia molti dipinti, ora a Dresda. Durante la guerra dei Sette anni, nel 1757, il castello di Praga è preso a cannonate e nella fretta, per metterle in salvo, si frantumano molte opere. Nel 1780, Giuseppe ii ordina d’adibire il castello a caserma e si bandisce un’asta, 13 e 14 maggio 1782, per far spazio e liberarsi di opere e oggetti «superflui». Y Chissà cosa avrebbe provato Rodolfo ii, modello anche per l’Utz di Chatwin (dove nel finale il “barone” ceco Utz sembra disfarsi dell’amata collezione di porcellane Meissen, trascinandosi verso il viottolo di una discarica), nell’assistere, alla vigilia dell’asta del 1782, al lancio nel Fossato dei Cervi di alcuni suoi fragili oggetti preziosi, ammassati in ceste. Le inette stime preliminari della vendita sviliscono i suoi capolavori, tanto da far precipitare a trenta crazie l’Ilioneus, pagato 10 mila ducati da Rodolfo; mentre si attestano a uno o due fiori- il racconto 0020.saggi.qxd 87 la diaspora dalla serenissima e «l’autunno» di praga 0020.saggi.qxd 88 1-12-2010 11:41 Pagina 88 ni le valutazioni per i migliori quadri, compresa la celebre Festa del Rosario di Dürer (Praga, Národní Galerie; vedi p. 52), seppur danneggiata nel 1635, durante la guerra dei Trent’anni. L’opera era tra le glorie della collezione sottratte alla Serenissima. L’esito settecentesco è impietoso a paragone con le cure di Rodolfo per acquistare quella famosa grande tela del «germanus» Dürer, autore anche dell’incisione Melencolia I, fra i pittori preferiti del saturnino imperatore. La pala era stata commissionata nel 1506 dalla Confraternita dei tedeschi, per l’altare di San Bartolomeo a Rialto, a Venezia. Qui Rodolfo la compra nel 1606 per novecento ducati; affinché non si rovini, dispone che sia avvolta in tappeti e trasportata a spalla oltre le Alpi da una squadra di energumeni, con l’ordine di mantenerla in verticale. Nel castello di Praga, ancora nel 1876 e a metà Novecento, riaffiorano opere di Rodolfo; già alla sua morte, il ciambellano Makovský svela che il sovrano aveva «nascosto e murato» ingenti preziosi; nelle memorie, 1619, Dačický evoca il mistero dei tesori imperiali, mentre tutto «era un continuo dryps-draps». Leopoldo Guglielmo, amante della pittura veneta, a metà Seicento porta a Praga le opere comprate all’asta della collezione Buckingham, insieme ad altre del re Carlo i, e con le supersititi rudolfine avvia la seconda Galleria del castello. Y «Rodolpho di poche parole», per l’ambasciatore veneto, costringe i diplomatici a eterne attese; riceve invece “gabbamondo”; lo circondano artifici e congegni; è ipocondriaco; per confessore ha un cabalista, Pistorius. Nel 1584, dalla Polonia raggiunge Praga il filosofo elisabettiano John Dee, con il negromante Eduard 1-12-2010 12. Paolo Caliari, detto Veronese, Allegoria d’amore. La rinuncia all’amore disonesto (Il rispetto), Londra, The National Gallery. Paolo Caliari, called Veronese, Allegory of Love. Renouncing Dishonest Love (Respect), London, The National Gallery. 13. Paolo Caliari, detto Veronese, Allegoria d’amore. Il premio dell’unione onesta (L’unione felice), Londra, The National Gallery. Paolo Caliari, called Veronese, Allegory of Love. The Reward of the Honest Union (Happy Union), London, The National Gallery. 11:41 Pagina 89 Kelley, che compra due case: una già abitata, secondo la leggenda, da Faust, o Felice, o Kuttenberg (poiché nato a Kutná Hora, da cui l’identificazione con Gutemberg, l’inventore della stampa). I due “maghi” inglesi collegano la regina vergine Elisabetta all’imperatore celibe Rodolfo ii, notava Evans. Entrambi i sovrani, garanti di equilibri crollati alla loro morte, segnano profetici avamposti di prospettiva liberale contro la montante reazione. Intanto, nella città ebraica, “quinto quartiere” di Praga, le lancette dell’orologio municipale corrono à rebours, per Apollinaire. Il ghetto raggiunge l’età aurea nel periodo rudolfino; il ricco Mordechaj finanzia pure l’imperatore per le collezioni e contro i turchi; il rabbino Jehuda Löw ben Bezalel (fig. 26) è ricevuto a corte e nell’udienza del 16 febbraio 1592 discute con il sovrano problemi della comunità ebraica. Ciò nutre la Golemlegende, secondo cui Rabbi Löw crea il fantoccio di creta, Jossile Golem, per farsi aiutare a suonare le campane dell’antica sinagoga. Se il termine ebraico Golem («gójlem» in jiddisch) rinvia all’embrionale «grumo informe» del Salmo 139 e nel Talmud evoca il non compiuto, nell’immaginario praghese l’imperfetto assume le sembianze del gigante d’argilla, in bilico tra servitù e ribellione. Il Golem si anima quando gli si introduce in bocca lo schem (foglietto con l’impronunciabile nome di Dio), e si affloscia se glielo si sottrae. Può innescare il Golem anche l’incisione sulla fronte del vocabolo Emet (Verità), la cui iniziale, se cancellata, ne decreta la Met (Morte). Antitetica all’ingegno del suo artefice è l’operosa schiavitù del Golem, privo di intelligenza razionale (a differenza d’un robot: termine ceco da robota, fatica fisica, corvée, suggerito al boemo Karel Capek per designare gli automi del suo dramma R.U.R., 1920; in slavo antico rob è «schiavo», precisa Ripellino in Praga magica). Negli anni di Rodolfo fu portato in città dalla Spagna anche il Bambino di Praga o Jezulátko, taumaturgico simulacro di cera esposto a Santa Maria delle Vittorie. La saga dei fantocci e del Golem s’esalta nella Praga rudolfina. Y Le opere riunite dall’imperatore («dio bisognoso di aiuto» per Max Brod, 1916) lo rievocano ovunque, seppur disseminate in diversi musei, quasi a emblema dei viaggi del pellegrino praghese: il Poutník del Labirinto comenico, che si reca nel mondo dopo la disfatta della Montagna Bianca. A Hradčany, intanto, sopravvive la memoria delle collezioni, nella magione incantata voluta dal suo ideatore, novello Faust: Rodolfo ii, dio bisognoso di tutto, infinito nell’inesausta ricerca di perfezione. il racconto 0020.saggi.qxd 89 the diaspora from the serenissima and the prague ‘autumn’ 0020.saggi.qxd 1-12-2010 11:41 Pagina 90 1-12-2010 11:41 Pagina 91 the diaspora from the serenissima and the prague ‘autumn’ art in the court of rudolph ii: magical collecting and a love of venetian painting Rosella Lauber 14. Paolo Caliari, detto Veronese, Venere e Marte con due Amori e il cavallo, New York, The Metropolitan Museum of Art. Paolo Caliari, called Veronese, Venus and Mars with Two Cherubs and a Horse, New York, The Metropolitan Museum of Art. Y The snow of the previous night had created the opportunity for the emperor Rudolph ii to come down from his protected castle and drive through the streets of the enchanted circle of Old Prague. This rare testimony is provided by a letter sent from the Bohemian capital on 3 February 1579 by the ducal secretary Aurelio Pomponazzo to the Gonzaga councillor, Aurelio Zibramonti. On that day, the resident Giorgio Carretto noted in a missive, like the previous one in the Mantua state archive, that his majesty with 24 sleighs ‘drove through Prague, and appeared twice in this square very cheerfully’. The information is surprising: the solitary and melancholy figure of the Habsburg sovereign is shown in an unusual way, riding along in triumphal parade, happily giving himself up to the crowd. The portrait of Rudolph ii (Vienna 1552-Prague 1612), ‘the greatest art patron in the world’ according to Karel van Mander (1604), has been handed down along different chthonic or underground lines, privy more to the shadows than the light. The creator of an extraordinary collection, more than a quarter of which was made up of Italian and especially Venetian paintings, lived apart, on the hill of Hradčany, in the heart of the city crossed by the Moldova, or Vltava in Czech. Y Rudolph ii moved the court from Vienna to Prague in 1583, the ancient capital chosen by Charles iv. He created a prodigious imperial seat in the city of the Metamorphoses with his multiform intelligence; from 1576-79 he created the Sommerpalast, the imperial bedroom, the studio and the summer rooms. He enriched the residence with naturalia and mirabilia, gold, silver, ‘magic’ mirrors, Venetian and Bohemian glass, jaspers and agates, cameos, coins and medals, vases and Egyptian majolica, along with ancient and modern paintings and sculptures, reliefs and bronzes, fabrics and mosaics. Incunabula and miniatures appeared alongside Kunstbüchern and manuscripts, including the Codex Argenteus and the Codex Gigas, called the ‘Devil’s Bible’, borrowed from the Broumov monastery in 1594 and never returned. The materials the account 0020.saggi.qxd 91 the diaspora from the serenissima and the prague ‘autumn’ 0020.saggi.qxd 1-12-2010 15. Paolo Caliari, detto Veronese, Mercurio, Erse e Aglauro, Cambridge, Fitzwilliam Museum. Paolo Caliari, called Veronese, Mercury, Herse and Aglauros, Cambridge, Fitzwilliam Museum. 92 11:41 Pagina 92 were worked with technical virtuosity, also by Italian masters such as Abondio, Miseroni and Castrucci (fig. 2), who had moved to Prague. Rudolph also developed glass art there, while encouraging prospecting for mines and establishing a city in his name, Rudolphov. He demanded the almost exclusive use of Bohemian stone; the Caroni in Florence used this to make a table for him, which took seven years and was known as the ‘eighth wonder of the world’. In the castle, amid a chaos marked by horror vacui, he amassed works in four vaulted rooms with 37 cabinets, trunks and cases, through to the exclusive studio, the Šackomora, an art studio of curiosa and artificialia. He surrounded himself with precious and rare vegetable and animal things, his beloved horses, horn and flint, mandrake and the bones of giants, a head of Polyphemus and miniaturised creations on walnut shells and cherry stones, cups of bezoar and nails and magnets ‘said to be from Noah’s ark’; even a lump of clay from the valley of Hebron, ‘mud of the protoplast, Adam’. There were globes, astronomical and musical instruments, Automaten and silver clocks, also in the form of a boat. The exotic indianisch consisted of humming-bird feathers, ostrich eggs, Japanese paintings and ‘huaca’ (animated idols in Quechua), harbingers of supernatural powers, as for the Incas. Rudolph’s Kunst- und Wunderkammern almost reflected the divine book; also evoked in the Orbis sensalium pictus, 1618, created by Comenius, Bohemian Brothers bishop, inventor of the nursery school and of pansophy. Y Among astrological readings and alchemy, convinced he was ‘a damned soul’, Rudolph seemed marked by a ‘melancholy’ that intensified at the turn of the year 1600, amid millennial forebodings and religious crises. Giordano Bruno was burnt to death in Rome that same year, having gone to Prague in 1588 under the protection of the emperor. The apostolic nuncio Antonio Puteo wrote: ‘His Majesty is known for his choleric and melancholy constitution’. Rudolph swung between apathy and ferocious outbursts worthy of Bulgakov, also inclined towards suicide. The legacy of Joanna the Mad ran in his blood by dual ascendance, his ‘loca’ great-grandmother, married to Philip the Handsome and the mother of Charles v. Rudolph was sent to the son of this man, Philip ii, as an adolescent in 1563 and spent seven years there, becoming ‘spagnuolo’ in the severity of the court where the slow fuse of manias of grandeur and persecution would have been lit. His investiture was spectacular: he became king of Hun- 1-12-2010 11:41 Pagina 93 gary in 1572 at the age of 20; at 23 he was recognised as king of Bohemia and then king of the Romans; in 1576 he became emperor of the Holy Roman Empire, and remained on its throne for 36 years. Towards 1602 he asked Vermeyen for a new crown ‘pro sacra sua persona’ (Vienna, Schatzkammer), to the designs by Dürer for the Ehrenpforte of his great-great-grandfather Maximilian i; it was worth 500,000 scudi according to the Venetian Soranzo. He spared no expense, being the descendant of patrons and collectors like his paternal grandfather Ferdinand i (150364), his father Maximilian ii (1527-76; husband of Maria, daughter of Charles v) and his paternal uncle Ferdinand of Tyrol (1529-95), who created the magnificent Ambras collection, also with the Salt Cellar by Cellini, now in Vienna. Karl, son of Ferdinand and margrave of Burgau, sold the collection in 1605 for 170,000 florins to Rudolph ii, who had already inherited that of his brother Ernst, with emblematic works by Bruegel i, including the Hunters in the Snow (Vienna, Kunsthistorisches Museum; fig. 3). In his Spanish period, Rudolph grew up among the rich collections of Venetian paintings owned by his maternal grandfather Charles v (1500-58) and his uncle Philip ii (1527-98). Y Rudolph ascended to the throne in 1576, the year Titian died; in 1583 he took the court to Prague, along with his ‘dynastic’ love of Venetian paintings, especially those of Titian. Many of his paintings went into the imperial collections. In 1600 Cardinal Montalto sent the Danae to Rudolph from Rome (in Vienna from 1723, now in the Kunsthistorisches Museum; fig. 4). The Rest on the Flight into Egypt is probably also from Rudolph’s collections (documented in 1660 with the archduke Leopold William in Vienna; from 1851 in England, in the Munro of Novar collection; since 1878, via Christie’s, it has been in the collection of the account 0020.saggi.qxd 93 1-12-2010 the diaspora from the serenissima and the prague ‘autumn’ 0020.saggi.qxd 16. Paolo Caliari, detto Veronese, Ercole al bivio, New York, The Frick Collection. Paolo Caliari, called Veronese, Hercules at the Crossroads, New York, The Frick Collection. 94 11:41 Pagina 94 the marquis of Bath at Longleat House, Warminster, Wiltshire). The early provenance of the Vanity is probably the same. It was at Schleissheim castle in 1748 and has been in the Alte Pinakothek in Munich since 1836. Many of his masterpieces, in particular by Titian and Venetian artists, followed a troubled pathway after the Sack of Prague in 1648. Most of the booty went to Christine of Sweden, following her to Antwerp and Rome. The paintings then passed by inheritance to Cardinal Azzolino. In 1692 his descendants sold them to Prince Odescalchi, in 1721, they were bought by the duke of Orleans, and were finally sold at a private auction at the Lyceum in London, 1798-99. The ways parted after this. The Venus with Cupid and a Lutist, bought by Viscount Fitzwilliam, has been in the museum of that name in Cambridge since 1816. The Portrait of Laura Dianti went into the Kisters collection in Kruezlingen (fig. 5), through English collections, sold in New York in 1956-57. ‘An astonishing work’, it is thought to portray the lover of Duke Alphonse i. Cesare d’Este gave it to Rudolph ii, in whose collection it was defined as ‘a Turk’. The route taken by other Titian paintings was the same until 1798-99, including a Penitent Magdalene that is likened by an etching to the versions in Stockholm and Tokyo. Y A painting that may be identified as the one described in a letter sent from Prague on 21 August 1600 by Aderbale Manerbio to the duke of Mantua appears among those attributed to Titian in the imperial inventory of 1621. The resident says that Rudolph had shown him ‘a goddess Venus, an Adonis and a dog’ in a ‘room with many paintings’, as a gift from Vincenzo i Gonzaga in 1598 (it has recently been suggested that this may be identified as the Venus and Adonis by Titian at Somerley, Ringwood, Hampshire, Earl of Normanton). In the numerous variant on the subject, Venus was modelled on the ancient relief known as 1-12-2010 17. Paolo Caliari, detto Veronese, La saggezza e la forza, New York, The Frick Collection. Paolo Caliari, called Veronese, Wisdom and Strength, New York, The Frick Collection. 11:41 Pagina 95 the Bed of Polycletus, of which Ghiberti owned a version, then sold to Giovanni Gaddi according to Vasari. This may be the same one that was later in the Pio di Carpi collection, bought first by Ippolite ii of Este, and finally by Rudolph ii but lost in the Sack of Prague. The coveted gem with capita iugata stands out among the tributes made by the duke of Mantua in 1603, which Rudolph clutched in his hands in the ‘studio or cabinet where he keeps his most precious items’ (according to the latest hypotheses, this was the St Petersburg cameo, not that of Vienna). The emperor often won the pieces in bargaining by wearing down his counterpart. Thus in 1600, François, count of Cantecroy, nephew and heir of Cardinal de Granvelle (friend and patron of Titian) conceded, selling the 32 paintings that the emperor had asked for in a personally drafted list, even including the price, 13,000 ‘thalers’: a paltry sum and the same as that, previously refused, offered by Cardinal Farnese for a single work, The Martyrdom of the Ten Thousand by Dürer. A ‘Venus in her Bed with an Organist by Titian’ also appears among the paintings listed in Rudolph’s desiderata. This may perhaps be identified as a version now in Madrid, signed and with Cupid (mentioned in 1626 in the Alcazar, before going into the Prado in 1838; fig. 6), which Rudolph was then to exchange with Philip iii for paintings by Correggio; but the painting could also have come from the assets of Philip ii’s secretary of state, Diego de Vargas. In 1598, on the death of his uncle Philip ii, Rudolph had engaged the ambassador to Madrid, Hans Khevenhüller, to obtain the paintings in the Spanish royal collection, including those that had gone into it from the collection of the former secretary Antonio Pérez, after his fall from grace in 1579. But the best were obtained by Pompeo Leoni, who then sold them to Rudolph ii between 1601 and 1603. Refined the account 0020.saggi.qxd 95 the diaspora from the serenissima and the prague ‘autumn’ 0020.saggi.qxd 1-12-2010 18. Paolo Caliari, detto Veronese, Ritratto di Hans Jacob König, Praga, Národní Galerie. Paolo Caliari, called Veronese, Portrait of Hans Jacob König, Prague, Národní Galerie. 96 11:41 Pagina 96 paintings were sent to the emperor in Prague, who admired their invention, as in Cupid Carving his Bow by the ‘alchemist’ Parmigianino (Vienna, Kunsthistorisches Museum; fig. 7), and their sensuality, sublime in Correggio’s Loves of Jupiter, which included the Danae at the Galleria Borghese, the Leda in Berlin and the Jupiter and Io (fig. 8) and Rape of Ganymede (fig. 9) in Vienna, pursued for 20 years by the desperate Khevenhüller to gratify Rudolph’s informed yearnings. Y Khevenhüller himself praised Tintoretto at the Prague court. He had met the artist in Venice and bought at least three paintings from him there. He hung two in his villa at Arganda, near Madrid: Nine Muses and a Rape of Europe. All trace of these was lost in Spain in 1610, despite the protests of Rudolph ii, who had inherited them along with a Rape of Helen. The emperor, a polyglot who read Latin, was sensitive to speculative art and birthday horoscopy, and is thought to have boasted the Origin of the Milky Way by Tintoretto in his collection (fig. 1). This appears in Rudolph’s inventories of 1621 and 1637, and re-emerges in the collection of the marquis of Seignelay in 1690, possibly when it was cut on its lower side. In 1724 it belonged to the duke of Orleans and was then bought at auction at the Lyceum of London in 1798 for 50 guineas by Michael Bryan, the organiser of the sale. During 1831 it went to the count of Darnley and in 1890 was bought by the National Gallery. In the painting, Jupiter casts himself from on high with the little Hercules, born from the union with Alcmene of Thebes, and places him at the breast of his sleeping consort, Juno, to ensure his immortality. The jealous goddess, however, awakens and her milk spurts across the heavens through the celestial vault, giving rise to the ‘milky way’; other drops scatter on the earth and turn into lilies. The painting is described in the Maraviglie dell’arte (1648) with others featuring Hercules painted for Rudolph ii by Tintoretto, whose precision and luxuriant colours complied with Emperor’s preferences: ‘He painted four 1-12-2010 11:41 Pagina 97 works of fables for the rooms of Emperor Rudolph ii, with lifelike figures’. Alongside the painting by Tintoretto, versions or copies are recalled of the other three paintings described by Ridolfi, corresponding to the Concert of Muses in the garden (like that in Dresden, or the destroyed Parnassus), Hercules Chasing Silenus from the Bed of Omphale (evoked by that in Budapest, Szépművészeti Múzeum) and Hercules and Omphale (recalled by the version previously in the Battistelli collection, Florence). The predominance of the bed in three subjects out of four suggests that they were intended for one of the emperor’s private rooms. Y The original location of the Veronese cycle with the four Allegories of Love (London, The National Gallery; figs. 10-13), however, is controversial, as is the possibility of linking their purchase or direct commissioning to Rudolph ii. The square paintings, with bottom-up views, may have decorated the sides of the ceiling in the nuptial chamber of a Venetian palazzo before going to Prague prior to or in 1637, when they are recorded in one of Rudolph’s inventories. Van Dyck sketched two of the allegories in his Italian notebook, when they may have still been in Venice in around 1622, or known through copies and etchings. Indeed, an alternative theory on the paintings, which date from around 1575, would refer them to the Sommerpalast in Prague precisely in the years of Rudolph’s renovations; intended to decorate the ceiling, they would have been excluded from the earliest inventories, while appearing from 1637, possibly because of exhibition changes. Other Veronese paintings are thought to come from the decoration of the same Prague room, this time the walls: Borghini lists four mythological subjects in his Riposo (1584), painted ‘for the emperor’, dominated mainly by Venus and Cupid; in the Maraviglie (1648), Ridolfi notes three similar ‘inventions’ for Rudolph, though none of these is in the inventories. After the Sack of 1648 and subsequent changes of ownership until the duke of Orleans, the four Allegories of Love were unsold in the London auction of 1798 and taken in by the organiser Bryan. They were then sold on 14 February 1800 for about 40 guineas, going firstly into the Darnley collection and eventually to the National Gallery in 1890. After a similar path from the Sack to the Lyceum auction, other works by Veronese in the Prague lists were separated (previously thought part of a consistent cycle for Rudolph, though recent restorations and studies place this in doubt): the Venus and Mars with Two Cherubs and a Horse went rather to the account 0020.saggi.qxd 97 the diaspora from the serenissima and the prague ‘autumn’ 0020.saggi.qxd 1-12-2010 19. Joseph Heintz il Vecchio, Ecce Homo, Dresda, Staatliche Kunstsammlungen, Gemäldegalerie Alte Meister. Joseph Heintz i, Ecce Homo, Dresden, Staatliche Kunstsammlungen, Gemäldegalerie Alte Meister. 98 11:41 Pagina 98 New York, purchased by the Metropolitan Museum of Art in 1910 from Lord Winborne (fig. 14). Mercury, Herse and Aglauros, bought by Lord Fitzwilliam, has been in Cambridge since 1816 (fig. 15). The Hercules at the Crossroads and the Wisdom and Strength (figs. 16, 17) went into the Frick Collection in 1912. Various copies and fragments (relics, to Zeri), in private and public collections, can be referred to the early inventory registration of an Armed Mars Standing and Nude Venus who arms him, with cherubs and horse; a seventeenth-century copy is in Vienna. The Venus and Adonis Dying with Cherubs is also of Prague, possibly Rudolphian, provenance, and has been in the National Museum of Stockholm since 1947. Y The Veronese painting with the portrait of Hans Jacob König (Prague, Národní Galerie; fig. 18), documented in Prague Castle from 1685, would seem to have gone into Rudolph’s collections around 1605. König, born in Füssen, father-in-law of Girolamo Ott, acted between the north, Rome, Florence and Venice, where both merchants and collectors lived and had business, also related to the Fugger. The ‘König Joylieren di Venetia’, merchant, publisher of prints and goldsmith, portrayed by Tintoretto and Veronese, collected northern and Venetian paintings, portraits and self-portraits of painters. He was in close contact with Rudolph ii, at least from 1580, and became his agent. He was to promote von Aachen at court, of whom two selfportraits are conserved, as well as portraits of Spranger, Ligozzi and Giambologna. The König collection was dispersed in about 1605 and at least 15 portraits went to Prague. The Rape of Europe by Veronese, now in London, could have come from there, as has been recently suggested. The work can be recognised in Rudolph’s inventory of 1637, and possibly already in a list of about 1610-19, as in a König list of 1603. After the Sack of Prague, the painting went to Christine of Sweden, who took it to Antwerp and Rome, then to the duke of Orleans in 1721. It was bought at auction in 1798 by Willett for 200 guineas; then by Holwell Carr for 140 at the Willett sale of 1813. It was finally donated to the National Gallery in 1831. Y Despite procuring portraits of archduchesses on the pretext of seeking a wife, Rudolph never married, discouraged by a horoscope suggesting that a legitimate descendant would take over his reign. The long-time favourite among his lovers was Anna Maria Stradová, who gave him at least eight illegitimate chil- 1-12-2010 11:41 Pagina 99 the account 0020.saggi.qxd 99 the diaspora from the serenissima and the prague ‘autumn’ 0020.saggi.qxd 1-12-2010 20. Francesco Mazzola, detto Parmigianino, Autoritratto allo specchio, Vienna, Kunsthistorisches Museum, Gemäldegalerie. Francesco Mazzola, called Parmigianino, Self-portrait in the Mirror, Vienna, Kunsthistorisches Museum, Gemäldegalerie. 100 11:41 Pagina 100 dren. The first was the ferocious Don Julio (César de Austria), found dead at the age of 23 in Krumlov castle, where he had been locked up raving mad. Anna Maria was the daughter of Ottavio Strada, governor of the imperial collections on the death of his father Jacopo, the veteran ‘Šacmistr’ friend of Serlio. The young Rudolph would have learnt to paint in Jacopo’s sumptuous Vienna residence. In 1567 Jacopo and Ottavio Strada were in Venice, one painted by Titian in the celebrated work now in Vienna, the other by Tintoretto (memory of which is handed down by a version in the Rijksmuseum, Amsterdam). In Prague, Ottavio contributed to the volumes of illustrated emblems by Sadeler, the Symbola (1601-03), culminating in those of Rudolph and his motto adsit. Y In 1595 the emperor promulgated a Letter of Majesty, raising painting by decree to one of the arts and no longer a craft, and enfranchised it with corporate rules. Court masters were endowed with privileges and titles. Joseph Heintz i, who was updated on Italian painting and had also stayed in Venice on his travels, became Kammermaler in 1591. In Prague he also showed the influence of Tintoretto (fig. 19), while his son painted in Venice from 1625 until his death in 1678. Ridolfi mentions the two Heintzs in his Maraviglie, when he describes the sending of the Months by Bassano from Venice to Rudolph (see VeneziAltrove 2009). The emperor liked the cycle so much he called the painter to Prague, but Jacopo Bassano was one of the few who refused him, as did Federico Zuccari. The Venetian Giovanni Contarini was in Prague, however, at least after 1587 and in 1593, when he accompanied the archduke Ernst to Flanders. According to Ridolfi he painted portraits, mythological tales ‘and other similar inventions; to satisfy the tastes of that Majesty’, such as to obtain gifts and titles. Boschini (1660) introduces him as a ‘worthy knight, and Emperor Rudolph’s second most preferred painter’ in the style of Titian; the Fall of the Reign of Saturn also shows relations with Heintz i (Prague, Národní Galerie; see p. 42). When he returned to Venice in 1596, Contarini set up house in San Moisè and dressed with sword, plumed hat and the golden necklace given him by the emperor, as in the self-portrait in the Uffizi (see p. 65). Another Venetian who went to Prague was Giulio Licinio, one of the first imperial painters, along with Martino Rota; he procured paintings and ideas from Venice for Rudolph. Paolo Piazza, alias Fra Cosmas, a Capucin painter in 1-12-2010 11:41 Pagina 101 the convent of Hradčany, also arrived from the Veneto. Alongside the Venetians, Prague attracted northern painters who had moved to Venice, such as Pozzoserrato and Paolo Fiammingo, who also worked for the Fugger bankers. Rudolph’s collections included many works by Paolo Fiammingo, who was in Venice from 1573 (where he enrolled in the Guild of painters in 1584). They possibly included some now in the Národní Galerie, such as the Athena’s Birth out of the Head of Zeus (see p. 58). Many of his paintings were also in Venetian collections, including that of Alessandro Vittoria, a friend of Jacopo Strada. The emblematic Self-portrait in the Mirror by Parmigianino (Vienna, Kunsthistorisches Museum; fig. 20) went to Rudolph from Vittoria. The painter gave it to Clement vii, who gave it to Pietro Aretino, who took it to Arezzo where Vasari saw it. It then went to Valerio Belli and, through Elio Belli, mediated by Andrea Palladio and in the presence of Francesco Pisani, was bought for 10 scudi by Vittoria in Venice, from whom it went to Rudolph ii. Y The Veneto section of the emperor’s Kunstkammer also boasted works by Andrea Schiavone, Andrea Vicentino and Pordenone. Among the numerous subjects by Paris Bordon in the inventories, the Venus, Flora, Mars and Cupid (St Petersburg, Hermitage) seems to have influenced the Allegory of the Reign of Rudolph II by Dirck de Quade Ravestijn (Prague, Národní Galerie). Rudolph established a court that was crucial to European Mannerism. He promoted artists like Spranger and Sadeler, von Aachen, Heintz i, de Vries, Mont, Jamnitzer, Vianen, Stevens, Savery, Joris and Jacob Hoefnagel, Hofmann and Gundelach: all brought together in the cosmopolitan École di Prague to compose the ‘Rudolphine style’, animated by eroticism and virtuosity, observation of nature, the apotheosis of imperial symbols, between patronage and military triumphs, in- the account 0020.saggi.qxd 101 1-12-2010 the diaspora from the serenissima and the prague ‘autumn’ 0020.saggi.qxd 21. Bartholomeus Spranger, Ercole, Deianira e il centauro Nesso, Vienna, Kunsthistorisches Museum, Gemäldegalerie. Bartholomeus Spranger, Hercules, Deianeira and the Centaur Nessus, Vienna, Kunsthistorisches Museum, Gemäldegalerie. 102 11:41 Pagina 102 cluding the reconquest of Raab, 1598. At night, Rudolph would go down and caress the works, inspired by a rarefied passion; he would cry with joy as he took the coveted relief by Giambologna, obtained in Modena, to his bedroom. Karel van Mander also describes the Lives of many Rudolphine painters, including his friend Bartholomeus Spranger, who after a period in Italy was in Prague in 1580 and the following year became Kammermaler. Influences of Venice and of Giambologna (who never went to Prague himself) are apparent in his sensual paintings, such as Hercules, Deianeira and Nessus (Vienna, Kunsthistorisches Museum; fig. 21), from the cycle intended to decorate the imperial palace; he had a room next to that of Rudolph, who could watch him painting. Plants and animals seem to compose a secret language of nature, among locusts and butterflies around a wilting rose, in the works of Joris Hoefnagel, who went from Rome to Venice, and was in Prague from 1590, where he produced views, volumes on the animal kingdom, botanical drawings and illustrations for Bocksay’s calligraphy manual. The rural and Biblical scenes of Roelandt de Savery feature the first portrayal of the Dodo, a bird discovered by the Dutch in Mauritius in 1598 and immediately added to Rudolph’s serraglio. Y Influences of Tintoretto can be seen in the works of Joseph Heintz i and Hans von Aachen (fig. 22), who stayed in Venice several times since 1574, copying not only Robusti, but also Bassano and Veronese. Thanks to the Fuggers and König, he was introduced to Munich and then Prague in 1592. He became a fiduciary of Rudolph with the singular title of ‘Kammermaler von Haus aus’ (chamber painter in his own home). His search for paintings took him to the Netherlands, Mantua and Venice, 1-12-2010 22. Hans von Aachen, Bacco, Cerere e Cupido, Praga, Národní Galerie. Hans von Aachen, Bacchus, Ceres and Cupit, Prague, Národní Galerie. 11:41 Pagina 103 which he visited in 1603. The emperor also contacted Hans Rottenhammer here, who bought, restored and varnished paintings for him in Venice, possibly also through the Otts. The painter took care of the preparations for transporting the Rosary Altarpiece (noted below) to Prague, while a copy of it was possibly also made in his workshop, then in the Grimani collection in Venice. The emperor called for reproductions of masterpieces he was unable to obtain, including copies of Rubens by Correggio. Even ambassadors acted as agents, but not only. He also advanced a sum of money to the ‘Jewish world traveller’ Seligman to purchase art in Venice, but he took it and disappeared. Rudolph wove tapestries (which he designed and collected, also by Bosch), and a widespread network for purchases. Informed about the appearance on the market of paintings and collections, he exercised a premature ‘connoisseurship’. He could identify the hand of the artist, including that of Dossi, and often wanted them in his court. In summer 1604 he spent ‘two and a half hours absent, immobile, looking at the paintings of the fruit and fish markets’ sent by the duke of Savoy, and instigated the search in Cremona for its painter, if alive, so he could be brought to court. Y The emperor appears as Vertumno in a crypto-portrait described also by Lomazzo, who may have supplied Rudolph with works by Leonardo (and two entries previously referring to the Lady with Ermine, documented only from 1809 at the Czartoryskis in Krakow, appear in the inventory of 1621). The convoluted image of Vertumno was painted in about 1590 by Arcimboldo, the ‘very ingenious imaginative painter’, official artist in Vienna with Ferdinando i (1526-64) and Maximilian ii (1564-76), then in Prague. His grotesque style features composite heads and reversible, babelish, phytomorphic or zoomorphic accumulations, the account 0020.saggi.qxd 103 the diaspora from the serenissima and the prague ‘autumn’ 0020.saggi.qxd 1-12-2010 23. Il castello di Hradčany a Praga. Hradčany castle, Prague. 104 11:41 Pagina 104 tools or books, ‘speaking’ false profiles, series of elements and seasons. Rudolph allowed the elderly painter to return to Milan in 1587, provided he continued to send works and act as his agent. So Arcimboldo sent Flora to Prague, and the Portrait of Rudolph II as Vertumno (Balsta, Sweden, Skokloster Slott; see p. 4), the divinity who presides over the changing of the seasons and the ripening of fruits, especially in autumn. A melon is shown as the forehead of the Prague ‘Autumn’, while a pear represents the nose and a cherry and vermilion berry the eyes; the cheeks swell with peach and apple; two hazelnuts make the moustache, a thorny chestnut the tip of the bristly beard, with hair of grape shoots, bunches of grapes and ears of wheat, while flowers and vegetables form the neck and shoulders. Rudolph, ‘lord of the whole world’, sent a letter and nominated the painter comes palatinus. Y The emperor’s alchemists, many from Venice, would have lived in the ‘doll’s houses’ at the foot of the castle (fig. 23) in the winding Golden Lane (fig. 24), previously the home of jewellers (Kafka, as well Madame de Thebes were also to live in that dreamlike road). The emperor surrounded himself with magicians, naturalists and scientists. He also called Giacomo Alvise Cornaro of the Veneto, while the Danish astronomer Tycho 1-12-2010 24. La Viuzza d’Oro a Praga. The Golden Lane, Prague. 11:41 Pagina 105 Brahé stood out (‘loquacious’, to Galileo), who was succeeded at court by Johann Kepler, welcomed here while elsewhere pursued for his evangelical faith. The latter dedicated his Astronomia Nova, 1609, to Rudolph ii, with the first two laws of the movement of the planets around the sun, followed in 1619 by the third, while in 1627 he completed his Tabule Rudolphiniane to calculate the position of the planets. Legend has it that it was Brahé (with his silver and gilt prosthesis in place of the nose he had lost in a duel) who made the prediction that Rudolph would come to a fatal end involving the African lion he had tamed. The superstitious sovereign died a few days after his beloved cat, long kept under close watch when, on leaving the wing of the castle above the Deer Moat, it would go down into the gardens, among the statues, water games and glasshouses. The emperor was threatened by internal and external enemies. He feared his brother Matthias, who forced him to abdicate and succeeded to the throne (1612-19); Rudolph died ten months later. After 1612, tensions between Catholics and Protestants were strained. The example set by Rudolph’s father encouraged his tolerance, and he granted religious freedom with a Bull of 9 July 1609, but on his death it was feared this would be revoked. The first act of the Thirty Years’ War (1618-48), the Defenestration of Prague, took place on 23 May 1618, when two lieutenants and a secretary who had requested audience at the castle were thrown out of the windows by the Protestants at the end of the discussions. A decisive battle took place on 8 November 1620 at White Mountain, marking the decline of Bohemian glory. Maximilian of Bavaria left Prague with 1500 wagons of booty; after the Saxon occupation, 1631, more than 50 vehicles of precious goods left the castle. Y Raids by various armies stormed through Prague up until the Peace of Westphalia of 1648, after a strenuous but vain resistance the account 0020.saggi.qxd 105 the diaspora from the serenissima and the prague ‘autumn’ 0020.saggi.qxd 1-12-2010 25. Adriaan de Vries, Busto di Rodolfo II, Vienna, Kunsthistorisches Museum, Kunstkammer. Adriaan de Vries, Bust of Rudolph II, Vienna, Kunsthistorisches Museum, Kunstkammer. 106 11:41 Pagina 106 to the Swedish troops of Count von Königsmarck, who looted the city. The general tortured the treasurer Dionysio Miseroni to obtain the keys to the Kunstkammer with the inventory drawn up in 1647, and to have him compile another one. It seems that the terrible Sack of 1648 was triggered precisely to take Rudolph ii’s collections for the daughter of King Gustav ii Adolf, Christine of Sweden. The Prague booty went to Stockholm and the queen commented to Lord Arundel: ‘An infinite number of pieces, but apart from the thirty or forty that are Italian originals, I care nothing for the others’; indeed, she happily traded the almost 500 Dürer and northern paintings for a pair of Raphaels. After her abdication and conversion, Christine moved to Rome in 1655, to the Palazzo Riario alla Lungara, along with her collection. This included 57 paintings from the Prague lot, primarily Correggio and Venetians, while the others remained in Stockholm (prey to subsequent fires in 1697 and 1702). She also took with her some Rudolphine books, including the Codex Gigas (since 1649 at the Kungliga Biblioteket in Stockholm), many of which went into the Vatican Library. After the Sack, works bagged by various commanders also went to Sweden. The bronze bust of Charles v by Leone Leoni and the imperial one commissioned by Rudolph as a pendant, made by Adriaan de Vries (fig. 25), went into the collections of Königsmarck, who had bought up five wagons of precious goods. On the death of the last heir in 1806, the two bronzes and other examples from the Prague booty, including 24 paintings by Giulio Romano, were bought by the Austrian ambassador von Lodron-Laterano, who donated them to the Crown (Vienna, Kunsthistorisches Museum). Hundreds of masterpieces went to Stockholm, such as the equestrian statue of Rudolph by Giambologna and the Adam and Eve by Dürer; many compositeheads by Arcimboldo are also in Sweden; most of Rudolph’s works were dispersed. Y The collections were valued at 17 million gold coins on the death of the emperor. The Venetian Soranzo reported from Prague on 5 March 1612 that objects were being discovered every day, in every corner and hidden cupboard of the ‘warehouse’palace, along with ‘paintings numbering 3000, and more paintings by famous early and modern artists, that not only fill all the rooms, galleries and halls, but an immense number of which are wrapped and stacked up, being so plentiful that rather than en- 1-12-2010 11:41 Pagina 107 hancing the palace they almost make it into a warehouse’. Matthias shifted paintings to Vienna; others were divided among the members of the dynasty, such as Maximilian iii and Archduke Albert and Isabel in Brussels (1615). In 1619, the revolutionary Calvinists of Prague ordered the sale of the ‘obscene’ nude figures. Following the Catholic reconquest, ‘the Olympian gods, the Graces, the Muses and the nymphs went into exile’, replaced by ‘new and foreign guests: all those Spanish and other saints, with their stern and mystical faces’, lamented Chytil. In 1749, Maria Theresa of Habsburg sold many paintings to August iii of Saxony to restore the finances, which are now in Dresden. During the Seven Years’ War, Prague castle was bombarded by cannon, 1757, and many works were shattered in the haste to save it. In 1780 Josef ii ordered the castle to be turned into a barracks and held an auction on 13 and 14 May 1782 to make room and free it of ‘superfluous’ works and objects. Y Who knows what Rudolph ii would have made of the scene on the eve of the auction of 1782, when some of his fragile precious objects were gathered into chests and thrown into the Deer Moat. (The emperor was also the model for Chatwin’s Utz, where in the finale the Czech ‘baron’ Utz seems to get rid of his much loved collection of Meissen porcelain, dragging it off towards the path to a dump). The inept preliminary estimates of the sale demeaned his masterpieces, such as to drop the Ilioneus, bought by Rudolph for 10,000 ducats, to a mere 30 crazie; while the best paintings were sold off for a few florins, including the famous Festival of the Rosary by Dürer (Prague, Národní Galerie; see p. 52), albeit damaged in 1635 during the Thirty Years’ War. This was one of the glories of the collection taken from Venice. The eighteenth-century events were ruthless compared to the care taken by Rudolph to buy the famous big painting by the ‘germanus’ Dürer, who also created the Melancholy I etching, and was one of the saturnine emperor’s preferred painters. The altarpiece had been commis- the account 0020.saggi.qxd 107 the diaspora from the serenissima and the prague ‘autumn’ 0020.saggi.qxd 108 1-12-2010 11:41 Pagina 108 sioned in 1506 by the ‘Confraternita dei tedeschi’ for the altar of San Bartolomeo at Rialto, Venice. Rudolph bought it there in 1606 for 900 ducats. In order to ensure it would not be damaged, he arranged for it to be wrapped in carpets and carried over the Alps on the shoulders of a team of roughs, with orders to keep it vertical. Some of Rudolph’s works re-appeared in Prague castle again in 1876 and even in the mid-twentieth century. At the time of his death the chamberlain Makovský revealed that the sovereign had ‘hidden and walled up’ numerous precious items. In his memoirs of 1619, Dačický evokes the mystery of the imperial treasures, while everything ‘was a constant “dryps-draps”’. Leopold William, a lover of Venetian art, took the works bought at the auction of the Buckingham collection to Prague in the mid-seventeenth century. He founded the second Castle Gallery with these and others from King Charles i, and with the Rudolphine survivors. Y ‘Rudolph of few words’ to the Venetian ambassador, compelled diplomats to eternal waits; but received ‘tricksters’; he surrounded himself with artifices and devices; he was a hypochondriac; he had a cabalist, Pistorius, as confessor. In 1584, the Elizabethan philosopher John Dee and the necromancer Eduard Kelley went to Prague from Poland. Kelley bought two houses: one previously inhabited, legend has it, by Faust, or Felice, or Kuttenberg (because born in Kutná Hora, thus the identification with Gutenberg, the inventor of printing). The two English ‘magicians’ connected the virgin Queen Elizabeth to the celibate Emperor Rudolph ii, noted Evans. Both sovereigns, guarantors of a stability that collapsed on their deaths, were prophetic outposts of a liberal perspective against mounting reaction. In the meantime, the hands of the municipal clock in the Jewish town, the Fifth District of Prague, ran à rebours, according to Apollinaire. The ghetto reached its golden age in the Rudolphine period; the rich Mordechaj also financed the emperor for his collections and against the Turks; the rabbi Jehuda Löw ben Bezalel (fig. 26) was received at court, and in the audience of 16 February 1592 discussed the Jewish community’s problems with the sovereign. This nourished the Golemlegende, according to which Rabbi Löw created the clay puppet, Jossile Golem, to help him ring the bells of the ancient synagogue. The Jewish term Golem (‘gójlem’ in Yiddish) refers to the embryonic ‘unformed clot’ of Psalm 139 and in the Talmud evokes the in- 1-12-2010 11:41 Pagina 109 the account 0020.saggi.qxd 26. La confraternita della morte sulla tomba di Rabbi Jehuda Löw ben Bezalel, acquarello. The brotherhood of death on the tomb of Rabbi Jehuda Löw ben Bezalel, watercolour. complete, while in the Prague imagination the imperfect assumes the features of the clay giant, suspended between servitude and rebellion. The Golem is animated when the shem (a note bearing the unpronounceable name of God) is introduced into the mouth, and wilts if removed. The Golem can also be triggered by cutting the beginning of the word Emet (Truth), whose initial, if removed, makes it into Met (Death). The industrious slavery of the Golem is the antithesis of its artifice, as it lacks rational intelligence (unlike a robot: Czech term from ‘robota’, physical effort, corvée, as suggested to the Bohemian Karel Capek in designing the automatons of his drama R.U.R., 1920; in ancient Slav rob is ‘slave’, specifies Ripellino in Praga Magica). In the Rudolph years the Holy Child of Prague, or Jezulátko, a wax thaumaturgical simulacrum venerated in the Church of Our Lady Victorius, was taken to the city from Spain. The saga of the puppets and the Golem was glorified in Rudolph’s Prague. The reunited works of the emperor (‘god in need of help’ to Max Brod, 1916) are evoked everywhere, though disseminated around various museums, almost exemplifying the travels of the Prague pilgrim: Poutník in Comenius’s Labyrinth, who travels the world after the White Mountain defeat. In Hradčany, meanwhile, the memory of the collections survives, in the enchanted dwelling of its inventor, the new Faust: Rudolph ii, god in need of everything, unbounded in his inexhausted search for perfection. 109 0020.saggi.qxd 3-12-2010 14:10 Pagina 110 1-12-2010 11:41 Pagina 111 quando ai cechi rii e calli (sporche) piacevano soltanto di notte gli alberghi nel centro storico? erano cari già nel seicento, assai meglio dormire a padova Annalisa Cosentino 1. Ventaglio con vedute di Venezia, metà xviii secolo, Greenwich, The Fan Museum: uno dei ricordi che i viaggiatori riportavano dalla città. Fan with view of Venice, mid18th century, Greenwich, The Fan Museum: one of the mementoes travellers brought back from the city. i viaggiatori 0020.saggi.qxd Y «La bella città dalla quale è così duro partire»: così Jaroslav Seifert (1901-1986), l’illustre poeta ceco insignito del Nobel nel 1984 (figg. 2, 3), definisce Venezia, in una poesia della raccolta La cometa di Halley (Halleyova kometa, 1967), intitolata proprio Viaggio a Venezia. Si serve dunque di uno dei più triti cliché sulla «bella città», dai visitatori alternativamente percepita e innumerevoli volte descritta come luogo di ineguagliabile splendore e di altrettanto intenso, deprimente, mortifero squallore. In questa poesia, volta in versi italiani da Sergio Corduas nell’antologia Vestita di luce (1986), il poeta praghese non manca tuttavia di accennare con ironia anche all’eterno contrasto veneziano, evocando le consuete immagini di incanto accanto ad altre molto meno romantiche: Si può dire forse così: l’amore va e va e va e non v’è angolo dove non sia a casa sua. E i baci si allungano veloci come a primavera le giornate. E il gondoliere con riso cattivo pescò col remo davanti a noi ciò che lì al mattino gettano dalla finestra i dormienti d’amor prudente perché non hanno stufe. E per questo ci siamo una volta destati solo nell’amoroso silenzio di un quadro dove c’erano soltanto due colonne rosa e un pezzetto di mare. E tu subito strappasti le dita dalla mia mano! Ridammi la mano! Sarebbe triste, nella bella città dalla quale è così duro partire. E repentina dalla piazza risonò la lusinga di una musica dolce. I palazzi stavano infilzati nel mare come pèttini antichi con perle e bruscoli d’oro, ma nelle lagune era sporco e limo. Y Nelle sue Corrispondenze dall’Italia (Italské listy) del 1923 (tradotte in italiano soltanto nel 1992 con l’impreciso titolo letterale di Fogli italiani) il grande giornalista e grande narratore ceco Karel Čapek (1890-1938; fig. 4), coglie con il consueto acume l’ostacolo che si trova regolarmente di fronte chi si accinga a scrivere 111 quando ai cechi rii e calli (sporche) piacevano soltanto di notte 0020.saggi.qxd 1-12-2010 11:41 Pagina 112 di Venezia: si è quasi certi di cadere almeno in qualcuno dei tanti stereotipi lagunari. «Non vorrei scrivere molto di Venezia: penso che ciascuno la conosca. Somiglia davvero, in modo quasi fastidioso, ai vari “souvenirs de Venice”» (fig. 1). Venezia metteva Čapek a disagio. La frequentissima immagine del contrasto di splendore e decadenza ricorre spesso anche in ciò che della città scrivono i visitatori cechi, e naturalmente soprattutto coloro i quali la visitano nei secoli recenti, decaduti i fasti della Serenissima Repubblica. 2-3. Jarosalv Seifert, in due immagini, più giovane e anziano, premio Nobel per la letteratura 1984. Jarosalv Seifert, in two pictures, younger and older, Nobel prize for literature 1984. 112 Y Quanto alle epoche più lontane, non sono tante le relazioni di viaggio in Italia scritte da autori cechi. Questa scarsezza potrebbe spiegarsi almeno in parte con la precoce, già trecentesca, attitudine protestante della Boemia, i cui figli preferivano mete più consone alla loro mentalità antipapale – come ad esempio la Francia –, o anche, semplicemente, alla loro esigenza di ricerca spirituale; e in questo secondo caso, Venezia si visitava almeno di passaggio, essendo il porto da cui salpare per la Terrasanta. Ai viaggiatori cechi sembra fosse congeniale la maniera di raccontare i viaggi inaugurata proprio da un veneziano, quel Marco Polo che aveva narrato la sua spedizione in Oriente con dovizia di informazioni su ciò che aveva visto e vissuto. Scarni dunque in genere quanto ad abbellimenti fantastici e ipotesi utopistiche, i primi resoconti cechi testimoniano di Venezia fatti molto concreti, che i viaggiatori trovavano interessanti per sé e per i propri lettori, per lo più senza cedere a fascinazioni e mitologie vere o presunte. Secondo alcuni, i resoconti di viaggi rinascimentali anticipano addirittura la moderna «literatura faktu», quei libri cioè che raccontano gli eventi attraverso documenti e testimonianze, un genere molto gradito ai lettori cechi. Chi desiderasse l’elenco e l’analisi dei libri di viaggio cechi dal Medioevo ai nostri giorni, potrà agevolmente trovarlo nei tanti dotti studi dedicati all’argomento; qui basti osservare che i resoconti di due viaggi in Palestina via Venezia sono tra le più belle relazioni scritte da viaggiatori cechi al tramontare del Rinascimento. Y Al 1546 risale il Viaggio da Praga a Venezia e poi da lì per mare fino in Palestina (Cesta z Prahy do Benátek a odtud potom po moři azˇ do Palestyny) di Oldřich Prefát z Vlkanova (1523-1565), matematico e astronomo che delle due soste a Venezia, all’andata e al ritorno, descrive minuziosamente l’impegno per l’organizzazione concreta del 1-12-2010 11:41 Pagina 113 viaggio, fornendo così una preziosa guida ai suoi lettori e forse futuri viaggiatori: dopo l’itinerario del viaggio fino a Venezia, con la precisa indicazione delle distanze tra i vari luoghi attraversati, nel secondo capitolo (intitolato «Contratto tra il patron ovvero l’amministratore della nave e i pellegrini»), Prefát racconta dettagliatamente gli articoli che compongono il contratto per la fornitura della nave per la Palestina, per poi dedicare molto spazio a quanto servirà durante il viaggio, ad esempio il cibo; nel descrivere la nave e il suo contenuto, aggiunge una pregevole illustrazionedi una nave con tante vele tra i flutti. Il terzo capitolo tratta della celebre processione che si teneva il giorno del Corpus Domini a Venezia (fig. 5), e dell’omaggio reso ai pellegrini: Prefát descrive la cerimonia dal punto di vista dei pellegrini, soddisfatto dell’attenzione che i veneziani prestano affinché a costoro sia riservato un trattamento particolare. Y All’inizio del Seicento, Kryštof Harant z Polžic a Bezdružic (1564-1621), nobile e diplomatico, scrittore e compositore, racconta il suo Pellegrinaggio ovvero Viaggio dal regno di Boemia alla città di Venezia, da lì per mare in Terrasanta (Putování aneb Cesta z království Českého do města Benátek, odtud po moři do Země svaté), compiuto nel 1598. Offre al lettore informazioni precise sulla storia e le bellezze artistiche di Venezia, rendendole concrete grazie a frequenti paragoni con la storia e l’architettura praghesi. Ma è alla descrizione puntuale e meticolosa del sistema amministrativo e giudiziario veneziano, corredata dei nomi riportati in italiano delle varie cariche e funzioni, che dedica gran parte del secondo capitolo del suo celebre resoconto. L’efficiente amministrazione veneziana in genere colpiva i visitatori: tra i cechi, ne aveva già scritto Václav Šašek z Bířkova nel xv secolo. L’attesa a Venezia di poter partire per mare si prolunga (fig. 6), e per non dover presto conoscere carenza di denaro, Harant e i suoi accompagnatori decidono di lasciare la locanda “Al Leon Bianco” (fig. 7) e le osterie veneziane, troppo care, e di recarsi i viaggiatori 0020.saggi.qxd 113 quando ai cechi rii e calli (sporche) piacevano soltanto di notte 0020.saggi.qxd 1-12-2010 11:41 Pagina 114 ad aspettare a Padova che la nave sia pronta per salpare. La buona conoscenza di Venezia e dei veneziani sarebbe comunque tornata utile al diplomatico ceco; molto interessato all’Oriente, e in particolare all’impero ottomano, Harant è costretto talvolta a nascondere la sua identità di suddito asburgico; per poter andare in Turchia, si spaccia allora per veneziano, come racconta nella prefazione al suo Pellegrinaggio: «Volendo purtuttavia avvantaggiare me stesso nonché altri per mia cagione, mi recai sempre in quelle terre (grazie all’amato Signore Iddio) celando intanto la mia identità e la mia patria, indotto a ostentare la signoria dei signori veneziani». 4. Karel Čapek è uno dei maggiori viaggiatori cechi del Novecento in laguna. Karel Čapek was one of the main 20th-century Czech travellers to Venice. 114 Y I diari di viaggio in Italia si fanno più numerosi a partire dall’inizio dell’Ottocento; la loro lunga serie è inaugurata da un’opera di grande valore sia letterario, sia storico e culturale. Milota Zdirad Polák (1788-1856), raffinato poeta ceco e ufficiale dell’esercito asburgico, non è un viaggiatore per sua scelta personale: segue in Italia il generale di cui è attendente. Il suo Viaggio in Italia (Cesta do Itálie), che si svolge tra il 1815 e il 1818, ha come meta Napoli, dove Polák trascorrerà la maggior parte del tempo. Nell’avvicinarsi a Venezia, dichiara dapprima piacevole sorpresa nel vedere dalla barca la magnificenza dei palazzi che si stagliano sul mare. Poi, quando scende nella città, modifica l’idea primitiva: Dopo circa un’ora e un quarto, scorsi Venezia che si apriva davanti a me a mezzaluna nel mare. La vista da questo lato tuttavia non suscita grande meraviglia, giacché si naviga in mezzo a case diroccate e senza finestre oppure con le finestre coperte da carta e stracci. Poco dopo tuttavia mi ripresi, giacché entrando nel canale principale vidi due file di un centinaio di palazzi meravigliosamente costruiti e imbarcazioni di ogni genere e nazionalità, rallegrandomi per tanta magnificenza. Il ponte più alto e spazioso, con un arco che si incurva arditamente in altezza e porta da un lato all’altro del canale principale, è chiamato Ponte Rialto. Non è particolarmente adorno, ma è perciò tanto più degno di interesse per il costruttore. Tra i vari superbi palazzi di questo lato si trova il cosiddetto Fondaco dei Tedeschi (fig. 8). Sceso dalla gondoletta (una barca), presi a camminare per le vie, così strette che due uomini non possono evitarsi. Avvertendo l’odore malsano che ristagnava in 1-12-2010 11:41 Pagina 115 quelle strettoie piene di gente e la puzza insopportabile che saliva dai canali, mi feci un’idea diversa della bellezza della città. Y Prima di intraprendere il viaggio, Polák si è documentato bene; il suo resoconto si apre con una breve ma esauriente storia di Venezia, per poi tornare all’osservazione immediata dell’ambiente, che gli conferma la prima impressione, non del tutto positiva. Sebbene enumeri le bellezze artistiche e architettoniche della città mostrando gradimento oltre che coscienziosa erudizione, Polák è senza dubbio interessato anche a cogliere e raccontare l’atmosfera e la vita attuale della città, di cui segnala la decadenza: ad esempio osserva che all’Arsenale poco rimane dell’antica operosità e ricchezza di materiale; avverte che i veneziani sono buoni mercanti, abili a contrattare; si lamenta della grande quantità di mendicanti insistenti; con sollievo accoglie la notte che scende a celare la sporcizia, di giorno particolarmente evidente e fastidiosa. Con l’intenzione di fornire una relazione esauriente, menziona anche i teatri veneziani: «Per il pubblico svago il primo luogo è Piazza San Marco; poi c’è il Teatro La Fenice, il più grande, un edificio bello e ben decorato; notevole è anche il Teatro San Benedetto. Nei teatri si incontra tutta la bella giovane società veneziana» (fig. 9). Y Il Viaggio in Italia di Polák comincia a essere pubblicato a puntate sulla rivista «Dobroslav» a partire dal 1820. Molto probabilmente lo legge, rimanendone colpito, anche Karel Hynek Mácha (1810-1836), il celebre poeta romantico ceco che visita Venezia nel 1834. Gli appunti veneziani del Diario del viaggio in Italia (Deník na cestû do Itálie) di Mácha, frammentari e brevissimi, testimoniano alcune impressioni intense, sia dirette, sia mediate: così l’esclamazione «O Venezia, Venezia», ad esempio, riecheggia l’enfasi byroniana. Mácha registra rapidamente, come li vede percorrendoli, i luoghi. Le sue annotazioni veloci hanno un ritmo incalzante, un passo sostenuto; non sono note descrittive, ma appunti che trattengono la percezione immediata, sebbene presuppongano, senza esplicitarle, conoscenze pregresse. «Arrivati a Mestre. Partiti su una barca (fig. 10). Per la prima volta vista Venezia. Acqua salata. Entrati a Venezia. Camminato per la città, per la prima volta Markusplatz». Piazza San Marco, con la basilica, sembra aver impressionato particolarmente il giovanissimo poeta, che nelle poche righe del Diario dedicate a Venezia la i viaggiatori 0020.saggi.qxd 115 1-12-2010 11:41 Pagina 116 quando ai cechi rii e calli (sporche) piacevano soltanto di notte 0020.saggi.qxd menziona tre volte. Il breve elenco dei luoghi attraversati si alterna a notazioni su cibi e bevande, sulle costose osterie («Ci abbiamo lasciato anche le scarpe»), sul mal di mare una volta salito sulla nave che l’avrebbe portato a Trieste, la meta successiva del viaggio: «Seekrankheit [cioè mal di mare, n.d.r.]. Siamo usciti sul ponte. La nave dondolava. Venezia all’orizzonte. Poi siamo rientrati». Successivamente, Mácha rielaborerà le sue impressioni veneziane nel romanzo Gli zingari (Cikáni), del 1835, pubblicato in italiano soltanto nel 1997. Nel quattordicesimo capitolo del romanzo, ambientato a Venezia, il gondoliere che si è fatto zingaro racconta le pene d’amore che lo inducono a continui spostamenti tra un luogo e l’altro della città. Non manca naturalmente piazza San Marco; ma ci sono anche Rialto (fig. 11), i Giardini napoleonici, il ponte dei Sospiri, già registrati nel Diario. Lo zingaro parte infine per Trieste, come aveva fatto Mácha nel suo viaggio. L’armamentario romantico è potenziato nel riflesso dell’acqua: «Il sole tramontava su Venezia e lunghe strisce rosse si stendevano sul cielo e sulla superficie dell’acqua. [...] Sull’isola del Lido sedevo solitario con lo sguardo rivolto a oriente, quando la luna piena fece capolino dal mare oscuro. Parole senza senso, giuramenti senza scopo lanciavo in un sussurro incontro alla luna che sorgeva dietro il mare. Le onde argentee spiccavano sullo sfondo della riva oscura». 116 Pezzetti di carta bianca incollati al pianterreno comunicano al mondo indifferente che il palazzo si può affittare, altri pezzetti al pianterreno Y Il Viaggio in Italia di Polák, che Mácha aveva letto su «Dobroslav», esce in volume nel 1862, continuando a svolgere la sua funzione di capostipite e modello dei resoconti successivi. Senza dubbio vi si ispira Jan Neruda (1834-1891; fig. 12), grande narratore e grande giornalista cui Karel Čapek non di rado e non a caso viene accostato, nel visitare e raccontare Venezia. Le sue corrispondenze dall’Italia, che uscivano su «Národní listy» nel 1868 (poi nel 1872 in un volume di bozzetti di viaggio riuniti sotto il titolo di Benátská zrcadla, e cioè Specchi veneziani), riecheggiano spesso le osservazioni di Polák, quasi Neruda intendesse rispondergli in un dialogo a distanza. Anche questi, come già lo scrittore precedente, si lamenta dell’aspetto trasandato e della sporcizia di Venezia, probabilmente sorpreso per il decadimento della città, che gli sembra attraente e incantevole solo alla luce della luna: 0020.saggi.qxd 1-12-2010 11:41 Pagina 117 5. Francesco Guardi, La processione del Corpus Domini, Parigi, Musée du Louvre. Francesco Guardi, The Corpus Domini Procession, Paris, Musée du Louvre. 117 quando ai cechi rii e calli (sporche) piacevano soltanto di notte 0020.saggi.qxd 1-12-2010 11:41 Pagina 118 e poi sopra a tutti i piani che il palazzo si può comprare. Le due rive del Canal Grande ne sono cosparse come di cerotti e fanno sapere che la Venezia di un tempo ha ormai lasciato Venezia. Chi adesso viene a comprare un palazzo è nel migliore dei casi una danzatrice arricchita come la Taglioni, e chi lo prende in affitto è un sognatore come Byron. E ti mostrano palazzo Mocenigo e palazzo Giustiniani, e ti dicono che vi hanno vissuto Byron e Chateaubriand, guadagnandosi una mancia. Il Canal Grande è poetico solamente alla luce notturna, quando non se ne vede l’abbandono e la sporcizia. E ancora: 6. Bollettino di sanità rilasciato a Venezia nel 1656 a “Enrico Dalbergo polono”, Stoccolma, Riksarkivet. Bill of health issued in Venice in 1656 to “Enrico Dalbergo polono”, Stockholm, Riksarkivet. 118 Venezia è come una donna divenuta superba perché consapevole della sua beltà, ma è invecchiata; vuole la storia della propria bellezza, lunga e ricca, ma pure ancora il presente. [...] Venezia comincia ormai a essere, anzi ormai è una città di rovine, le più magnifiche e belle del mondo, ma rovine. Dopo quattro secoli di decadimento, ora va a pezzi e sprofonda. Verrà il giorno in cui i suoi pezzi smangiati finiranno a colmare i vuoti nella fangosa laguna. [...] Anche il veneziano è una rovina. [...] Al giorno d’oggi si contano a Venezia 30.000 poveri, 14.000 dei quali sono mendicanti. [...] C’è silenzio nella città delle lagune. Se si escludono le lunghe, strette e buie Mercerie, dove i mercanti e gli artigiani lavorano davanti ai laboratori spalancati facendo un po’ di baccano italiano, se si escludono forse due mercati, quello del pesce e quello delle verdure presso Rialto, la storica fine delle commerciali Mercerie, se si esclude Piazza San Marco di sera (figg. 13, 14), c’è silenzio. Anche le osterie sulle Rive, dove il gondoliere e il marinaio un tempo sbraitavano, ora sono più silenziose. C’è silenzio nei pressi della Piazzetta da cui sulla nave d’oro, il Bucintoro (fig. 15), usciva il doge eletto per immergere il preziosissimo anello nel grembo marino, la sua sposa; e al porto, dove in altri tempi erano ancorate fino a trecento navi veneziane, adesso sono appena sei le navi straniere di grandi dimensioni. All’arsenale, dove un tempo 16.000 operai entravano ogni mattina salutando «Evviva San Marco!», è tutto morto: l’arsenale si è trasferito a Genova. [...] Venezia esiste e non esiste. La guida vi mostra molte cose che furono. E vi mostra anche quel che è stato sottratto, ad esempio da Napoleone, e durante la restaurazione si dovette riportare indietro. Ma gli oggetti d’arte che, segretamente o apertamente, dai palazzi sono finiti e finiscono in un qualsiasi “cabineto di antichità” annerito dal fumo, e di qui all’estero, probabilmente non torneranno più. E tanto 1-12-2010 11:41 Pagina 119 meno tornerà la perduta indipendenza. Venezia non può essere una città assoggettata, provinciale, seconda, terza o quarta. Se non è al livello più alto, non vive più. È qui evidente il sentimento patriottico e antiasburgico di Neruda, che scrive di Venezia ma allude a Praga. Y Come nel suo capolavoro, i bellissimi Racconti di Malá Strana, Neruda compone immortali quadri di vita praghese illuminando i luoghi con il racconto dei caratteri e dei comportamenti delle persone, così anche in questi bozzetti veneziani si sofferma spesso sull’aspetto e l’agire della gente. Si potrebbe dire che anche in questi ritratti Neruda voglia qua e là rispondere a Polák, il quale aveva apprezzato le sembianze dei veneziani; Polák scriveva infatti: «I veneziani mi piacciono di più degli altri italiani. Hanno di solito un bel fisico. La cordialità che manifestano sia tra di loro che nei confronti degli stranieri, li rende gradevoli. Le ragazze, in effetti, sono pallide, ma la loro carnagione più bianca della neve e gli occhi neri li cercheremmo invano nelle terre germaniche». E Neruda sembra ribattere: «Se uno slavo vuol giungere alla terra promessa della bellezza femminile, non gli rimane che restarsene a casa propria. Alla bella Caterina Cornaro essere un “tipo veneziano” sarà pure tornato utile per salire sul trono cipriota, ma questa è ormai storia; il suo palazzo è diventato il monte di pietà ovvero il banco dei pegni, e forse è proprio lì che le veneziane hanno portato la loro bellezza, anche quella ormai storica, mantenendo a portata di mano soltanto il minimo indispensabile per la vita di tutti i giorni. A dire il vero, anche le donne molto giovani mi hanno fatto l’impressione di essere state riposte in un armadio qualche secolo fa, lì dimenticate e ora poi recuperate, ammuffite, impolverate e stropicciate. Laddove ho visto qualcosa di decisamente fresco, non stavo studiando il tipo storico veneziano, bensì il tipo austriaco-guarnigionesco, storico ormai anche quello. Forse le belle ragazze sarebbero di più anche a Venezia, se si pettinassero, si lavassero ed evitassero di sistemare l’abito come un lenzuolo cascante; e però l’italica carnagione olivastra non è lavata, la chioma corvina è arruffata!». E ancora: In Italia è antica regola scendere nelle locande migliori; sono infatti sempre pessime. i viaggiatori 0020.saggi.qxd 119 quando ai cechi rii e calli (sporche) piacevano soltanto di notte 0020.saggi.qxd 1-12-2010 7. Antonio Canal, detto Canaletto, Taccuino di disegni già di Francesco Algarotti, dettaglio con l’insegna della Locanda “Al Leon bianco” accanto alla casa del console Smith (per gentile concessione di Damiano Lapiccirella, Firenze). Antonio Canal, called Canaletto, Sketchbook, formerly of Francesco Algarotti, detail of the sign of the Locanda “Al Leon bianco” next to Consul Smith’s house (by kind permission of Damiano Lapiccirella, Florence). 120 11:41 Pagina 120 - Potrei avere una camera bella e pulita? - C’è l’imbarazzo della scelta, signor! Purtroppo in questo momento non ve n’è nessuna del tutto pronta, voglia per cortesia attendere solo un istante. Ehilà, ehi, Rita! La tre è fatta? – chiama il portiere verso il primo piano, strattonando il campanello come un indemoniato. Poco dopo compare alla finestra la testa spettinata di una ragazza forse ventenne, dotata di un viso decente e naturalmente di occhi neri. - Che numero? – domanda con un acuto soprano. - La tre. È pronta? - No! - Allora si sbrighi, per favore, sono stanco. Lenzuola pulite nel letto, Rita, e acqua fresca nel lavabo, capisce? - Sì signor! – Sparisce. Intanto contrattavo con il portiere il prezzo della camera, cosa che qui è abituale come da noi contrattare al mercato. In Italia devi contrattare su tutto, e laddove nella bottega vedi scritto “prezzi fissi”, offri la metà. Il portiere mi porge il libro per la registrazione. Compilo le varie rubriche e attendo. Ero piuttosto provato dopo il viaggio in mare, che per via di una tempesta era durato 16 ore invece di 6, e per non aver dormito, e quindi avrei gradito rinfrescarmi almeno lavandomi. Comincio a lamentarmi e il portiere a suonare e a gridare: - Ehilà, ohè, ehilà, Rita, Rita! (Margherita) Finalmente ricompare Rita alla finestra. - Per tutti i diavoli, ancora niente? - Ma sì, ho solo dimenticato di chiamare il signor!. Y Tuttora godibili, i racconti di viaggio di un maestro dello stile narrativo come Jan Neruda attendono ancora di essere tradotti in italiano. Leggendo le impressioni veneziane di Čapek, è inevitabile accostarle alle sue. I due grandi scrittori cechi sono entrambi abili nel cogliere l’essenza dei luoghi e la natura delle persone. Di Venezia, nei loro testi, spiccano gli aspetti di decadimento (non gli stilemi decadenti dal punto di vista estetico; fig. 16); ma entrambi evitano di indulgere al cliché del contrasto morte-bellezza. E non a caso, in entrambe le corrispondenze è forte l’accento posto sul sentimento civile e democratico: Neru- 1-12-2010 8. Cerchia di Bernardo Bellotto, Veduta del Canal Grande con il Fondaco dei Tedeschi com’era nel tardo Settecento (è il palazzo a sinistra), Ascoli Piceno, Pinacoteca Civica. Circle of Bernardo Bellotto, View of the Grand Canal with the Fondaco dei Tedeschi as it was in the late 18th century (the palazzo is on the left), Ascoli Piceno, Pinacoteca Civica. 11:41 Pagina 121 da aspira a un ordinamento democratico, che nell’antica Serenissima aveva un modello; Čapek manifesta fastidio, e talora astio esplicito, nei confronti delle camicie nere che cominciano a scorrazzare per l’Italia. Inoltre, Venezia non gli sembra democratica neppure dal punto di vita architettonico: «Ma ora so perché mi infastidisce la bellezza di Venezia. Venezia ha solo palazzi e chiese (fig. 17); la casa di un uomo comune non è nulla. Nuda, stretta e buia, priva di cornicione e portale, senza neppure una colonna, puzzolente come un dente guasto, pittoresca soltanto perché minuscola come una conigliera, non mostra la benché minima necessità di bellezza; girovagando per la città, non vi allieterà la vista di un cornicione o di un ingresso ornato che voglia accogliere il visitatore. È povertà, ma senza virtù. E quei duecento palazzi non sono cultura, ma soltanto ricchezza; non è vita nella bellezza, è esibizione. E non venite a dirmi che dipende dall’assoluta insufficienza di spazio; assoluta è qui soltanto l’indifferenza». Y È manifesta l’insofferenza per l’ingiustizia e la diseguaglianza che rivela il sincero impegno civile e democratico di Čapek. Ma per lo stesso motivo, la sua indignazione si placa di fronte ai valori universali, di cui Venezia, antica e venerabile, non è certo priva; nell’elencare quel che di Venezia gli è piaciuto, Čapek ricorda «le viuzze veneziane, laddove non ci sono canali o palazzi. Sono così ingarbugliate che tuttora nessuno le ha indagate tutte; in alcune forse non è mai entrato un piede umano. Le migliori sono larghe un metro intero e lunghe al punto da contenere un gatto con tutta la coda. È un labirinto in cui erra perfino il passato, senza poter trovare l’uscita». i viaggiatori 0020.saggi.qxd 121 when the czechs liked the (dirty) alleys and canals only at night 0020.saggi.qxd 122 1-12-2010 11:41 Pagina 122 1-12-2010 11:41 Pagina 123 when the czechs liked the (dirty) alleys and canals only at night the old city? already pricey in the 17th century better to sleep in padua travellers 0020.saggi.qxd Annalisa Cosentino 9. Giacomo Ceruti, detto il Pitocchetto, Maschere e popolana, Bergamo, Accademia Carrara. Giacomo Ceruti, called Pitocchetto, Masks and Commoner, Bergamo, Accademia Carrara. Y ‘The beautiful city from which it is so hard to leave’ is how Venice is defined by Jaroslav Seifert (1901-1986), the illustrious Czech poet awarded the Nobel Prize in 1984 (figs. 2, 3), in a poem from the collection Halley’s Comet (Halleyova kometa, 1967), entitled precisely Italian Journey. So he makes use of one of the most trite clichés on the ‘beautiful city’, differently perceived by visitors and often described as a place of incomparable splendour and equally intense, depressing, pernicious squalor. In this poem, turned into Italian lines by Sergio Corduas in the anthology Vestita di luce (1986), the Prague poet does not fail, however, to also note with irony the eternal Venetian contrast, evoking the usual images of enchantment alongside others much less romantic: You could perhaps say: love goes on and on and on and there is no corner where it is not at home. And the kisses quickly lengthen like the days in spring. And with an evil laugh the gondolier fished out before us with his oar that which sleepers of prudent love throw there from the window in the morning because they have no stove. And so we once awoke And you immediately tore your fingers alone in the amorous silence of a picture from my hand! where there were only two pink columns Give me back your hand! and a patch of sea. It would be sad, in the beautiful city from which it is so hard to leave. The palaces were impaled on the sea And suddenly, the flattery of soft music like ancient combs rang from the piazza. with pearls and specks of gold but in the lagoon there was filth and slime. Y In his Correspondence from Italy (Italské listy) of 1923 (translated into Italian only in 1992 under the imprecise, literal title of Fogli italiani), the grand Czech journalist and narrator Karel Čapek (1890-1938; fig. 4) understands with his usual acumen the obstacle that regularly appears to those trying to write about Venice: he is almost certain to fall into at least some of the numerous 123 when the czechs liked the (dirty) alleys and canals only at night 0020.saggi.qxd 124 1-12-2010 11:41 Pagina 124 lagoon stereotypes. ‘I would not want to write much on Venice: I think that everyone knows it. It really does resemble the various souvenirs de Venice in an almost annoying way’ (fig. 1). Venice made Čapek uncomfortable. The very frequent image of the contrast between splendour and decadence often also recurs in that which the Czech visitors write on the city, and of course especially those who visited it in recent centuries when the magnificence of the Serenissima had declined. Y There were not many reports of travels in Italy written by Czech authors in earlier times. This scarcity could be at least partly explained by Bohemia’s early, already fourteenth-century, Protestant leaning. Its sons preferred destinations more in keeping with their anti-papal mentality – such as France – or, simply, with their need for spiritual research; and in this latter case, Venice was visited at least in passing, being the port from which one set sail for the Holy Land. Czech travellers seemed to like the manner of reporting their travels that had been initiated by a Venetian. Marco Polo had told of his expedition to the Orient with a wealth of detail on what he had seen and experienced. So there are generally few imaginative embellishments or utopian theories in the first Czech accounts. These document very concrete facts about Venice, which the travellers found interesting in themselves and for their readers, more or less without falling into real or presumed enchantments and mythologies. According to some, the reports of Renaissance travels actually anticipate the modern ‘literatura faktu’, those books that recount events through documents and testimonies, a genre much appreciated by Czech readers. Anyone wishing to find a list and analysis of Czech travel books from the middle ages to the present can easily find one in the many scholarly studies on the subject; here it is sufficient to observe that the summaries of two trips to Palestine via Venice are among the best reports written by Czech travellers at the close of the Renaissance. Y The Journey from Prague to Venice and from there by sea to Palestine (Cesta z Prahy do Benátek a odtud potom po moři azˇ do Palestyny) by the mathematician and astronomer Oldřich Prefát z Vlkanova (1523-1565) dates from 1546. He writes about his two stops in Venice, outbound and return, carefully describing the effort that went into 1-12-2010 11:41 Pagina 125 travellers 0020.saggi.qxd 10. Giandomenico Tiepolo, Il Burchiello, Vienna, Kunsthistorisches Museum, Gemäldegalerie; il mezzo di trasporto, si legge nel quadro, era destinato «a ricevere gente», popolare tra i viaggiatori stranieri, collegava Venezia e le città dell’entroterra, Giandomenico Tiepolo, The Burchiello, Vienna, Kunsthistorisches Museum, Gemäldegalerie; the vessel, intended “to receive people”, as can be read in the painting, connected Venice and the mainland cities and was popular with foreign travellers. the real organisation of the voyage and thus providing a precious guide to his readers and possibly to future travellers. After the itinerary of the journey to Venice, with precise indications of the distances between the various places visited, in the second chapter (entitled Contract between the patron or administrator of the ship and the pilgrims), Prefát recounts in detail the articles that make up the contract for the supply of the ship to Palestine, then devoting much space to what will be needed on the trip, for example food. In describing the ship and its contents, he adds an exquisite illustration of a ship with numerous sails between the waves. The third chapter discusses the famous procession that was held on the Feast of Corpus Domini in Venice (fig. 5), and the tribute made to the pilgrims: Prefát describes the ceremony from the pilgrims’ point of view, pleased with the attention given by the Venetians to ensure they receive special treatment. Y At the start of the seventeenth century, Kryštof Harant z Polžic a Bezdružic (1564-1621), nobleman and diplomat, writer and composer, recounts his Pilgrimage or Journey from the kingdom of Bohemia to the city of Venice, from there by sea to the Holy Land (Putování aneb Cesta z království Českého do města Benátek, odtud po moři do Země svaté) made in 1598. He offers the reader precise information on the history and artistic beauties of Venice, making these tangible by his frequent comparisons with the history and architecture of Prague. But he dedicates most of the second chapter of his famous account to a precise and detailed description of the Venetian administrative and legal system, accompanied by the Italian names 125 when the czechs liked the (dirty) alleys and canals only at night 0020.saggi.qxd 1-12-2010 11. Antonio Canal, detto Canaletto, Il ponte di Rialto, Selkirk, Collection of the Trustees of the Ninth Duke of Buccleuch’s Chattels Fund. Antonio Canal, called Canaletto, Rialto Bridge, Selkirk, Collection of the Trustees of the Ninth Duke of Buccleuch’s Chattels Fund. 126 11:41 Pagina 126 of the various offices and functions. Visitors were generally struck by Venice’s efficient administration: among the Czechs, Václav Šašek z Bířkova had already written about it in the fifteenth century. The wait in Venice before leaving by sea lengthened and, in order to ensure their money did not run short (fig. 6), Harant and his companions decided to leave the Leone Bianco inn (fig. 7) and the Venetian osterie, being too expensive, and to go and wait in Padua till the ship was ready to set sail. His good knowledge of Venice and the Venetians was in any case to be useful to the Czech diplomat; very interested in the Orient, particularly the Ottoman empire, Harant was at times forced to conceal his identity as a Habsburg subject. So in order to go to Turkey he presented himself as a Venetian, as he recounts in the preface to his Pilgrimage: ‘Wanting all the same to improve my position, if for no other reason than my reason, I often went to those lands (thanks to the beloved Lord God) concealing my identity and homeland, inspired to flaunt the lordship of the Venetian nobility’. Y The diaries of travels in Italy become more numerous from the start of the nineteenth century. The long series begins with a work of great literary, historical and cultural value. Milota Zdirad Polák (1788-1856), a refined Czech poet and officer in the Habsburg army, was not a traveller by personal choice: he followed a general to Italy as his orderly. The destination of his Italian 1-12-2010 11:41 Pagina 127 Journey (Cesta do Itálie), which takes place between 1815 and 1818, is Naples, where Polák spent most of his time. In nearing Venice, he at first declares that he is pleasantly surprised to see from the ship the magnificence of the palaces standing out on the sea. Then, when he disembarks in the city, he changes his mind: travellers 0020.saggi.qxd After about an hour and a quarter, I noticed that Venice opened up before me like a crescent in the sea. The view from this side nevertheless did not arouse any great wonder, as we sailed between dilapidated houses without windows, or with the windows covered in paper and rags. But I soon cheered up, as on entering the main canal I saw two rows of hundreds of wonderfully built palaces and boats of every kind and nationality, heartening me with so much magnificence. The highest and widest bridge, with an arch that curves boldly upwards and leads to the other side of the main canal, is called the Ponte Rialto. It is not much decorated, but for this is more worthy of interest to the builder. Among the various superb palaces on this side there is the socalled Fondaco dei Tedeschi (fig. 8). Having got out of the gondoletta (a boat), I started walking the streets, so narrow that two men cannot avoid one another. Noticing the sickly smell that hung over those narrow alleys full of people and the unbearable stench that rose from the canals gave me a different idea of the city’s beauty. Y Polák informed himself well before making the trip. His story begins with a brief but comprehensive history of Venice, then goes back to the immediate observation of its surrounds, which confirm his first, not entirely positive impression. Although he lists the artistic and architectural beauties of the city, showing appreciation and conscientious erudition, Polák is undoubtedly also interested in capturing and describing the atmosphere and real life of the city, whose decay he points out. For example, he observes that little remains at the Arsenale of the old industry and material wealth; he notes that the Venetians are good merchants, skilled at bargaining; he complains about the large number of insistent beggars; with relief he greets the night that comes down and hides the filth, which is particularly evident and annoying during the day. He also mentions the Venetian theatres, with the aim of providing an exhaustive report: ‘The best place for public entertainment is Piazza San Marco; there is then the Teatro La Fenice, the biggest, a fine, well decorated building; the Teatro San Benedetto is also noteworthy. All of Venice’s beautiful young society meets in the theatres’ (fig. 9). 127 when the czechs liked the (dirty) alleys and canals only at night 0020.saggi.qxd 1-12-2010 12. Jan Neruda, grande narratore e giornalista della seconda metà dell’Ottocento. Jan Neruda, great narrator and journalist of the second half of the 19th century. 128 11:41 Pagina 128 Y Polák’s Italian Journey was published in instalments from 1820 in the magazine Dobroslav. Karel Hynek Mácha (1810-1836), the famous Czech romantic poet who visited Venice in 1834, quite probably read it and was struck by it. The Venetian notes in his Diary of an Italian Journey (Deník na cestû do Itálie), fragmentary and very concise, document some intense impressions, some direct, some indirect: such as the exclamation ‘O Venice, Venice’, echoing Byron’s rhetoric. Mácha quickly records the places as he sees them, rushing through. His rapid notes have a relentless rhythm, a steady pace. They are not descriptive remarks, but notes that suggest an immediate perception, though they presuppose prior knowledge, without being explicit. ‘Arrived in Mestre. Left by boat (fig. 10). Saw Venice for the first time. Salt water. Went into Venice. Walked around the city, Markusplatz for the first time’. St Mark’s Square, with the cathedral, seems to have particularly struck the very young poet, who mentions it three times in the few lines dedicated to Venice in his Diary. The short list of places seen alternates with notes on food and drink, and the expensive osterie (‘We even left our shoes’), and the sea-sickness when on board the ship that took him to Trieste, the next stop on his trip: ‘Seekrankheit (i.e. sea-sickness: ed.). We went out on the deck. The ship rocked. Venice on the horizon. Then we went back inside’. Mácha subsequently worked up his Venetian impressions in the novel Gypsies (Cikáni) of 1835, published in Italian only in 1997. In the fourteenth chapter of the book, set in Venice, the gondolier who has become a gypsy tells of the torments of love that force him to make continuous moves from one part of the city to another. St Mark’s Square is of course not missing; but there is also Rialto (fig. 11), the Giardini Napoleonici and the Bridge of Sighs, already recorded in the Diary. In the end the gypsy leaves for Trieste, as Mácha had done on his journey. The romantic tool box is developed in the reflection of the water: ‘The sun set on Venice and long red stripes stretched out on the sky and the surface of the water. [...] I sat alone on the island of Lido with my gaze turned to the east, when the full moon appeared from the dark sea. I whispered meaningless words, aimless vows at the moon 1-12-2010 11:41 Pagina 129 that rose behind the sea. Silver waves stood out against the background of the dark shore’. 13. Ippolito Caffi, Venezia, sera di carnevale (o serenata), Venezia, Galleria d’arte moderna di Ca’ Pesaro. Ippolito Caffi, Venice, Carnival Evening (or serenade), Venice, Galleria d’arte moderna di Ca’ Pesaro. Y Polák’s Italian Journey, which Mácha had read in ‘Dobroslav’, came out as a book in 1862, continuing to represent the origin and model of subsequent accounts. It undoubtedly inspired Jan Neruda (1834-1891; fig. 12), the great narrator and journalist to whom Karel Čapek is often and not by chance compared, in visiting and describing Venice. His correspondence from Italy, which came out in ‘Národní listy’ in 1868 (then in 1872 in a book of travel sketches brought together under the title Benátská zrcadla, or Venetian Mirrors), often echoes Polák’s observations, almost as if Neruda intended responding to him in a distance dialogue. He too, like the previous writer, bewailed the shabby appearance and filth of Venice, probably surprised by the decay of the city, which seemed attractive and enchanting to him only in the light of the moon: travellers 0020.saggi.qxd Pieces of white paper stuck on the ground floor inform an indifferent world that the palazzo is for rent, other pieces on the ground floor and then above on all floors that it is for sale. They are scattered across the two banks of the Grand Canal like sticking plasters and make you realise that for some time now Venice has left Venice. Those now coming to buy a palazzo are in the best of cases nouveau riche dancers like Taglioni, and those who rent them dreamers like Byron. And they show you Palazzo Mocenigo and Palazzo Giustiniani, and tell you that Byron and Chateaubriand lived there, earning themselves a tip. The Grand Canal is poetic only in the nocturnal light, when you can’t see the dereliction and rubbish. And again: Venice is like a woman become haughty because aware of her beauty, but she has aged; she is missing the long, rich past of her beauty, but 129 when the czechs liked the (dirty) alleys and canals only at night 0020.saggi.qxd 130 1-12-2010 11:41 Pagina 130 also the present. [...] Venice has by now begun to be, or rather is a city of ruins, the most magnificent and beautiful in the world, but ruins. After four centuries of decline, it is now going to pieces and sinking. The day will come when its worn parts will end up filling the spaces in the muddy lagoon. [...] Even the Venetian is a ruin. [...] At present there are 30,000 poor people in Venice, 14,000 of whom are beggars. [...] There is silence in the lagoon city. If you leave out the long, narrow, dark Mercerie, where merchants and craftsmen toil in front of open workshops making something of an Italian racket, if you leave out perhaps two markets, those of fish and vegetables at Rialto, the historical end of the commercial Mercerie, if you leave out St Mark’s Square in the evening, there is silence (figs. 13, 14). Even the osterie on the banks, where the gondolier and sailor once ranted, are now quieter. There is silence around the Piazzetta from which the elected doge left on the golden ship, the Bucintoro (fig. 15), to immerse the very precious ring in the lap of the sea, his bride; and at the port, where in past times up to 300 Venetian ships were anchored, there are now just six large foreign ships. At the Arsenale, where 16,000 workers once entered every morning crying out ‘Viva St Mark!’, everything is dead: the arsenal has moved to Genoa. [...] Venice exists and doesn’t exist. The guide shows you many things that once were. And he also shows you what has been taken away, for example by Napoleon, and during the restoration should have been brought back. But the art ob- 1-12-2010 14. Francesco Guardi, La Piazzetta verso la Libreria, Vienna, Gemäldegalerie der Akademie der bildenden Künste Wien. Francesco Guardi, The Piazzetta Towards the Library, Vienna, Gemäldegalerie der Akademie der bildenden Künste Wien. 15. Antonio Canal ,detto Canaletto, Il ritorno del Bucintoro, Mosca, Museo Pushkin. Antonio Canal called Canaletto, The Return of the Bucintoro, Moscow, Pushkin Museum. 11:41 Pagina 131 jects that have gone from the palazzi secretly or openly, end up in some ‘antiques cabinet’ darkened by smoke, and then abroad, probably never to return. And much less so will its lost independence return. Venice cannot be a subjugated, provincial, second, third or fourth city. If it is not at the highest level, it is no longer alive. travellers 0020.saggi.qxd Neruda’s patriotic, anti-Habsburg sentiment is evident here, writing about Venice but alluding to Prague. Y As in his masterpiece, the wonderful Stories of Malá Strana, where Neruda composes immortal pictures of Prague life, illuminating the places with an account of the characters and the behaviour of the people, in these Venetian sketches, too, he often dwells on the appearance and actions of the people. It could be said that here and there in these portraits Neruda again wants to respond to Polák, who had appreciated the look of the Venetians; Polák had written: ‘I like the Venetians more than other Italians. They usually have a fine figure. The friendliness they show both to each other and to strangers makes them appealing. The girls are actually pale, but their whiter than snow colouring and black eyes would be sought in vain in Germanic lands’. And Neruda seems to reply: ‘If a Slavic person wants to reach the promised land of female beauty, there is nothing for it but to stay at home. Being a “Venetian type” was useful for the beautiful Caterina Cornaro in ascending the throne of Cyprus, but this is now history; her palazzo has become the monte di pietà or pawnbrokers, and perhaps it is precisely there that the Venetians have taken their beauty, including the now historic beauty, keeping on hand the minimum needed for everyday life. To tell the truth, the very young women also gave me the impression that they had been put into a wardrobe some centuries ago, forgotten there and now taken out, mouldy, dusty and creased. Wherever I saw anything decidedly fresh, I was not studying the historical Venetian type, but the Austrian garrison type, which is now also historical. Perhaps there would be more beautiful girls in Venice if they were to comb their hair, wash and avoid wearing their dresses like hanging bed sheets; but the olive Italian skin is not washed, the jetblack hair tousled!’. And again: In Italy it is an old rule to go to the best inns; in fact, they are always terrible. 131 1-12-2010 when the czechs liked the (dirty) alleys and canals only at night 0020.saggi.qxd 16. Giovanni Boldini, Venezia. San Marco, Ferrara, Museo Boldini. Giovanni Boldini, Venice. St Mark’s, Ferrara, Museo Boldini. 132 11:41 Pagina 132 “Can I have a nice, clean room?” “You are simply spoilt for choice, signor! Unfortunately at this moment none of them are ready, would you mind kindly waiting just a moment. Hey, Rita! Is number three done?”, the porter calls up to the first floor, tugging the bell like a madman. A moment later the uncombed head of a girl, possibly twenty, endowed with a decent face and of course, black eyes, appears at the window. “What number?”, she asks in a shrill soprano. “Three. Is it ready?” “No.” “Well hurry up please, I’m tired. Clean sheets on the bed, Rita, and fresh water in the basin, understand?” “Sì, signor!”, and disappears. In the meantime I haggle with the porter over the price of the room, something that is normal here, like in our market. In Italy you have to bargain over everything, and when you see a sign in a shop saying “fixed price”, offer half. The porter gives me the register. I fill it in and wait. I was fairly weary after the sea voyage, which had taken 16 hours instead of six because of a storm, and because I hadn’t slept, so I would have liked to freshen up at least by washing. I started to complain and the porter to ring and shout: “Hey, hoi, hey, Rita, Rita?” (Margherita) Rita finally reappears at the window. “What the devil, still nothing?” “Oh yes, it’s just that I forgot to call the signor!. Y The still enjoyable travel stories of a master with a narrative style like Jan Neruda’s have yet to be translated into Italian. Reading Čapek’s impressions of Venice, it is inevitable to compare 1-12-2010 17. Giovanni Liss, Maria Maddalena, Slavkov (Austerlitz), castello, Historické muzeum. Giovanni Liss, Mary Magdalene, Slavkov (Austerlitz), castle, Historické muzeum. 11:41 Pagina 133 them to his. The two great Czech writers are both able to grasp the essence of the places and the nature of the people. The signs of decay (not aesthetically decadent stylistic elements; fig. 16) stand out in their writings on Venice, but both avoid indulging in the cliché of the beauty-death contrast. And, not by chance, the accent placed on the civic and democratic sentiment is strong in both: Neruda aspires to a democratic order, which had a model in the old Serenissima; Čapek shows annoyance, and at times explicit animosity, towards the black shirts that are beginning to roam about Italy. Furthermore, Venice does not seem democratic to him even from an architectural point of view: ‘But now I know why Venice’s beauty annoys me. Venice has only palaces and churches (fig. 17); the home of the common man is nothing. Naked, narrow and dark, lacking cornice or doorway, without even a column, stinking like a rotten tooth, picturesque only because it is as small as a rabbit hutch, it does not show even the smallest need for beauty; wandering around the city, the view is not lightened by a cornice or an ornate entrance to greet the visitor. It is poverty, but without virtue. And those 200 palazzi are not culture, but only wealth; there is no life in the beauty, only exhibition. And don’t go telling me that it is due to the absolute lack of space; the only absolute here is indifference’. Y The impatience with the unfairness and lack of equality that shows Čapek’s sincere civic and democratic commitment is obvious. But, for the same reason, his indignation is calmed before universal values, of which ancient, venerable Venice is certainly not lacking; in listing that which he liked in Venice, Čapek recalls ‘the Venetian alleys, where there are no canals or palazzi. They are so muddled that so far no one has examined them all; in some perhaps no human foot has ever entered. The best are a metre wide and long enough to hold a cat and all its tail. It is a labyrinth in which even the past roamed about, unable to find the exit’. travellers 0020.saggi.qxd 133 0020.saggi.qxd 1-12-2010 11:41 Pagina 134 1-12-2010 11:41 Pagina 135 l’estrema commistione 30 anni fa, su parole di cacciari un diario polacco di nono rifiutato a varsavia a causa del golpe del 1981 la musica 0020.saggi.qxd Sandro Cappelletto 1. Luigi Nono, Quando stanno morendo. Diario Polacco n. 2, pagina di studio per il testo. Luigi Nono, Quando stanno morendo. Diario polacco n. 2, worksheet for the text Fondazione Archivio Luigi Nono, Venezia © Eredi Luigi Nono per gentile concessione Y «Nell’ottobre del 1981 la direzione del Festival Musicale di Varsavia mi invita a comporre un Diario Polacco 2 per l’edizione che si sarebbe dovuta svolgere quest’anno. Poi il 13 dicembre. Degli amici che mi avevano invitato non ho più avuto notizie. La direzione è stata sciolta, il Festival non si è più tenuto. Ancora di più ho voluto scrivere questo Diario. Lo dedico agli amici e compagni polacchi che nell’esilio, nella clandestinità, in prigione resistono – sperano anche se disperati, credono anche se increduli». Così Luigi Nono (Venezia, 1924-1990) ricordava la genesi di Diario polacco n. 2, scritto per tre voci di soprano, un mezzosoprano e soltanto due strumenti, un flauto e un violoncello (fig. 1). Accanto a loro, dentro quelle voci e quei suoni, la presenza del live-electronics, capace di dilatarli in uno spazio che al compositore piaceva immaginare come «infinito possibile». Uno spazio dove l’ascolto si sottrae al consueto rapporto frontale tra spettatore e musicista, e dove la dimensione del tempo sfugge a una logica vettoriale. Nessuna freccia che parte da un punto e tende e raggiunge una meta, ma una circolarità, dei lunghi momenti di stasi, di attesa, di silenzio oppure di improvvise esplosioni tra un suono e il successivo. Y Diario polacco n. 2 è una “opera sacra”, e certamente non l’unica, composta da Nono che oggi, vent’anni dopo la sua morte, placati le polemiche, le interpretazioni schematiche, gli errori di valutazione sempre certi quando a prevalere nel giudizio sono l’ideologia e il preconcetto, appare come artista tra i più attenti e tesi verso una dimensione spirituale del proprio operare. E per questo, capace anche di forti, non manipolabili, necessarie espressioni politiche. Diario polacco n. 2, pensato inizialmente per Varsavia, nasce a Venezia, per il Festival della Biennale Musica, il 3 ottobre 1982, direttore Roberto Cecconi, elettronica creata a Freiburg, alla Scuola grande di San Rocco (fig. 2). E rappresenta il più alto omaggio concepito da un artista del Novecento italiano “verso” l’Oriente europeo, allora così lontano, così altro, rispetto a quello che conosciamo oggi. 135 1-12-2010 l’estrema commistione 30 anni fa, su parole di cacciari 0020.saggi.qxd 11:41 Pagina 136 Quando stanno morendo, i cavalli respirano, quando stanno morendo, le erbe intristiscono, quando stanno morendo, i soli si spengono, quando stanno morendo, gli uomini cantano. 2. Luigi Nono, Quando stanno morendo. Diario polacco n. 2, pagina di studio per il testo sul dattiloscritto di Massimo Cacciari. Luigi Nono, Quando stanno morendo. Diario polacco n. 2, worksheet for the text on Massimo Cacciari’s typescript Fondazione Archivio Luigi Nono, Venezia © Eredi Luigi Nono per gentile concessione 136 Y Questi i versi del poeta russo Velemir Chlebnikov (1885-1922), che Massimo Cacciari pone come conclusivi del libretto (figg. 3, 4). Lo scrittore e studioso veneziano, e futuro sindaco della città, si rivela anche in questa occasione fedele, nei testi destinati alla musica, a una tecnica di montaggio sempre evocativo, mai narrativo. Cacciari non propone versi o prose proprie; sceglie invece, con vastissima libertà di orizzonte temporale, citazioni da autori numerosi e diversi, le cui parole e immagini riescono tuttavia a fondersi in una unitaria concezione drammaturgica. Un indirizzo al quale Cacciari si manterrà sempre fedele, e che nel 1984 raggiungerà, sempre per Nono (fig. 5), un altissimo punto di definizione nel Prometeo - tragedia dell’ascolto in cui il musicista collaborerà anche con Emilio Vedova e Renzo Piano (fig. 6) Y Assieme a quelli di Chlebnikov, in Diario polacco n. 2 figurano versi di altri quattro poeti, tutti dell’Est europeo: l’ungherese Endre Ady (1877-1919), i russi Alekandr Blok (1880-1921) e Boris Pasternak (1890-1960) e, unico allora vivente, il polacco Czeslaw Milosz (1911-2004). Sue queste poche parole, di attesa e speranza; di trasfigurazione: Spedisci la tua seconda anima oltre i monti, oltre il tempo; dimmi che cosa hai visto, aspetterò. 1-12-2010 3. Luigi Nono, Quando stanno morendo. Diario polacco n. 2, pagina di studio per il testo di Chlebnikov sul dattiloscritto di Massimo Cacciari. Luigi Nono, Quando stanno morendo. Diario polacco n. 2, worksheet for Chlebnikov’s text on Massimo Cacciari’s typescript Fondazione Archivio Luigi Nono, Venezia © Eredi Luigi Nono per gentile concessione 11:41 Pagina 137 Y Rilette ora, alcune immagini proposte dal libretto sono semplicemente profetiche, come è concesso ai poeti: Mosca – chi sei? Io so che voi siete Lupi ortodossi. Ma come mai, come mai non udite il fruscio dell’ago della sorte, questa sarta mirabile? Guai a voi, che avete preso un angolo falso del cuore… la musica 0020.saggi.qxd Y Così Chlebnikov, in versi scritti quando l’urss era appena nata, e riletti – era appunto il 1981 – quando aveva già iniziato il suo scricchiolio, che rapidamente si trasformerà in crollo. Y Nono (fig. 7) e Cacciari presentano così il proprio lavoro al pubblico di quella Biennale Musica (fig. 8): «Questa poesia vede da sempre il tempo d’avvento come simbolo di speranza e naufragio. Angoscia apocalittica è sperare disperati – credere increduli. Disperare e basta è pessimismo intellettuale – credere e basta trombettismo burocratico. Questa poesia ha il suo luogo: dove l’Europa fa barriera e ponte verso l’Asia; dove essa incessantemente resiste in sé, nel suo proprio, nel suo ethos, e incessantemente si discute e si interroga… Qui soltanto sono possibili nuovi, veri inizi – come è possibile una vera fine… Ogni cosa forse potrà ancora sottrarsi a quel destino di morte cui vuole consegnarla l’inverno dei “lupi ortodossi”. Se sapremo custodire quest’attesa, potremo ancora “far luce al giorno”, rifiutare la morte che ora ci viene. Ora ci viene morte, ma non sarà mai la Morte, finché queste voci parleranno – finché Czeslaw Milosz darà ancora luogo, nel suo linguaggio alla patria polacca – e in Ungheria la lingua di Ady e in Russia 137 l’estrema commistione 30 anni fa, su parole di cacciari 0020.saggi.qxd 1-12-2010 4. Luigi Nono con Massimo Cacciari durante le prove di Prometeo. Tragedia dell’ascolto, Venezia, chiesa di San Lorenzo, 1984. Luigi Nono with Massimo Cacciari during rehearsals of Prometeo. Tragedia dell’ascolto, church of San Lorenzo, Venice 1984 © Graziano Arici 5. Un primo piano del musicista. Luigi Nono © Graziano Arici 138 11:41 Pagina 138 quella di Pasternak. “Io non ho alzato la bandiera bianca”: anche “quando stanno morendo, gli uomini cantano”». Y Ci sono altre due considerazioni da non evitare, e riguardano il rapporto della città con l’Oriente, e lo svilupparsi, in essa, della musica contemporanea. La capitale dei dogi ha da sempre intrattenuto fecondi e multiformi rapporti con tutta quella parte del vecchio continente che guarda verso est: ne è stata come un naturale trampolino della penisola; questa è da sempre, storicamente, una tra le sue tante funzioni. Ancora da prima che divenisse quasi molo d’imbarco di avventurosi crociati quanto meno indirizzati alla Terrasanta. E la commissione di Diario polacco n. 2 a Luigi Nono non è che uno delle estreme manifestazioni di questa realtà, seguita soltanto, abbattuto ormai il Muro ed ampliato il numero dei visitatori, dai turisti di massa in arrivo da quelle terre, anch’essi in ossequio al must che la basilica di San Marco chiunque la deve ammirare almeno una volta nella vita, pellegrini come gli islamici la Kaba. Y E l’altra osservazione è che, tra le lagune, la musica contemporanea è stata di casa sempre. La città non è soltanto quella dei Willaert, Monteverdi, Cavalli, Lotti, Legrenzi, Galuppi e Bertoni (per citare alcuni tra i maestri di cappella in San Marco), di Vivaldi e Marcello, Albinoni e Hass (per evocarne altri): dopo esserlo stato, anche in questo quasi unica nel panorama europeo, ha saputo perfino dedicarsi all’oggi. La Biennale di Musica Contemporanea ne è un esempio; la scelta di Igor Stravinskij di far debuttare alla Fenice il The Rake’s Progress, la Carriera di un libertino (1951), ne è un altro, come quella di volervi essere sepolto; Britten e Prokofief non hanno solo compiuto effimere puntate all’ombra del campanile. Ma, soprattutto, la nascita quasi contemporanea (quattro anni più 1-12-2010 11:41 Pagina 139 La sua musica inaugurerà la Fenice 2011 e celebrerà i 50 anni di Marsilio Y Esattamente 50 anni dopo, Luigi Nono, con la sua prima opera per il teatro, aprirà la stagione lirica de La Fenice: dal 30 gennaio 2011, quattro repliche di Intolleranza 1960, e il 28 un’anteprima con 800 invitati per i 50 anni dell’editore Marsilio. Ricostruiranno la vicenda un libro e una mostra, a cura di Angela Ida De Benedictis e Giorgio Mastinu, cui la Fondazione presieduta da Nuria Schoenberg Nono ha concesso abbondanti documenti, nell’ex studio di Emilio Vedova, alle Zattere. Regia, scene, costumi e luci della ripresa sono a cura dello iuav, e segneranno, dopo vent’anni, il ritorno nel teatro di Luca Ronconi che, con altri tra cui Vera Marzot, sarà tra i tutors del nuovo allestimento, reso possibile da Marsilio. Il libretto, da un’idea di Angelo Maria Ripellino, ha testi suoi, di Alleg, Brecht, Cesaire, Éluard, Fučík, Majakovskij e Sartre; la versione sarà quella italiana della prima, il 13 aprile 1961 nel medesimo teatro. Nuria Schoenberg, dal 1955 moglie di Nono, ricorda che «di Vedova era amico da sempre; Gigi lo ha cercato forse da quando aveva 17 anni, è stato tra i primi da cui mi ha portato non appena arrivata a Venezia, e tra gli ultimi che ha voluto visitare, quando stava già male; che l’ex studio sia stato allestito da Renzo Piano, mi ricorda che l’architetto lavorò parecchio con Gigi per realizzare Prometeo, era il 1984». Y Mezzo secolo fa, Intolleranza 1960, azione scenica in due parti, fu un evento. È direttore del Festival Internazionale Musica Contemporanea della Biennale Mario Labroca. Nono la scrive in tre mesi, anche “esiliando” negli Usa Nuria dalla madre, con la primogenita Silvia, nata da poco. Alla prima, diretta da Maderna, tante contestazioni: fischi, strepiti, volantini dell’estrema destra dal loggione; lo spettacolo interrotto più volte; la stessa polizia porta via chi manifesta; nelle immagini, si vedono al proscenio Carlo Scarpa e Vedova, suoi costumi, luci e scene: «In piedi, dai suoi due metri, urlava “fuori i fascisti”», rievoca Nuria. La trama «si può leggere come la storia di un emigrante che dalle miniere di Marcinelle torna nel Polesine alluvionato: tante allusioni alla storia italiana degli anni cinquanta, quasi un ricordo ai 150 dell’unità del Paese», spiega un documento del teatro; anche allora, l’Italia celebrava un giubileo. Tra i documenti in mostra, ve ne sono dello stesso Vedova e di Teche Rai, interviste registrate allora ai maggiori protagonisti e altre più recenti. L’opera di Nono non è stata mai più rappresentata in lingua originale, ma, da allora, sempre in tedesco: così a Colonia (1962) e Norimberga (1970), in un’altra quindicina di edizioni in Germania fino ad Hannover lo scorso 9 settembre, a Firenze (1974) e altrove. (f.i.) la musica 0020.saggi.qxd 139 l’estrema commistione 30 anni fa, su parole di cacciari 0020.saggi.qxd 1-12-2010 6. Luigi Nono (a destra) con Renzo Piano e, dietro, Emilio Vedova e Giacomo Manzoni in occasione della prima di Prometeo. Tragedia dell’ascolto, Venezia, chiesa di San Lorenzo, 1984. Luigi Nono (right) with Renzo Piano and, behind, Emilio Vedova and Giacomo Manzoni at the premier of Prometeo. Tragedia dell’ascolto, church of San Lorenzo, Venice 1984. © Graziano Arici 7. Luigi Nono con Alvise Vidolin durante le prove per Prometeo. Tragedia dell’ascolto, Venezia, chiesa di San Lorenzo, 1984. Luigi Nono with Alvise Vidolin during rehearsals for Prometeo. Tragedia dell’ascolto, church of San Lorenzo, Venice 1984 © Graziano Arici 140 11:41 Pagina 140 giovane il primo) di due campioni della musica più attuale, come Nono e Bruno Maderna, è assolutamente singolare. Maderna (1920-1973, fig. 9) se ne va troppo presto; ma con Luciano Berio e Nono, aveva già parecchio lavorato: a Darmstadt e allo studio di fonologia della Rai di Milano, di cui divenne direttore anche dell’Orchestra sinfonica, ormai purtroppo dimessa. E Nono, prima studia per cinque anni con Gian Francesco Malipiero (1882-1973), massimo esponente perfino di una generazione, quella «dell’Ottanta», e non a caso tra i ricopritori di Vivaldi, ma poi prosegue proprio con Maderna, cui fu sempre legato da fraterna amicizia. Y Quasi vent’anni ormai ci separano da queste riflessioni e dalla creazione di Diario Polacco n. 2. La cronaca di quel tempo è diventata già storia, memoria che non deve scomparire. Il «13 dicembre 1981», precisa Nono nella presentazione: quel giorno, il generale Wojciek Jaruzelski (fig. 10), nominato primo ministro l’11 febbraio dello stesso anno e il 18 ottobre primo segretario del Comitato Centrale del Partito dei lavoratori polacchi, proclama la legge marziale per stroncare gli scioperi operai e il crescente movimento di opposizione che si stava diffondendo nel paese: «Per impedire l’invasione dell’Unione Sovietica», dichiarò Jaruzelski in un’intervista retrospettiva al quotidiano tedesco «Der Spiegel» del 1992. Y È un periodo in cui la storia della Polonia e dell’Europa orientale corrono, precipitano. Tre anni prima, il 16 ottobre 1978, il cardinale polacco Karol Józef Wojtyla era stato eletto papa, prendendo il nome di Giovanni Paolo ii (fig. 11). Primo pontefice non italiano dopo oltre quattro secoli: per l’esattezza dal 1522, quando il conclave dei cardinali aveva indicato l’olandese Adriano vi, destinato a regnare un anno soltanto. Nell’agosto del 1980, nei cantieri navali Lenin della città di Gdansk, Danzica, aveva organizzato i primi, riusciti scioperi contro il regime comunista un nuovo sindacato: Solidarnosc. Suo leader era Lech Walesa (fig. 12): un operaio, proclamato Premio Nobel per la pace nel 1983, e che nel 1990 verrà eletto presidente di quella che era intanto diventata un’altra Polonia. Y Rifiutando la commissione del Festival di Varsavia, Nono dice, insieme, un “no” e un “sì”: prende le distanze da un regime 1-12-2010 11:41 Pagina 141 illiberale, ma accetta di scrivere un’opera ispirata da quella stessa negazione di libertà. A scorrere il suo catalogo, l’idea di affidare alla musica il compito di testimoniare la libertà negata non ha mai conosciuto confini geografici, né temporali: dagli artisti ritenuti pazzi perché non omogenei al pensiero dominante e imbarcati a forza sulla Narrenschiff, la “nave dei folli” medievale che di fiume in fiume, di porto in porto, percorreva senza tregua e senza approdo l’Europa del Medioevo, ai minatori peruviani del Novecento, in lotta per difendere diritti elementari. Dalla proclamata empatia intellettuale per le “visioni” di Giordano Bruno, bruciato come eretico in Campo de’ Fiori a Roma nel 1600, all’omaggio ai protagonisti della Resistenza italiana, ai desaparecidos eliminati dal regime militare argentino, alla difesa degli operai polacchi, il «canto sospeso» di Nono sta sempre dalla parte di chi «spera anche se disperato». Y Questo Diario polacco è indicato come n. 2: il n. 1 risaliva al 1958 (il titolo precisa: Composizione per orchestra n. 2 - Diario polacco 1958) e aveva conosciuto la sua prima esecuzione, il 2 settembre 1959, ai “corsi estivi” di Darmstadt, la cittadina tedesca diventata, in quegli anni e ancora nei successivi, il punto d’incontro di tutti i più significativi compositori europei e statunitensi. Più che una scuola, un laboratorio dove alcuni già riconosciuti maestri e molti giovani autori si confrontavano con una franchezza, una voglia di difendere ciascuno le proprie persuasioni che, oggi, appare soltanto benefica. Non era il dogmatismo a prevalere, ma il confronto, anche aspro e dunque liberatorio. Y Quel primo “canto polacco” del 1958 si riferisce a un soggiorno del compositore a Varsavia, in occasione del Secondo Fe- la musica 0020.saggi.qxd 141 l’estrema commistione 30 anni fa, su parole di cacciari 0020.saggi.qxd 142 1-12-2010 11:41 Pagina 142 stival Internazionale di Musica Contemporanea. Scrive Gianmario Borio, attento studioso di Nono: «I ventotto episodi dell’opera, che nella loro frammentarietà e slegatezza rispecchiano il rapido susseguirsi di immagini, sensazioni, incontri, sorprese e riflessioni, possono essere considerati come annotazioni di un immaginario diario musicale». Il lavoro è significativo, nel percorso creativo dell’autore, perché costituisce il primo esempio di distribuzione spaziale delle fonti acustiche: suono e spazio al servizio di uno “spunto” iniziale affidato a un “impulso umano”, come ricorda lo stesso compositore: «Le mie opere partono sempre da un impulso umano: un evento, un’esperienza, un testo della nostra esistenza tocca il mio istinto e la mia coscienza e pretende che io, come musicista e come uomo, ne dia testimonianza. Naturalmente, in tutto ciò mi è completamente estranea la concezione primitiva di una musica a programma, descrittiva. Infatti all’impulso proveniente dalla sfera umana, si aggiunge la realizzazione musicale con i mezzi peculiari ed esclusivi della musica. L’unica realtà è quella della struttura del suono, costruita sui diversi parametri costituenti il linguaggio musicale». Y Spazio, suono, umanesimo, sono categorie costanti della sua scrittura. Al tempo di Diario polacco n. 2, tra i critici è ancora una volta Massimo Mila, che aveva seguito Nono da sempre, con rigoroso affetto, a capire di più e meglio: «La nuova patria di Nono musicista è il Suono. Non più armonia, non più contrappunto (anche se la presenza di suoni contemporanei è frequentissima, quasi costante). Questi parametri della musica sono stati cancellati. Il Suono, con i suoi misteri, con la sua vita segreta, è il terreno e il campo della musica di Nono» (fig. 13). Mila, che 1-12-2010 11:41 Pagina 143 vedrà nel Prometeo l’apogeo di questa nuova poetica riconducibile forse, nel percorso di Nono, anche a periodi precedenti gli anni ottanta, ci offre un’altra immagine significativa: questa musica è come «la superficie di un lago calmissimo», increspato però da brevi, improvvise tempeste, da grida squarcianti, da sommovimenti profondissimi che risalgono verso la superficie (fig. 14). 8. Luigi Nono, Quando stanno morendo. Diario polacco n. 2, studio per l’esecuzione dell’opera nella Scuola Grande di San Rocco, con l’indicazione della posizione dei solisti, delle voci e del movimento del suono nello spazio. Luigi Nono, Quando stanno morendo. Diario polacco n. 2, study for performing the work in the Scuola Grande di San Rocco, with indications of the position of the soloists and voices, and the movement of sound in space. Fondazione Archivio Luigi Nono, Venezia © Eredi Luigi Nono per gentile concessione la musica 0020.saggi.qxd Y Anche le voci e gli strumenti di Diario polacco n. 2 si muovono all’interno di questa contrastata dialettica (fig. 15). La violenza del gesto sonoro si dirada, racchiusa in grumi tanto densi quanto concisi. Ma esplode quando le voci sembrano voler scappare via dai “lupi ortodossi”. La preoccupazione di Nono non è quella di rendere comprensibili i versi, pur così significativi, dei poeti prescelti; ma di creare con le voci e con i suoni, partendo proprio da quelle visioni letterarie, un’atmosfera che è insieme di attesa e di compianto; che, disperata, spera. Un’attitudine del tutto antirealistica, che deve dilatarsi, moltiplicarsi nello spazio dell’ascolto, quasi a voler oltrepassare ogni limite architettonico, per far emergere «la vita segreta del suono», il suo misterioso potere di suggestione e coinvolgimento. Quando questo secondo, e più significativo, Diario polacco verrà eseguito (grazie alla lungimiranza dell’allora cardinale patriarca Marco Cé) nella basilica di San Marco, l’aspetto sacro e rituale del lavoro emergerà con diretta e profondissima evidenza. Y Questo Diario polacco, questo sguardo ad Oriente doveva appartenere a un autore veneziano. Della sua città Nono amava il suo essere luogo-ponte, capitale aperta per eccellenza: acqua, non mura, a facilitare gli ingressi e le partenze. Dal suo punto di vista, il fascino primo di Venezia stava nell’essere «un multiverso acustico» dove i richiami, le onde dei suoni, delle voci, del vento, non conoscono limiti, non si fermano addosso a qualche parete, ma vanno, si rifrangono e moltiplicano, percorrono spazi che diventano affascinante labirinto. Sono Venezia e la sua laguna la città e le acque protagoniste di … sofferte onde serene… per pianoforte e nastro magnetico, scritto per Maurizio Pollini. In una geografia del mondo che ponga al suo centro un “impulso umano”, Venezia è luogo che accoglie e unisce: è qui che «l’Europa fa barriera e ponte verso l’Asia». Nei trentatré minuti di Diario polacco n. 2 questa realtà diventa musica e questa musica si tende, con i suoi propri mezzi, in utopia. Un orizzonte che riteneva ne- 143 the extreme mixture 30 years ago, on cacciari’s words 0020.saggi.qxd 1-12-2010 11:41 Pagina 144 1-12-2010 11:41 Pagina 145 the extreme mixture 30 years ago, on cacciari’s words a ‘polish diary’ by nono refused by warsaw due to the ‘coup’ of 1981 music 0020.saggi.qxd Sandro Cappelletto 9. Luigi Nono con Nuria Schoenberg – figlia del compositore e sposata nel 1955 e ora “vestale” della Fondazione omonima – e Bruno Maderna a Darmstadt, 1955. Luigi Nono with Nuria Schoenberg, the composer's daughter, who married in 1955 and is now a 'vestal' of the Foundation of the same name, and Bruno Maderna in Darmstadt, 1955. Fondazione Archivio Luigi Nono, Venezia © Eredi Luigi Nono per gentile concessione Y ‘In October 1981 the direction of the Warsaw Music Festival invited me to compose a Polish Diary 2 for the festival that was to have taken place that year. Then the 13th of December. I have heard nothing more of the friends who invited me. The direction was dissolved, the Festival no longer held. I wanted to write this Diary even more. I dedicate it to my Polish friends and companions in exile, underground or in prison who resist - who hope even if desperate, believe even if incredulous.’ This is how Luigi Nono (Venice, 1924-90) recalled the genesis of Polish Diary No. 2, written for three soprano voices, a mezzo-soprano and just two instruments: a flute and cello (fig. 1). Live-electronics were then present alongside them, inside those voices and sounds, capable of expanding them in a space that the composer liked to think of as a ‘possible infinite’. It is a space where listening is removed from the usual frontal relationship between spectator and musician, and where the dimension of time evades a vectorial logic. There is no arrow that leaves from one point and strains to reach an apple, but a circularity, long moments of stasis, of waiting, of silence or of sudden explosions between one sound and the next. Y Polish Diary No. 2 is a ‘religious work’, and certainly not the only one composed by Nono. Now, twenty years after his death, that the controversies, the schematic interpretations and the errors of evaluation that are always certain when ideology and preconception predominate in making judgement have been calmed, he seems to be one of the most attentive artists straining towards a spiritual dimension in his work. And for this reason, he was also capable of strong, non-falsifiable, necessary political expressions. Polish Diary No. 2, initially conceived for Warsaw, was born in Venice, for the Biennale Music Festival, on 3 October 1982, director Roberto Cecconi, electronic music created at Freiburg, at the Scuola Grande di San Rocco (fig. 2). And it represents the highest tribute conceived by a twentieth-century Italian artist 145 the extreme mixture 30 years ago, on cacciari’s words 0020.saggi.qxd 1-12-2010 11:41 Pagina 146 ‘towards’ the European East, then so far away, so different, compared to that which we know today. When they are dying, horses breathe, when they are dying, leaves languish, when they are dying, suns fade, when they are dying, men sing. Y These are the lines by the Russian poet Velemir Chlebnikov (1885-1922) that Massimo Cacciari used to conclude the ‘libretto’ (figs 3, 4). On this occasion, too, the Venetian scholar, writer and future mayor, applied an editing technique to the texts intended for the music that is always evocative, never narrative. Cacciari did not propose his own verses or prose; he chose, rather, with enormous freedom on a temporal horizon, citations from numerous different authors, whose words and images can nevertheless merge in a unitary, dramaturgical conception. This was a direction Cacciari was to maintain, and that was to attain – again for Nono (fig. 5) – a very high point of definition in the Prometheus - tragedy of listening in 1984 (for this work, the musician collaborated with Emilio Vedova and Renzo Piano, fig. 6) . Y Along with those of Chlebnikov, lines by four other poets appear in Polish Diary No. 2, all from Eastern Europe: the Hungarian Endre Ady (1877-1919), the Russians Alekandr Blok (18801921) and Boris Pasternak (1890-1960) and, the only one then alive, the Pole Czeslaw Milosz (1911-2004). These words of expectation and hope, of transfiguration, are his: Send your second spirit beyond the mountains, beyond time; tell me what you have seen I will wait. Y Reread now, some images proposed by the ‘libretto’ are simply prophetic, as is given to poets: 146 Moscow - who are you? I know that you are Orthodox wolves 1-12-2010 11:41 Pagina 147 His music will open the 2011 Fenice season and celebrate Marsilio’s 50th anniversary music 0020.saggi.qxd Y Exactly 50 years later, Luigi Nono will open the La Fenice opera season with his first work for the theatre: from 30 January 2011, four performances of Intolleranza 1960, and on the 28th a preview with 800 invited guests for Marsilio Editore’s 50th birthday celebrations. The event will be reconstructed by a book and an exhibition, curated by Angela Ida De Benedictis and Giorgio Mastinu, who have been provided with numerous documents by the Foundation directed by Nuria Schoenberg Nono, in Emilio Vedova’s former studio at the Zattere. The iuav will be in charge of the direction, scenes, costumes and lighting of the revival. After 20 years, it will also mark the return to the theatre of Luca Ronconi who, along with others including Vera Marzot, will be among the tutors for the new staging made possible by Marsilio. The libretto, from an idea by Angelo Maria Repellino, contains works by him, and by Alleg, Brecht, Cesaire, Éluard, Fučík, Majakovskij and Sartre; the version will be the Italian one of the premier on 13 April 1961 in the same theatre. Nuria Schoenberg, Nono’s wife from 1955, recalls ‘that he had always been a friend of Vedova; Gigi had sought him out from when he was perhaps 17, he was one of the first he took me to see when I arrived in Venice, and one of the last he wanted to visit when he was ill; that the former studio be designed by Renzo Piano, I remember that the architect worked a lot with Gigi to produce Prometeo, it was 1984’. Y Half a century ago, Intolleranza 1960, a stage action in two parts, was an event. Mario Labroca was the director of the Biennale Festival Internazionale Musica Contemporanea. Nono wrote it in three months, also ‘exiling’ Nuria from her mother in the us, with their first, recently born daughter, Silvia. There were numerous protests at the premiere, conducted by Maderna: booing, hissing, handbills from the neo-fascists from the gallery; the show was interrupted several times; the police themselves took away those who protested; in the pictures Carlo Scarpa and Vedova can be seen on stage, along with the costumes, lights and scenery: ‘Standing up, to his full two metres, he shouted “out with the Fascists”’, recalls Nuria. The plot ‘can be read as the story of an emigrant who from the mines of Marcinelle goes home to the flooded Polesine: many allusions to the Italian history of the 1950s, almost a memoir of the 150 years of Italian unity’, explains the theatre programme; then, too, Italy was celebrating a jubilee. Among the documents on show, there are some of Vedova himself and Teche Rai, interviews recorded at the time with the main figures and other more recent ones. Nono’s work was never again presented in the original language, but, since then, always in German: in Cologne (1962) and Nuremburg (1970), in another 15-odd versions in Germany through to that in Hannover on 9 September 2010 and in Florence (1974). (f.i.) 147 1-12-2010 the extreme mixture 30 years ago, on cacciari’s words 0020.saggi.qxd 11:41 Pagina 148 But how come, how come you do not hear the rustle of the needle of fate, this exquisite seamstress? Woe betide you, who have taken a false corner of the heart... Y Thus Chlebnikov, in lines written when the ussr had just been founded, and reread – it was 1981 – when its groaning that would rapidly turn into collapse had already begun. 10. Il generale Wojciek Jaruzelski in una copertina di «Time» del 1981. General Wojciek Jaruzelski on the cover of Time magazine in 1981. 148 Y Nono (fig. 7) and Cacciari presented their work to the audience at the Music Biennale with these words (fig. 8): ‘This poetry has always seen the future as a symbol of hope and failure. Apocalyptic anxiety is to hope in desperation – to believe incredulously. Solely despairing is intellectual pessimism – solely believing is bureaucratic trumpeting. This poetry has its place: where Europe is a barrier and bridge towards Asia; where it incessantly resists in itself, in its own self, in its ethos, and incessantly questions and discusses... Only here are new, real starts possible – as a real end is possible... Everything may perhaps still remove itself from that fate of death to which the winter of the ‘orthodox wolves’ wants to consign it. If we know how to safeguard this expectation, we may still ‘bring light to the day’, reject the death that now comes toward us. Death now comes toward us, but it will never be the Death, as long as these voices speak – as long as Czeslaw Milosz still gives a place in his language to the Polish homeland – and in Hungary the language of Ady and in Russia that of Pasternak. ‘I have not raised the white flag’: even ‘when they are dying, men sing’. Y There are two other considerations that must not be ignored, and concern the city’s relationship with the East and its development of contemporary music. The capital of the doges always wove fertile, multifaceted relations with all that part of the old continent that looks eastward: it was like the peninsula’s natural springboard for this; this was always, historically, one of its many 1-12-2010 11:41 Pagina 149 functions; even before it became almost the departure point for adventurous crusaders on their way to the Holy Land. And commissioning Luigi Nono to compose Polish Diary No. 2 was none other than one of the extreme manifestations of this reality, followed only – the Wall having been knocked down and the number of visitors having increased – by the mass of tourists arriving from those lands, they too in thrall to the ‘need’ for everyone to admire St Mark’s basilica at least once in their life, pilgrims, like the Kaaba for Muslims. 11. Karol Jósef Wojtyla, papa Giovanni Paolo ii dal 1978. Karol Josef Wojtyla, Pope John Paul ii from 1978. 12. Il sindacalista Lech Walesa, premio Nobel per la pace nel 1983, e dal 1990 presidente del suo Paese. The trade unionist Lech Walesa, winner of the Nobel peace prize in 1983, and president of Poland from 1990. music 0020.saggi.qxd Y The other observation is that contemporary music has always been at home in Venice. The city is not only that of Willaert, Monteverdi, Cavalli, Lotti, Legrenzi, Galuppi and Bertoni (to mention just some of the choir masters at St Mark’s), or of Vivaldi, Marcello, Albinoni and Hass (to recall others): after having been this, in which it was almost unique in the European panorama, it has even been able to dedicate itself to the present. The Contemporary Music Biennale is one example of this; the choice of Igor Stravinski to give The Rake’s Progress (1951) its debut at the Fenice is another, like that of wanting to be buried here; Britten and Prokofief made more than just passing forays to the shadow of the bell tower. But, above all, the almost contemporary birth of two champions (the first being four years younger) of the most topical music, Nono and Bruno Maderna, is absolutely singular. Maderna (1920-73, fig. 9) died too early; but he had already worked considerably with Luciano Berio and Nono: in Darmstadt and in the rai phonology studio in Milan, also becoming conductor of the rai Symphony Orchestra, now unfortunately disbanded. And Nono initially studied for five years with Gian Francesco Malipiero (1882-1973), who was the greatest exponent of a generation, that ‘of the 80s’, and not by chance one of those who covered Vivaldi, then continued precisely with Maderna, to whom he was always tied by a fraternal friendship. Y Almost twenty years now separate us from these reflections and the creation of Polish Diary No. 2. The story of that time has 149 the extreme mixture 30 years ago, on cacciari’s words 0020.saggi.qxd 150 1-12-2010 11:41 Pagina 150 now become history, memory that must not fade. ‘13 December 1981’, specifies Nono in the presentation: that day, General Wojciek Jaruzelski, nominated prime minister on 11 February of that same year and on 18 October first secretary of the Central Committee of the Polish Workers Party, proclaimed martial law in order to crush the workers’ strikes and the growing opposition movement that was spreading across the country: ‘To prevent the invasion of the Soviet Union’, declared Jaruzelski (fig. 10) in a retrospective interview with the German daily Der Spiegel in 1992. Y It was a period when the history of Poland and of Eastern Europe raced, fell. Three years before, on 16 October 1978, the Polish cardinal Karol Józef Wojtyla had been elected pope, taking the name of John Paul ii (fig. 11). He was the first non-Italian pope for more than four centuries; precisely, since 1522, when the conclave of cardinals had selected the Dutchman Adrian vi, though destined to rule for only one year. In August 1980, the first successful strikes against the communist party had been organised in the Lenin shipyards of Gdansk by a new trade union: Solidarnosc. Its leader was Lech Walesa (fig. 12), a worker awarded the Nobel Peace Prize in 1983, and who in 1990 was elected president of what had in the meantime become a different Poland. Y Refusing the commission from the Warsaw Festival, Nono said ‘yes’ and ‘no’ at the same time. He distanced himself from an illiberal regime, but agreed to write a work inspired by that same negation of freedom. Running through his catalogue, the idea of giving music the task of testifying to denied liberty knew no geographical or temporal confines: from the artists regarded as crazy because not agreeing to the dominant thinking and forced to embark on the Narrenschiff, the medieval ‘ship of fools’ that sailed through Europe from river to river, from port to port, endlessly and without docking, to the Peruvian miners of the twentieth century, fighting to defend elementary rights; from the proclaimed intellectual empathy for the ‘visions’ of Giordano Bruno, burnt as a heretic in Campo de’ Fiori, Rome, in 1600, to the tribute to the leaders of the Italian Resistance, the ‘desaparecidos’ eliminated by the Argentine military regime and the defence of the Polish workers, Nono’s ‘suspended song’ is always on the side of those who ‘hope even if in despair’. 1-12-2010 11:41 Pagina 151 music 0020.saggi.qxd 13. Luigi Nono, Quando stanno morendo. Diario polacco n. 2, primi schizzi musicali. Luigi Nono, Quando stanno morendo. Diario polacco n. 2, first musical drafts Fondazione Archivio Luigi Nono, Venezia © Eredi Luigi Nono per gentile concessione Y This Polish Diary is indicated as No. 2: the No. 1 dated from 1958 (the precise title is Composition for orchestra No. 2 - Polish Diary 1958) and had had its first performance on 2 September at the ‘summer courses’ in Darmstadt, the German town that in those and subsequent years became the meeting point for all the most significant European and American composers. More than a school, it was a workshop where some already recognised masters and many young composers frankly compared notes, each with a wish to defend their own persuasions that, now, seems only advantageous. It was not dogmatism that prevailed, but comparison, at times bitter, and therefore liberating. Y That first ‘Polish song’ of 1958 refers to the composer’s stay in Warsaw during the Second International Festival of Contemporary Music. Gianmario Borio, an attentive scholar of Nono, writes: ‘The twenty-eight episodes of the work, which in their fragmentary and disconnected nature reflect the rapid succession of images, sensations, meetings, surprises and reflections, may be considered as notes in an imaginary musical diary’. The work is significant in the composer’s creative pathway because it constitu- 151 1-12-2010 the extreme mixture 30 years ago, on cacciari’s words 0020.saggi.qxd 11:41 Pagina 152 tes the first example of the spatial distribution of the acoustic sources: sound and space at the service of an initial ‘cue’ entrusted to a ‘human impulse’, as the composer himself recalls: ‘My works always start from a human impulse. An event, an experience, a weft of our existence touches my instinct and consciousness and expects that I, as musician and man, give it testimony. The original conception of programmed, descriptive music is of course completely extraneous to me in all this. Indeed, the impulse arising out of the human sphere is joined by the musical performance with the peculiar and exclusive means of music. The only reality is the structure of the sound, constructed on the different parameters making up the musical language’. 14. Luigi Nono, Quando stanno morendo. Diario polacco n. 2, pagina di studio per il testo sul dattiloscritto di Massimo Cacciari. Luigi Nono, Quando stanno morendo. Diario polacco n. 2, worksheet for the text on Massimo Cacciari’s typescript Fondazione Archivio Luigi Nono, Venezia © Eredi Luigi Nono per gentile concessione 152 Y Space, sound and humanism are the constant categories of his writing. At the time of Polish Diary No. 2, Massimo Mila was once again one of the critics. He had always followed Nono with rigorous affection, in order to understand more and better: ‘The new homeland of Nono the musician is sound. No longer harmony, no longer counterpoint (even though the presence of contemporary sounds is very frequent, almost constant). These parameters of the music have been removed. Sound, with its mysteries, its secret life, is the ground and field of Nono’s music’ (fig. 13). Mila, who was to see in the Prometheus the culmination of this new poetics, which could perhaps also be related to periods in Nono’s development prior to the 1980s, offers us another significant image: this music is like ‘the surface of a very calm lake’, though ruffled by short, sudden storms, by lacerating cries, by very deep stirrings that rise towards the surface (fig. 14). Y The voices and instruments of Polish Diary No. 2 also move inside this contrasted dialectic (fig. 15). The violence of the sound gesture dissipates, enclosed in clots as dense as they are concise. But it explodes when the voices seem to want to flee the ‘Orthodox wolves’. Nono’s concern is not that of making the lines of the 1-12-2010 11:41 Pagina 153 chosen poets comprehensible, despite their significance, but of creating an atmosphere with sounds and voices, starting precisely from those literary visions; an atmosphere that is both anticipation and lament, that, in desperation, hopes. It is an attitude that is entirely anti-realistic, that must dilate, multiply in the listening space, almost as if wishing to surpass every architectural limit, to bring out ‘the secret life of sound’, its mysterious power to evoke and involve. When this second and more significant Polish Diary was performed in St Mark’s basilica (thanks to the farsightedness of the then cardinal Patriarch Marco Cé), the religious and ritual aspect of the work emerged with direct and very profound clarity. 15. Luigi Nono, Quando stanno morendo. Diario polacco n. 2. Studio per l’esecuzione dell’opera nella Scuola Grande di San Rocco, con l’indicazione della posizione dei solisti, delle voci e del movimento del suono nello spazio. Study for performing the Diario in the Scuola Grande di San Rocco with notes on the position of the soloists and voices, and the movement of sound in space. Fondazione Archivio Luigi Nono, Venezia © Eredi Luigi Nono per gentile concessione music 0020.saggi.qxd Y This Polish Diary, this look at the East had to come from a Venetian composer. Nono loved the fact that his city is a bridge-place, an open capital par excellence: water, not walls, facilitating entrances and departures. From his point of view, the initial charm of Venice lay in its being ‘an acoustic multiverse’, where the evocations, the waves of sounds, of voices, of the wind, know no bounds, do not stop against some wall, but run, refract and multiply, follow spaces that become a fascinating labyrinth. Venice and its lagoon, the city and the waters are the protagonists of ...hard-won serene waves... for piano and magnetic tape, written for Maurizio Pollini. In a geography of the world that places a ‘human impulse’ at its centre, Venice is the place that welcomes and unites: it is here that ‘Europe acts as a barrier and bridge towards Asia’. In the thirty-three minutes of Polish Diary No. 2, this reality becomes music and this music aspires by its own means to utopia. A horizon that he thought necessary. 153 gli autori 0020.saggi.qxd 1-12-2010 11:41 Pagina 154 hanno scritto / contributors gino benzoni, già ordinario di Storia della storiografia nell’università Ca’ Foscari di Venezia, è direttore dell’Istituto di Storia della Società e dello Stato veneziano, alla Fondazione Giorgio Cini. gino benzoni, former professor of the History of Historiography at Ca’ Foscari University, Venice; he is director of the Istituto di Storia della Società e dello Stato veneziano at the Fondazione Giorgio Cini. sandro cappelletto,, veneziano, vive a Roma; è storico della musica e scrittore, critico del quotidiano «La Stampa» di Torino. sandro cappelletto,, Venetian, lives in Rome; he is a music historian, writer and critic for the daily La Stampa of Turin. annalisa cosentino insegna Letteratura ceca e Traduzione letteraria nelle Università di Udine e di Roma. Si occupa di critica letteraria e letteratura ceca moderna e contemporanea. annalisa cosentino teaches Czech Literature and Literary Translation at Udine and Rome Universities. She specialises in literary criticism and modern and contemporary Czech literature. giuseppe de rita,, romano, è segretario generale del censis, e ha presieduto, tra l’altro, il cnel, e la Fondazione Venezia 2000. giuseppe de rita,, Roman, is secretary general of censis, and is former chairman of cnel and the Fondazione Venezia 2000. fabio isman,, giornalista e scrittore, vive a Roma, è stato inviato speciale del quotidiano «Il Messaggero»; è il curatore di «VeneziAltrove». fabio isman,, journalist and writer, lives in Rome; he is a former special correspondent for the daily Il Messaggero and editor of VeneziAltrove. rosella lauber,, storica dell’arte, insegna e svolge ricerche allo iuavIstituto Universitario di Architettura di Venezia, e all’Università di Udine, dove vive. rosella lauber,, art historian, teaches and carries out research at the iuav-Istituto Universitario di Architettura di Venezia, and the University of Udine, where she lives. 154 0020.saggi.qxd 1-12-2010 11:41 Pagina 155 abbiamo pubblicato / back issues 1/2002 2/2003 L’editoriale / Perché questo Almanacco Una diaspora senza rimpianti (quando la città era un centro di produzione) Giuseppe De Rita L’editoriale / Una vitalità così esplosiva che doveva tracimare altrove Il vero rimedio alla diaspora: riannodarne i fili per ridare radici ai capolavori Giuseppe De Rita Il “caso” / Un “altrove” che si cela a Palazzo Ducale L’ultimo deposito: 350 quadri “proibiti” da due secoli, c’era anche un Tintoretto Fabio Isman Il documento / A inizio ’800, un diplomatico racconta Monsignore, il catalogo delle vendite è questo (cronaca di una grande razzia) Fabio Isman La collezione da riscoprire / Cristoforo Orsetti e i suoi 92 capolavori Come sono andati dispersi (un Bassano è in Texas) i rari dipinti di un mercante Stefania Mason L’indagine / Restano in città solo 22 opere su 260 segnalate nel ’500 Breviario per una diaspora: in quali musei sono finiti i dipinti descritti da Michiel Rosella Lauber L’“altrove” / Tiepolo dal Brenta alla Tour Eiffel Venezia è anche sulla Senna: la singolare storia del museo Jacquemart-André Francesca Pitacco Il caso / Un regesto delle biblioteche di nobili e cittadini Come è nato e dove s’è disperso il più grande patrimonio di codici e libri al mondo Marino Zorzi La musica / Vivaldi perduto e ritrovato Due secoli di assoluto oblio (dal 1761 al 1928) poi il ritorno. Ma a Torino Sandro Cappelletto La musica / Un celebre solista e uno strumento unico al mondo Dal 1743, ad oggi: le peripezie del più famoso violino costruito da Guarneri in laguna Sandro Cappelletto L’opera sparita / I tanti misteri di un “Ecce Homo” Augusto Gentili dà la caccia a un famoso Tiziano: era partito per la Russia Intervista a cura di Fabio Isman Il dipinto / Un capolavoro di Vittore Carpaccio e i suoi infiniti misteri Forse, si può dare un nome al Cavaliere Thyssen; e questo è il suo contesto Intervista ad Augusto Gentili Il documento inedito / 4.800 biglietti, un tesoro in fumo Nel ’700, una doppia lotteria polverizza una collezione: e un Raffaello è a New York Linda Borean Il “mistero” / Il Merisi è tra i pochi artisti assenti in Laguna Come e perché la Serenissima non ha conosciuto la grande arte di Caravaggio Stefania Mason L’asta / Il grande “cosmografo” Coronelli A uno sceicco (370 mila euro) un celebre mappamondo: l’incredibile vita di chi lo fece Fabio Isman Il museo / A Boston, l’Isabella Stewart Gardner Per soddisfare il suo “plaisir” l’eccentrica mistress ruba al Canale anche i balconi Ketty Gottardo La mostra / Palazzi e collezioni, ora ricomposte Ganimede vola, ma a Bonn (ovvero: come si può ricostruire quanto esisteva a Venezia) Fabio Isman 155 0020.saggi.qxd 1-12-2010 11:41 Pagina 156 3/2004 4/2005 L’editoriale / Dalla Laguna al mondo intero Continuando a vagabondare Giuseppe De Rita L’editoriale / C’è stata una diaspora: ma come s’era formata tanta fortuna? Le molte luci ed ombre in cinque secoli di un collezionismo assai colto e fastoso Giuseppe De Rita Il “caso” / L’interno di un palazzo e tanti celebri dipinti finiti negli USA Cosí un intero angolo di città ha traslocato: è andato in Pennsylvania, a Filadelfia Fabio Isman La musica / Un Grimani fa emendare il libretto scomodo Eliogabalo, prima censura: un’opera del ’600 in scena nel 2004; ma in Belgio Sandro Cappelletto L’inedito / In un carteggio del ’700, tanti segreti delle vendite veneziane «Voglio dei dipinti vergini e senza macola», scrive l’inglese al mercante Linda Borean Il dipinto / Alla Frick Collection di New York, un mondo intero in una tavola Cosa racconta Giovanni Bellini in quel San Francesco, che è uno dei suoi capolavori Intervista ad Augusto Gentili La scoperta / Da Venezia a New York, l’epopea del “San Francesco” di Bellini Dal 1525, quando lo vide Michiel, ricostruite tutte le tappe (o quasi) della preziosa tavola Rosella Lauber La storia / Le collezioni dall’800 in poi: normali vicende di dare e avere Quelli che non hanno venduto (e Correr in fin di vita lascia alla città il suo museo) Giandomenico Romanelli Il “giallo” / Una collezione di capolavori ormai alquanto mutilata Ma quei disegni di Quarenghi come sono finiti (e quando) a San Pietroburgo? Giovanna Nepi Sciré Il museo / La Wallace Collection di Hertford House, Londra Per oltre la metà di un secolo un capolavoro di Tiziano è stato dimenticato in bagno Francesca Pitacco 156 L’inedito / Un manoscritto di fine ’800, autentico “specchio dei tempi” C’erano 300 raccolte private (molte assai singolari): e 70 sono state svendute così Fabio Isman La scoperta / L’artista di Messina vive in laguna pochi ma fondamentali mesi A Venezia ne dipinge almeno 20; però oggi di Antonello un solo quadro rimane in città Rosella Lauber Il personaggio / Il “sacco” del patrimonio pubblico: anche un’asta di 5.000 tele I registri della dispersione. E Pietro Edwards decide: «A Vienna, Milano, da cedere» Intervista con Giovanna Nepi Sciré, di Fabio Isman La musica / Dalla Spagna alla Marciana tramite Farinelli, il “re dei castrati” Tutte le sonate di Scarlatti sono a Venezia: ecco il loro tortuoso percorso Sandro Cappelletto Il mistero / Dispute e tante scoperte attorno a tre importanti ritratti del ’500 L’Ariosto di Tiziano (Londra) non è Ariosto; e il Barbarigo non si sa chi sia Giorgio Tagliaferro Il museo / La National Gallery di Edimburgo, ma anche tante ville e residenze Tiziano, Giorgione & Company: quando gli scozzesi facevano man bassa in laguna Francesca Pitacco 0020.saggi.qxd 1-12-2010 11:41 Pagina 157 5/2006 6/2007 L’editoriale / Non una dispersione insensata, ma un fenomeno da studiare «Si rigenera l’attesa...». I mille vortici di una diaspora che sempre stupisce Giuseppe De Rita L’editoriale / Un modello che vuole ricrearsi Verso una nuova forma Giuseppe De Rita L’archeologia / Tante razzie, poi infinite fughe: ecco dove Sono emigrate 9 statue su 10 di quelle raccolte nella città che fu dei dogi Irene Favaretto La sorpresa / Due mostre a Washington e Vienna, specchio della diaspora Come spiegare la grande arte di Venezia del Cinquecento senza dipinti rimasti in laguna Fabio Isman La scoperta / L’Ecce Homo di Tiziano ritrovato al Puskin: l’avevano rubato Dei 106 dipinti già dei Barbarigo finiti in Russia, tre quarti sono ormai dispersi Irina Artemieva Il racconto / Le curiosità di 10 secoli di rapporti, spesso fecondi ma anche difficili Quando a Costantinopoli Venezia era di casa (arte in cambio di caffè) Fabio Isman L’indagine / Tante odisee: il patriarca fugge sui tetti, lo salva il vessillo turco Smembrati ed emigrati così dieci immensi Tiepolo già dei Querini Stampalia Tiziana Bottecchia L’artista / Le mille peripezie dei dipinti nati per la città, dove di suo resta il 7% Itinerario di una diaspora: giro del mondo in cerca dei Tiziano non più a Venezia Rosella Lauber Il dipinto / Un Giovane e tanti indizi: anche una data fasulla Venezia-New York e ritorno: la storia assai singolare di un ritratto forse di Giorgione Augusto Gentili La musica / La breve vita d’un autore a suo tempo assai stimato, poi dimenticato Emerge da secoli d’oblio il genio di Rigatti, rinasce, ma non in laguna Sandro Cappelletto L’inedito / Nuovi documenti su una delle ultime opere dell’artista Ecco perché Il culto di Cibele, un capolavoro di Mantegna, sfugge a Venezia, e va a Londra Rosella Lauber La storia / Venduti in gran segreto 90 dipinti e 200 sculture Come passa per la laguna (e poi finisce a Londra) la raccolta dei Gonzaga Leandro Ventura Il progetto / Decolla un’iniziativa di catalogazione senza uguali in Italia Un «Indice delle provenienze» per conoscere tutto del collezionismo veneziano Stefania Mason La musica / Importanti recuperi di opere che erano sparite Le sue note finite nell’oblio, a Torino e in altre città: Galuppi ritorno dopo 300 anni Sandro Cappelletto 157 0020.saggi.qxd 1-12-2010 11:41 Pagina 158 7/2008 8/2009 san pietroburgo e la città dei dogi la città degli asburgo e quella dei dogi L’editoriale / Neva e laguna: arte, edifici e il rapporto tra vita e morte Due città legate da un mistero Giuseppe De Rita L’editoriale / La città dell’imperatore e quella del doge Dalla rimozione e il rancore alla riscoperta del grande patrimonio comune Giuseppe De Rita La rivelazione / Due notti in incognito; analoghe le piante delle due città Anche con un viaggio segreto lo zar Pietro prende la Serenissima come modello Sergej Androsov La storia / Quattro secoli di rapporti tra confronti, rivalità, sospiri Da Venezia fino a Vienna andata e ritorno: per chi suona la campana? Gino Benzoni Un regesto / Due secoli di rapporti con la Serenissima e infinite curiosità Come gli artisti della laguna riempiono di opere le residenza della nuova città Fabio Isman La storia / Due zarine creano la maggiore raccolta veneziana all’estero E il violinista fa la spola con San Marco per arredare tanti palazzi Irina Artemieva La musica / La traiettoria di uno sviluppo, da Galuppi a Cimarosa & company Caterina ii, con il “Buranello”, dà alla città stile e perizia artistica Sandro Cappelletto La cronaca / Che cosa celano i Giorgione, Tiziano e Veronese della zarina La vendita sconvolge il mondo: da Parigi all’Hermitage i capolavori veneti di Crozat Rosella Lauber Il contesto / Uno storico nemico, che priva la Serenissima della libertà Tra ambasciatori e spie artisti e musicisti: secoli di rapporti in cagnesco Fabio Isman I libri, i poeti / Dal Settecento fin quasi al 2000: l’attrazione e la ripulsa La laguna come un’alterità a portata di mano. E poi, il mito della città morta Andrea Landolfi Il racconto / Una predilezione che inizia forse nel 1533, con Tiziano Un acquisto dietro l’altro, nasce la più ricca e documentata raccolta veneziana all’estero Sylvia Ferino Pagden La curiosità / Compravendite e trasferimenti dei «Mesi», capolavori di Leandro Dalla laguna fino agli Asburgo: i tanti viaggi di un ciclo di 12 Bassano (ma uno è sparito) Francesca Del Torre Scheuch La musica / Vicende di note (e di gonnelle) tra le due capitali Nello stesso anno, il 1787, due Don Giovanni: ma quanto diversi tra loro Sandro Cappelletto L’indagine / Sotto la dominazione austriaca esiste già una “banda del buco” «Vendere a ogni costo»: spariscono 5000 dipinti, ma tornano cavalli e leone Rosella Lauber 158 0020.saggi.qxd 1-12-2010 11:41 Pagina 159 0020.saggi.qxd 3-12-2010 14:12 Pagina 160 Fotolito e impianti CTP Linotipia Saccuman & C. srl, Vicenza Stampato da La Grafica & Stampa editrice srl, Vicenza per conto di Marsilio Editori spa in Venezia ® EDIZIONE 10 9 8 7 6 5 4 3 2 1 ANNO 2010 2011 2012 2013 2014