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PARTE PRIMA
Il secondo Ottocento
1) Dal positivismo al verismo
Dal punto di vista letterario gli anni del secondo Ottocento rappresentano un periodo di crisi. Si sviluppa una scuola manzoniana, ma di
modesta levatura, mentre l’isolata lezione leopardiana non trova seguaci;
mancano figure di spicco in grado di orientare e caratterizzare questa
fase storico-culturale. In alcuni scrittori è percepibile il prevalere di un
sentimentalismo languido e flebile, un riproporsi fiacco di temi e moduli
che in precedenza avevano avuto risonanze più profonde.
L’avvento dell’industria libraria e gli avvenimenti politico-sociali
cambiano la funzione del poeta e il suo rapporto con il pubblico. Alla
figura del poeta romantico, che si era sentito espressione di una voce
collettiva, portatore di un messaggio indirizzato all’universalità degli
uomini, subentra quella del poeta moderno, il quale ha una coscienza
del proprio ruolo molto più inquieta e vive con disagio i fenomeni
che vede attorno a sé: l’ascesa della borghesia, l’ampliamento del pubblico dei lettori, l’avanzare del proletariato, il progresso tecnologico
e industriale.
Nella seconda metà del secolo la cultura filosofica egemone è il
Positivismo (A anche Glossario), i cui aspetti salienti sono la reazione
agli esiti irrazionalistici a cui era giunto il Romanticismo e la ripresa di
alcune istanze dell’Illuminismo, come la fiducia nella ragione e nella
scienza, la volontà di estendere il metodo sperimentale, tipico delle
scienze naturali, ad altri campi del sapere, la fondazione di nuove
discipline (ad esempio la sociologia); esso deve al francese Auguste
Comte il nome e l’esposizione teorica.
In Italia la dottrina positivista si diffonde ampiamente tra la borghesia
laica dopo il raggiungimento dell’Unità. Tra le maggiori figure di pensatori in questo periodo vanno ricordati Andrea Angiulli (1837-1890) e
soprattutto Roberto Ardigò (1828-1920), che scrive numerosi volumi
nei quali illustra aspetti e problemi dell’evoluzionismo filosofico.
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Parte Prima: Il secondo Ottocento
La Scapigliatura (A anche Glossario; il termine è usato per la prima
volta da Cletto Arrighi, 1830-1906, nel romanzo La Scapigliatura e il 6
febbraio, del 1862), estrema propaggine del Romanticismo, è la corrente letteraria che domina il panorama italiano nei primi anni dell’Unità
nazionale: indica una schiera di giovani anticonformisti, avversi a ogni
forma di vita borghese, ribelli, insofferenti, bohémien. Il movimento ruota
attorno al gruppo di letterati milanesi di cui fanno parte Arrigo (18421918) e Camillo Boito (1836-1914), Emilio Praga (1839-1875), Igino
Ugo Tarchetti (1839-1869), Carlo Dossi (1849-1910), e successivamente
attorno al gruppo piemontese che annovera Giovanni Faldella (18461928), Giovanni Camerana (1845-1905), Giuseppe Giacosa (18471906), Roberto Sacchetti (1847-1881). Alle radici della Scapigliatura si
pongono la delusione per gli esiti del Risorgimento, un contraddittorio
rapporto con l’industrializzazione e l’opposizione alla mentalità borghese.
Sul piano letterario i temi prevalenti sono l’abnorme e il patologico, il
patetico e l’orroroso, l’onirico e il fantastico, l’ironia e l’umorismo acre.
In Francia, sulla scia del Positivismo, si sviluppa il Naturalismo (A
anche Glossario): Honoré de Balzac, Gustave Flaubert e i fratelli
Edmond e Jules Goncourt sono gli esponenti di punta; ma, certo,
Émile Zola, con la teoria del roman experimental ne è il caposcuola.
Il metodo scientifico viene trasferito alla letteratura, che si caratterizza
come una scienza capace di cooperare allo sviluppo sociale e culturale.
Ulteriore novità è il canone dell’impersonalità della narrazione, che liquida la formula del narratore onnisciente dominante nel primo Ottocento.
Il Verismo (A anche Glossario) italiano si muove nell’ambito
della medesima cultura scientista del Naturalismo francese: si accetta
la concezione deterministica dell’agire umano, respingendo quella
metafisica e moralistica tradizionale. L’oggetto della letteratura, afferma Giovanni Verga (A I grandi autori) nella Prefazione alla novella
L’amante di Gramigna, sono i «documenti umani», cioè fatti veri, storici;
e l’analisi di tali documenti deve essere condotta con «scrupolo scientifico»; il romanzo trionferà, dice, quando «la mano dell’artista rimarrà
assolutamente invisibile, e l’opera d’arte sembrerà essersi fatta da sé».
È la dottrina dell’impersonalità, secondo la quale l’autore nell’analisi
della realtà deve evitare accuratamente di inserire e manifestare il suo
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Parte Prima: Il secondo Ottocento
punto di vista. Ma alla visione negativa della realtà sociale, comune
ai naturalisti francesi, non si accompagna nei veristi una fiducia nella
scienza come efficace strumento per l’emancipazione dell’uomo e per
la soluzione di problemi, che appaiono quasi fatalisticamente legati a
dati oggettivi e perenni della natura umana e della società.
Tra il 1880 e il 1886 un gruppo di letterati francesi, facenti capo a
Paul Verlaine, anima la vita culturale e letteraria parigina, dando vita
al cosiddetto Decadentismo (A anche Glossario), di cui era stato
precursore Charles Baudelaire. Il termine designa un’intera fase
storico-culturale europea che si estende fino al primo decennio del Novecento. Il movimento nasce come reazione al Positivismo-Naturalismo,
riprendendo molte delle esperienze di segno
Friedrich Nietzsche: (1844irrazionalistico, spiritualistico, soggettivistico 1900) è uno dei più grandi
del moto romantico. La realtà vera non è più filosofi tedeschi e dell’intero
quella che appare, ma quella che si cela dietro panorama mondiale. Nel periodo maturo dell’evoluzione
le apparenze; un rinnovato senso del mistero del suo pensiero individua in
avvolge la natura e l’uomo. Il linguaggio della impulsi e interessi egoistici il
realtà e della natura è misterioso, oscuramente fondamento delle idee e dei
più alti, concependo la
simbolico, e l’essere umano lo deve interpre- valori
verità come il configurarsi di
tare e svelare. Al poeta è affidato il compito di rapporti di forze. Nell’ultima
farsi “veggente”, cioè di svelare l’enigma della fase dello sviluppo della sua
vita. Fare della propria esistenza un’opera d’ar- filosofia emergono i concetti
di volontà di potenza e di nite, vivere nel culto esasperato della bellezza, chilismo. Nella sua opera più
o totalmente in funzione dell’arte diviene un nota, Così parlò Zarathustra
credo per molti letterati. È la genesi dell’Este- (1883-1885), il pensatore
annuncia profeticamente la
tismo (A anche Glossario), che ha in per- «morte di Dio» e l’avvento
sonaggi come Dorian Gray di Oscar Wilde del «superuomo», che accetta
e Andrea Sperelli di Gabriele D’Annunzio integralmente l’irrazionalità
(A Parte Quarta, I grandi autori) gli esempi della vita e si pone al di là del
bene e del male.
più celebri. Della letteratura e dell’arte si
evidenzia la sostanziale autonomia: non più subordinate a qualsivoglia
fine pratico, ma poesia e arte per sé stesse. Eccezione a questa tendenza è la concezione dannunziana del letterato trascinatore di folle
e politicamente impegnato; ma sotto questo atteggiamento c’è anche
una sorta di onnipotenza, che ha radici nel superomismo di Nietzsche,
nella teoria cioè di un uomo superiore, con le capacità per dominare
la realtà e le masse.
Dopo l’unificazione nazionale si discutono diverse tesi formulate
sulla questione della lingua nel primo Ottocento, in particolare quella
manzoniana. È Graziadio Isaia Ascoli (1829-1907) che dirime, sul
piano teorico, la questione. Egli sostiene che per affrontare il problema
bisogna analizzarne le cause, che consistono nella divisione politica,
nella scarsa diffusione della cultura, nel formalismo e nella retorica.
Non il fiorentino del popolo, come aveva proposto Manzoni, ma il
patrimonio di esperienze linguistiche e culturali comuni a tutta Italia,
deve costituire, per Ascoli, la base per lo sviluppo di una lingua unitaria, che si sarebbe avuta quando anche i ceti subalterni avrebbero
partecipato a momenti di vita collettiva e attinto alle fonti della cultura.
Tra le condizioni che favoriscono l’unificazione linguistica si possono
ricordare: l’incremento della scolarizzazione; l’unificazione amministrativa e la diffusione della burocrazia; il servizio militare che porta al
nord i giovani meridionali e al sud i settentrionali; la stampa a diffusione nazionale; l’urbanizzazione, l’industrializzazione e la migrazione
interna, che cooperano nel permettere a masse di ceto e provenienza
geografica diversi di comunicare tra loro.
2) I generi letterari e gli autori minori
Parte Prima: Il secondo Ottocento
Il romanzo sociale
Nella seconda metà dell’Ottocento il romanzo storico entra in crisi
sia per il tramonto degli ideali risorgimentali sia per la progressiva dissoluzione dei tradizionali registri narrativi. A poco a poco si affermano
nuovi generi attraverso i quali gli scrittori approfondiscono gli aspetti
psicologici dei loro personaggi, o effettuano indagini relative ai flussi di
coscienza, ai contrasti tra sentimento e ragione, ai tormenti esistenziali.
Un esempio è il romanzo sociale, che nasce in concomitanza con lo
sviluppo delle scienze antropologiche, mediche ed economiche. Sicché
diviene indispensabile, anche nella letteratura, che il narratore non
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Parte Prima: Il secondo Ottocento
si fermi semplicemente a ritrarre il mondo così com’è, cioè nei suoi
aspetti reali, ma si ponga lo scopo della denuncia, assumendo magari i
metodi delle scienze. Questo genere ha il suo momento migliore nella
narrativa degli scapigliati democratici, con i quali si presta a essere
un’acuminata arma di polemica e di contestazione. Tra coloro che
scrivono specificatamente romanzi sociali è opportuno ricordare autori
quali Cletto Arrighi, Achille Bizzoni (1841-1904), Cesare Tronconi
(1842-1890) e Paolo Valera (1850-1926).
Il romanzo d’appendice nel secondo Ottocento diviene la più
diffusa merce di consumo. Quasi tutti i quotidiani e i periodici pubblicano romanzi a puntate, bozzetti, novelle, racconti, e sostengono
una narrativa d’appendice al femminile, in cui le scrittrici si rivolgono
direttamente alle donne per inculcare loro i valori della famiglia e
della maternità: è il caso di Anna Radius Zuccari (1846-1918), nota
come Neera, e di Maria Antonietta Torriani (1846-1920) o Marchesa
Colombi. Ma è soprattutto vero che la pubblicistica attira la gran parte
degli autori italiani rimasti famosi, come Edmondo De Amicis (18461908), Carlo Collodi (1826-1890), Matilde Serao (1856-1927), Luigi
Capuana (1839-1915), Giovanni Verga, Antonio Fogazzaro (18421911) ed Emilio De Marchi (1851-1901), per i quali i giornali sono il
mezzo più celere per diffondere il loro pensiero, le loro poetiche e le
loro riflessioni critiche.
Il romanzo regionale documenta, invece, particolari condizioni
sociali degradate, tradizioni e costumi locali, modi di pensare e di
vivere propri di un determinato ambiente. La narrativa regionale è
implicitamente sollecitata dalle pregresse differenze sociali, economiche e politiche che lo Stato unitario non è riuscito a eliminare. Tra
gli autori da ricordare ci sono Renato Fucini (1843-1921), Achille
Giovanni Cagna (1847-1931), Nicola Misasi (1850-1923), Remigio
Zena (1850-1917) ed Emilio De Marchi. In particolare di quest’ultimo
si ricorda il Demetrio Pianelli (1890), che mostra persistenti venature
tardo-romantiche e scapigliate.
Nell’ambito della narrativa per ragazzi si distinguono Collodi
e De Amicis, rispettivamente con Le avventure di Pinocchio (1883) e
Cuore (1886). Il testo di Collodi, che penetra capillarmente nelle scuole
e nelle famiglie, contribuisce con la sua vivacità espressiva a dare un
solido sostegno alla formazione della lingua nazionale; Cuore è invece
legato alla qualità del suo messaggio pedagogico e alla sua concezione
della vita associata.
Parte Prima: Il secondo Ottocento
3 ) La poesia da Carducci e D’Annunzio
Il panorama della produzione lirica attorno alla metà del secolo
è assai variegato, ma nel contempo privo di grandi personalità, ad
eccezione di Carducci: ciò che risulta evidente sul piano tematico è
l’enfatizzazione sentimentale, la compiaciuta predilezione per storie di
amori infelici, per le facili effusioni suggerite dagli spettacoli naturali
o dalla meditazione sulla condizione umana, che si concretizza sul
piano formale in una versificazione facile e corriva. Tra le figure più
rappresentative di questo periodo abbiamo Giovanni Prati (1814-1884)
e Aleardo Aleardi (1812-1878), i quali accolgono le suggestioni del
Romanticismo europeo: del primo, la cui attività letteraria è piuttosto
eterogenea, rammentiamo i Canti per il popolo e ballate (1843), la novella in versi Edmenegarda (1841), i poemi Rodolfo (1853), Armando
(1868), le raccolte Psiche (1876) e Iside (1878); del secondo, dotato di
una disciplina formale maggiore rispetto a Prati, citiamo Il Monte Circello (1856), Le antiche città italiane marinare e commercianti (1856),
Poesie complete (1863).
Il poeta per antonomasia del secondo Ottocento è, però, senza
ombra di dubbio Giosue Carducci (1835-1907). Nato a Valdicastello
in provincia di Lucca, fin dalle prime prove letterarie manifesta un’indiscutibile tensione verso l’impegno etico e sociale. Il Romanticismo,
secondo l’ottica carducciana, è destinato a essere presto superato,
poiché il poeta moderno deve rendersi indipendente dalle mode e
dalle esigenze del tempo e perseguire una propria ricerca capace di
elevarsi al di sopra della storia per assurgere all’eternità della grande
poesia. La sua battaglia antiromantica è pienamente giustificata dagli
esiti di una cultura che va esaurendo la potente carica ideologica con
cui si era rivelata a inizio secolo. Come rimedio a questa degenera10
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Parte Prima: Il secondo Ottocento
zione egli propone allora un ritorno ai classici, che si sostanzia di
una fortissima carica polemica destinata a tradursi immediatamente
in impegno civile, che trova riscontro, alle soglie dell’Unità d’Italia,
negli autori risorgimentali. Carducci esorta all’eroismo e alla passione
patriottica ed è particolarmente attratto da quei momenti della storia
universale in cui queste forze si evidenziano in tutta la loro irruenza;
ma la rievocazione della storia antica tocca i momenti più intensi e
delicati quando muove da una malinconica consapevolezza che quel
passato non tornerà mai più.
Cresciuto a contatto con una natura ancora semiselvaggia come
quella della Maremma, il poeta porta sempre nell’animo l’impronta sana
e vigorosa di quel mondo. La dolcezza di quelle atmosfere campestri
ritorna in tanta parte della sua produzione, facendo da contraltare sentimentale e malinconico alla passione civile; in liriche come Davanti
San Guido tale afflato intimistico tocca uno dei vertici più commoventi.
Alcuni fattori della posizione ideologica carducciana subiscono un
sensibile mutamento nei decenni successivi all’Unità d’Italia: l’entusiasmo democratico e l’atteggiamento ribellistico (che toccano il loro
culmine nel polemico Inno a Satana del 1863, vibrante apologia della
ragione, del progresso e del pensiero laico) lasciano il passo a posizioni
indubbiamente più moderate, per approdare infine all’accettazione
convinta della monarchia di Umberto I.
La varietà dei temi e dei sentimenti, la presenza niente affatto retorica del dolore, della morte, della forza e della fragilità, sono i moti
più sottili e inquietanti dell’animo umano, espressi nella sua vastissima
produzione, nella quale si toccano i momenti più delicati e modernamente nostalgici della poesia italiana della seconda metà del XIX
secolo. Tra le opere maggiori possiamo indicare le raccolte poetiche
Juvenilia (1860; sia i contenuti che le scelte metriche rivelano l’imitazione dei classici amati dal poeta in gioventù, da Dante e Petrarca a Monti
e Foscolo), Levia Gravia (1868; già il titolo, di derivazione ovidiana,
indica la compresenza di liriche di impegno politico-civile e altre più
leggere), Giambi ed Epodi (1882; si inserisce nella fase democratica e
giacobina dell’autore), Rime nuove (1887; le poesie di questa raccolta,
tra le più belle composte da Carducci, spaziano dai motivi più intimistici
Parte Prima: Il secondo Ottocento
e sentimentali a quelli più civilmente impegnati e polemici, e i temi
trattati sono le memorie autobiografiche e le grandi memorie storiche;
celeberrima è la lirica San Martino), Odi barbare (1877; 1882; 1889;
ricorrono gli stessi motivi ampiamente presenti nelle Rime nuove, con
alternanza di ricordi interiori, sottili e nostalgici moti dell’animo, sogni
di evasione in un passato nazionale mitico e lontano. Nella raccolta il
poeta sperimenta l’applicazione della metrica latina e greca nella lingua
italiana, il che spiega la definizione di «barbare» data alle odi), Rime e
ritmi (1899; orientato verso la monarchia e le posizioni di Crispi, Carducci propone un’immagine falsamente eroica e positiva dell’Italia);
la raccolta di articoli critici Confessioni e battaglie (1882; 1883; 1884;
l’autore è anche un critico militante e interviene polemicamente nel
dibattito culturale del tempo); l’Epistolario (postumo; 1938; nel quale si
scopre un Carducci diverso dal poeta “ufficiale”, che ripercorre le tappe
principali della sua vita in uno straordinario esempio di autoanalisi).
Il classicismo di Carducci, che intende la classicità come età di
vitalistico rapporto con la vita, come laica razionalità da cui nascono
gli atteggiamenti anticristiani, favorisce una florida produzione poetica
rappresentata da Giacomo Zanella (1820-1888), che nei suoi componimenti affronta problemi di notevole interesse, come il rapporto fra
scienza e fede; Pietro Cossa (1830-1881); Domenico Gnoli (18381915), che a Carducci si riferisce definendolo «poeta d’Italia tutelare»;
Enrico Nencioni (1837-1896), che nelle sue poesie non è scevro da
novità simboliste; Giuseppe Chiarini (1833-1908), del quale ricordiamo
alcuni componimenti collegati alle disgrazie familiari che lo colpirono;
Severino Ferrari (1856-1905), che in alcune sue liriche coniuga l’amore
per la terra romagnola con suggestioni mitologiche.
Negli ultimi anni del XIX secolo si afferma la poesia simbolista
grazie ad autori come Gabriele D’Annunzio e Giovanni Pascoli (A
Parte Quarta, I grandi autori), che hanno una funzione essenziale nella
sprovincializzazione della cultura letteraria italiana e nel rinnovamento
linguistico-stilistico.
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4) Giovanni Verga
1840
Nasce a Catania.
1851-1857 Frequenta la scuola di Antonio Abate, patriota di idee mazziniane,
giornalista e poeta. Nel 1857 termina il suo primo romanzo, Amore
e patria, ambientato negli anni della Rivoluzione americana e
rimasto inedito.
1858
Si iscrive alla facoltà di legge presso l’Università di Catania; compone
il romanzo I carbonari della montagna, ambientato nella Calabria
del primo Ottocento.
1865
Soggiorna per due mesi a Firenze, dove ha l’occasione di fare vita
mondana; scrive il romanzo Una peccatrice.
1869
Torna nuovamente a Firenze ed è accolto nei salotti letterari più
importanti della città.
1871
A Milano viene pubblicato il suo nuovo romanzo Storia di una
capinera.
1872
Si trasferisce a Milano, rimanendovi per circa vent’anni.
1873
Scrive il romanzo Eva.
1874
Pubblica il bozzetto Nedda, una novella ambientata nel mondo
rurale della Sicilia.
1875
È dato alle stampe il romanzo Tigre reale; compone il romanzo Eros.
1880
Pubblica la raccolta di novelle Vita dei campi.
1881
Sono editi I Malavoglia.
1883
Pubblica le Novelle rusticane.
1884
Viene rappresentato con grande successo a Torino il dramma
Cavalleria rusticana.
1888
Esce il romanzo Mastro-don Gesualdo.
1893
Si trasferisce definitivamente a Catania.
1920
Diviene senatore.
1922
Muore a Catania.
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Parte Prima: Il secondo Ottocento
La vita
Parte Prima: Il secondo Ottocento
Il profilo letterario e le opere
La personalità umana e artistica di Giovanni Verga appare complessa e variamente articolata. Emigrante della cultura nell’Italia postrisorgimentale, l’autore è animato da una profonda inquietudine e da
una volontà di ribellione, i cui obiettivi ben presto si concretizzeranno
nella società borghese e aristocratica delle grandi città. Egli avverte
fin dall’inizio il bisogno di sprovincializzare la sua produzione e di
confrontarsi con la classe intellettuale dell’“altra” Italia.
Verga approda al Nord fiducioso che la sua parola possa trovare un
pubblico attento e partecipe, ma si rende subito conto, soprattutto a Milano, che la società cittadina è pervasa da valori del tutto differenti da quelli
che egli aveva immaginato. Lo scrittore siciliano è dunque animato da un
vivace spirito di confronto, anche se non abbandona mai la chiusa ritrosìa
dell’isolano che ha poca fiducia nel mondo esterno. In questo ambiente
acquisisce lo spirito di ribellione degli scapigliati (A Il contesto culturale);
pertanto i suoi romanzi mondani recano il segno di una protesta contro
un sistema economico e una classe sociale che rappresenta, tuttavia,
lo stesso pubblico colto al quale egli deve rivolgersi. È la ricerca del
«vero», il bisogno di essere narratore di cose e di fatti, che muove Verga
nell’intento di rappresentare la realtà nell’immediatezza della visione
oggettiva. Sotto la spinta dell’amico Luigi Capuana e dopo la lettura dei
naturalisti francesi, in primo luogo Zola, l’autore matura il suo approdo
alla narrazione verista: il «vero», nucleo fondamentale della nuova visione
artistica, è già presente in lui. Da scrittore verista egli è un positivista,
ma privo della carica entusiastica di costruzione che anima i letterati
francesi e parte di quelli italiani: per lui la realtà è immobile, dominata
dalla legge del più forte, una fiumana che lascia inesorabilmente per
strada i più deboli. Nella lotta per la sopravvivenza gli interessi economici prevalgono in tutte le relazioni umane. Il pessimismo domina
la sua visione dell’esistenza: la società è una faccia esterna dentro la
quale operano i princìpi immutabili dei processi naturali; perciò ogni
speranza di riforma o di progresso si rivela impossibile.
La produzione di Verga si divide sostanzialmente in due periodi
fondamentali: la prima fase, in cui si dedica alla stesura di romanzi
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«mondani», influenzato dal clima culturale fiorentino e milanese; e la
fase veristico-regionalistica, che vede protagonista delle sue opere il
mondo dei «vinti», di coloro cioè che sono costretti a soccombere di
fronte all’inesorabilità del progresso.
TAVOLA SINOTTICA DELLE OPERE
Genere
Contenuti
I carbonari della montagna Romanzo
(1861)
L’opera, di carattere storico-patriottico, è ambientata
in Calabria all’epoca del regno di Gioacchino Murat.
Una peccatrice (1866)
Romanzo
La protagonista della vicenda, che si ispira alla Signora
delle camelie di A. Dumas, inaugura la galleria dei
personaggi verghiani che in nome dell’amore suggellano
il senso della propria vita.
Storia di una capinera
(1871)
Romanzo
Se appare senz’altro importante il tema sociale della
monacazione forzata, il vero nucleo centrale del romanzo
è il dramma intimo e privato della giovane protagonista.
Eva (1873)
Romanzo
Il romanzo, il primo della cosiddetta «produzione
milanese», reca chiari i segni della polemica scapigliata
contro una società dominata dall’amore per il denaro e
dal raggiungimento dell’utile.
Eros (1874)
Romanzo
Il protagonista, dedito al lusso e alla mondanità, è
simbolo di un’incompiuta maturità psicologica, capace
di affermarsi soltanto attraverso gesti e azioni eclatanti.
Tigre reale (1875)
Romanzo
L’osservazione del reale subentra per la prima volta alla
volontà di scandalizzare dei precedenti romanzi.
Vita dei campi (1880)
Raccolta di novelle
Con l’attenzione rivolta al mondo degli umili, le cui
vicende diventano la vera voce narrante, queste novelle
segnano l’approdo al Verismo.
I Malavoglia (1881)
Romanzo
Al centro del romanzo, il primo del «ciclo dei vinti», ci
sono le vicissitudini di una piccola comunità di pescatori
siciliani (A I Malavoglia).
(segue)
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Parte Prima: Il secondo Ottocento
Titolo e data di
pubblicazione
Parte Prima: Il secondo Ottocento
Titolo e data di
pubblicazione
Genere
Contenuti
Il marito di Elena (1882)
Romanzo
Nei due personaggi principali Verga contrappone
altrettanti mondi: quello corrotto della città, dominata
dal lusso e dalle passioni, e quello campagnolo, che
crede nell’onestà e nel lavoro.
Novelle rusticane (1883)
Raccolta di novelle
In queste novelle emergono tematiche come l’analisi
della realtà borghese e della piccola nobiltà di campagna, il contrasto fra le classi sociali e il passaggio da
un ceto all’altro.
Cavalleria rusticana (1884) Dramma
Il testo teatrale punta sul personaggio di Santuzza, di
cui viene accentuato l’intimo dramma passionale e il
desiderio di vendetta.
Mastro-don Gesualdo
(1889)
Secondo romanzo del «ciclo dei vinti», narra
dell’ascesa sociale di un muratore e della sua triste
fine (A Mastro-don Gesualdo).
Romanzo
I Malavoglia Primo dei cinque romanzi che dovevano costituire
il «ciclo dei vinti», I Malavoglia sono un’opera corale, nella quale la
famiglia Toscano si presenta come un gruppo guidato dal vecchio
padron ’Ntoni, la cui vita si svolge intorno alla «casa del nespolo»,
centro vitale degli affetti familiari, e alla vecchia barca Provvidenza,
che naufragherà tragicamente.
Le tematiche I temi centrali del romanzo sono la ricerca dell’arricchimento e del benessere, che spinge i protagonisti a cercare le strade
del miglioramento; ma alla base della loro azione vi sono anche valori
come la sacralità del lavoro, l’unità della famiglia, l’onestà, il rispetto
della parola data, il dolore che nasce dalla vergogna. Inevitabilmente
le vicende del racconto coincidono con quelle storiche: la battaglia di
Lissa, l’Unità d’Italia, la Destra al potere. Alessi è il vero eroe positivo
di tutto il libro perché simboleggia la tenacia nel riscattare la casa del
nespolo dopo il tracollo economico. Intorno a lui si ricostruisce la
“religione” della famiglia e il senso onesto della fatica, che consente
di rinnovare la «roba», la proprietà, l’unico bene che permette una
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Mastro-don Gesualdo Il secondo romanzo del «ciclo dei vinti» conosce una lunga gestazione, che occupa uno spazio di circa dieci anni,
con una sorta di prova generale rappresentata dalla novella La roba,
il cui protagonista è un’anticipazione della personalità di Gesualdo
Motta, «mastro» perché maestro muratore e «don» perché si è meritato
quel titolo di rispetto in virtù della ricchezza che ha accumulato e
della scalata sociale che a essa si accompagna. Rispetto ai Malavoglia,
il contesto sociale in cui la vicenda si svolge è più complesso, perché
più elevato è il gioco degli interessi economici, lontani come siamo dal
semplice mondo dei pescatori. Storicamente l’aristocrazia nobiliare ha
esaurito la sua funzione, mentre una nuova classe sociale ne prende il
posto: è quella della borghesia imprenditoriale, di cui Gesualdo è un
validissimo rappresentante.
17
Parte Prima: Il secondo Ottocento
precisa collocazione sociale. Emblematica è poi la figura del giovane
’Ntoni che, dopo la morte del nonno, dovrebbe rappresentare l’anello
di congiunzione tra vecchio e nuovo. Ma ormai anche lui è costretto a
soccombere alle leggi ferree della vita, che nessuno può infrangere, e
la sua partenza segna metaforicamente la fine del romanzo.
Lo stile Calatosi nella mente e nelle azioni dei personaggi, l’autore
non giudica più, non descrive, ma ascolta e registra la loro vita proiettandola lungo un ordito linguistico veramente innovativo, nello sforzo
di far parlare uomini e cose con il loro linguaggio, con il loro sistema
di pensieri. La narrazione dei fatti avviene, dunque, attraverso l’uso
del discorso indiretto libero (A Parte Prima, Tecniche di lettura, Il
testo narrativo: il narratore), a conferma che lo scrittore si limita solo
a registrare ciò che dicono e fanno i protagonisti. Nel complesso il
romanzo ha un andamento epico e i suoi personaggi assomigliano
agli eroi delle tragedie greche per la loro capacità di ergersi contro le
avversità con coraggio e ostinazione. Tutta l’azione del libro si svolge
in un paese fisso in una remota immobilità temporale, dove il convulso
procedere delle situazioni non smuove la staticità della storia; il mare
è l’emblema di questa condizione temporale, e con il suo rumore
scandisce la vita del villaggio, fondendosi con gli altri simboli fonici
che contrassegnano le vicende dei paesani.
Parte Prima: Il secondo Ottocento
Le tematiche Il principio darwiniano dell’evoluzione e della lotta
per la sopravvivenza, l’aspirazione al possesso della «roba» e l’ambizione
sociale sono i temi centrali del romanzo.
Altri motivi dominanti sono il bisogno dell’unità familiare, il senso
etico del lavoro, la patriarcalità. Lo scontro tra opposti interessi e tra
appartenenti a classi sociali diverse si agita sullo sfondo della narrazione, ma tutto il gioco delle relazioni, della corsa agli appalti e al
profitto è visto, attraverso l’ottica del narratore, come un’immensa e
inutile rappresentazione da cui emergeranno unici vincitori la logica
del guadagno e la lotta dell’uomo contro l’uomo.
Lo stile All’interno del romanzo l’autore utilizza due tipologie narrative, quella descrittiva e quella dialogica, che conferiscono all’azione
un alternarsi di pause e ritmi che sostengono il racconto. Il ricorso a
forme di interpunzione che sottolineano una pausa, come i due punti
o il punto e virgola, assicura fluidità ai periodi. Notevole anche l’uso
dei puntini sospensivi, che conferma la concitazione generale e il
senso di attesa e di impotenza di fronte a un evento non controllabile.
Il lessico, infine, appare diversamente articolato: predominano voci
dell’uso gergale e quotidiano, ma frequente è anche il contrasto tra
termini poetici e parole più aspre nel suono e nel significato, al fine di
rendere «vera» la narrazione. Spesso, come nei Malavoglia, lo scrittore
fa uso del discorso indiretto libero.
18
PARTE SECONDA
Il primo Novecento
Il contesto storico
................................
Il periodo compreso tra l’ultimo scorcio dell’Ottocento e il primo ventennio del Novecento vede lo scenario internazionale trasformarsi radicalmente in seguito allo sviluppo incontrollato del capitalismo. I profondi
mutamenti nell’economia mondiale condizionano sia le politiche interne
dei vari Stati sia i reciproci rapporti tra uno Stato e l’altro. Il colonialismo prima, l’imperialismo poi concorreranno in breve a scatenare il primo conflitto di dimensioni mondiali della storia umana. L’Italia non ne
resterà esclusa.
TAVOLA CRONOLOGICA DEGLI EVENTI
1882 L’Italia sottoscrive la Triplice Alleanza che la vede schierata al fianco dell’Austria e della Germania.
1887 La Destra storica prende il potere con l’elezione al governo di Francesco
Crispi.
1892 Viene fondato a Genova il PSI.
1896 Con la sconfitta di Adua fallisce l’impresa coloniale italiana in Africa. Crispi si dimette.
1898 Agitazioni popolari. A Milano il generale Bava Beccaris ordina di far fuoco
sulla folla dei dimostranti.
1900 Re Umberto I viene assassinato a Monza dall’anarchico Gaetano Bresci.
1903 Giovanni Giolitti è nominato Primo Ministro.
1911-12 Impresa libica: l’Italia dichiara guerra alla Turchia per il possesso coloniale della Libia. Il 18 ottobre 1912 la vittoria italiana è sancita dalla pace di
Losanna.
1912 Il governo introduce il suffragio universale maschile.
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Parte Seconda: Il primo Novecento
1913 Giolitti stipula il patto Gentiloni attraverso il quale si guadagna alle elezioni
il voto dei cattolici in cambio della promessa di non adottare provvedimenti anticlericali (è l’inizio del «trasformismo» politico).
1914 Giolitti si dimette cedendo il passo al Ministero Salandra. Scoppia la prima guerra mondiale, ma il nostro paese, mentre si infuoca la polemica tra neutralisti e interventisti, si dichiara neutrale.
1915 Con un clamoroso voltafaccia l’Italia firma il patto di Londra, e si impegna
a combattere al fianco della Triplice Intesa (→ L’evento). Il 24 maggio dichiara
guerra all’Austria.
1916 Mentre si svolgono le battaglie sull’Isonzo, l’Italia dichiara guerra anche
alla Germania.
1917 Dopo la battaglia di Vittorio Veneto, l’Austria chiede l’armistizio.
1918 La prima guerra mondiale è finita: si apre la Conferenza di pace a Parigi.
L’Italia ottiene i territori irredenti (Trentino e Friuli Venezia Giulia), eccezion fatta per Fiume, riscattata con la forza da Gabriele D’Annunzio al capo di pochi
uomini (la città, annessa all’Italia nel 1924, verrà riunita al territorio della ex
Jugoslavia nel 1947).
La società Mentre il secolo XIX si chiude all’insegna delle rivendicazioni sociali da parte delle masse proletarie contro i soprusi dei
capitalisti, il primo decennio del XX secolo passa alla storia come la
Belle époque: le significative trasformazioni in campo industriale e
tecnologico consentono la nascita della cosiddetta «società di massa»,
caratterizzata da fenomeni come il considerevole aumento della produzione e dei consumi, la burocratizzazione degli organi statali, il
progressivo diffondersi della scolarizzazione, l’allargamento della base elettorale. L’Italia, almeno in apparenza, gode di un periodo di
benessere (sviluppo delle industrie elettriche, meccaniche e siderurgiche, invenzione del motore a scoppio, della radio, del cinematografo), in realtà limitato alle sole classi agiate e minato dall’aggravarsi dei disagi e delle agitazioni popolari (scioperi, emigrazione, sottosviluppo del Mezzogiorno).
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L’evento
La prima guerra mondiale
Il contesto storico
Tra le cause remote dello scoppio della prima guerra mondiale vanno considerati i vari irredentismi (l’Italia, ad esempio, pretendeva la restituzione dall’Austria del Trentino e del Friuli), tra quelle più immediate, oltre all’assassinio
dell’erede al trono austro-ungarico Francesco Ferdinando e di sua moglie Sofia da parte di un nazionalista bosniaco, le velleità imperialistiche degli Stati
europei, generate dall’enorme sviluppo industriale e capitalistico verificatosi
tra Ottocento e Novecento in concomitanza con la cosiddetta «seconda rivoluzione industriale». È l’età delle imprese coloniali: i paesi più avanzati si danno alla conquista di nuovi territori (Asia, Africa, America centrale) alla ricerca
di risorse e materie prime. Il complesso sistema delle coalizioni (Triplice Alleanza: Italia, Germania, Austria; Triplice Intesa: Francia, Inghilterra, Russia) e
la comparsa sulla scena mondiale di una super-potenza come l’America fanno
il resto. Dalla guerra l’Impero austro-ungarico uscirà del tutto smembrato e la
mappa dell’Europa sarà in gran parte ridisegnata. Ma i futuri equilibri internazionali risulteranno condizionati anche dagli eventi verificatisi, nel frattempo, in Russia: la Rivoluzione d’ottobre (1917), infatti, pone fine al regime
zarista, sancendo la nascita dell’URSS con a capo il bolscevico Nikolaj Lenin. È
il primo Stato comunista.
21
Il contesto culturale
................................
Parte Seconda: Il primo Novecento
Durante l’ultimo Ottocento la cultura vive un momento di crisi e di profondo smarrimento in seguito allo sgretolarsi delle certezze alimentate dal
Positivismo. Il movimento culturale e letterario che esprime il malessere
esistenziale di quest’epoca, in cui a primeggiare sono gli elementi irrazionali e istintivi del pensiero, è il Decadentismo (sviluppatosi a partire dall’ultimo ventennio del XIX secolo prima in Francia e poi in tutta Europa).
“Decadenti” o meglio “eredi” del Decadentismo possono ritenersi Gabriele
D’Annunzio e Giovanni Pascoli. In più campi del sapere, intanto, a rappresentare l’unico punto di riferimento possibile è paradossalmente la relatività: così, ad esempio, nelle scienze naturali con la «teoria della relatività»
dello scienziato tedesco Albert Einstein (1879-1955), o in quelle umane
con la scoperta dell’ «inconscio» da parte del medico viennese Sigmund
Freud. E la relatività trionfa, in un certo senso, anche in ambito letterario
con scrittori del calibro di Luigi Pirandello e Italo Svevo. A partire dal primo decennio del XX secolo, inoltre, si diffondono in tutta Europa le avanguardie storiche, correnti culturali che si propongono di rompere radicalmente con la tradizione, in virtù di uno sperimentalismo volto a cercare
inedite forme di espressione artistica e letteraria. Avanguardie del primo
Novecento sono il Surrealismo e il Dadaismo in Francia, l’Espressionismo in
Germania, il Futurismo in Italia e in Russia.
La figura dell’intellettuale Nell’era della “società di massa” e della
mercificazione della cultura l’intellettuale vive un momento di profondo sconcerto, rispondendo agli stimoli del nuovo sistema ora assecondandolo, nel rispetto delle leggi del mercato (è il caso, ad esempio, di
scrittori come Emilio Salgari, autore di numerosissimi romanzi tagliati
per un pubblico medio-basso desideroso solo di intrattenersi piacevolmente), ora rendendosi attivo strumento di propaganda politicoideologica attraverso l’esperienza giornalistica o le iniziative editoriali
(si pensi agli intellettuali nazionalisti e interventisti come D’Annunzio, Prezzolini, Papini, Corradini, o a quelli di sinistra come Gobetti
e Gramsci, impegnati nella difesa dei diritti dei lavoratori).
22
Le correnti letterarie Nel corso degli anni Ottanta del secolo XIX
un gruppo di intellettuali francesi, con a capo Paul Verlaine (→ Gli
autori stranieri), ispirandosi alla poesia di Baudelaire, manifesta il
proprio disagio esistenziale e i propri intenti provocatori verso la
23
Il contesto culturale
Le correnti filosofiche La reazione al Positivismo si configura nella ripresa delle teorie di alcuni pensatori del tardo Ottocento, primo
fra tutti Friedrich Nietzsche (→ Gli autori stranieri), la cui filosofia
irrazionalista e negativa è volta a demolire tanto le idee fondate sul
progresso della scienza e sull’etica borghese, quanto l’intero sistema
di valori della tradizione europea e cristiana («Dio è morto» – afferma
emblematicamente il filosofo tedesco nella Gaia Scienza). L’ideale di
un «superuomo», che con la sua «volontà di potenza» possa fondare
una nuova morale, influenza tanta parte della produzione letteraria
europea (in Italia Gabriele D’Annunzio).
L’intuizionismo e la riflessione sul tempo sono invece i punti
cardine della riflessione filosofica del francese Henri Bergson
(1859-1941). L’intuizione, strumento conoscitivo estraneo alla ragione, viene considerata l’unica fonte attendibile della conoscenza (tale idea influenza i decadenti), mentre il tempo non è più inteso
quale successione di istanti quantitativamente omogenei, ma in termini di «durata» qualitativa, diversa in ogni individuo. Bergson esercita grande fascino sugli scrittori contemporanei, primo fra tutti il
francese Marcel Proust (→ Gli autori stranieri), autore di un’opera
monumentale: Alla ricerca del tempo perduto, in cui è il tempo della coscienza a scandire la trama del romanzo.
Un cenno particolare merita infine la nascita della psicoanalisi, a
opera di Sigmund Freud (1856-1939), sebbene le sue ricerche vadano ascritte al campo delle scienze umane, piuttosto che all’ambito filosofico. Freud sostiene l’esistenza, nella psiche di ogni uomo, di
una particolare dimensione interiore detta «inconscio», la quale, sfuggendo a ogni controllo, determinerebbe le azioni e i comportamenti
dell’individuo. In sintesi, la vita cosciente (Io) non sarebbe altro che
una “razionalizzazione”, in termini di adeguamento alla morale comune (Super-Io), di quella inconscia (Es).
Parte Seconda: Il primo Novecento
mentalità e i valori della borghesia, tanto efficacemente interpretati
dalla cultura positivista. La nascita del Decadentismo è sancita nel
1886 dalla fondazione della rivista «Le Décadent» a opera di Anatole
Baju. Ma i decadenti, anziché sostanziare la propria visione antiborghese con un modello sociale alternativo, sembrano piuttosto compiacersi in un inguaribile scontento, in un senso diffuso di abbandono e sfiducia. L’unico loro obiettivo è salvare dalla distruzione generale quanto di bello, raffinato ed elegante sopravvive nella società.
L’Estetismo si rivela così la nota dominante di questo nuovo movimento artistico e soprattutto letterario. Esteti sono, ad esempio, il
francese Des Esseintes nel romanzo A ritroso (A rebours) di JorisKarl Huysmans (→ Gli autori stranieri) e l’inglese Dorian Gray nel libro Il ritratto di Dorian Gray (The picture of Dorian Gray) di Oscar
Wilde (→ Gli autori stranieri) o, in Italia, Andrea Sperelli nel Piacere
di Gabriele D’Annunzio (→ I grandi autori).
A ereditare il senso generale di frattura tra l’individuo e la società borghese espresso dai decadenti è, tra il primo e il secondo
decennio del Novecento, il Futurismo, avanguardia storica italiana. Il Manifesto del Futurismo, pubblicato da Filippo Tommaso Marinetti sul quotidiano parigino «Le Figaro» nel 1909, contiene il singolare programma ideologico del movimento: la critica alla tradizione e al passato in genere, la lode del progresso tecnologico e
industriale, l’esigenza di rinnovare la società e l’arte, la folle esaltazione della guerra («sola igiene del mondo»). Il Futurismo crea e
celebra il mito della “modernità”, di un mondo violentemente
proiettato verso il futuro, e tanto nell’arte quanto nella letteratura
cerca di promuovere innovazioni tematiche e stilistiche capaci di
rendere tale aspirazione di fondo.
La lingua A partire dall’ultimo Ottocento si assiste a una graduale
italianizzazione dei dialetti, fenomeno per cui le varie parlate della
penisola accolgono forme, costrutti e lessico dell’italiano. Negli anni
a cavallo tra i due secoli i dialetti sono a loro volta coinvolti da un
processo di regionalizzazione, in seguito al quale in ogni singola regione si afferma il dialetto della città più importante. Nel frattempo
24
Il contesto culturale
nei centri urbani è sempre più frequente il ricorso alla lingua italiana; singolare prodotto delle interferenze tra italiano e dialetti è il cosiddetto «italiano popolare», che riceve una forte accelerazione durante la prima guerra mondiale, quando al fronte soldati provenienti
dall’intera penisola, spesso scarsamente alfabetizzati, scrivono ai propri cari e, combattendo fianco a fianco, avvertono la necessità di comunicare attraverso una lingua “comune”.
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I generi letterari e gli autori “minori”
................................
1) La prosa
Parte Seconda: Il primo Novecento
Le riviste
Le riviste si affermano generalmente come espressione di un particolare programma culturale o schieramento politico-ideologico.
«Il Marzocco» (1896-1932). Fondata a Firenze da Angelo Orvieto,
ha come suo principale animatore Gabriele D’Annunzio (→ I grandi
autori). Partendo dal rifiuto del Positivismo e della cultura accademica in generale, la rivista si ispira al vitalismo e all’individualismo di
stampo decadente, e appoggia, a partire dal 1911, la politica nazionalista e imperialista.
«Il Regno» (1903-1906). Dal carattere fortemente antidemocratico
e antisocialista, questa testata viene fondata da Enrico Corradini,
scrittore fortemente nazionalista.
«Il Leonardo» (1903-1907). Papini e Prezzolini avviano la rivista poco più che ventenni. Di spirito antigiolittiano e nazionalista,
ha interessi prevalentemente filosofici e contribuisce, in particolare, a diffondere il pensiero di Nietzsche (→ Gli autori stranieri),
Bergson e James.
«Hermes» (1904-1906). Promossa da un giovanissimo Giuseppe
Antonio Borgese, si mostra sensibile al pensiero estetizzante di D’Annunzio e all’imperante nazionalismo del tempo, ma si interessa preminentemente all’arte e alla letteratura (divulga l’estetica crociana).
«La Critica» (1903-1944). Direttamente impegnata nella diffusione dell’idealismo crociano, è la testata cui dà vita a Bari lo stesso
Benedetto Croce. Lo studioso abruzzese è un insigne esponente
europeo della rinascita dell’Idealismo; tra i suoi scritti più noti i
Problemi di estetica (1910), l’Estetica in nuce (1929) e la Poesia
(1936), opera quest’ultima in cui riconosce come «poesia» unicamente l’«espressione del sentimento», definendo «non poesia» o
«struttura» tutto quanto contenga implicazioni di altra natura. Croce
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ricopre un posto di enorme rilievo nella storia della critica letteraria novecentesca.
«La Voce» (1908-1916). È senza dubbio la rivista più importante
del primo Novecento. Nasce a Firenze per iniziativa di Papini e Prezzolini. Convinzione di base dei principali collaboratori (tra cui spiccano i nomi di Salvemini, Slataper, Amendola, Croce, Gentile, Einaudi) è che l’azione culturale debba avere la priorità su quella politica,
offrendole precise direttive e contribuendo a promuovere la formazione di una nuova classe dirigente. «La Voce» vive quattro fasi che
vedono avvicendarsi alla direzione Prezzolini, Papini, ancora Prezzolini e Giuseppe De Robertis, che dirigerà «La Voce bianca», di taglio
più spiccatamente letterario.
«Lacerba» (1913-1915). Venuti in contrasto con «La Voce», Papini
e Ardengo Soffici fondano insieme questa nuova testata, che si propone quale strumento di sostegno e di diffusione del Futurismo.
«L’Unità» (1911-1920). Fondata da Salvemini in seguito alla rottura con «La Voce», è l’unica rivista antinazionalista, interessata in particolare alla questione meridionale.
Il Decadentismo segna con differente intensità numerosi romanzieri, ma la narrativa di inizio secolo assimila e riconverte velocemente le suggestioni decadenti in nuove forme di scrittura. Il genere romanzesco, dopo un’iniziale coesistenza di vecchio e nuovo
(tante opere inseriscono in un impianto ancora naturalistico situazioni e personaggi ormai “novecenteschi”), rompe definitivamente
con gli schemi della tradizione. Il romanzo del Novecento tende a
essere soggettivo: non rappresenta più la realtà, ma descrive il
mondo interiore dei personaggi. È la grande narrativa di Pirandello
e Svevo (→ I grandi autori).
Senz’altro condizionati dalla poetica decadente, ma meritevoli di
essere approdati a risultati decisamente originali sono Grazia Deledda e Federigo Tozzi.
27
I generi letterari e gli autori “minori”
Il romanzo
Parte Seconda: Il primo Novecento
Assegnataria del premio Nobel nel 1926, Grazia Deledda (18711936) muove da canoni veristici per approdare a una piena adesione
al Decadentismo. Così nei suoi romanzi più noti, tra cui La via del
male (1896), Elias Portolu (1903), Canne al vento (1913), Marianna
Sirca (1915), Cosima (1937), dove l’attenzione minuziosa ai processi
psicologici dei personaggi e la visione epica e drammatica ma anche
intuitiva e lirica della vita si innestano sullo sfondo di una Sardegna
selvaggia e magica.
Senese di nascita e autodidatta di formazione, Federigo Tozzi
(1883-1920), pressoché ignorato dai contemporanei, è stato notevolmente rivalutato dalla critica più recente e addirittura affiancato, per gli evidenti meriti della sua produzione, a Pirandello e Svevo. Nei romanzi Con gli occhi chiusi (1919), Tre croci (1920), Il
podere (1921) lo scrittore dà corpo, attraverso i suoi tormentati
personaggi, alla “malattia” del secolo: l’inettitudine, l’assoluta incapacità dell’uomo di relazionarsi in maniera costruttiva agli altri,
l’irrimediabile incomunicabilità tra il suo mondo interiore e la realtà esterna; il tutto sullo sfondo del doloroso contrasto tra una fetta
d’Italia ancora legata alle tradizioni e il mondo accelerato e aggressivo della modernità. Il passo che proponiamo, tratto dal capitolo X di Tre croci, descrive efficacemente la condizione di inettitudine del protagonista.
[…] istantaneamente Giulio si sentì invadere come da un delirio
senza scampo. Chi lo avrebbe trattenuto perché non andasse in mezzo alla cognata e alle nipoti gridando? Come avrebbe potuto fare a
non buttarsi a capofitto contro il muro? Chi lo poteva tenere, nella
strada, che non corresse per tutta Siena? Bisognava, dunque, che egli
si preparasse a commettere chi sa quale stravaganza, che avrebbe
fatto effetto a tutti. “Ecco – egli pensava – come un uomo può cambiarsi! È lo stesso di una malattia, che viene quando non ci si pensa
né meno!”. Ma egli restava a sedere; e nessuno, vedendolo, avrebbe
potuto sospettare di niente.
Nel frattempo, a partire dal primo decennio del Novecento, si
diffonde il gusto per la scrittura diaristica e l’autobiografismo lirico,
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Chi osava ammettere una verità e conformarvi la vita? Povera vita, meschina e buia, alla cui conservazione tutti tenevan tanto! Tutti
si accontentavano: mio marito, il dottore, mio padre, i socialisti come
i preti, le vergini come le meretrici, ognuno portava la sua menzogna, rassegnatamente. Le rivolte individuali erano sterili o dannose:
quelle collettive troppo deboli ancora, ridicole, quasi, di fronte alla
paurosa grandezza del mostro da atterrare! E incominciai a pensare
se alla donna non vada attribuita una parte non lieve del male sociale. Come può un uomo che abbia avuto una buona madre divenir
crudele verso i deboli, sleale verso una donna a cui dà il suo amore,
tiranno verso i figli? Ma la buona madre non deve essere, come la
mia, una semplice creatura di sacrificio, deve essere una donna,
una persona umana.
Giuseppe Antonio Borgese (1882-1952), scrittore, saggista e
critico militante, è autore del romanzo Rubè (1921), il cui omonimo
protagonista, un intellettuale piccolo-borghese siciliano, incarna, die29
I generi letterari e gli autori “minori”
caratterizzati da uno stile decisamente espressionista. Protagonisti
principali sono “vociani” come Jahier, Serra, Boine e Slataper.
Tra le opere di Piero Jahier (1884-1966) ricordiamo le Risultanze
in merito alla vita e al carattere di Gino Bianchi (1915), Ragazzo
(1919), Con me e con gli alpini (1919); il testo più rappresentativo di
Renato Serra (1884-1915), invece, è l’Esame di coscienza di un letterato (1915), composto prima di partire per il fronte, da dove lo scrittore non farà più ritorno; Giovanni Boine (1887-1917) scrive Il peccato (1914); Scipio Slataper (1888-1915), infine, è autore del romanzo autobiografico Il mio carso (1912).
“Epigoni” dell’esperienza vociana possono considerarsi Sibilla Aleramo e Giuseppe Antonio Borgese. Sibilla Aleramo (1876-1960),
pseudonimo di Rina Faccio, si distingue in particolare per la lotta a favore della causa femminista, rinvenibile sin dal primo dei suoi scritti,
Una donna (1906), romanzo autobiografico; nelle righe che seguono,
tratte dal capitolo XII, l’autrice denuncia con grande lucidità l’ipocrisia
esistente alla base dei rapporti umani e riflette acutamente sul ruolo
attribuito in genere alla figura materna.
tro i riferimenti scopertamente autobiografici, il destino dell’uomo
contemporaneo, privo di certezze e continuamente minato nella sua
integrità psicologica. Filippo Rubè, infatti, appare vittima della sua
stessa cronica incapacità di affrontare la vita: dopo una lunga serie
di fallimenti si ritrova per caso nel mezzo di uno scontro tra fascisti e
socialisti, e rimane ucciso.
Tecniche di lettura
Il testo narrativo: tempo, spazio e personaggi
Ogni testo narrativo presenta una struttura-tipo, articolata sostanzialmente in
cinque momenti:
–
–
–
–
–
situazione iniziale;
complicazione e rottura dell’equilibrio iniziale;
evoluzione della vicenda attraverso un suo miglioramento o peggioramento;
conclusione della vicenda e ricomposizione dell’equilibrio;
situazione finale.
Ogni vicenda, infatti, deve necessariamente partire da una situazione iniziale, il
cui equilibrio si rompe a causa di un evento che spinge i personaggi a entrare in
azione. Attraverso la naturale evoluzione della vicenda, che si può svolgere nei
modi più diversi e articolati, si giungerà a un’inevitabile ricomposizione dell’equilibrio, migliore o peggiore di quello iniziale, ma da quest’ultimo sicuramente
differente. Tale equilibrio costituirà la situazione finale e cioè la conclusione
della storia.
Parte Seconda: Il primo Novecento
1. La successione degli eventi
• Fabula e intreccio. Esistono due modi fondamentali per narrare una storia:
in base all’ordine naturale degli eventi, cioè riferendo gli eventi secondo l’ordine in cui si sono verificati nella realtà, oppure in base a un ordine artificiale, che ne modifica la successione reale, presentando prima gli eventi che
cronologicamente o logicamente verrebbero dopo. Si distinguono pertanto
due diversi piani narrativi: la fabula (o storia), che rispetta l’ordine naturale
degli eventi, e l’intreccio (o narrazione), che invece li dispone secondo la
scelta arbitraria dell’autore.
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• I nuclei narrativi. In ogni testo narrativo troviamo una serie di informazioni: alcune sono indispensabili per capire lo svolgimento della storia, altre invece aggiungono particolari meno importanti, e tuttavia utili a comprendere
meglio determinate situazioni. Le prime costituiscono gli eventi essenziali, le
seconde gli eventi accessori. Ogni evento essenziale, in concorso ai relativi
eventi accessori, forma un nucleo narrativo, cioè una porzione di testo più o
meno completa, che sviluppa una parte ben precisa del racconto.
• Le sequenze. Un altro sistema di scomposizione del testo narrativo è attuabile mediante l’individuazione di sequenze, che sono dei segmenti di testo,
inferiori rispetto ai nuclei narrativi per estensione e complessità, forniti di
senso logico compiuto. Le sequenze cambiano quando entra in scena un
nuovo personaggio o c’è una variazione di tempo e di luogo.
Nell’economia (ordine che regola la disposizione delle varie parti) di un testo
narrativo grande importanza assume la dimensione temporale: gli eventi narrati si collocheranno naturalmente in una determinata epoca storica (il tempo
della storia) e la narrazione stessa si snoderà in un certo arco di tempo (la durata della storia). È chiaro che la durata narrativa degli eventi narrati (corrispondente grosso modo al tempo necessario per la lettura del testo) non coincide quasi mai con la loro durata reale, cioè quella che essi avrebbero se accadessero realmente (fatta eccezione per le sequenze dialogate o scene nelle quali durata narrativa e durata reale coincidono).
Il narratore, la voce che racconta gli avvenimenti (→ Tecniche di lettura, pag.
109), per ovvie ragioni narrative, contrae o altera il tempo reale e per farlo si
avvale di un ampio numero di espedienti tecnici, riconducibili a quattro tipologie fondamentali:
• il sommario: periodi più o meno lunghi vengono sintetizzati in poche righe;
• l’ellissi: interi periodi di tempo, anche molto lunghi, vengono del tutto ignorati (in tal caso, si potranno trovare espressioni come «l’anno successivo...»,
«dieci anni dopo...», «terminato l’esilio...» ecc.);
• l’analisi: periodi di tempo perlopiù molto brevi vengono dilatati, abbracciando un tempo narrativo più ampio di quello reale;
• la digressione: la narrazione s’interrompe per dare modo al narratore di soffermarsi sulla descrizione dei personaggi, dei luoghi o del contesto storico
della vicenda.
31
I generi letterari e gli autori “minori”
2. Tempo e spazio
Il narratore, inoltre, potrà interrompere il racconto dei fatti per narrare qualcosa
che è accaduto prima (analessi o flash-back) oppure per anticipare quanto avverrà in seguito (prolessi).
La scelta dei luoghi in cui inserire le idee e le azioni dei personaggi di un testo
narrativo non è casuale; essa piuttosto è il frutto di una precisa scelta funzionale
all’economia generale della narrazione: un luogo ha una funzione narrativa quando non funge da semplice sfondo alla vicenda ma interagisce con essa oppure una
funzione simbolica se viene utilizzato per esprimere un’idea o un concetto in relazione alla situazione narrativa e ai personaggi. Gli stessi luoghi intervengono spesso in funzione della caratterizzazione psicologica di questi ultimi, riflettendone un
modo d’essere o rappresentandone una particolare situazione emotiva.
3. I personaggi: ruolo, funzione e caratteristiche
Parte Seconda: Il primo Novecento
Ogni testo narrativo presenta generalmente un vero e proprio sistema di personaggi, all’interno del quale ognuno di essi ricopre un determinato ruolo, più o
meno importante. A seconda del ruolo, i personaggi di un testo narrativo si distinguono in:
• personaggi principali, che svolgono un ruolo centrale nella vicenda e sui
quali si concentra maggiormente l’attenzione;
• personaggi secondari, che hanno un ruolo di secondo piano e quindi una
rilevanza minore rispetto ai personaggi principali, ma talvolta possono incidere sensibilmente sulla situazione o sul comportamento di questi ultimi;
• comparse, che servono solo a definire un ambiente o una situazione e non
incidono minimamente sullo sviluppo della vicenda narrata.
Oltre ad avere un ruolo, i personaggi ricoprono, nell’ambito della vicenda narrata, anche una specifica funzione,, in base alla quale si possono riconoscere:
• il protagonista (o eroe o soggetto): il personaggio principale, che si pone al
centro della narrazione anche quando non compare direttamente in scena.
Gli eventi che lo riguardano prendono avvio dalla rottura dell’equilibrio iniziale in cui vive, a causa di un mutamento esterno oppure di un suo bisogno
o desiderio;
• l’antagonista: il personaggio che contrasta il protagonista e gli si oppone
concretamente o sul piano psicologico. Spesso è l’artefice della rottura dell’equilibrio iniziale, ma può comparire anche a vicenda iniziata: in ogni caso,
è sempre il motore dello sviluppo dell’azione;
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• l’oggetto: il personaggio che incarna, talvolta inconsapevolmente, lo scopo dell’impegno o del desiderio del protagonista, contrastato in ciò dall’antagonista;
• l’aiutante: il personaggio che assiste, aiuta e protegge il protagonista, sostenendolo nella realizzazione delle sue imprese;
• l’oppositore: il personaggio che di solito è l’aiutante dell’antagonista e vi si
unisce nel tentativo di ostacolare il protagonista. L’oppositore, tuttavia, può
agire di sua iniziativa e addirittura schierarsi dalla parte di quest’ultimo;
• il destinatore: il personaggio che propone al protagonista lo scopo da conseguire (si pensi, nelle fiabe, al re che spinge l’eroe a compiere un’impresa in
cambio di un premio);
• il destinatario: è il personaggio in cui si materializza l’oggetto del contendere tra protagonista e antagonista (nella stessa fiaba potrebbe essere la
principessa che il re concede in moglie all’eroe, se questi avrà realizzato la
propria impresa).
Un ultimo modo di classificare i personaggi è quello di distinguerli tra personaggi statici e dinamici.
• I personaggi statici sono quelli che nel corso della storia non subiscono
mutamenti di alcun tipo, né fisici, né psicologici, né di condizione sociale.
• I personaggi dinamici sono quelli che si modificano o dal punto di vista fisico o dal punto di vista psicologico o ancora passano da uno stato sociale a
un altro.
Negli anni presi in esame la produzione lirica appare fortemente influenzata dal Decadentismo. A cavallo tra i due secoli è la
poesia di Gabriele D’Annunzio (→ I grandi autori), con i suoi toni
altisonanti e declamatori, a costituire un imprescindibile punto di
riferimento, ma il Novecento si apre all’insegna della radicale rottura con la linea dannunziana, espressa da Crepuscolarismo e Futurismo, sebbene entrambe le tendenze siano ancora collocabili
nel solco della sensibilità decadente.
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I generi letterari e gli autori “minori”
2) La poesia
Parte Seconda: Il primo Novecento
Il Futurismo Nel Manifesto tecnico della letteratura futurista
(1910) Filippo Tommaso Marinetti suggerisce di rompere ogni legame con le forme poetiche tradizionali, inaugurando la formula delle
«parole in libertà», disposte nel cosiddetto «verso libero» (→ Tecniche
di lettura, pag. 35) senza vincoli di sorta, «senza alcun ordine convenzionale, senza fili sintattici e senza le soste forzate della punteggiatura». I futuristi mostrano una particolare predilezione per l’analogia, che consente di associare immagini apparentemente estranee e
lontane creando suggestive corrispondenze; ricorrono, infine, a una
vera e propria “rivoluzione tipografica”: attraverso l’utilizzo di differenti caratteri intendono evidenziare alcune parole rispetto ad altre o
dispongono le parole stesse in modo da riprodurre visivamente le
immagini descritte. Vero e proprio maestro di tali espedienti è Guillaume Apollinaire (→ Gli autori stranieri), autore della nota raccolta Calligrammi (Calligrammes, 1918). Tra i poeti futuristi ricordiamo
Filippo Tommaso Marinetti (1876-1944), autore della raccolta
Zang Tumb Tumb (1914), definita «poema parolibero»; Aldo Palazzeschi (1885-1974), pseudonimo di Aldo Giurlani, che pubblica la
famosa raccolta di poesie dal titolo L’incendiario (1910) per poi distaccarsi decisamente dal Futurismo; Corrado Govoni (1884-1965), la
cui adesione alla poetica futurista è evidente in raccolte come Poesie
elettriche (1911), Inaugurazione della primavera (1915) e Rarefazioni e parole in libertà (1915).
Il Crepuscolarismo La definizione di quella che nella poesia italiana del primo Novecento costituisce una tendenza più che una
vera e propria scuola o teoria viene coniata da Giuseppe Antonio
Borgese in un famoso articolo pubblicato nel 1910 sulla rivista «La
Stampa», in cui il noto critico recensiva le liriche di alcuni giovani
poeti, tra cui Marino Moretti. I crepuscolari elaborano una poesia
dal tono particolarmente dimesso e nostalgico, che prende le mosse dalle piccole cose, dai sentimenti che nascono nel quotidiano,
da un costante rimpianto per il tempo andato e dallo struggimento,
venato di sottile ironia, che scaturisce dall’impossibilità di poterlo
rivivere. Il linguaggio riflette il carattere essenzialmente languido e
34
Perché tu mi dici poeta?
Io non sono un poeta.
Io non sono che un piccolo fanciullo che piange.
Vedi: non ho che lagrime da offrire al Silenzio.
Perché tu mi dici: poeta?
35
I generi letterari e gli autori “minori”
malinconico della poesia crepuscolare, Enjambement: il termine
per cui, anche nel generale ricorso al proviene dal francese enverso libero, il dettato poetico assume jamber (oltrepassare in
campo altrui); l’enjambespesso un andamento prosastico e collo- ment o spezzatura si realizza
quiale (emblematico il frequente ricorso quando la fine di un verso
agli enjambement), risultando talvolta non coincide con la fine di
piatto e ripetitivo. Poeti crepuscolari so- una frase, che pertanto continua nel verso successivo.
no Gozzano, Moretti e Corazzini.
Partendo da un’iniziale adesione al modello dannunziano (La via
del rifugio, 1907), Guido Gozzano (1883-1916), il maggiore e più fortunato rappresentante del Crepuscolarismo, con le liriche della raccolta Colloqui (1911), in cui ricostruisce la sua esperienza autobiografica,
riesce ad approdare, mediante l’azione corrosiva dell’ironia, a risultati
decisamente originali. Particolarmente nota è la poesia L’amica di
nonna Speranza, che proietta l’autore nella dimensione dei ricordi, in
un ambiente piccolo-borghese ormai lontano, dove le «buone cose di
pessimo gusto» ispirano attrazione e al contempo ripulsa.
Come si evince dalle raccolte Poesie scritte col lapis (1910) e Poesie di tutti i giorni (1911), la produzione lirica di Marino Moretti
(1885-1979), sempre pervasa da una sottile ma pregnante ironia, si
incentra sul ricordo del passato e sulla descrizione della vita quotidiana, spesso caratterizzata da ansia e insoddisfazione. Lo stile si
presenta fortemente prosastico, teso quasi a “mimetizzare” i modi
del parlato e ad annullare la forma poetica.
Morto giovanissimo di tubercolosi, Sergio Corazzini (1886-1907)
è autore della raccolta Piccolo libro inutile (1906), contenente Desolazione del povero poeta sentimentale, poesia-simbolo del Crepuscolarismo ed emblematico esempio di anti-dannunzianesimo. Ne proponiamo qui di seguito i versi (1-5) più noti.
Altre esperienze Del tutto personali e quindi non riconducibili a
nessun movimento in particolare sono i risultati della ricerca poetica
di autori come Campana, Rebora e Sbarbaro.
Dino Campana (1885-1932), personaggio dalle tormentate vicende esistenziali, dovute a una cronica instabilità mentale, pubblica
nel 1914 i Canti orfici, in cui perviene a un lirismo assolutamente
nuovo, tutto proteso a voler riacquistare certe antiche valenze magico-incantatorie. Qui di seguito proponiamo alcuni versi (1-9 e 21-26)
della lirica La Chimera.
Parte Seconda: Il primo Novecento
Non so se tra rocce il tuo pallido
viso m’apparve, o sorriso
di lontananze ignote
fosti, la china eburnea
fronte fulgente e giovine
suora de la Gioconda:
o delle primavere
spente, per i tuoi mitici pallori
o Regina o Regina adolescente
[…] Non so se la fiamma pallida
fu dei capelli il vivente
segno del suo pallore,
non so se fu un dolce vapore,
dolce sul mio dolore,
sorriso di un volto notturno.
L’appunto
Lo stile di Campana sfugge
a ogni definizione. Si osservino questi versi. La tecnica compositiva è originalissima: la sintassi franta e
le ripetizioni creano un ritmo quasi febbrile, che tuttavia evoca, grazie alle numerose rime e assonanze
interne, una suggestiva
musicalità.
I versi disegnano immagini
impalpabili che ora si annunciano in guizzi improvvisi di forme e di colori ora
si sottraggono alla mente
rapita del lettore.
Clemente Rebora (1885-1957), autore di raccolte come Frammenti lirici (1913) e Canti anonimi (1922), ricorrendo a un linguaggio
dalle tinte fortemente espressionistiche, intende manifestare quell’ansia di ricerca della verità che connota anche la sua intensa esperienza
autobiografica.
Camillo Sbarbaro (1888-1967), in Pianissimo (1914) e nelle prose
poetiche Trucioli (1920), propone una poesia dal tono dimesso, fatto
di un linguaggio scarno e disadorno, limitato all’essenziale, il tutto a
sostenere una concezione fondamentalmente pessimistica della vita e
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un’intima sofferenza esistenziale che, riflesse talvolta nell’aspro paesaggio ligure, anticipano la poesia di Eugenio Montale (→ Parte Seconda, I grandi autori).
3) Il teatro
I generi letterari e gli autori “minori”
Gli ultimi anni dell’Ottocento e i primi due decenni del Novecento non costituiscono per il teatro italiano un’epoca particolarmente
felice. I generi più praticati sono il teatro borghese (detto boulevardier), quello dialettale (napoletano e siciliano in primis con autori
come Eduardo Scarpetta e Luigi Pirandello → I grandi autori) e il
teatro di poesia, i cui testi sono generalmente scritti in versi o in una
prosa lirica e declamatoria (è innanzitutto il teatro di Gabriele D’Annunzio → I grandi autori).
Interessanti novità, specie in relazione alle innovazioni tecniche
e scenografiche, provengono intanto da futuristi come Filippo Tommaso Marinetti, autore del manifesto Teatro di Varietà (1913); altra
conseguenza della carica innovatrice espressa dall’avanguardia italiana è la comparsa di una nuova figura di attore, la cui arte trae origine dall’incontro tra il teatro di cultura e quello di varietà (emblematici al riguardo i nomi di Raffaele Viviani, Ettore Petrolini e Antonio De Curtis, in arte Totò). Gli anni del primo conflitto mondiale
vedono infine affermarsi il teatro grottesco.
37
I grandi autori
................................
1) Giovanni Pascoli
La vita
1855
1862
1867
1872-73
1879
1882
1883
1887
Parte Seconda: Il primo Novecento
1891
1895
1896
38
Nasce a San Mauro di Romagna il 31 dicembre.
Viene mandato a studiare nel collegio Raffaello di Urbino, dove
rimane fino al 1871.
Il 10 agosto il padre, Ruggero, viene assassinato mentre sta tornando a casa in calesse da Cesena. Seguito nel 1868 dalla perdita
della madre, questo è il primo grande lutto che colpisce il poeta.
Porta a compimento gli studi liceali, frequentando le scuole prima a Rimini e poi a Firenze. Vince una borsa di studio, sostenendo l’esame davanti a una commissione di cui fa parte anche Giosue Carducci, e si iscrive alla facoltà di lettere di Bologna.
Viene arrestato per aver partecipato a una manifestazione di ispirazione anarchica: rimane in carcere da settembre a dicembre.
Si laurea discutendo una tesi sul poeta greco Alceo. Nel mese di
ottobre ottiene la cattedra di greco e latino al liceo di Matera.
Viene trasferito al liceo di Massa; qui va ad abitare con le sorelle
Ida e Maria (l’amata Mariù).
Sempre insieme con le due sorelle va a vivere a Livorno, dove rimane fino al 1895.
Pubblica la sua prima raccolta di poesie: Myricae. Compone il poemetto in latino Veianus, con il quale ottiene la vittoria al concorso
di poesia in latino indetto dall’Accademia di Amsterdam (a cui in
seguito parteciperà spesso, ogni volta con grande successo).
Pubblica l’antologia di letteratura latina Lyra. Va a vivere assieme
a Mariù (Ida, nel frattempo, si è sposata) a Castelvecchio di Barga. Collabora alla rivista «Il Convito».
Inizia a collaborare alla rivista «Il Marzocco», su cui pubblicherà,
in questo stesso anno, lo scritto in prosa Il fanciullino. Viene nominato professore di letteratura latina all’Università di Messina.
Pubblica un’altra antologia di letteratura latina, Epos.
1897-1902 Pubblica i Poemetti, i volumi di studi danteschi Minerva oscura,
Sotto il velame, Mirabile visione, e le antologie di letteratura italiana Sul limitare e Fior da fiore.
1903
Lascia l’Università di Messina per proseguire la carriera accademica a Pisa. Pubblica i Canti di Castelvecchio e Miei pensieri di varia
umanità.
1904-1905 Vengono dati alle stampe i Poemi conviviali, i Primi poemetti e
Odi e inni.
1906
Ottiene la cattedra di letteratura italiana all’Università di Bologna,
ricoperta in precedenza da Carducci. Pubblica Pensieri e discorsi.
1909
Dà alle stampe i Nuovi poemetti e le Canzoni di Re Enzio.
1911
Pubblica i Poemi italici. Pronuncia nel teatro di Barga il discorso
La grande Proletaria si è mossa.
1912
Muore a Bologna il 6 aprile.
Il profilo letterario
L’esperienza poetica pascoliana si inscrive con tratti originalissimi nel panorama del Decadentismo europeo e segna in maniera
indelebile la poesia italiana, dispiegandole orizzonti del tutto
sconosciuti mediante determinanti innovazioni contenutistiche e
linguistiche.
La poetica del fanciullino In questa realtà imperscrutabile e dolorosa la poesia si propone come strumento, unico e insostituibile, per pe39
I grandi autori
La realtà come mistero La poetica di Pascoli affonda le radici in
una visione profondamente pessimistica della vita, in cui si riflette la
dissoluzione della fiducia, propria del Positivismo, in una conoscenza in grado di spiegare compiutamente la realtà e di garantire un
progresso continuativo del genere umano. Il mondo circostante appare all’autore un “magma” misterioso e indecifrabile, nel quale l’uomo è costretto a muoversi, dovendo fare i conti anche con l’egoismo
e la malvagità dei propri simili.
netrare a fondo nelle cose e instaurare con esse un rapporto e un dialogo profondi e autentici. Tale è il nucleo essenziale della poetica del
fanciullino ideata da Pascoli (→ Il fanciullino), una poetica decadente,
dal momento che la poesia è considerata un atto intuitivo e irrazionale, e simbolista, in quanto assume il dato reale nelle sue valenze nascoste e misteriose. Tuttavia, l’avvicinamento di Pascoli alla letteratura
europea decadente avviene secondo linee personali e spontanee, senza una puntuale partecipazione ai suoi presupposti teorici e senza il
condizionamento di influenze straniere. D’altra parte, a differenza delle poetiche decadenti (→ Gli autori stranieri), lo scrittore attribuisce alla
poesia un’imprescindibile finalità di edificazione morale.
Uno stile innovativo Nella ricerca di una comunicazione istintiva
ed emozionale con il mondo circostante, Pascoli giunge a rinnovare
in maniera profonda il linguaggio poetico italiano: la parola si fa allusiva e impalpabile mediante una ricchissima trama di suoni e una
sintassi dal ritmo lento e frammentato.
Le opere
Parte Seconda: Il primo Novecento
Animato da un vivido sperimentalismo, Pascoli dà vita a una produzione letteraria ampia e variegata, che spazia dalla poesia lirica
e intimista al poemetto storico-erudito, dai componimenti in latino al discorso retorico in prosa.
Titolo e data di pubblicazione
Genere*
Contenuti
Myricae (1891)
Raccolta poetica
Le liriche sono incentrate sulla descrizione
di paesaggi naturali, in cui il poeta proietta i
propri stati d’animo (→ Myricae).
Il fanciullino (1897)
Saggio
Viene esposta la poetica del “fanciullino”
(→ Il fanciullino).
Poemetti, in seguito divisi in Primi
poemetti e Nuovi poemetti (1897
e rispettivamente 1904 e 1909)
Raccolte poetiche
I componimenti esaltano la sana e genuina
vita dei campi in opposizione alla negatività
della società contemporanea (→ Poemetti).
segue
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Titolo e data di pubblicazione
Genere
Contenuti
Canti di Castelvecchio (1903)
Raccolta poetica
Il poeta si abbandona alla contemplazione
della natura di Castelvecchio (→ Canti di
Castelvecchio).
Poemi conviviali (1904)
Raccolta poetica
Il poeta rievoca personaggi ed episodi del
mondo greco e orientale, creando atmosfere preziose e raffinate.
Odi e inni (1906)
Raccolta poetica
Vengono cantati in toni retoricamente altisonanti eventi della storia contemporanea.
Canzoni di re Enzio (1909)
Raccolta poetica
Calandosi con gusto erudito nell’epoca
medievale, l’autore ricostruisce le vicende
di re Enzio, figlio di Federico II, sconfitto
dai bolognesi a Fossalta e tenuto prigioniero fino alla morte.
Poemi italici (1911)
Raccolta poetica
Vengono celebrate grandi personalità dell’arte e della letteratura.
La grande Proletaria si è
mossa (1911)
Discorso
L’autore esalta l’impresa in Libia, giustificando l’espansionismo coloniale: l’Italia, la
«grande Proletaria», da sempre sfruttata
dagli altri potenti Stati, ha il pieno diritto di
cercare un proprio riscatto.
Poemi del Risorgimento
(1913, postumi)
Raccolta poetica
Con fervente spirito patriottico vengono
cantati personaggi ed episodi del Risorgimento italiano.
Carmina (1915, postumi)
Raccolta poetica
I componimenti, scritti in un latino vivo e
suggestivo, mettono in scena fatti e personaggi della Roma antica.
Myricae Dopo la prima pubblicazione, la raccolta viene più volte riproposta con nuovi componimenti fino all’edizione definitiva del 1911.
Il titolo deriva da un verso della IV Bucolica di Virgilio e significa
«tamerici»; attraverso il riferimento a questi umili arbusti Pascoli indica immediatamente la materia e i caratteri dei suoi versi: l’ambientazione campestre e la natura semplice, celebrate con un linguaggio
lontano dai toni oratori e altisonanti.
41
I grandi autori
* Dato il fenomeno di “disintegrazione” dei generi letterari tradizionali, che si verifica tra la fine dell’Ottocento e gli
inizi del Novecento, spesso si è imposta la necessità di adottare formule di carattere non specifico.
Le tematiche I componimenti si configurano infatti per la maggior parte come piccoli quadretti impressionistici in cui dominano i
paesaggi naturali. Tuttavia la rappresentazione della natura non ha
nulla di realistico, ma si carica di significati simbolici, animandosi
delle emozioni, degli stati d’animo e dei ricordi del poeta.
Tra le liriche più famose della raccolta si ricordino Arano, l’Assiuolo, Lavandare, Novembre, X agosto, Il lampo e Il tuono.
Lo stile I componimenti sono in
Allitterazione: è una figura retorica
genere molto brevi e caratterizzati da
del suono, consistente nella ripetizione di uno o più fonemi uguali.
un’ampia gamma di schemi metrici
Onomatopea: consiste nella ripro(→ Tecniche di lettura, pag. 83). Se da
duzione di un rumore o di un suono.
un lato il lessico botanico e zoologico specialistico aderisce concretamente alla realtà rappresentata,
dall’altro la fitta trama di suoni, ottenuta mediante allitterazioni,
onomatopee, iterazioni, dà vita ad atmosfere indefinite ed evanescenti. Molto innovativa risulta la sintassi, frammentata e prevalentemente paratattica. Qui di seguito propoL’appunto
niamo la breve lirica Il tuono.
Il breve componimento offre
Parte Seconda: Il primo Novecento
E nella notte nera come il nulla,
a un tratto, col fragor d’arduo dirupo
che frana, il tuono rimbombò di schianto:
rimbombò, rimbalzò, rotolò cupo,
e tacque, e poi rimareggiò rinfranto,
e poi vanì. Soave allora un canto
s’udì di madre, e il moto di una culla.
Il fanciullino Lo scritto in prosa Il fanciullino compare per la prima volta sulla
rivista «Il Marzocco» nel 1897 e in seguito
viene pubblicato, in una versione più ampia, nel 1903 e poi nel 1907.
Le tematiche L’autore delinea la sua
poetica, ricorrendo all’immagine di un
«fanciullino», che vive nell’animo di ogni
42
un esempio emblematico del
carattere simbolico e allusivo
del linguaggio pascoliano,
che si avvale soprattutto di
una fitta e pregnante trama
fonetica. La prevalenza dei
suoni aspri e cupi, l’allitterazione martellante della r, l’impiego quasi ossessivo dei
predicati e l’iterazione di rimbombò riproducono il rumore
terrificante del tuono e, al
tempo stesso, comunicano
l’angoscia da esso suscitata
nell’animo del poeta. L’unica
consolazione nella notte nera
è il tenero canto della madre
che culla il suo bambino,
“spiraglio” introdotto stilisticamente dalla pausa rappresentata dall’aggettivo Soave.
persona e guarda e interpreta il reale con l’entusiasmo, la sincerità
e l’ingenuità tipici dell’età infantile e non di quella adulta, cogliendo il senso vero che si cela dietro ogni aspetto del mondo. Il poeta, per Pascoli, è «il fanciullino eterno, che vede tutto con meraviglia, tutto come la prima volta…» ed è capace di cogliere «cose che
sfuggono ai nostri sensi e alla nostra ragione» e di scoprire nella
realtà che lo circonda «le somiglianze e relazioni più ingegnose».
La poesia appare dunque un atto prerazionale in grado di esplorare il mistero della vita e di scorgerne i significati autentici. Essa risponde anche a un fine edificante: il fanciullino, infatti, nel suo
candore infantile, può infondere nel cuore degli uomini bontà e
altruismo.
Lo stile Grande esempio di “prosa simbolista”, Il fanciullino si
caratterizza per uno stile ricco di immagini e analogie, basato su
una sintassi frammentata e costruito con notevole attenzione agli
aspetti fonici.
Canti di Castelvecchio La raccolta esce per la prima volta nel
1903 e si arricchisce nel tempo fino all’edizione definitiva del 1912.
Le tematiche Posti dallo stesso Pascoli idealmente sulla linea
di Myricae, i Canti di Castelvecchio propongono al lettore un’immersione tutta lirica ed emozionale nel mondo della campagna,
43
I grandi autori
Poemetti Pubblicati per la prima volta nel 1897, i Poemetti (arricchiti nel tempo) vengono divisi in Primi poemetti, dati alle stampe
nel 1904, e Nuovi poemetti, usciti nel 1909.
Le tematiche e lo stile Il poeta privilegia, ancora una volta,
l’ambientazione campestre, ma ai brevi “quadretti” di Myricae sostituisce componimenti di carattere più disteso e narrativo, in cui (per
la maggior parte) vengono raccontate le vicende di un’umile famiglia
contadina di Barga. I Poemetti, che risultano caratterizzati da un linguaggio composito e sperimentale, sono ispirati a una più scoperta
ideologia rispetto alla precedente raccolta: l’ideale della semplice e
genuina vita dell’Italia contadina si oppone al male che caratterizza
la società contemporanea.
Parte Seconda: Il primo Novecento
che rivive con i suoi colori e i suoi suoni. In tal modo, ha ampio
spazio quella “poetica delle piccole cose” destinata a esercitare
notevole influenza sulla poesia italiana successiva (basti pensare
al Crepuscolarismo → I generi letterari e gli autori “minori”). Ritornano dunque i grandi temi della lirica pascoliana: i paesaggi di
Castelvecchio si caricano di significati
Il nido e la siepe: il nido è
simbolici e si animano degli stati d’ani- l’emblema del tepore e delmo, delle ansie e delle memorie del l’intimità familiari (atrocepoeta. Particolare valenza simbolica han- mente distrutti nella vita del
e la siepe è il confine
no immagini come il nido e la siepe, poeta)
che separa e protegge lo
talmente frequenti nei versi di Pascoli da spazio privato della famiglia
assumere ciascuna il valore di vero e e della casa dalle minacce
proprio topos. Tra i componimenti di del mondo esterno.
questa raccolta si ricordino La mia sera, Topos: (in greco «luogo»,
«luogo comune») tematica o
Nebbia, La cavalla storna e Il gelsomino immagine letteraria ricorrente.
notturno.
Lo stile Nei Canti di Castelvecchio giunge a piena maturazione il
linguaggio sperimentale e simbolico pascoliano, caratterizzato da un
tessuto fonetico ricchissimo, da una sintassi piana e frammentata e
da numerose analogie. Nei versi presentati di seguito, ad esempio,
posti a chiusura della nota lirica La mia sera, la fitta trama di figure
retoriche (onomatopea, allitterazione e sinestesia) crea e fissa nella
memoria un ritmo di dolce e suggestiva melodicità.
Don... Don... E mi dicono, Dormi!
Mi cantano, Dormi! sussurrano,
Dormi! bisbigliano, Dormi!
Là, voci di tenebra azzurra...
Mi sembrano canti di culla,
che fanno ch’io torni com’era...
Sentivo mia madre... poi nulla...
sul far della sera.
44
Tecniche di lettura
Il testo poetico: gli elementi costitutivi
Comprendere un testo poetico significa innanzitutto prendere atto della sua
natura polisemica, per cui in ogni poesia sarà sempre riscontrabile un significato di base oggettivamente valido; al di là di esso, tuttavia, ogni lettore potrà
scovarvi tanti altri significati, diversi a seconda della propria cultura, dei propri
sentimenti, del proprio modo di pensare.
Le ragioni di tale polisemia risiedono nel carattere specifico del linguaggio poetico: un linguaggio assolutamente “fuori della norma”. Pertanto, risulta estremamente facile distinguere un testo poetico da un altro che non lo è: non è il
contenuto a fare la differenza, ma la forma in base alla quale esso viene plasmato. Partendo dalla lingua comune, il poeta sfrutta le parole sia sul piano del
significato sia su quello del significante e, attraverso una serie di elementi tecnici e stilistici, dà corpo a una dimensione espressiva iconsueta e immediatamente distinguibile da ogni altra.
Per cogliere integralmente il valore di una poesia, dunque, il lettore dovrà analizzare il suo linguaggio poetico, prendendone in esame gli aspetti più importanti.
1. I campi semantici e le parole-chiave
Le parole che compongono una lingua non vivono “scucite”, anzi si richiamano
l’una all’altra: o perché hanno in comune il significato (i sinonimi), o perché
hanno in comune la forma, ma non il significato (gli omonimi), o perché sono
in opposizione (i contrari), o per associazione di idee ecc.
Tale rete di relazione fra le parole crea un campo semantico, in cui ogni parola
può introdurre altre relazioni e, quindi, un altro campo.
La parola attorno a cui ruota un campo semantico si chiama parola-chiave. Nei
testi poetici la parola-chiave è quella che racchiude l’argomento stesso della poesia: individuare la parola-chiave significa, perciò, capire il significato della poesia.
45
I grandi autori
2. Il verso
Il carattere distintivo di ogni testo poetico è costituito dal fatto, immediatamente visibile, di essere composto in versi.
I versi non sono tutti uguali: possono essere lunghi come nelle poesie-racconto
di Cesare Pavese (→ Parte Terza, I grandi autori) oppure brevi come nelle liriche
dell’Allegria di Giuseppe Ungaretti (→ I grandi autori).
Il verso, inoltre, non marca solo una diversità di tipo visivo rispetto ai testi in
prosa, ma costituisce anche l’unità di base del ritmo di una poesia. Esso è costituito dalla successione armonica e alternata di sillabe toniche e sillabe atone. Le
sillabe delle parole di un verso, infatti, non vengono pronunciate tutte con la
stessa intensità: alcune sono pronunciate con più forza e assumono un particolare rilievo. Bisogna fare attenzione, d’altro canto, a non confondere l’accento
tonico della parola con l’accento ritmico del verso. L’accento tonico interessa la
sillaba singola su cui la voce, nel pronunciarla, batte con maggior forza; l’accento ritmico (o ictus) si ricava, invece, dalla combinazione di più parole. Ne
consegue che sillabe fornite di accento grammaticale non hanno l’accento ritmico e sono considerate, da un punto di vista metrico, atone.
In base all’accento dell’ultima parola, i versi si dicono:
• piani, se terminano con una parola piana cioè accentata sulla penultima sillaba (ad esempio: sospìro);
• sdruccioli, se terminano con una parola sdrucciola cioè accentata sulla terzultima sillaba (ad esempio: piràmidi);
• tronchi, se terminano con una parola tronca cioè accentata sull’ultima sillaba (ad esempio: starà).
Parte Seconda: Il primo Novecento
Per contare il numero delle sillabe che costituiscono un verso vanno presi in
considerazione i gruppi vocalici, tenendo presente che:
• il dittongo è costituito da due vocali, una forte (a - e - o) e una debole (i - u)
non accentate (e viceversa) oppure da due deboli, la prima delle quali non
accentata; il dittongo si pronuncia con un’unica emissione di voce e vale una
sola sillaba (ia, ie, io; ai, ei, oi; ua, ue, uo; au, eu, ou; iu, ui);
• il trittongo è formato da tre vocali, una sola delle quali è una vocale forte, e
vale anch’esso una sillaba;
• lo iato è l’insieme di due vocali forti o di una vocale debole accentata e una
forte (e viceversa) oppure di due vocali deboli di cui la prima accentata (ea,
ae, eo, ao, oe, oa, ìu, ùi, e le stesse dei dittonghi con la debole accentata).
Contare esattamente le sillabe non è tuttavia sufficiente a individuare in maniera corretta la tipologia del verso; per farlo bisogna prendere in considerazione anche le figure metriche o poetiche:
• la sinalefe si verifica quando la vocale finale di una parola e quella iniziale
della parola seguente si fondono in una sola sillaba;
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• la dialefe, contrariamente alla sinalefe, avviene quando la vocale finale di
una parola e quella iniziale della parola seguente non si fondono, ma formano sillabe a sé;
• la dieresi si ha quando due vocali, che dovrebbero costituire dittongo, rappresentano due sillabe diverse (si segnala con due punti posti sulla vocale
debole del dittongo);
• la sineresi, al contrario della dieresi, è il fenomeno per cui due vocali all’interno di una parola non costituiscono iato e valgono una sillaba;
• la tmesi si verifica quando una parola viene tagliata a metà solitamente tra
la fine di un verso e l’inizio di quello successivo.
In base al numero delle sillabe, i versi italiani possono essere ricondotti a due
grandi categorie: i versi parisillabi (bisillabo, quaternario, senario, ottonario,
decasillabo), dove l’ultimo accento ritmico cade su posizione dispari, e i versi
imparisillabi (quinario, settenario, novenario, endecasillabo), dove l’ultimo accento ritmico cade su posizione pari.
A queste tipologie di base sono inoltre da aggiungere i cosiddetti versi doppi,
formati da due versi fondamentali uniti in uno solo (doppio quinario, doppio
senario o dodecasillabo, doppio settenario, doppio ottonario).
I versi sciolti sono versi legati ad altri presenti nella strofa soltanto dalla lunghezza predeterminata (senari, settenari, endecasillabi ecc.), ma sciolti da qualsiasi legame di rima.
I poeti del Novecento prediligono invece il verso libero, non organizzato in un
numero fisso di sillabe né tanto meno vincolato a particolari schemi di rime, e
quindi non riconducibile a una tipologia precisa.
Il ritmo, altro elemento fondamentale del testo poetico, non è prodotto a caso,
ma è il risultato di scelte precise. Esso è determinato in primo luogo dalle cesure, cioè dalle pause che in punti precisi interrompono i versi.
La pausa più evidente è detta pausa ritmica primaria e coincide con la fine di
ogni verso; pausa più debole di quella primaria, ma non per questo meno importante ai fini del ritmo, è quella che divide il verso in due parti, dette emistichi. Questo tipo di cesura interessa solo i versi più lunghi (dall’ottonario in su) e
coincide di solito con la fine di una parola.
47
I grandi autori
3. Il ritmo
Parte Seconda: Il primo Novecento
Quando la pausa ritmica di fine verso non corrisponde a una pausa logica
l’enjambement si verifica: in questo caso la frase non termina alla fine del
verso, ma continua al verso successivo. L’enjambement riduce al minimo la
pausa ritmica primaria: unendo insieme due versi consecutivi, crea un’intensa
fluidità ritmica e pone in forte rilievo i termini che coinvolge.
Gli aspetti ritmici di un testo poetico sono rafforzati e amplificati dalla rima,
identità di suono di due o più parole a partire dall’ultima sillaba accentata. A seconda delle parole coinvolte, la rima si dice perfetta quando interessa parole
identiche a partire dall’accento tonico (amòre / dolòre), imperfetta quando le
desinenze non sono identiche (cupo / muto), equivoca se riguarda parole che
hanno lo stesso suono – sono cioè omofone – ma diverso significato (sole / sole).
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Test di verifica
1. Giovanni Pascoli:
❏ a) nasce a San Mauro di Romagna nel 1862 e muore a Bologna nel 1911
❏ b) nasce a Castelvecchio nel 1855 e muore a Bologna nel 1912
❏ c) nasce a San Mauro di Romagna nel 1855 e muore a Firenze nel 1912
❏ d) nasce a San Mauro di Romagna nel 1855 e muore a Bologna nel 1912
❏ e) nasce a Castelvecchio nel 1862 e muore a Bologna nel 1911
2. Perché la poetica del fanciullino può essere considerata una poetica decadente e simbolista?
❏ a) Perché concepisce la poesia come atto intuitivo e irrazionale e scorge negli elementi della realtà una valenza nascosta e misteriosa
❏ b) Perché aderisce appieno ai presupposti ideologici del Decadentismo europeo
❏ c) Perché concepisce la poesia come atto intuitivo in grado di
trasmettere agli uomini messaggi positivi ed educativi
❏ d) Perché coglie negli elementi del reale dei significati riposti
❏ e) Perché segna la fine delle certezze del Positivismo
4. Quale significato assume la scelta da parte del poeta del titolo Myricae?
❏ a) È espressione della volontà del poeta di aderire al genere
bucolico
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Test di verifica
3. Nei Poemi conviviali vengono cantati:
❏ a) personaggi ed episodi del Risorgimento
❏ b) le eroiche gesta di re Enzio
❏ c) personaggi ed episodi del mondo greco e orientale
❏ d) i grandi personaggi dell’arte italiana
❏ e) eventi della storia contemporanea
❏ b) Esprime il desiderio di celebrare la cultura classica, in particolare Virgilio
❏ c) Comunica la predilezione di Pascoli per l’ambientazione
campestre e la volontà di proporre una poesia semplice
❏ d) Indica semplicemente l’amore nutrito da Pascoli per le piccole cose
❏ e) È segno evidente della tensione allo sperimentalismo del
poeta, che scelse questo titolo per evidenziare immediatamente l’innovazione apportata dai suoi versi nell’ambito
della tradizione italiana
5. Quale, tra i seguenti componimenti, appartiene ai Canti di Castelvecchio?
❏ a) Italy
❏ b) Novembre
❏ c) X Agosto
❏ d) Lavandare
❏ e) Nebbia
Parte Seconda: Il primo Novecento
Soluzioni e commenti
1. Risposta: d). Giovanni Pascoli nasce a San Mauro di Romagna il
31 dicembre del 1855 da Ruggero e Caterina Allocatelli Vincenzi;
muore a Bologna il 6 aprile del 1912.
2. Risposta: a). Secondo Pascoli la vera poesia è voce di un fanciullino che vive in ogni persona e guarda alla realtà con l’entusiasmo, lo stupore, l’ingenuità tipici appunto dei bambini e non degli adulti. La poesia appare dunque una forma di espressione
prerazionale e prelogica in grado di scorgere il volto autentico
del reale.
3. Risposta: c). Nei Poemi conviviali, pubblicati, a partire dal 1895,
sulla rivista romana «Il Convito» e poi raccolti in volume nel 1904,
Pascoli rievoca episodi e personaggi del mondo antico greco e
orientale, dando vita ad atmosfere raffinate e preziose.
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Test di verifica
4. Risposta: c). Il termine myricae, tratto da un verso della IV Bucolica di Virgilio, significa «tamerici». Con il riferimento a questi
umili arbusti il poeta vuole indicare la predilezione per l’ambientazione campestre e il carattere semplice dei suoi versi.
5. Risposta: e). In Nebbia, uno dei componimenti più celebri dei
Canti di Castelvecchio, il poeta invoca la nebbia affinché nasconda le «cose lontane», i drammatici ricordi delle tragedie familiari,
e gli permetta di scorgere soltanto l’ambiente rassicurante della
sua casa e dell’orto.
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